INTRODUZIONE
un concetto multidimensionale
scuole e culture
concetti locali di cultura
intenti, metodi e teorie della ricerca
dalla prospettiva antropologica del linguaggio
contenuti e forme del testo
area e tempi della ricerca
CAPITOLO 1
Il contesto della ricerca
il pueblo guaranì: definizioni e autodefinizioni
Organizzazione territoriale e organizzazione politica
Nande Reko, stratificazioni sociali e karai: costruzioni della cultura e dell'identità guaranì
il pueblo guaranì e l'educazione coloniale: breve storia della scuola boliviana
il contesto attuale della Reforma Educativa e della Educacion Intercultural Bilingue
la scuola Guaranì
Mboarakuaguasu: il Consejo Educativo del Pueblo Guaranì
CAPITOLO 3
Palmarito: dalla scuola materna alla scuola di computer.
Mito e matematica come strumenti politici
una comunità in costruzione permanente
la comunità e le scuole
rapporti tra insegnanti e comunitari: stratificazioni socioeconomiche
Acqua ed economia: interazioni e mito-logiche politiche
pedagogie e culture: Freinet a Palmarito
interazioni in classe: contenuti e strategie linguistiche
linguaggi della storia, linguaggi dell'interazione
'coscientizzazione' matematica
lettere 'culturali' della letteratura
CAPITOLO 5
(Dal pag. 282-295)
attacchi pragmatici e attacchi armati al paradigma sciamanico
un paradigma linguistico- costruttivo: sciamani come costruttori di mondi
sciamani nella scuola: il sistema-mondo nel mondo-locale
RIFLESSIONI
tra agentività e strutture: tras-formazioni della cultura e della scuola
lo sviluppo separato dei due paradigmi
paradigmi poteri: strumenti politico-culturali
postmodernità e 'potere' del paradigma sciamanico
tra 'modo di essere' e 'cultura'
interculture, 'sviluppismi' e post-sviluppo
un'intersoggettività culturale, attraverso l'exotopatia.
Trasformazioni guaranì, tra paradigma sciamanico e scuola; Silvia Lelli
PREFAZIONE
Nella prefazione del libro “Trasformazioni Guaranì, tra paradigma sciamanico e scuola” Silvia
Lelli ci spiega come il suo percorso parta da una ricerca preliminare sulla costruzione culturale in
rapporto alle istituzioni educative scolastiche nella società guaranì boliviana, condotta a seguito
della richiesta, nel 2002, da parte dell’associazione boliviana Teko Guaranì verso la cattedra di
Antropologia Culturale della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Firenze, di
formare antropologi guaranì. Tale richiesta appartiene al Progetto Educativo che il popolo guaranì,
grazie alle sue politiche di autodeterminazione, inserisce nel proprio Programma di Sviluppo e che
prevede azioni mirate al rafforzamento culturale e identitario, come l’estensione dell’educazione
scolastica al maggior numero possibile di comunità rurali guaranì, campagne di alfabetizzazione, la
formazione di insegnanti indigeni e la costituzione di un centro di ricerca etnoantropologica.
In questo processo è focale il sapere etnoantropologico, che ha portato alla luce riflessioni sia
culturali sia politiche, ponendo in primo piano i rapporti tra conoscenza e potere: un primo aspetto
che molti sottolineano è il fatto che gli stessi guaranì, le loro famiglie e i loro antenati non fossero
nemmeno al corrente di questa produzione culturale, un altro aspetto riguarda invece la necessità di
produrre un'etnografia soggettiva e priva di errori e incongruenze. Difatti, il rapporto tra i guaranì e
l'antropologia è stato quasi esclusivamente un rapporto di “sudditanza”, dove essi venivano
considerati meri soggetti di ricerca e dove era del tutto assente una prospettiva autocritica,
autoriflessiva e postmoderna. Melià, antropologo che si è occupato a lungo dei guaranì, afferma che
quello che sappiamo oggi su questo popolo dipende dalla relazione che gli europei hanno avuto con
esso e distingue gli studi etnologici sui Guaranì in cinque categorie: un'“etnologia di conquista”, che
mostra il loro iniziale inserimento nel progetto coloniale e ciò che da questo subirono, un'“etnologia
missionaria”, secondo la quale si tratta soltanto di una popolazione da convertire, un' “etnologia dei
viaggiatori”, che vede il popolo come un oggetto da conservare e vi costruisce attorno un
immaginario esotico, un' “etnologia antropologica”, che grazie ad esperienze avvenute sul campo
pone le basi per un vero cambiamento di prospettiva nei confronti della cultura guaranì, ed infine
un'“etnologia etnostorica”, di cui Melià è uno dei maggiori esponenti.
Secondo Silvia Lelli, la visione dell'antropologo non prescinde sicuramente dalla storia coloniale
del popolo, che vede schierarsi da una parte gli indigeni e dall'altra i non-indigeni, i quali hanno
prodotto “la nostra conoscenza di loro”, che, come sottolinea l'autrice, non è bastevole, in quanto
esclude tutta la parte di conoscenza elaborata dai gruppi studiati sugli “occidentali”, dunque non è
reciproca. A suo avviso, la richiesta dell'Associazione Teko Guaranì rivela una consapevole o
inconsapevole visione occidentalista dell'antropologia, un mancato riconoscimento di
un'antropologia guaranì e l'accettazione dell'idea che la conoscenza indigena debba assumere
sembianze occidentali. In tal senso, Silvia Lelli ci fa notare che il rischio è proprio quello di
riprodurre, attraverso la formazione stessa, un rapporto di potere/sudditanza, dove il potere è
detenuto dal sapere occidentale. Spinta dall'idea secondo la quale ogni popolazione deve trovare il
suo modo di fornire e intendere qualsiasi tipo di conoscenza che ben si inserisca e rispetti
l’immaginario e la cultura della popolazione stessa, la ricercatrice vuole che il suo progetto sia
intercultuarle e che medi le modalità e le teorizzazioni occidentali con l’orizzonte culturale guaranì.
