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Introduzione

all’elettromagnetismo
Introduzione
Fin dal 600 a.C. erano noti gli effetti di attrazione ottenuti strofinando l’ambra (𝜂𝜆𝜀𝜘𝜏𝜚𝜊𝜈,
ovvero elektron), dal cui nome greco ebbe origine nel 1600 d.C il termine “elettricità”.

I greci avevano anche scoperto l’esistenza di un magnetismo naturale (V - VI secolo


a.C.), che probabilmente era già noto nell’antica Cina dove, si dice, fosse in uso un
rudimentale prototipo di bussola magnetica.

Le conoscenze di magnetismo progredirono più rapidamente di quelle relative


all’elettricità. Si dovette attendere la seconda metà dell’Ottocento e gli studi di James
Clerk Maxwell per arrivare all’unificazione di fenomeni apparentemente diversi tra loro
in un unico fondamentale capitolo della Fisica.

La descrizione dell’elettromagnetismo presentata nel corso è quella classica. Non


saranno quindi trattate le sue estensioni relativistica (realizzata da A. Einstein) e
quantistica (realizzata da P.A.M. Dirac).
Breve storia (incompleta) dell’elettromagnetismo
William Gilbert (1540-1603) mostrò che altre sostanze, oltre all’ambra, possiedono la
proprietà di attrazione dopo lo sfregamento;

Otto von Geuricke (1602-1686) costruisce la prima macchina per produrre elettricità; un
globo di zolfo, montato su un manico di legno, in veloce rotazione mentre la mano sfiora la
superficie;

Stephen Gray (1666-1736) mostra per primo che esistono due tipi di materiali: i conduttori
e gli isolanti. Solo i secondi possono essere elettrizzati per strofinio;

Charles Francis du Fay (1689-1739) scopre che due bacchette di vetro strofinate si
respingono a vicenda, mentre una bacchetta di vetro strofinata attrae una bacchetta di
ambra strofinata;

nel 1820 Oersted stabilisce una connessione tra i fenomeni elettrici e quell magnetici,
mostrando che una corrente elettrica genera una forza magnetica;

nel 1831 Faraday scopre il fenomeno dell’induzione elettromagnetica;

nel 1873 Maxwell elabora le equazioni che portano il suo nome: elettricità e magnetismo
sono unificati e tace l’elettromagnetismo.
Carica elettrica e forze elettrostatiche

Se in un giorno secco camminiamo su un tappeto, può capitare di far scoccare una


scintilla toccando, ad esempio, la maniglia di una porta, un’altra persona o un computer.
Scintille si creano quando, ad esempio, ci togliamo un maglione.

Questi esempi rivelano che nei nostri corpi, nei tappeti, nei maglioni,…, è
immagazzinata un’enorme quantità di carica elettrica.

La carica elettrica è una caratteristica fondamentale delle particelle elementari che


costituiscono la materia.

A livello microscopico, l’interazione elettromagnetica tiene insieme elettroni e nuclei per


formare gli atomi, tiene insieme gli atomi per formare le molecole e tiene insieme le
molecole per formare gli oggetti macroscopici.
La carica enorme contenuta in tutti gli oggetti è in genere “nascosta” perché gli oggetti
hanno due quantità uguali di carica che sono:

1. carica positiva NB: i segni delle cariche derivano da una


2. carica negativa convenzione che risale al fisico statunitense
Benjamin Franklin (1706 - 1790)

Quando, dunque, si ha eguale quantità di cariche del tipo (1) e (2) si dice che c’è
bilanciamento di carica 有 l’oggetto è elettricamente neutro (l’oggetto non contiene
una carica netta che interagisce con altri oggetti).

Quando, dunque, un oggetto è carico vuol dire che la carica è sbilanciata e che la
carica netta non è uguale a zero.

Inoltre la carica netta è sempre molto più piccola della carica totale positiva o negativa
contenuta nel corpo.
I corpi carichi esercitano forze l’uno sull’altro; tali forze sono dette FORZE
ELETTROSTATICHE. Questo termine enfatizza il fatto che le cariche sono a riposo
oppure in moto molto lento rispetto al corpo carico.

Due bacchette di vetro caricate strofinandole


con un fazzoletto di seta si respingono vetro
F
+ +
+
++ +
+ + +
+ + +
a +
plastic -F
F vetro
- - -
-- -
- - - Due bacchette di plastica caricate strofinandole con
- -
- - pelle di coniglio si respingono
a -F
plastic

Forze elettrostatiche si manifestano quando, ad esempio, due materiali diversi vengono


strofinati l’uno contro l’altro. Gli effetti non sono sempre della stessa intensità, ma
dipendono dalla scelta dei materiali.
I corpi carichi esercitano forze l’uno sull’altro; tali forze sono dette FORZE
ELETTROSTATICHE. Questo termine enfatizza il fatto che le cariche sono a riposo
oppure in moto molto lento rispetto al corpo carico.

vetro

+ +
+ +
++
-F
F - -
- - -
- -
last i ca
p

Le bacchette di vetro e plastica caricate per strofinio però si attraggono tra loro. Due tipi di
elettrizzazione (chiamate inizialmente vetrosa e resinosa) spiegata oggi dall’esistenza di
due tipi di carica: positiva e negativa. Lo strofinio provoca il trasferimento di carica da un
corpo all’altro.

Cariche dello stesso segno si respingono, cariche di segno opposto si attraggono.


Il fenomeno dell’elettrizzazione per strofinio non è proprio solo del vetro e della
plastica ma è più generale: con maggiore o minore intensità si manifesta per ogni coppia
di materiali diversi tra loro.

Perché il vetro e la plastica hanno carica netta opposta?

Nei solidi, in realtà, le cariche mobili sono quelle degli elettroni (negative); il loro
trasferimento da uno dei due corpi al secondo fa sì che il primo risulti carico
positivamente perché privato di una parte delle sue cariche negative.

Il fatto che sostanze diverse abbiano comportamenti diversi (carica netta positiva o
negativa) è legato a una maggiore o minore affinità verso le cariche negative.

In questo caso, maggiore affinità significa portare via elettroni all’altro corpo e caricarsi
di segno negativo, lasciando positivo il secondo corpo
Un altro modo per caricare un corpo è l’elettrizzazione per contatto: bisogna, ora,
usare due (o più) corpi metallici, il primo è inizialmente caricato e in seguito usato
per trasferire all’altro (o agli altri) parte della carica ricevuta.

Tale trasferimento è ottenuto mettendo a contatto e successivamente separando i


corpi metallici. In questo modo la carica si suddivide tra loro.
Una caratteristica utile è che:
• sei due corpi sono uguali si verifica che, dopo la separazione, ciascun corpo porta
metà della carica iniziale
• se abbiamo tre corpi uguali, la carica è suddivisa in tre parti uguali
• e così via…

L’importanza del metodo di elettrizzazione per contatto sta nel fatto che è utile per
frazionare una carica iniziale in parti uguali.
Conduttori e Isolanti
Le diverse sostanze si possono classificare in base alla facilità che hanno le cariche di
muoversi attraverso di esse:

1) CONDUTTORI: sostanze attraverso cui le cariche si muovono abbastanza liberamente.


Es: i metalli, il corpo umano, la Terra, l’acqua

2) ISOLANTI: sostanze in cui le cariche non possono muoversi liberamente


Es: la plastica, il vetro, la gomma, la bachelite

3) SEMICONDUTTORI: sostanze di comportamento intermedio tra i conduttori e gli


isolanti
Es: silicio e germanio usati nei circuiti integrati

4) SUPERCONDUTTORI: sostanze perfettamente conduttrici che permettono alle cariche


di muoversi al loro interno senza alcun ostacolo.
Modello microscopico della materia
La prima teoria atomista, che ipotizza la materia costituita da elementi indivisibili,
risale a Democrito (V secolo a.C.).

NB: per una corretta descrizione dell’universo atomico occorrerebbe utilizzare le leggi
della Meccanica Quantistica. Quello che noi chiamiamo modello microscopico della
materia è in realtà basato su semplici modelli macroscopici.

Nel 1897 il fisico inglese John Joseph Thomson scoprì l’elettrone, una particella di
massa molto piccola (10-30 kg) che ha carica negativa.

Successivamente si comprese che gli atomi sono composti da un nucleo, composto a


sua volta da protoni (con carica positiva) e neutroni (con carica neutra), e da elettroni.
Un atomo elettricamente neutro contiene lo stesso numero di protoni e di elettroni.

Le dimensioni degli atomi non aumentano sensibilmente passando dagli elementi più
semplici ai più complessi, ed il loro raggio (approssimandoli a sfere) vale all’incirca
r ≈ 10-10 m (1 ångström, Å).

Le dimensioni del nucleo invece si possono calcolare tramite la relazione R = R0A1/3


con R0 = 1.2 x 10-15 m e A numero di massa (numero totale di protoni e neutroni
presenti nel nucleo).
Modello microscopico della materia

Nucleone (protone,
Cristallo Atomo Nucleo
neutrone)

10-10 m 10-14 m 10-15 m


Complessivamente il nucleo ha una carica elettrica positiva il cui valore, indicando
con Z il numero di protoni, è q = Ze

La massa del nucleo, indicato con N il numero di neutroni, assumendo che protoni e
neutroni abbiano masse simili mp ≈ mn e trascurando l’energia di legame nucleare, è
m ≈ (Z + N) mp ≈ A mp

La massa degli elettroni è molto minore della massa dei protoni e neutroni ( mp =
1836,2 me)

Le più importanti proprietà dell’atomo possono essere così sintetizzate:

A. la massa è quasi tutta contenuta nel nucleo

B. le dimensioni del nucleo sono molto minori delle dimensioni di quelle dell’atomo

C. nella materia, la maggior parte dello spazio è vuota


Modello Standard del microcosmo
Esperimento di Millikan
Quando diciamo che la carica dell’elettrone vale e = -1.6022 x 10-19 C, diamo per
scontato che tutti gli elettroni abbiano la stessa carica. Questo risultato fu ottenuto
sperimentalmente negli anni tra il 1907 e il 1911 dal fisico statunitense Robert
Millikan.
Esperimento di Millikan
• minuscole gocce d’olio (diametro di circa 4 µm) spruzzate da un nebulizzatore
cadono per effetto della gravità
• le goccioline sono caricate per strofinio o mediante agenti ionizzanti (raggi X)
• alcune goccioline passano attraverso una fenditura ed entrano in una regione in cui
è presente un campo elettrostatico
• il moto delle gocce viene osservato attraverso un microscopio
Durante la caduta, le goccioline raggiungono rapidamente una velocità di regime
(costante) determinata dall’equilibrio tra la forza peso e la resistenza del mezzo (forza di
attrito viscoso); per corpi sferici e per piccole velocità, tale forza è data dalla Legge di
Stokes:

F = 6πηrv

con η coefficiente di viscosità del mezzo, r raggio della microsfera e v velocità di caduta.

Fa = 6πηrv

4 3
Fp = mg = πr ρg
3

La velocità di caduta delle goccioline si può misurare. Queste permette tra l’altro di
effettuare una misura indiretta del raggio della microsfera.
Fa = 6πηrv

4 3
Fp = mg = πr ρg
3

La velocità di caduta delle goccioline si può misurare. Queste permette tra l’altro di
effettuare una misura indiretta del raggio della microsfera. Infatti all’equilibrio:

Fp = Fa

4 3
6πηrvg = mg = πr ρg
3

mg 9ηvg
vg = r=
6πηr 2gρ
Agendo sull’intensità (e polarità) del campo elettrico, è possibile rallentare le gocce d’olio
fino a farle rallentare o a farle risalire.

ΔV
Fe = q
d

4 3
Fp = mg = πr ρg
3

Fa = 6πηrv

Sperimentalmente si osserva, per dati valori di ∆V, che le gocce si muovono verso l’alto di
moto rettilineo uniforme. Questo significa che Fe = Fp + Fa, ovvero:

ΔV
q − mg = 6πηrve
d
d d
q= (6πηrve + mg) = 6πηr(ve + vg)
ΔV ΔV
Misurando le velocità ve e vg è possibile risalire al valore della carica acquisita dalla
microsfera.

Dopo molte misurazioni Millikan osservò che i valori della carica q (positiva o negativa)
erano sempre multipli interi di un valore fondamentale, che poteva essere solo la
cariche dell’elettrone. Il valore trovato da Millikan nel 1911 per la carica dell’elettrone
(1.64 x 10-19 C) è davvero molto simile a quello oggi noto (1.60217733 x 10-19 C).
Induzione elettrostatica
La proprietà dei conduttori è dovuta ad alcuni elettroni, detti elettroni di
conduzione, che sono particolarmente mobili.

Nei metalli, per questo, si osserva un fenomeno di induzione elettrostatica che


permette di caricare i corpi con un procedimento diverso dallo strofinio e dal
contatto.

Si consideri una sfera metallica conduttrice sostenuta da un supporto di materiale


isolante. Questo perché, come abbiamo visto, la Terra è un enorme conduttore e
dunque dobbiamo prevenire un suo collegamento con il sistema sotto studio.

Supponiamo che la sfera sia inizialmente


scarica ossia neutra. E consideriamo una
bacchetta anch’essa inizialmente neutra.
In questo caso non succede nulla
avvicinando la bacchetta alla sfera.
Entrambe restano neutre.
Supponiamo, ora, di caricare la bacchetta per strofinamento e di avvicinarla alla sfera
neutra. Le cariche sul conduttore sferico si distribuiscono in modo diverso in base al
segno della carica portata dalla bacchetta. Si possono distinguere due casi:

1) Il segno della carica sulla bacchetta è positivo: si


ha una concentrazione di cariche negative nella
parte del conduttore sferico più vicino alla
bacchetta e una concentrazione di cariche positive - +
- +
nella parte più lontana. - +
- +
+ + - +
+ +

Non c’è stata creazione di carica nel conduttore sferico, ma solo una separazione o
redistribuzione, la carica metta sulla sfera è ancora zero
+ - 2) Il segno della carica sulla bacchetta è negativo: si
+
+ -- ha una situazione opposta al caso (1), ossia si ha
+
- + -- una concentrazione di cariche positive nella parte del
- - conduttore sferico più vicino alla bacchetta.
-

A questo punto, partendo dalla situazione (1) supponiamo di collegare a Terra


la parte del conduttore sferico più lontana dalla bacchetta o tocchiamola
semplicemente con una mano.

-
Le cariche positive localizzate in -
-
quella regione sono neutralizzate -
+ + -
+ +
Se scolleghiamo il conduttore sferico dalla Terra (o togliamo la mano) e
successivamente allontaniamo la bacchetta carica si verifica che la sfera
resta carica.

In generale il segno della carica che resta dipende


da quale carica è stata neutralizzata mediante il
collegamento a Terra.

Nel nostro caso sono state neutralizzate le cariche positive e


-
dunque la carica che resta è negativa. --
-- -
- - -
-

Con questo meccanismo di induzione è anche possibile caricare due


conduttori (per esempio sferici), isolati da Terra, avvicinando ad essi una
bacchetta carica mentre sono a contatto.
- +
- +
- +
- + Le cariche separate mediante induzione sui
+ + - + due conduttori sferici restano localizzate
+ + quando le due sfere e la bacchetta sono
allontanati.

- +
- +
- +
- +
+ + - +
+ +

- +
- +
- +
- + E’ importante sottolineare che, nei
- + conduttori, è molto grande il numero di
cariche che subiscono spostamenti, i quali
avvengono attraverso l’intero volume del
conduttore stesso.
Al contrario, negli isolanti, gli spostamenti dovuti alla polarizzazione sono microscopici,
equivalenti, sui scala macroscopica, allo spostamento di un numero molto più limitato di
cariche. Se si ripete la sequenza di operazioni illustrate nella precedente slide
utilizzando però due sfere isolanti, alla fine le due sfere risulterebbero ancora neutre.
Definizione operativa di carica elettrica
Così come la massa gravitazionale costituisce la sorgente delle forze gravitazionali,
l’origine delle forze elettriche è la carica elettrica.

Questa è una grandezza fisica per la quale deve essere definita una unità di misura
e deve essere data una definizione operativa per misure dirette. Necessità di
introdurre una nuova grandezza fondamentale da aggiungere a quelle già in uso.

Nel 1901 Giovanni Giorgi propose, presso l’Associazione Elettrotecnica Italiana


(AEI), di passare da un sistema a tre dimensioni (lunghezza, massa, tempo) a uno a
quattro dimensioni, introducendo una quarta unità di natura elettrica e sostituendo al
centimetro e al grammo rispettivamente il metro e il kilogrammo.

