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Università degli Studi Roma Tre

Facoltà di Lettere e Filosofia

Corso di Laurea Magistrale in Italianistica

Tesi di Laurea in
Filologia e Linguistica Romanza

Cromatismi nella lirica trobadorica

Candidato
Marco Di Caprio

Relatore
Cl.mo prof. Corrado Bologna
Correlatrice
Cl.ma prof.ssa Mira Mocan

Anno Accademico 2012/2013

1
Ringrazio il prof. Bologna e la prof.ssa Mocan per il
prezioso supporto al mio lavoro.

2
A Francesco Antonio (1946-2011),
«[...] il padre
mio e de li altri miei miglior che mai
rime d’amor usar dolci e leggiadre»
(Purg., canto XXVI, vv.97-99)

« "O frate", disse, "questi ch’io ti cerno


col dito", e additò un spirto innanzi,
"fu miglior fabbro del parlar materno" ».
(Purg. Canto XXVI vv. 115-117)

3
4
INDICE.

I. Introduzione.

1. Retorica della luce.

1.1 Premessa.
1.2 Guglielmo IX.
1.3 Jaufre Rudel.
1.4 Marcabru.
1.5 Rigaut de Berbezilh.
1.6 Peire d’Alvernhe.
1.7 Giraut de Bornelh.
1.8 Raimbaut d’Aurenga.
1.9 Bernart de Ventadorn.
1.10 Arnaut Daniel.
1.11 Bertran de Born.

2. Retorica dell’oscurità.
5
2.1 Premessa.
2.2 ‘Paraula escura’ nella lirica trobadorica.
2.3 Tonalità scure nella poesia dei trovatori.

3. I colori.

3.1 Premessa.
3.2 Verde.
3.3 Rosso.
3.4 Bianco.
3.5 Blu.
3.6 ‘Vaire’.
3.6.1 Marcabru.
3.6.2 Giraut de Bornelh.
3.6.3 Bernart Marti.
3.6.4 Peire d’Alvernhe.
3.6.5 Raimbaut d’Aurenga.
3.6.6 Arnaut Daniel.
3.6.7 Bertran de Born.

4. Conclusioni.

6
I. Introduzione.

Perché intitolare una tesi sui colori nella poesia


dei trovatori con l’espressione ‘cromatismi nella lirica
trobadorica’? La fonte d’ispirazione è stato il
bellissimo libro di Leo Spitzer, Classical and
Christian Ideas of World Harmony, tradotto in
italiano con il titolo L’armonia del mondo.1 Il celebre
filologo romanzo riconnette la parola ‘Stimmung’,
espressione tedesca intraducibile, all’unità di
sentimenti avvertiti da una persona in relazione a ciò
che la circonda: questo sentimento fonde il dato
oggettivo e soggettivo in un’unità armonica. Ho
trovato illuminante la parola ‘Stimmung’ per
descrivere le impressioni dell’io lirico nelle poesie dei
trovatori di fronte al paesaggio: tutti i particolari
descritti, prati, piante, rami, rivi, uccelli sono

1
L. SPITZER, Classical and Christian Ideas of World Harmony,
Baltimora, 1944. (tr. it a cura di Valentina Poggi, L'armonia del
mondo: storia semantica di un'idea, Bologna, 1967, 2006).

7
immagini di una realtà interiore. Il poeta-amante,
nell’atto della composizione poetica, è immerso nella
natura e associa ad ogni particolare della natura
un’immagine che rappresenti il suo processo di
scrittura. Il paesaggio descritto dai trovatori è allo
stesso tempo paesaggio esteriore e spazio mentale.
Realtà esteriore e paesaggio interiore sono
indissolubilmente intrecciati e in armonia, così come
l’osservatore è in armonia indissolubile con la realtà
circostante: «per un tedesco la Stimmung si fonde con
il paesaggio, che a sua volta si anima di sentimenti
umani». 2
Spitzer riconduce l’idea di armonia al pensiero
matematico di Pitagora, a quello fisico di Aristotele,
metafisico di Platone e teologico di Agostino: idee
classiche e idee cristiane sono espressioni in perfetta
armonia nel mondo medievale. Il concetto filosofico
di armonia è insito nell’uomo e nell’universo, o meglio
è affermazione dell’ homo cogitans nello spazio in cui
vive. L’uomo è per sua natura portato a mettere in
connessione semantica un qualsiasi elemento dello
spazio circostante con un altro, nel cercare l’armonia

2 ID., ibid.

8
che li lega: il processo di conoscenza dell’uomo è
associazione di immagini ‘mentali’ spesso in contrasto
tra di loro. Ritengo molto importanti gli esempi
agostiniani di musica humana e di unisonus sul
modello di unanimis: l’anima del mondo, colta
dall’uomo pensante, è un’anima musicale, armoniosa,
e a questa si intona la nostra anima umana. Senza
l’idea cristiana di armonia, di origine prettamente
classica, la stupefacente evoluzione della musica dal
Medioevo a oggi sarebbe incomprensibile. L’idea che
l’universo sia retto da un’armonia di tipo musicale mi
ha immediatamente condotto all’associazione
semantica dei colori nella poesia dei trovatori con i
cromatismi in musica. Ho riflettuto molto sul concetto
di armonia in connessione ai colori nella lirica dei
trovatori: i colori nella poesia dei trovatori hanno un
importante ruolo nel contrappunto armonico del
discorso poetico: i colori nelle lirica dei trovatori sono
le note attorno a cui verte il contrappunto armonico
del componimento poetico.
I cromatismi, cioè l’impiego dei semitoni nella
costruzione dell’armonia musicale, sono perno della
musica dodecafonica del primo Novecento. Arnold

9
Schönberg ha scritto la sua Teoria dell’armonia
(1922) ripensando e sviluppando il sogno della
mathesis universale coltivato dal razionalismo
classicista, il quale postula perfetta corrispondenza tra
leggi del pensiero e leggi della natura. 3 Schönberg
struttura il suo sistema tonale su dodici note, cioè
aggiunge alle sette note i semitoni. Nonostante la
stupefacente novità del suo pensiero musicale, il
compositore tedesco affermava da buon classicista
che ‘nella musica non c’è forma senza logica e non c’è
logica senza unità’. Nel sistema di composizione
tonale, pertanto, i semitoni non creano disarmonia,
bensì una ‘nuova’ armonia nell’organizzazione della
composizione. I cromatismi nell’armonia
novecentesca organizzano e fanno da perno alla nuova
teoria dell’armonia. Allo stesso modo il colore nella
lirica medievale e occitanica non è solo parte
integrante dell’armonia del corpus poetico, ma ne
organizza il discorso.
Il sottotitolo della versione italiana del volume
di Spitzer, Storia semantica di un’idea, mi ha fornito

3 A. SCHÖNBERG, Stile e idea, trad. it. G. Moretti, L. Pestalozza, Milano,

1982.

10
un ulteriore spunto. La storia del pensiero umano è
semantica, come ho già detto, è associazione di un
elemento di X ad uno ed un solo elemento di Y 4: il
concetto di funzione in analisi matematica delinea il
processo di associazione semantica, la quale muove
l’interpretazione dell’universo da parte dell’individuo
umano. Nel contesto della lirica trobadorica, a
seconda dell’occorrenza analizzata, io ho associato da
un punto di vista semantico uno ed un solo colore al
concetto di luce o al concetto di oscurità. Perché posso
effettuare questo processo di associazione semantica?
Luce e oscurità sono tesi e antitesi di una ed una sola
sintesi, che è il colore. I cromatismi in musica (x) sono
da associare al sistema tonale (y) attorno a cui verte
l’armonia in musica f(x). Allo stesso modo i colori (x1)
sono indispensabili per la costruzione del brano
poetico (y1), attorno a cui verte l’armonia del corpus
lirico occitanico f(x1). L’armonia del mondo, e quindi
della poesia, sottende una funzione matematica; la
matematica è la disciplina che rende simmetrico il
processo di associazione semantica dell’uomo

4 V. RASKIN, Concise History of Linguistic Semantics: Third Edition,

Lafayette, 1983.

11
nell’universo e, come la ‘gaia scienza’ dei trovatori5, è
umana e divina allo stesso tempo.

5 M. MANCINI, La gaia scienza dei trovatori, Parma, 1984.

12
1. Retorica della luce.

1.1 Premessa.

In questa tesi mi propongo di analizzare il


ruolo dei colori nella lirica trobadorica. In una delle
sue più celebri poesie Guglielmo IX scrive: «Ben vuelh
que sapchon li pluzor | D'un vers, si.s de bona color |
Qu'ieu ai trag de mon obrador»: il poeta vuole
adornare il proprio canto con ‘bei colori’, cioè con
figure retoriche preziose. In Er vei vermeills, vertz,
blaus, blancs, gruocs Arnaut Daniel impiega lo stesso
stilema: «er vei […] i.l votz dels auzels son’e tint | ab
doutz acort matin e tart: | so.m met en cor qu’ieu
colore mon chan»6.

6 ARNAUT DANIEL, Er vei vermeills, vertz, blaus, blancs, groucs, ed.


Eusebi . D ora in poi citerò in questo modo le numerose
edizioni critiche dei trovatori che ho impiegato. Riporto l intera
prima cobla della lirica in questione: «Er vei vermeills, vertz, blaus,
blancs, gruocs | vergiers, plais, plans, tertres e vaus; | e.il votz dels
auzels son e tint | ab doutz acort maitin e tart: | so.m met en cor

13
Il poeta latino nella sua Ars poetica esprime un
concetto simile: «Discriptas servare vices operumque
colores | cur ego, si nequeo ignoroque, poeta
salutor?»; il poeta deve quindi ‘colorare mediante
figure retoriche il proprio canto poetico’. 7 Orazio è
stato il poeta latino più studiato.8 La pedagogia
retorica nel Medioevo era basata su Orazio come
dimostrano il De vulgari eloquentia e il regesto degli
Autori letti nelle scuole raccolto da Curtius.
I trovatori impiegano immagini di derivazione
classica: la foglia, il fiore, gli alberi, il giardino,
l’incontro con la dama tra i boschi sono tutte
immagini topiche in un percorso di imitatio

qu ieu colore mon chan | d un aital flor don lo fruitz si.amors | e jois
lo grans e l olors d enuo gandres».
7 ORAZIO, Ars poetica, vv.86-92 in Epistole e Ars Poetica, a cura di U.

Dotti, Milano, 2008: «Discriptas servare vices operumque colores |


cur ego, si nequeo ignoroque, poeta salutor? | Cur nescire pudens
prave quam discere malo? | Versibus exponi tragicis res comica non
vult; | indignatur item privatis ac prope socco | dignis carminibus
narrari cena Thyestae. | Singula quaeque locum teneant sortita
decentem.»
8 Cfr. C. BOLOGNA, Orazio e l'ars poetica dei primi trovatori, in «Critica

del testo», X / 3, 2007, p.75; Cfr. E. R. C URTIUS, Letteratura europea e


medioevo latino, cap II, § 5, Autori letti nelle scuole, pp. 58-64.

14
classicamente inteso.9 Il tema del colore è connesso
inscindibilmente con quello della retorica: così come
la pietra preziosa la si affina affinché emani luce, così
il poeta affinerà la sua poesia per renderla ‘lucente’. Il
colore della poesia, cioè il lavoro retorico effettuato
dalla poesia, da scuro diventa chiaro mediante
l’affinamento del componimento; anche l’animo
dell’amante, da scuro diventerà chiaro, dopo che egli
sarà riuscito a cogliere la beatitudine della fin’Amors.
Il lavoro retorico è affinamento di una pietra
preziosa, che ulteriormente lavorata mediante il
processo di esmerar dà origine a bellezza raffinata,
come quella della donna amata10. Scrive Giraut de
Bornelh: «c’aissi l’escur com ebenh: | mo trobar ab
saber prenh11». In questo caso Giraut riferisce
l’oscurità dei suoi detti all’ebano, che nonostante la
sua oscurità è in grado di riflettere luce. Il poeta scrive
che tesse parole difficili che devono essere raffinate in

9 Cfr. O. SCARPATI, Retorica del trobar, Roma, 2008, p.11.


10 ANONIMO, Mort m’an li semblan qe ma dona m.fai, ed. Appel 1930 :
«e.l seu cabil sor cum aur, de que.m plai ».
Eilas Cairel, Mout mi platz lo doutz temps d’abril , ed. Lachin 2004 :
« sas sauras cris – plus que aurs esmeratz».
11 GIRAUT DE BORNELH, Ans que veina.l nous frugz tendres, ed. Sharman

1989.

15
maniera tale che solamente animi raffinati possano
comprenderle. Questo concetto è espresso in funzione
all’ebano, che nonostante abbia superficie opaca potrà
essere lavorato in modo tale che rifletta la luce, ma a
patto che lo si esponga alla chiarezza del giorno12. Se
l’amante affina il proprio animo nella contemplazione
della propria donna, il processo di esmerar è anche
affinamento della lirica. Il poeta lima la propria poesia
così come si affina una pietra preziosa. All’amore per
la donna, che è oggetto della lode del poeta,
sovrappongo l’amore per la poesia stessa. Il lavoro
retorico non è solamente il mezzo di cui si serve il
poeta per migliorare il suo componimento, ma anche
argomento della lirica: il poeta lirico deve cogliere un
bel componimento poetico per raffinare il proprio
animo come se cogliesse la rosa di un giardino
primaverile.13 Il lavoro retorico dei poeti è ben
evidente nell’impiego che i poeti occitanici fanno delle
figure retoriche. Cercamon scrive:

Ab lo temps qe fai refreschar

12 ID., Rossinhol, el son repaire, ed. cit.


13 PEIRE VIDAL, Ben viu a gran dolor, ed. Avalle 1960.

16
Lo segle e·ls pratz reverdezir
Vueil un novel chant comenzar
D'un amor cui am e dezir;
Mas tan s'es de mi loignada
Q'ieu non la puesc aconseguir,
Ni de mos digz no s'agrada.

Il tempo primaverile fa rinfrescare l’ambiente e


rinverdire i prati, scrive il poeta. In realtà non è il
tempo primaverile che fa rinfrescare l’ambiente e
rinverdire i prati, ma possibilmente una lieve pioggia
primaverile, di cui il poeta non fa menzione; la parola
refreschar lascia sottindendere questo messaggio non
esplicito. Il paesaggio descritto da Cercamon dà anche
un’idea di luminosità, poiché il novel chant è ispirato
dal tempo primaverile, dal novel temps. Il lavoro
retorico che i poeti effettuano sulle proprie poesie
lasciano sottintendere significati non manifesti. Per
esempio Arnaut Daniel scrive: «Doutz braitz e critz |
lais e cantars e voutas | aug dels auzels qu’en lur latin
fant precs | qecs ab sa par, atressi cum no fam | a las

17
amigas en cui entendem» 14. Gli uccelli cantano e
fanno precs nella loro lingua: la parola latin indica la
lingua per eccellenza, la lingua raffinata e pura, degna
della preghiera. Seppure non si innesti in maniera
esplicita una tematica di natura religiosa, in questa
poesia noto che il canto degli uccelli, definito con tanti
termini (braitz, critz, lais, cantars, voutas). Gli uccelli
fanno tanti tipi di cinguettii così come i poeti
compongono tanti generi diversi (canso, tenso,
retroencha, estampida, etc.); la parola latin indica
per antonomasia la lingua raffinata per eccellenza,
cioè quella della poesia. Gli auzels, a loro volta, con la
propria compagna sono da identificare con i poeti
lirici che sono in compagnia della propria dama. Se gli
auzels cantano in compagnia, anche i poeti lo fanno in
compagnia, e se i primi cantano d’Amore, anche i
secondi cantano d’Amore. Se questo canto è d’Amore,
esso deve essere positivo e trasmettere i valori della
fin’Amors.15 I poeti occitanici descrivono in maniera

14Cfr. ARNAUT DANIEL, Doutz braitz e critz, ed. Eusebi 1995.


15 A. RONCAGLIA, La tenzone fra Ugo Catola e Marcabruno, in
Linguistica e filologia: omaggio a Benvenuto Terracini, Milano 1968,
pp. 203-254; C. DI GIROLAMO, «Cor» e «cors» : itinerari meridionali, in

18
stereotipata la realtà esteriore: giardino, foglie e
uccelli con procedimenti retorici, associazioni di idee
che muovono dal proprio cuore ‘illuminato’ dalla gioia
d’Amore 16. Il paesaggio ‘mentale’ dei trovatori, che
trae spunto dall’osservazione della realtà esteriore,
viene scomposto e ricomposto dal lavoro retorico e
intellettuale. Il poeta-amante, mentre lavora sulle
proprie liriche, riprende a lavorare sulla propria
poesia osservando la natura. 17
Bernart de Ventadorn ben mette in
contrapposizione la luminosità della propria donna, e
a cui sovrappongo l’immagine della poesia lirica, con
l’oscurità dell’ambiente circostante 18: «que sos cors es
bels e bos | e blancs sotz la vestidura | - eu non o dic
mas per cuda – que la neus, can ilh es nuda, | per vas
lei brun’et escura». Si noti come la bianchezza del
corpo sia collegata alla neve così come la purezza del
suo animo sia collegata alla bellezza e al ‘joy d’Amor’.

A.A.V.V., Capitoli per una storia del cuore, a cura di F. Bruni, Palermo,
1988.
16 Cfr. M. MOCAN, Un cuore così illuminato in Miscellanea Antonelli, in

corso di stampa.
17 Cfr. ID., 'Bos sabers': la 'sapida scientia' dei primi trovatori, in «La

parola del testo», 2005, I, pp.1-27.


18 BERNART DE VENTADORN, A! Tantas bonas chansos, ed. Appel 1915.

19
La neve, quindi, è scura in confronto al suo corpo così
come qualsiasi elemento materiale sia nulla in
confronto alla purezza del mondo interiore e
spirituale, raffinato dall’esperienza poetica.
Da che cosa è dedotta la contrapposizione tra
mondo esteriore e mondo interiore? Innanzitutto
Bernart de Ventadorn è un poeta che esalta la
spiritualità e il lato interiore del sentimento d’Amore.
Inoltre il poeta-amante tiene a precisare che deduce la
bianchezza del corpo di midons dal cuidar e non da
un’esperienza carnale. Se la bianchezza del corpo di
midons è immagine di perfezione interiore, la quale
supera il biancore della neve, la neve, cioè il mondo
materiale, è scuro rispetto alla bellezza della donna 19.
Il mondo esteriore è inferiore, o meglio, da
subordinare al mondo interiore e all’esperienza
spirituale e mistica che è l’esperienza dell’amor
cortes.

19Cfr. E. Kohler, Sociologia della fin’Amors, Padova, 1976. Il filologo


spiega come i trovatori del periodo classico celebrino la fin’Amors
come esperienza interiore piuttosto che esteriore.

