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ALESSANDRO VOLTA

Nasce a Como il 18 febbraio 1745, da una famiglia benestante. In


giovinezza studia retorica e filosofia presso i gesuiti, ma nel 1761,
la passione per le materie scientifiche gli viene trasmessa da un
suo amico fisico Giulio Cesare Gattoni durante l'internato nel
Regio Seminario Benzi di Como.
Finito il ginnasio abbandona gli studi, ma comincia ad
interessarsi ai fenomeni elettrici, in particolare alla produzione
di elettricità per strofinio, che egli definiva fuoco elettrico,
argomento base della sua pubblicazione nel 1769.
Nel 1775 costruisce uno strumento in grado di fornire elettricità
senza il bisogno di un continuo strofinio chiamato Elettroforo
Perpetuo, un generatore elettrostatico capace di accumulare una
modesta quantità di carica elettrica in modo discontinuo. Dopo di
che inizia a insegnare fisica a Reggio Ginnasio di Como.
Nel 1776 grazie all'aiuto di uno dei suoi vecchi maestri scopre il
metano: nell’autunno del 1776, padre Carlo Giuseppe Campi,
dell’ordine dei Somaschi, nota una sorgente di "acqua
infiammabile" nelle acque stagnanti di San Colombano al
Lambro (Mi) e prega Volta di studiarla per rivelarne la natura. Lo
scienziato non può andare nella Bassa Lodigiana, ma lavora di
cervello: questa aria viene prodotta all’interno delle acque
pantanose e quindi sospetta che si tratti di un evento comune a
tutte le paludi. L'intuizione arriva quando Volta è in vacanza ad
Angera, sulla sponda lombarda del lago Maggiore: è qui che le sue
supposizioni trovano conferma.
Raccoglie l’aria prodotta in un canneto, tra laghi e stagni, dove
riposano i resti di vegetali e di animali putrefatti, dimostrando
che il gas non è un prodotto di origine minerale, ma organica.
Volta ribattezza questo gas "aria infiammabile nativa delle
paludi", poi diventato noto come metano. In una delle sue lettere
suggerisce di sostituire l’uso dell’olio come combustibile per le
lampade con il gas delle paludi.
Queste lampade, dette “lampade perpetue” o "lampade di Volta",
fanno del suo inventore il precursore dell’illuminazione a gas. Il
principio del loro funzionamento è stato poi esteso
all’accendilume elettrico, detto poi accendino. A partire da quella
scoperta conduce una serie di esperimenti per produrre
l'accensione di tale gas tramite scariche elettriche, e costruisce il
dispositivo “Pistola di Volta”, una provetta chiusa da un tappo di
sughero e munita di due elettrodi, utile per condurre i suoi
esperimenti sui gas infiammabili.
Un anno più tardi trasforma la pistola in un eudiometro uno
strumento con cui si poteva valutare con precisione la quantità di
gas prima e dopo una reazione chimica, Volta utilizza questo
dispositivo per misurare la salubrità dell’aria (igienicità dell'aria)
Nel 1778 ottiene la cattedra di fisica particolare all’Università di
Pavia, in questo periodo realizza un elettroscopio condensatore,
strumento che riesce a rivelare stati elettrici deboli, e che
permette di accumulare energia elettrica tenendo separate
cariche elettrostatiche.
Dal 1786 al 1792 si occupò di meteorologia elettrica e in
particolare delle proprietà fisico chimiche degli aerei formi.
Nel 1793 Volta formula la legge sperimentale di dilatazione per
l’aria e per il vapore di acqua in assenza di liquido.
Successivamente viene a conoscenza di alcuni esperimenti di
Galvani e della possibile esistenza di una elettricità animale,
Galvani aveva notato che toccando con un estremista di un arco
metallico il fascio di nervi lombari di una rana morta e scorticata
e con l’altro capo i muscoli di una zampa si osservano forti
contrazioni e utilizzando un arco costituito da due metalli diversi
(arco bimetallico) per collegare i nervi lombari e i muscoli degli
arti inferiori, le contrazioni prodotte erano più intense.
Volta successivamente che quelle contrazioni nella rana non
erano dovuta ad una elettricità animale ma erano dovute da una
elettricità esterna provocata dal contatto dei metalli che
costituivano l’arco, quindi la rana là si poteva considerare un
sensibilissimo elettroscopio, ed è da questi studi che Alessandro
Volta parte per l’invenzione della pila.
Volta sfrutta la differenza potenziale che si ha al contatto con due
metalli diversi Volta riesce a realizzare la pila e a presentarla nel
1801 all'Institut de France, sotto la presenza di Napoleone, che
una volta diventato imperatore lo nomina senatore del regno di
Italia e conte.
La pila di Volta era il primo apparecchio in grado di generare
corrente, e in quegli anni diventa subito uno strumento
indispensabile anche per lo studio di elettricità, il termine pila
viene utilizzato per indicare un generatore di forza
elettromotrice costante e questo nome deriva dalla disposizione a
pila del generatore di Volta costituito da coppie impilate di dischi
di rame e zinco e separate da un foglio imbevuto di una soluzione
elettrolitica. Dopo l’invenzione della pila Volta abbandona la
ricerca e l’insegnamento e si ritira nella sua casa in campagna
fino all’anno sua morte avvenuta il 3 marzo 1827.