La sua sfida diviene dunque quella di trovare modalità di approccio capaci di creare una effettiva
interazione interculturale tra forme di conoscenza antropologica occidentale e forme di costruzione
della conoscenza tipiche guaranì, che arricchiscano l’antropologia occidentale “dis-
occidentalizzandola” e che non, viceversa, occidentalizzino ed appiattiscano le visioni
dell’antropologia guaranì. È da questa prospettiva che nasce nell'autrice la necessità di svolgere,
prima di intraprendere il suo percorso, una ricerca sul campo sull’educazione scolastica locale,
volontà mossa da almeno due ragioni principali: il fatto che la richiesta di formazione in
antropologia si situa all'intersezione tra educazione e cultura e il fatto che oggi la relazione tra
educazione scolastica e costruzione socioculturale guaranì è molto stretta. Dopo un anno di studio e
di ricerca, l'autrice sostiene l'importanza di strumenti di auto-monitoraggio delle relazioni, sia nelle
vesti di formatori che di ricercatori, quali registrazioni ed analisi del linguaggio, utili a monitorare i
ruoli di potere che si assumono durante le interazioni ed a migliorare l'interazione stessa la volta
successiva.
INTRODUZIONE
Un contesto multidimensionale
In tutta l'America Latina i processi culturali, sociali ed educativi sono collegati alla storia della
colonizzazione; ciò rende imprescindibile approcciarsi ad essi tenendo in considerazione che i
gruppi di indigeni sono inseriti in una società dominante i cui i modelli sono di stile occidentale,
coloniali o post-coloniali. La scuola, costrutto della comunità socio-scientifica occidentale, è un
modello di costruzione dell’educazione e della conoscenza, della cultura e di relazioni sociali; per
questo si può definire anche “prodotto e produttore di cultura”. Secondo Silvia Lelli, per parlare di
cultura utile è il concetto di paradigma, definito da Thomas Khun come l'intera costellazione di
credenze, valori, tecniche, e così via, condivise dai membri di una data comunità, mentre il
sottoparadigma indica adesioni particolari a sottogruppi (modelli, soluzioni, esempi ecc.) del
paradigma. Da queste due definizioni emergono gli importanti concetti di soggettività ed
intersoggettività durante il processo di costruzione di conoscenza (in quanto i valori di cui parla la
definizione possono essere condivisi da persone che differiscono nella loro applicazione) e quello di
conoscenza tacitamente incorporata, ossia di una conoscenza che non si costruisce verbalmente,
bensì attraverso esempi, esperienze e vissuti concreti. Inoltre, laddove ammette il problema
dell'interazione tra comunità che costruiscono conoscenza secondo paradigmi differenti, il
paradigma è utile anche nella trattazione di questioni di commensurabilità/incommensurabilità
trans-culturale. Come abbiamo detto, la scuola è un prodotto culturale occidentale, è per cui vissuto
nella società guaranì da persone che, al di fuori di essa, vivono processi di costruzione della
conoscenza, dell’educazione e di socializzazione “culturalmente” diversi. Per addentrarsi in tali
processi, la Lelli utlizza due categorie analitiche, il paradigma sciamanico e il paradigma
occidentale: il primo indica l'insieme dei modi della costruzione socioculturale guaranì rurale,
mentre il secondo l'insieme dei modi occidentali di creare il mondo. La contrapposizione tra i due
paradigmi trova particolare configurazione sul territorio guaranì, tant'è vero che esistono due diversi
termini per indicare da un lato ciò che loro chiamano “il nostro modo di essere” e dall'altro tutto ciò
che è “non-indigeno”; nella prima categoria rientrano anche due termini che designano due diverse
forme di sapere che ancora una volta ben esemplificano la contrapposizione: il primo si può tradurre
con “il sapere del paradigma sciamanico”, mentre il secondo con “il sapere del paradigma
scolastico”. Esiste addirittura un mito, nella tradizione guaranì, per differenziare i due paradigmi, in
cui si narra che il creatore del mondo abbia chiesto agli esseri umani di scegliere tra uno strumento
musicale simbolico nella cultura guaranì ed un foglio di carta e secondo cui gli indigeni avrebbero
scelto il primo, preferendo la parola sonora, mentre i non-indigeni il secondo, optando per la parola
scritta.
Scuole e culture
I due paradigmi differiscono per le forme di interazione in cui i contesti socio-culturali sono
costruiti: se, difatti, i contesti socio-culturali relativi al paradigma sciamanico, anche chiamato
“paradigma del dono”, si costruiscono su forme di interazione cooperativa basate su relazioni
socioeconomiche di reciprocità, quelli relativi al paradigma occidentale si fondano invece su forme
di interazione utilitaristiche, basate su relazioni socioeconomiche capitalistiche caratterizzate e
riprodotte dalla cosiddetta “visione scolastica”, la quale produce relazioni decontestualizzate,
individualistiche e competitive. La scuola è un prodotto occidentale esportato, ma al contrario di
quanto affermano le generalizzazioni che tendono a considerarla un fenomeno singolo, essa è anche
una zona di frontiera multidimensionale che in ogni luogo si configura con specifiche connotazioni
sociostoriche; di ciò ne sono esempi le scuole indigene. Difatti l'“opzione di default” (“modello di
funzionamento standard”), interferendo con le culture locali, produce un doppio “flusso culturale”:
da un lato “occidentlizza” le socioculture ospitanti, ma dall'altro viene “indigenizzato” da queste.
