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In questo modulo viene delineato il percorso di queste scoperte ed invenzioni.

Particolare importanza viene data alla storia delle rivoluzioni industriali e ci si


sofferma su quella attuale, la quarta, della quale si cerca di comprenderne
l’evoluzione e le implicazioni. Parte di questa rivoluzione è la sempre maggiore
digitalizzazione che ha inciso profondamente anche nel settore della distribuzione
dell’energia elettrica.

1. STORIA DELL’ELETTRICITÀ E DELLE SUE APPLICAZIONI INDUSTRIALI

1.1. Dall’antichità al Settecento

I fenomeni elettrici sono noti fin dall’antichità. Infatti le parole


“elettricità”, “elettrotecnica”, ecc., derivano il loro nome dal
greco elektron, che significa "ambra", poiché il filosofo Talete da
Mileto (624 – 546 a.C.), uno dei Sette Savi dell'Antica Grecia,
osservò che un frammento di ambra, se strofinato con lana o
pelli d’animale, attira a sé dei frammenti di sughero, capelli o
piume. Le prime notizie sicure tuttavia ci arrivano da Platone
(428 – 348 a.C.) che nel dialogo “Timeo” parla delle "meraviglie
riguardanti l'attrazione dell'ambra". Plinio il Vecchio scriverà di simili esperimenti
nel 70 d.C. nella sua "Storia Naturale" dove parlerà anche della scossa che
trasmettono le torpedini.

Anche noi possiamo ripetere la stessa esperienza. Normalmente possiamo


utilizzare, al posto dell'ambra, una bacchetta di bachelite, che ha
pressappoco le stesse proprietà elettriche e
attira frammenti di carta. La stessa cosa si
verifica con una bacchetta di vetro. Più tardi
si è scoperto che a questi materiali sono legati
due tipi di elettrizzazione: quella vetrosa
(bacchetta di vetro) o positiva e quella
resinosa (bacchetta di bachelite) o negativa, e i due tipi di carica
elettrica tendono ad attrarsi.
Questi fenomeni sono rimasti per secoli una semplice curiosità. Agli
inizi del Medio Evo si scoprì che le proprietà dell'ambra erano
comuni ad altri materiali, quale la varietà di carbone nero e
compatto nota come "giaietto". Pare che le prime osservazioni
scritte su questa proprietà del giaietto siano quelle di Beda il
Venerabile (673-735), un monaco inglese che scrisse la grande
opera storica Historia ecclesiastica gentis anglorum. In questo libro
Beda scrive che: "il giaietto, come l'ambra, quando viene riscaldato per attrito, si
attacca a qualsiasi cosa gli si avvicini". Beda fece confusione circa le cause del
fenomeno e bisogna arrivare fino al XVII secolo per vedere un altro passo nella
direzione giusta.

Anche se non si è occupato direttamente dello studio dei fenomeni


elettrici, non può mancare qui un riferimento allo scienziato italiano
Galileo Galilei (1564 – 1642). Ebbe il merito di aver introdotto
formalmente il metodo scientifico, sottolineando l’importanza
dell'osservazione empirica, che portò a considerare "scienza" solo
quel complesso di conoscenze ottenute dall'esperienza e a questa
funzionali: secondo una celebre formula dello scienziato pisano, cioè, il libro della
natura è scritto in leggi matematiche e, per poterle capire, è necessario eseguire
esperimenti con gli oggetti che essa ci mette a disposizione. Galilei ha introdotto un
modo di fare scienza basato sugli strumenti e famoso è il suo aforisma “misura ciò
che è misurabile e rendi misurabile ciò che non lo è”.

Solo verso la fine del XVI secolo il medico e fisico inglese William
Gilbert (1544 – 1603), famoso per i suoi studi sul magnetismo, fu il
primo uomo a capire che l'attrazione dell'ambra non era dovuta al
magnetismo ma a qualcosa di diverso che chiamò elettricità
(electrica) derivando questo nome dal nome greco dell'ambra
"electron". L'osservazione dell'attrazione in sostanze differenti gli
fece capire come l'elettricità non fosse una proprietà delle singole
sostanze, ma fosse un "fluido" (effluvium) che poteva essere prodotto con lo
strofinamento dei corpi. Egli descrisse in modo accurato i suoi esperimenti nel libro
"De magnete magneticisque corporibus et de magno Tellure Physiologia",
pubblicato a Londra nel 1600.
Gilbert si accorse anche che non si possono separare i poli di una
calamita: il disegno qui a sinistra illustra come tagliando in due
una calamita si ottengono due calamite e non due mezze
calamite. Gilbert inoltre fu il primo uomo a ipotizzare che la
terra fosse una grande calamita e che l'ago della bussola fosse
attratto dai poli magnetici della terra, coincidenti con i poli geografici. Prima di lui
si pensava che l'ago magnetico fosse guidato da forze celesti. Gilbert era convinto
che si potesse arrivare a misurare la latitudine anche con tempo nuvoloso
semplicemente impiegando la bussola.