Nel 1939 il CCE (Comité Consultatif d’Electricité) decise, sempre su suggerimento di


Giorgi, di considerare come fondamentale l’intensità di corrente elettrica, la cui unità
di misura prende il nome di ampere (A), definito come l’intensità di corrente elettrica
costante che, se mantenuta in due conduttori lineari paralleli, di lunghezza infinita e
sezione trasversale trascurabile, posti a 1 metro di distanza l’uno dall’altro nel vuoto,
produce tra questi una forza pari a 2 x 10-7 N per ogni metro di lunghezza. La scelta
dell’intensità di corrente era motivata dal fatto che la misura di tale grandezza è
molto più precisa di quella della carica.
Definizione operativa di carica elettrica
Questo sistema di unità di misura (denominato sistema Giorgi) è stato il precursore
del Sistema Internazionale di unità di misura (SI).

Dal 2018 si definisce 1 A come la corrente elettrica che corrisponde al passaggio di


1/(1.602176634 x 10-19) cariche elementari per secondo.

unità fondamentali SI
Definizione operativa di carica elettrica
Dall’intensità di corrente elettrica si può derivare la carica elettrica e la sua unità di
misura, il coulomb (C); 1 C = 1 A s.

E’ importante osservare che 1 C rappresenta una carica enorme. Nella pratica, si ha


sempre a che fare con cariche il cui valore viene espresso in sottomultipli del
coulomb; quella che si libera su una bacchetta strofinata è di alcuni nC (10-9 C).
Definizione operativa di carica elettrica
Per procedere alla definizione operativa della grandezza fisica carica elettrica conviene
introdurre un semplice strumento, l’elettroscopio a foglie.

Questo strumento è costituito da:

• un contenitore trasparente che isola l’interno da eventuali movimenti dell’aria


circostante;
• un’asta metallica verticale, contenuta all’interno del contenitore
che ha nell’estremità superiore una sferetta conduttrice (esterna
al contenitore) e in quella inferiore (interna al contenitore)
due foglie conduttrici molto sottili e generalmente
fatte in oro o in alluminio, libere di ruotare intorno
ad un perno orizzontale. Quando l’asta metallica è
elettricamente scarica, le foglioline si dispongono
verticalmente per effetto della forza di gravità.

Inoltre tutta la struttura conduttrice (asta metallica,


foglie e sferetta) è isolata dal contenitore tramite
un tappo di materiale isolante.
Definizione operativa di carica elettrica
Se si tocca la sferetta metallica con un oggetto elettrizzato positivamente, parte della
carica passa all’ asta (elettrizzazione per contatto) e si distribuisce in tutto il
dispositivo fino alle foglie. Le foglie, dunque, risultano cariche dello stesso segno
(positivo) e per questo si respingono.

In questo modo la loro divaricazione attesta che l’oggetto in esame è effettivamente


elettricamente carico.

Un oggetto è carico se, messo a contatto con l’elettroscopio, fa divaricare le foglie.

++
+ + +
+ ++
+ + +
+ ++
+

++ + +
+ +
++
++

++
Definizione operativa di carica elettrica
Per procedere alla definizione operativa di carica si ammette che se due corpi uguali C1 e
C2 (ad esempio due sfere metalliche uguali) toccando la sfera dell’elettroscopio producono
la stessa deflessione, allora su C1 e C2 si trovava la stessa carica elettrica (in valore
assoluto).

++ ++
+ + + +
+ +
+ +

+ +
+ +
++ ++
+ + + +
CA1 ++ CB2 ++
++ + +

++ + +
+ +

+ +
++

++
++

++
++

++
0 0
Con l’elettroscopio si può verificare che qualora una sfera metallica C1 carica venga
messa a contatto con una seconda sfera C2 uguale alla prima, ma inizialmente scarica,
allora la carica presente su C1 si suddivide in parti uguali tra le due sfere. Per
successive suddivisioni si possono così produrre cariche che siano una frazione
prestabilita di una carica data.

Una prima proprietà che l’elettroscopio consente di verificare, pur con precisione
modesta, ma cui nemmeno con gli strumenti più raffinati si è mai rilevata eccezione, è
che, in un sistema isolato, la somma algebrica delle cariche elettriche si mantiene
costante nel tempo (legge di conservazione della carica elettrica).

Nei vari processi fisici si producono spostamenti di cariche da un corpo all’altro, ma


non si realizza mai la creazione di cariche elettriche la cui somma algebrica sia diversa
da zero.
Legge di Coulomb
La legge che descrive la forza con cui due cariche puntiformi
interagiscono tra loro fu studiata da Charles Augustin Coulomb alla
fine del XVIII secolo (1784) con un dispositivo simile a quello usato da
Cavendish per la misura della costante gravitazionale G: il pendolo di
torsione.

L’asticella è collegata a una estremità ad una sfera conduttrice B di


piccole dimensioni e all’altra estremità a un contrappeso P che serve a
mantenerla orizzontale.

Una seconda sfera conduttrice A, sostenuta da un supporto isolante è


posta di fronte alla sfera B (con il segmento AB ortogonale a AP per
semplificare i conti).

Quando A e B sono cariche, con cariche dello stesso segno, si esercita


una forza elettrostatica repulsiva F che causa lo spostamento della
sfera mobile che, essendo vincolata, si allontana ruotando di un certo
angolo. La forza F quindi genera un momento della forza M (calcolato
rispetto al punto medio O tra B e P) che pone in rotazione il manubrio.

La torsione del filo provoca un momento elastico Me capace di opporsi


alla deformazione.
Legge di Coulomb

Se ruotiamo la testa di sospensione del filo in senso contrario, fino a riportare


l’equipaggio mobile nella posizione di equilibrio iniziale, ci mettiamo in una
situazione in cui il momento della forza elettrostatica è uguale al momento elastico
sviluppato dal filo.

Il momento delle forze elastiche è dato da:

Melas = Ctor ⋅ θ

dove Ctor è la costante di torsione del filo e 𝜗 rappresenta l’angolo di cui si è dovuto
torcere il filo per riportare la sfera nella posizione iniziale
Legge di Coulomb
Il momento della forza di Coulomb invece è dato da

Mele = F ⋅ b

dove b è il braccio della forza (semidistanza BP).

Pertanto all’equilibrio si ha:

( b )
Ctor
F= ⋅θ

Poiché Ctor/b è una costante, la forza risulta direttamente proporzionale all’angolo 𝜗.


Legge di Coulomb
Operando sia sul valore delle due cariche che sulla distanza tra di esse, Coulomb poté
verificare che l’intensità della forza esercitata tra le due sfere è proporzionale al prodotto
delle due cariche e inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra i centri delle
sfere.

| q1 | ⋅ | q2 |
F = k0 Legge di Coulomb
r2

1 | q1 | ⋅ | q2 |
F=
4πϵ0 r2

dove:
• k0 è detta costante elettrostatica e vale 8.988·109 N·m2/C2
• 𝜀0 è detta costante dielettrica (o permettività) del vuoto e vale 8.854·10-12 C2/(N·m2)
La forza espressa dalla legge di Coulomb si esercita lungo la congiungente le due cariche.
Possiamo quindi scrivere la forza F12 che la carica q1 esercita sulla carica q2 nel vuoto
come:

q1q2 (r2 − r1 ) ̂
q1q2 r12
F 12 = =
4πϵ0 | r2 − r1 |3 4πϵ0 r12
2

q1
r12

r1 F12
q2
r2
O

L’interazione elettrostatica soddisfa il principio di azione e reazione:

F 12 = − F 21
Forza elettrica e forza gravitazionale
L’espressione della legge di Coulomb ha la stessa forma di quella di Newton per la forza
di gravitazione universale tra due corpi di massa m1 e m2 e separati da una distanza r.

m1 ⋅ m2
F=G
r2

Entrambe le leggi dipendono dall’inverso del quadrato della distanza ed entrambe


coinvolgono una proprietà fondamentale delle particelle/corpi, la massa in un caso e la
carica nell’altro.

Una differenza tra le due leggi è che le forze gravitazionali sono sempre ATTRATTIVE
mentre le forze elettrostatiche possono essere sia ATTRATTIVE sia REPULSIVE, in base
al fatto che le due cariche abbiano segno opposto o uguale.

Questa differenza segue dal fatto che se da un lato si ha un solo tipo di massa dall’altro
abbiamo due tipi di carica (per questo nella legge di Coulomb c’è il valore assoluto).
Forza elettrica e forza gravitazionale

Un’altra analogia con la forza gravitazionale è che entrambe obbediscono al


principio di sovrapposizione.

Se abbiamo n particelle cariche:

• esse interagiscono indipendentemente a coppie


• la forza su una qualsiasi particella, ad esempio la 1, è data dalla somma
vettoriale

F 1(tot) = F 12 + F 13 + F 14 + . . . + F 1n

dove F1i è la forza sulla particella 1 dovuta dalla particella i-esima.

Proviamo ora a confrontare quantitativamente le due forze.


Forza elettrica e forza gravitazionale
Partiamo dalle costanti di proporzionalità:

• k0 = 8.988·109 N·m2/C2
• G = 6.67·10-11 N·m2/kg2

Prendiamo poi in considerazione l’atomo di idrogeno composto da un protone e un


elettrone. Le quantità in gioco sono:

• massa del protone mp = 1.7·10-27 kg


• masse dell’elettrone me = 9.1·10-31 kg
• |q1| = |q2| = e = 1.6·10-19 C

Otteniamo quindi:

• FG ≃ 3.61·10-47 N Il rapporto tra le due forze è FC /FG ≈ 2.3∙1039


• FC ≃ 8.19·10-8 N
La forza elettrica è 39 ordini di grandezza più
intensa della forza gravitazionale.
Il campo elettrostatico nel vuoto
Come abbiamo visto, in modo analogo alle forze gravitazionali, le interazioni elettriche si
manifestano sotto forma di azioni a distanza. Anche in questo caso, per la comprensione
e la formalizzazione delle leggi dell’elettromagnetismo risulta di estrema importanza il
concetto di campo.

Secondo la teoria dei campi, ogni effetto fisico si propaga nello spazio con velocità finita
e lo spazio è un luogo perturbato che può essere descritto in funzione di alcune
grandezze.

Un campo indica l’insieme dei valori che una grandezza assume in ogni punto di una
regione dello spazio.

Quindi in una certa regione dello spazio esiste un campo se ad ogni punto dello spazio si
può associare il valore di una determinata grandezza fisica.

Per descrivere un campo di forze si usano il vettore intensità di campo e le linee di


forza.
Il campo elettrostatico nel vuoto
Consideriamo una carica puntiforme Q disposta in una certa posizione (fissa in un
determinato sistema di riferimento inerziale) nello spazio, e che l’azione di altre eventuali
forze elettriche possa essere trascurata. Possiamo pensare che la presenza della carica
Q alteri le proprietà dello spazio, rispetto al caso in cui essa sia assente. Essa è cioè la
sorgente di un campo.

Infatti, se consideriamo ora una seconda carica puntiforme q (considerata positiva), detta
carica di prova (o esploratrice), ferma in un certo punto dello spazio, essa subisce per
effetto della carica Q una forza F.

Il rapporto F/q è indipendente, in ogni posizione r(x,y,z), dal valore di q. Definiamo quindi
il vettore campo elettrico E:

F
E( r ) = E(x, y, z) =
q
Nel nostro caso specifico:

Q r̂
E( r ) = campo coulombiano
4πϵ0 r 2

Nel SI il campo elettrostatico ha le dimensioni di una forza diviso una carica, e la sua
unità di misura è il newton/coulomb (N/C) anche se in realtà esso viene normalmente
espresso in volt/metro (V/m).
Fu Michael Faraday nel XIX secolo ad introdurre il concetto di campo elettrico e a
ipotizzare la porzione di spazio attorno a un corpo carico pieno di linee di forza del
campo.

Si noti che tali linee non esistono realmente ma l’idea delle linee di forza rappresenta
un valido metodo per visualizzare i campi elettrici.

Vediamo che relazione intercorre tra le linee di forza e i vettori del campo; abbiamo che

• in ogni punto la direzione di una linea retta di campo o la direzione della tangente a
una linea di campo indica la direzione di E in quel punto

• le linee di forza sono tracciate in modo da avere il numero di linee, che attraversano
una superficie di area unitaria normale ad esse, proporzionale all’intensità di E. Ciò
significa che:
• dove le linee di forza si addensano E è grande
• dove le linee di forza di diradano E è piccolo
Caso 1)

Consideriamo una piccola sfera carica; distinguiamo due casi: -  -


• sfera carica negativamente -  -
• sfera carica positivamente
1. consideriamo una sfera carica negativamente e una carica F
di prova q0 carica positivamente posta nelle sue vicinanze +q
0

La forza elettrostatica agente sulla carica di prova è


orientata verso la sfera.

Il vettore campo elettrico E nel punto dove è posta la


-  - carica di prova è riportato in figura.
-  -
Ossia i vettori campo elettrico in tutti i punti vicino alla
sfera sono diretti radialmente e orientati verso la
E sfera.

Questo schema dei vettori deriva dalla disposizione


delle linee di forza che sono nella stessa direzione dei
vettori di campo.
Man mano che ci si allontana dalla sfera, le linee di forza si diradano e l’intensità del
campo elettrico diminuisce all’aumentare della distanza dalla sfera stessa.

2. Se, ora, supponiamo che la sfera sia carica positivamente e poniamo la stessa
carica di prova q0, carica positivamente, si ha

+ +
+ + I vettori di campo elettrico in qualsiasi
+ +
punto nelle vicinanze della sfera sono
+ + orientati come raggi uscenti dalla sfera.
q0
+
F Anche le linee di forza sono orientate
E nella stessa direzione e verso.

Regola generale

Le linee di forza elettrica escono dalle cariche positive ed entrano nelle cariche
negative.
Caso 2)

Consideriamo una lamina sottile infinitamente grande su cui una carica positiva è
distribuita uniformemente.
Poniamo la carica di prova q0, carica positivamente, in un punto in prossimità del lato
carico.

La forza elettrostatica agente sulla carica di prova


è perpendicolare al piano in quanto la lamina ha
+ F
+ +
dimensione infinita (no effetti di bordo).
+ +
+

+
q0 In un qualsiasi punto dello spazio in prossimità del
piano il vettore campo elettrico è perpendicolare al
piano stesso.

Il fatto che il piano è carico uniformemente fa sì che


tutti i vettori di campo elettrico hanno uguale
intensità.

E Un tale campo elettrico con modulo e direzione


costante in ogni punto è detto campo elettrico
uniforme.
Caso 3)

Consideriamo due cariche puntiformi uguali, positive, poste in due punti


vicini dello spazio. Poiché hanno lo stesso segno di carica, le due cariche si
respingono.

Le linee di campo elettrico sono


rivolte come in figura.

In questo caso, come si vede, il


vettore campo elettrico in un
punto è tangente alla linea di
campo passante per quel punto
Caso 4)

Consideriamo due cariche puntiformi di uguale intensità ma di segno opposto.

Questa configurazione prende il nome di dipolo elettrico.

In questo caso, poiché le cariche


sono di segno opposto, le due
cariche si attraggono.

Le linee di campo elettrico sono


orientate come mostrato in
figura. Il vettore campo elettrico
in un punto è tangente alla linea
di campo passante per quel punto.
Volendo generalizzare, come in precedenza per la forza coulombiana F, possiamo scrivere:

q rp- r
E
r °P
rP

Q (rp − r )
E=
4πϵ0 | rp − r |3

L’importanza del concetto di campo si apprezza maggiormente quando si studiano le


interazioni elettriche in sistemi più complessi, in cui si abbiano degli insiemi di cariche qi
puntiformi, ciascuna localizzata nel punto Pi(ri).

Sperimentalmente si verifica che la forza subita dalla carica di prova q è pari alla somma
vettoriale delle forze di Coulomb esercitate su q singolarmente da ciascuna carica qi.
Questo risultato viene detto principio di sovrapposizione.
Principio di sovrapposizione
qqi r − ri
∑ i ∑ 4πϵ0 | r − r |3
F= F =
i=1,n i=1,n i

Poiché F = q E, si ottiene:

qi r − ri
∑ 4πϵ0 | r − r |3
E=
i=1,n i

Ovvero, anche per il campo elettrico vale il principio di sovrapposizione


E= Ei
i=1,n
Distribuzione continua di cariche
Se si considera il caso in cui la carica sia descritta mediante una distribuzione
continua, il campo elettrostatico prodotto da una carica infinitesima dq si ricava dalla
relazione del campo E ricavato in precedenza con opportuni cambiamenti.

Per una carica distribuita in un volume possiamo attribuire ad ogni elemento di volume
dV la carica

dq = 𝜌 dV

dove la densità di carica volumica 𝜌 = 𝜌(r) dipende in generale dalla posizione.

