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BRUXELLES - Secondo la polizia è lui il motore dell’organizzazione. Antonio Panzeri.

E con lui c’è


un “circolo”. Fatto di italiani o di “italianizzati”, dentro il gruppo di S&D, i socialisti
all’Europarlamento. La sua biografia, del resto, parla chiaro: per anni è stato segretario generale
della Camera del Lavoro di Milano per poi approdare al Parlamento europeo nel 2004. Una storia
tutta a sinistra, nella Cgil, nel Pds e nei Ds. Eletto nel Pd. Una vita politica molto vicina a Massimo
D’Alema. E infatti lascia iDemocratici nel 2017 per aderire ad Articolo 1 insieme all’ex premier. Non è
un caso che nella scorsa legislatura, il “collega” con il quale lo si vedeva più spesso era Sergio
Cofferati, lo storico ex segretario della Cgil.
A Strasburgo si è costantemente occupato di diritti umani e del Maghreb. Forse anche per questo nel 2019
ha fondato la Ong Fight Impunity che è ora entrata nell’occhio del ciclone. Ma anche durante il suo ultimo
mandato a Strasburgo qualche piccolo guaio loha avuto: era finito in una inchiesta interna per rimborsi di
viaggi legati alla sua Associazione “Milano+ Europa” che l’amministrazione considerava non idonei: 83
mila euro.
Ma chi c’è dentro il suo “circolo”? Ci sono legami che vanno oltre la politica e sfiorano le vicende familiari.
Francesco Giorgi, ad esempio, che nella sede del Parlamento europeo viene costantemente “eletto” dalle
deputate e dalle funzionarie come il “più bello” del Palazzo, è tra i fermati dalla polizia belga. Chi è? Nella
scorsa legislatura era l’assistente proprio di Panzeri. Quando quest’ultimo ha rinunciato alla candidatura, ha
- per così dire - “passato” il suo collaboratore ad un altro eurodeputato Pd: Andrea Cozzolino. Non è un
caso, allora, che proprio Cozzolino in alcune recenti votazioni sulla risoluzione contro il Qatar sia stato tra i
“dissidenti” del gruppo astenendosi in alcune circostanze.
Ma Giorgi, che per gli inquirenti di Bruxelles è una sorta di “testa di legno”, ha fatto una scalata ulteriore
nelle gerarchie europee: è infatti il compagno della vicepresidente dell’Assemblea, la greca Kaili. Proprio
quella fermata e perquisita ieri dalla polizia. E in questo circolo, seppure senza alcun coinvolgimento nelle
inchiesta allo stato, figura un altro eurodeputato: Mark Tarabella. Belga eppure di origini italiane. Di lui
raccontano che, insieme a Cozzolino e Kaili, abbia difeso le ragioni del Qatar nella riunione del gruppo
S&D a Strasburgo prima della votazione proprio sulla risoluzione che invece metteva sotto accusa le
inciviltà di Doha.
Nelle perquisizioni effettuate ieri, del resto, sono stati coinvolti uffici di diversi eurodeputati che poi non
sono stati inseriti formalmente nelle carte dell’inchiesta e contro i quali non è stata mossa alcuna accusa. Tra
questi proprio Tarabella. E l’ufficio di un altro assistente, impegnato nella Ong Fight Impunity e che
collabora anche con la parlamentare belga e socialista di origini italiane, Maria Arena.
Nel “circolo”, poi, figura anche Luca Visentini. Sebbene l’origine sindacale sia diversa da quella di Panzeri,
il suo “marchio” è la Uil del Friuli. La sua vita è trascorsa tra l’organizzazione del sindacato europeo e
quello mondiale. Eppure era un nome di riferimento. Quando Enrico Letta si è presentato una decina di
giorni fa a Bruxelles per presentare il percorso congressuale dei Democratici, è stato accompagnato dal
vicepresidente della Commissione, l’olandese Frans Timmermans. Con il suo italiano dallo spiccato accento
romanesco, provava a confortare il segretario dimissionario dei Dem. E Letta ha risposto: «Frans, ti vedo
carichissimo. Perchè non lo fai tu il segretario del Pd? Saresti perfetto ». E prima che rispondesse, lo ha
interrotto l’eurodeputata Patrizia Toia: «Ma no, facciamolo fare a lui, a Visentini...».