20
1.2 La prima occorrenza del termine esclarzir
è in una delle più celebri liriche del primo trovatore,
Guglielmo IX d’Aquitania, Pos vezem de novel florir:

Pos vezem de novel florir


Pratz, e vergiers reverdezir,
Rius e fontanas esclarzir,
Auras e vens,
Ben deu chascus lo joi jauzir
Don es jauzens.20

In questo componimento il colore verde indica


lucentezza ed è testimone della rinascita: il verde è
colore di vita, poiché è colore delle foglie. Ma il
paesaggio è caratterizzato dalla luminosità del sole,
elemento non citato, ma lasciato intendere
dall’immagine di rivi e fontane nell’atto di schiarirsi.
Il verde è colore conesso con l’idea di chiarezza, e la
chiarezza porta i fiori a manifestarsi. Il fiore può
essere simbolo della poesia lirica, del canto poetico
che risplende e che rinnova la propria vita, la propria

20 GUGLIELMO IX, Pos vezem de novel florir, ed. Pasero 1973.

21
gioia, che è quella che deriva dalla natura. In questa
lirica il paesaggio interiore e paesaggio esteriore si
compenetrano: il paesaggio esteriore è
‘mentalizzazione’ di quello interiore, poiché di esso
sono colti alcuni elementi topici che sono rielaborati
dall’esperienza poetica. Scrive Guglielmo in un’altra
lirica, Mout jauzens me prenc en amar 21:

Ieu, so sabetz, no.m dei gabar


Ni de grans laus no.m sai formir;
Mas si anc nuill jois poc florir,
Aquest deu sobretotz granar
E part los autres esmerar,
Si com sol brus jorns esclarzir. 22

Il poeta interiorizza la visione del paesaggio


esteriore; infatti se prima erano le piante a fiorire, e le
piante in fiore apportavano gioia, ora è
metonimicamente la stessa gioia che fiorisce. Ma se

21 ID., Mout jauzens me prenc en amar, ed. cit. : «Mout jauzens me


prenc en amar | un joy don lus mi vuelh aizir; | e pus en joy wuelh
revertir | ben dey, si puesc, al mielhs anar, | quar mielhs onra.m
estiers cujar | qu om puesca vezer ni auzir».
22 ID., ibid., vv.6-12.

22
può una grande gioia fiorire, questa deve granar, cioè
mettere radici ed esmerar, cioè risplendere sopra
tutte le altre gioie, così come un giorno oscuro si
schiarisce. Il poeta impiega quindi i verbi florir e
granar in senso metaforico per descrivere
l’esperienza metapoetica. L’affinamento della poesia
la rende, da grezza e oscura, lucente come una pietra
preziosa, così come il giorno prende il posto della
notte. Il binomio chiarezza e oscurità indica il
processo di affinamento della poesia, che ispirata dal
paesaggio esteriore è assimilata nell’interiorità del
poeta, che può mediante il labor limae su di essa
compiere un labor limae su se stesso, cioè affinare il
proprio animo.23

1.3 Il tema dell’affinamento della poesia in


grado di affinare l’animo del poeta è sviluppato
ulteriormente in alcune liriche di Jaufre Rudel:

Quan lo rius de la fontana


s’esclarzis, si cum far sol,

23 Cfr. C. BOLOGNA, Orazio e l'ars poetica dei primi trovatori, in

«Critica del testo», X/3, 2007, p.175.

23
e par la flors aiglentina
e·l rossinholetz el ram
volf e refranh ez aplana
son dous chantar et afina,
dreitz es qu’ieu lo mieu refranha.24

Se il sole rischiara la fontana, appare anche il


fiore cristallino: il fiore indica l’oggetto amato dal
poeta, cioè la donna, che è secondo me immagine
speculare della poesia. Infatti accanto il fiore appare
l’usignolo, che è immagine del poeta, che fa volf e
refranh, cioè intona un canto che deve essere aplanat
e afinat. Scrive Chiarini a proposito: «La stagione è
definita con le parole di Guglielmo IX (rius e fontanas
esclarzir, da Pos Vezem) per poi istituire un
parallelismo con il canto dell’usignolo, voce e melodia
della primavera, e il canto umano, voce e melodia
dell’amore.»25 Il parallelismo tra il canto dell’usignolo
e il canto del poeta dimostra come il paesaggio
naturale descritto dal poeta sia emblema del suo
lavoro retorico sulla poesia lirica.

24 JAUFRE RUDEL, Quan lo rius de la fontana, ed. Chiarini 1985.


25 ID., Quan lo rius de la fontana, ed. cit.

24
1.4 Ne A la fontana del vergier, il poeta-
amante scrive che nel giardino dove l’erba è vertz ha
trovato una ragazza sola, non accompagnata, sdraiata
sotto ad un albero tra fiori bianchi. La giovane si
lamenta inoltre perché il suo amante è in Terrasanta,
nella schiera dei crociati al servizio del re Luigi di
Francia. Per la lontananza di lui, il dolore le si è
radicato nel cuore. 26 Il poeta poi scrive:

Quant ieu l'auzi desconortar,


Ves lieys vengui josta.l riu clar :
Belha, fi.m ieu, per trop plorar
Afolha cara e colors! .27

La donna, se rimarrà nella sua aria cupa e


triste, vedrà i propri colori ‘sfiorirsi’. All’oscurità del
pianto il corteggiatore contrappone la gioia che avrà
26 ID., ibid., vv.22-28, ed. cit: «Ab vos s'en vai lo meus amicx, | Lo
belhs e.l gens e.l pros e.l ricx! | Sai m'en reman lo grans destricx, | Lo
deziriers soven e.l plors. | Ay mala fos reys Lozoicx | Que fay los
mans e los prezicx | Per que.l dols m'es en cor intratz.»
27 ID., ibid., vv. 29-32, ed. cit. Marcabru continua poi: «E no vos cal

dezesperar, | Que selh qui fai lo bosc fulhar, | Vos pot donar de joy
assatz».

25
da donare alla donna. Il poeta-amante non può
possedere questa donna e non può ravvivarne i colori.
Se con i colori del viso della donna identifico i ‘colori’
retorici della poesia lirica, la donna descritta da
Marcabru diventa immagine della poesia stessa.28 La
poesia lirica hai bei ‘colori’, cioè begli artifici retorici,
solo se il poeta può accostarsi ad essa con una verità
morale da trasmettere. In questo caso il cavaliere, a
cui sovrappongo l’immagine del poeta, si avvicina alla
donna che piange, a cui sovrappongo l’immagine della
poesia lirica, solamente per appagare le proprie
pulsioni erotiche, e non con un intento di natura
morale. Per Marcabru la poesia deve essere pulita
dalla fals’amistat29 e deve racchiudere in sé la purezza
interiore del perfetto amante in contrapposizione
all’oscurità degli ipocriti immorali e degli adulterini,

28 E. KÖHLER, Sociologia della fin’Amors, Padova, 1976; MARCABRU,


ibid., vv. 36-42, ed. cit: «Senher, dis elha, ben o crey | Que Deus aya
de mi mercey | En l'autre segle per jassey, | Quon assatz d'autres
peccadors! | Mas say mi tolh aquelha rey | Don joys mi crec! mas
pauc mi tey | Que trop s'es de mi alonhatz.»
29 ID., El son esviat chantaire, vv.1-6, ed. cit. : «El son d esviat

chantaire, | veirai si pusc un vers faire | de fals amistat menuda, |


c aissi leu pren e refuda, | puois sai ven e lai mercada, | e morrai si
no·m n esclaire».

26
che fingono di essere seguaci della dottrina della
fin’amor30.

1.5 In Si co-l soleilhs per sa nobla clardat Rigaut


scrive:

Si co-l soleilhs per sa nobla clardat


Hon plus aut es mais dona de calor
E-ls plus bas luocz destreinh mais per s'ardor
Que-ls autz, car son pe-ls vens plus atemprat,
Tot atressi ma donna, casta, pura,
Auta de pres, destreinh me plus formen,
Que-m trobas bas et a tot son talen,
No fai un ric, en cui Amors peiura
Car erguelh y consen. 31

Il sole con la sua luminosità quanto più è in


alto tanto più dà calore. Con il suo ardore tormenta i
luoghi più bassi che non quelli alti, che sono per il
vento più temperati. Allo stesso modo la donna amata
dal poeta, casta, pura, alta di pregio, tanto più lo

30 E. KÖHLER, Sociologia della fin’Amors, Padova, 1976.


31 RIGAUT DE BERBEZILH, Si co-l soleilhs per sa nobla clardat, ed. cit.

27
tormenta, perché lo trova umile e non del tutto adatto
al servitium amoris.32 La donna è così elevata che per
le sue caratteristiche umilia e tormenta il suo amante.
Se al sole sovrappongo la luce della poesia, essa può
dare nobile candore e purezza ai poeti che sono in
alto, cioè che hanno bos sabers e artifici retorici tali
da rinnovare il dettato poetico, mentre stringe e cuoce
gli altri poeti che non sono ‘temprati’ dalla vera
dottrina poetica. Il sole può essere immagine della
bellezza della poesia così come è emblema dello
splendore della donna. Il poeta-amante non si è
affinato: il suo trobar bas, il suo comporre umile, non
può affinargli i sens, la sua sensibilità e il suo
intelletto.

1.6 Scrive Peire d’Alvernhe in una sua lirica


che l’aria chiara e il canto degli uccelli, il fiore fresco e
il fogliame che si espande lungo i rami – e l’erba verde
che nasce – gli mostrano di essere pronto a cogliere
un componimento non chiuso tale che la melodia sia

32 P. CHERCHI, Andrea Cappellano, i trovatori e altri temi romanzi,

Roma, 1979.

28
nuova e il canto sia come egli lo vuole 33. L’alverniate,
per definire il suo canto, impiega il lemma non-clus.
La poesia in questione è manifestazione del dibattito
tra due modi di comporre poesia in lingua d’oc,
piuttosto che due scuole poetiche: trobar clus e
trobar leu 34. L’airs è clars, come negli esordi
stagionali tradizionali della lirica trobadorica. La
volontà del poeta, da ciò che traspare in questa lirica,
è quella di trovare uno spazio di autentica espressione
del proprio sentimento amoroso. La lucentezza del
paesaggio esteriore presenta in sé elementi simbolici
che mostrano la positività del mondo descritto: aria,
canto, fiore, foglia, erba. Nel discorso dell’io lirico il
canto degli uccelli rappresenta quello del poeta,
mentre gli elementi che creano poesia sono chiari,
cioè puri e limpidi, degni di essere cantati. La natura

33 PEIRE D'ALVERNHE, L'airs clars e-l chans dels auzelhs, ed. Fratta
1996: «L'airs clars e-l chans dels auzelhs | La flors frec'e-l fuelha |
Que s'espan per los brondelhs | --E-l vertz herba bruelha-- | Mi
mostra d'esser ysnelhs | Q'un vers non-clus cuelha, | Tal que-l sos
sia novelhs, |Que-l chant qui ia-s vuelha!».
34 In merito al dibattito tra i due modi di composizione, trobar clus e

trobar leu, il primo più oscuro, il secondo più chiaro rimando ad A.


Roncaglia, Trobar clus: discussione aperta in «Cultura neolatina»
XXIX 1969, e a E. KÖHLER, Sociologia della fin’Amors, Padova, 1976.

29
che germoglia davanti agli occhi del poeta è immagine
del suo mondo interiore che si arricchisce a contatto
con la sua ars poetica. L’io lirico stesso ci suggerisce
che tutti gli elementi del paesaggio sono da
rapportarsi al sos e al chan che egli intende scrivere. Il
poeta-amante osserva la natura, poi, sotto l’impulso
della gioia d’amore individua alcuni elementi da
sviluppare nella sua lirica. Quegli elementi sono gli
stessi che rimandano alla sua attività di poeta: erba,
foglie, fiore e usignoli. In essi gli usignoli indicano il
poeta, il loro canto indica la poesia mentre tutti gli
altri elementi sono gli oggetti del canto, chiari come
l’animo del poeta rischiarato dal sentimento amoroso.
In un’altra celebre lirica scrive Peire:

Deiosta-ls breus iorns e-ls loncs sers,


Qan la blanc'aura brunezis,
Vuoill que branc e bruoill mos sabers
D'un nou ioi qe-m fruich'e-m floris!
Car del doutz fuoill vei clarzir los garrics,

30
Per qe-retrai entre-ls enois e-ls freis
Lo rossignols e-l tortz e-l gais e-l pics.35

Il poeta-amante afferma che, quando il giorno


diventa breve e le sere si allungano e quando si
offusca l’aria, egli vuole che ‘ramifichi’ e ‘germogli’ il
suo sabers di una nuova gioia. Tutto questo accade
poiché egli vede schiarirsi le querce dalle dolci foglie.
Si noti come l’espressione blanc’aura si opponga il
termine brunezis, o come brunezis si opponga poi al
sostantivo clarzir in un gioco di contrasti cromatici.
Peire mette in evidenza come il bons sabers, cioè
l’arte poetica germogli come germogliano i frutti e i
fiori, che sono espressione e materia di canto della
gioia di chi compone. Le dolci foglie che si espandono
sui rami sono rivestiti dalla chiarezza del tempo
atmosferico, che è immagine della chiarezza interiore
del poeta, affinato dall’esperienza poetica. La
metafora naturalistica del sapere che ‘ramifica’ e
‘germoglia’ di una nuova gioia che fruttifica e fiorisce
ha funzione di conferire vitalità a un paesaggio

35 PEIRE D'ALVERNHE, Deiosta-ls breus iorns e-ls loncs sers, ed. Fratta

1996.

31
scarno: il mondo interiore della conoscenza è
superiore al mondo esteriore della materialità e della
corruttibilità.36 Il poeta-amante contrappone il suo
bos sabers, la sua ‘arte’ quindi, germogliato grazie alla
sua gioia ad un paesaggio pallido ed oscuro.

1.7 Giraut de Bornelh è protagonista di una


poesia molto più argomentativa. In Sol c'Amors me
pelvis Giraut scrive che spera di ricevere mercé dalla
sua donna, più bella di tutte le altre. 37 Il poeta vuole
mandarle un messaggio, trasmettere tutta la sua
sofferenza per lei, dolore per cui è stato da tutti
biasimato. Nessun’altra gioia però può davvero
influenzarlo come quella d’amore per la sua dama. Il
servigio verso di lei rende luminosità ad ogni altro
onore. L’onore è chiaro, onors clars. Se alla donna
sovrappongo l’immagine della poesia, la lirica è pura
come la donna per l’onore da cui è possibile derivare
36 Cfr. note alla lirica della precedente ed. D EL MONTE 1956, p.74 di

Deiosta-ls breus iorns e-ls loncs sers.


37 GIRAUT DE BORNELH, Sol c'Amors me pelvis, ed. Sharman 1988.

« Mas si.l cors convinens, | Adrechs, sobreplazens | Sofre, membrans


| Be.us dic: ja, per mil afans | Que trachs n'agues, | Non er jois que.m
retraisses | D'onrar e de servir, qui que men crida, | Leis per cui es
onors tot' esclarzida ».

32
dalla sua fruizione. Solamente la poesia può dare
soddisfazione al poeta, poiché tramite il canto egli può
esprimere il suo dolore per la cupezza del mondo
esteriore rispetto alla chiarezza di quello interiore. Il
poeta che interpella la sua donna dialoga, a mio
parere, con la personificazione della poesia: egli spera
di ricevere mercè dall’arte poetica per scrivere un
componimento pregevole che rispecchi la sua
condizione interiore.
Giraut in Leu chansonet'e vil vuole comporre
una chiara, veloce e piccola canzone da mandare
nell’Alvergna38; ma nella strada che la conduce lì,
potrà dire al destinatario, il poeta Ebles de Saignes 39,

38 ID., Leu chansonet'e vil, ed. cit. : «Leu chansonet'e vil | M'auri'a obs
a far | Que pogues enviar | En Alvernh'al Dalfi. | Pero, s'el drech
chami | Pogues n'Eblon trobar, | Be.lh poiria mandar | Qu'eu dic
qu'en l'escurzir | Non es l'afans, | Mas en l'obr'esclarzir ».
39 A proposito di n Eblon scrive S HARMAN: «Identified by Kolsen (II,

, note to . and Crescini, Le caricature trobadoriche di Pietro


d’Alvernha’, Atti del R. Istituto Veneto, LXXXVI (1926-7), 216, as
Ebles de Saignes, whom Peire d Alvernha metions in tenth place in
his satire Cantarai d’aquest trobadors. Eblon may as easily refer,
however to Eble d Ussel, See C.Aston, The name , p. , and F.Pirot,
Connaissances, pp.167- , and his article Le troubadour Eble de
Saignes avec des notes sur Eble de Ventadour et Eble d Ussel in
Mélanges offerts à Pierre La Gentil (Paris, 1972), p.659. W.T.
Pattison agrees with Kolsen and Crescini in seeing here a reference

33
che la difficoltà del poeta non è nel scrivere parole
oscure, cioè di difficile comprensione, ma nel renderle
chiare. Giraut scherza dicendo di voler comporre
canzone lieve e vile: il termine ‘viltà’ è anche
contrapposta a ‘clardat’, pregio. La polemica riguarda
un aspetto in particolare: molti sono convinti che sia
più difficile comporre in maniera chiusa, cioè
rendendo difficile la semantica della parola poetica.
Per Giraut è più facile invece comporre parole che
rendono velato il senso del discorso, mentre è difficile
rendere evidente la semantica di un discorso. Leu
chansonet’e vil è tutt’altro che limpida nella sua
successione di metafore, ma non è detto che ciò che è
‘oscuro’ per noi non sia stato ‘chiaro’ per i
contemporanei di Giraut. 40
In Si solit sens il poeta-amante Giraut afferma
che poiché la felicità non prevale sul dispiacere, per
un uomo come lui che soffre così tanto è raddoppiato

to Eble de Saignes. He comments that Giraut and Eble must


previously have been arguing together the question of syle,
probably while both were following the wedding procession of
princess Eleanor into Castile (The troubadours of Peire d’Alvernhe’s
satire in Spain, pp. 23-4).
40 Cfr. C. DI GIROLAMO, I trovatori, Torino, 1989.

34
il dolore nel notare l’altrui indifferenza41. Poi il poeta-
amante si rivolge al lettore, spiegando che non gli
piace l’amore solamente per un motivo: una dama
può essere falsa verso colui che è clars, benevolens e
vers, cioè aperto, gentile e sincero. Se sovrappongo
alla donna amata l’immagine della poesia lirica, l’arte
poetica può venir meno a chi è amante delle belle
lettere, il quale nonostante un lavoro paziente di
limatura può ritenersi insoddisfatto. Il vigore e la
‘chiarezza’ di un fine amante sembra autorizzare la
donna amata ad ingannarlo. La chiarezza della
sincerità della parola poetica è in contrapposizione
all’oscurità della menzogna.

1.8 Un altro trovatore di fondamentale


importanza nel periodo di Giraut è il conte Raimbaut
d’Aurenga. Il canto poetico prezioso e rinnovato da
Raimbaut è prezioso, così come è prezioso il gusto per

41GIRAUT DE BORNELH, Si sotils sens, vv.16-30, ed. Sharman, 1989 : « E


car no vens | La benanansa.l mal, | Es grans afans | Celui que trop
sofer | C'ades sia clamans | De l'altrui no-chaler. | Voletz que.us dia.l
ver | Que.m desplatz en amar | C'om lai poscha trichar | Ni si'avars |
Celui qui.lh s'era clars | E bevolens e vers. | Dazai aitals poders |
C'om son amic engan | Ni.s paie de so dan ».