Le quantità infinitesime che utilizziamo non vanno interpretato in senso strettamente


matematico, come grandezze tendenti a zero, ma da un punto di vista fisico; esse
devono contenere un numero di cariche elementi sufficientemente grande da impedire
che 𝜌 cambi sensibilmente entro il volume dV, pur molto piccolo su scala
macroscopica.

Δq
ρ( r ) = lim
ΔV→0 ΔV
Allo stesso modo se si ha una distribuzione di carica schematizzabile come
distribuzione superficiale la carica elementare diventa

dq = σ dS

dove σ è la densità di carica superficiale e dS è l’elemento di superficie.

Nel caso di una distribuzione di carica monodimensionale la carica elementare è data


da

dq = λ dl

dove λ è la densità di carica lineare e dl è l’elemento di lunghezza.


Indichiamo con r' il vettore posizione (dal centro)
della carica dq' contenuta nel volume infinitesimo
dV’ r - r’ dV’ e con r il vettore posizione del punto P.
dE
r’ °P Il campo elettrico nel punto P è:

r dq r − r′
dE =
O 4πϵ0 | r − r′|3

A partire da tale relazione, il campo totale prodotto dall’intera carica può essere
calcolato integrando su tutta la distribuzione di carica:

dq r − r′
∫ 4πϵ0 | r − r′|3
E=

Nel valutare questo integrale occorre tenere in conto sia la natura vettoriale
dell’integrando, sia il fatto che, mentre r è costante per un determinato punto P, il vettore
r’ è diverso per ogni elemento di carica dq.
Se ad esempio la carica è distribuita entro un certo volume, scritto dq = 𝜌(r’) dV’,
l’integrale risulta:

1 (r − r′)ρ(r′)dV′
4πϵ0 ∫
E=
| r − r′|3
Esempi di campo elettrico
generato da distribuzioni di carica
1. campo elettrico generato da due cariche puntiformi
Consideriamo due cariche elettriche puntiformi di intensità q uguali ed entrambe positive
poste ad una distanza d l’una dall’altra. Vogliamo ricavare il campo elettrico E in un
punto P posto a una distanza x sull’asse del segmento che congiunge le due cariche.

B
+
EA
d/2 P
𝜗 E
x 𝜗
d/2
EB
+ r
A

Ognuna delle due cariche A e B genera un campo nel punto P che, per il principio di
sovrapposizione, si sommano vettorialmente. Per la simmetria del sistema risulta
evidente che EA = EB, e in particolare:
Ey = EAy — EBy = 0
Ex = EAx + EBx = 2EAx = 2EBx

Il campo E sarà quindi diretto lungo l’asse x.


B
+
EA
d/2 P
𝜗 E
x 𝜗
d/2
EB
+ r
A

x x 2q x
q cosθ cosθ = = E=
E=2 4πϵ0 3

( 4 )
4πϵ0 r 2 r d2
x2 + d2 2
x2 + 4

Oppure:

2q (xP − xA) 2q x
E = Ex = =
4πϵ0 | rP − rA |3 4πϵ0 3

( 4 )
d2 2
x2 +
Per x >> d il campo Ex può essere approssimato come:

2q x 2q x 1 2q
E = Ex = ≈ = ±
4πϵ0 3
4πϵ0 | x |3 4πϵ0 x 2
( 4 )
d2 2
x2 +

ovvero lo stesso prodotto da una carica puntiforme 2q. A grandi distanza la struttura
del sistema di cariche non è più apprezzabile e Ex ha lo stesso segno dell’ascissa del
punto P.
2. campo elettrico generato da un dipolo (1)
Consideriamo due cariche elettriche puntiformi di intensità q ma di segno opposto
situate ad una distanza d l’una dall’altra. Vogliamo ricavare il campo elettrico prodotto
dal dipolo in un punto P a una distanza y dal punto centrale del segmento che congiunge
le due cariche che è detto asse del dipolo.

d
E— P E+
- +

E = E+ − E− per il principio di sovrapposizione

4πϵ0 ( (y − d/2)2 (y + d/2)2 )


1 q 1 q q 1 1
E= − = −
4πϵ0 r+2 4πϵ0 r−2

qyd 1 p y
E= =
2πϵ0 (y 2 − d 2 /4)2 2πϵ0 (y 2 − d 2 /4)2
Nel caso di un punto P posto a grande distanza rispetto alle dimensioni lineari del dipolo,
ovvero y >> d, possiamo usare le relazioni:

1 d 1 d
≈ 1 + ≈ 1 −
(1 − d/2y)2 y (1 + d/2y)2 y

4πϵ0 ( (y − d/2)2 (y + d/2)2 ) 4πϵ0 y 2 ( y ) 2πϵ0 y 3


q 1 1 q 1 d d 1 p
E= − = 1 + − 1 + =
y
Il prodotto p = qd, che racchiude le due proprietà intrinseche del dipolo, ossia la carica q
e le dimensioni d, prende il nome di momento di dipolo elettrico. La sua unità di
misura è C·m.

L’intensità del campo elettrico generato da un dipolo elettrico in un punto P lungo il


proprio asse è dato da:

1 p
E=
2πϵ0 y 3

+
Si noti che il momento di dipolo è una grandezza

p
vettoriale ed è usato per determinare la direzione
dell’asse del dipolo che è quella dell’asse dalla
estremità negativa a quella positiva del dipolo.

-
3. campo elettrico generato da un dipolo (2)
Consideriamo due cariche elettriche puntiformi di intensità q ma di segno opposto
situate ad una distanza d l’una dall’altra. Vogliamo ricavare il campo elettrico prodotto
dal dipolo in un punto P posto a una distanza x sull’asse del segmento che congiunge le
due cariche (ortogonale all’asse del dipolo).

d/2 P
𝜗
x 𝜗
d/2
E— E+
- r E

Per la simmetria del sistema risulta evidente che in questo caso:


Ex = Ex+ — Ex- = 0
Ey = Ey+ + Ey- = 2Ey+ = 2Ey-

Il campo E sarà quindi diretto lungo l’asse y.


+

d/2 P
𝜗
x 𝜗
d/2
E— E+
- r E

q sinθ d/2 d/2


E=2 sinθ = =
4πϵ0 r 2 r d2
x2 + 4

dq 1 p 1
E= =
4πϵ0 3
4πϵ0 3

( 4 ) ( 4 )
d2 2 d2 2
x2 + x2 +
Nel caso di un punto P posto a grande distanza rispetto alle dimensioni lineari del dipolo,
ovvero y >> d, possiamo usare le relazioni:

dq 1 p 1 p 1
E= = ≈
4πϵ0 3
4πϵ0 3
4πϵ0 x 3
( 4 ) (1 + 4x 2 )
d2 2 d2 2
x2 + x3

Quindi, riassumendo, per il dipolo abbiamo trovato:

p 1
E= sull’asse del dipolo
2πϵ0 y3
p 1
E=
4πϵ0 x3

Il dipolo è formato da due cariche uguali e di segno opposto poste a piccola distanza tra loro
cosicché i loro campi a grande distanza si annullano quasi ma non completamente. Questo
permette di comprendere il fatto che il campo elettrico, che dipende dalla distanza del punto
in cui si vuole misurare, per una carica puntiforme decresce al crescere della distanza, come
1/r2, mentre per un dipolo decresce più rapidamente come 1/r3.
4. campo elettrico generato da un filo carico di lunghezza
indefinita
y

E1
P
𝜗 E
x 𝜗
E2
r

dq r ̂
dE = dq = λdy
4πϵ0 r 2
+∞
λ cosθ
∫−∞
E= dy
4πϵ0 r 2
{
{
x
x = r cosθ r=
cosθ
y = x tanθ x
dy = dθ
cos 2θ

+π/2
λ cos 2θ x λ λ
4πϵ0 ∫−π/2
[ ]
+π/2
E= cosθ 2 dθ = sinθ =
x cos 2θ 4πϵ0 x −π/2 2πϵ0 x

Il modulo del campo E dipende solo dalla distanza dal filo (dall'inverso della distanza, non
dall’inverso del suo quadrato). La direzione è perpendicolare al filo.
Il risultato approssima bene il caso di un filo reale, tanto meglio quando più vicino al filo, e
lontano dagli estremi, si trovi il punto P.
Il campo elettrico così espresso tende all’infinito sui punti del filo. Questo è dovuto
all’ipotesi che lo spessore del filo sia nullo, che è chiaramente ideale e non reale.
5. campo elettrico generato da un anello carico di raggio R

y
ds
r
R P dEx
x dEy x

dE

λ xdl
dEx =
4πϵ0 (x 2 + R 2)3/2

λ xdl λ2πR x λR x
∮ 4πϵ0 (x 2 + R 2)3/2
E= = =
4πϵ0 (x 2 + R 2)3/2 2ϵ0 (x 2 + R 2)3/2
5. campo elettrico generato da un disco carico di raggio R

y Densità di carica superficiale 𝜎:

dq = σ2πrdr
dE
P Q
σ=
πR 2
y

dr
r
R

2ϵ0 [ (y + r ) ] 2ϵ0 ( | y |
R

y2 + R2 )
σ2πrdr y σy 1 σy 1 1
∫0 4πϵ0 (y + r )
E= 2 2 3/2
=− 2 2 1/2
= −

1 Q
Se y >> R E=±
4πϵ0 y 2
Flusso
Consideriamo una superficie infinitesima dS e indichiamo con n il versore normale a dS.
Si definisce flusso elementare d𝛷 del campo E:

dΦ = E ⋅ n ̂ dS = E ⋅ d S

Se la superficie è chiusa

∫ ∫
Φ(E) = E ⋅ n ̂ dS = E ⋅ d S

Il flusso è una grandezza scalare che dipende dal campo y


stesso e dalla superficie, chiusa o aperta, rispetto alla quale A
ΔS
è calcolato.

x
z
A
Se la superficie è posta nel campo
vettoriale come in figura, il flusso
è dato da:

Φ = A ⋅ Δ S = A ΔS cosα
Per farsi un’idea intuitiva del flusso
si può ricorrere alle linee di forza
poiché il numero delle linee che
attraversano una superficie è proporzionale al flusso sulla superficie considerata.

L’ambiguità nel verso della normale alla superficie può essere eliminata quando la
superficie è chiusa si considera la normale uscente.

Se la superficie è curva o se il campo varia da punto a punto, il flusso si calcola


dividendo l’intera superficie in piccoli elementi di superficie, ciascuno abbastanza
piccolo da poter essere considerato piano e tale che su di esso la variazione del
campo possa essere trascurata.

Il flusso, dunque, sull’intera superficie è la “somma” dei contributi dovuti a


ciascuno dei piccoli elementi di superficie.
Flusso del campo elettrico
In Fisica, in generale, la metodologia utilizzata per descrivere gran parte dei fenomeni
consiste nel trovare modi semplici per descrivere fenomeni complessi.

La simmetria è uno strumento molto potente e per questo molto utilizzato per
semplificare la descrizione del fenomeno sotto studio.

Per esempio, negli esempi fatti sulla generazione di un campo elettrico da un filo o un
anello carico abbiamo fatto uso della simmetria per poter annullare le componenti
perpendicolari dei vettori dE.

Per certe configurazioni di cariche dotate di simmetria, inoltre, è possibile semplificare


ulteriormente la descrizione del sistema facendo ricorso alla Legge di Gauss,
sviluppata dal matematico e fisico tedesco Carl Friedrich Gauss (1777-1855) Invece
di considerare una data distribuzione di carica come suddivisa in elementi, la Legge di
Gauss considera una superficie chiusa immaginaria che contiene la carica distribuita in
questione. Questa superficie, che prende il nome di superficie gaussiana, può
assumere qualunque forma che si adatti bene alla simmetria della distribuzione di
carica
Per definire il flusso del campo elettrico
consideriamo il caso generico di una superficie
gaussiana asimmetrica immersa in un campo
elettrico disuniforme. La procedura per il calcolo
del flusso di E è la seguente:

Si divide l’intera superficie in quadratini


infinitesimi di area ΔA, sufficientemente piccoli
da poter essere considerati piani.

Ogni elemento di superficie è rappresentato dal


proprio vettore di superficie ΔA il cui modulo è
l’area ΔA. La direzione di ΔA è sempre
normale alla superficie e uscente dalla
superficie stessa (per definizione).

Per “costruzione” i quadratini sono


sufficientemente piccoli di modo che il campo
elettrico possa essere considerato costante in
ogni punto di ogni quadratino.
Si noti che il vettore campo elettrico E e il
vettore di superficie ΔA formano un angolo θ.
Quindi il flusso ΔΦ del campo elettrico per ogni
quadratino è dato dal prodotto scalare

ΔΦ = E·ΔA

ΔΦ = E ΔA cosθ

In figura (b) sono riportati tre quadratini della


superficie gaussiana con i rispettivi vettori E,
ΔA e l’angolo che essi formano.

1. θ > π/2, ΔΦ < 0


2. θ = π/2, ΔΦ = 0
3. θ < π/2, ΔΦ > 0

Ossia, bisogna studiare ogni quadratino della


superficie gaussiana valutando il prodotto
scalare tra il vettore campo elettrico e il vettore
di superficie e “sommare”, infine,
algebricamente i risultati ottenuti per tutti i
quadratini.
Il segno che risulta da ogni prodotto scalare (≠0) indica il segno del flusso attraverso
ogni quadratino.

I quadratini (= 1 nella figura) dove E è entrante nel quadratino e quindi nella superficie
danno un contributo negativo Φ < 0 (flusso entrante)

I quadratini (= 2 nella figura) dove E è parallelo al quadratino e quindi alla superficie


danno un contributo nullo Φ = 0

I quadratini (= 3 nella figura) dove E è uscente dal quadratino e quindi dalla superficie
danno un contributo positivo Φ > 0 (flusso uscente)

Facendo tendere a zero l’area dei quadratini che vuol dire considerare il limite
differenziale dA la “somma” dei quadratini diventa un integrale.

Per questo il flusso del campo elettrico attraverso una superficie gaussiana è uguale a:


Φ= E ⋅ dA

Sottolineiamo che il flusso del campo elettrico è una grandezza scalare. Nel SI l’unità di
misura del flusso del campo elettrico è (N m2 / C)
Consideriamo come primo semplice esempio quello di una superficie gaussiana di
forma cilindrica di raggio R immersa in un campo elettrico E uniforme. L’asse del
cilindro sia parallelo al campo.
Volgiamo ricavare il flusso del campo elettrico attraverso tale superficie.

dA
θ

3 E
θ 1
dA 2 dA

E E

Il flusso del campo elettrico attraverso la superficie gaussiana può essere scritto come
somma di tre contributi dati dall’integrale sulle superfici circolari 1 e 2 e sulla superficie
cilindrica 3.
dA
θ

E
dA
θ 1 3 dA
2
E E

∮ ∫1 ∫2 ∫3
Φ(E) = E ⋅ dA = E ⋅ dA + E ⋅ dA + E ⋅ dA

∫1 ∫1
E ⋅ dA = Ecos(π)dA = − EA = − EπR 2

∫2 ∫2
E ⋅ dA = Ecos(0)dA = + EπR 2

∫3 ∫3
E ⋅ dA = Ecos(π/2)dA = 0

Quindi il flusso del campo elettrico E vale 0


Teorema di Gauss
Consideriamo una carica puntiforme q e una superficie sferica di raggio R centrata nella
posizione occupata dalla carica.

1 q 1 q q
∮ ∮ 4πϵ0 R 2 ∮
̂ = EdS = 2
Φ(E) = E ⋅ ndS dS = 4πR =
4πϵ0 R 2 ϵ0

Come vedremo tra poco questo risultato può essere generalizzato ad una qualsiasi
superficie gaussiana e rappresenta il teorema di Gauss che può essere così
enunciato: il flusso del campo elettrostatico nel vuoto attraverso una superficie chiusa
qualunque S è pari alla somma algebrica delle cariche contenute all'interno di S, divisa
per 𝜀0.

int
QTOT
Φ(E) =
ϵ0
Si può generalizzare questo risultato con alcune semplici considerazioni. Innanzitutto
introduciamo il concetto di angolo solido.