Da questo emerge che, a dispetto di certe visioni occidentali funzionali al mantenimento di
un’immagine di potere assoluto, le culture indigene esistono, non sono state del tutto sterminate e
hanno il loro potenziale creativo-inventivo che influenza i modelli culturali occidentali. Dunque,
come accade nella metafora del “flusso culturale”, secondo la quale guardando un fiume da lontano
esso sembra un'uniforme striscia blu, ma da vicino se ne vedono le varie sfumature, anche nel caso
dell'interazione tra il modello-scuola occidentale e quello indigeno, da lontano, può sembrare che
solo il primo, ben pubblicizzato e pervasivo, influenzi il secondo, ma da vicino ci accorgiamo di
quanto i “flussi” siano simultanei.
Nande reko, stratificazioni sociali e karai: costruzioni della “cultura” e dell'“identità guaranì”
Cultura e identità guaranì sono concetti elaborati localmente attraverso due tipi di lavoro sociale
linguistico: uno non esplicito, che ha luogo nelle interazioni della vita quotidiana della popolazione
guaranì rurale, inscrivibile nel paradigma sciamanico, e un altro esplicito, svolto all'interno delle
istituzioni culturali, politiche ed educative guaranì, in particolare del “Consiglio Educativo del
Pueblo Guaranì”, che promuove la costruzione socioculturale al fine di potersi interfacciare con le
istituzioni dello Stato nazionale. Esplicitazioni e non esplicitazioni sono due forme di vita diverse
che compongono il “nande reko” (“nostro modo di essere”), termine generalmente tradotto con
“cultura”, che indica uno strumento di distinzione identitaria da altri gruppi, ma oggi usato più
come un neologismo dalle istituzioni, con un senso diverso rispetto a quello inteso nel “paradigma
sciamanico”. Ciò ci pone di fronte a due paradossi: lo Stato-nazione boliviano, nonostante sia
costretto dalla molteplicità linguistico-culturale ad abbandonare la retorica di un insistente
omogeneità, continua ad adottare lo stesso concetto cristallizzato di cultura, con la differenza di
frammentarlo; il concetto di cultura e identità promosso dalle istituzioni guaranì è fisso e ben
definito, cioè, in realtà, in linea, e non contrapposto, con quello concepito dalle politiche statali. La
visione di cultura e identità derivante dalla costruzione implicita quotidiana risulta invece più
dinamica perché costruita di giorno in giorno nell'interazione tra le persone. La maggior parte dei
guaranì tende a distinguersi dalla popolazione non-guaranì e a definire la propria identità in maniera
forte rispetto a quella non indigena, con la quale i rapporti non sono buoni. Difatti, i nativi
utilizzano un termine specifico per indicare gli europei (o in generale i non-indigeni): "karai"; i
numerosi significati attribuiti alla parola nel corso del tempo ruotano attorno a personaggi
dall'immagine positiva, come profeti che proclamavano la necessità per il popolo di cercare la
“Tierra sin mal” ( luogo simbolico della mitologia guaranì), la divinità Sole, grandi sciamani che
affiancavano gli “mburuwicha” o sciamani dotati di un potere carismatico eccezionale. Ciò,
secondo Melià, ci fa prendere in considerazione due ipotesi: quella secondo la quale il termine è
stato attribuito inizialmente ai non-indigeni per la “decisa volontà di migrazione” dei missionari
cristiani, interpretata dai nativi come “carisma di karai”, o quella per cui sarebbero stati gli stessi
cristiani ad attribuirselo, per accrescere il proprio status.
La scuola guaranì
Nell'oriente boliviano gli obbiettivi che l'insegnamento Interculturale Bilingue si pone sono molto
spesso contrastati dal rapporto problematico tra scuola e socioculture. Per quanto concerne la
comunità guaranì, ad esempio, la concretizzazione dell'educazione bilingue si scontra con una realtà
estremamente frammentata (c'è chi parla solo lo spagnolo, chi solo il guaranì, chi li parla entrambi
ma con vari gradi di competenza e con diverse varietà). Sia nelle comunità nelle quali lo spagnolo è
la lingua maggioritaria sia in quelle nelle quali è maggioritario il guaranì, la popolaizione si divide
tra coloro che vogliono potenziare soltanto lo spagnolo per implementare le relazioni verso
l'esterno, da cui si suppone arrivi il benessere, e coloro che invece desiderano fortificare il guaranì,
ritenendo che il benessere possa essere prodotto dall'interno. Davanti a tanta diversità, l'unica
soluzione per mantenere il progetto omologante sembra quello di tagliare dalle statistiche i dati
relativi al malfunzionamento, all'insuccesso e all'abbandono. Questa situazione si affronta solo
recentemente, a conclusione del primo decennio di Educazione Interculturale Bilingue, quando un
primo bilancio sociale negativo dà modo di parlare a coloro che caldeggiano per un ritorno di
modelli educativi evoluzionisti, autoritari, monolingui-spagnolo e “conducisti”. È inevce nel '900
che nasce la riflessione sulla discrepanza tra scuola e realtà sociale, di cui si occupano
l'antropologia dell'educazione e l'etnografia della scuola. Il difficile rapporto tra la scuola, vista
come qualcosa di esterno, e la società guaranì dà luogo ad una costruzione della conoscenza
guaranì, fatta sia di adattamenti che di appropriazioni, che si discosta dal modello unitario proposto.