35
il ‘colore’ retorico e l’artificio formale, spazio
autentico in cui il poeta-amante si riconosce nel suo
dolore e nel suo mal d’Amore. Nella tenzone con
Giraut de Bornelh, Ara.m platz, 42 Raimbaut scrive
all’amico Giraut e invoca cel, solelh, clardat que
resplan: per il cielo, per il sole, per la chiarezza che
risplende – afferma Raimbaut – non so di che cosa
parliamo né dove sono nato, talmente sono preso da
una fine gioia naturale che altro non mi sovviene in
mente. Il cielo, il sole e la chiarezza sono elementi
topici della poesia occitanica, tutti e tre simboli del
lavoro retorico del poeta sulla natura. Il poeta-amante
lavora sulla sua visione della natura come lavora di
lima sulla sua poesia per crearsi un paesaggio
interiore che sia contrapposto all’oscurità di quello
esteriore, che è grossolano, villano e imperfetto. Il
termine natural sembra essere in connessione con gli
elementi della natura (cel, solelh) citati da Raimbaut.
Inoltre richiama la poetica marcabruniana del trobar

42 RAIMBAUT D AURENGA - GIRAUT DE BORNELH, Ara.m platz Giraut de


Bornelh, ed. Pattison 1952: «Giraut, per cel ni per solelh | Ni per la
clardat, que resplan, | No sai de que.ns anem parlan | Ni don fui
natz! Si sui torbatz, | Tan pres d'un fi joi natural | Can d'als consir,
no m'es coral.»

36
naturau: un poetare naturale, ‘schietto’, contrapposto
ad entrebeschatz, ‘artificiato, ‘falso, in senso non
soltanto formale, ma anche contenutistico e ‘morale’.
Raimbaut invoca gli elementi topici della lirica
trobadorica per funzioni diverse da quelle
tradizionali. L’io lirico non può parlare di cielo, sole,
chiarezza della luce, poiché è troppo gioioso per
l’esperienza della fruizione amorosa, e quindi per
l’esperienza di affinamento poetico, a tal punto che
non ha altro in mente e non ricorda dove egli sia nato.
Il poeta-amante è proteso dall’esperienza poetica, che
non avvolge il corrotto e corruttibile mondo esterno.

Cars, bruns e tenhz motz entrebesc!


Pensius-pensanz enquier e serc
Com si liman pogues roire
L'estraing röill ni·l fer tiure,
Don mon escur cor esclaire.
Tot can jois genseis esclaira
Malvestaz röill'e tiura
E enclau Joven e serga

37
Per qu'ira e jois entrebesca.43

Raimabut scrive che sta intessendo rare,


oscure e segrete parole. Il termine brun però in
occitano non rimanda propriamente all’oscurità, ma
all’idea di opacità. Cars potrebbe indicare l’idea di
dolci parole, mentre entrebescatz indica con valenza
negativa artificiosità. Pregio, oscurità e segreto sono
tre termini riferiti alla parola poetica e indicano una
moderata opposizione semantica tra di loro, o meglio
una moderata gamma di chiaroscuri. Meditando in
maniera assorta, il poeta prova ad eliminare dal suo
animo il male, cioè rendere chiaro il suo cuore
scuro.44 Un’interessante opposizione semantica è
quella tra ira e joi, tristezza e gioia. Se Raimbaut tesse
parole preziose, opache e segrete, egli redige termini
di natura diversa così come sono di natura diversa i
suoi sentimenti e le sue emozioni («Cars, bruns e

43 RAIMBAUT D AURENGA, Cars, douz e fenhz del bederesc, vv.1-8; ed.


Pattison 1952.
44 Cfr. M. PERUGI, Saggi di linguistica trovadorica. Saggi su Girart de

Roussillon, Marcabruno, Bernart de Ventadorn, Raimbaut d’Aurenga,


Arnaut Daniel e sull’uso letterario di oc e oil nel Trecento italiano,
Tübingen 1995, pp. 114-120.

38
tenhz motz entrebesc | […] | Per qu'ira e jois
entrebesca»). Il lavoro per sublimare questi
sentimenti contrastanti è il labor limae della poesia,
di natura oraziana («Pensius-pensanz enquier e serc |
[…] | L'estraing röill ni·l fer tiure»). 45 Un ramo della
tradizione trasmette la lezione clars per car: da un
punto di vista contenutistico, la variante clars
completerebbe, nel verso, un’articolata suggestione
luministica, insieme a «brus» e «teinhz»: i motz
Raimbaut «ricoprirebbero l’intera gamma delle
possibilità cromatiche delle figure retoriche durante il
processo di labor limae sul testo poetico» (Milone) 46.

Il poeta vuole estirpare dalla poesia il negativo che


vede nel mondo esteriore mediante il suo lavoro di
natura retorica sulla poesia. Ma il labor limae spesso
non porta reale appagamento, ma diventa solamente
testimone di una tensione inappagata verso

45 Per una discussione testuale della lezione cars e della variante


clars in questo verso rambaldiano cfr. M. P ERUGI, Linguistica e trobar
clus, in «Studi medievali», 3° serie, XXXVIII 1997, pp. 341-375.
46 Cfr. L. MILONE, El "trobar envers" de Raimbaut d'Aurenga,

Barcelona, 1998.

39
l’irraggiungibile.47 Raimbaut esplicita che il lavoro
retorico può portare sia vero affinamento della
propria arte, sia artificiosità e preziosismo fine a se
stesso.48 Il poeta-amante soffre perché non riesce ad
espungere l’ ‘estranea’ ruggine, cioè il male, neanche
dal mondo interiore, cioè dalla poesia, che è appunto
il suo ossimorico spazio interiore, in cui le sue parole
esprimeranno allo stesso tempo gioia e tristezza.
L’esperienza poetica ha il compito di sublimare ciò
che di positivo l’uomo coglie nel mondo esteriore.
Amore è ciò che muove il mondo, ed è a questo che
muove il canto poetico e lo fa risplendere come un
fiore. Se è vero che l’esperienza poetica sublima
Amore, il male non potrebbe non far parte del
paesaggio descritto dal poeta. La sofferenza dovuta
all’apparizione del male porta il poeta-amante alla
sofferenza, ad intrecciare parole oscure, motz brun e
ad invertire il ‘fiore’, cioè la parola retorica della
poesia, in Ar resplan la flors enversa.

47 M. PICONE, Osservazioni sulla poesia di Raimbaut d'Aurenga in «Vox


Romanica», XXXVI 1977, pp. 28-37.
48 RAIMBAUT D AURENGA, XXXIII, 52; XXI, 24, ed. Pattison 1952.

40
Car vei qe clars è una lirica interessante per
l’analisi della luce nella poetica di Raimbaut, poiché
ha le parole clars, gaia e viva come mot-refranh. 49

Nella prima strofe il canto degli uccelli è chiaro per la


sua perfezione formale, perché trae spunto da una
natura impregnata dalla bellezza. Il poeta desidera
unirsi alla schiera dei volatili, che sono immagine
degli altri poeti, poiché egli è attirato dal loro bel
canto. In questo passo è clar il canto degli uccelli.
Poiché il poeta nota il ‘chiaro’ canto degli uccelli e il
fine cinguettio dei volatili in crescendo, egli lo
apprezza e lo trova piacevole: non può vivere senza
canto e decide di comporre una chansoneta gaia.
Qual è il rapporto tra joy e clar, gioia e luminosità?
Nella strofe successiva 50 Raimbaut scrive che il sole è
bianco e chiaro, emana raggi ardenti, brucianti. Il
poeta impiega quindi cinque aggettivi allitterati per

49 RAIMBAUT D AURENGA, Car vei qe clars, vv. 1-7, ed. cit. «Car vei qe
clars | Chanz s'abriva | Dels aucels, e·l prims fremirs, | M'es douz e
bels lor auzirs | Tan qe no sai coisi·m viva | Sens chantar, per qe
comenz |Una chansoneta gaia».
50 ID., Ibid., vv.8-14, ed. cit. : «E·l sols blancs, clars, | Veg qe raia |

Cautz, greus, secs, durs et ardenz, | Qe·m frain totz mos bons talens. |
Mas una voluntatz gaia | D'un franc joi, qe·m mou Dezirs, | No vol
c'ap flacs volers viva.»

41
descrivere il caldo, che rimandano immediatamente
all’idea di luminosità e di bagliore (Cautz, greus, secs,
durs, ardenz). La ‘volontà’ del poeta è ‘gaia’ di una
gioia sincera; il dezir del poeta non ammette flacs
volers, espressione che si oppone al bons talents
dovuto al paesaggio esterno. Il voler – equivalente al
velle dantesco – è l’arte retorica che il poeta-amante
impiega per comunicare il suo bons talents, – a cui
sovrappongo il disio dantesco 51 – cioè il suo desiderio
di carpire l’essenza della poesia stessa. Raimbaut
inverte lo stilema topico che dà connotazione positiva
al sole: il sole diventa emblema di secchezza, che
indica la difficoltà di provare gioia. La troppa luce
rinfiacchisce l’animo del poeta. Ma la sua voluntat lo
porta a cogliere una poesia che rispecchi la bellezza
della vita e la sua mutevolezza tramite artifici retorici,
che secondo l’arte poetica oraziana sono colores
rethorici. Si noti l’opposizione tra l’arte poetica
rinsecchita per la mancanza di rinnovamento formale
e la volontà della poesia di ristabilire uno spazio
nuovo da un punto di vista formale. La gioia non deve

51Cfr. L. PERTILE, La punta del disio. Semantica del desiderio nella


Commedia, Fiesole, 2005.

42
lasciare il poeta-amante, ma la felicità della fruizione
del sentimento amoroso lo porta a soffrire, poiché è
vero che fa muovere dal suo animo sospiri, quegli
stessi «sospir de preon» di cui parla Bernart de
Ventadorn in Can vei la lauzeta mover.
In Car vei qe clars, la gioia relativa alla donna
amata non è mai chiara, cioè non si rivela mai, e fa il
poeta piangere, o meglio provoca in lui lez sospirs,
felici lamenti.52 La gioia non è chiara quando l’io lirico
sospira, per cui a nulla serve il mos dirs, cioè le sue
parole. L’esperienza della composizione poetica è
felice per il poeta, ma gli porta anche grande
dispiacere, poiché egli sa di non poter lodare nella
maniera più adeguata la gioia interiore che la poesia
porta nel suo animo. L’amore per la donna, e quindi
per la poesia, non terrà il poeta lungamente gaio. La
felicità che la poesia porta è quindi caratterizzata
ossimoricamente da dispiacere e tristezza. Il poeta-
amante afferma che non sa se il suo dire, le sue parole
potranno aiutarlo o nuocergli, perciò egli è tentato

52ID., Car vei qe clars, vv. 15-21: «Ges no m'es clars | Ni m'esquiva |
Est jois, don faz lez sospirs, | Ni sai s'anc mi valc mos dirs | Ni mi
noc; e tem qe·m viva | Enaisi trop lonjamens | L'amors qe·il tenc
meja gaia.»

43
dall’idea di abbandonare il canto. La gioia è lontana,
quindi non è chiara, bensì scura, cioè offuscata. Per
questo motivo il poeta-amante mostra tristezza: il suo
amore non può essere più felice se è de lonh («e tem
qe.m viva enaisi trop lonjamens | l’amors qe.il tenc
meja gaia»): il sogno della perfezione poetica non
deve essere lontano bensì vicino, altrimenti l’io lirico
non potrà goderne. Il binomio che anima tutta la
poesia di Raimbaut è quello di gioia e dolore,
vicinanza e lontananza dell’oggetto amato, tema
rudelliano a cui si intreccia quello di Bernart de
Ventadorn della rinuncia all’attività poetica.

Mos cors es clars


E s'esmaia!
Aici vauc mestz grams-iauzens,
Plens e voigz de bel comens;
Qe l'una meitatz es gaia
E l'autra m'adorm cossirs
Ab voluntat mort'e viva.53

53 ID., Ibid., vv. 22-28.

44
Perché sono motz-refranh i lemmi gaia e
viva? Raimbaut sottolinea la tensione verso l’oggetto
amato, che è chiaro, gioioso e vitale. Lo stesso poeta-
amante mira a carpirlo, ottendendo purezza, gioia e
vita. Il lavoro poetico rende il poeta-amante mesto e
felice, cioè ‘vaire’. Per questo la poesia deve
rispecchiare il variopinto dei propri colori retorici,
cioè deve essere variata nelle sue strutture formali. Il
mio cuore è rischiarato e costernato, scrive Raimbaut.
Interessante il contrasto tra lemmi connessi al campo
semantico della gioia (jauzirs, gaugz; gaia) e a quello
della tristezza (faillirs; temers; espaventz). Secondo
Mira Mocan la materia linguistica, ambigua e di
difficile comprensione, è ‘illuminata’ da un processo
di rischiaramento interiore tramite il dialogo con
Dio.54 Da questa dicotomia tra linguaggio oscuro e
linguaggio illuminato da Dio nasce la poesia
ossimorica di Raimbaut. «La paraul’ escura (il mot
brun, secondo la sottile riformulazione di Raimbaut
d'Aurenga) e il trobar clus possono diventare, senza

54Cfr. M.MOCAN, Un cuore così illuminato. Etica e armonia del canto


nella poesia dei trovatori (Bernart de Ventadorn, Marcabru,
Raimbaut d’Aurenga), in Miscellanea Antonelli, in corso di stampa.

45
contraddizione, dei veicoli di illuminazione interiore,
e contemporaneamente prendere origine in un ‘cuore
che si è rischiarato’» (M. Mocan). 55
Una volontà chiara e lucente ha consumato il
poeta-amante e lo ha spinto a combattere56. Raimbaut
sottolinea la natura ambigua della fruizione
dell’esperienza amorosa, che lo porta a fallire e alla
paura, piuttosto che alla gioia, a cui mira il poeta per
vivere. Grazie allo spavento, però, la volontà di godere
della gioia si raddoppia. 57 Il poeta-amante dona alla
sua donna tutto se stesso, poiché ha raggiunto la
purezza tramite il processo dell’esperienza poetica.
L’io lirico si affida interamente all’oggetto del suo
desiderio, che rappresenta la stessa esperienza
poetica. «Cor es en vos totz sens»: il poeta-amante,
mettendo in dubbio la sua possibilità di sopravvivere

55 Cfr. ID., ibid.


56 RAIMBAUT D AURENGA, Car vei qe clars, vv. 29-35, ed. cit. : « C'us
volers clars | Qe·m caliva | M'espeing enant en Faillirs! | Mostra
Temers que jauzirs | Val mais al home qe viva | Qe cortz gaugz; per
q'espaventz | S'altempr'ab voluntat gaia ».
57 ID., Ibid., vv. 36-42, ed. cit. : «Vostr'amics clars | No·us essaia, |

Dona, ni·us mostra parvens, | Cor es en vos totz sos sens. | Ni sap si
l'etz dur'o gaia! | Tant vos tem qe·l Descubrirs | L'escarz, e no sap
com viva».

46
al dolore, afferma di voler impreziosire il proprio
dettato poetico, in modo che alla sua morte
sopravvivano le sue parole. Il poeta afferma che non è
chiaro mentire per un amante fine: la parola poetica
deve mostrare verità. Raimbaut, rivolgendosi alla sua
donna, afferma che la sua amics clar non lo avvicina e
non mostra il suo aspetto quando totz sos sens è verso
di lei.58 Il poeta afferma che non è ‘chiaro’, cioè
opportuno, mentire per un fine amante. I motz che
compone il trovatore devono essere sinceri, la parola
deve essere veritiera e ben meditata affinché porti un
contenuto di natura morale. nonostante la natura sia
spesso in contrasto con essa. Il poeta che non ha un
contenuto morale da veicolare tramite le proprie
poesie deve essere pronto al suo martirio piuttosto
che a vivere. Il poeta-amante, poi, si rivolge all’animo
della sua donna, al suo cors clars.59 Chiede perdono

58 ID., Ibid., vv.43-49, ed. cit. : «Que non es clars, | Ab c'om pliva, |
Amics, ni ab genz mentirs, | Si non tem so; c'a martirs | Leu deu
venir anz q'el viva! | C'om non ama finamenz | Senes gran temensa
gaia.»
59 ID., Ibid., vv.50-56, ed. cit.: «Ai! francs cors clars! | Res veraia! |

Domna, vailla·m Chausimenz | Si eu non sui tant sapiens | Qe·us


sapcha, per foudat gaia, | Dir so qe voil; mas Suffrirs | No·m dan si
voletz qe viva ».

47
qualora non riesca, tramite la sua dottrina, a spiegarsi
bene; ma la sofferenza non lo ucciderà, se la propria
donna vorrà che egli continui a vivere. Se
sovrapponiamo all’immagine della donna quella della
poesia stessa, il trovatore invoca la propria arte e la
interroga sul suo fine ultimo. Il poeta-amante si
dichiarà triste per non avere abbastanza bos sabers,
cioè abbastanza artifici retorici. Ma nonostante tutto,
sa di non potersi sottrarre al proprio amore per la
poesia, che lo mantiene in vita. Ciò è ancor più
evidente nella tornada della poesia Car vei qe clars.

Domna,·l meilher res qe viva!


De loing ses fuec m'escomprens
E·m donas voluntat gaia.60

La canzone presenta un nesso di natura


semantica tra le parole in rima clars, gaia e viva: la
luce porta gioia e vita in contrapposizione al suffrirs,
mentirs, martirs, espaventz e l’essere mestz. Il poeta-
amante afferma che la fruizione dell’amore lontano
non sarà gravosa, se vorrà la sua donna tenerlo in vita.