Elettroforo perpetuo
L'elettroforo è costituito da un piatto conduttore su cui veniva
colato uno strato di resina (detta stiacciata) e da un disco,
anch'esso conduttore, detto scudo, munito di un manico isolante.
Funzione: L'elettroforo è una macchina elettrostatica basata sul
fenomeno dell'induzione.
È costituito da un disco di resina posto su un supporto isolante e
da un disco di ottone munito di un manico di vetro o di legno.
Inizialmente i due dischi vengono riscaldati per eliminare ogni
traccia di umidità; quindi si batte
fortemente la resina con una pelle di
gatto o con un panno. In questo
modo la resina si elettrizza. Si pone
allora il disco di ottone sul disco di
resina: la carenza di fluido della
resina (elettrizzazione negativa)
determina una richiesta di fluido all’ottone, il quale sposta il
fluido verso la resina e rimane carente dello stesso nella faccia
opposta.
Se uno sperimentatore, per esempio isolato dal suolo, tocca la
faccia superiore del disco di ottone con un dito, parte del suo
fluido passa sul disco; l’uomo diventa carente di fluido (si
elettrizza negativamente) e il disco rimane in eccesso di fluido (si
elettrizza positivamente). Infatti, se si solleva il disco di ottone
tenendolo per il manico isolante e gli si avvicina la mano, il fluido
in eccesso presente sul disco e quello in difetto che si trova sulla
mano si riequilibrano producendo una viva scintilla.
Poiché la resina può restare elettrizzata assai a lungo (anche per
mesi), l’esperimento può essere ripetuto molte volte, anche
senza battere la resina con la pelle; ciò significa che con una sola
operazione di elettrizzazione è possibile ricavare
dall’apparecchio quantità pressoché illimitate di fluido elettrico
positivo, da cui il nome di
elettroforo perpetuo.
Secondo l’interpretazione attuale
il disco di ottone si carica, per
induzione, con cariche dello
stesso tipo della resina sulla
faccia superiore e cariche di tipo
opposto su quella inferiore.
Toccando con il dito la faccia
superiore del disco, si prelevano le cariche presenti su di esso. Sul
disco rimangono pertanto solo le cariche di tipo opposto.

