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Antropologia articoli

1. L’etnografia della scuola

Sempre in più società si convive nelle scuole per molte ore. La scuola è un luogo sociale in
cui l’interazione discorsiva, pratica e simbolica è molto concentrata. È dunque un contesto
educativo, ma spesso la routine della scuola diventa ritualizzata non potendo inserire
modifiche sociali e storiche. Il metodo etnografico, che utilizza soprattutto dati qualitativi è
utile per comprendere il contesto scolastico. Edgar Hewett scrisse tra il 1904 e il 1905 su
American Anthropologist due artoli che trattavano i rapporti tra scuola e società
(Anthropology and Education e Ethnic factors in education). Nel primo afferma che bisogna
dare più importanza alle relazioni tra i sistemi educativi di origine europea e la reale
pluralità culturale. Nel secondo afferma che l’insegnante deve conoscere la pluralità
culturale e rifiutava l’idea di americanizzazione che al tempo veniva vista come sinonimo di
educazione. Nelle conclusioni afferma che è nella preparazione dei nuovi insegnanti sono
necessari gli insegnamenti antropologici. Molti antropologi si occupano dello studio
dell’educazione diversa da quella occidentale, tra questi troviamo Margaret Mead. Noto è
Jules Henry che negli anni sessanta compila un “inventario” – di stampo eccessivamente
positivista– degli ambiti da investigare per elaborare una teoria comparativa
dell’educazione. Henry è considerato il capostipite degli etnografi della scuola, la sua analisi
del 1963-65 delle interazioni tra insegnanti e allievi nelle aule americane è radicale: mostra
come la scuola rifletta e alimenti i conflitti e le disuguaglianze della società in cui è istituita,
definendola addirittura una “Cultura contro l’uomo”, all’interno della quale gli insegnanti, a
loro stessa insaputa, trasmettono agli allievi “l’ansia di competizione, la paura dell’autorità e
il fascino della docilità” e della sottomissione a un consumismo eccessivo. Anche Louise e
George Spindler sono considerati i fondatori ufficiali, nel 1954, dell’antropologia
dell’educazione; nel 1982 fanno il punto della situazione curando il testo Doing
Ethnography of Schooling, che raccoglie significative esperienze di etnografie della scuola
svolte tra gli anni settanta e ottanta negli Stati Uniti: si pone il problema di come coniugare
le altre culture al paradigma standard della scuola. Questo sfocierà nella realizzazione di
scuole indigene interculturali e bilingui per dare la possibilità ai nativi di studiare nella
propria lingua. L’impegno dei primi etnografi della scuola americani riguardava dunque il
rapporto tra la scuola europea e i nativi.
Nel 68 il nigeriano-americano Ogbu inizia ad occuparsi della relazione tra scuola e
immigrati, sviluppa la teoria “ecologico-culturale” sul rendimento scolastico delle
minoranze.
Metodo di ricerca antropologica nelle scuole: ETNOGRAFIA (ricerca sul campo).
Una micro-ricerca può essere svolta da un solo etnografo, le più estese da un gruppo
coordinato, ma anche le piccole ricerche indipendenti sono messe in relazione tra loro, in
pubblicazioni o raccolte. Gli obiettivi di queste ricerche sono lasciati aperti perchè: non
sappiamo a priori quali siano le specifiche componenti che costituiscono le diverse
situazioni o le cause dei problemi, anzi sono proprio queste che dobbiamo ancora capire.
L’etnografo deve osservare ogni situazione e le relative connessioni. Come mostra
l’etnografia internazionale della scuola di Gomes a prescindere dal fatto che il
sostantivo sia sempre grammaticalmente usato al singolare, “la scuola” è diversa da luogo a
luogo. L’etnografo inizia il lavoro di ricerca sul campo negoziando la sua presenza nelle
classi sperando poi di suscitare l’interesse degli allievi. L’antrologo attraverso
l’osservazione partecipante cerca di immedesimarsi negli allievi, deve rimanere consapevole
della sua presenza e non intervenire necessariamente per non modificare il nomale
andamento delle attività. Posizione simultaneamente di coinvolgimento e di distacco. Non
interagire direttamente ma partecipare nel caso in cui gli allievi richiedano l’intervento. In
particolare, il metodo etnografico impiegato nelle aule scolastiche consiste nell’osservazione
e nell’ascolto, nell’individuare gli atti significativi e contemporaneamente raccogliere i punti
di vista. Quelle “componenti sfuggenti” che l’antropologo vuole comprendere sono