Tale costruzione culturale viene mediata dall'interazione faccia a faccia, poiché, data la presenza
incostante delle scuole nel territorio e nonostante le campagne di alfabetizzazione intraprese dal
governo, la comunicazione guaranì rimane orale (motivo per cui non esiste in Bolivia una
produzione letteraria in lingua guaranì). Tuttavia, senza dubbio, la diffusione nelle scuole del
programma statale di Educazione Interculturale Bilingue porterà a dei massicci cambiamenti. Nella
lingua scritta, ancora ai suoi inizi, si cerca di mantenere le caratteristiche della forma orale
originaria. Secondo alcuni dati tratto da uno studio effettuato nel 1998 dall'Associazione Teko
Guaranì su 18 Zone (su un totale di 21), 288 insegnanti su 670 parlano guaranì, dunque,
potenzialmente, il 43 % dell'educazione scolastica nelle comunità è bilingue; il 62 % di bambini e
giovani che abitano nelle comunità è iscritto a scuola; l'educazione interculturale bilingue viene
applicata in un 59 % delle scuole. In alcune comunità esistono le Juntas Escolares, organi attraverso
i quali i genitori sono tenuti a partecipare alle attività della scuola. L'educazione boliviana si svolge
poi anche attraverso altri due sistemi educativi alternativi al “default” (modello scolastico standard):
il modello dell'educazione radiofonica (IRFA) e il modello dell'educazione degli adulti nelle zone
rurali (CEMA Rural). Il primo è un sistema di educazione a distanza importato dai missionari
cattolici spagnoli e usato in vari paesi dell'America Latina, che, incaricato dai municipi rurali
dell'educazione a distanza a livello elementare, copre le necessità scolastiche nelle periferie dove
non esiste la scuola “classica” in presenza. Il CEMA Rural (Centro di Educazione Media-superiore
Accellerata) è una forma di insegnamento statale, gestita di fatto da organizzazioni educative locali
non statali, rivolta agli adulti che vivono nelle zone rurali, dove il programma delle scuole superiori
viene svolto in due anni anziché in quattro; è organizzata in strutture situate in determinate
comunità, dove le persone si spostano per periodi di frequenza residenziale intensivi di circa un
mese e mezzo (seguendo le lezioni mattina, pomeriggio e sera) e ai quali si alternano periodi nei
quali tornano a casa per il lavoro nei campi. Molti educatori di questi percorsi alternativi e molti
insegnanti delle scuole guaranì provengono dal percorso IRFA-CEMA. Le scuole statali guaranì
sono invece organizzate in base alla ripartizione territoriale e le loro relazioni con le municipalità
vengono negoziate dai Direttori Distrettuali.
Mboarakuaguasu: il Consejo Educativo del Pueblo Guaranì
A seguito all'emanazione della Legge della Riforma Educativa, il “Consejo Educativo del Pueblo
Guaranì” (CEPOG) o “Mboarakuaguasu” acquista importanza e nel 1998 viene riconosciuto come
organo ufficiale copartecipante alla gestione delle scuole statali bilingui guaranì. Il suo ruolo è
quello di controllare e incoraggiare l'applicazione delle forme educative partecipative, interculturali
e bilingui previste dalla Riforma e di farle accettare nelle comunità, dove talvolta sono sentite come
invasive. In particolare, il CEPOG promuove politiche di rivalorizzazione identitaria: incoraggia
all'uso della lingua guaranì; invita i genitori a partecipare alle attività scolastiche; lavora sulla
costruzione di neologismi per l'insegnamento di tutte le materie scolastiche in guaranì, elaborando
nuovi significati tra quelli proposti dall'esterno delle comunità e quelli proposti dall'interno di esse;
e studia le forme di scrittura più adatte ad una lingua tradizionalmente orale. La proposta
Consensuale deliberata dal CEPOG nel 2003 prevede, tra le principali attività proposte per il futuro,
l'organizzazione di un programma di alfabetizzazione permanente, la creazione di un centro di
ricerca specializzato sulla cultura guaranì e di una università indigena, la decentralizzazione
dell'Educazione Interculturale Bilingue e la messa a punto di progetti educativi indigeni. L'autorità
del Mboarakuaguasu è formalmente riconosciuta e apprezzata dalla maggior parte degli abitanti
delle comunità, ma il suo ruolo di mediatore tra “cultura guaranì” e “cultura occidentale” risulta
talvolta ambiguo, in particolare quando le persone si sentono proporre progetti o concetti in
conflitto con la loro visione del mondo. In alcune comunià, difatti, è difficile radunare gli abitanti
per un seminario e comunicare, all'interno di essi, concetti estranei alla cultura guaranì. Le
opposizioni nascono, tuttavia, non tanto per i contenuti espressi, quanto per il modo in cui vengono
proposti, che veicola relazioni di potere. Inoltre, essendo la costruzione della conoscenza guaranì
rurale basata sul paradigma sciamanico, mentre la “cultura guaranì” proposta dalle istituzioni basata
sul paradigma aristotelico-cartesiano, spesso quest'ulltima non è accolta e accettata acriticamente
nelle comunità. Talvolta, le decisioni prese dall'élite intellettuale che dirige il CEPOG creano
stratificazioni e differenziazioni interne alla società guaranì, una parte della quale, come abbiamo
detto, vede ambigua la posizione di questa istituzione che propone soluzioni dall'alto, anch'essa
finanziata da organismi di cooperazione internazionale. D'altro canto, Silvia Lelli evidenzia come
anche i promotori facciano fatica a rispettare le forme partecipative non rappresentative di
costruzione del consenso collettivo del “nande reko”, le quali, per essere attuate, richiedono tempi
più lunghi rispetto alle forme rappresentative, tempi “non-occidentali”. Il CEPOG, come l'APG,
sono istituzioni in continuità con l'organizzazione politica guaranì del passato, ed i ricordi più
recenti di questo passato fanno capo alla colonizzazione; dunque, come sostiene Silvia Lelli,
attingervi può portare a procedimenti non rispettosi nei confronti delle comunità, come la
produzione di schemi di potere di stile occidentale (nel migliore dei casi democratico) o la
creazione di nuove élite il cui potere contrasta con l'organizzazione poltica e la visione del mondo
delle comunità rurali.