Pistola Elettroflogopneumatica
Anche detta Pistola di Volta. Nel gennaio del 1777, essendo
riuscito ad accendere l’aria infiammabile con la scintilla
provocata da una pietra focaia, pensò di costruire «una piccola
bombarda od archibuso di nuova foggia, il quale caricato in luogo
di polvere, di aria infiammabile mescolata in giusta dose colla
deflogisticata [ossigeno] potrebbe
cacciare una palla con impeto e
rimbombo, e accendersi per
mezzo d’un acciarino, proprio
come un archibuso comune.» Il
progetto gli riuscì ancora meglio
quando scoprì che la miscela
tonante poteva essere infiammata
direttamente da una scintilla
elettrica prodotta all’interno del recipiente che la conteneva e
non solo alla bocca della caraffa, come precedentemente
osservato.
Nacque così la pistola elettrico-flogopneumatica. Le prime
pistole erano fatte di legno, le successive di vetro o di metallo e
avevano forme diverse. Esse divennero presto un oggetto di
grande interesse e curiosità. Volta provò a far funzionare la sua
invenzione anche trasportando l’elettricità mediante due fili
conduttori: non è difficile vedere in questo progetto l’idea della
trasmissione di un segnale a
distanza, ovvero una
anticipazione del telegrafo. Le
applicazioni però non si
fermarono qui: nella terza lettera
al Marchese Francesco Castelli,
ipotizzava un particolare utilizzo
della pistola come “avvisatore di
temporali”, mentre in una lettera
a lord Cowper del 21 Luglio 1778, Volta presentava una dettagliata
descrizione di una bomba ad aria infiammabile.
Volta diede quindi una spettacolare dimostrazione della forte
detonazione che si ottiene facendo scoccare una scintilla in una
miscela di aria comune e di aria infiammabile (idrogeno o
metano). Un tubo di vetro contenente due elettrodi viene
riempito in parte di gas infiammabile e per il resto di aria, poi
chiuso con un tappo di sughero. Tenendo in mano un elettrodo e
toccando l’altro con un elettroforo carico, si innesca una
esplosione che espelle con violenza il tappo. Avendo per primo
ottenuto la combustione in vasi chiusi, mediante scintilla
elettrica, di miscele di gas infiammabili e aria, Volta può essere
considerato il precursore dei sistemi di accensione dei moderni
motori a benzina.

L'Eudiometro
Se in un miscuglio di aria infiammabile e di aria comune si fa
scoccare una scarica elettrica si ottiene una deflagrazione. Per
studiare il fenomeno Volta realizzò un eudiometro, costituito da
un tubo di vetro con una imboccatura posta in una bacinella
d’acqua e l’altra imboccatura chiusa da
un turacciolo di sughero e sigillata con
mastice. Attraverso il turacciolo passano
due fili metallici che terminano
all’esterno del tubo con due sferette
metalliche. Riempito il tubo con aria e
aria infiammabile, Volta faceva scoccare
una scintilla, ottenendo uno scoppio, in
seguito al quale il livello dell’acqua nella
parte inferiore del tubo saliva
sensibilmente; ciò mostrava che l’aria
infiammabile e anche una parte dell’aria
comune “svaniva”, lasciando nel tubo
solo aria “flogistizzata”, ossia priva di ossigeno.
Quando Volta realizzava questi esperimenti, non era ancora noto
che l’aria è un miscuglio di ossigeno e azoto e che la combustione
avviene quando il carbonio presente nel combustibile si combina
con l’ossigeno dell’aria. Volta realizza questi esperimenti anche
con idrogeno ed ossigeno. Nel 1782, a Parigi, li mostra a
Lavoisier. Un anno più tardi lo scienziato francese scoprirà la
composizione chimica dell’acqua. Durante le sue esperienze sulla
combustione dell’idrogeno con l’ossigeno
Volta aveva più volte osservato
l’apparizione sul vetro del contenitore di
una forma di rugiada. Tuttavia non
sospettò mai che potesse trattarsi di
acqua prodottasi dalla sintesi dell’acqua,
in quanto questa idea era abbastanza
lontana da quelle che erano in quegli anni
le sue conoscenze chimiche.
Durante i suoi esperimenti con
l’eudiometro, Volta realizza quindi la sintesi dell’acqua,
ma non può accorgersene perché il suo strumento
contiene acqua; la formazione di acqua in seguito alla
combustione dell’idrogeno non sfuggirà invece a
Lavoisier (1743-1794), che ripeterà gli esperimenti di
Volta con un eudiometro contenente mercurio.

