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Quale verità per Giulio Regeni?

GEOPOLITICACOLONIALISMOMULTINAZIONALI

By Leopoldo Salmaso On Gen 2, 2021 3,853

Giulio Regeni usato e poi sacrificato dai servizi segreti britannici

La Procura del Cairo afferma che l’operazione Regeni era made in


Intelligence… per minare i rapporti tra Egitto e Italia e gli importanti affari che
vi erano connessi.

di Fulvio Grimaldi
dal suo blog del 01/01/2021

“Quando i bambini negli spot TV, i media e le più alte cariche dello
Stato diventano imbonitori per conto altrui, il popolo intero abita in un
menzognificio”
(Prof. Salomone Viendalmare, Università di Spilimbergo, 1987)

Fallita l’Operazione Regeni, saltano le cautele diplomatiche

Perchè magistratura e governo egiziani hanno tardato tanto a dirla tutta, e chiara,
sull’operazione anglo-italiana di Giulio Regeni, nella quale si sono sporcati faccia,
mani e morale tutti i militanti politico-mediatico-sociali del bellicismo atlantista? Gli
stessi del dogma globalista detto pandemia?
Ciò che hanno evidenziato, afferma la Procura del Cairo, è che l’operazione
Regeni era made in Intelligence; che si è trattato di un complotto; che nella fine di
Regeni hanno agito due soggetti: la banda di malviventi che lo ha derubato (anche
dei documenti) e che muore nel conflitto a fuoco con la polizia, e un’entità
sconosciuta che lo ha eliminato.
Ritrovamento e successiva grancassa di accuse al governo Al Sisi hanno avuto lo
scopo di minare e impedire i rapporti tra Egitto e Italia e gli importanti affari
che vi erano connessi. Di conseguenza le indagini e conclusioni della Procura
sarebbero del tutto prive di fondamento e avrebbero mancato il bersaglio giusto.
Il discorso è di un’evidenza solare e suggerisce ai regenisti nostrani, un tempo
virulenti invettivisti, di mantenere il profilo bassissimo nel dare la notizia.

Immagino che si debba essere trattato di una precauzione diplomatica. Rivelando


una verità confortata, mica da tre, da decine di indizi probanti, si sarebbero
indicate precise responsabilità di due Stati “amici”, Regno Unito e Italia, con
conseguenti rischi di ritorsioni fino alla rottura. Ora, la tracotanza dei governi in
questione, l’accanimento sul nulla della calunnia mediatica da parte della
magistratura e stampa italiane, non hanno reso possibile mantenere questa
cautela. E poi, giustamente, al Cairo si sono rotti le palle.

La tessera Regeni nel mosaico delle “primavere arabe”

Una rivoluzione di popolo, dopo un anno di vessazioni e repressione di lavoratori,


laici e fedeli copti, affidò nel 2013 il paese alla forza, storicamente patriottica, dei
militari di Abdel Fatah Al Sisi. Conseguentemente, i neocolonialisti dell’Occidente
persero il loro principale caposaldo in Nord Africa e Medioriente. La Fratellanza
Musulmana, creata dai britannici e, da allora, fiduciaria della lotta al panarabismo
laico e socialista, portata al potere dal golpe elettorale di Mohammed Morsi (17%
dei voti, astensione di tutte le forze laiche), venne spazzata via. Per la collettività
araba, una vendetta trasversale per la distruzione della Libia e il linciaggio di
Gheddafi.

