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DECROLY

Medico, psichiatra e pedagogista belga (Renaix 1871-Uccle 1932) è uno dei protagonisti del passaggio da
una pedagogia ancora classica, costruita sula base di riflessioni teoretiche, a una pedagogia scientifica
intrecciata con la psicologia, la medicina e la biologia e messa alla prova della ricerca sperimentale.
Pur avendo un’intelligenza spiccata, da ragazzo aveva un comportamento ribelle e contestatore, e al liceo
fu tentato più volte di abbandonare gli studi. Entrava spesso in conflitto con alcuni docenti perché non
sopportava diversi aspetti del metodo di insegnamento del tempo che lui considerava cattedratico e non
tollerava neanche l’idea di imparare cose che riteneva inutili. Nella sua biografia dice: “mi salvò un
insegnante di scienze che mi capì e riuscì farmi capire quando fosse importante il mio futuro e non
abbandonare la scuola”.
Nel 1898, dopo la laurea in neurofisiologia, presta servizio
presso un ospedale situato in quartiere popolare di Bruxelles
dove si occupa di disturbi infantili del linguaggio. È là che
prende coscienza della condizione di abbandono dei ragazzi che
hanno difficoltà a frequentare la scuola.
Nel 1901, accetta la direzione di una clinica per bambini
“anormali”, che preferisce chiamare “irréguliers”, a patto che
sia realizzata all’interno della sua abitazione per poter
lavorare con i bambini in una condizione di normale vita quotidiana.
Nasce così l'”Institut d’enseignement spécial pour enfants des deux sexes” dove i piccoli ospiti sono educati
insieme ai tre figli del direttore.
Così facendo si accorse che usando una metodologia opportuna si possono migliorare di molto i risultati di
questi bambini. Come accadde del resto a Maria Montessori, capì che le metodologie studiate per bambini
con difficoltà funzionavano, e bene, anche con i bambini senza problemi. Non fa distinzione infatti tra
l'insegnamento dei bambini “anormali” e dei bambini “normali”, dichiara che l'educazione è un fenomeno
unico e che si può differenziare soltanto per quanto riguarda il metodo in rapporto alle esigenze
dell'alunno.
Fondò poi nel 1907, l'École de l'Ermitage (in un certo senso una “scuola nuova”) che divenne ben presto
famosissima in tutta Europa così come il suo motto- che richiama i principi enunciati da Dewey - “école par
la vie, pour la vie” (scuola per la vita, attraverso la vita). Secondo Decroly, il limite maggiore della scuola
tradizionale risiede infatti nel fatto che, pur dichiarando di voler preparare bambini e ragazzi alla vita,
nella realtà le separa, al punto che le attività scolastiche perdono ogni contatto con i bisogni degli alunni
e con l’unitarietà della loro esperienza quotidiana. Nell'École de l'Ermitage adottò la metodologia che lo
rese famosissimo e anche dopo, quando divenne docente universitario, rimase legato alla sua scuola dove
morì nel giardino con un fiore in mano.

FUNZIONE DI GLOBALIZZAZIONE
Nello studio delle attività di apprendimento Decroly, ispirandosi anche alla scuola logica della Gestalt,
afferma che il bambino coglie "globalmente" nella percezione l'oggetto che gli si presenta in situazioni
concrete, in cui, oltre all'attività percettiva, entrano in gioco anche le emozioni, gli interessi, gli "stati
d'animo". La percezione degli elementi semplici avviene solo successivamente attraverso un processo di
analisi. La mente del bambino infatti funziona diversamente da quella dell’adulto.
Decroly si sofferma in particolare sul periodo che va dai 2-3 ai 7-8 anni (anche la Montessori parla di mente
assorbente ma fino a 3 anni). Si accorse infatti che i bambini con problemi (ma più in generale tutti i
bambini) riconoscevano le cose dalla loro forma globale.
L’intelligenza dell’adulto al contrario è analitica e
sintetica perchè l’adulto analizza tutti i singoli elementi di
una realtà complessa per poi metterli insieme per
comprendere la complessità. Nei bambini questi processi
non esistono, cominciano a formarsi embrionalmente
verso i 7 anni. Il processo che adotta il bambino è definito
da Decroly “sincresi” (termine greco che vuol dire
“fondere insieme”), il bambino infatti ha una percezione globale, se ad esempio incontra una persona, non
ne vede i particolari ma la sua totalità ed è anche per questo è facile ingannare i bambini.

Si accorse poi che i bambini, specialmente quelli con difficoltà, riconoscevano più facilmente la parola
piuttosto che le singole lettere perché la vedevano come un disegno non come sintesi di lettere.
(Dobbiamo precisare che ciò avviene però anche negli adulti che infatti utilizzano la lettura fonetica
soltanto quando non conoscono la parola).

Per insegnare secondo un criterio “globale” si deve partire dal tutto per arrivare alla parte (dalla frase alla
parola, alla lettera) mentre sin dall’antichità il metodo per insegnare la scrittura partiva dalla parte per poi
arrivare al tutto. Non è che non funzioni, perché comunque prima o poi si impara, ma è più lento e
soprattutto non funziona con coloro che hanno problemi perché secondo Decroly, non è naturale. Per
insegnare a leggere e scrivere, bisogna infatti, a suo giudizio, partire dalla frase per poi identificare gli
elementi simili ed associarli alle parole, poi alla sillabe e infine ad i suoni.
Questa teoria è stata molto contestata. Alcuni ritengono infatti che questo approccio sia molto vantaggioso
con lingue nelle quali il grafema non corrisponde al fonema (es. inglese) mentre per le lingue nelle quali c’è
corrispondenza questo approccio possa essere addirittura controproducente. Normalmente al giorno
d’oggi si adotta un sistema misto insegnando durante la scuola dell’infanzia parole e piccole frasi per poi
“scomporle” soltanto alla scuola primaria.
Secondo Decroly l’approccio globale va adottato anche nella matematica approcciando la quale si deve
partire dalla percezione globale ed approssimativa della realtà.
Questo approccio è fondamentale fino a 7-8 anni (seconda elementare) quando si possono iniziare ad
introdurre i processi di analisi e sintesi. Il metodo deve infatti adeguarsi alle nuove abilità acquistate dal
bambino e basarsi su tre momenti: osservazione, associazione, espressione. Qualunque cosa va dapprima
osservata, poi le varie realtà vanno associate, confrontate, ed infine espresse.