Gli studi di Gilbert del 1600 furono utilizzati da uno scienziato


tedesco, Otto von Guericke (1602-1686). È noto per aver inventato
la prima pompa pneumatica per la creazione del vuoto: in questo
modo l’attrazione tra corpi elettrificati diventava più semplice,
poiché l’aria non rappresentava più un ostacolo. Fu anche il creatore
della prima macchina elettrostatica capace di produrre una scarica
elettrica (1672): si trattava di un grande pallone di zolfo che lo
scienziato elettrificava sfregandolo con le mani. Questi rudimentali strumenti gli
permisero di scoprire, oltre alle proprietà elettriche che riuscivano a sviluppare gli
oggetti appuntiti, anche il fenomeno della conduzione elettrica, cioè la capacità di
questa energia di trasmettersi attraverso determinati corpi.

Il gesuita, filosofo e matematico italiano Niccolò Cabeo (1586 - 1650),


nell’opera Philosophia magnetica, stampata a Ferrara nel 1629,
definiva il fenomeno della repulsione elettrica. Nel 1706 lo scienziato
britannico Francis Hauksbee (1660-1713) compì dei veri e
propri studi sulle forze di attrazione e repulsione fra corpi
elettrizzati. In particolare ponendo una piccola quantità di mercurio in
un generatore di Otto von Guericke, da lui modificato, osservò un
fenomeno di luminescenza che è alla base del funzionamento delle
lampade al neon e a vapori di mercurio.

Durante il XVIII secolo gli studi sperimentali aumentarono sempre di


più e ben presto furono scoperti altri effetti. Nel 1729 l’inglese
Stephen Gray (1667-1736) constatò che l'elettricità si può trasferire
per contatto. Gray comunicò ad alcuni membri della Royal Society
che la "virtù elettrica" di un tubo di vetro strofinato poteva essere
trasmessa ad altri corpi, sia per contatto diretto, sia collegando il
corpo carico con un altro scarico mediante un filo metallico. Era
ormai chiaro che l'elettricità poteva essere separata dal corpo nel quale era stata
prodotta. Essa non era quindi una proprietà esclusiva di certi materiali.
La figura illustra come, con un tubo di vetro elettrizzato, si possa caricare un corpo
sospeso (isolato) toccando il filo metallico che sorregge la persona e non
direttamente la persona. Gray scoprì anche
l’elettrificazione per influenza: è possibile elettrificare
un corpo a distanza, senza contatto diretto. Nel suo
lavoro, pubblicato nel 1731, descrisse l’esistenza di
due gruppi di corpi con proprietà molto diverse, vale a
dire isolanti e conduttori. Nel caso degli isolanti, le
cariche generate per strofinio rimangono in corrispondenza della zona strofinata e
non si spostano lungo il materiale. Un isolante strofinato non viene scaricato col
metterlo a contatto con il suolo. Nei conduttori, al contrario, le cariche generate per
strofinio si distribuiscono immediatamente sull’intera superficie del conduttore. Se
un conduttore carico entra in contatto con il suolo, esso si scarica subito, cedendo
la sua carica elettrica alla terra.

Nel 1733, il fisico e chimico francese Charles François de Cisternay du


Fay (1698-1739) apportò un contributo fondamentale alla storia
dell’elettricità. Egli scoprì che esistevano due tipi di elettricità (ciò che
oggi definiamo cariche elettriche): un primo tipo ottenuto dallo
sfregamento del vetro, da lui chiamata elettricità vetrosa (propria del
vetro, dei cristalli o di gemme strofinate con seta), e un secondo tipo
ottenuto strofinando corpi resinosi, chiamata elettricità resinosa (ambra o resina
strofinata con pelli di animali). La sostanza che strofina si carica di elettricità
opposta. Due corpi con la stessa carica elettrica si respingono l’uno con l’altro,
mentre quelli con una carica elettrica diversa si attraggono. Grazie a questa
scoperta, anni dopo Benjamin Franklin adotterà i concetti di elettricità positiva e
negativa.