60 ID., ibid., vv.57-59, ed. cit.

48
Se la donna è simbolo dell’arte poetica, è proprio la
composizione di poesia che tiene il vita il trovatore,
tutto proteso nella ricerca, nell’arte di trobar. La
ricerca poetica del trobar le parole giuste è una
tensione verso l‘assoluto, che fornisce lo scopo della
vita del poeta nella lontananza della perfezione,
nell’irraggiungibilità dell’obiettivo61, che è e sarà
sempre lontano, come è impossibile da adempiere la
fruizione dell’amor de lonh rudelliano. 62
In Assatz sai d’amor ben parlar Raimbaut
scrive che non ama nulla, se non il suo anello, che lo
mantiene ‘chiaro’, cioè gioioso. 63 Mon Anel è il senhal
della sua donna. 64 Parlare troppo è un peccato

61 L. SPIITZER,
62 ID., Ar m'er tal un vers a faire, ed. cit. : « Dolsa dompna de bon aire
| No·m gitetz tant a non-cura! | Ve·us que tolt avetz dreitura | S'ab
merce·l cors no·us esclaire. | Qu'ieu n'aten | Chausimen | Si·us es
gen, | Si non faitz me peneden | Issir fors de mon repaire ».
63 ID., Assatz sai d'amor ben parlar, ed. cit. : « Mas per so·m puesc

segurs guabar | Qu'ieu, et es mi grans deshonors, | Non am ren, ni


sai qu'es enquar! | Mas mon Anel am, que·m ten clar, | Quar fon el
det . . . ar son, trop sors! | Lengua, non mais! que trop parlars | Fai
piegz que pechatz criminaus; | Per qu'ieu·m tenrai mon cor
enclaus ».
64 A proposito del senhal Μοn Anel, W. PATTISON scrive: «Raimbaut is

guarding his thought about the Ring-Lady within his heart (v.56)
but (?) she will realize what it is. She (the Ring-Lady?) will receive

49
mortale, per cui egli dovrebbe tenere il suo cor
enclaus, cioè il suo animo chiuso, così come nella
tristezza è clus il suo trobar; non dovrebbe quindi
rivelare altro sull’identità della sua donna. Se la
donna è immagine speculare della lirica, il poeta non
deve rivelare nulla dei suoi artifici retorici agli altri
trovatori. Il passo può fornire un’ulteriore
interpretazione: nel tema della rinuncia all’Amore si
sovrappone quello della moderazione della parola
poetica. Il poeta deve essere equilibrato e deve trovare
le parole giuste, quanto più dense da un punto di vista
semantico, a tal punto che possa esprimere al meglio
il suo sentimento d’affezione all’arte poetica. Il poeta-
amante, afferma, infatti che chi troppo parla fa
peccato: il tema della rinuncia alla parola, sviluppato
da Bernart de Ventadorn, è connesso a quello della
rinuncia al solo amore dei sensi. Quando il poeta-

the poem at Rodez (v. 60). These meanings are evident if we set
mos belhs Joglars off as a parenthetical vocative phrase. If we do
not punctuate thus, we can make Joglar the lady at Rodez, which is
possible. I agree with the interpretation suggested by Kolsen (ZRPh,
XLI, 500). Appel (ZRPh, XLIX, 475, n.) objects that the Ring-Lady has
not actually been named, hence ilh (v.58) can have no antecedent.
But from the senhal Mon Anel (v.52) the presence of the Ring-Lady
is felt throughtout this passage.

50
amante avrà affinato il sens, e con esso il suo bos
sabers, potrà tornare alla poesia per poterla rinnovare
da un punto di vista formale e contenutistico.

1.9 Bernart de Ventadorn è un poeta che dà


grande spazio a svariate immagini naturali.65

Ara no vei luzir solelh,


Tan me son escurzit li rai!
E ges per aisso no.m esmai,
C'una clardatz me solelha
D'Amor, qu'ins el cor me raya!
E, can autra gens s'esmaya,
Eu melhur enans que sordei,
Per que mos chans no sordeya.66

Bernart finalmente vede i raggi del sole tornare


ad irradiarsi nel suo animo, poiché essi si erano
65 Cfr. Introduzione, in Canzoni di Bernart de Ventadorn, Roma, 2003,

a cura di M. Mancini. Per le canzoni di Bernart de Ventadorn ho


consultato l edizione pi‘ antica e completa, Appel , e la recente
edizione Mancini , che è incompleta di alcune liriche. D ora in
poi farò riferimento all edizione pi‘ recente, quando in essa sono
presenti le liriche che intendo citare.
66 ID., Ara no vei luzir solelh, ed. cit.

51
oscurati nel mondo esteriore. La luce che risplende
nell’animo del poeta-amante è quella dell’esperienza
poetica. Se molti poeti non riescono più a rinnovare il
canto, cristallizzato da una morte ‘interiore’, che è
riproposizione dei ‘topoi’ della tradizione con un
linguaggio povero da un punto di vista retorico.
Quando invece gli altri si sgomentano, l’io lirico è
gioioso perché può cogliere un novel chant, una
poesia rinnovata nello stile e nella forma. Il poeta dice
di non riuscire a vedere più il sole che illumina la
terra, poiché ora, mentre lo guarda, sembrano
oscurarsi i suoi raggi. Ma non si dispiace per questo,
perché la chiarezza di Amore rischiara il suo animo.67
Il poeta scrive quindi che Amore ins el cor me raya, si
irraggia nel suo cuore. Laddove quindi molti si
sgomentano – e aggiungerei per non riuscire a
conquistare il proprio oggetto d’amore – l’io lirico non
si fa vile, e così non si svilisce il suo canto. Metterei
qui in evidenza il parellismo tra la luce del sole
offuscata («Ara no vei luzir solelh»), i raggi del sole

67 M.MOCAN, Un cuore così illuminato. Etica e armonia del canto


nella poesia dei trovatori (Bernart de Ventadorn, Marcabru,
Raimbaut d’Aurenga), in «Miscellanea Antonelli», in corso di
stampa.

52
che si sono oscurati («Tan me son escurzit li rai»), poi
la chiarezza del sole d’Amore, che ha i suoi raggi nel
cuore del poeta («clardatz me solelha | D'amor, qu'ins
el cor me raya»). Bernart gioca su un’opposizione tra
luminosità e contrasto, dalla luce all’ombra,
dall’ombra alla luce 68.

Tant es fresch' e bel' e clara


Qu'amors n'es vas me doptoza,
Car sa beutatz alugora
Bel jorn esclarzis noih negra!69

Scrive il poeta-amante Bernart in Amors,


enquera.us preyar, che la sua donna è tanto fresca,
bella e chiara che la sua bellezza rende piacevole il
giorno e rischiara la notte oscura. Si noti
l’aggettivazione ternaria fresch' e bel' e clara: le
qualità della donna del poeta rendono l’ambiente

68ID., ibid.
69 ID., Amors, enquera.us preyara, ed. Appel 1915. La cobla così
continua : « Tuit sei fait on mielz cove, | Son fin e de beutaz ple! |
No.n dic laus, mas mortz mi venha | S'eu no l'am de tot mo sen ! |
Mas, domn', Amors m'enliama, | Que.m fai dir soven e gen | De vos
manh vers avinen. »

53
circostante immagine delle sue qualità; se la donna è
fresca chiara e bella, anche il giorno sarà tale e
risplenderà nelle tenebre come un sole (Bel jorn
esclarzis noih negra). Si noti poi l’opposizione
semantica tra esclarzis e noih negra: il poeta oppone
l’idea di chiarezza a quella di oscurità in maniera
esplicita, impiegando il verbo oscurare e l’aggettivo
negra per connotare la notte. Se alla bellezza della
donna sovrappongo quella della poesia lirica, essa, se
affinata retoricamente, può portare luce, cioè purezza,
in un mondo poetico dove il linguaggio è manipolato
dai fautori della fals’Amor e dove l’arte retorica è
spenta, ripiegata su vecchi stilemi, cristallizzati nel
vuoto della loro vanità. Il poeta-amante, in questo
frangente, mostra l’intenzione di non voler parlare e
di voler rinunciare all’esperienza poetica, poiché ha
paura di non poter portare più variazioni sui temi e
sulle forme del canto trobadorico. Afferma il poeta
amante che la sua donna è «Que.m fai dir soven e gen
| De vos manh vers avinen»: egli compone proprio
perché Amore, e cioé la poesia lirica stessa, gli
fornisce l’ispirazione. Ipotizzo che il poeta-amante, in
questo frangente, mostri l’intenzione di non voler

54
parlare e di voler rinunciare all’esperienza poetica,
poiché ha paura di non cantare in maniera adeguata il
‘joy d’Amor’. Si noti come il tema della paura
affrontato ora da Bernart de Ventadorn si intrecci con
quello già affrontato da Raimbaut d’Aurenga.
Nel momento in cui il poeta-amante dice di
non voler più parlare, egli nega il silenzio e porta un
canto nuovo con una poesia retoricamente variata
rispetto ai temi tradizionali. La poesia di Bernart,
come quella di Raimbaut, si afferma attorno
all’antinomia tra parola e silenzio, tra gioia e tristezza,
sentimento amoroso e intorpidimento interiore, luci e
ombre, colori vivaci e colori spenti. Bernart, tuttavia,
continua a cantare, ma non fa poesia se non riesce a
rinnovarla, per non eseguire il pechat criminaus di
cui parla Raimbaut d’Aurenga, quello del troppo
parlare. 70 Nonostante il poeta-amante sia in rapporto
di conflittualità con la sua arte, che vorrebbe spesso
abbandonare per penuria di ispirazione, pensa di
chiedere mercé alla propria donna. Il poeta-amante
chiede nuovi artifici retorici all’arte poetica, in
maniera tale da prolungare il canto e quindi la vita

70 ID., Can par la flors josta.l vert folh, ed. Mancini, 2003.

55
con esso. La poesia viene quindi a coincidere con la
vita del poeta : finché dura la poesia, durerà la sua
vita.

1.10 Scrive Arnaut Daniel 71 in En breu


brizara.l temps braus 72 che una buona e soave
dottrina (la poesia e la musica) e cuore ‘chiaro’,
raffinato e sincero, spingono l’io lirico verso di lei da
cui vorrebbe cogliere la gioia, se a lei non dispiace. Il
dispiacere («quar, si’m fo fera escriula») è messo in
rapporto di antinomia con la gioia («era jauzen
breuja’m temps lonc»). Arnaut Daniel scrive che la
bona doctrina e cors clars, la poesia lirica e un animo
raffinato e lucente lo conducono dalla sua donna. La
sua dottrina, cioè il suo bos sabers e il suo animo
raffinato da essa gli concedono una ‘ferma volontà’,
che è quella di adempiere la sua arte poetica in una

71 L opportunità di fornire lezioni attendibili dell opera di Arnaut


Daniel è stata oggetto di numerose edizioni critiche nel corso del
Novecento (Toja 1960, Perugi 1978, Eusebi 1995).
72 ARNAUT DANIEL, En breu brizara'l temps braus, ed. Eusebi 1995 :

« Bona doctrina e suaus | e cors clars, suptils e francx | manda'm er


al ferm condug | de leis don plus vuelh que'm cuelha, | quar, si'm fo
fera escriula, | era jauzen breuja'm temps lonc, | qu'il m'es plus fina
e ieu lieis sertz | que Talant e Meleagre. »

56
forma quanto più adeguata. La ‘ferma volontà’ è la
stessa che anima il poeta a recarsi nella camera della
sua donna, per essere con lei non solo con il cuore, ma
anche con il corpo. 73 Il poeta-amante, mediante il
talan e il voler – a cui sovrappongo il disio e il velle
danteschi 74 - giunge a vedere la luce della sua donna
de pres, cioè da vicino, e non de lonh, da lontano,
come suggerisce la poetica di Jaufre Rudel. Per
cogliere la donna Arnaut deve affinare il suo voler e il
suo talan mediante il labor limae. La descrizione
lirica è immagine della tensione del poeta verso la
cambra della sua donna, che è immagine della sestina
elaborata da Raimbaut d’Aurenga e perfezionata da
Arnaut. La donna che alberga nella cambra è la poesia
stessa, la cui essenza il poeta vuole cogliere con tutti
gli strumenti retorici, e quindi non solo con un
desiderio astratto, ma con un volere concreto. Il voler
di Arnaut proteso alla ricerca dell’essenza poetica

73 ID., Lo ferm voler qu’el cor m’intra, vv. 13-16 ed. cit.: « Del cor li
fos, non de l'arma, | e cossentis m'a celat dins sa cambra, | que plus
mi nafra'l cor que colp de verja | qu'ar lo sieus sers lai ont ilh es non
intra».
74 Cfr. L. PERTILE, La punta del disio. Semantica del desiderio nella

Commedia, Fiesole, 2005.

57
cozza contro l’impossibilità di raggiungerla, e per
questo produce le rime petrose, aspre e chiocce.
Importante sarà notare come Arnaut Daniel ha
affrontato il tema della chiarezza.
In Lancan son passat li giure scrive Arnaut:
quando sono passati i geli e non rimane loro poggio
né valle, nel giardino trema il fiore sui rami di cima,
dove diviene frutto75. Afferma il poeta-amante Arnaut
che il fiore, il canto e i trilli chiari con la stagione dolce
e gentile gli insegnano ad unirsi alla gioia, proprio ora
che è giunto l’inizio d’aprile. Interessante come alla
chiarezza e alla lucentezza del giardino rischiarato dal
sole che scioglie le nevi trovi posto il ‘chiaro’ trillo
degli uccelli. Si noti quindi che la chiarezza del
paesaggio è connesso con il canto degli uccelli, e
quindi con quello del poeta, che trae spunto dagli
elementi della natura. Essi infatti m'enseignon c'ab ioi
m'apoigna, cioè insegnano il poeta a cantare. La
sinestesia ‘chiaro trillo’ (clar quil) impiegata da

75ID., Lancan son passat li giure, vv.1-8 ed. cit : « Lancan son passat li
giure | e no.i reman puoi ni comba | et el verdier la flors trembla |
sus en l entrecim on poma, | la flors e li chan e.il clar quil | ab la
sazon doussa e coigna | m enseignon c ab Joi apoigna | sai al temps
de l intran d abrils. »

58
Arnaut correla la luce con il canto dei volatili, che è
immagine speculare del suo poetare. Il poeta-amante,
dopo che è tornato a godere dell’esperienza poetica,
vede la neve abbandonare le cime, proprio come una
donna che lascia cadere il proprio velo, simbolo di
pudicizia, per condurre il suo amato nella cambra. Il
verde della natura indica la lucentezza del corpo della
donna. In un mondo connotato dal contrasto con
elementi negativi come il freddo e il gelo, la poesia
diventa mezzo salvifico per l’animo del poeta; dopo
che essa è stata raffinata, abbellita e ‘colorata’, la si
può contrapporre alla grossolanità del mondo
esteriore.
Nella seconda cobla di Lancan son passat li
giure, Arnaut precisa che non riesce a trovare due
donne tra mille che non dicano falsità e poi
tradiscano, rendendo vile ciò che avevano di prezioso.
In questo contesto troviamo proprio un inasprimento
del dettato tra i versi 13-16:

qu'ieu non trob ies doas en mil


ses falsa paraulla loigna,
e puois c'a travers non poigna

59
e no torne sa cartat vil. 76

Il poeta afferma di non trovarne due tra mille


senza falsa parola, cioè davvero veritiere: tutte le
donne cortesi e di valore diventano vili proprio per la
loro ipocrisia. Arnaut contrappone le parole falsa e vil
alla cartat, al pregio della vera donna, che è emblema
di vera parola poetica.

1.11 In Can vei pels vergiers desplegar il


poeta-amante Bertran de Born scrive:

Can vei pels vergiers desplegar


Los cendatz grocs, indis e blaus,
M'adoussa la votz dels cavaus
E.l sonet que fan li juglar
Que viulen de trap en tenda,
Trombas e corn e graile clar!77

76 ID., Lancan son passat li giure, ed. cit. «L'aur amara | fa'ls bruels
brancutz | clarzir, | que'l dous'espeis'ab fuelhs, | e'ls letz | becx | dels
auzels ramencx | te babs e mutz, | pars | e non pars».
77 ID., Cant vei pels vergiers desplegar, ed. cit.

60
Bertran de Born immagina che gli elmi e gli
scudi multicolori siano come fiori e foglie del vergier,
che è luogo privilegiato degli amori di uomini e donne
cortesi. All’estetica dell’amore tra il poeta e la dama,
Bertran sostiuisce una vera e propria estetica della
guerra. Nel giardino, locus amoenus in cui il poeta-
amante incontra la propria donna, al posto dei fiori
multicolori ci sono le corazze variopinte. Il poeta,
piuttosto che ascoltare la dolce melodia dell’usignolo
vuole sentire i sonet que fan li juglar, le trombe e i
corni Bertran sulla lirica amorosa innesta la tematica
bellica e l’esperienza della guerra. Il poeta-amante
tesse le lodi degli elementi da cui trae ispirazione: i
soldati, che rappresentano il suo amore per la guerra,
e i giullari, che rappresentano il suo amore per la
poesia lirica.

61
62
2. Retorica dell’oscurità.

2.1 Premessa.

In questo secondo capitolo cercherò di mettere


in evidenza il collegamento nella poesia occitanica tra
la sfera delle tenebre con quella della luce. Il contrasto
tra luce e tenebre è presente nelle Sacre Scritture. Nel
Vangelo di Giovanni si legge, all’inizio del III capitolo:
«in principio era la Parola e la Parola era presso Dio, e
la Parola era Dio» 78. La parola e le lettere sono fonte
di salvezza. «E la luce risplende nelle tenebre e le
tenebre non l’hanno compresa». E ancora nel Vangelo
di Giovanni si legge che Dio «venne come testimone
per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti
credessero per mezzo di lui; egli non era la luce, ma fu
mandato per rendere testimonianza della luce. Egli (la

78 GIOVANNI III, 3-4; tratto da:

63
Parola) era la luce vera, che illumina ogni uomo che
viene nel mondo». 79
Il legame tra Scritture e poesia in lingua
volgare è inscindibile in un contesto culturale come
quello medievale, fortemente permeato dalla cultura
cristiana. I poeti occitanici, in quanto letterati, erano
formati sui testi latini classici, in particolare su
Orazio, e sulle Sacre Scritture. Abbiamo già visto che
la poesia oraziana è un perno della cultura
trobadorica. Anche la Bibbia è un modello importante
per i poeti in lingua d’oc, i quali nei testi che
analizzerò fanno molteplici riferimenti di natura
religiosa. Non solamente i lirici fanno riferimento alle
Scritture, ma anche i mistici fanno riferimento alla
poesia d’amore: i laici impiegano stilemi del
linguaggio religioso e i religiosi impiegano stilemi del
linguaggio laico. La mistica cristiana impiega il lessico
dell’amore profano quando deve descrivere gli effetti
dell’amore di Dio: ricorre quindi alle immagini

79 GIOVANNI III, 7-9; tratto da:

64
dell’esperienza terrena e sensibile per poter
comunicare l’amore per Dio. 80
Le espressioni impiegate dalla lirica cortese
per descrivere le bellezze dell’amata e gli stati d’animo
che accompagnano l’esperienza d’amore lasciano
spesso percepire echi del linguaggio religioso della
contemplazione e della conoscenza divina. Questo
linguaggio di natura mistica è una fonte per il lessico
della lirica d’amore volgare. 81 Molti poeti hanno ben
presente l’interpretazione allegorica del Cantico dei
Cantici in cui l’amore tra l’uomo e la donna è allegoria
dell’amore tra Cristo e la Chiesa. Il processo
dell’innamoramento di cui scrivono i trovatori è lo

80 C. BOLOGNA, Anima mea liquefacta est: sulla presenza


dell’allegorismo vittorino nei trovatori, in Percepta rendere dona:
studi di filologia per Anna Maria Luiselli Fadda, Firenze, 2010, pp.
32-52; P. DRONKE, Medieval Latin and the Rise of the European Love-
Lyric, 2 voll., Oxford, 1968.
81 C. BOLOGNA, ibid. ; A. PULEGA, Amore cortese e modelli teologici :

Guglielmo IX, Chrétien de Troyes, Dante, Milano, 1995; J. LECLERCQ,


L’amour des lettres et le désir de Dieu. Initiation aux auteurs
monastiques du Moyen Âge, Roma, 1957. (trad. It. Cultura umanistica
e desiderio di Dio. Studio sulla letteratura monastica del Medioevo,
Firenze, 1965); Cfr. P. DRONKE, ibid., pp.76-80; R. KLEIN, La forme et
l’intellegible: écrits sur la Renaissance et l’art moderne, Paris, 1958.
La forma e l’intellegibile. Scritti sul Rinascimento e l’arte moderna,
trad. it. a cura di R. Federici, Torino, 1970.