Stragi da urlo e stragi da silenzio


La sconfitta del loro proconsole in Egitto, Stato più grande e più importante del
mondo arabo, pianta da tutti media, con per insetto cocchiere la newsletter del
Deep State, “il manifesto”, fece innescare al colonialismo, alla Nato, al fratello
musulmano-Nato, Erdogan, del fratello musulmano Morsi, il braccio militare della
Fratellanza. Un terrorismo dalle varie denominazioni, Isis, Al Qaida, Boko Aram, SI,
ecc., già collaudato con successo in casa e fuori, dall’Europa al Maghreb, a Siria,
Iraq, Cecenia e poi Afghanistan, Sahel e Nagorno Karabakh. Da allora a oggi, anni
di massacri di esponenti istituzionali egiziani, di civili, militari e poliziotti. Una strage
continua, occultata dai media, tuttora in corso, sebbene Al Sisi sia riuscito a
confinarla nel Sinai. Una strage che è diventata una guerra allo Stato e al popolo
tutto, rispetto alla quale gli attentati in Europa, giustamente circondati
dall’esecrazione universale, sono episodi periferici.

Non poteva non essere attivata, da parte del neocolonialismo, già manipolatore
delle varie primavere, arabe e non, l’arma dello spionaggio e della
destabilizzazione. Un quadro nel quale va inserita tutta la vicenda Giulio Regeni,
iniziata nei covi del MI6 a Cambridge e proseguita dalle esperte centrali
locali: l’Università Americana del Cairo e le varie ONG locali, affiancate da
espressioni mimetizzate della CIA, come Amnesty International, NED, e HRW.

Amnes(t)y International
Devo dire che mi sono sentito abbastanza solo in questi anni, quando mi sono
occupato di Regeni in opposizione allo tsunami delle falsità e delle calunnie a voce
unica mediatica e politica. La mia narrazione degli eventi, basata su dati di fatto e
logica difficili da contraddire, non ha, infatti, mai ricevuto smentite. S’è preferito star
zitti, piuttosto che darmi addosso e sollevare da sotto il tappeto la polvere.

Italia fuori dai mercati e dai giacimenti. Grazie Giulio

Giacimento ENI a Zohr

L’allievo dell’Università di Cambridge, dalla quale riceve un mandato da attuare al


Cairo, mai rivelato agli inquirenti, sparisce il 25 gennaio 2016 e viene ritrovato
morto, con segni di tortura, su una strada poco fuori dalla Capitale, il 3 febbraio. E’
il giorno in cui una delegazione italiana di alto rango incontra i suoi equipollenti
egiziani e il presidente Al Sisi per concludere e firmare una serie di trattati
commerciali di elevato valore che comprendono ZOHR, il più vasto giacimento di
idrocarburi del Mediterraneo, affidato all’ENI. L’incontro salta alla notizia del
ritrovamento del corpo di Regeni, che dell’annullamento è evidentemente la causa,
con conseguente danno per entrambi i contraenti. Grossi sono invece i vantaggi
che si aprono a concorrenti meno disposti a inchinarsi alle trovate dei servizi
occidentali.

La logica ci dice che un regime che tortura, uccide e poi fa ritrovare in strada la
vittima, è un regime di puffi dediti alla baldoria lisergica. Cosa che quello egiziano,
anzi, i suoi servizi segreti, non sono mai stati. La logica aggiunge che, con l’Italia
fuori dai piedi, perchè alla mercè di governanti e media che curano gli interessi
propri e dei loro poteri di riferimento e non, sia mai, quelli della nazione, il vasto
mercato e i vastissimi giacimenti egiziani finiscono alla portata di altri.

Lo vuole Rothschild
Storia di una giovane promessa

I fatti ci dicono che la formazione di Regeni è iniziata negli USA presso istituti
legati all’Intelligence. E’ proseguita con la colloborazione, poco prima di recarsi in
Egitto, a Oxford Analytica, società multinazione di spionaggio diretta da un trio
di specchiata esperienza: John Negroponte (squadroni della morte in Nicaragua e
Iraq), Colin McColl, ex-capo del MI6 britannico e David Young, caposquadra
dell’operazione Watergate di Nixon. La sua base operativa al Cairo era la American
University, da sempre santuario, come quella di Beirut, di personale vicino ai servizi
occidentali.