• nel caso bidimensionale, si è definito l’angolo piano come la porzione di piano


compresa tra due semirette aventi l’origine O in comune e può essere calcolato come
il rapporto tra un qualunque arco di circonferenza (di centro O) e il corrispondente
raggio R. Per un angolo infinitesimo d𝜗 = dL/R che, integrato su tutto il piano da un
valore di 2𝜋 per l’angolo giro

• nel caso tridimensionale, si definisce angolo solido come la porzione di spazio


individuata da un cono di semiapertura dΩ, e può essere calcolato come il rapporto tra
la calotta sferica intercettata dal cono su una sfera di raggio R e centrata nel punto O
di origine nel cono stesso e il quadrato del raggio R. Anche in questo caso, per un
angolo infinitesimale:

dΩ = dSsfera /R 2

1 1
R ∫tot
Ωtot = 2 dSsfera = 2 4πR 2 = 4π
R
Consideriamo una carica puntiforme q all’interno di dS E
una superficie chiusa di forma qualsiasi. dSn


q

1 q 1 q q dSn
̂ =
dΦ(E) = E ⋅ ndS r ̂ ⋅ ndS
̂ = cosθdS =
4πϵ0 r 2 4πϵ0 r 2 4πϵ0 r 2

dove dSn rappresenta la proiezione dell’elemento di superficie dS sulla sfera di raggio R e


dSn
centrata sulla posizione occupata dalla carica q. D’altra parte rappresenta l’angolo
r2
solido d𝛺 del cono con vertice in Q delimitato dall’elemento di superficie dS.
q q q
∫S 4πϵ0 ∮
Quindi: dΦ(E) = dΩ Φ(E) = dΦ(E) = dΩ =
4πϵ0 ϵ0

Supponiamo di avere più cariche all’interno della


nostra superficie; per il principio di sovrapposizione:

dS2 E
q1
Φ(E1) = dS2n
ϵ0
∑i qi r

Φ(E) = Φ(Ei) =
i
ϵ0
E

dS1n


Se consideriamo una carica elettrica esterna q
alla superficie gaussiana:
q dS1n q dS2n q
dΦ(E) = E ⋅ n1̂ dS1 + E ⋅ n2̂ dS2 = − + = (dΩ2 − dΩ1) = 0
4πϵ0 r 2 4πϵ0 r 2 4πϵ0
Quindi dalle cariche esterne alla superficie non deriva alcun contributo al flusso del
campo elettrostatico. Quindi possiamo rendere finale la formula trovata nella slide
precedente:

∑i qiint int
QTOT

Φ(E) = Φ(Ei) = =
i
ϵ0 ϵ0

Se, al posto di un insieme di cariche puntiformi, abbiamo una distribuzione continua di


carica, si generalizza in maniera piuttosto ovvia assumendo la seguente forma:

1
∫ ϵ0 ∫τ
Φ(E) = E ⋅ dS = ϱ(x, y, z)dτ

Il teorema di Gauss è diretta conseguenza delle legge di Coulomb, secondo cui ogni
carica puntiforme produce un campo radiale proporzionale a 1/r2, e il campo prodotto
dalle varie cariche si compone in maniera additiva; esso quindi non aggiunge nulla
rispetto alla legge di Coulomb stessa. Tuttavia esso è di grande utilità soprattutto perché
consente di calcolare il campo elettrico in casi in cui la distribuzione spaziale delle
cariche presenti una particolare simmetria.
La legge di Gauss risulta molto intuitiva se si considerano le linee di campo di E.
Consideriamo un dipolo elettrico e 4 superfici chiuse come rappresentate in figura.

S1: il campo elettrico è uscente in


tutti i punti della superficie.
Il flusso, di conseguenza,
attraverso tale superficie è
positivo → uscente.
Anche la carica netta nella
S1
superficie è positiva.
S3 S4
S2: il campo elettrico è entrante
in tutti i punti della superficie. S2
Il flusso, di conseguenza,
attraverso tale superficie è
negativo → entrante.
Anche la carica netta nella
superficie è negativa.
S3: questa superficie non
racchiude carica. Quindi q = 0 e
di conseguenza anche il flusso
deve essere nullo. Questo risultato
è ragionevole perché le linee di
forza passano completamente
attraverso la superficie, entrando
nella parte superiore e uscendo
dalla parte inferiore.

S4: questa superficie racchiude


una carica netta nulla in quanto le S1
due cariche hanno stessa intensità
S3 S4
ma segno opposto.
Anche in questo caso il flusso deve S2
essere nullo in quanto, anche in questo
caso come per S3, ci sono tante
linee di forza entranti quanto quelle
uscenti.

Se mettessimo una carica Q esterna


alla superficie S4 cambierebbero le linee
di forza ma il flusso netto attraverso le 4 superfici no. Le linee di forza della carica Q
passerebbero interamente attraverso le 4 superfici non dando alcun contributo al flusso
totale.
Esempi di applicazione della
legge di Gauss per il calcolo del
campo Elettrostatico
Simmetria cilindrica
Consideriamo un filo sottile carico, ad esempio positivamente,
+ infinitamente lungo e con densità lineare di carica uniforme e
uguale a λ.
S1
Vogliamo ricavare il campo elettrico E a una distanza r dal filo.
S3
Come prima cosa dobbiamo scegliere la superficie gaussiana
L E
che dovrebbe adattarsi alla simmetria del problema che è
cilindrica; scegliamo quindi un cilindro di raggio r e lunghezza
L, coassiale con il filo.

S2 Poiché la superficie gaussiana deve essere una superficie


chiusa devono essere incluse le basi del cilindro.
+
L’intensità del campo elettrico è costante ed E è diretto
radialmente verso l’esterno in ogni punto della parete cilindrica
della superficie gaussiana.
Poiché la circonferenza del cilindro è 2𝜋r e la sua altezza L, l’area della
superficie cilindrica laterale è 2𝜋rL.
Il flusso del campo elettrico attraverso la superficie gaussiana è

Φ = Φ1 + Φ2 + Φ3

Ma su S1 e S2 il flusso è nullo perché l’angolo tra il campo elettrico e il vettore di


superficie è sempre 90° e il coseno è uguale a zero.

Quindi il flusso netto è dato dal flusso attraverso la superficie laterale del cilindro, per cui
si ha:

Φ = E ⋅ S3cosθ = E(2πrL)cosθ = E(2πrL)

La carica racchiusa dalla superficie gaussiana è q = λL, per cui la legge di Gauss
diventa:
int
QTOT λL λ
Φ= = E=
ϵ0 ϵ0 2πϵ0r

Che è proprio l’intensità del campo elettrico generato da una distribuzione lineare di
cariche (filo carico infinitamente lungo).
Simmetria piana
1. Lamina isolante

Consideriamo una lamina isolante, sottile, molto


estesa, e di spessore trascurabile avente densità
superficiale di carica σ. Supponiamo che la lamina sia
carica positivamente su entrambe le facce.
+
Vogliamo ricavare il campo elettrico a una distanza r di
dA fronte alla lamina.

E Una superficie gaussiana semplice e appropriata è un


cilindro avente basi di area A e intersecante il piano
carico come mostrato in figura.

Per la simmetria il campo elettrico E è orientato


perpendicolarmente alla lamina e alle basi del cilindro.

Poiché la carica sulla lamina è positiva E deve essere


uscente dalla lamina e le linee di forza intersecano la
superficie gaussiana da entrambe le parti.
Le linee di forza sono parallele alla superficie laterale
del cilindro e quindi, come abbiamo già più volte visto, il
flusso del campo elettrico su tale superficie è nullo.

I due contributi al flusso del campo elettrico attraverso


la superficie gaussiana cilindrica, in questo caso,
vengono dalle due basi del cilindro.

In entrambi i casi, infatti, il vettore campo elettrico e il


+ vettore di superficie sono paralleli e ciò vuol dire che
l’angolo tra di loro è 0 e di conseguenza il coseno di
E E tale angolo è uguale a 1.
Da ciò segue che il flusso sulle due basi è uguale a
dA dA Φ = E·A.

+ Quindi la Legge di Gauss, ricordando che q = 𝜎A


diventa:
2
σπR
Φ = 2E ⋅ πR 2 =
ϵ0
σ
E=
2ϵ0
2. Due piastre conduttrici

Consideriamo ora due superfici piane di dimensioni


lineari molto maggiori rispetto alla loro distanza su cui
si trovano cariche di segno opposto con la stessa
densità superficiale 𝜎

σ
E=
ϵ0
Simmetria sferica

1. Superficie sferica uniformemente carica

S1 Consideriamo una sfera metallica cava e a pareti sottili


di raggio R carica solo sulla superficie esterna con
densità superficiale di carica σ. Supponiamo la
carica positiva.
S2 Vogliamo ricavare l’intensità del campo elettrico a una
distanza r1 dalla superficie e a distanza r2 al suo
interno (r2 < R).

Prendiamo due superfici gaussiane sferiche, S1 e S2,


esterna ed interna alla sfera rispettivamente, con
raggio r1, r2 e concentriche.
1. superficie gaussiana S1 di raggio r1 > R

Per il teorema di Gauss:


2
σ4πR Q
∫S ∫S
2
E ⋅ dS = E dS = 4πr1 E = =
1 1
ϵ0 ϵ0

Q 1
E=
4πϵ0 r12

che è esattamente l’intensità del campo elettrico prodotto in ogni punto che si trova a
distanza r1 da una carica puntiforme q posta al centro della sfera.

2. superficie gaussiana S2 di raggio r2 < R

In questo caso si vede che all’interno della superficie gaussiana S2 non è racchiusa
alcuna carica e per questo il flusso del campo elettrico è nullo come è nullo il campo
elettrico stesso

E=0
S1
2. Sfera uniformemente carica

S2 Consideriamo una sfera isolante di raggio R con


densità volumetrica di carica ρ
costante. Supponiamo la carica positiva.

Vogliamo ricavare l’intensità del campo elettrico a


distanza r dalla sfera carica all’esterno e al suo interno.
1. superficie gaussiana S1 di raggio r1 > R

Per il teorema di Gauss:


ρ 43 πR 3 Q
∫S ∫S
E ⋅ dS = E dS = 4πr12E = =
1 1
ϵ0 ϵ0

Q 1
E=
4πϵ0 r12

che è esattamente l’intensità del campo elettrico prodotto in ogni punto che si trova a
distanza r1 da una carica puntiforme q posta al centro della sfera.

2. superficie gaussiana S2 di raggio r2 < R

ρ 43 πr23 4 3
Q 3 2πr
∫S
E ⋅ dS = 4πr22E = =
2
ϵ0 ϵ0 4 πR 3
3
ρr2 Q r2
E= =
3ϵ0 4πϵ0 R 3

E∝r
1
E∝ 2
r

0 R r
3. Guscio sferico uniformemente carico
R1 Consideriamo un guscio sferico isolante con densità
volumetrica di carica ρ costante. Supponiamo la carica
positiva.
R2
Vogliamo ricavare l’intensità del campo elettrico a
distanza r dal centro della figura.
1. superficie gaussiana di raggio r > R2

Q 1
E=
4πϵ0 r 2

che è esattamente l’intensità del campo elettrico prodotto in ogni punto che si trova a
distanza r1 da una carica puntiforme q posta al centro della sfera.

2. superficie gaussiana di raggio r < R1

In questo caso si vede che all’interno della superficie gaussiana non è racchiusa
alcuna carica e per questo il flusso del campo elettrico è nullo come è nullo il campo
elettrico stesso

E=0

3. superficie gaussiana di raggio R1 < r < R2

ϵ0 ( 3 ) ϵ0 3
R13
3ϵ0 ( r )
2 ρ 4 3 4 3 ρ 4 3 ρ
4πr E = πr − πR1 = π(r − R13) → E= r− 2
3
Forma locale della Legge di Gauss
La formulazione della Legge di Gauss data finora esprime le proprietà del campo
elettrostatico in forma integrale.
Di essa si può dare una formulazione locale, espressa in forma differenziale, che descrive
e proprietà del campo in ogni punto in cui esso è continuo.

Il passaggio dalla forma integrale a quella locale si basa su una relazione matematica
detta teorema della divergenza.

∮Σ ∫τ
A ⋅ dS = ( ∇ ⋅ A)dτ

con l’operatore divergenza definito come:

∂Ax ∂Ay ∂Az


∇ ⋅ A = divA = + +
∂x ∂y ∂z
1
ϵ0 ∫SC ∮Σ ∫τ
dq = ΦSC(E) = E ⋅ dS = ( ∇ ⋅ E)dτ

Scrivendo dq = 𝜌 d𝜏, si ha:

1 1
ϵ0 ∫SC ϵ0 ∫τ
dq = ρdτ

∫τ ( ϵ0 )
ρ
∇⋅E− dτ = 0

Poiché l’integrale è nullo qualunque sia il volume 𝜏 su cui si integra, deve essere
identicamente nullo l’integrando, ossia:

ρ
∇⋅E= forma locale della legge
ϵ0 di Gauss
Il potenziale elettrostatico
Abbiamo visto che, data la definizione di campo elettrostatico E, la forza che tale campo
esercita su una carica q è data da F = qE. Quindi il lavoro elementare relativo ad uno
spostamento infinitesimo dr è 𝛿ℒ = qE·dr.

Il lavoro complessivo per spostare la carica da un punto iniziale A ad un punto B lungo


una certa linea 𝛾 è dato quindi dall’integrale di linea

B B B

∫A ∫A ∫A
LAB = δL = qE ⋅ dr = q E ⋅ dr

Come è noto dalla Meccanica, se tale lavoro non dipende dalla linea si dice che la forza
è conservativa.

Proviamo a valutare il lavoro LAB dovuto al campo elettrostatico generato da una carica
elettrica Q puntiforme nel vuoto.
4πϵ0 [ r ]A 4πϵ0 ( rA rB )
B B B
Q qQ 1 qQ 1 1
∫A ∫A 4πϵ0r
LAB = qE ⋅ dr = q 2
dr = − = −

Da questo semplice esempio vediamo che la forza esercitata da una singola carica
elettrica nel vuoto è conservativa. Applicando il principio di sovrapposizione possiamo
ricondurre qualunque caso alla somme di n termini conservativi, per cui si deduce che la
forza elettrostatica è conservativa.

Estendiamo ora tale concetto anche ai campi: un campo vettoriale qualsiasi viene detto
B
conservativo se, dati due generici punti A e B, l’integrale di linea ∫ E ⋅ dr risulta
γ A
indipendente dalla linea 𝛾.

Dal carattere conservativo di E si deducono le seguenti proprietà:


1. la circuitazione del campo lungo una qualunque linea chiusa è nulla


E ⋅ dr ≡ 0

2. la quantità E·dr è un differenziale esatto. Di conseguenza possiamo trovare una


funzione scalare che chiameremo V(r) tale che:
1 Q
V(r) = +C
4πϵ0 r
B

∫A
E ⋅ dr = V(A) − V(B)

Ovvero, se A è una posizione di riferimento e P la posizione generica di coordinate x,y,z:

∫A
V(x, y, z) = − E ⋅ dr + V(A)

La funzione V(x,y,z) prende il nome di potenziale elettrostatico generato dalla carica


puntiforme Q. Il potenziale V(r) corrisponde all’energia potenziale già introdotta per i
campi conservativi.

Le dimensioni fisiche del potenziale elettriche sono quelle di una energia diviso una
carica elettrica; l’unità di misura nel sistema SI è detta volt, ed equivale a joule fratto
coulomb:

1 [V] = [J] / [C]

Con l’introduzione del volt, l’unità di misura del campo elettrico viene espressa più
comunemente in [volt] / [metro].
La definizione di potenziale

∫A
E ⋅ dr = V(A) − V(B)

implica che sia:

E ⋅ d l = − dV

cioè in coordinate cartesiane:

[ ∂x ∂z ]
∂V ∂V ∂V
Exdx + Eydy + Ezdz = − dx + dy + dz
∂y
e poiché dl ≡ (dx, dy, dz) arbitrario, allora:

∂V ∂V ∂V
Ex = − Ey = − Ez = −
∂x ∂y ∂z

E = − ∇V = − gradV
Questa relazione determina, a meno di un’arbitrata costante additiva, il potenziale V in
ogni punto dello spazio. Fissando tale costante in modo che il potenziale sia nullo a
distanza infinita dalla carica (V∞ = 0), il potenziale colombiano in un punto a
distanza r dalla sorgente assume la forma

r
Q dr 1 Q
∫+∞ 4πϵ0 r 2
V(r) = − =
4πϵ0 r

Come abbiamo già visto la differenza di potenziale tra due punti A e B non dipende dalla
costante additiva; essa si ottiene integrando E·dr lungo una linea qualsivoglia:

4πϵ0 ( rA rB )
B
Q 1 1
∫A
V(A) − V(B) = E ⋅ dr = −

E’ importante ricordare che la grandezza fisica misurabile è la differenza di


potenziale (e non il potenziale). Ciò giustifica l’opportunità della scelta per la costante
additiva. In molti casi pratici ad esempio quello che si fa è prendere come riferimento (V =
0) il potenziale della Terra.
Nel caso di una carica puntiforme qi posta in ri l’espressione del potenziale diventa

1 qi
Vi(r) =
4πϵ0 | r − ri |

Ricordando il principio di sovrapposizione per il campo elettrostatico

B B B

∫A ∫A ∑ ∑∫ ∑
V(A) − V(B) = E ⋅ dr = Ei ⋅ dr = Ei ⋅ dr = [Vi(A) − Vi(B)]
i i A i

1 qi principio di sovrapposizione
∑ 4πϵ0 | r − ri |
V(r) = per il potenziale
i elettrostatico

1 dq 1 ρ(r′)dV′
4πϵ0 ∫ | r − r′| 4πϵ0 ∫ | r − r′|
V(r) = =
Nel caso in cui la carica sia uniformemente distribuita su un dato volume, si trova
analogamente a quanto già fatto per il campo elettrostatico, che:

1 dq 1 ρ(r′)dV′
4πϵ0 ∫ | r − r′| 4πϵ0 ∫ | r − r′|
V(r) = =

Questa relazione, trovata richiedendo che V∞ = 0, è utilizzabile solo quando tutte le


sorgenti siano localizzate in una regione limitata dello spazio. In altre parole non funziona
se abbiamo una distribuzione di cariche che si estende all’infinito (caso impossibile nella
pratica, ma che rappresenta ciononostante una utile schematizzazione per risolvere
alcuni problemi). In questi casi è utile scegliere un punto di riferimento P diverso da ∞ in
cui non si abbiano cariche e definire V(P) = 0.
Definizione operativa di potenziale
Supponiamo di avere un certo campo elettrico (nello spazio) e una carica q che
sposteremo da un punto A a un punto B con l’aiuto di una forza esterna (che lavora
contro le forze del campo elettrico).
Il lavoro totale eseguito su q, per il teorema delle forze vive, è uguale alla variazione di
energia cinetica tra il punto B e il punto A.