CAPITOLO 3: PALMARITO: DALLA SCUOLA MATERNA ALLA SCUOLA DI COMPUTER,
MITO E MATEMATICA COME STRUMENTI POLITICI
Una comunità in costruzione permanente
La comunità di Palmarito, nella Zona Kaaguasu, è un esempio di comunità dinamica, poiché
fondata in maniera progressiva da gruppi familiari guaranì usciti dallo stato di servitù delle
“haciendas”. In particolare, negli anni '30, l'area della comunità era posseduta da una famiglia di
“haciendados” di origine spagnola, ma, quando tra il 1932 e il 1935 alcuni guaranì che vi
lavoravano in stato di “peonazgo” vennero reclutati dall'esercito boliviano impegnato nella guerra
del Chaco, conobbero altre opportunità lavorative e considerarono la possibilità di organizzarsi
autonomamente; così, al loro ritorno, molti di essi, insieme alle famiglie, si staccarono dall'
“hacendado”. Alcune fonti fanno risalire il momento di fondazione della comunità al momento del
distacco dall'hacienda, altre, invece, al momento in cui l'hacienda è stata venduta (1959); essa fu
venduta secondo la tradizione degli “haciendados” (vendendo terra, strutture costruite su di essa e
persone che vi abitavano), ma fu acquistata da un'associazione cattolica che si appropriò delle terre
per restituirle agli indigeni e iniziò un'attività di “coscientizzazione”. Così, grazie ad una graduale
aggiunta di abitanti che uscivano dallo stato di “cautivos, nel 1964, la nuova comunità si spostò a
vivere sul territorio di sua proprietà; alcuni informatori assumono questa come data di fondazione,
collegandola anche al momento simbolico in cui, dal nome dell'hacienda, la comunità venne a
chiamarsi “Palmarito”. Da quel momento, altri gruppi provenienti da zone “cautivas” hanno
continuato ad unirsi alla popolazione, che oscillava, al momento della pubblicazione del libro, tra i
400 e 500 abitanti, residenti in circa 80 “viviendas” (residenze delle famiglie estese); parte del
territorio, afferma l'autrice, è a disposizione di altri gruppi che decidono di abbandonare
“haciendas” di altre zone o migrano per altri motivi. La popolazione vive di agricoltura, secondo
una distribuzione basata sull'uso, e non sulla proprietà privata, e regolata nelle assemblee della
comunità: in accordo con le migrazioni stagionali, i campi, sui quali generalmente si lavora in
gruppo, vengono distribuiti alle singole famiglie in base alla consistenza e alle necessità delle
famiglie. Nel periodo più intenso dei lavori nei campi, in particolare nel momento della raccolta del
mais, sono fissate tre settimane di vacanze scolastiche per permettere alla maggior parte degli
allievi di poter dare il loro contributo. Il problema al primo posto per la comunità riguarda l'accesso
all'acqua, in quanto questa è lontana dai corsi d'acqua e non possiede sorgenti; l'unica sua risorsa
erano due “iupa” (pozze d'acqua ferma), che si riempivano nella stagione delle piogge (tuttavia
Silvia Lelli ci mette al corrente del fatto che, nell'anno in cui scrive il libro, una di queste era già
seccata a causa del fango e che, all'altra, gli abitanti attingevano nonostante stesse anch'essa
riempiendosi di fango, fosse invasa da piante acquatiche e portasse spesso gravi problemi intestinali
causati dalla contaminazione dell'acqua da parte degli animali). Non molto tempo fa è stato scavato
un pozzo dal quale si estrae acqua potabile, che si collega però direttamente al Municipio di
Gutierrez, alla cui giurisdizione appartiene la comunità; l'acqua del pozzo non viene distribuita a
Palmarito poiché il servizio, insieme al diesel e alla manutenzione, è a pagamento e gli abitanti della
comunità non hanno disponibilità economica né accettano di dover pagare un bene comune come
l'acqua, estratto dalla loro terra. La comunità è costituita da due nuclei, Palmarito Vieja
(corrispondente al primo insediamento), nel quale si trova la scuola elementare, e il più recente
Palmarito Nueva (costituito in seguito all'arrivo di nuove famiglie e allo spostamento di vecchie,
principalmente causato da fenomeni di erosione che coinvolgono parti del territorio). La struttura
della comunità è difatti doppiamente circolare: dai due centri (nuovo e vecchio) si espandono a
raggiera, in maniera abbastanza irregolare, le abitazioni.