Elettroscopio Condensatore
Si tratta di un elettroscopio a pagliuzze reso più sensibile
dall’aggiunta di due dischi condensatori.
L’asta di ottone che porta le pagliuzze sostiene un disco, pure di
ottone, ricoperto sulla faccia superiore da uno strato di vernice
isolante.
Un secondo disco d’ottone, fornito di un manico di vetro, viene
appoggiato sui primo, dal quale risulta isolato per mezzo della
vernice. L’elettrizzazione dello strumento avviene dapprima
ponendo un corpo elettrizzato a contatto con il disco superiore A
e toccando con un dito bagnato il disco inferiore B. Se il corpo è
elettrizzato positivamente (ossia è in eccesso di fluido), anche A
si elettrizza positivamente. Attraverso lo strato isolante, il fluido
presente in A respinge quello presente in B. Pertanto il disco
inferiore B si elettrizzerà negativamente nella faccia a contatto
con la resina e positivamente nella parte inferiore; attraverso lo
sperimentatore, non isolato da terra, il fluido elettrico viene
disperso a terra. Rimossi quindi il dito e il
corpo elettrizzato, le due facce a contatto con
la vernice isolante dei dischi dell’elettroscopio
restano elettrizzate di segno opposto le
pagliuzze dell’elettroscopio restano immobili
perché l’eccesso di fluido in A impedisce che la
carenza in B sia compensata dal fluido
presente nelle pagliuzze. Se però il disco A
viene allontanato, cessa questo vincolo. Il
fluido si ridistribuisce nell’elettroscopio e le
pagliuzze divergono. Con questo strumento
Volta rileva le deboli elettrizzazioni opposte
che si manifestano su due metalli di diversa
natura quando vengono posti a contatto fra loro e tale scoperta
rappresenta il punto di partenza delle ricerche che porteranno
all’invenzione della pila.

Pila
La pila di Volta è il primo generatore di corrente continua nella
storia dell’umanità che diede grande
spinta alla fisica e alla chimica
dell’Ottocento, è rivoluzionaria in
quanto diede inizio alla moderna era
dell’elettricità.
Oggi non tutti i manuali di fisica
pongono in evidenza l’importanza che
Volta, ideatore della pila, ha avuto
nella storia della scienza: nel testo di
Feynman (1918-1988), classico del
Novecento di didattica della fisica, il nome di Volta non è
nemmeno citato; mentre nella maggior parte degli altri è
ricordato per la scoperta del potenziale di contatto tra metalli e
perché l’unità di misura del potenziale elettrico (il Volt) prende il
nome da lui. È fuori di dubbio tuttavia che nessuno degli
esperimenti che nella prima metà dell’Ottocento porteranno alla
scoperta delle leggi dell’elettricità e del magnetismo sarebbe
possibile senza questo piccolo apparecchio, in apparenza così
semplice.