65
stesso dei mistici immersi nella contemplazione
divina: un’immagine visiva (quella della donna, nel
caso specifico dell’innamoramento, mentre la
‘dottrina’ nel caso dei mistici) passa attraverso gli
occhi sotto forma di spirito, fino al cuore e qui
raggiunge l’immaginazione, dove diventa immagine
astratta dalla materia e quindi prettamente mentale. 82
Nella lirica trobadorica avviene il paesaggio naturale è
spogliato dai suoi elementi materiali, è astratto dalla
materia e diviene immagine ‘mentale’. La donna è
descritta solamente in base ad alcuni particolari, con
la forma dello scorcio, il che implica una
‘mentalizzazione’ della sua immagine. 83
Per comprendere il processo di
interiorizzazione dell’oggetto amato è opportuno far
riferimento alla distinzione agostiniana tra homo
exterior e homo interior84. Ciascuna persona è
formata da queste due entità: il primo ha percezione

82C. BOLOGNA, ibid.


83ID., ibid. ; G. AGAMBEN, ibid. ; C. LUCKEN, L’imagination de la dame.
Fantasmes amoureux et poésie courtoise, in «Micrologus» VI/2,
1998, pp. 201-223 ; R. KLEIN, ibid., p.30-34.
84 J. ASTLEY - L. J. F RANCIS, Christian Perspectives on Faith

Development, Leominster (UK), 1992.

66
della realtà sensibile, mentre il secondo conosce la
verità, cioè la luce divina che si cela dietro la materia.
L’occhio dell’uomo esteriore non può afferrare
l’incomprensibile percezione del divino di cui è capace
l’uomo interiore: l’homo interior coglie e rende
astratti concetti che l’homo exterior non percepisce in
quanto quest’ultimo è corrotto dalla materia.85 Anche
l’amore cantato nei trovatori potrà perciò compiersi
solo nell’interiorità del poeta, nel sogno: ciò è palese
nella poesia di Jaufre Rudel, in cui l’esperienza
poetica prevede appagamento soltanto nella
dimensione onirica del sogno.86 Il binomio homo

85 AGOSTINO, Confessiones, X 6, tratto da Confessioni, ed. it. a cura di C.


Carena, Roma, 1991: Non dubia, sed certa conscentia, domine, amo
te. […] Quid autem amo, cum te amo? Non speciem corporis nec
decus temporis, non candorem lucis ecce istum amicum oculis […]:
non haec amo, cum amo deum meum. Et tamen amo quandam
lucem et quandam vocem et quendam olorem et quendam cibum et
quendam amplexum, cum amo deum meum, lucem, vocem, odorem,
amplexum interioris hominis mei […] Et ecce corpus et anima in me
mihi praesto sunt, unum exterius et alterum interius. Quid horum
est, unde quaerere debui deum meum, quem iam quaesiveram per
corpus a terra usque ad caelum, quousque potui mittere nuntios
radios oculorum meorum ? Sed melior quod interius. […] Homo
interior cognovit haec per exterioris ministerium; ego interior
cognovi haec, ego, ego animus per sensum corporis mei.
86 JAUFRE RUDEL, No sap chantar, ed. Chiarini 1985.

67
exterior-homo interior è sviluppato anche da
Riccardo di San Vittore.87 Secondo Riccardo il vero
appagamento dell’animo può avvenire solamente
nell’esperienza contemplativa e onirica, proprio come
spiega Jaufre in No sap chantar, in cui durante il
sogno tutto il suo bos sabers è proteso verso la
propria donna.88 L’oggetto interiore è composto da un
connubio tra immagine visiva sensibile ed immagine
mentale; questa concezione è alla base della teoria
aristotelica del ‘fantasma’, 89 che secondo i vittorini si
rispecchia nel volo celeste degli uccelli90. Nell’incipit
di Can vei la lauzeta mover l’ascesa e la caduta della
lauzeta indicano l’oblio del mistico del proprio essere
individuo. 91 Per Simone Weil la lirica di Bernart de
Ventadorn rappresenta la grande gioia e allo stesso
tempo la grande tristezza dell’uomo come creatura

87 Cfr. M. MOCAN, L’arca della mente. Riccardo di San Vittore nella


Commedia di Dante, Firenze, 2012.
88 Cfr. C. BOLOGNA, ibid.

89 Cfr. M. SIMONETTI – G. BONFRATE – P. BOITANI, a cura di, Il viaggio

dell’anima, , Milano, 2007.


90 Cfr. M. MOCAN, La trasparenza e il riflesso. Sull'alta fantasia in

Dante e nel pensiero medievale,Torino, 2007, p.109-127.


91 Cfr. C. BOLOGNA, ibid.; G. BACHELARD, L’air et les songes. Essai sur

l’imagination du mouvement, Paris, 1943.

68
finita 92. Pertanto la poetica della fin’Amors sviluppa
anche quella della finitudine dell’essere umano, che
non può valicare i propri confini per raggiungere
Dio.93 Il mistico, immerso nella contemplazione
divina, sperimenta il vuoto così come l’allodola, che si
‘oblia’, cioè si dimentica della propria condizione, e si
lascia cadere, cioè si inabissa nel vuoto prima di poter
risalire alla contemplazione della luce, immagine del
sembiante divino. 94 La luce divina è l’assoluto a cui il
trovatore mira, racchiuso dalla contemplazione di Dio
e della donna al tempo stesso. In questo modo
Bernart de Ventadorn innesta la tematica dell’amore
per Dio su quella dell’amore per la donna amata. 95 Il
poeta è soggetto privilegiato dell’esperienza d’amore
proprio come un mistico, poiché può ascoltare la voce

92 Cfr. S. WEIL, En quoi consiste l’inspiration occitanienne, in «Le


génie d Oc et l homme méditerranéen», numero speciale dei
«Cahiers du Sud» 1943.
93 Cfr. C. BOLOGNA, ibid.; C. BOLOGNA, A. FASSÒ , Da Poitiers a Blaia:

prima giornata del pellegrinaggio d’amore, Messina, 1991.


94 L. LAZZERINI, L’allodoletta e il suo archetipo. Firenze, 1998, pp. 165-

188.
95 Cfr. A. RONCAGLIA, Il trovatore Bernart de Ventadorn. Materiali ed

appunti per il Corso di Filologia romanza, anno accademico 1984-85,


Roma, 1985; A.A.V.V., Capitoli per una storia del cuore, a cura di F.
Bruni, Palermo, 1988.

69
della propria anima in maniera più profonda. 96 Scrive
frate Ivo:

non ab exterioribus ad interiora suavitatis suae


secreta transponit, sed ab interioribus ad exteriora
transmittit. Solus proinde de ea digne loquitur qui secundum
quod cor dictat interius, exterius verba componit 97.

Questo passo del mistico frate Ivo ci ricorda


molto ciò che scrive Bernart de Ventadorn, a riprova
del fatto che i trovatori leggevano i mistici medievali:
«Chantars no pot gaire voler, | si d’ins dal cor no mou
lo chans».

2.2 La ‘paraula escura’ nella lirica trobadorica.

L’oscurità nei poeti occitanici è messa in


stretta connessione e opposizione con la sfera della
luce. All’amore per la donna è possibile sovrapporre,
alla luce di ciò che ho redatto nella premessa, non solo
l’amore per la poesia e per l’artificio retorico, ma

96Cfr. A. RONCAGLIA, ibid.


97Cfr. IVES, Êpitre à Séverin sur la charité, a cura di G. DUMEIGE , Paris
1955, che corregge la vecchia attribuzione a Riccardo di San Vittore.

70
anche quello per Dio e per la contemplazione del
mistero divino. Il primo poeta che mette in evidenza il
tema dell’oscuro è Marcabru, da cui ha origine il
dibattito tra trobar clus e trobar leu. 98 Marcabru
scrive in Per savi teing ses doptanssa:

Per savi teing ses doptanza


celui qu’e mon chan devina
cho que chascus moz declina,
si com la razos despleia,
qu’eu meteis sui en erranza
d’esclarzir paraula escura.99

L’io lirico ritiene saggio senza dubbio colui che


del suo canto indovina ciò che ciascuna parola
significa, nel momento stesso in cui l’argomento si
dispiega.100 La paraula escura è quella dei trovatori

98 A. RONCAGLIA, Trobar clus: discussione aperta, in «Cultura


neolatina» XXIX 1969, pp. 5-55.
E. KÖHLER, Sociologia della fin’Amors, introduzione e traduzione a
cura di M. Mancini, Padova, 1976.
99 MARCABRU, Per savi tenc ses doptanssa, ed. cit.

100 A.A.V.V., Obscuritas. Retorica e poetica dell'oscuro. Atti del 28°

Convegno universitario (Bressanone, 12-15 luglio 2001), Trento,


2004, pp. 92-93.

71
rivali, quei «trobador a sen d’enfanza» che vengono
menzionati all’inizio della seconda cobla e che sono
accusati di scrivere parole intrecciate con fratture
(entrebescaz de fraitura). 101 I poeti rivali scrivono
motz serratz e romputz solamente mostrando un
procedimento fine a se stesso: Marcabru, al contrario,
intende mediante la complessità esprimere verità di
natura morale. 102 Ma è un testo che, a parte il

101 ID., ibid.


102 Il passo è controverso: per una storia delle intepretazioni cfr. ID.,
ibid.; cfr. U. MÖLK, Trobar clus, trobar leu; Studien zur
Dichtungstherie der Trobadors p.71; cfr. L. MILONE,
Retorica del potere e poetica dell’oscuro da Guglielmo IX a Raimbaut
d’Aurenga, in AA.VV., Retorica e poetica, Quaderni del circolo
filologico linguistico padovano, 10 Liviana, Padova 1979, pp.164-65,
e C. DI GIROLAMO, I trovatori, cit., pp. 105-107. S. GAUNT, R. HARVEY e L.
PATERSON, Marcabru. A critical editon, Brewer, Cambridge 2000,
p. ; E ben noto come il canzoniere di Marcabru sia intessuto di
citazioni e di allusioni bibliche. D. SCHELUDKO, Beiträge zur
Entstehungsgeschichte der altprovenzalischen Lyrik, Archivium
Romanicum, 15 (1931), pp.137-206; G. ERRANTE, Marcabruno e le
fonti sacre dell’antica lirica romanza, Firenze 1948, pp.172-269; A.
RONCAGLIA, Riflessi di posizioni cistercensi nella poesia del XII secolo,
in AA.VV., I cistercensi e il Lazio, Roma 1978 pp.11-22; Ef 4,17-19:
«Hoc igitur dico, et testificor in Domino, ut iam non ambuletis, sicut
et gentes ambulant in vanitate sensus sui, tenebris obscurantum
habentes intellectum, alienati a vita Dei per ignorantiam, quae est
in illis, propter caecitatem cordis ipsorum, qui disperantes,
semetipsos tradiderunt impudicitiae, in operationem immunditiae
omnis in avaritiam».

72
riferimento all’oscurità, non ha rapporti con l’incipit
di Per savi teing. Il luogo a cui Marcabru si riferisce è
il primo capitolo dei Proverbi, versetti 5-6:

Audiens sapiens, sapientior erit; | et intelligens


gubernacula possidebit.| Animadvertet parabolam et
interpretationem, | verba sapientium et aenigmata eorum.103

In un’ampia riflessione sulla ‘Scripturarum


obscuritas’ Agostino riconosce l’esistenza nella Bibbia
di numerose oscurità104: nessuno può dubitare che la
dottrina si apprenda più volentieri mediante l’uso di
similitudini; se le questioni investigate hanno una
certa difficoltà, quando le si scopre, ciò riesce molto
più gradito. Coloro che non trovano nulla di ciò che
cercano soffrono la fame, ma quelli che non fanno
ricerche perché hanno le cose a portata di mano,
soffrono la noia. Agostino spiega che nell’uno e
nell’altro caso bisogna evitare il torpore e la noia. Lo
Spirito Santo ha plasmato le Scritture in maniera tale
che esse appaghino la fame del ricercatore mediante i

103 A.A.V.V., Obscuritas. Retorica e poetica dell'oscuro, cit., p. 95.


104 ID., ibid.

73
passi più semplici, e lo svellino dal torpore con i passi
più difficili.105 Le Scritture, con la loro verità nascosta,
migliorano l’animo dell’uomo di lettere, il quale deve
sforzare il proprio intelletto per poterle comprendere.
106 Esse sono state plasmate dalla provvidenza divina
perché abbassasse la superbia dell’uomo e lo rendesse
pronto a ricercare con umiltà l’assoluto della parola
divina.107 Agostino spiega che le allegorie e le
similitudini rendono la dottrina un piacere, nel
mentre fanno esercitare l’intelligenza del fedele, così
come nelle poesie degli autori latini le figure retoriche
erano un ottimo veicolo di piacere nella diffusione
della dottrina108. Le figure retoriche rendono più

105 ID., ibid. ; AGOSTINO, De doctrina Christiana, II,6, trad. it. V. Tarulli,
Roma, 1993.
106 Cfr. R. ANTONELLI, Oscurità e piacere, in A.A.V.V., Obscuritas.

Retorica e poetica dell'oscuro, cit.


107 Cfr. AGOSTINO, ibid., cit: «Quod totum provisum esse divinitus non

dubito ad edomandam labore superbiam et intellectum a fastidio


renovandum, cui facile investigata plerumque vilescunt. […]Num
aliud homo discit quam cum illud planissimis verbis sine
similitudinis huius adminiculo audiret? […] Sed similitudo
promeretur, cum res eadem sit eademque cognitio, difficile est
dicere et alia quaestio est».
108 Cfr. R. ANTONELLI, ibid., in A.A.V.V., Obscuritas. Retorica e poetica

dell'oscuro, cit.

74
difficile la fruizione della poesia così come le oscurità
delle Scritture ne rendono più difficile la fruizione
della parola divina. Il poeta occitanico inasprisce
quindi il proprio dettato per mettere alla prova
l’acume dei propri lettori così come l’acume dei fedeli
è messo alla prova dalle Scritture.109 La fruizione
dell’oscura parola poetica deve avere alla base un
messaggio di natura morale: il fedele deve anteporre
l’amore per la difficoltà all’amore per la dottrina, così
come egli dovrà sempre anteporre la propria anima al
corpo.110 L'oscurità racchiude in sé la luce, cioè
l'essenza divina, da scoprire mediante un processo di

109 Cfr. ID., ibid.


110 Cfr. Cfr. R. ANTONELLI, ibid., in A.A.V.V., Obscuritas. Retorica e
poetica dell'oscuro, cit.; AGOSTINO, De cathecatizandis rudibus IX, 13,
ed. cit. : « maxime autem isti docendi sunt Scripturas audire divinas,
ne sordeat eis solidum eloquium, quia non est inflatum; neque
arbitrentur carnalibus integumentis involuta atque operta dicta vel
facta hominum, quae in illis libris leguntur, non evolvenda atque
aperienda ut intelligantur, sed sic accipienda ut litterae sonant;
deque ipsa utilitate secreti, unde etiam mysteria vocantur, quid
valeant aenigmatum latebrae ad amorem veritatis acuendum,
discutiendumque fastidii torporem, ipsa experientia probandum est
talibus, cum aliquid eis quod in promptu positum non ita movebat,
enodatione allegoriae alicuius eruitur. His enim maxime utile est
nosse, ita esse praeponendas verbis sententias, ut praeponitur
animus corpori. »

75
contemplazione mistica. Le parole sono il medium,
cioè l’involucro esteriore del messaggio e ne
rappresentano quindi il corpo; il messaggio invece è
come l’anima, perché è eterno e incorruttibile 111.
Occorrerà ricordare questa opzione teorica offerta al
pensiero e alla scrittura medievale. La parola oscura
di Marcabru è quella delle Scritture, che
possibilmente si intreccia anche con l’ideologia
dell’amore cortese. Così come il perfetto religioso può
capire e indovinare tutto in merito alle Scritture, così
il perfetto amante può capire e comprendere a fondo
il senso della poesia cortese.
Il termine escur, sebbene non sia presente in
molte liriche, ha un valore importante nel
comprendere il senso della poetica dei primi trovatori.
Il primo poeta che lo impiega è, come abbiamo visto,
Marcabru, e non solo in Per savi teing ses doptanssa.
Bernart Marti in Amar dei scrive che l’amante deve
rivolgere la sua attenzione alla donna amata oltre
misura quando vede il tempo rinverdire e nota il
canto degli uccelli con le sue dolci melodie. Dunque il
poeta precisa: «Dunc dompnei | Color en peintura, |

111 Cfr. ID., ibid.

76
Mas be vei | En plan ma rancura»: gli piace il colore di
ciò che materialmente si pone davanti ai suoi occhi;
gli piace quindi il mondo, ma sa di dover rifuggire dai
beni materiali e dall’amore terreno («Tan no.s pagua
ni s'irais | Que, ja l'en sovenha | D'est'amor terrena, |
Soven chant'e plora»).112 Il poeta-amante aggiunge di
essere infelice perché la sua donna non si illumina ai
suoi occhi e per lui si mostra in una notte oscura, che
Dio non ha intenzione di rischiarare. Se all’amore per
la donna sovrapponiamo quello per la verità divina, il
poeta-amante, che coincide con il fedele in
contemplazione, è felice poiché mira ai misteri divini,
ma allo stesso tempo è triste poiché sa di non poterli
penetrare: questo accade perché la condizione umana
è finita. L’homo interior, cioè le alte facoltà
intellettuali, è in contrasto con il mondo materiale,
caduco e mendace, dell’homo exterior: il male è
sempre presente e non può essere evitato, così come
la condizione di peccatore non può essere evitata dal
fedele. Si noti che il riferimento a Dio è importante, in

112BERNART MARTI, Amar dei, ed. Beggiato 1984: «Ges no.l vei | Que
sa forfaitura | No.ill plaidei | Tot per nueit escura | Ab leis ses
luguana! | Mas, si.m vailla Dieus la bais, | Gardan de mal plena |
Que.l plait destremena | E d'als no labora.»