La comunità e le scuole
Il primo nucleo scolastico, fino al terzo grado, è stato costituito a Palmarito Vieja nel 1983, in
lingua spagnola, secondo il modello di educazione omologante e autoritario. Da allora, la
popolazione si batte per ottenere un'educazione sempre migliore; difatti, di anno in anno si
costruiscono locali per rispondere alle nuove necessità. I locali che ospitano i livelli intermedio e
superiore sono stati costruiti, invece, nel centro di Palmarito Nueva. Nel 2000 è stata completata la
cosidetta “scuola di computer”, una costruzione in mattoni abbastanza grande, dove sono installati
una decina di computer, che funziona anche come bibblioteca e sala riunioni. Nel 2002 vengono
completate le quattro aule della superiore (una per ogni grado) e l'anno successivo già escono i
primi diplomati della comunità. Nel 1990 la comunità ha aderito al progetto pilota di educazione
bilingue (PEIB). La scuola elementare comprende tutti e cinque i livelli, senza classi multigrado,
dato che ogni classe è composta da almeno 20 allievi, numero minimo per avere un insegnante
pagato dallo Stato. Anche la scuola materna ha il suo maestro. Lo spazio sociale centrale di
Palmarito Nueva è occupato dal fabbricato del Servizio di Salute (circondato da un recinto di legno)
e dalle scuole materna, media e superiore (costituite da aule isolate le une delle altre e circondate da
un recinto di filo spinato). Il filo spinato serve per delimitare lo spazio ed è un efficace strumento di
potere usato in America per frantumare l'organizzazione comunitaria, poiché permette di iscrivere
nello spazio le relazioni di potere; basato sull'idea che per proteggere l'interno si debba minacciare
l'esterno, l'uso del filo spinato segnala una netta separazione delle relazioni tra insegnanti e
comunitari. Le otto costruzioni all'interno dei due recinti sono così formate: la struttura del Servizio
di Salute è in laterizio; la parte inferiore delle pareti delle quattro aule delle scuole medie e superiori
è in legno, mentre quella superiore è formata da una rete di plastica anti-insetti e tetti vegetali; l'aula
della scuola materna (pre-basico), la costruzione più simile alle abitazioni, è in adobe con il tetto di
lamiera; la “scuola di computer” è in laterizio con pianta ad “elle” (classica planimetria delle scuole
della Riforma); infine il casotto del generatore elettrico è in adobe. Adiacente alla recinzione si
trova uno spazio aperto che assolve due funzioni: quella di spazio sociale centrale, attraversabile
dagli sguardi e dai corpi dei comunitari, e quella di campo da calcio; quest'ultima introduce una
dimensione di socialità che si sovrappone a quella della socialità tradizionale, in cui si può notare
anche un atto propagandistico (le porte sono dipinte di rosa, il colore del partito di governo, il
Movimento Nazionale Rivoluzionario). Subito fuori dal recinto sono situate le abitazioni dei
professori, la maggior parte dei quali non abita stabilmente nella comunità. Il corpo insegnante è
costituito da 15 persone: un maestro per il pre-basico, quattro maestre e un maestro per ognuno dei
cinque anni delle elementari, la “profesora unica” del sesto grado (prima media) e gli insegnanti, fra
cui tre donne, delle medie e delle superiori. Sono molti gli allievi che abbandonano gli studi per
motivi economici, si sposano, coltivano i campi, vanno a lavorare nelle “haciendas” o emigrano;
anche se i direttori e gli allievi con cui la nostra autrice ha conversato affermano che coloro che
prendono questa strada preferirebbero studiare. La scuola occupa una buona parte della vita di
Palmarito. Difatti, la presenza di tutti i livelli di scuola coinvolge anche coloro che non hanno figli
che frequentano la scuola all'interno delle pratiche scolastiche; basti pensare alla formula dell'
“internato aperto”, che già all'epoca della pubblicazione del libro riguardava 45 studenti: la pratica
di ospitare, durante i mesi di scuola (da febbreio a novembre), ragazzi e ragazze che abitano in
comunità nelle quali non è presente il grado che sono tenuti a frequentare. Le famiglie ospitanti,
scelte sulla base di legami di parentela o conoscenze, ricevono una piccola quota a titolo di
rimborso per le spese di solo vitto. Questa pratica rende possibile la frequenza scolastica ad un
numero maggiore di giovani guaranì.