Un investimento in progetti “colorati”

A questo punto i fatti davvero successi possono sorprendere solo i boccaloni e i


commentatori per partito angloamericano preso. Ci dicono di un Regeni che gira
per il Cairo alla ricerca di contatti con esponenti dell’opposizione al governo. Ha
una dotazione di denaro da offrire. Incontra il capo del sindacato che raggruppa
tutta l’enorme economia informale egiziana, ne diventa amico, non sospetta che gli
avrebbe potuto essere messo alle costole da un governo giustamente sospettoso.
Alla richiesta provocatoria di Mohamed Abdallah, ripresa dalla sua telecamera, di
un aiuto finanziario per la madre ammalata di cancro, Regeni risponde di no, ma
offre “10.000 dollari per un progetto”. Lo offre a chi pensa sia uno che vuole
abbattere il governo. Vale a dire uno che, sotto mentire spoglie, agisce contro le
istituzioni. In qualsiasi stato questo è considerato spionaggio e sabotaggio e viene
punito con la massima pena. Abdallah, dati i suoi rapporti col ragazzo, capisce che
la proposta è di un lavoro di destabilizzazione del paese e ne dà comunicazione ai
suoi referenti nella Sicurezza. Fa il suo dovere di cittadino. Del “Progetto” nessuno
degli inquirenti romani si chiede mai il cosa, come, perchè.

Un flop pagato con la morte

A questo punto, e qui siamo in area ipotesi, logiche peraltro, i mandanti di Regeni si
rendono conto che il gioco è stato scoperto, l’operazione è fallita, l’inviato è
bruciato. Rientra nelle tradizioni di tutti i servizi disfarsi di un operativo ormai
controproducente. Tutto questo non è stato mai minimamente preso in
considerazione dai nostri magistrati, dai media sputafuoco, capeggiati da
un Giuseppe Giulietti, presidente FNSI, visibile nelle centinaia di presidi di
Amnesty pro-Giulio (mai in quelli per Julian Assange!!!), da Luigi Manconi,
immancabile dove vi sia da sostenere il politicamente abietto, da un personaggetto
come Roberto Fico, che arriva al nonsenso di “rompere i rapporti tra i parlamenti
dei due paesi”.

Una Procura al di sopra di ogni sospetto

Dopo ripetuti incontri e scambi tra la magistratura del Cairo e la Procura romana
(quella di Pignatone e di altri trascorsi indimenticabili), gli inquirenti romani hanno
un fugace pour parler con la tutor di Regeni all’Università di Cambridge,
caratterizzato da silenzio-assenso e poi morta lì. Per quattro anni i togati romani
hanno pestato nel mortaio qualsiasi cosa il Cairo gli fornisse. Ma ora la Procura
impeccabile dell’ex-Pignatone ora uomo-giustizia del Papa, te pareva, e del
successivo Palamara, ha tagliato la testa al toro. Quello immaginario, tipo Creta.

L’uovo di Colombo degli eredi di Pignatone: li processiamo noi, tanto sono in


contumacia, e li mandiamo dritti all’inferno, almeno a quello della riprovazione
universale. Vengono scelti e accusati, del tutto a casaccio, quattro dirigenti
della Sicurezza cairota. Per i quali di prove, documenti e testimonianze ce ne
sono quante per il leggendario Gesù davanti a Ponzio Pilato. Ma media e politici
volano all’apogeo della soddisfazione “per giustizia fatta o, almeno, in vista”. Salta
fuori, dopo quattro anni, anche “il testimone”, tipo Kafka, che giura di aver visto
(glielo hanno fatto vedere apposta perchè li incastrasse!) il povero Giulio,
maltrattato, con segni di percosse, ammanettato in una stanza della Sicurezza del
Cairo.
E, ciliegina sulla torta, risolutiva per la damnatio di uno di cui non sai un cazzo, che
ha fatto il sindacalista-spia Abdallah dopo l’incontro dei 10.000 dollari per un
“progetto”? Colpo di scena del “sicario degli assassini”: ha telefonato nientemeno
che all’ispettore della Sicurezza che lo aveva incaricato di seguire un Regeni
ingiustamente caricato, nonostante i trascorsi nobili, di bruttissimi sospetti. E cosa
gli aveva rivelato circa il complotto contro l’italiano? Nientemeno che lui, Abdallah,
non riusciva a spegnere il videoregistratore e gli si dicesse come fare. Che altro
occorreva alla Procura di Roma per dichiarare chiuse le indagini, ineludibili le
accuse, da iniziare il processo. Impeccabili giuristi. Come con Virginia Raggi.