77
quanto il poeta-amante si rattrista che lo stesso Dio
non gli riveli l’immensità del Verbo.
Il contrasto tra luce e tenebre è messo meglio
in evidenza da Cercamon nella lirica Puois nostre
temps comens'a brunezir 113. In questa lirica il poeta-
amante Cercamon si lamenta che trovatori tra il verso
e il falso di quanto dicono corrompono amanti, donne
e sposi.114 I baroni hanno imprigionato molti uomini115
a causa dei lauzengiers, che sono peggio di Giuda che
tradì Dio. Non li si può redimere né difendere:
bisogna stare lontano da loro.116 Il poeta-amante si

113 CERCAMON, Puois nostre temps comens'a brunezir , ed. Tortoreto


1981: « Puois nostre temps comens'a brunezir, | E li verjan son de
lor fuelhas blos, | E del solelh vei tant bayssatz los rays, | Per que·l
jorn son escur e tenebros | Et hom non au d'auzelhs ni chans ni lays,
| Per joy d'Amor nos devem esbaudir. »
114 CERCAMON, Puois nostre temps comens'a brunezir, ed. Tortoreto

1981, vv.19-24: «Ist trobador entre ver e mentir, | afollon drutz e


molhers et espos, | e van dizen qu Amors torn en biays, | per que.l
marit endevenon gilos, | e donas son intradas en pantays, | cuy
mout vol hom escoutar e auzir».
115 ID., ibid., ed. cit., vv.25-30: «Cist sirven fals fan a pluzors gequir |

Pretz e Joven e lonhar ad estros, | per que Proeza non cug sia mais, |
qu Escarsetatz ten las claus dels baros | maint n a serrat dinz la
ciutat d Abais, | don Malvestatz no.n layssa un yssir».
116 ID., ibid., ed. cit., vv.37-42: «Nos no.l podem castiar ni cobrir; |

Tollam nos d elhs e Dieus acosselh nos! | Q us joys d amor me

78
lamenta poiché non può avvicinare la donna, a cui
sovrappongo la parola di Dio, a causa dell’ostacolo del
peccato, rappresentato dai lauzengiers che sono
attorno a lui. Il peccato è l’ostacolo che non rende fine
l’animo del poeta-amante, lo mantiene quindi scuro,
come è scura una pietra preziosa non raffinata, e
incapace di cogliere la luce. Nell’ottava cobla di
questa lirica scrive Cercamon:

Ara·s pot hom lavar et esclarzir


De gran blasme, silh qu'en son encombros;
E si es pros yssira ves Roays,
E gurpira lo segle perilhos,
Et ab aitan pot si liurar del fays
Qu'assatz en fai trabucar e perir.117

Ognuno può lavarsi, quindi, e ‘chiarirsi’, cioè,


purificarsi da grande colpa: questa esortazione è
riferita a coloro che ne sono macchiati. Coloro che
seguono la vita contemplativa e danno ascolto

reverdis e.m pays | e puesc jurar qu anc ta bella no fos: | petit la vey,
mas per ella suy gays | e jauzions, e Dieus m en do jauzir!».
117 ID., ibid., ed. cit.

79
all’homo interior piuttosto che all’homo exterior
raggiungeranno la vera beatitudine118. Il poeta-
amante afferma che se vi è valoroso, egli abbandonerà
il pericoloso mondo: così potrà liberarsi del fardello
del peccato, che abbastanza ne fa cadere e precipitare
in rovina. Egli rappresenta il fedele che ha deciso di
abbandonare la vita mondana per intraprendere
quella contemplativa e spirituale.
In questa poesia Cercamon delinea
un’atmosfera cupa: quando il tempo comincia ad
imbrunire e del sole si sono abbassati i raggi, sicché i
giorni sono oscuri e tenebrosi, e nessuno sente né
chans né lays dei volatili, bisogna cogliere la gioia
dell’Amore 119: il poeta-amante teme di non riuscire a
cogliere nel migliore dei modi il Verbo divino, poiché
esso è oscuro, cioè complesso e comprensibile solo a
pochi eletti. Alcuni passi delle Scritture, come i Salmi,
mettono a dura prova l’intelligenza del fedele, che
nella loro fruizione si affina, come si affina il suo
animo, in vista di una purificazione. Quanto più

118AGOSTINO, Confessiones, X, 6.
119S. WEIL, En quoi consiste l’inspiration occitanienne, in «Le génie
d Oc et l homme méditerranéen», numero speciale dei «Cahiers du
Sud» 1943.

80
l’animo del fedele si affina con l’esercizio della ratio e
della contemplazione mistica dell’assoluto, tanto più
egli sarà in grado di cogliere l’assoluto che si cela nel
messaggio divino.
Un altro poeta che impiega il termine escur
nelle sue liriche è Peire d’Alvernhe: in Gent es,
mentr'om n'a lezer il poeta-amante Peire d’Alvernhe
si meraviglia che gli uomini non badino alla Parola di
Dio, finché il giorno non si è oscurato ai loro occhi.
Solo in prossimità della morte i peccatori giungono
alla verità, e poiché non sono riusciti a redimersi
precedentemente non si ‘schiariranno’, cioè non
coglieranno la beatitudine. Il poeta-amante
rappresenta il fedele che legge le Scritture nel
tentativo di cercare la verità della fede. Egli nota come
gli altri peccatori si comportino in maniera turpe,
poiché non leggono la parola di Dio: il poeta-amante
contrappone implicitamente la raffinatezza di coloro
che, mediante la fruizione delle belle lettere della
poesia lirica e delle Sacre Scritture, migliorano il
proprio animo in contrapposizione a coloro che non
raffinano il proprio animo, poiché non leggono la
parola di Dio. Il processo di raffinamento del poeta-

81
amante tramite la lettura delle Sacre Scritture gli
permette di poter comporre una poesia lirica che porti
un messaggio morale e in cui la forma preziosa non
sia veicolo fine a se stesso, ma strumento per
condurre i lettori ad un processo di raffinamento
interiore.
Peire d’Alvernhe scrive in De Dieu non puesc
pauc ben parlar:120 sulla terra è oscuro ciò che sarà
chiaro nell’aldilà, dove non ci saranno beni materiali
da accaparrarsi, quando nel giorno del giudizio Dio
dividerà i buoni dai cattivi. Nell’aldilà Dio punirà,
relegando nelle tenebre, coloro che non hanno fruito
della sua parola e che sono rimasti nelle tenebre
dell’ignoranza, in contrapposizione a coloro che
hanno fruito della difficile parola di Dio (il motz
romputz che lo stesso poeta cita in Lo fuelhs e-l flors
e-l frugz madurs 121) e, spinti dall’intellectus amoris,
hanno ben scoperto il velame che ricopre il Verbo. In

120 PEIRE D ALVERNHE, De Dieu non puesc pauc ben parlar, ed. cit. :
« Per qu'er escur so qu'ar es clar | Lay on Dieus mostrara-l martir |
Qu'elh sostenc per nos a guarir! | On nos sera totz a tremblar | Lo
iorn del iutjamen maior, | On non aura ren d'ufanier! | Qu'ab gran
ioi et ab non pauc plor | Eissens desebran duy semdier. »
121 PEIRE D ALVERNHE, Lo fuelhs e-l flors e-l frugz madurs, ed. Fratta

1996.

82
un’altra lirica dal titolo Lauzatz si' Emanuel,
l’alverniate, 122 rivolgendosi a Dio, lo loda perché
Creatore privo di ogni confine, che risplendendo diede
origine alla luce sopra le oscurità 123. La sua virtù è
così grande, infatti, che non poté essere creduto. Peire
d’Alvernhe scrive inoltre in Dieus, vera vida, verais:

E sai obr' e bon talan


Mi detz e far entretan
Que, qan venretz en las nius
Iutgar lo segl' el iorn gran,
Doutz Dieus, no-m siatz esquius
E q'ieu, clars reis regum pius,
M'en an ab los gausitz gauzens.124

Il poeta-amante, immerso nella


contemplazione mistica, si rivolge al Cristo
ringraziandolo per aver ricevuto da lui obr’e bon

122 ID., Lauzatz si' Emanuel, ed. cit. : « Ni ia fin en negun sen | Non

aura, qu'el resplanden | De prim destinet, anceys | Qu'el fetz


sobr'escur la lutz, | Quar tan ferma-s sa vertutz | Qu'esser non pot
descrezutz | Ni ren pus aver decreys ».
123 Cfr. Genesi 1, 3-5, tratto da: La Bibbia di Giovanni Diodati, 3 voll.,

Milano, 1998.
124 PEIRE D ALVERNHE, Dieus, vera vida, verais, ed. cit.

83
talan, dottrina poetica e desiderio retto verso il bene;
spera di ricevere la sua luce nell’aldilà così come l’ha
ricevuta nella vita terrena. Il poeta-amante ringrazia
Dio per aver ottenuto il suo Amore, che si esplica nella
parola poetica e in quella delle Scritture: possedere la
parola significa carpire il senso autentico, cioè la luce,
che essa racchiude. Obr’e bon talan, che sono
immagine speculare del velle e del disio danteschi 125:
l’arte poetica e il desiderio, cioè la raffinatezza che
spinge il poeta verso il bene, e quindi verso Dio.

Pueys non say estet tan bas


Que de la val Iozaphas
D'un pueg desobr'un peiro
No montes en cel e pus!
Pueys venc l'onzen iorn de sus,
Vist soptans e clars e clus
Als sieus dins una maizo.126

125 Cfr. L. PERTILE, La punta del disio. Semantica del desiderio nella
Commedia, Fiesole, 2005.
126 ID., Lauzatz si' Emanuel, ed. cit.

84
L’episodio descritto da Peire d’Alvernhe
ricorda l’episodio della Resurrezione. Il Cristo, dopo
la sua morte, non rimase sulla terra così in basso;
dalla valle di Giosafat in cui fu sepolto salì al cielo e
poi ancora più su; poi l’undicesimo giorno venne da
su, apparso all’improvviso luminoso e al chiuso, tra i
suoi apostoli in una casa. 127 Il poeta-amante che mira
a questa scena delle Scritture, tramite la Parola di Dio,
e quindi tramite la lettura del Verbo, mira ad elevarsi
spiritualmente tramite la fruizione del Verbo e delle
belle lettere delle Scritture. Il Cristo rappresenta la
verità divina che viene a dimorare al chiuso di una
casa, cioè nel chiuso della struttura poetica che l’io
lirico affina; Dio si rivela proprio a lui come agli
apostoli, poiché egli, tramite un processo di
raffinamento interiore, si è meritato la sua
misericordia, che racchiude in essa il Verbo della
salvezza dal peccato.
Altro poeta che impiega in maniera
preponderande la parola escur è Giraut de Bornelh, in

127 Cfr. AGOSTINO, Confessiones, XIII 9.

85
Ans que venha.l nous fruchs tendres128. A causa della
sua sofferenza, il poeta-amante della canzone di
Giraut spera di poter ottenere mercè presso la donna,
che dovrà essere meno pietosa nei confronti degli
altri. L’amante dice di voler essere avvicinato da
midons in maniera tale da poter notare se ella è
infastidita dal suo greu parlar. («Per trussar ni per
divendres | No.m destric que non engraisse, | Si.l seus
cors delgatz e gras | M'es de pres, c'aissi revenh, | Si
be.m n'ave greus parlars!»). Il poeta-amante non ha
raggiunto ancora quella finezza d’animo che gli
permetterà di cogliere la verità divina 129 : per questo
sente che la donna, a cui sovrappongo la parola della
poesia e delle Scritture, diventa ‘chiusa’ e
irraggiungibile per lui. Nell’ultima strofe della poesia
il poeta-amante Giraut afferma che130 definisce la sua

128 A. PULEGA, Amore cortese e modelli teologici : Guglielmo IX,


Chrétien de Troyes, Dante, Milano, 1995.
129 Giraut si rifà a Marcabru, il cui canzoniere è sintessuto di

citazioni e di allusioni bibliche. G. ERRANTE, Marcabruno e le fonti


sacre dell’antica lirica romanza, Firenze 1948, pp.172-269; A.
RONCAGLIA, Riflessi di posizioni cistercensi nella poesia del XII secolo,
in AA.VV., I cistercensi e il Lazio, Roma 1978, pp.11-22.
130 GIRAUT DE BORNELH, Ans que venha.l nous fruchs tendres, ed.

Sharman 1989 : « E cui parra greus l'aprendres | De mo chantar, no

86
composizione scura, poiché la sua arte è pregna di
artifici e quindi difficile da comprendere, così come è
difficile da comprendere i Salmi, il Cantico dei Cantici
ed altri passi dell’Antico Testamento («c’aissi l’escur
come ebenh: | mo trobar ab saber prenh»).
Giraut cita la parola ‘escur’ anche nella
canzone Mot era dous e plazens. Il poeta-amante
afferma ironicamente che molto bello è il tempo dove
ha visto una bella schiera di nobili fini, leali, con ricchi
abiti e armature. 131 I nobili di cui Giraut scrive nella
sua canzone sono così villani che rendono la sua
carnagione scura per la tristezza. Il poeta-amante
contrappone il bel temp0 del paesaggio interiore,
trasfigurato in poesia, dagli oscuri nobili, villani,
personificazione della malvestatz e della ruggine di

s'en laisse, | Si no.l sui del dir eschas, | C'ab fi coratge l'ensenh, | Si
tot Mo-Senhor no m'ars, | Si cuda que fass'ab onh! | C'aissi l'escur
com ebenh: | Mo trobar ab saber prenh »
131 GIRAUT DE BORNELH, Mot era dous e plazens, ed. Sharman 1989 :

« E sil ab los fers luzens, | De l'autruj dreit enrequitz, | Qui viran tost
la cervitz | La on tanh aculhimens, | Son vila per pla uzatie, | E totz
hom pros que.ls mante | Ahunis parati'e se. | E, si tot no m'es
salvatie, | Car ab lor no.m soy molhatz | De la plueia que s'espars, |
No.m platz lor vilaneiars, | Don ilh me fan car'escura! »

87
cui parla Marcabru 132. Nell’interiorità il poeta-amante
ha trovato pace nella contemplazione di Dio; ma
nonostante tutto egli sente di non riuscire ad
espungere il male dal suo animo e dalla corazza di
peccati che non lascia a lui dio manifesto. I nobili
rappresentano l’homo exterior, personificazione della
grossolanità e delle pulsioni terrene, che non
comprendono in esse la bellezza e l’appagamento
della vita contemplativa.
Giraut afferma in De bels digs menutz frays:
« De bels digz menutz frays | Aver et escudar | Non
cuger'ieu trobar. | Sobeiras ia fon l'ans! ». Il poeta-
amante non si aspettava di comporre belle parole,
minute e così fragili; troppo vorrebbe donare gioia
con parole soavi, piacevoli e entiers, cioè composte ses
fraitura, comprensibili e piane, piuttosto che oscure,
ma ciò non è possibile. 133 La frattura di cui il poeta-
amante rimpingua le sue poesie è la stessa scissione

132G. ERRANTE, Marcabru e le fonti sacre della lirica romanza, cit.


133GIRAUT DE BORNELH, De bels digz menutz frays, ed. cit.: «De bels
digz menutz frays | Aver et escudar | Non cuger'ieu trobar. |
Sobeiras ia fon l'ans! Per so.s passet mos chans | En patz iostals
aussors; | E si.m fos er honors | D'eix lo trebalh cobrar, | Trop volgra
mais donar | Mos gais sonetz ioyos | Ab bel ditz et entiers, |
Entendables e plas, | Que trop escurs ni sobrestorias.»

88
che si è sedimentata nel suo animo, quella che separa
mondo interiore dal mondo esteriore, homo exterior e
homo interior 134 . Il poeta-amante, non potendo nella
vita contemplativa giungere all’estasi divina135, poiché
confinato nella sua esistenza terrena e corporale, non
può giungere alla verità divina. Per questo non può
espungere la roïll, la ruggine, il male di cui scrive
Marcabru in alcune sue liriche136.
Raimbaut d’Aurenga fa riferimento alla parola
escur in Ar vei bru, escur, trebol cel: il poeta-amante
vede un cielo nuvoloso, oscuro e tempestoso, nota
venti, burrasche e pioggia, neve, ghiaccio e brina. Il
sole, che prima era vivo e ardente, in questo momento
è debole e flebile. Egli, davanti a questo paesaggio
oscuro, compone una canzone di lamenti chiusi tra
quattro mura. Le mura in cui il poeta-amante è
racchiuso sono specchio dell’homo exterior, esistenza
terrena, gabbia del corpo, il quale come una prigione
tiene l’anima rinchiusa, serratz e clus, così come la
parola poetica è serratz e clus. In questo frangente il

134AGOSTINO, Confessiones, X 6; ed. cit.


135C. BOLOGNA, Anima mea liquefacta est, cit. p. 32-52.
136 W. PATTISON, The life and works of troubadour Raimbaut

d’Aurenga, Minneapolis, 1952.

89
poeta-amante non può nella sua contemplazione
mirare il divino137, ma solamente goderne di riflesso la
sua luce, che è oscurata in un ambiente piovoso e
uggioso. Il paesaggio interiore dell’io lirico è in preda
alla tempesta, scisso tra la speranza di cogliere la
parola divina e la disperazione per la sua perdita: è
quindi quella nella parola una speranza disperata.
Nella seconda strofe il poeta-amante specifica ancora
meglio qual è la natura del paesaggio uggioso 138: la
tempesta, la pioggia e il freddo non potranno
allontanarsi dalla sua interiorità, poiché egli ha osato
vergare i suoi libri di detti oscuri. I detti oscuri sono
sicuramente utili per affinare l’animo dell’amante,
cosicché egli possa giungere alla contemplazione
divina e carpirne i misteri139; ma questo parlar
coperto racchiude in sé la roïll, il male di vivere, la

137 C. BOLOGNA, ibid..


138 RAIMBAUT D AURENGA, Ar vei bru, escur, trebol cel, ed. Pattison
1952 : « Mas aura ni plueja ni gel | No·m tengran plus que·l gen
temps nou | S'auzes desplejar mos libres | De fag d'amor ab digz
escurs; | So don plus Temers m'es jaca | Qu'Ira·m fes dir midons e
clams; | Que mais d'amor don m'estaca | No chantari'ab nulhs agurs
| Tro plais vengues entre nos ams. »
139 AGOSTINO, De doctrina christiana, trad. it. V. Tarulli, Roma, 1993.

90
fallibilità, il peccato e l’errore di cui è testimone la
natura umana.
Raimbaut d’Aurenga impiega la parola escur
anche in Ar m’er tal un vers a faire: 140 la donna è
oscura verso il poeta-amante e lo confonde così tanto
che gli fa scambiare il male per il bene. La poesia e la
Parola di Dio non danno un conforto, poiché il poeta-
amante, chiuso nella sua autoreferenzialità e nella sua
condizione di peccatore, sente di non riuscire a
carpirle; nonostante debba trarre dalla poesia e dal
Verbo il bene, trae il male, cioè il negativo. Questo
sconforto, tuttavia, nonostante renda il poeta
cosciente dell’impossibilità di espungere la roïll, ‘la
ruggine dalla sua natura.
Un altro poeta che mette in contrasto in
maniera evidente tenebre con la luce è Bernart de
Ventadorn in Ara no vei luzir solelh. Il poeta-amante
non riesce a vedere la luce del sole, perché gli si sono
oscurati i raggi, ma ha un sole nel cuore che lo

140 RAIMBAUT D AURENGA, Ar m'er tal un vers a faire, ed. cit. : « Ar m'er
tal un vers a faire | Que ja no·m feira fraitura; | Qu'ar es enves mi
escura | Cil qe·m fai mal per ben traire. | Adolen, | Faillimen | Fui,
qe·m ven! | Ben aic lai doncs pauc de sen | S'ieu anc fui ves lieis
bauzaire! ».