Fluido elettrico e Galvanico


Volta cerca di confermare le teorie di Galvani ripetendo gli
esperimenti. Le ripetute analisi e le rigorose misurazioni lo
convincono che il disequilibrio elettrico è dovuto al contatto dei
due metalli, la rana agendo come elettroscopio rivelatore: è
inesatto affermare che nella rana si sia condensata
dell’elettricità.
Galvani non si arrende: si accende una disputa tra galvaniani e
voltiani che continuerà dopo la morte di Galvani. Il dibattito
spinge Volta a realizzare altri esperimenti per sostenere la sua
tesi. Nel 1792 dà notizia all’abate Tomaselli di una sua
importante scoperta: dal contatto di conduttori diversi sprigiona
elettricità. Scopre le caratteristiche dell’elettricità continua
mediante esperimenti con coppie elettromotrici a dischi e a
bicchieri.
Galvani insiste, malgrado Volta sia riuscito a ottenere le
contrazioni della rana senza l’arco metallico, e cerca di
confermare le sue tesi togliendo i due metalli: Volta spiega il
risultato che sembra favorire Galvani: nervi e muscoli sono corpi
differenti e anche per essi vale il principio del contatto. Decide di
togliere di mezzo la rana. Volta, che nel 1796 aveva enunciato al
Professor Gren il principio generale dell’elettricità per contatto,
ripete l’esperimento con diversi tipi di metalli e di sostanze
liquide. Arriva così alla scoperta della Pila.
Sovrapponendo dischetti di zinco (polo negativo) e di rame (polo
positivo) e dischetti imbevuti di una soluzione acidulata ottiene
un «organo elettrico artificiale», la Pila appunto: può così
smentire Galvani, ma anche, risultato ben più importante,
provare che le piastre sono dei conduttori «debolmente carichi,
che agiscono incessantemente,
in modo che la loro carica si
ristabilisce da sé dopo ogni
scarica; che, in una parola,
forniscono una carica
illimitata, ovvero provocano
un’azione e propulsione
perpetua del fluido elettrico».
È la scoperta della corrente
elettrica (continua).
Pila a Colonna
Nella lettera a Sir Joseph Banks, presidente della Royal Society di
Londra, datata 20 marzo 1800, Volta descrive accuratamente la
costruzione di un nuovo strumento da lui stesso inventato e
denominato organo elettrico artificiale: «Mi procuro qualche
dozzina di piccole lastre rotonde o dischi di rame, di ottone, o
meglio di argento, su per giù di un pollice di diametro (come ad
esempio, monete) e un numero eguale
di dischi di stagno, o, ciò che è molto
meglio, di zinco, della medesima forma
e presso a poco della stessa grandezza:
dico presso a poco perché non è
necessaria una assoluta precisione, e, in
generale, la grandezza, come la forma,
dei dischi metallici è arbitraria: bisogna
soltanto che essi si possano disporre
comodamente gli uni sugli altri in
forma di colonna. Preparo inoltre un
numero assai grande di dischi di
cartone, di pelle, e di qualche altra
materia spugnosa, capace di assorbire e ritenere molto dell’acqua
o dell’umore di cui bisognerà che per il successo delle esperienze
esse siano ben inzuppate. Queste fette o dischi, che chiamerò
dischi inzuppati, li faccio un po’ più piccoli che i dischi o piatti,
metallici, affinché, interposti tra questi nel modo che dirò subito,
esse non sporgano. Avendo sotto mano tutti questi pezzi in
buono stato, cioè a dire i dischi metallici ben adatti e secchi, e gli
altri non metallici ben inzuppati d’acqua semplice, o, ciò che è
molto meglio, di acqua salata, e asciugati in seguito leggermente,
in modo che l’umore non sgoccioli, non ho che da disporli come
conviene; e questa disposizione è
semplice e facile.
Pongo dunque orizzontalmente su una
tavola a base qualunque, uno dei piatti
metallici, per esempio uno d’argento, e
su questo primo vi adatto un secondo
di zinco; su questo secondo adatto dei
dischi inzuppati, poi un altro piatto
d’argento, seguito immediatamente da
un altro di zinco, al quale faccio
succedere ancora un disco inzuppato.
Continuo così nella stessa maniera,
accoppiando un piatto d’argento con uno di zinco, e sempre nel
medesimo senso, cioè a dire, sempre l’argento sotto e lo zinco
sopra; o viceversa, secondo come ho incominciato e
interponendo a ciascuna di queste coppie un disco inzuppato,
continuo, dico, a formare con parecchi di questi strati una
colonna tanto alta che si possa sostenere senza crollare.
Ora, se questa colonna arriva a contenere circa 40 di questi strati
o coppie di metalli, essa sarà già capace, non solamente di far
dare dei segni all’elettrometro di Cavallo, fornito del
condensatore oltre i 10 o 12 gradi, di scaricare questo
condensatore, con un semplice contatto al punto di fargli dare
una scintilla ecc., ma anche di colpire le dita con le quali si
toccano le due estremità (la testa e il piede di una tale colonna),
d’uno o di più piccoli colpi, più o meno frequenti, secondo che si
ripetono questi contatti.”
Tale strumento imitava gli effetti di una bottiglia di Leyda ma, a
differenza di questa, non doveva essere caricato ogni volta che lo
si voleva utilizzare; in altre parole esso produceva una
“circolazione senza fine del fluido elettrico” che “può parere un
paradosso, può essere inesplicabile: ma essa non è peraltro meno
vera e reale e si tocca per così dire con mano».
Nel seguito della lettera, scritta in francese, l’organo elettrico
artificiale è detto anche “appareil à colonne” che i francesi
modificarono in “appareil à pile”, da cui il nome di ‘pila”.