Ltot = LAB = ∆K = 0

in quanto vA = 0 e vB = 0.

Il lavoro totale Ltot eseguito sulla carica non è altro che il lavoro eseguito sul campo
elettrico Lelettrico e il lavoro eseguito dalle forze esterne Lesterne.

Ltot = Lelettrico + Lesterne

Ma Lelettrico = —q∆V e Ltot = 0, perciò Lesterne = q∆V.

Questa è una definizione operativa del potenziale elettrostatico. Possiamo esprimere


la differenza di potenziale tra due punti A e B all’interno di campo elettrostatico come:

[C ]
L esterne J
ΔV = ≡V
q
Definizione operativa di potenziale
Questa lavoro, come del resto accade per le altre varietà di energia potenziale, può
essere trasformato in altre forme di energia.

Definiamo l’energia potenziale elettrica U(P) di una carica puntiforme q (oppure di un


sistema di cariche puntiformi) nel punto P(r) come il lavoro necessario per portare tale
carica da una distanza infinita fino al punto P, assumendo che quando la carica si trova
all’infinito sia ferma e quindi non abbia energia cinetica.

Consideriamo una carica puntiforme posta all’infinito e la portiamo ad una distanza r da


una carica Q. Il potenziale dovuto a Q nel punto P sarà dato dall’espressione del
potenziale coulombiano. Il lavoro richiesto per questo spostamento sarà dunque

L = qV
1 Q
con V( r ) = .
4πϵ0 r

L’energia potenziale del sistema Q + q sarà data da:

1 Qq
U=
4πϵ0 r12
Energia potenziale elettrica
Se solleviamo un sasso da terra, il lavoro che facciamo contro la forza gravitazionale è
immagazzinato sotto forma di energia potenziale nel sistema terra+sasso.

Se, ora, lasciamo cadere il sasso l’energia potenziale che è stata precedentemente
immagazzinata si trasforma continuamente in energia cinetica durante la sua caduta.
Una volta che il sasso arriva a terra, l’energia cinetica è al suo valore massimo che è
uguale al valore dell’energia potenziale massima iniziale; al contatto con il suolo tale
energia cinetica si trasforma in energia termica nel sistema terra+sasso.

Una situazione analoga la si ha anche in elettrostatica.

Consideriamo due cariche q1 e q2 poste ad una distanza r l’una dall’altra. Se


aumentiamo la loro distanza, un agente esterno deve compiere un lavoro che è

• positivo se le cariche hanno segno opposto


• negativo se le cariche hanno lo stesso segno

L’energia rappresentata da questo lavoro si può pensare immagazzinata nel sistema


q1 + q2 come energia potenziale elettrica.
q1 q2
r

Questa energia, come del resto accade per le altre varietà di energia potenziale, può
essere trasformata in altre forme.

Se, ad esempio, le due cariche q1 e q2 sono cariche di segno opposto e le lasciamo


libere di muoversi, queste saranno accelerate l’una verso l’altra trasformando l’energia
potenziale immagazzinata, durante il loro allontanamento, in energia cinetica.

Definiamo l’energia potenziale elettrica di un sistema di cariche puntiformi come il


lavoro necessario per formare tale sistema di cariche spostandole da una distanza
infinita, assumendo che quando le cariche sono all’infinito sono ferme e quindi non
hanno energia cinetica.

Consideriamo sempre le due cariche q1 e q2 con q2 portata all’infinito e a riposo; il


potenziale generato da q1 nel punto occupato inizialmente da q2 è dato dalla ben nota
espressione
q1
V=
4πϵ0r
Se q2, a questo punto, è spostata dall’infinito fino alla sua distanza iniziale r da q1, il
lavoro richiesto per far ciò è dato da:

L = UB - UA = q2 (VB - VA) = q2 V

Combinando queste due espressioni e ricordando che il lavoro è precisamente uguale


all’energia potenziale elettrica U del sistema q1+q2 si ha
q1q2
U=
4πϵ0r12

il pedice di r indica che r12 è proprio la distanza tra q1 e q2.

In sistemi costituiti da più cariche il procedimento consiste nel calcolare l’energia


potenziale per ogni coppia di cariche separatamente e sommare, algebricamente, i
risultati: se abbiamo tre cariche, ad esempio, si pone q1 in posizione, q2 è spostata
dall’infinito al punto vicino a q1 ed infine l’ultima carica q3 è spostata anch’essa
dall’infinito alla posizione finale vicino alle altre due cariche.
Gradiente, divergenza e rotore
Abbiamo visto che la definizione di potenziale elettrostatico

E ⋅ d l = − dV
implica che il campo elettrostatico possa essere ricavato come:

E = − ∇V
dove l’operatore differenziale gradiente è definito come:

∂f ̂ ∂f ̂ ∂f ̂
∇f = i + j+ k
∂x ∂y ∂z

∂ ̂ ∂ ̂ ∂ ̂
Ricordiamo che l’operatore nabla è definito come: ∇≡ i+ j+ k
∂x ∂y ∂z
Consideriamo adesso un altro operatore differenziale chiamato rotore (o rotazione) di
un vettore, definito nel seguente modo:

î ĵ k̂

( ∂z ∂x )
∂Az ∂Ay ∂Ax ∂Az ∂Ay ∂Ax
( ∂y ∂z ) ( ∂x ∂y )
i ̂+ j ̂+ k̂
∂ ∂ ∂
∇×A= ∂x ∂y ∂z
= − − −
Ax Ay Az

Siccome si può facilmente dimostrare che il rotore di un gradiente è sempre nullo,


possiamo ottenere la seguente proprietà per il campo elettrostatico E:

∇ × E ≡ ∇ × ∇V = 0

Un campo con rotore nullo viene chiamato irrotazionale. Tutti i campi vettoriali
conservativi sono irrotazionali, il contrario non è identicamente vero.
Consideriamo infine l'operatore differenziale chiamato divergenza di un vettore, che è
uno scalare definito nel seguente modo:

∂Ax ∂Ay ∂Az


∇⋅A= + +
∂x ∂y ∂z
Il gradiente di una funzione o di un campo scalare è una funzione vettoriale che ha
come componenti le derivate parziali della funzione (o del campo).

Consideriamo una superficie generica in un campo elettrostatico. La derivata


direzionale del potenziale lungo una direzione l qualsiasi è:

dV
= ∇V ⋅ cosα
dl
Se ci spostiamo ortogonalmente al gradiente di V si ha che dV/dl = 0, cioè V = costante.
Ciò significa che il gradiente è sempre ortogonale alle superfici equipotenziali (una
superficie equipotenziale è una superficie, immaginaria o reale, sulla quale il potenziale
di un campo conservativo ha valore costante).

In altre parole, il vettore gradiente definisce la direzione in cui la variazione del campo
scalare è massima.

Queste considerazioni si ricavano intuitivamente tornando al caso del campo


elettrostatico. Infatti, se non fosse vero che E è sempre perpendicolare a una superficie
equipotenziale, esso avrebbe una componente non nulla che giace su tale superficie e
quindi si compirebbe lavoro per muovere la carica sulla superficie (in contrasto con la
definizione stessa di potenziale).
Quindi il campo E è sempre diretto ortogonalmente alle superfici equipotenziali, nel verso
in cui il potenziale elettrostatico diminuisce.

Superfici equipotenziali
di un dipolo elettrico
La divergenza è invece un campo scalare che misura la tendenza di un campo
vettoriale a divergere o a convergere verso un punto dello spazio. Se consideriamo le
linee di flusso di tale campo, la divergenza determina la loro tendenza a confluire verso
una sorgente o a diramarsi da essa. Se la divergenza di un campo è sempre nulla, il
campo si dice solenoidale e significa che non esistono punti dello spazio in cui le linee
di tale campo convergono verso un unico punto (detto sorgente del campo).

Se consideriamo uno spazio euclideo a tre dimensioni e un campo vettoriale A continuo


e differenziabile:

∂Ax ∂Ay ∂Az


∇⋅A= + +
∂x ∂y ∂z
Se consideriamo la divergenza attraverso una superficie chiusa, la divergenza
quantifica il flusso del campo attraverso tale superficie; se la divergenza è positiva
all’interno della superficie sarà presenta una sorgente, se è negativa significa che è
presente un “pozzo”.
Il rotore di un campo vettoriale è infine un operatore vettoriale che ne descrive la
rotazione infinitesima; esso è un vettore allineato con l’asse di rotazione, il cui verso è
coerente con quello della rotazione secondo la regola della mano destra e la sua
lunghezza è il valore della circuitazione del campo (la sua integrazione lungo un
percorso chiuso) per unità di area.

Un campo vettoriale ha un rotore diverso da zero se i vettori che lo compongono hanno


una direzione di rotazione prediletta.

Quindi dire che un campo è irrotazionale significa che la sua circuitazione lungo una
linea chiusa è uguale a zero.

Nel caso del campo vettoriale delle velocità di un corpo rigido, rot v = 0 significa che il
corpo può avere un moto traslatorio ma non rotatorio (𝜔 = 0).

Nel caso del moto di un fluido, rot v = 0 indica assenza di vorticosità.


Calcolo del potenziale in
alcuni casi notevoli
1. differenza di potenziale all’interno di un campo uniforme

Consideriamo la figura a lato. Supponiamo che una carica di prova si


muova seguendo il percorso indicato dal punto iniziale i al punto finale
f separati da una distanza d. La carica di prova si muove in un campo
elettrico uniforme E. Vogliamo trovare la differenza di potenziale.
i
Man mano che la carica esploratrice si muove lungo il percorso, il suo
spostamento differenziale, che è sempre nella direzione del moto, è
orientato come il campo elettrico. Per questo l’angolo tra i due vettori,
q0 campo elettrico e spostamento infinitesimo, è nullo e il coseno è 1.
E Quindi:
dr
f f f

∫i ∫i ∫i
Vf − Vi = − E ⋅ dr = − Edr ⋅ cosα = − Edr = − Ed
f
Risultato generale: il potenziale diminuisce sempre lungo un percorso
di verso concorde con quello delle linee di forza del campo.

Ovvero, all’interno di un campo elettrostatico, una carica tende


“naturalmente” a muoversi verso posizioni caratterizzate da minore
energia potenziale.
2. potenziale del campo prodotto da un dipolo elettrico

r+

r
+

r-
d p
𝜗

Se indichiamo con r+ e r- la distanza di P dalle cariche positiva e negativa, rispettivamente,


otteniamo per l’espressione del potenziale la forma:

4πϵ0 [ r+ ( r− )] 4πϵ0 r−r+


1 q q q r− − r+
V= + − =
Le dimensioni di un dipolo (nelle molecole) sono molto piccole e siamo normalmente
interessati solo ai punti distanti dal dipolo per cui r >> d. In questa approssimazione
possiamo scrivere il potenziale come:

r− − r+ ≈ dcosθ r−r+ ≈ r 2

q dcosθ 1 pcosθ
V≈ =
4πϵ0 r 2 4πϵ0 r 2

Dove 𝜗 è l’angolo tra r e l’asse del dipolo


(o se vogliamo p).

Si può osservare che il potenziale è nullo


quando r è perpendicolare a p, ovvero su
tutti i punti del piano equatoriale.

Analogamente a quanto visto per il


campo elettrico, anche il potenziale del
dipolo va’ a zero più rapidamente del
potenziale colombiano di una singola
carica, per effetto di una compensazione
dei due termini dovuti a cariche di segno
opposto.
3. potenziale di un filo uniformemente carico di lunghezza L

r
L/2 P
𝜗
d
L/2

1 dq 1 λdy
dV = =
4πϵ0 r 4πϵ0 y2 + d2

L/2
λ dy
2πϵ0 ∫0
V=
y2 + d2
[ ( )]
dy
Utilizzando la formula = d ln y + y2 + d2
y2 + d2
otteniamo:

L/2

2πϵ0 [ ( )]
λ λ L/2 + L 2 /4 + d 2
V= ln y + y2 + d2 = ln
2πϵ0 d
0

Si vede facilmente che questa espressione diverge nell’approssimazione di filo di


lunghezza indefinita L→∞. In questo caso è opportuno scegliere come riferimento un
punto P0 in cui V(P0) = 0.

Torniamo al caso di filo di lunghezza finita e supponiamo (non è necessario ma sarà


utile in futuro) che il filo sia racchiuso all’interno di un cilindro sottile concentrico
all’asse del filo, di raggio d0, e assumiamo che sulla superficie del cilindro il potenziale
sia nullo.

Se consideriamo d << L possiamo approssimare l’espressione del potenziale come:


λ L
V= ln
2πϵ0 d
2πϵ0 d 2πϵ0 d0 2πϵ0 ( d )
λ L λ L λ d0
Quindi V(d) − V(d0) = V(d) = ln − ln = ln

In generale:

2πϵ0 ( d1 )
λ d2
V(d1) − V(d2) = ln

Potevamo giungere a questa conclusione anche partendo dall’espressione del campo E

λ
E(d) =
2πϵ0d

2πϵ0 ( d1 )
d2
λdx λ λ d2
∫d [lnx]d1 =
d2
V(d1) − V(d2) = = ln
1
2πϵ0 x 2πϵ0
4. potenziale di un disco uniformemente carico

Consideriamo un disco carico di raggio R e carico positivamente con


densità superficiale uniforme σ.
y
Vogliamo ricavare il potenziale elettrico V dovuto al disco in un punto
P posto sull’asse a distanza y.

P Consideriamo innanzitutto quanto vale l'elemento di superficie più


idoneo per questo calcolo:

y
dq = σ ⋅ dS = σ ⋅ 2πrdr

dR*
R
R*

2ϵ0 [ ] ( )
R R R
dq 1 2πσ rdr σ σ
∫0 4πϵ0 4πϵ0 ∫0
2 2
V= = = y +r = y2 + R2 − | y |
y2 + r2 y2 + r2 0
2ϵ 0
Se consideriamo il caso in cui y >> R, il potenziale assume la forma:

( 2y )
σ R2 σ R2 σR 2 q
V= |y| 1 + 2 − |y| = |y| 1 + 2 − |y| = =
2ϵ0 y 2ϵ0 4ϵ0 y 4πϵ0 y

ovvero come il potenziale dovuto a una carica q puntiforme, ad una distanza y dalla
carica stessa.

Tornando alla formula trovata in precedenza, il potenziale nel centro del disco si ricava
imponendo y = 0 e vale:

σR
V=
2ϵ0
5. piano carico isolante

σ Consideriamo un piano infinitamente esteso e carico positivamente


con densità superficiale uniforme σ.
Vogliamo ricavare la differenza di potenziale.

Facciamo alcune considerazioni: il campo elettrico generato dal


x piano ha la stessa intensità in ogni punto dello spazio, direzione
perpendicolare al piano e versi opposti dalle facce opposte del
piano.