91
illumina141. Il poeta-amante, in un paesaggio esteriore
scarnificato, riesce a cogliere la verità d’Amore, che
rende luminoso il suo paesaggio interiore. L’homo
exterior in questo caso, confinato nella materialità,
non può cogliere la verità che è riservata all’homo
interior, che nonostante la caducità del mondo coglie
il Verbo divino. E’ anche vero che nella poesia
trobadorica il paesaggio esteriore descritto è
immagine dell’interiorità del poeta-amante. Questi
afferma di avere un sole, cioè il ‘joy d’Amor’ per la
propria donna, a cui sovrappongo l’immagine della
bellezza della poesia e della verità della fede; per
questo motivo laddove gli altri si sviliscono, egli non si
svilisce. Ma questa gioia è destinata ad essere oscurata
per la malvagità del segle («Paor mi fan malvatz
cosselh , | Per que.l segles mor e dechai!»). Dopo
quindi gli incipit positivi della prima e della seconda
cobla, il tema della gioia è modificato da quello del
timore, sul tema del ‘joy’ è effettuata una variazione:
sul paesaggio luminoso dell’homo interior incombe la
paura del male, del peccato e della grossolanità, ben

141Cfr. M. MOCAN, Un cuore così illuminato. Etica e armonia del


canto in Miscellanea Antonelli, in corso di stampa.

92
raffigurata dai malvagi già presenti nella prima cobla.
La prima strofe, in cui l’opposizione tra il sole e le
tenebre, la raffinatezza del poeta-amante e la
grossonalità dei malvatz sono funzionali alla frattura
dell’homo interior, scisso tra ricerca del divino e
finitezza della condizione umana.142 Mira Mocan pone
in evidenza in questa lirica il contrasto tra la clardatz
d’amor e il lessico dell’affettività negativa, più
frequente, sul piano numerico, di quello ‘euforico’ e
messo in evidenza dall’intreccio dei rims derivatius,
simile a quello compiuto da Raimbaut d’Aurenga nella

142 Si leggano le strofe 3-5 della canzone Ara no vei luzir solelh, ed.
Appel 1915: «Paor mi fan malvatz cosselh, | per que l segles mor e
dechai; | c aras s ajoston li savai | e l us ab l autre cosselha | cossi
fin amors dechaia. | A! malvaza gens savaya; | qui vos ni vostre
cosselh crei, | Domnideu perd e descreya. || D aquest mi rencur e m
correlh | qu ira me fan, dol et esglai | e pesa lor del joi qu eu ai. | E
pois chascus s en corelha | de l autrui joi ni s esglaya, | ja eu melhor
dreih no n aya, | c ab sol deport venz e guerrei | cel qui plus fort me
guerreia. || Noih e jorn pes, cossir e velh, | planh e sospir, e pois
m apai. || On melhs m estai, et eu peihz trai. | Mas us bos respeihz
m esvelha, | don mos cossirers s apaya. | Fols! per que dic que mal
traya? | car aitan rich amor envei, | pro n ai de sola l enveya!» vv.
17-40).

93
canzone della flors enversa: esmai : esmaya dei vv. 3
e 6; sordei : sordeya (vv. 8-9). 143
Un altro trovatore che impiega la parola escur
nel suo dettato poetico è Peire Rogier in Al pareyssen
de las flors.144 Ιl poeta-amante prega la sua donna,
affinché metta fine al suo danno manifestando a lui i
suoi occhi, i quali possono curarlo con la loro luce,
poiché egli ha tanta tristezza. L’io lirico vuole che lei
lo faccia entrare nella camera in cui lei si spoglia nella
notte oscura. Si noti la contrapposizione tra l’oscurità
della notte e la cambra di midons, che rappresenta
l’unico faro nel buio, così come i suoi occhi sono
l’unica luce nell’oscurità della tristezza dell’amante. Il
poeta-amante spera che, tramite un processo di

143 Cfr. M. MOCAN, ibid. La studiosa mette in corrispondenza


semantica i seguenti termini appartenenti a sentimenti di natura
disforica: «desautreya (v. 16), paor e malvatz (v. 17), mor e dechai
(v. 18), savai (v. 19), dechaya (v. 21), malvaza gens savaya (v. 22),
descreya (v. 23), mi rencur e corelh (v. 25), ira, dol (v. 26), esglai :
esglaya (vv. 26 e 29), corelha (v. 28), guerrei : guerreya (vv. 31-32),
pes, cossir, velh, planh, sospir (vv. 33-34), cossirers (v. 37), fols (v.
38), envei : enveya (vv. 39-40), foudat (v. 43)»
144 PEIRE ROGIER, Al pareyssen de las flors, ed. Nicholson 1976: « De

mon dan prec mos senhors, | Mas l'amor de midons vuelh, | E que-l
prenda de mi cura, | Que trop es grans mos esmays. | Molt mi fera
gen secors, | S'una uetz ab nueg escura | Mi mezes lai, o-s
despuelha.»

94
raffinamento interiore, possa giungere a vedere la
luce, cioè a migliorare il suo animo e a raffinarlo;
questo processo porterà l’amante a carpire la vera
natura del medium poetico e la vera natura del divino.
La donna che si spoglia, emblema dell’erotismo della
poesia trobadorica, indica che la verità poetica e la
verità divina si offrono solamente agli animi raffinati.
Soltanto il poeta che comprende la dottrina sotto il
velame, cioè le strutture formali della poesia, può
possedere la verità.

2.3 Tonalità scure nella lirica trobadorica.

Non solo il termine escur funge da contrasto


nei confronti della luce: i colori scuri come il nero e il
brun e il bai sono impiegati per la loro capacità di
contrasto con la luce. Il primo vero riferimeno al brun
è nella lirica di Marcabru L’iverns e.l temps s’aizina
145: il poeta-amante afferma che la sua donna lo mette
in stato confusionale e lo fa tentennare nelle proprie
145MARCABRU, L’iverns e.l temps s’aizina, ed. Gaunt-Harvey-Paterson
2000: « So cembel mou cor traina | De son agag lo brico, | c ab
sospirar l en raina, | entrebescat hoc ab no. | Ai! | Mueu talan blanc,
bru e bai; | ab si farai! Non farai! | (oc, | fai al fol magrig l eschina».

95
decisioni; rende il suo desiderio variopinto, cioè
bianco, marrone e baio, gli fa dire ‘lo farò, non lo farò’
(«entrebescat hoc ab no. | Ai! | Mueu talan blanc, bru
e bai; | ab ‘si farai! Non farai!»). Il colore scuro brun,
che è identificabile con il marrone, è accompagnato da
altre sfumature cromatiche: blanc e bai in questo
contesto indicano la corruttibilità dell’amore, che è
variopinto, non di un solo colore. Marcabru biasima il
fatto che la fin’Amors, che era rapporto esclusivo di
un poeta-amante verso una sola donna, ora sia
diventato un pretesto per l’adulterio146. Nel momento
in cui la fin’Amors, da pratica sociale, diventava
istituto di cultura, i poeti riservavano ad esso una
componente intellettuale e spirituale più forte di
quanto non fosse in origine147. Marcabru si scagliava
contro coloro che giustificavano mediante la pratica
dell’amore fino e intellettuale le loro pulsioni e le loro
basse voglie. Il desiderio non deve essere bianco,
marrone e baio, cioè di tanti colori e quindi variabile,
ma deve essere clar, cioè puro. Il poeta contrappone
alla purezza della vera fin’Amors, e quindi della vera

146 E. KÖHLER, Sociologia della fin’Amors, Padova, 1976.


147 ID., ibid.

96
parola poetica, l’oscurità della falsità. Lo stesso
Marcabru si era opposto ai trovatori bugiardi e a
coloro che si occupavano del falsar piuttosto che
dell’esmerar. Questo processo di raffinamento
prevede un lavoro intellettivo che è equivalente a
quello di contemplazione dei misteri divini. In
L’iverns le parole hoc e ai sono in mot-refranh: la
prima ha un valore affermativo, la seconda è
un’esclamazione che indica tormento e dolore. Il
primo ha un valore euforico e il secondo ha un valore
disforico. Nella cobla successiva scrive Marcabru 148:

la fin’amors porta benefici anche alla compagnia e


alla propria cerchia; di conseguenza l’amore carnale
porta perdizione. Marcabru, seguace dell’amore
raffinato da un punto di vista spirituale, ritiene che
l’homo interior, cioè la dimensione interiore, sia
preminente rispetto alla realtà dell’homo exterior, la
realtà esteriore, che è corruttibile e mutevole.
Giraut de Bornelh, invece impiega il colore
brun per descrivere il colore dell’aria nella nebbia,

148 ID., ibid., ed. cit.: «Bon amors porta meizina | Per guerir son
compagnio; | amar los senz disciplina | e.ls met a perdicio. | Ai! | Tan
can l avers dura, fai | Al fol semblan d amor jai, | (oc, | e cant l avers
fail camina».

97
rischiarata successivamente dal sole.149 Il poeta-
amante non può trattenersi dalla gioia quando vede
rischiararsi l’aria. Ma la donna deve essergli
favorevole, altrimenti il suo canto peggiorerà. In
questo passo al rischiararsi dell’aria corrisponde lo
schiarirsi dell’aria e del canto poetico e alla speranza
dell’io lirico che coglie la bellezza della sua parola. Il
poeta-amante, immerso nella sua attività di
contemplazione, affina il suo canto poetico con artifici
retorici; nel momento in cui lo raffina, migliora la sua
opera e migliora contemporaneamente il proprio
animo, che diventa più acuto, capace di comprendere
la verità che racchiude l’esperienza poetica come
quella di contemplazione dei misteri della fede. Se la
gioia d’Amore verrà meno, come il tempo imbrunisce,
così il canto imbrunirà. Il poeta-amante pone una
questione di natura marcabruniana: durante il
processo di affinamento poetico, il poeta non riesce a
non espungere il male, la roïll, per cui mentre leviga il

149GIRAUT DE BORNELH, Can la brun’aura s’eslucha, ed. Sharman 1989:


«Can la brun aura s eslucha | Pel suau termini franc | Era si de joi
m estanc?| Si be.s somelha ni.s clucha | L amors que.m fara languir, |
si no la.m deslonh oblitz, | mal m er e, si.m falh mos chans, | tort
n auretz vos, mal amia!»

98
suo canto e il suo animo, teme che le sue parole si
oscurino e diventino di difficile comprensione. La
condizione di finitudine umana mostra al poeta la sua
dimensione di essere fragile, a cui può sottrarsi la
virtù poetica: il poeta teme di non riuscire ad affinare
in maniera adeguata il suo canto, poiché gli verrà
meno l’arte poetica. Allo stesso tempo la sua
condizione di peccatore lo spinge a credere che non
sarà possibile espungere dal proprio animo il male:
questa condizione di peccatore, che rischia non di non
vedere la luce divina, ben esemplifica l’oscurarsi del
tempo atmosferico.
Ora passo ad analizzare le occorrenze in cui
appare il termine nier. Raimbaut d’Aurenga è l’unico
poeta in cui appare l’espressione semblant nier. Egli
afferma in Long temps ai stat cubertz:

mas per so sui tant espertz


de dir aisso que er plais:
quar voill leu gitar ses poigna
totz los maritz de paintas
e d’ira e de cossirier,

99
don mout me fan semblant nier. 150

In questa lirica Raimbaut annuncia ai maritz


che non dovranno aver paura, perché egli è ormai
ingrassato e ha perso la sua virilità, per cui non è più
un pericolo per loro e non potrà più essere amante
delle loro donne. In questo passo, in particolar modo,
Raimbaut dice di voler liberare i mariti da ogni
angoscia e tristezza che rendono il suo sembiante
nero. In questo caso l’oscurità dell’aspetto di
Raimbaut è da mettere in relazione con ira e
cossirar151, due parole che indicano tristezza e che
sono strettamente connesse al tema dell’oscurità. I
maritz, nella finzione poetica, rappresentano i seguaci
della fals’Amor, coloro che hanno fatto dell’amore
cortese un pretesto per giustificare il loro
comportamento immorale. Raimbaut afferma che
nessun marito deve temere il suo corteggiamento,
poiché egli non può possedere più la sua donna; ma
nonostante tutto egli non smetterà di cantare, poiché

150 RAIMBAUT D AURENGA, Long temps ai estat cubertz, ed. Pattison


1952.
151 Cfr. M. MOCAN, I pensieri del cuore. Per una semantica del

provenzale cossirar, Roma, 2004.

100
egli ha offerto tutto se stesso alle donne, poiché non
esiste altra fonte di gioia. Raimbaut quindi afferma di
essere vero seguace della fin’Amors, a differenza dei
maritz, e quindi canta il suo amore per la donna, cioè
per la parola poetica. Il poeta è anche immagine dello
spirito contemplativo, che si è ritirato nella propria
interiorità e, non volendo più ottemperare le proprie
pulsioni materiali, decide di trarre dalla
contemplazione mistica delle letras la verità che cela
l’armonia del mondo. In Eu m’escondisc, dompna,
que mal non mier scrive Bertran de Born:

Domna, s’ieu ai mon austor anedier


Bel e mudat, ben prenden e mainier,
que tot auzel puosca apoderar,
sisn’e grua et aigron blanc e nier,
volria lo mal mudat, gallinier,
gras, desbaten que non puosca volar? 152

In questa poesia Bertran de Born immagina di


essere con la sua donna nel giardino o nella cambra.

BERTRAN DE BORN, Eu m’escondisc, dompna, que mal non mier, ed.


152

Gouiran 1985.

101
Ma ciò non può avvenire perché i lauzengiers hanno
sparlato di lui. Un paesaggio di cigni e gru bianchi e
neri non muterebbero il suo male nelle sue poesie,
perché si trasformerebbero tutti in volatili incapaci di
volare. Il bianco e il nero sono accostati per conferire
un’idea di negatività: infatti i cigni e le gru non
attenuano il dolore dell’amante, anzi lo acuiscono. Il
poeta-amante, non potendo giungere quindi alla
verità che cela il processo di affinamento poetico,
poiché su di esso incombe il male e la materialità,
immagina volatili variopinti, che sono simbolo della
corruttibilità del mondo esterno rispetto alla purezza
di quello interiore. Ma gli stessi cigni sono immagine
e simbolo presenti nel paesaggio interiore, nell’homo
interior, cioè sono simbolo del fatto che non è
possibile espungere il male e la condizione di
peccatore dall’animo umano.

102
3. Il colore.

3.1 Premessa.

In questo capitolo dimostrerò che i colori nelle


poesie dei trovatori sono impiegati per la loro
funzione di contrasto per la loro capacità di riflettere
più o meno luce 153. Nel Medioevo il colore era
ritenuto un fenomeno di natura materiale ed era
considerato frazione di luce. 154 Oggi dai fisici il colore
è considerato invece come lunghezza d’onda dello
spettro elettromagnetico. La parola color ha tanti
significati e accezioni: può indicare sia una tinta
chiara come il bianco, ma anche il vaire, colore
indefinito e variopinto.

153 M. PASTOUREAU, Le couleurs, images, symboles, Paris, 1989.


154 ID., ibid.

103
Marcabru, in D’aisso lau Dieu, rivolge la lode a
Dio e sant’Andrea, che sono la sua luce. Poi si rivolge
ai suoi ascoltatori e dice loro che se non seguiranno il
Verbo non potranno a la lutz issir. Il poeta-amante si
mostra come amante della parola: mediante il
processo di produzione e fruizione della poesia lirica,
egli può affinare il suo animo e contemporaneamente
affinare la propria produzione mediante gli strumenti
della retorica. La parola poetica, se saggiamente
rielaborata, purifica l’animo del poeta e
contemporaneamente lo porta alla visione divina. La
vita contemplativa è l’unica che può davvero aiutare il
poeta e può portarlo a mirare l’armonia del mondo e il
sembiante dell’assoluto, dietro cui si cela la visione
divina. Il poeta-amante è tuttavia in preda alla paura e
all’ansia di non giungere alla visione dell’assoluto: alla
visione euforica si contrappone immediatamente
quella disforica. Egli afferma di essere in preda alla
tentazione e di non poter raggiungere la luce divina.
Infatti il poeta scrive: «De gignos sens | Sui si manens
| Que mout sui greus ad escarnir, | Lo pan del fol |
Caudet e mol | Manduc e lais lo mieu frezir». Il suo
animo è così reso scarno dai sensi che rischia di

104
mangiare lo pan del fol, cioè di peccare. Poi
nell’ultima cobla l’io lirico aggiunge:

De pluzors sens
Sui ples e prens
De cent colors per mieills chauzir!
Fog porti sai
Et aigua lai,
Ab que sai la flam' escantir.155

L’io lirico dà un’accezione negativa ai cento


colori da cui è preso, che indicano il variopinto mondo
materiale 156. L’homo interior è in contrapposizione
con l’homo exterior, o meglio l’interiorità è mezzo
della contemplazione del mondo, che, assimilato
all’interno dell’animo, è espresso nella lirica mediante
visioni di natura simbolico-allegorica. I cent colors in
questo passo hanno una connotazione negativa,
perché indicano corruttibilità. Si noti che già i colori
di cui parla il poeta sono simbolo di una visione della

155 P. DI LUCA, I trovatori e i colori in «Medioevo Romanzo» XIX,


2005, pp.173-199.
156 MARCABRU, D’aisso laus Dieu, ed. Gaunt-Harvey-Paterson 2000.

105
natura interiorizzata – e quindi ‘mentalizzata – prima
della composizione della lirica. Nello stesso modo i
mistici descrivono l’esperienza amorosa della
contemplazione divina, spesso depauperandola di
qualunque dettaglo attinente alla sfera materiale 157.

La realtà esteriore diviene carica di elementi simbolici


che risaltano nello stesso momento dell’osservazione.
L’amante non deve descrivere il mondo materiale, ma
alla spiritualità, al mondo delle idee, a un Amore puro
che possa affinare il suo animo e ricondurlo a Dio.
Peire d’Alvernhe scrive il poeta che parlerà di
trovatori che abbelliscono le loro poesie con tanti
‘colori’ retorici, e il peggiore sa molto gentilmente
vantarsi a tal punto che è convinto di essere il
migliore158. Peire sostanzialmente si scaglia contro
l’arroganza degli altri poeti, che rendono le canzoni
piacevoli all’ascolto, ma non pronunciano verità
morali. Il colore di cui devono essere rivestite le

157Cfr. C. BOLOGNA, Anima mea liquefacta est, cit.


158 PEIRE D ALVERNHE, Cantarai d’aquestz trobadors, ed. cit. :
« Cantarai d'aqestz trobadors | Que canton de maintas colors | E-l
pieier cuida dir mout gen! | Mas a cantar lor er aillors |
Q'entrametre-n vei cen pastors | C'us non sap qe-s mont'o-s
dissen».

106
liriche è lo stesso di cui parla Orazio nell’Ars
poetica.159 In questo caso la parola color ha
un’accezione fortemente negativa: gli artifici degli
altri poeti sono fini a se stessi, e sono come il mondo
esteriore variopinto, cioè corruttibile, perché esso non
porta una verità morale, ma solo il piacere sensoriale.
La poesia lirica sottintende un processo di
affinamento retorico che possa affinare l’animo del
poeta-amante e quindi di conseguenza la poesia, o
viceversa. Peire intende sottolineare che molti poeti
impiegano i colori, cioè gli artifici retorici, per
ingannare il gusto degli ascoltatori: gli artifici
dovrebbero essere funzionali a veicolare un
messaggio, che in questo caso è di natura morale; la
poesia che sia complessa e difficile in maniera fine a
se stessa non è ammessa da Peire, che è seguace di
Marcabru.