1745 il fisico olandese Pieter van Musschenbroek (1692 – 1761)


presentò alla comunità scientifica internazionale la sua invenzione, la
bottiglia di Leida, primo condensatore elettrico, così chiamata dal
nome della più antica università dei Paesi Bassi nella città di Leida,
dove egli era docente. La bottiglia di Leida è una bottiglia di vetro circondata
all’interno e all’esterno da sottili strati metallici. Il rivestimento interno fa capo
all’elettrodo di un generatore elettrostatico mentre il vetro funge da dielettrico.

Gray e du Fay non avevano descritto l'elettricità come un fluido, ma


come una condizione che poteva essere indotta nella materia. Fu
l'abate Jean-Antoine Nollet (1700-1770), precettore della famiglia
reale francese, professore all'Università di Parigi, ed assistente del
du Fay, ad interpretare i due tipi di elettricità di du Fay come due tipi
distinti di fluido elettrico, uno vetroso e l'altro resinoso.
A sinistra è rappresentato un esperimento dell'abate Nollet.
Una dama carica di elettricità (per contatto con la macchina
elettrostatica) sta per trasmettere la scossa al suo
spasimante sospeso (isolato) da terra. Il Nollet è noto anche
per aver fatto conoscere in Francia la bottiglia di Leida, della
quale realizzò una sua versione, e ipotizzò che i fuochi di
Sant'Elmo e i fulmini fossero dovuti a cariche elettriche. Si deve a lui l'invenzione di
numerosissimi strumenti utilizzati a scopo didattico.

Nel 1746 il fisico e scienziato inglese Sir William Watson (1715-1787)


riuscì ad aumentare la capacità elettrica della bottiglia di Leida,
rivestendone le pareti interne ed esterne con carta stagnola e propose
che i due tipi di elettricità (vetrosa e resinosa) scoperti da du Fay
costituissero un’eccedenza (carica positiva) o una deficienza (carica
negativa) di un unico fluido, che egli chiamò etere elettrico, e che la quantità di
carica elettrica era conservata. Nel 1747 dimostrò che una scarica elettrostatica si
propagava meglio nel vuoto che attraverso l’aria.

Alla stessa conclusione del fluido unico, ma in maniera


indipendente giunse lo scienziato e politico statunitense
Benjamin Franklin (1706-1790). Poliedrico negli interessi, egli fu
uno dei Padri fondatori degli Stati Uniti e tra i protagonisti della
Rivoluzione americana. Svolse anche attività di giornalista,
pubblicista, autore, tipografo, diplomatico, attivista e inventore.
Nel 1743 a Boston Franklin assistette ad un corso di filosofia
sperimentale tenuto dal Dr. Adam Spencer, professore scozzese, nel corso del quale
egli effettuò degli esperimenti con fenomeni elettrici. Interessatosi all’argomento,
subito dopo Franklin incaricò il suo corrispondente da Londra, il naturalista Peter
Collinson, di spedirgli tubi di vetro e altre attrezzature con le quali costruì il
laboratorio in casa sua. Si dedicò quindi a ricerche sui fenomeni elettrici, che si
conclusero intorno al 1750 in una teoria elettrostatica basata sull'ipotesi
dell'esistenza di un unico fluido elettrico (in contrapposizione alla teoria dei due
fluidi con proprietà opposte) consistente in “particelle impercettibili” e la cui
quantità maggiore o minore nei varî corpi avrebbe prodotto le proprietà elettriche
osservate sperimentalmente.