Il campo elettrico in un punto a distanza x da una faccia del piano è


σ
E=±
2ϵ0

poiché il campo è sempre uscente, visto che la carica sulla lamina


è positiva, il segno dipende da quale faccia del piano stiamo
considerando rispetto al verso dell’asse x.
Calcoliamo la differenza di potenziale tra un generico punto P a
distanza x dal piano e un punto P0 appartenente al piano stesso.
x
σ σ
∫0 2ϵ0
V(x) − V(0) = − ± dx = ∓ |x|
2ϵ0

Nota: il potenziale è funzione del modulo della distanza assoluta del punto in esame dal
piano.
Ricordiamo che il potenziale è definito a meno di una costante additiva arbitraria. Quindi
qualunque valore essa assuma la differenza di potenziale tra due punti generici A e B è
uguale a:

σ
V(A) − V(B) = (xB − xA)
2ϵ0
6. doppio piano carico isolante

Consideriamo due piani con densità superficiale uniforme +σ


e -σ rispettivamente.
Vogliamo ricavare la differenza di potenziale.

Facciamo alcune considerazioni: il campo elettrico all’interno


delle armature è uniforme, sempre perpendicolare ai due piani
+σ -σ
e diretto dal piano positivo a quello negativo. Ricordiamo che
l’intensità del campo elettrico tra i piani è
E σ
E=
ϵ0

All’esterno, invece, il campo è nullo.

E’ facile verificare che il piano positivo si trova a un potenziale


maggiore rispetto al piano negativo e che se d è la loro
distanza la differenza di potenziale è:

σd
ΔV = V+ − V− =
ϵ0
Infatti, per uno spostamento infinitesimo all’interno delle armature si ha:

|σ|
E ⋅ dr = dx
ϵ0

Quindi il potenziale per 0 < x < d vale:

|σ|x
V(x) = − +c
ϵ0

con c costante arbitraria.

Per x < 0 e x > d il potenziale risulta essere costante ma con diversi valori nelle due
regioni, uguali ai valori del potenziale in x = 0 (sulla superficie della faccia interna
positiva) e x = d (sulla superficie della faccia interna negativa)

|σ|x
V(x) = − ϵ0
+c 0≤x≤d
V(x) = c ≡ V+ x<0
|σ|d
V(x) = − ϵ0
+ c ≡ V− x > d
E

σ
+σ -σ
ϵ0

x
V

VA

|σ|x
V(x) = − ϵ0
+ VA xA ≤ x ≤ xB VB

V(x) = VA x < xA xA xB x

V(x) = VB x > xB
6. strato sferico carico di raggio R

Ricordiamo che per uno strato sferico carico di raggio R il campo elettrostatico E vale:

Q 1

{E = 0
E= 4πϵ0 r 2
r≥R
r<R

Quindi per r > R si ha:

4πϵ0 [ r ]r
+∞ +∞
Q dr Q 1 Q
∫r
V(r) = V(r) − V(+∞) = = − =
4πϵ0 r 2 4πϵ0r

Q
All’interno dello strato il potenziale è costante e vale: V(r) =
4πϵ0 R
1 Q
V= 4πϵ0 r
r≥R
1 Q
V= 4πϵ0 R
r<R
7. sfera di raggio R uniformemente carica

Ricordiamo che per una sfera di raggio R uniformemente carica il campo elettrostatico E
vale:

Q 1
E= 4πϵ0 r 2
r≥R
Q r
E= 4πϵ0 R 3
r<R

Quindi per r > R si ha (analogo al caso dello strato sferico):

4πϵ0 [ r ]r
+∞ +∞
Q dr Q 1 Q
∫r
V(r) = V(r) − V(+∞) = = − =
4πϵ0 r 2 4πϵ0r

Per il calcolo del potenziale all’interno dello sfera, assumendo il potenziale nullo all’infinito,
risulta utile scomporre il calcolo in due parti:

+∞ R +∞
2

∫r ∫r ∫R
V(r) = E ⋅ dr = E ⋅ dr + E ⋅ dr
1
Q
L’integrale (2) da come risultato
4πϵ0 R
R
R

4πϵ0 R [ 2 ] 4πϵ0 R ( 2 2)
2
Q Q r Q R2 r2
∫r 4πϵ0 R
mentre l’integrale (1) vale
3
rdr = 3
= 3

r

Sommando i due contributi:

4πϵ0 R ( 2 2 ) 4πϵ0 R 4πϵ0 R ( 2 2 R ) 4πϵ0 2R ( R )


Q R2 r2 Q Q 1 1 r2 1 Q r2
V(r) = 3
− + = − 2
+1 = 3− 2
Equazioni di Poisson e Laplace
Riconsideriamo adesso la forma locale della legge di Gauss per il campo elettrostatico e la
relazione che lega tra loro campo elettrostatico e potenziale:

ρ
∇⋅E=
ϵ0 equazioni fondamentali del
campo elettrostatico
E = − ∇V

2 2 2
∂ ∂ ∂
L’operatore differenziale div grad ≡ ∇ ⋅ ∇ = ∇2 ≡ + + prende il nome di
∂x 2 ∂y 2 ∂z 2
operatore laplaciano. Se combiniamo le due espressioni precedenti otteniamo
l’equazione differenziale

∂2V ∂2V ∂2V ρ


+ + = −
∂x 2 ∂y 2 ∂z 2 ϵ0

2 ρ
∇ V=− equazione di Poisson
ϵ0
Equazioni di Poisson e Laplace
Nelle regioni di spazio in cui non sono presenti cariche, tipicamente nel vuoto, l’equazione
di Poisson si riduce all’equazione di Laplace

∇2 V = 0 equazione di Laplace

L’equazione di Poisson caratterizza completamente il potenziale elettrostatico che


abbiamo definito come

1 ρ(r′)dV′
4πϵ0 ∫ | r − r′|
V(r) =

In altri termini, non solo il potenziale V(r) corrispondente alla distribuzione di carica 𝜌(r)
soddisfa l’equazione di Poisson, ma un potenziale V(r) che soddisfi tale equazione con la
condizione di annullarsi all’infinito coincide necessariamente con il potenziale elettrostatico
definito in precedenza (teorema di unicità della soluzione dell’equazione di Poisson).
Problema generale dell’elettrostatica

Esistono situazioni in cui non si conoscono le distribuzioni delle sorgenti del campo, ma
sono fissate le posizioni di corpi le cui superfici si trovano ad assegnati potenziali o, in
alternativa, sono noti i valori del campo nelle immediate vicinanze di tali superfici.

Il problema da risolvere è quello di determinare campo e potenziale in ogni punto del


spazio.

Il problema non è in generale facilmente risolvibile, se si escludono alcuni casi in cui può
venire in soccorso l’esistenza di particolari condizioni di simmetria.

Con il termine problema generale dell’elettrostatica si intende il problema di determinare il


potenziale risolvendo l’equazione di Poisson.

Consideriamo di seguito due semplici esempi.


1 Q
Verificare che il potenziale V = generato da una carica puntiforme Q posta
4πϵ0 r
nell’origine degli assi cartesiani soddisfa, in tutti i punti dello spazio esclusa l’origine,
l’equazione di Laplace.

1 Q 1 Q
V= =
4πϵ0 r 4πϵ0 x2 + y2 + z2

4πϵ0 ∂x ( x2 + y2 + z2 )
∂V Q ∂ 1 Q x
= =−
∂x 4πϵ0 (x 2 + y 2 + z 2)3/2

∂2V Q 2x 2 − y 2 − z 2
=
∂x 2 4πϵ0 (x 2 + y 2 + z 2)5/2
∂2V Q −x 2 + 2y 2 − z 2
=
∂y 2 4πϵ0 (x 2 + y 2 + z 2)5/2
∂2V Q −x 2 − y 2 + 2z 2
= → ∇2 V = 0
∂z 2 4πϵ0 (x 2 + y 2 + z 2)5/2
Supponiamo che la geometria del sistema si costituita da un certo numero di piani
omogeneamente carichi e fra di loro paralleli: se tali piani sono schematizzatili come
infinitamente estesi, il potenziale può dipendere da un’unica variabile, cioè dalla
coordinata ortogonale ai piani.

In questo caso si parla di equazione di Laplace unidimensionale e può essere risolta


∂2V ∂2V
molto facilmente. Infatti, poiché = 2 = 0, l’equazione si riduce a:
∂y 2 ∂y

d2V
=0
dx 2

Quindi:

dV
= costante = a V(x) = ax + b
dx

Le costanti a e b vanno determinate imponendo le condizioni al contorno.


Sviluppo del potenziale in serie di multipoli

r - ri

ri r
𝜗i

Consideriamo un insieme di cariche distribuite in una zona limitata dello spazio, e


posizioniamo l’origine del nostro sistema di rifermento nel centro di massa della
distribuzione di cariche.

Indichiamo con r il vettore posizione del punto P in cui vogliamo calcolare il potenziale e
con ri quello della carica i-esima del nostro insieme. Il valore del potenziale in P sarà, per
il principio di sovrapposizione:
1 qi
∑ 4πϵ0 | r − ri |
V(r) =
i
Sviluppo del potenziale in serie di multipli
Applicando il teorema di Carnot:

1 qi 1 qi
∑ 4πϵ0 | r − ri | ∑ 4πϵ0
V(r) = =
i i r 2 + ri2 − 2rricosθi

che può essere riscritto come:

1 1 qi
∑ 4πϵ0 r
V(r) =
i ri2 ri
1+ − 2 r cosθi
r2

Se consideriamo P molto distante dalle cariche qi ovvero r >> ri possiamo sviluppare in


serie di Taylor la radice quadrata. Ricordando che:

1 x 3 2
≃ 1 − + x + ...
1+x 2 8
Sviluppo del potenziale in serie di multipli
Quindi:

−1/2 2
ri2 ri2 ri2
( ) ( r2 )
ri ri 3 ri
1+ − 2 cosθi ≃1− + cosθi + − 2 cosθi + . . .
r2 r 2r 2 r 8 r

Trascurando le potenze di ordine superiore rispetto a (ri/r)2:

ri2 3cos 2θi − 1


∑ 4πϵ0 r ( )
1 qi ri
V(r) = 1 + cosθi + 2
i
r r 2

Introduciamo la definizione di momento di dipolo di un sistema di cariche come:


p = qi r i
i
Sviluppo del potenziale in serie di multipli
L’espressione del potenziale può finalmente essere scritta come:

1 1
qi r i ⋅ r = p ⋅ r ̂
r∑ ∑
qirircosθi =
i
r i

∑i qi 2

4πϵ0 ( r )
1 p ⋅ r̂ 1 2
3cos θi − 1
r ∑
V( r ) = + 2 + 3 qiri
r i
2

Il primo termine (detto termine di monopolo) è equivalente a quello di una carica


puntiforme Qtot = qi posta in O.
i
A grandi distanze questo termine è prevalente, come abbiamo già visto in numerosi
esempi, purché la somma algebrica delle cariche nel sistema sia diverso da zero.

Se abbiamo un sistema elettricamente neutro, il potenziale non vale 0 ma assume la


forma del secondo termine, detto termine di dipolo.
Quadrupolo elementare
Abbiamo visto che il potenziale generato a grande distanza da una generica
distribuzione di cariche può essere scritto come somma del potenziale generato da una
carica puntiforme pari alla carica totale q contenuta nella distribuzione più il potenziale
generato da un dipolo di momento p pari al momento di dipolo della distribuzione stessa.

Nella maggior parte dei casi l’approssimazione di dipolo fornisce una descrizione
sufficientemente accurata delle interazioni elettrostatiche a grande distanza.

In casi di particolari simmetrie, in cui siano nulli sia la carica netta totale che il momento
di dipolo, di deve ricorrere ai termini successivi dello sviluppo in multipoli.
Quadrupolo elementare


y q= qi = 0

{

px = qi xi = − q0d + q0d = 0
q0


+ py = qi yi = − q0d + q0d = 0


pz = qizi = 0
q0
- -

q0 x

q0
∑i qi p ⋅ r ̂ 1 2

4πϵ0 ( r )
1 2
3cos θi − 1
r ∑
Dallo sviluppo V(r) = + 2 + 3 qiri si ottiene:
r i
2
1 3qd 2
V(r) = − lungo l’asse x
4πϵ0 r 3
Dipolo elettrico in un campo elettrostatico
F B = qE0(B)
+

E
d
r +d
-
r

F A = − qE0(A)
O

Energia potenziale del dipolo (immerso in un campo E, ovvero non è il dipolo a creare il
campo elettrostatico):

U( r ) = qV( r + d ) + [−qV( r )] = q[V( r + d ) − V( r )] = qΔV


Ora se ricordiamo che

∂Vx ∂Vy ∂Vz


ΔV = Δx + Δy + Δz
∂x ∂y ∂z
e ponendo Δ l ≡ (Δx, Δy, Δz) = d

otteniamo:

U( r ) = qΔV = q d ⋅ ∇V = → U( r ) = − p ⋅ E

Quindi l’energia potenziale minima del dipolo si ha quando l’asse del dipolo p è orientato
in maniera concorde a E.

Ci aspettiamo che se un dipolo elettrico si trova in una regione di spazio in cui è presente
un campo elettrostatico su di esso verrà esercitata una forza che tende a orientare l’asse
del dipolo in modo da avere la configurazione di energia minima.
Consideriamo ora le forze agenti sulle due cariche:

F = F( r ) + F( r + d ) = qE( r + d ) + [−qE( r )] = q[E( r + d ) − E( r )] = q( d ⋅ ∇)E

F = ( p ⋅ ∇)E

∂ ∂ ∂
dove ( p ⋅ ∇) = px + py + pz
∂x ∂y ∂z

Si poteva ottenere lo stesso risultato partendo da F = − ∇ ⋅ U:

F = − ∇U = − ∇(− p ⋅ E) = ∇( p ⋅ E)

Se il dipolo si trova in una regione di campo elettrostatico uniforme il risultante delle forze
risulta essere nullo.
Come per ogni altro sistema rigido, le azioni meccaniche a cui il dipolo è sottoposto se
immerso in un campo elettrostatico sono completamente descritte dal risultante delle
forze e dal momento risultante M delle forze.

F B = qE0(B)
+

E d r⊥ Il momento di una forza M è un vettore perpendicolare al


P piano definito dal polo (P) e dalla retta di azione della
r forza F , definito come
-

M= F× r

F A = − qE0(A) Possiamo definire il momento di una forza rispetto ad un


punto P come il prodotto dell’intensità di una forza per la
distanza del punto P dalla retta di azione della forza
stessa:

M = F r sinθ = F r⊥
Come per ogni altro sistema rigido, le azioni meccaniche a cui il dipolo è sottoposto se
immerso in un campo elettrostatico sono completamente descritte dal risultante delle
forze e dal momento risultante M delle forze.

Se indichiamo con r il vettore che definisce la distanza delle due cariche dal centro P
dell’asse del dipolo:

M = r × F −q + r × F +q = 2 ⋅ r × q ⋅ E → M= p ×E

Il momento M è massimo quando p ed E sono ortogonali (θ = 90o), e vale 0 quando


sono paralleli (θ = 0o, 180o).

Il momento fa ruotare il dipolo per allinearlo al campo elettrostatico (configurazione


d’equilibrio con minimo dell’energia di interazione).
Esempio di forze esercitate su un dipolo (immaginiamo il dipolo p1 fisso e p2 libero di
muoversi e di ruotare):

Ex = 0 p2x = 0
Ey = 0 p2y = 0
p2
p1 p2z = − p2
Ez =
2πϵ0d 3

E p1 p2
d >>𝛿
Uin = − p 2 ⋅ E =
2πϵ0d 3
p1 p2
Ufin = −
p1 2πϵ0d 3
Nella situazione finale il dipolo 2 è soggetto ad
una forza attrattiva pari a:

3p1 p2
Fz = − ∇U = −
2πϵ0d 4
Moti di particelle in campi elettrostatici

Una particella carica che si trova in un punto dello spazio in cui esiste un campo
elettrostatico diverso da zero subisce l’azione di una forza F = q E indipendentemente
dalla distribuzione di carica che ha prodotto il campo e dalla velocità della carica.

Forza e campo hanno lo stesso verso se la carica q è positiva, mentre se la carica è


negativa i versi sono opposti.

Per il secondo principio della dinamica, questo significa che il campo produce
F
un’accelerazione a = sulla carica.
m
Ovviamente il problema sarà risolvibile purché siano noti il campo E (nei punti dello
spazio in cui avviene il moto) e le condizioni iniziali.
y
Esempio 1 Armatura 1
+++++++++++++++++++++

v1
E

v2
- - - - - - - - - - - - - - - -
Armatura 2

Consideriamo inizialmente il moto di una particella carica, inizialmente ferma, all’interno di


un campo elettrico uniforme. Un tale campo può essere prodotto prendendo due armature
metalliche piane e parallele, isolate l’una dall’altra, sulle quali c’è una distribuzione
uniforme di cariche (positive su un piano e negative sull’altro). Se la distanza tra le
armature è piccola rispetto alle loro dimensioni e se si esclude la zona vicino ai bordi (no
effetti di bordo), il campo tra le due armature è uniforme.