performance che esistono solo in quel momento. Il termine polifonia, nella letteratura
antropologica, è usato in due sensi: uno relativo al piano teorico, che intende la pluralità
delle voci degli antropologi/etnografi che hanno trattato un tema fornendone prospettive
diverse. Uno relativo al piano contestuale, che pone l’accento sull’importanza di riportare la
pluralità delle voci e dei punti di vista dei soggetti nel contesto, discordanti o in accordo che
siano. Le cosiddette etnografie multilevel studiano le relazioni tra individui di provenienza
diversa che convivono negli stessi luoghi. Per esempio Guaranì che studia le scuole indigene
boliviane “interculturali e bilingui” dove mostra che le etichette generiche di “scuola
interculturale, multiculturale, plurale” non sono sufficienti a garantire che pratiche e risultati
siano tali.
Woods in “INSIDE SCHOOLS” parla di come la famiglia influenzi il comportamento e il
rendimento all’interno dell’ambiente scolastico.
Vengono adottati numerosi metodi per comprendere e gestire i comportamenti insoliti degli
studenti. Per esempio nelle scuole medie della periferia operaia francese è stato utilizzato un
atteggiamento del tutto errato di inserire gli elementi più “turbolenti” (francesi e migranti)
nelle stesse classi facendoli sentire ancora di più in difetto. Una metodologia corretta è stata
invece adottata in una scuola media milanese dove è stato adottata la “metodologia
umoristica” gli insegnanti comunicano con i ragazzi usando l’ironia e il loro stesso
linguaggio (devono mettersi i voti da soli questo ha funzionato). L’utilizzo di termini come
“immigrato” o “straniero” all’interno delle scuole è totalmente scorretto perché mette a
disagio i diretti interessati e aumenta la supremazia dei ragazzi del paese d’origine.
PRAGMATICA DEL LINGUAGGIO
Interessante è l’osservazione degli “atti linguistici” non sempre consapevoli o volontari
(rispecchiano le abitudini di insegnanti, allievi ecc..) è sbagliato ad esempio da parte degli
insegnanti catalogare gli alunni come “più bravi” e “meno bravi”, anche determinate frasi
che possono scoraggiare i ragazzi che rendono di meno possono spesso ripercuotersi sulla
vita adulta. Possono portare anche a discriminazione le scelte discorsive, come ad esempio,
dare del “tu” e dare del “lei” per mantenere salda la gerarchia. Discriminazione è ad esempio
dare del tu ai genitori stranieri e dare del lei ai genitori italiani. Altri fattori linguistici da
considerare sono “le prese di parola” che in determinati contesti possono indicare una sfida
o una mandata conoscenza delle regole. . L’“auto-correzione” è agita quando un parlante si
rende conto – ma quasi sempre senza consapevolezza razionale –che ha già preso troppo
tempo, anche gli insegnanti nell’intento di correggere l’alunno in difficoltà durante una
verifica fanno una serie di auto-correzioni mettendo così in difficoltà l’alunno. Nelle scuole
indigene Guaranì il controllo dei turni di parola spetta decisamente agli insegnati e si
permettono di chiamare gli alunni con gli appellativi come “povero” “ex-schiavo”.
Studi condotti dalla professoressa nel 2004: Aladin leggeva benino
in italiano, poi iniziò a peggiorare; non se ne capiva il motivo e nel
frattempo le insegnanti ricominciarono a dedicargli più attenzione;
lui, gratificato, continuava a leggere sempre peggio, inventandosi
“errori” con evidente soddisfazione.
“cosa avete fatto in vacanza al
mare”, adatto per alcuni bambini di una certa classe sociale,
ma non per tutti, soprattutto non per chi la parola “mare” non
evoca alcun referente cognitivo o, peggio, ricorda l’arrivo in Italia
con una drammatica migrazione in barca.
Secondo la prof un modo di includere i ragazzi rom era salutarli nella loro lingua (romanè) e
chiedergli di insegnarle frasi ecc..
RELAZIONE INSEGNANTE—ETNOGRAFO
Scambio di informazioni, trasferimento di saperi. Osservare ciò che gli etnografi osservano”
durante la loro frequentazione è un’occasione sperimentata da alcuni insegnanti per
acquisire una più approfondita conoscenza delle loro stesse modalità di insegnamento.
ARTICOLO (2)
La ricerca sul campo mostra al contrario che ogni persona è portatrice di bisogni, ‘normali’ o
‘speciali’ che siano, ed è necessario dare a tutti spazi e strumenti per le rispettive, adeguate
elaborazioni.

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