BRUXELLES — Una vera e propria tempesta giudiziaria si sta abbattendo sul Parlamento europeo. Una
storia di soldi e corruzione. Fatta esplodere dal giornale belga Le Soir .I magistrati belgi hanno messo
ieri a soqquadro una parte di Palazzo Europa. E al centro del ciclone c’è il gruppo socialista. In
particolare nella sua derivazione italiana. Almeno questa è l’opinione degli inquirenti.
Un filo rosso che parte dal Qatar e arriva dritto dritto in Italia. Al momento sono cinque le persone fermate.
Quattro sono italiani e nelle carte dell’inchiesta i primi due sono segnati in rosso: Antonio Panzeri e Luca
Visentini. Il primo è un ex parlamentare europeo del gruppo socialista. Che aveva lasciato il Pd per aderire
ad Articolo 1. L’altro è il segretario della Confederazione mondiale dei sindacati e già capo della
Confederazione europea. Un passato alla Uil. Gli altri due nomi italiani, che vengono considerati degli
“operativi”, sono Francesco Giorgi, assistente parlamentare dei Socialisti, e Niccolò Figà-Talamanca, della
Ong No Peace Without Justice. Organizzazione legata a Emma Bonino.
Ma ce n’è un quinto. Ed è clamoroso: si tratta della vicepresidente del parlamento europeo, la greca Eva
Kaili, ora sospesa sia dal gruppo socialista che dal Pasok. Non solo. Nella rete sono finiti anche la moglie e
la figlia di Panzeri, entrambe arrestate a Bergamo sulla base di un mandato di cattura internazionale.
A Bruxelles tutti i fermati e i coinvolti verranno interrogati nelle prossime 48 ore dai magistrati. La
decisione da prendere è se trasformare il fermo in un vero e proprio arresto. Ma va tenuto presente che per i
parlamentari in carica vale il principio dell’immunità parlamentare. L’accusa è di corruzione ed è legata
all’organizzazione dei mondiali di calcio in Qatar. Un’operazione volta ad “ammorbidire” le critiche sul
Paese che sta ospitando la competizione e che non rappresenta certo un campione nella difesa dei diritti
civili.
La procura federale belga, in realtà, ha annunciato gli arresti ma ha evitato di identificare i sospettati e la
loro nazionalità. I primi tre nomi, però, alla fine sono stati rintracciati. Così come gli inquirenti hanno
ammesso che è proprio il Qatar l’altra faccia di questa medaglia giudiziaria. Secondo il giudice istruttore, i
sospetti sul paese del Golfo riguardano i tentativi di «influenzare le decisioni economiche e politiche del
Parlamento europeo» effettuati «versando ingenti somme di denaro o offrendo doni importanti ». E secondo
le prime indagini, i beneficiari di questi doni detengono una «una posizione politica e/o strategica
significativa» all’interno del Parlamento.
Per di più non è escluso che in tutto questo giro di soldi e regali, si possa configurare anche il «riciclaggio di
denaro». Perché secondo gli inquirenti, il gruppo agiva con i metodi di una banda organizzata.
La polizia ha sequestrato diversi documenti, anche negli uffici dell’Europarlamento, e soprattutto tanti soldi
in contanti: 600 mila euro. Una quota maggioritaria nella casa di Panzeri. Le perquisizioni in totale sono
state sedici. Per la “bolla” di Bruxelles è davvero un fulmine che ha squarciato una immagine di
compostezza.
L’ex deputato europeo è ora a capo di una Associazione pe r i diritti umani, la Fight Impunity, e le indagini
ruotano proprio sull’attivita di questa Organizzazione.