Rapporti tra insegnanti e comunari: stratificazioni socioeconomiche
Nell'analizzare il rapporto tra comunari e insegnanti, Silvia Lelli incontra qualche difficoltà dovuta
al fatto che i professori e i direttori delle scuole rispondono alle sue domande circa l'argomento solo
da un punto di vista istituzionale, avanzando il silenzio ogniqualvolta l'attenzione venga spostata
sull'aspetto spontaneo e quotidiano della relazione. In quanto alle sue osservazioni, la ricercatrice
registra che le relazioni sponatee tra insegnanti e comunari siano scarse e problematiche. Dal punto
di vista istituzionale, ella riporta, invece, come le stesse relazioni vengano definite “non continue”
dal direttore della scuola, che afferma che, nonostante i genitori partecipino alle riunioni della
“Junta Escolar”, non si sia fino ad allora concretizzata l'idea espressa nella “Ley de Patecipaciòn
Popular”, secondo la quale gli abitanti della comunità e gli insegnanti dovrebbero lavorare “gli uni
per gli altri”. L'autrice evidenzia come anche gli ambiti del sapere si presentino in maniera
nettamente separata, indentificati con due diversi termini: la famiglia è il luogo di ciò che
letteralmente si traduce con “ciò che si impara dal mondo” , sapere di un ordine non solo umano,
del quale si parla con cautela; la scuola è invece il luogo del “sapere relativo al mondo”, unicamente
umano e del quale si può parlare pubblicamente. Anche la relazione tra comunità e scuola è
abbastanza conflittuale e presenta posizioni contrapposte; l'atteggiamento che i comunari assumono
nei confronti della scuola è diverso da quello che assumono nei confronti degli insegnanti: se della
prima, infatti, sebbene alcune famiglie preferiscano non mandarci i figli per motivi come la distanza
o la necessità di farli lavorare, si parla generalmente molto bene e, nonostante la sua presenza fisica,
se ne abbia una visione idealizzata e teorica costruita dal CEPOG (“Consejo Educativo del Pueblo
Guaranì”) e da altre associazioni locali, gli ultimi vengono spesso criticati. L'esperienza scolastica
attuale non è vissuta da molte persone, provenienti da situazioni di “peonagzo” o da persone che
hanno conosciuto solo la sua versione autoritaria. Un fattore problematico è senza dubbio l'attività
quotidiana svolta all'interno della comunità da una classe elitaria che non ne fa parte, che spesso
non conosce neppure la lingua, che non condivide la visione culturale indigena e gode di privilegi
economici ai quali i comunari non hanno accesso. La presenza di una scuola completa e articolata è
un elemento di prestigio per la comunità di Palmarito, sia dal punto di vista relativo all'immagine
che essa offre all'esterno, sia da quello socio-economico relativo alle speranze per il futuro dei
ragazzi. Tuttavia, le aspettative economiche della comunità riguardo alla scuola al momento in cui
la nostra autrice scrive non sembrano soddisfatte: i comunari fanno osservare come i vantaggi
economici derivanti dalla pratica dell' “internato aperto” vadano a beneficio solo degli insegnanti e
delle famiglie che possono ospitare un ragazzo esterno; inoltre della comunità con la scuola
beneficiano principalmente gli esterni (essa offre lavoro agli insegnanti, la maggior parte dei quali
risiede all'esterno della comunità e non reinveste all'interno di essa; a molti allievi esterni che
ritornano ai loro luoghi di provenienza o si spostano nelle città; infine anche la maggioranza degli
allievi interni, se vuole applicare le competenze acquisite a scuola, deve spostarsi all'esterno delle
comunità).
Acqua ed economia: interazioni e mito-logiche politiche
Alcuni fattori econimici, quali il problema dell'acqua, hanno creato attriti tra comunari e insegnanti.
Questi ultimi, oltre a possedere un'informazione relativa ai danni della salute provocati dall'acqua
infestata, hanno, diversamente dai comunari, la possibilità di pagare la fornitura di acqua potabile di
un pozzo. Nei periodi in cui ne hanno usufruito, anche i comunari lo hanno fatto, nonostante le
spese fossero sostenute solo dagli insegnanti, i quali, pur comprendendo in parte la condizione dei
comunari, non erano contenti di essere i soli a pagare; essi ritenevano che il problema fosse di
natura organizzativa e che, se la spesa della fornitura fosse divisa tra tutti i membri della comunità,
essa sarebbe stata sostenibile. Silvia Lelli ha indagato la vera natura del problema dalla prospettiva
dei comunari, grazie ad un ex-insegnante che ha intervistato il figlio dello “mburuwicha”. Il giovane
ha sostenuto che nella riserva ritenuta malsana, lo “iupa”, vive lo “iiya” (“spirito dell'acqua”) e che,
finché questi vi abiterà, la riserva non si prosciugherà e la gente potrà continuare a usare e bere
quell'acqua; solo se la riserva si seccasse, si potrebbe discutere di usare l'acqua del pozzo, a
pagamento o meno, ma prima non se ne vede la necessità. L'ex-insegnante, per il quale il problema
può definirsi “un misto di mito e politica” (a differenza dell'autrice, che lo definisce “un diritto
indigeno”), sostiene che sarebbe bene che la riserva si prosciugasse, così i comunari sarebbero
costretti ad organizzarsi. Delle riunioni dove si discute questo argomento sono organizzate da un
gruppo di donne guidato dalla moglie dello sciamano. Chiedendo al giovane informazioni
aggiuntive sullo spirito dell'acqua, la ricercatrice ha potuto apprendere da questo il senso del
discorso mitologico, per cui “ad ogni forma di vita corrispondono certe forme di morte”: egli spiega
che i bambini che si ammalano sono vittime che lo “iiya” esige da sempre in cambio della vita che
dà; osserva che l'acqua è sempre stata usata da uomini e animali insieme e che anche quando i
comunari pescavano nel lago e l'acqua era più pulita qualche bambino vi annegava preso dallo
“iiya”. La logica culturale presentata dal giovane, in cui si include ad esempio l'altissima resistenza
agli antibiotici sviluppata nelle comunità guaranì, spiega alcune motivazioni di ciò che spesso viene
superficialmente definito con l'espressione “resistenza allo sviluppo”. Silvia Lelli spiega come
alcuni limiti relativi all'insufficiente quantità di significati sociali condivisi fra lei e la comunità
abbiano fermato la possibilità di approfondire la visione dei comunari. L'ex-insegnante, che faceva
da mediatore linguistico, ha difatti deciso di non tradurre una domanda posta dalla ricercatrice al
giovane, esattamente “se oltre ai bambini anche gli adulti potessero essere “presi” dallo spirito
dell'acqua”, ritendendola sconveniente e spiegando alla studiosa, in un secondo momento, ridendo,
che non voleva che l'”iiya” si prendesse anche lui che è adulto. Con questo gesto l'ex-insegnante ha
mostrato come il contenuto mitologico alla base della visione dei comunari, sebbene metta in luce
due interpretazioni differenti creando così contrasti di posizioni e non rendendo realizzabile
l'applicazione del progetto di privatizzazione dell'acqua, sia un elemento pragmatico di
negoziazione dell'interazione tra comunari e insegnanti che permette il mantenimento della
relazione sociale. L'autrice mette in evidenza proprio il fatto che lei e il comunario non
costituiscono una comunità di parlanti, mentre il comunario e l'insegnante condividono una visione
comune, seppur con qualche sfumatura economico-culturale diversa.
