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Solo verso la fine del XVI secolo il medico e fisico inglese William
Gilbert (1544 – 1603), famoso per i suoi studi sul magnetismo, fu il
primo uomo a capire che l'attrazione dell'ambra non era dovuta al
magnetismo ma a qualcosa di diverso che chiamò elettricità
(electrica) derivando questo nome dal nome greco dell'ambra
"electron". L'osservazione dell'attrazione in sostanze differenti gli
fece capire come l'elettricità non fosse una proprietà delle singole
sostanze, ma fosse un "fluido" (effluvium) che poteva essere prodotto con lo
strofinamento dei corpi. Egli descrisse in modo accurato i suoi esperimenti nel libro
"De magnete magneticisque corporibus et de magno Tellure Physiologia",
pubblicato a Londra nel 1600.
Gilbert si accorse anche che non si possono separare i poli di una
calamita: il disegno qui a sinistra illustra come tagliando in due
una calamita si ottengono due calamite e non due mezze
calamite. Gilbert inoltre fu il primo uomo a ipotizzare che la
terra fosse una grande calamita e che l'ago della bussola fosse
attratto dai poli magnetici della terra, coincidenti con i poli geografici. Prima di lui
si pensava che l'ago magnetico fosse guidato da forze celesti. Gilbert era convinto
che si potesse arrivare a misurare la latitudine anche con tempo nuvoloso
semplicemente impiegando la bussola.
Egli enunciò inoltre l'importante legge della conservazione del fluido elettrico.
Secondo le sue conclusioni un corpo scarico ha carica positiva uguale alla carica
negativa: la carica elettrica non viene né creata né distrutta, ma solo trasferita.
Franklin ebbe qualche difficoltà a spiegare la repulsione tra cariche dello stesso segno
e l’attrazione tra cariche di segno opposto. Egli suppose che l'elettricità respingesse
sé stessa e attirasse la materia che la contiene. Erano così spiegati tutti i casi pratici
meno uno: la repulsione che si verifica tra corpi carichi di elettricità "resinosa", che
secondo la teoria di Franklin non avrebbe dovuto aver luogo.
Le ipotesi di Franklin possono accordarsi con le teorie moderne: gli atomi che
costituiscono la materia sono infatti composti da due tipi di particelle cariche, i
protoni (positivi) e gli elettroni (negativi), solo che, a differenza di quanto
immaginavano Franklin e i suoi predecessori, le particelle mobili portatrici di carica
sono generalmente gli elettroni negativi.
Nel 1752 Franklin fece il suo celebre esperimento con l'aquilone mediante il quale
dimostrò che il fulmine era un fenomeno di natura elettrica, una specie di scintilla
gigante. Unendo le sue intuizioni con le scoperte di Von Guericke sugli oggetti
appuntiti, inventò il parafulmine. Si trattava di una canna che terminava con una
forma appuntita, la quale, collocata sugli edifici o sulle navi, riusciva a tenerli al sicuro
dai fenomeni elettrici delle nubi.
Sono questi anche gli anni della prima rivoluzione industriale. Essa cominciò a
svilupparsi intorno al 1760 ed avrebbe coperto il periodo compreso fino al 1840.
L’aumento delle conoscenze scientifiche di quegli anni si trasformavano in aumento
di conoscenze tecniche e tecnologiche, che furono applicate nelle prime fabbriche
tessili e nell’industria siderurgica e nel sempre maggiore utilizzo della macchina a
vapore. Questa trasformazione incise profondamente sul sistema economico e sui
consumi energetici.
La rivoluzione fu caratterizzata da grandi transizioni che cambiarono le economie
esistenti nei diversi continenti. Tuttavia gli sviluppi dei primi studi sui fenomeni
elettrici non contribuirono a questa rivoluzione, e ci vorrà ancora un secolo prima che
le scoperte nel settore dell’elettricità potessero incidere significativamente su queste
trasformazioni. Saranno invece determinanti per le successive rivoluzioni industriali.
In tutto se ne contano quattro e forse attualmente siamo all’inizio di una quinta.