Al Sisi mostro, costi quel che costi!

Ci vuole qualcosa, per quanto indegno di qualsiasi procura seria, per almeno
mettere alla gogna per un altro po’ Al Sisi e tutto il paese, “con tutte le sue pratiche
di tortura e incarcerazione di massa?” Non le attestano Amnesty e HRW e “il
manifesto”, testimoni inconfutabili, benchè lontani, delle efferatezze e degli gli
abominii dei paesi che l’Occidente deve abbattere? Non ci sono forse 60.000
prigionieri politici in Egitto. E se sono quasi tutti malfattori e, soprattutto, terroristi
ISIS dei Fratelli Musulmani, che hanno massacrato migliaia di poliziotti e civili, i
diritti umani valgono anche per loro, no? Dopotutto, ci hanno reso dei favori contro
il “tiranno” amico dei russi. Liberiamo anche quelli!

Qui non si tratta di fare le lodi del presidente egiziano. Io le condizioni vere del
popolo egiziano non le conosco ed è giusto che sia più preciso una volta che ci
sarò stato. Ma delle demonizzazioni di leader e governi praticate in Occidente, mi
fido meno dei diritti umani come propalati dal pensiero unico. Intanto so che i
fondamentali dell’economia egiziana sono migliorati enormemente rispetto al
passato. Che si è ridotta la disuguaglianza sociale. Che sono state costruite
infrastrutture utili alla società. Che Al Sisi sta con i giusti: Assad e Haftar. Che di
rivolte di massa non ce ne sono. Dirai che è perché le reprimono. Le reprimeva
anche Morsi, che faceva bruciare le chiese copte, massacrava gli scioperanti e
imponeva la Sharìa, ma le rivolte c’erano eccome.

C’è qualcosa che accomuna Al Sisi a Vladimir Putin. Non sono le nequizie che
gli attribuisce ogni due per tre “il manifesto” . Si tratta di due governanti che,
dopo coloro che avevano demolito, screditato e svenduto il loro paese
(Gorbaciov, Eltsin, Mubaraq e Morsi), l’hanno rimesso in piedi. Di più si sono
alleati tra loro, contrastano il Krakken turco in Libia, sono schierati con la Siria
aggredita e massacrata. Non basta per provocare l’ossessione compulsiva-
diffamatoria che manifestano coloro per i quali la svendita del proprio paese è
pratica familiare?

Non solo Regeni. Sequestrato anche il suo computer. Dalla mamma.

Alla Procura del Cairo che, per i nostri razzisti e colonialisti di ritorno, non è che il
foro di un regime di subumani, ma che ha illuminato di fatti, logica e ironia quella di
Roma, va sollecitata una domanda. Una domanda alla signora Regeni, madre di
Giulio, attivista numero uno nell’esecrazione dell’Egitto, al cui dolore per la
scomparsa del figlio rendiamo sincera partecipazione: “Perchè, cara signora
Regeni, ha sottratto dall’abitazione del figlio al Cairo ai legittimi inquirenti, il
suo computer e cosa ne ha fatto? Non potrebbe essere un formidabile elemento
di prova? In un senso o nell’altro? La vogliamo la verità?” O no?

I segreti di mamma Regeni

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