«Si tratta di una operazione – ha spiegato la procura federale belga che ha preso di mira in particolare gli
assistenti parlamentari che lavorano all’interno del Parlamento europeo ». Quasi tutti i sospettati hanno dato
dimostrazione di intervenire periodicamente a favore dell’immagine del Qatar. Perché il cuore di ogni atto
ruotava sulla reputazione del Paese e sul successo dei mondiali di calcio.
Meno di venti giorni fa, ad esempio, nel corso di un dibattito
parlamentare nell’aula di Strasburgo, è stata votata una risoluzione di
censura del Qatar e in difesa dei diritti civili in quel Paese. L’intervento
di Eva Kaili, sebbene il gruppo socialista di S&D fosse dichiaratamente a
favore della risoluzione, si è segnalato per i suoi aspetti in chiaroscuro:
«La Coppa del mondo in Qatar aveva detto - è la prova di come la
diplomazia sportiva possa realizzare una trasformazione storica di un
Paese con riforme che hanno ispirato il mondo arabo». Ancora: «Il Qatar
è all’avanguardia nei diritti dei lavoratori». E ha chiuso: «Ci hanno
aiutato, sono negoziatori di pace».
Parole che hanno destato più di un sospetto e hanno evidentemente
richiamato anche l’attenzione della magistratura. Anche perché in
quell’occasione alcuni parlamentari, proprio del gruppo socialista, hanno
preferito astenersi in occasione del voto. Tra questi, di certo nel voto su
un emendamento, anche l’italiano Andrea Cozzolino.

Proababilmente, però, questo è solo l’inizio di una storia molto lunga. E che potrebbe avere nei prossimi
giorni nuovi sviluppi..
Coinvolti anche e il sindacalista Visentini l’assistente Giorgi e Figà-Talamanca, della Ong “No Peace
Without Justice”
DOHA — Il 20 novembre, quando l’arbitro italiano Orsato ha fischiato l’inizio del Mondiale Qatar
2022, un altro derby, di dimensioni storiche, ha preso il via. In tribuna, rompendo il gelo tra il Qatar e
l’Arabia Saudita, quattro anni di dispute politiche, sedevano l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani e il
principe saudita Mohammad bin Salman al Sa’ud. Missione di bin Salman, Mbs per i columnist,
tessere la diplomazia con Al Thani, in cerca di voti per Expo 2030, sognata dal suo Paese.
Sono rimaste in gara, saranno calci di rigore nelle cancellerie fino al novembre 2023, la capitale saudita
Riad, il porto sudcoreano di Busan, la città martire ucraina di Odessa e Roma. «Organizza la votazione il
“Bureau International des Expositions”, Bie, 170 paesi membri, sede a Parigi, segretario generale Dimitri
Kerkentzes -spiega un diplomatico europeo- i sauditi dichiarano di avere fra 60 e 66 voti in tasca, la vostra
premier Giorgia Meloni e il sindaco Roberto Gualtieri hanno un match tosto».
Expo vale, secondo uno studio Luiss, 45 miliardi di euro per l’indotto su Roma 2030-2035, e del resto
Milano Expo 2015, guidatadall’attuale sindaco Beppe Sala, è stata fulcro della ripresa come metropoli Ue.
Bin Salman ha fatto redigere un rapporto “Visione 2030” in cui disegna Riad, dopo il petrolio, da fucina di
eventi, turismo, business, con Neom (Nuovo Futuro), città utopica, area più vasta della Lombardia, 26.500
km2 a nord del Mar Rosso, che sorgerà dal nulla grazie a 600 miliardi di investimenti.
La Francia di Macron, la Cina di Xi, la Grecia hanno già deciso di votare Arabia Saudita, ma l’arcana regola
Bie assegna a ciascun paese un voto, i 300.000 abitanti delle Isole Vanuatu, nel Pacifico, contano quanto il
miliardo e 400 milioni di indiani. Per di più il suffragio è segreto e, in passato, scelte dei governi sono state
disattese, all’ombra delle urne da funzionari scaltri: Mbs voleva dunque voto palese, invano.