La cosiddetta sequenza tribolettrica è un elenco di sostanze messe in ordine in


funzione della loro tendenza a caricarsi positivamente (+) o negativamente (-).
Figura 41 - Sequenza triboelettrica

Egli enunciò inoltre l'importante legge della conservazione del fluido elettrico.
Secondo le sue conclusioni un corpo scarico ha carica positiva uguale alla carica
negativa: la carica elettrica non viene né creata né distrutta, ma solo trasferita.
Franklin ebbe qualche difficoltà a spiegare la repulsione tra cariche dello stesso segno
e l’attrazione tra cariche di segno opposto. Egli suppose che l'elettricità respingesse
sé stessa e attirasse la materia che la contiene. Erano così spiegati tutti i casi pratici
meno uno: la repulsione che si verifica tra corpi carichi di elettricità "resinosa", che
secondo la teoria di Franklin non avrebbe dovuto aver luogo.
Le ipotesi di Franklin possono accordarsi con le teorie moderne: gli atomi che
costituiscono la materia sono infatti composti da due tipi di particelle cariche, i
protoni (positivi) e gli elettroni (negativi), solo che, a differenza di quanto
immaginavano Franklin e i suoi predecessori, le particelle mobili portatrici di carica
sono generalmente gli elettroni negativi.
Nel 1752 Franklin fece il suo celebre esperimento con l'aquilone mediante il quale
dimostrò che il fulmine era un fenomeno di natura elettrica, una specie di scintilla
gigante. Unendo le sue intuizioni con le scoperte di Von Guericke sugli oggetti
appuntiti, inventò il parafulmine. Si trattava di una canna che terminava con una
forma appuntita, la quale, collocata sugli edifici o sulle navi, riusciva a tenerli al sicuro
dai fenomeni elettrici delle nubi.

Nel 1780 l'anatomista italiano Luigi Galvani (1737-1798), fisiologo


dell’Università di Bologna, analizzò i muscoli delle zampe di rana,
scoprendo che questi muscoli mostravano curiose proprietà
elettriche non appena entravano in contatto con due metalli di
natura diversa. Compì quindi esperimenti sulle rane sottoponendole
a modeste o forti scariche elettriche. Nel 1791 pubblicò i suoi
risultati nella sua opera più importante intitolata De viribus
electricitatis in motu musculari commentarius. Dalle sue ricerche Galvani concluse
che la contrazione dei muscoli era dovuta all’esistenza di un’elettricità intrinseca
all’organismo, esistente in condizione di sbilancio nelle fibre muscolari e circolante
nelle fibre nervose. La scoperta dell’elettricità animale suscitò un immediato
interesse nella comunità scientifica di fine Settecento, e un gran numero di studiosi
ripeté gli esperimenti di Galvani e ne discusse le teorie.

Le prime verifiche sperimentali realmente convincenti sulle forze in


gioco nel campo elettrico furono eseguite nel 1785 da Charles
Augustine de Coulomb (1736-1806), un ingegnere militare francese
che si era ritirato dalla carriera per problemi di salute. Dopo aver
effettuato esaurienti esperimenti sugli attriti nei cantieri navali di
Rochefort venne eletto membro dell'Accademie des Sciences. Tra il
1785 e il 1791 pubblicò i risultati delle sue ricerche sul magnetismo e sull'elettricità.
Per misurare le forze del campo elettrico impiegò un dispositivo di
sua invenzione, la bilancia di torsione tra sferette di midollo di
sambuco. Nel 1794, Coulomb determinò la legge che regola
l'attrazione e la repulsione tra due cariche elettriche. La legge di
Coulomb (Coulomb’s law) è una legge analoga a quella di
gravitazione universale di Newton. La forza di attrazione o
repulsione è proporzionale al prodotto delle cariche ed
inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra di esse.

1.2. La prima rivoluzione industriale

Sono questi anche gli anni della prima rivoluzione industriale. Essa cominciò a
svilupparsi intorno al 1760 ed avrebbe coperto il periodo compreso fino al 1840.
L’aumento delle conoscenze scientifiche di quegli anni si trasformavano in aumento
di conoscenze tecniche e tecnologiche, che furono applicate nelle prime fabbriche
tessili e nell’industria siderurgica e nel sempre maggiore utilizzo della macchina a
vapore. Questa trasformazione incise profondamente sul sistema economico e sui
consumi energetici.
La rivoluzione fu caratterizzata da grandi transizioni che cambiarono le economie
esistenti nei diversi continenti. Tuttavia gli sviluppi dei primi studi sui fenomeni
elettrici non contribuirono a questa rivoluzione, e ci vorrà ancora un secolo prima che
le scoperte nel settore dell’elettricità potessero incidere significativamente su queste
trasformazioni. Saranno invece determinanti per le successive rivoluzioni industriali.
In tutto se ne contano quattro e forse attualmente siamo all’inizio di una quinta.

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