N.B.: anche in questo caso vale il discorso che la particella carica posta nel campo deve
essere tale (carica piccola) da non perturbare la distribuzione delle cariche del campo
esterno.

Vogliamo, dunque, descrivere il moto di una particella carica positivamente, di massa m e


carica q lasciata con velocità nulla nel campo esterno uniforme (vedi figura).
Il moto di tale particella è simile al moto di un corpo che cade nel campo gravitazionale
terrestre.

Poiché il campo elettrico è uniforme, l’accelerazione è costante ed è data da

F qE
a= =
m m

Il moto è un moto uniformemente accelerato lungo le linee di campo del campo elettrico.

2 (m )
2
1 2 qE 1 2 1 qE 1 (qE)2 2
y = at v = at = t K = mv = m t = t
2 m 2 2 m
L’energia cinetica acquisita dalla particella dopo aver percorso una distanza d sarà pari a:

1 2 1 2 2d 1 qE
K = m(at) = ma = m 2d = qEd
2 2 a 2 m

Si verifica facilmente che il valore dell’energia cinetica corrisponde esattamente alla


diminuzione di energia potenziale della particella all’interno del campo elettrostatico.
Infatti, all’interno del condensatore vale ΔV = Ed. Quindi ΔU = qEd.
Siccome la particella si muove sotto l’effetto del campo elettrostatico, il suo moto và da
zone a potenziale maggiore verso zone a potenziale minore.

Questo è visibile anche considerando F = − ∇ ⋅ U ; siccome la forza è diretta verso la


direzione negativa dell’asse y (verso il basso, in figura) significa che il potenziale
diminuisce lungo tale direzione, ovvero aumenta nella direzione positiva dell’asse y
(verso l’alto in figura).
Esempio 2

Consideriamo adesso una particella carica (con carica negativa) in moto a velocità
iniziale costante v0 ed entrante in una regione dello spazio con un campo elettrico E
diretto perpendicolarmente alla direzione di moto iniziale.

Siccome il campo è sempre diretto ortogonalmente alla componente della velocità lungo
l’asse x, avremo che vx = v0.

Quindi il tempo impiegato dalla particella ad attraversare la regione in cui è presente il


campo E sarà t = L/v0.
La particella sarà soggetta ad una forza diretta lungo l’asse y tale che, all’uscita da tale
regione, la particella si è spostata lungo y di un tratto:

1 2 1 qE L 2
y = at =
2 2 m v02

Si noti che finché E ≠ 0 la particella si muove con un moto parabolico.


qE L
All’uscita dalla regione essa avrà acquisito una velocità vy pari a vy = at =
m v0

Il risultato ottenuto è una deflessione della traiettoria della particella di un angolo 𝜗 tale
che:

vy qE L
tanθ = =
vx m v02
L
Il risultato può anche essere scritto come y = tanθ , per cui il moto della particella è lo
2
stesso che avrebbe se l’intera deflessione avvenisse nel punto di ascissa L/2. Il sistema
descritto trova applicazione, ad esempio, nei tubi a raggi catodici e negli oscilloscopi.
Funzionamento di un oscilloscopio digitale
cannone elettronico (catodo di un tubo a raggi catodici): serve per
generare il flusso di elettroni che andrà a colpire lo schermo ricoperto di
fosforo.
cannone elettronico (catodo di un tubo a raggi catodici): serve per
generare il flusso di elettroni che andrà a colpire lo schermo ricoperto di
fosforo.

Base-tempi: circuito oscillatore che


genera un segnale a dente di sega
cannone elettronico (catodo di un tubo a raggi catodici): serve per
generare il flusso di elettroni che andrà a colpire lo schermo ricoperto di
fosforo.

E
GND

Base-tempi: circuito oscillatore che


genera un segnale a dente di sega
cannone elettronico (catodo di un tubo a raggi catodici): serve per
generare il flusso di elettroni che andrà a colpire lo schermo ricoperto di
fosforo.

GND

Base-tempi: circuito oscillatore che


genera un segnale a dente di sega
cannone elettronico (catodo di un tubo a raggi catodici): serve per
generare il flusso di elettroni che andrà a colpire lo schermo ricoperto di
fosforo.

E
GND

Base-tempi: circuito oscillatore che


genera un segnale a dente di sega
cannone elettronico (catodo di un tubo a raggi catodici): serve per
generare il flusso di elettroni che andrà a colpire lo schermo ricoperto di
fosforo.

Segnale (tensione) che vogliamo monitorare


sull’oscilloscopio. Ad esempio, una tensione
costante V = -V0

GND
E

GND
} -V0

Base-tempi: circuito oscillatore che


genera un segnale a dente di sega
Poiché il campo elettrostatico è conservativo, è possibile risolvere molti problemi in
modo più semplice facendo ricorso alla conservazione dell’energia meccanica,
definita come somma dell'energia cinetica e dell'energia potenziale (elettrica, in
assenza di altre forze conservative).

Se A e B sono due punti della traiettoria della particella, la variazione subita dall'energia
cinetica fra A e B è quindi uguale (e opposta) a quella dell'energia potenziale.

1 2 1 2
ΔK = mvB − mvA = q(VA − VB) = − qΔV
2 2

Particelle cariche, inizialmente ferme in un punto A, sotto l'azione delle sole forze della
campo si muovono (se non vincolate) verso posizioni in cui il potenziale è minore, se la
carica è positiva; oppure verso posizioni in cui il potenziale è maggiore se la carica è
negativa.
Esempio 3

Due piccoli oggetti di massa m = 1 g e carica elettrica q = 1 nC sono trattenuti a una


distanza fissa d = 1 m da un sottile filo di massa trascurabile. A un certo punto il filo
viene tagliato e gli oggetti cominciano ad allontanarsi.
Calcolare la velocità limite degli oggetti quando sono infinitamente distanti fra loro.

Ui + Ki = Uf + Kf

(2 )
q2 1 2
+0=0+2 mv
4πϵ0d

1 1
v=q = 10−9 = 10 −9
⋅ 3x10 6
= 3 mm/s
4πϵ0dm 1.11x10−13
Conduttori
Con il termine conduttore si intende un oggetto indeformabile, all’interno del quale vi sono
elettroni liberi di muoversi. Un conduttore possiede al suo interno numerosissime cariche
positive e negative (dell’ordine di 1022 - 1024 per cm3); una certa frazione degli elettroni,
quelli detti di conduzione, è libera di muoversi e si comporta, per molti aspetti, come le
molecole di un gas perfetto confinato nel volume occupato dal conduttore.

In elettrostatica si considerano sempre, per ipotesi, situazioni in cui le grandezze in gioco,


e dunque in particolare anche le distribuzioni di carica, sono costanti nel tempo. Poiché le
cariche interne ad un conduttore, se sottoposte a un campo elettrico, si muovono, ciò
implica che in elettrostatica il campo elettrico internamente ai conduttori è nullo
(altrimenti i portatori di carica creerebbero delle correnti perpetue). In un conduttore
le cariche in eccesso si dispongono in modo da realizzare (in media macroscopica) la
condizione:

E =0

Caricare un metallo consiste nel cedergli o sottrargli elettroni, in modo che la sua carica
complessiva risulti negativa o positiva. La carica trasferita deve distribuirsi in modo tale che
in qualsiasi punto interno al metallo il campo risulti nullo.

Da questo segue, per la legge di Gauss, che la carica totale interna ad un conduttore è
zero e che la carica si distribuisce sulla superficie del conduttore.
Conduttori
Consideriamo un singolo atomo di numero atomico Z. Ciascuno degli elettroni è soggetto
a una forza attrattiva da parte del nucleo positivo e da forze repulsive da parte degli altri
(Z - 1) elettroni della nube elettronica.

Se consideriamo un elettrone a grande distanza r dal nucleo, il potenziale efficace è di


tipo coulombiano di carica positiva unitaria +e. L’energia potenziale è negativa e vale

1 e2
U(r) = −
4πϵ0 r

L’energia totale dell’elettrone è la somma della sua energia cinetica e di quella


potenziale, ed è negativa perché l’elettrone si trova in uno stato legato.

Ora, dalla meccanica classica sappiamo che un elettrone accelerato emette radiazione
elettromagnetica di energia proporzionale alla sua frequenza di rivoluzione; un elettrone
nel modello atomico classico (atomo di Rutherford) dovrebbe quindi perdere
progressivamente energia e spiraleggiare fino a collassare nel nucleo.

Il problema fu superato con modello atomico di Bohr. L’ipotesi fondamentale di Bohr fu


di ipotizzare che il momento angolare l dell’elettrone nel suo moto orbitale attorno al
nucleo sia quantizzato l = nℏ.
nh
Quindi affinché un’orbita sia stabile si deve avere l = mvr = nℏ = .

Ora, per trovare il raggio dell’orbita dell’elettrone utilizziamo il secondo principio della
dinamica considerando l’accelerazione centripeta (chiamiamo q = Ze):

mv 2 1 q2
ma = = − ∇U = −
r 4πϵ0 r 2

Combinando le due relazioni otteniamo i raggi delle orbite stazionarie:

ϵ0n 2h 2
r=
πmq 2
Per conseguenza dunque della quantizzazione del momento angolare l, il raggio
dell’orbita può assumere solo valori discreti rn. Il raggio con n = 1 viene detto raggio di
Bohr.

Per riflesso, anche l’energia totale dell’elettrone può assumere solo valori discreti. Infatti
da:

1 2 q2 1 q2 1 q2 1 q2 1
E = mv − = − =−
2 4πϵ0 r 8πϵ0 r 4πϵ0 r 8πϵ0 r
si ottiene:

mq 4
En = − 2 2 2
8ϵ0 n h

Quindi l’energia dell’elettrone può assumere solo i valori di tale successione al di sotto di
un’energia di riferimento il cui valore è assunto pari a zero (E = 0 corrisponde al confine
tra stati legati e stati liberi).

E’ necessario ora introdurre il concetto di spin o momento angolare intrinseco, che per
l’elettrone può valere solo +ℏ/2 oppure −ℏ/2.

Il principio di esclusione di Pauli afferma che al massimo due particelle di spin semi-
intero possono coesistere nello stesso stato stazionario; ma in questo caso i loro spin
devono essere antiparalleli.

Il principio di esclusione di Pauli è fondamentale per evitare che tutti gli elettroni
dell’atomo vadano ad occupare tutti i insieme il livello energetico più basso possibile.
Per descrivere correttamente lo spettro di livelli energetici di un atomo servono tre numeri
quantici:

• numero quantico principale n = 1, 2, 3, … (elettroni con lo stesso valore di n


appartengono allo stesso shell elettronico o orbitale)

• numero quantico orbitale l = 0, 1, 2, …, n - 1

• numero quantico magnetico ml = 0, ± 1, ± 2, …, ± l (a cui corrispondono (2l + 1)


livelli)

shell K L M N
n 1 2 3 4
l 0 0 1 0 1 2 0 1 2 3
subshell s s p s p d s p d f

0, ± 1,
0, ± 1, 0, ± 1,
m 0 0 0, ± 1 0 0, ± 1 0 0, ± 1 ± 2,

±2 ±2
±3

2 2 6 2 6 10 2 6 10 14
numero di
elettroni
2 8 18 32
I livelli energetici per un singolo atomo non si applicano allo stesso atomo in un cristallo.

Quando degli atomi formano un cristallo si trova che gli elettroni delle shell più interne
non vengono influenzati in maniera apprezzabile dalla presenza degli atomi vicini.

Invece i livelli degli elettroni nelle shell più esterne cambiano considerabilmente perché
tali elettroni, in un cristallo, sono condivisi tra più atomi.

Questi nuovi livelli energetici degli elettroni più esterni possono essere definiti con la
meccanica quantistica e si trova che l’accoppiamento tra elettroni della shell più esterna
degli atomi produce una banda di stati energetici molto vicini tra loro, invece di livelli
energetici apprezzabilmente separati presenti nel caso di un atomo isolato.
Conduttori:

Overlap (sovrapposizione) tra la banda di valenza e la banda di


conduzione allora gli elettroni nell’orbitale più esterno finiscono
nella banda di conduzione dove sono liberi di muoversi all’interno
del reticolo.

Isolanti:

Gap grande (divario) tra la banda di valenza e la banda di


conduzione allora gli elettroni nell’orbitale più esterno non
riescono ad uscire dalla banda di valenza e raggiungere la banda
di conduzione, perciò non possono muoversi all’interno del reticolo.

Semiconduttori:

Gap piccolo (divario) tra la banda di valenza e la banda di


conduzione, aumentando la temperatura (cioè aumentando
l’energia cinetica degli atomi) gli elettroni nell’orbitale più esterno
riescono a “saltare” dalla banda di valenza raggiungendo la banda
di conduzione.
I materiali con tale caratteristica sono detti semiconduttori. Inoltre,
questi materiali sono:

isolanti, se mantenuti a bassa temperatura;

conduttori, se si aumenta la temperatura.
Abbiamo detto che in conduttore le cariche si distribuiscono tutte sulla superficie
esterna. Tale caratteristica può essere mostrata sperimentalmente con un sistema
molto semplice:

Occorre disporre di un conduttore sferico sostenuto da un supporto isolante e di due


emisferi metallici dotati anch'essi di manici isolanti. Caricato il primo conduttore, lo si
racchiude tra gli altri due facendo in modo che si stabilisca il contatto. Dopo aver
separato le tre parti, si può verificare che il conduttore centrale si è scaricato mentre i
due emisferi sono carichi.
Dal fatto che il campo elettrostatico E internamente ai conduttori è nullo è facile
dedurre, utilizzando la condizione che esso sia conservativo, che esternamente al
conduttore, ma molto vicino ad esso, il campo elettrostatico stesso deve essere
normale alla superficie del conduttore.

Siano E1 e E2 i valori che il campo elettrostatico ha


rispettivamente nei mezzi 1 (fuori dal conduttore) e 2
(internamente al conduttore). In generale E1 ≠ E2.
E ⃗ ⋅ dl ⃗ = 0

Al limite per dn tendente a zero, il contributo alla
circuitazione proveniente dai tratti ortogonali alla
superficie può essere trascurato. Quindi:

−d n ⃗
Et1 dl - Et2 dl = 0
Et1 = Et2
dl ⃗
Passando da un mezzo materiale ad un altro la
componente del campo elettrico tangenzialmente alla
dn⃗ −d l ⃗ superficie di separazione non può subire una
discontinuità.
1
Nel nostro caso, siccome E2 = 0 (e quindi Et2 = 0)
2 deriva che Et1 = 0

In vicinanza di un conduttore il campo elettrostatico E è


ortogonale alla superficie del conduttore stesso.
Se un certo conduttore S viene immerso in un campo elettrico (sia esso generato da
cariche esterne o da cariche che vengano poste sul conduttore stesso), in una prima
fase gli elettroni interni al conduttore cominciano a muoversi, alla ricerca di una
configurazione di equilibrio: quando la loro disposizione è tale da annullare il campo
elettrico presente all’interno del conduttore, la configurazione di equilibrio è raggiunta

a) b)
E 0⃗
+ -
+ -
+ -
+ -
+ - + -
+ - E=0 + -
+ - + -
+ -
+ -
+ -
+ -
Dal momento che E è nullo in ogni punto interno al
conduttore, ΦE è anch’esso nullo per una qualsiasi
superficie gaussian interna al conduttore. Pertanto la
Legge di Gauss comporta che la carica totale racchiusa
sia pari a zero, e ciò vale per qualsiasi superficie chiusa,
purché completamente interna al conduttore. La
conclusione è che non vi possono essere eccessi di carica
in nessun punto interno di un conduttore, ossia che per un
conduttore la densità di carica di volume 𝝆 deve essere
nulla. Una densità di carica di volume diversa da zero può
sussistere soltanto in un isolante.

Poiché E = 0 all’interno di un conduttore, il volume occupato da un materiale conduttore deve


essere una regione a potenziale costante. Infatti, se consideriamo due punti qualsiasi a e b
interni a un conduttore

∫a
Vb − Va = − E ⋅dl

l’integrale è nullo e Vb = Va. Ciò vale per due punti qualsiasi interni al conduttore, quindi tutti i
punti del conduttore sono allo stesso potenziale.

In particolare, è spesso è utile tenere presente che la superficie di un conduttore è una


superficie equipotenziale.
Supponiamo di avere una cavità all’interno del nostro conduttore. Possiamo avere
cariche disposte su questa superficie, soggette ad un campo perpendicolare alla
superficie stessa?