I CENTRI D’INTERESSE
Decroly adottò il principio di derivazione evoluzionista dell’interesse come espressione psicologica di un
bisogno naturale e condivise la necessità che la metodologia educativa si fondasse su basi
psicologiche rigorosamente controllate, ma trasferì la ricerca sperimentale del laboratorio alla scuola.
Era convinto che l’energia che pervade l’intero universo dando luogo a forme viventi diverse e in continuo
cambiamento si esprimesse in bisogni originari ed essenziali in funzione della conservazione individuale,
attraverso l’adattamento dell’individuo all’ambiente, e della specie, con l’integrazione dell’individuo nella
comunità: l’educazione è quindi chiamata a strutturare percorsi che partano dalle esigenze dell’individuo
per raccordarli progressivamente con quelli della vita sociale.
Scriveva, infatti,
L’uomo, come ogni altro essere vivente, ha alcuni bisogni fondamentali: nutrirsi, proteggersi dalle
intemperie, difendersi dai nemici. Egli, una volta raggiunta la maturità, dovrà essere capace di badare a se
stesso e di soddisfare le esigenze della sua famiglia, assolvendo al tempo steso a tutti i suoi obblighi sociali.
Ciò riassume perfettamente – estendendoli anche all’uomo – i due attributi fondamentali della vita: la
conservazione della vita e la conservazione della specie.
I bisogni fondamentali possono quindi essere ricondotti a quattro tipologie principali:
 Nutrirsi
 Lottare contro le intemperie
 Difendersi dai nemici
 Lavorare con gli altri, riposarsi e ricrearsi

Nella scuola elementare, soprattutto nel primo biennio, bisogna dunque superare la distinzione innaturale
tra materie che rimanda ad una distinzione analitica che il bambino non ha. E’ necessario quindi suscitare
l’interesse del bambino attraverso tematiche globali (che si ricolleghino ai bisogni fondamentali) attraverso
le quali si possono affrontare temi di “varie materie”. Le materie non vanno viste infatti come saperi
separati, ma come prospettive attraverso le quali vedere lo stesso argomento. Questo concetto ritornerà
nella pedagogia della complessità di Edgar Morin perché la realtà è complessa e può essere capita soltanto
intersecando i saperi e non facendoli viaggiare come linee rette che non si incontrano mai. I centri di
interesse secondo Decroly vanno sempre e comunque individuati in argomenti vicini all’esperienza del
bambino.

 I PROBLEMI DELLA SCUOLA TRADIZIONALE


La scuola tradizionale esclude ed è essa stessa fattore di disadattamento. In “Verso la scuola
rinnovata” (1927), riprendendo il suo metodo dei centri di interesse e il programma delle idee
associate sperimentato nelle sue scuole, Decroly analizza la scuola pubblica belga, mostrando con dati
statistici come solo il 15% dei ragazzi riesca a percorrere regolarmente il corso di studi
obbligatorio, con conseguenze rilevanti per lo sviluppo affettivo e cognitivo dei singoli e per la collettività.
Alla luce di questi dati si deve affermare non solo che la scuola tradizionale non riesce a realizzare i propri
fini istituzionali, ma è essa stessa fattore di
disadattamento ed emarginazione.
Una buona parte di ragazzi, non solamente non trae che
un vantaggio limitato dal passaggio alla scuola dal punto
di vista delle acquisizioni indispensabili, ma subisce
persino, sotto certi aspetti, un danno più o meno
considerevole, rappresentato da cognizioni incomplete, e
soprattutto da abitudini di distrazione, di disinteresse per
l’attività intellettuale, di disgusto per lo studio, spesso
di pigrizia, e ciò che è peggio ancora, di avversione per il lavoro in generale, senza contare i fermenti di
ribellione, di scoraggiamento, che sono il risultato delle offese all’amor proprio e dei disinganno subiti nel
corso della vita scolastica.
Decroly non ignora l’importanza dei fattori di ordine familiare e socio-economico, ma è convinto che il
rinnovamento della scuola possa essere un momento essenziale del cambiamento sociale.

Il metodo tradizionale è fatto per insegnare ad adulti attraverso la parola, non a ragazzi attraverso il
coinvolgimento e l’attività
Secondo Decroly, il limite più vistoso del metodo tradizionale è un insegnamento fondato sulla logica
scientifica delle discipline e del sapere “adulto” che privilegia la parola del maestro a danno del
coinvolgimento attivo degli allievi.
La scuola tradizionale è, infatti, separata dalla vita, ignara dell’evoluzione dei ragazzi e delle loro esigenze
affettive e cognitive ed è del tutto distaccata dall’ambiente.
Questo approccio deve essere rovesciato, puntando ai bisogni dell’alunno, così da attivare un processo di
apprendimento basato sulla motivazione e l’interesse personale e non percepito come estraneo e imposto
dall’esterno.

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