Secondo gli antropologi Zollezzi e Lòpez lo sciamanesimo guaranì è un “sistema esplicativo” che
rende la realtà intelliggibile attraverso miti e costruzioni simbolico-culturali del passato e rende
possibile mantenere il controllo socio-politico e del patrimonio culturale. Silvia Lelli aggiunge che,
dato che tale sistema influisce sugli ambiti sociale, politico e identitario attuali, non è sufficiente
definirlo soltanto “esplicativo”, ma è necessario definirlo anche “creativo” e “costruttivo”. Difatti,
antropologhe come Manuela Carneiro e Joanna Overing, che hanno studiato il paradigma da vicino,
hanno definito gli sciamani “costruttori di senso” e “costruttori di mondi”. In particolare,
quest'ultima definizione, data da Overing, si riferisce al complesso sciamanico piaroa, che dichiara
di aver compreso solo dopo averlo interpretato con il paradigma filosofico di Goodman. Per
“costruttori di mondi” Overing intende agenti di una costruzione che avviene attraverso il
linguaggio del canto. Ogni canto è una “versione del mondo” che proietta la sua propria realtà
letterale e morale, mostrando gli effetti di costruzione della conoscenza e della realtà del linguaggio
degli sciamani. Nella filosofia di Goodman si parla di “versioni di mondi”, poiché per il filosofo i
“mondi” e le loro “versioni” (interpretazioni) coincidono, dato che ogni mondo è conosciuto e
costruito necessariamente in base ad ogni interpretazione (versione) di esso. Questo ragionamento
spiega perché tra linguaggio e contesti/mondi esista un rapporto costruttivo e perché esistano molti
mondi: le diverse versioni di mondi costruiscono, attraverso procedimenti linguistico-costruttivi
simili, mondi diversi che possono legittimamente coesistere, come ad esempio i mondi costruiti
nelle versioni del paradigma sciamanico e i mondi costruiti nelle versioni del paragidma
occidentale. Da un lato, Goodman afferma di poter chiamare “verità” soltanto le descrizioni di ciò
che chiamiamo “realtà”, le “versioni di mondi”; dunque un giudizio di verità può riguardare
soltanto i sistemi di descrizione e non ciò che è descritto, poiché di questo non ne abbiamo
interpretazioni dirette ma sempre mediate da interpretazioni nostre o altrui. Dall'altro, però,
considera “reali” anche i mondi che suggeriscono le versioni/interpretazioni umane, sebbene di essi
possiamo conoscere solo versioni. Secondo Goodman ciò che può essere definito “vero” può
appartenere solo all'ambito del linguaggio e può essere definito solo in base a un processo di
“correttezza di adattamento” di una “versione del mondo” ad una particolare “cornice di
riferimento”. In quanto alla verità linguistiche, Goodman mette in crisi alcuni assunti oggettivisti
del sistema di pensiero occidentale, come la credenza in una corrispondenza oggettiva tra fatti e
parole. Credere in una corrispondenza oggettivista, infatti, nasconde i rapporti indessicali e
pragmatici tra fatti (mondi) e parole (versioni di mondi/cornici di riferimento) e fa spesso dirottare
verso improbabili corrispondenze materiali che impediscono di comprendere gli effetti performativi
dei linguaggi degli sciamani, i quali, attraverso di essi, danno forma, influenzano, modificano i
contesti/mondi. Tramite i propri linguaggi della cura, gli sciamani costruiscono pragmaticamente
anche i processi di cura, con effetti pragmatico-simbolici che si verificano nell'ambito fisico. Anche
Baray fa riferimento al processo degli effetti pragmatici delle parole e sostiene che se il popolo
capisse tale procedimento potrebbe sollevarsi dallo stato psicologico di oppressione, con
conseguenze anche in ambito politico. Il rapporto pragmatico-linguistico tra parole e fatti
assomiglia a quello che Goodman ha definito “naturalismo nascosto”. E' diverso perché Goodman
rifiuta di occuparsi di realtà diverse dalle parole, ma è somigliante perché secondo lui ''le versioni
dei mondi'' influenzano davvero l'organizzazione dei ''mondi reali/la vita di tutti i giorni''. Questo
'Naturalismo' ammette innanzitutto l'esistenza materiale dei 'mondi', dei fatti di tutti i giorni,
condizione che permette appunto di darne più visioni, ma ammette anche che tali versioni possano
essere più o meno corrette a seconda della loro pertinenza alla 'cornice' cui fanno riferimento. In
questo caso la cornice di riferimento delle versioni dei mondi è quella socioculturale del paradigma
sciamanico guaranì.
Secondo l'autrice l'approccio goodmaniano 'permette di comprendere le soluzioni dello sciamano
come un buon esempio di ordine e di conoscenza e il funzionamento del lavoro sciamanico di
cultura e di protezione si basa sulla precisione e sul rigore.
Come afferma Canani, nel paradigma sciamanico guaranì, la relazione con la medicina occidentale
è praticabile: esso può includere elementi nuovi. L'inequità dei rapporti tra paradigma sciamanico e
paradigma 'occidentale scolastico' dunque non sono incompatibilità dovute ai paradigmi in sé, ma al
fatto che la versione occidentale dominante è da secoli 'assoggettatrice'