Applicando la legge di Gauss a una superficie 𝛴 molto


vicina alla superficie interna si ha che tale carica deve
essere globalmente nulla.

Si potrebbero però avere cariche di segno opposto in


regioni diverse della superficie interna.

E’ facile vedere che ciò darebbe luogo a una circuitazione


del campo E diversa da zero, in contrasto con il carattere
conservativo del campo elettrico. Quindi il campo elettrico
deve essere nullo anche all’interno della cavità.

Lo stesso tipo di ragionamento si può ripetere anche nel


caso in cui il conduttore S sia carico. Anche in questo caso
si conclude che il campo elettrico all’interno della cavità è
nullo. Si dice che il conduttore cavo funziona da schermo
elettrostatico.
Gabbia di Faraday
Il fenomeno dello schermo elettrostatico è alla base della gabbia di Faraday.

Nel 1836 Faraday osservò che in un conduttore cavo, elettricamente carico, le cariche si
dispongono sulla superficie esterna e non influenzano lo stato elettrico dei corpi che si
trovano all’interno. Per dimostrarlo costruì una stanza rivestita da un foglio metallico e
applicò dall’esterno l’alta tensione prodotta da un generatore elettrostatico.

Utilizzando un elettroscopio egli mostrò che all’interno della stanza non era presente
carica elettrica.

Viene utilizzato il termine gabbia per sottolineare che il sistema può essere costituito,
oltre che da un foglio metallico continuo, anche da una rete o una seri di barre
opportunamente distanziate.

Applicazioni pratiche:

• sugli aerei per proteggere i passeggeri e la strumentazione di bordo dagli effetti della
scarica di fulmini
• insieme ai parafulmini per non creare danni alle strutture o alla popolazione
• nei forni a microonde
• …
La situazione cambia se all’interno del conduttore abbiamo un corpo S’ dotato di
carica Q. Se consideriamo una superficie 𝛴 interna al conduttore S, siccome E = 0
abbiamo che, per la legge di Gauss, la carica netta contenuta all’interno di 𝛴 deve
essere nulla.

Affinché ciò accada per ogni superficie 𝛴, è necessario che sulla superficie interna di
S si induca una carica pari in modulo, e opposta in segno, alla carica Q. D’altronde,
considerando che S è complessivamente neutro, ciò provoca l’induzione di una
carica pari a Q (in modulo e segno) sulla superficie esterna di S.

Questo fenomeno è detto fenomeno di induzione


completa.

Un conduttore cavo non è in grado di schermare, verso


l’esterno, l’effetto di un’eventuale carica presente al
suo interno.
Quando su un conduttore viene disposta una carica Q, essa si distribuisce sul
conduttore in modo da annullare il campo elettrico internamente al conduttore stesso.
Determinare quale sia la distribuzione che produce tale effetto è tutt’altro che
semplice.

Le cariche si distribuiscono sulla superficie: dunque la loro distribuzione sarà


caratterizzata non da una una densità di volume 𝜚(x,y,z) ma da una densità
superficiale 𝜎(x,y,z) che soddisfa la condizione di normalizzazione

∫S
σ(x, y, z)dS = Q

Applichiamo al cilindretto la legge di Gauss.


Dato che il campo elettrico E in prossimità della
superficie è ortogonale alla stessa, il flusso sarà dato da
E · dS.
D’altra parte sappiamo che E · dS = 𝜎dS/𝜀0.

σ
Quindi E = n ̂ che sintetizza il teorema di Coulomb
ϵ0
Consideriamo ora due sfere conduttrici S1 e S2 di raggio rispettivamente R1 e R2,
unite da un filo conduttore rettilineo di lunghezza molto maggiore di R1 e R2. Sul
sistema viene dislocata una carica Q.
Supponiamo che le sfere siano sufficientemente lontane perché il campo elettrico
prodotto da una non perturbi la distribuzione di cariche sull’altra.

S2

r2

S1
r1
Consideriamo ora due sfere conduttrici S1 e S2 di raggio rispettivamente R1 e R2,
unite da un filo conduttore rettilineo di lunghezza molto maggiore di R1 e R2. Sul
sistema viene dislocata una carica Q.
Supponiamo che le sfere siano sufficientemente lontane perché il campo elettrico
prodotto da una non perturbi la distribuzione di cariche sull’altra.

Il valore del potenziale V1 e V2 vicino alle superfici delle due sfere vale dunque

1 Q1 1 Q2
V1 = V2 =
4πϵ0 R1 4πϵ0 R2

Siccome le due sfere formano un unico conduttore, devono essere allo stesso
potenziale (V1 = V2), per cui

Q1 R1
=
Q2 R2

Q1 Q2
La densità di carica sulle due sfere vale σ1 = σ2 =
4πR12 4πR22
da cui σ1 R2
=
σ2 R1
Il caso specifico appena illustrato può essere esteso e in generale dimostra come la
densità di carica superficiale in un conduttore di forma qualsiasi è maggiore nelle zone in
cui è minore il raggio di curvatura. A questo è legato il cosiddetto potere delle punte.
σ
Se consideriamo ora il teorema di Coulomb E = n ̂ si vede che in vicinanza di un
ϵ0
conduttore carico il campo elettrico è tanto più intenso quanto più piccolo è il raggio di
curvatura di eventuali convessità che la superficie del conduttore presenti.

Se tale raggio di curvatura è molto piccolo (e ciò accede quando la superficie presenta una
punta), specie se il conduttore è posto ad alto potenziale, nel gas (ad esempio aria)
presente in prossimità della punta si possono verificare delle scariche elettriche.

La scarica elettrica in un gas si produce quando una carica macroscopica vagante incontra
un forte campo elettrico che la accelera. L’energia cinetica che la particella acquisisce per
effetto di tale accelerazione può essere tale da generare, negli urti contro le molecole
neutre del gas, la ionizzazione delle molecole stesse con produzione di coppie elettrone-
ione positivo: e queste cariche, accelerate a loro volta dal campo elettrico, possono
produrre in urti successivi un fenomeno a valanga con altissime correnti locali.
Potenziale e capacità dei conduttori
Due punti qualsiasi di un conduttore, interni o superficiali, si trovano allo stesso
potenziale.

Per questo motivo si parla comunemente di potenziale di un conduttore.

Ora, dal teorema di Coulomb e dalla relazione E = − ∇V si può ricavare che (con
V(x,y,z) espressione del potenziale in ogni punto dello spazio esterno al conduttore, che
si annulla all’infinito e vale V0 sulla superficie 𝛴 del conduttore):

∂V ∂V
∫Σ ∂n
σ = − ϵ0 Q0 = − ϵ0 dS
∂n

Supponiamo ora di portare il potenziale al valore V1 = 𝜆 V0, otteniamo allo stesso modo
che Q1 = 𝜆 Q0

Q1 Q0
C= = Con C capacità del conduttore
V1 V0
Potenziale e capacità dei conduttori
Prendiamo come esempio il caso di una sfera carica:

Q
R
Q0
V0,sfera = V0(R) = V0(R) − V0(+∞) =
4πϵ0 R

Se raddoppiamo la carica depositata sulla superficie della sfera:


Q = 2Q0
Q
Vsfera = V(R) = V(R) − V(+∞) = = 2V0
4πϵ0 R
Se Q = nQ0

Q
Vsfera = V(R) = V(R) − V(+∞) = = nV0
4πϵ0 R
La capacità di un conduttore non dipende dalla carica presente sul conduttore e neppure
dal valore del potenziale, ma soltanto dalle dimensioni geometriche e dalla forma della
superficie esterna del conduttore.

L’unità di misura di questa nuova grandezza è coulomb/volt [C]/[V].

Data l’importanza che essa riveste, le è stato attribuito un nome specifico, il farad (F).

Come per il caso del coulomb, anche il farad è una unità particolarmente grande; valori
comuni della capacità elettrica sono espressi in µF o pF.
Condensatori
Un sistema di due conduttori tra cui ci sia induzione completa (tutte le linee di forza del
campo elettrico prodotto dal primo conduttore terminano sull’altro conduttore) viene
detto condensatore elettrostatico o capacitore.

Le configurazioni geometriche in cui si presenta l’induzione completa appartengono a 3


categorie:

1. un conduttore è contenuto dentro una cavità all’interno dell’altro (es: condensatore


sferico)

2. la geometria del conduttore interno si sviluppa prevalentemente lungo una linea l e


intorno ad esso si avvolge il secondo conduttore dotato di una struttura tubolare, nel
caso in cui la lunghezza l sia molto maggiore delle dimensioni trasversali (es:
condensatore cilindrico)

3. i due conduttori si affacciano uno all’altro con una superficie S le cui dimensioni
lineari sono molto maggiori della distanza d che le separa (es: condensatore piano)

I due conduttori che formano il condensatore vengono detti armature del condensatore.
Condensatori
Se all’armatura interna di un condensatore viene fornita una carica Q1, la superficie della
seconda armatura che si affaccia verso la prima armatura si carica di un valore -Q1,
mentre la superficie più lontana di +Q1. Se ora “mettiamo a terra” l’armatura esterna (cioè
la colleghiamo con un conduttore dotato di capacità infinita, in pratica mediante un
conduttore che penetra nel suolo disperdendo in esso le cariche senza perturbarne il
potenziale), la carica Q1 si disperde a distanza “infinita”, e l’armatura esterna resta dotata
di carica Q2 = -Q1.

E’ usuale la convenzione che il potenziale di un conduttore a terra sia nullo.

In un condensatore sussiste una relazione di proporzionalità tra il modulo della carica Q =


|Q1| = |Q2| e il modulo della differenza di potenziale tra le armature. Si definisce capacità
elettrica di un condensatore la grandezza (sempre positiva):

Q
C=
ΔV
Condensatore piano
Consideriamo due superfici metalliche separate dal vuoto, parallele, le cui dimensioni
lineari siano grandi rispetto alla distanza d. Se ai due conduttori vengono trasferite le
cariche +q e -q queste si dispongono sulle due superfici che si fronteggiano. La simmetria
del sistema garantisce che la densità di carica sia uniforme su tutta la superficie e che il
campo elettrico sia diverso da zero fra le due armature e diretto normalmente alle
superfici.

σ σ σ
E= E= E=
2ϵ0 2ϵ0 2ϵ0

———————————
——————————— σ σ
——————————— σ - E= + E=
E= 2ϵ0 2ϵ0
2ϵ0 - +
- +
- +
++++++++++++++++ - +
++++++++++++++++ - +
+++++++++++++++++ - +

d
Condensatore piano
σ q
Il campo elettrostatico interno al condensatore è uniforme e vale E = = con
ϵ0 Sϵ0
σ
S area della superficie carica, mentre la differenza di potenziale ΔV = d.
ϵ0

Quindi risulta:

q ϵ0S capacità di un
C= =
ΔV d condensatore piano
Condensatore sferico

r2 Un conduttore di forma sferica e raggio r1 è


r1
r3 situato all’interno di una sfera conduttrice cava
+
+ + e caricato con una carica q.
+ +
+ + +

4πϵ0 [ r ]r 4πϵ0 [ r ]r
+∞ r2 r3 +∞ r2 +∞
q 1 q 1
∫r ∫r ∫r ∫r
V(r1) = Ed r = Ed r + Ed r + Ed r = − +0+ −
1 1 2 3 1 3

4πϵ0 ( r1 r2 r3 )
q 1 1 1
= − +
Condensatore sferico
+∞
q 1
∫r
V(r2) = Ed r =
3
4πϵ0 r3

4πϵ0 ( r1 r2 )
q 1 1
ΔV = V(r1) − V(r2) = −

q q r1r2
C= = = 4πϵ0
4πϵ0 ( r1 r2 )
ΔV q 1
− 1 r2 − r1
Condensatore cilindrico

Q
E= r1 < r < r2
2πϵ0rh
r2
Q dr Q Q r2
2πϵ0h ∫r1 r
[ lnr] =
r2
V(r1) − V(r2) = = ln
2πϵ0h r1 2πϵ0h r1

2πϵ0h
C= r2
ln r
1
Sistemi di condensatori

Rappresentazione circuitale
di un condensatore
Condensatori in parallelo
C1

C = C1 + C2
n


C= Ci
i=1

la capacità complessiva è maggiore di quella


C2 dei singoli componenti

Condensatori in serie

C1 C2 1 1 1
= +
C C1 C2
n
1 1
C ∑
=
C
i=1 i

la capacità complessiva è minore di quella


dei singoli componenti
Energia elettrostatica di un condensatore carico
Consideriamo un condensatore avente una qualsiasi forma geometrica, inizialmente
scarico, e calcoliamo il lavoro necessario per portare sulle sue armatura due cariche
uguali e contrarie Q e -Q. Possiamo trattare il processo come una successione di
trasferimenti di una carica elementare dq durante il quale il lavoro infinitesimo sarà
δL = dqΔV.

Via via che il processo di carica procede, la differenza di potenziale cambia, passando
dal valore iniziale ∆V = 0 a quello finale ∆V = Q/C. Il lavoro complessivo si ottiene
come:

Q
q Q2
∫0 C
L= dq =
2C

C(ΔV )2 QΔV
L = UE = =
2 2

Poiché la stessa energia può essere mutata in altre forme, scaricando il condensatore,
queste espressioni rappresentano una vera e propria forma di energia potenziale.
Energia elettrostatica di un condensatore carico

Consideriamo un condensatore piano che rappresenta l’esempio più semplice in quanto,


come abbiamo visto, il campo elettrostatico presente tra le armature del condensatore è
uniforme. Utilizzando le formule trovate in precedenza possiamo riscrivere l’energia del
condensatore come

1
UE = ϵ0E 2Sd
2

Poiché Sd rappresenta il volume dello spazio in cui il campo elettrostatico è diverso da


zero, la densità di energia del campo elettrostatico risulta:

UE 1 densità di energia del campo


uE = = ϵ0E 2 elettrostatico (ricavata per un
Sd 2 condensatore piano ma
valida in generale)
Forza tra le armature di un condensatore
Sulle due armature di un condensatore si trovano cariche di segno opposto: di
conseguenza tra di esse si esercita una forza attrattiva.

σ
σ σ σ ϵ0
E= E= E=
2ϵ0 2ϵ0 2ϵ0

σ σ σ
E= - E= + E= x
2ϵ0 - 2ϵ0 + 2ϵ0 V
- +
- +
- +
- +
- +

d
xA xB x
Forza tra le armature di un condensatore
Sulle due armature di un condensatore si trovano cariche di segno opposto: di
conseguenza tra di esse si esercita una forza attrattiva.

La forza esercitata dall’armatura A (caricata negativamente) sull’armatura B (caricata


positivamente) si può ricavare utilizzando la relazione:

σ2 σ2 1
∫Σ 2ϵ0 ∫
F = qE = EσdS = dS = S = ϵ0E 2S
σ σ σ 2ϵ0 2
E= E= E=
2ϵ0 2ϵ0 2ϵ0
Se considero la pressione:

1
σ - E=
σ
+ E=
σ p = ϵ0E 2
E=
2ϵ0 - 2ϵ0 + 2ϵ0 2
- + 1 2
- + p(x, y, z) = ϵ0 (x, y, z) = u(x, y, z)
E
2
- +
- +
- + In un qualsiasi punto (x,y,z) sulla superficie di un
conduttore, la pressione elettrostatica è pari al valore
assunto dalla densità energia del campo elettrostatico
d
in vicinanza di tale punto
Forza tra le armature di un condensatore
A volte il calcolo del campo elettrostatico può risultare particolarmente complicato.
In questi casi si può utilizzare il principio di conservazione dell’energia (per
deformazioni virtuali infinitesime del sistema). Immaginiamo cioè di applicare una
forza esterna Fe uguale e contraria alla forza attrattiva elettrostatica F, in modo che il
lavoro totale delle forza applicate risulti nullo e che non ci sia variazione di energia
cinetica del sistema (trasformazione quasi-statica).

dUE = δL e = F edx

1 Q2 1 2 dx 1
dUE = = (σS) = ϵ0E 2Sdx
2 C 2 ϵ0S 2

dUE 1
F= = ϵ0E 2S
dx 2

1
p = ϵ0E 2
2
Forza tra le armature di un condensatore

Questa relazione permette di esprimere il valore della differenza di potenziale fra le


armature del condensatore in funzione della forza con cui queste si attraggono

2 ( d )
2
1 2 1 ΔV
F = ϵ0E S = ϵ0 S
2

2Fd 2
ΔV =
ϵ0S

Questa considerazione è alla base del funzionamento dei voltmetri elettrostatici


realizzati in passato.

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