Pila a Corona di Tazze


Volta crea un’altra versione del suo apparecchio, la serie di tazze:
«Si dispone dunque una serie di più tazze o coppe, di una
qualsivoglia materia, eccettuato il metallo, tazze di legno, di
scaglie, di terra, o meglio di cristallo (dei piccoli bicchieri per
bere o ciotole sono i più indicati) riempiti a metà di acqua pura, o
meglio di acqua salata o di
usciva; e si fanno comunicare
tutte, se ne forma una specie di
catena, mediante altrettanti
archi metallici, di cui un
braccio Aa, o solamente
l’estremità A, che è immersa in
una delle ciotole, è di rame
rosso, o giallo, o meglio di
rame

argentato, e l’altra Z, che è immersa nella


ciotola seguente, è di stagno o meglio di
zinco. Io osserverò qui di passaggio, che la
usciva e gli altri liquidi alcalini sono
preferibili, quando uno dei metalli che deve
essere immerso è lo stagno; l’acqua salata è
invece preferibile quando sia lo zinco. I due
metalli di cui si compone ciascun arco, sono saldati insieme, in
una parte qualsiasi, al di sopra di quella che è immersa nel
liquido; e che deve toccarlo con una superficie sufficientemente
larga; perciò è conveniente che questa parte sia di un pollice
quadrato o poco meno; il resto dell’arco quando si voglia più
stretto è anche un semplice filo metallico. Può anche essere di un
terzo metallo, differente dai due che sono immersi nel liquido dei
bicchieri; poiché l’azione sul fluido elettrico, che risulta da tutti i
contatti dei diversi metalli che
si succedono
immediatamente, la forza con
la quale questo fluido si trova
spinto alla fine, è
assolutamente la stessa, o
quasi, di quella che esso
avrebbe ricevuto dal contatto
immediato del primo metallo con l’ultimo, senza alcun metallo
intermediario, come io ho verificato con esperienze dirette».

L’Effetto Volta
Lo studio della tensione di contatto tra due o più
metalli tra loro collegati in circolo condusse
Volta a scoprire quello che oggi noi chiamiamo
Effetto Volta. Lo scienziato stabilì poi una
distinzione tra i conduttori di prima classe
(conduttori secchi, ovvero metalli) e di seconda
classe (conduttori umidi, ovvero soluzioni di
acidi, basi e sali).
Volta durante la disputa con Galvani acquisisce
questi risultati fondamentali:
● Il primo riguarda lo squilibrio elettrico al
contatto tra due conduttori metallici
diversi, ossia l’ultimo scoperto; nella sua corretta
interpretazione, esso è riconducibile al cosiddetto “effetto
Volta” ossia, in termini di oggi, al fatto che si stabilisce una
differenza di potenziale elettrico tra i punti esterni di due
metalli diversi a contatto tra loro.
● Il secondo, riguarda l’impossibilità di produrre una corrente
elettrica permanente nelle catene chiuse costituite da soli
metalli diversi e in numero a priori qualsiasi.
● Il terzo, che quando si inserisce un conduttore umido (per
es. cartone imbevuto di acqua salata) tra due metalli diversi
– o, reciprocamente, se ne inserisce uno metallico tra due
umidi diversi – ossia si realizza un sistema di tre conduttori
diversi a contatto così da formare un “singolo elemento
voltaico” aperto e poi si portano a contatto tra loro i due
metalli (per es. mediante un filo della natura di uno dei
due), si stabilisce, nell’arco chiuso così costituito, una
corrente elettrica permanente.
Da queste osservazioni si ricavano le tre leggi:
● prima legge: il contatto tra due metalli diversi alla stessa
temperatura fa sì che si stabilisca una differenza di
potenziale caratteristica della natura dei metalli che non
dipende dall’estensione del contatto (effetto Volta).
● seconda legge: in una catena di conduttori metallici diversi
tra loro e posti alla stessa temperatura, la differenza di
potenziale tra i due metalli estremi è la stessa che si avrebbe
se essi fossero a contatto diretto.
● terza legge: tra due metalli della stessa natura si ha una
differenza di potenziale se essi sono gli estremi di una
catena di conduttori della quale fanno parte due metalli
diversi con interposto un conduttore di seconda classe.

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