L’irruenza qatariota al Mondiale, azzerando riserve su diritti umani e rispetto delle regole via dispendio di
capitali, ha sollevato aspre critiche internazionali, e la strategia di bin Salman punta a azzittire le possibili
obiezioni evocando il passato coloniale Usa e Ue. L’Albania, sul punto di votare Roma, è stata ricondotta a
diverso parere, con seguito di polemiche politiche. Il principe saudita ha poi portato la battaglia in casa degli
avversari coreani, radunando nella sua suite all’hotel Lotte di Seul, il 17 novembre, i dirigenti di industria
per ammonirli: se Chey Tae-won, manager delegato a raccogliere consensi per Expo Busan, si darà troppo
da fare, sono a rischio 29 miliardi di investimenti sauditi, inclusi quelli per la megalopoli Neom. Intimidito
dalla presenza del principe saudita, il primo ministro coreanoHan Duck-soo non ha neppure appoggiato la
candidatura di Busan all’Apec, forum dell’Asia-Pacific Economic Cooperation per la sorpresa degli astanti.
Dal Qatar la nostra diplomazia, guidata dall’ambasciatore Paolo Toschi, sta lavorando con efficacia, di
conserva con la Farnesina, e un imprenditore italiano, attivo a Doha, deduce: «I voti raccolti dai sauditi
hanno due possibili etichette, Geopolitica o Affari. Cina, Francia, Emirati, Turchia, Egitto, Pakistan,
Indonesia rientrano nella prima categoria; Cuba, Perù, Kenya, Nigeria, Venezuela nella seconda». A Parigi,
al Bie, il pallottoliere registra il presidente di Capo Verde, Jose Maria Neves, che dopo incontri stile Hotel
Lotte, si dichiara per Riad, come l’ambasciatore cubano Gonzalez, folgorato dal ministro saudita Adel Al-
Jubeir, mentre per convincere Macron è servito bin Salman. Il sì del Madagascar arriva nella capitale
Antananarivo, summit fra il consigliere della Casa Reale saudita Ahmen vin Abdulaziz Qattan e il ministro
della Difesa e degli Esteri Léon Rakotonirina. La nazione polinesiana di Tonga cede il voto grazie al
ministro degli esteri Fekitamoeloa ‘Utoikamamu e al ministro del turismo Ahmed Al Khateeb.
Tecnologia, emigrazione, Neom, greggio, tutto è sul tavolo fra Sauditi- Resto del Mondo. Odessa, fredda e
buia per i bombardamenti, offre un meraviglioso padiglione dell’architetta Zaha Hadid e l’Italia le offre una
sinergia. Roma ha il Codacons, che denuncia al Bie «immondizia e buche stradali», e legge sul Giornale
dell’Architettura Fiorella Vanini, docente alla Prince Sultan University, a proposito di «Rivoluzione socio-
economica…» di bin Salman «…progetti visionari… la Princess Nourah bint Abdulrahman University, la
più grande università femminile al mondo…Neom ha l’ambizione di superare la dicotomia uomo-natura… il
principe Mbs non ha perso di vista l’immagine della capitale del regno, che da roccaforte dei conservatori…
si è trasformata in cuore pulsante del paese», toni già usati dal columnist New York Times Tom Friedman
che, nel 2017, era certo che «il processo di riforme più importante in Medio Oriente oggi è in Arabia
Saudita… il paese sta vivendo la sua primavera araba… per cambiare tono e tenore dell’Islam nel mondo».
Mondo che non conosceva il nome di Jamal Khashoggi, blogger trucidato al consolato saudita di Istanbul,
undici mesi dopo il lirico commento di Friedman.
Se i voti sauditi Expo 2030 divenissero maggioranza, quanti affari, quanti accordi, quanta propaganda snob
strideranno davanti alle violazioni dei diritti umani, come questi paragrafi? Non sarebbe meglio negoziare, e
ragionare fin che si può, al “Bureau International des Expositions”?

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