159ORAZIO, Ars poetica, vv. 86-92, ed. cit.: «Discriptas servare vices
operumque colores | cur ego, si nequeo ignoroque, poeta salutor? |
Cur nescire pudens prave quam discere malo? | Versibus exponi
tragicis res comica non vult; | indignatur item priuatis ac prope
socco | dignis carminibus narrari cena Thyestae. | Singula quaeque
locum teneant sortita decentem.»

107
Giraut de Bornelh, nella poesia A ben chantar,
associa la parola color agli abiti del signore feudale.
Giraut afferma che a un bel canto va associato un ben
amar, un amore puro e nobile, dovuto ad autentica joi
d’Amor. L’amore infatti aumenta pregio e valore in
chi ama. Coloro che sono soliti ingannare per avere
più amanti non conoscono fin’Amors. Il poeta è triste
e sconfortato per questa cosa, ma sa che solamente la
sua donna può soccorrerlo. La buona speranza si
materializza infatti proprio nel momento in cui il
poeta-amante comincia a cantare e si rivolge alla sua
donna. A chi è ingannatore sia concesso un amore
ingannevole, mentre a chi è sincero sia un amore
sincero, a chi è altezzoso un amore di tale specie. 160

Poi l’amante si rivolge alla sua donna e le dice:

Senher Sobre-Totz, de colors


Son li drap, e qui.ls sap triar,

160GIRAUT DE BORNELH, A ben chanter, ed. cit. : « A mercear | Tanh


mercears | E franquez' als francs amoros | E contr' als sobrers
orgolhos | Orgolhs e mals, que, si.s gardes | Domn' al traspas, ans
que.l passes, | Ja vils ni sobrers ni savais | No.lh plagra! car no.lh
tanh s'apais | En tal obra don dezonors | Li remazes, s'a razonar | La
n'aven, entrels amadors. »

108
Falh, si compra los sordeiors.161

I drappi multicolori indicano il mondo


materiale e sensibile, che è corrotto rispetto al mondo
spirituale. L’amante dice alla donna che chi sceglie
abiti sfarzosi sbaglia; ciò vale a dire che chi sceglie il
mondo materiale piuttosto che l’amore vero e puro
sbaglia. Giraut accosta il colore dei drappi all’amore
ingannevole: il riferimento al colore indica la
corruttibilità del mondo esteriore, che è caratterizzato
da un piacere esclusivamente sensoriale, privo di
riferimenti al mondo interiore 162. Il poeta-amante
vuole un amore vero, che sia equivalente al suo amore
per la poesia, a cui è possibile ulteriormente
sovrapporre l’amore per Dio. Il poeta morale Giraut,
infatti, cerca nell’amore vero verso la propria donna
un amore sincero verso la poesia. Egli dovrà rendere il
suo servitium amoris alla poesia, cioè abbellirla con
artifici retorici in maniera tale che essa risplenda alla
luce del sole, cioè del vero Dio. La poesia può essere
luminosa solamente se è raffinata abbastanza da poter

161 ID., ibid., vv. ss., ed. cit. .


162 Cfr. P. DI LUCA, I trovatori e i colori, cit.

109
riflettere la luce divina. Il lavoro, il labor limae, che
rende la pietra, cioè la poesia lucente, è lo stesso che
affina l’animo del poeta, che come una pietra diviene,
da grossolano e opaco, raffinato e lucente163. Ma la
luce che la pietra, cioè l’animo e la poesia, di chi è? E’
la luce divina, a cui il poeta deve mirare. I colori, se in
funzione della luminosità, hanno connotazione
positiva; ma se non sono utili a veicolare un contenuto
di natura morale, sono falsi, menzogneri, e quindi
ingannano la percezione dell’homo interior, che
spinto verso di loro dalla pulsione dei sensi, viene
sottomesso dall’homo exterior.
In un’altra lirica, A bels digz menutz frays,
Giraut scrive che non ha bisogno di reglas de color,
cioè regole inneganevoli, per amare con cor ferm e
clar: la fin’Amors, l’amore puro, non ha bisogno di
costrizioni, è libero e naturale, poiché tende, se
raffinato, a salire secondo natura verso Dio. 164 Il

163 Cfr. C. BOLOGNA, Orazio e l’Ars poetica dei primi trovatori, cit.
164GIRAUT DE BORNELH, A bels digz menutz frays, ed. cit. : « No.m fauc
de mans lor ays | A be-mas taynar, | Quan ieu vuelh sermonar. |
C'auia, quar sermonans | Mi bat, selh non-fezans: | Qu'ieu no vuelh
refeitors | Ni reglas de colors; | Quar ja per sopleyar, | S'ab fin cor

110
poeta-amante, in seguito al processo di affinamento
dovuto alla fruizione della poesia lirica e delle
Scritture, carpisce la verità morale e non ha bisogno
di ulteriori impedimenti. In un’altra lirica, invece, Iois
e chanz, Giraut dà una connotazione positiva alla
parola color. «Que cilh senhorei | Cui re no grei, | S'i
es secs coma lenha, | E cals que.s lanh, | Ilh jass'e.s
banh | E gense sas colors | E lui crescha dolors | Qu'es
en latz et espres | Ges amors mais no.lh pes!»165: i
colori della sua donna sono belli, poiché la poesia
elaborata retoricamente e affinata mediante un
procedimento di labor limae. Ovviamente il poeta-
amante ha migliorato il proprio canto fino a renderlo
raffinato e quindi in grado di ricevere luce, così come
ha raffinato il proprio animo. Ma la sua donna, a cui
sovrappongo l’arte poetica, fa accrescere il suo dolore,

ferm e clar, | Ni per trop capairos | No sera.l frair entiers | Nj verais


ni certas, | Si.l dreit no siec e no.l guida la mas. »
165 Si noti anche l impiego della parola color in ID., Iois e chanz, ed.

cit. : « Et es grans | Frevoltatz | C'om ben am dezamatz, | Ses


jauzimen, | Per tal conven | Que cilh senhorei | Cui re no grei, | S'i es
secs coma lenha, | E cals que.s lanh, | Ilh jass'e.s banh | E gense sas
colors | E lui crescha dolors | Qu'es en latz et espres | Ges amors
mais no.lh pes! | No m'es vis ben egalh | C'om dezir e badalh | E viva
consiros | E qu'ela chan | D'altrui dolsas chansos. »

111
poiché il poeta comprende la sua finitudine in
rapporto all’immensità dell’oggetto amato166: così
come il mistico in contemplazione, per quanto si
sforzi, non riesce a comprendere la verità divina, così
il poeta non può mai raggiungere la perfezione
dell’arte poetica. Il poeta rappresenta quindi il fedele
che soffre in quanto peccato e in quanto non può
espungere dal suo animo la ‘ruggine’ del peccato.
Raimbaut d’Aurenga fa accenno alla parola
colors in Assatz sai d’amor ben parlar: il poeta-
amante afferma che può parlare davvero bene di
Amore per gli altri amanti, ma non per se stesso.
Nessuna buona parola scritta da lui può aiutare e
confortare l’amante. Ma egli, nonostante tutto,
dichiara tutta la sua fedeltà ad amore. Potrà insegnare
agli altri uomini ad amare come fa lui, e sarà
soddisfatto solamente dalla loro riuscita nel
corteggiamento.

166 S. WEIL, En quoi consiste l’inspiration occitanienne, in «Le génie

d Oc et l homme méditerranéen», numero speciale dei «Cahiers du


Sud», 1943 (rist. anast. Marseille, 1981), pp. 150-158 (ricorda il
brano M. MANCINI nell annotazione alla lirica in Bernart de
Ventadorn, Canzoni cit., p. 158; Mancini stesso tradusse una parte
del saggio della Weil nel volume, da lui curato, Il punto sui trovatori,
Roma-Bari, 1991, pp. 209-217.

112
Ab aisso n'auretz pro, so·m par.
Mas ieu·m tenrai d'autras colors
Per so quar no·m agrad'amar;
Que ja mais no·m vuelh castiar,
Que s'eron totas mas serors!
Per so lor serai fis e cars,
Humils e simples e leyaus,
Dous, amoros, fis e coraus

L’io lirico rappresentato dal poeta-amante


Raimbaut è sconfortato poiché egli veste differenti
colori variopinti, poiché Amore non è favorevole a lui:
i colori differenti indicano la condizione di ansia e di
angoscia che egli prova, poiché nel suo processo di
affinamento retorico per giungere alla
contemplazione del divino, il poeta non riesce a
comprendere appieno la vera essenza della parola di
Dio, essendo la natura umana condizionata dal
peccato167. Il poeta-amante fa manifestazione di

167 Nel senso che conferisce E. DE MARTINO, Il mondo magico, Torino,


; nell ed. , cfr. p. sul bisogno di risarcire la crisi

113
umiltà: vuole lodare le donne senza voler ricevere
nulla da loro in cambio. Se le donne citate sono
immagini speculari di componimenti poetici 168, il
poeta-amante rappresenta la volontà di chi può fruire
di tante poesie, ma non può più ottenere alcuna
donna, cioè non può comporre ulteriore poesia per
penuria di ispirazione169. Raimbaut dà poi consigli ai
maritz e afferma ironicamente che chi vuole
conquistare le donne deve sapersi far rispettare nel
miglior modo possibile, e se loro daranno risposta
positiva, le dovrà infastidire: una donna, quanto più è
trattata male, tanto più sarà fedele. Se i maritz sono
immagine dei poeti grossolani e rozzi, i componimenti
poetici da loro sono trattati male; inoltre ben si sposa
l’idea del canto stridulo con il simbolismo che cela
dietro le donne allegorie di componimenti poetici. 170

dell essere, l apocalisse individuale e culturale di «una presenza che


abdica senza compenso».
168 Cfr. R. NELLI, L’érotique des troubadours, Paris, 1963.

169 Cfr. la sezione 1.8 presente in questo volume, dove collego

l ossimorica contrapposizione tra termini euforici e disforici nelle


poesie di Raimbaut d Aurenga al tema del silenzio poetico di
Bernart de Ventadorn.
170 RAIMBAUT D AURENGA, Assatz sai d’amor ben parlar, ed. Pattison

1952: «Ab aisso n'auretz pro, so·m par. | Mas ieu·m tenrai d'autras

114
Bertran de Born impiega la parola color in
contesti erotici e bellici: egli non è direttamente
riconducibile alla schiera dei poeti morali, ma è
fortemente influenzato da Raimbaut e Giraut. In Ar
vei la coindeta sazos il poeta, nella piacevole stagione
primaverile si rallegra di vedere accampamenti ed
eserciti schierati in campo di battaglia.

Bella m'es preissa de blessos


Cubertz e teins e blancs e blaus,
D'entresseins e de gonfanos
De diversas colors tretaus,
Tendas e traps e rics pavaillons tendre,
Lanssas frassar, escutz traucar e fendre
Elmes brunitz, e colps donar e prendre
..................................... 171

Le tende sono bianche e blu, i gonfaloni sono


di diversi colori e gli elmi sono scuri: un carnevale di

colors | Per so quar no·m agrad'amar; | Que ja mais no·m vuelh


castiar, | Que s'eron totas mas serors! | Per so lor serai fis e cars, |
Humils e simples e leyaus, | Dous, amoros, fis e coraus.»
171 BERTRAN DE BORN , Ar vei la coindeta sazos, vv.17-24, ed. Gouiran

1985.

115
colori che va dalle gradazioni più lucenti a quelle più
scure. Ma i colori hanno un’accezione positiva, da
rapportare allo stesso colore dei fiori che si irradiano
nell’animo di Bernart in Ara no vei luzir solelh. Il
paesaggio di tende e drappi colorati, in quanto
emblema già interiorizzato dal poeta-amante, indica il
suo stato di gioia per aver colorato, cioè abbellito
retoricamente il canto. Di questa lucentezza sono
emblemi i colori delle tende. Ipotizzo anche in questa
lirica di Bertran de Born una tematica di natura
religiosa. Il bos sabers dei trovatori come lui, seguaci
di Marcabru o dei continuatori della sua poetica
(soprattutto Giraut de Bornelh e Raimbaut
d’Aurenga), è impregnato di cultura religiosa172. Lo
stesso Bertran de Born in molte sue liriche invoca
Dio; ad esempio in Sel qui camja bon per meillor il
poeta spera che Dio gli conceda cor e poder per
superare la tristezza e il dolore.
In Ar vei la coindeta sazos la contemplazione del
paesaggio bellico con tende ed elmi colorati diviene
equivalente ad un paesaggio in cui si vedono prati e
fiori multicolore: in questo frangente Bertran rivela il

172 E. KÖHLER, Sociologia della fin’Amors, Padova, 1976.

116
paesaggio esteriore come specchio di quello suo
interiore migliorato dalla fruizione e dalla
composizione della poesia lirica e della parola divina.
Peire Cardenal, in Atressi co.l perilhans, scrive
che la sua donna è bianca come la neve, roza de color,
poiché Dio così la fece d’aspetto.

Bona domna, neus de port


Sembla la vostra blancors,
E par de roza.l colors!
Qu'aissi.us fe Dieus de faisso
Que natura i pert razo.173

La donna è una rosa colorata; se essa è


immagine del componimento poetico, l’io lirico lo
abbellisce e lo rende prezioso, con parole ricercate, in
maniera tale che il componimento sia immagine per
antonomasia della bellezza della parola poetica. Il
poeta, mediante un lavoro di rifinitura, migliora la
poesia, la rende diversa da tutte le altre, densa di
significato e preziosa, in maniera tale che rifletta la
luce del sole, che è immagine della poesia per

173 PEIRE CARDENAL, Atressi co.l perilhans, ed. Vatteroni 1990.

117
antomasia. Nello stesso processo di affinamento della
materia, anche il poeta affina il proprio animo,
rendendolo capace di carpire la luce della bellezza e
l’assoluto.
Un ultimo esempio in merito all’impiego della
parola colors è offerta dallo stesso Peire Cardenal, che
in Qui se vol tal fais cargar qu'el fais lo vensa. Il
poeta critica quei monaci che vestono draps de color e
badano troppo ai beni materiali, convinti che questi
potranno assicurare loro il Paradiso. 174 Il colore, in
questo caso, ha la funzione di indicare l’oscurità di
coloro che non sono illuminati dalla grazia divina,
poiché guardano troppo con gli occhi dell’homo
exterior, sono troppo dediti all’osservazione dei beni
materiali, mentre non badano a ciò che riceve in esso
l’homo interior175. I monaci descritti da Peire non
sono illuminati dalla luce divina, poiché non sono in
contemplazione divina e non si ritraggono dal mondo,

174 ID., Qui se vol tal fais cargar qu'el fais lo vensa, ed. cit. : «Entre floc
e gambaiso a diferensa | Et entre alba e jorn clar, a ma semblansa, |
Que cant hom vai al mostier far penedensa | No-i viest ges son
gambaiso ni pren sa lansa, | Ni porta draps de colors | Ni esparviers
ni austors, | Anz fai so que-l regla dis | Per anar en paradis.»
175 AGOSTINO, Confessiones X, 6; ed. cit.

118
ascoltando la parola di Dio, che è parola poetica, così
come la parola trobadorica è parola di Dio. Non
fruendo delle lettere, i loro animi non saranno mai
raffinati, ma saranno come pietre opache e
grossolane.

3.2 Il verde.

Il colore verde presenta nella cultura medievale


una forte ambiguità. È il colore della natura, della
vitalità, della rigenerazione, di purezza; d’altro canto
indica la mutabilità della natura, la deformazione, la
cristallizzazione che dà idea di morte.176 Il colore
verde, nelle poesie occitaniche, quando è associato
alla luce ha una connotazione positiva, mentre
quando è associato all’ombra ha connotazione
negativa, come dimosterò in questo paragrafo.
Il colore verde appare soprattutto in sede esordiale
ed è impiegato per descrivere foglie, rami e prati che

176Cfr. P. DI LUCA, I trovatori e i colori, cit; H. PLEIJ, Colors Demonic


and Divine : Shades of Meaning in the Middle Ages and After, New
York, 2002.

119
rinascono nella stagione primaverile 177. Impiegano la
parola vert già i primi trovatori, Guglielmo IX e
Jaufre Rudel. Scrive Guglielmo in Ab la dolchor del
temps novel: il nostro amore va così come accade al
ramo di biancospino che sta sull’albero raggrizzendosi
la notte alla pioggia e al gelo, finché il giorno
successivo il sole si espande sul verde fogliame178. La
fin’Amors è così fragile che deve resistere in un
mondo ostile. Ma, dopo l’attesa della notte, il giorno
porta luce e lo fa risplendere. Se la fin’Amors è, oltre
che amore per la donna 179, sentimento amoroso per la
poesia lirica, il poeta-amante, mediante un processo
di raffinamento con i suoi strumenti retorici, dovrà
affinare il suo canto in maniera tale che resista in un

177 P. DI LUCA, I trovatori e i colori, cit., pp. 321-401.


178 GUGLIELMO IX, Ab la dolchor del temps novel, ed. Pasero 1973: « La
nostr'amor va enaissi | Com la brancha de l'albespi | Qu'estai sobre
l'arbre creman, | La noig, ab la ploi' e al gel, | Tro l'endeman, qe-l
sols s'espan | Per la fueilla vert el ramel. »
179 Cfr. L. LAZZERINI, La trasmutazione insensibile. Intertestualità

e metamorfismi nella lirica trobadorica dalle origini alla


codificazione cortese, in «Medioevo romanzo» XVIII 1993, pp.
153-205 (I parte), 313-369 (II parte). D. Zorzi, Valori religiosi nella
letteratura provenzale: la spiritualità trinitaria, Milano, 1954.

120
mondo ostile 180, quello di molti altri poeti che
compongono in maniera turpe. Prima di effettuare un
lavoro di limatura, il poeta si ritrova un
componimento non ricercato, grossolano, che come
una pietra preziosa appena estratta non emana luce.
Ma dopo questo lavoro di raffinamento, la poesia
risplende alla luce del sole con tutti i suoi artifici
retorici, rappresentati dalle foglie verdi della natura in
fiore. Il colore verde indica la luminosità del sole.
Jaufre, invece, scrive in Lanquan lo temps
renovelha: 181

E quand lo bosc reverdeya,


nays fresca e vertz la fuelha,
adoncas ieu reverdey
de joy e florisc cum suelh,
ab lo dous chan del mati
que fan d'amor li auzelh

180 C. BOLOGNA, Orazio e l'ars poetica dei primi trovatori in «Critica

del testo», X/3, 2007, pp. pp.173-199.


181 JAUFRE RUDEL, Lanquan lo temps renovelha, ed. Chiarini 1985:

« Lanquan lo temps renovelha | e par la flors albespina, | ai talant


d'un chant novelh | qu'ieu sai cum lo chans refri |........................ |
........................; | doussament per miey la bruelha | lo rossinhol
s'esbaudeya. »

121
........................;
jauzens somon a l'aurelha. 182

Quando il bosco torna a rinverdire, nasce il


verde e fresco fogliame, il che fa ‘rinverdire’ il poeta
dalla gioia: il poeta-amante, spinto dalla visione
dell’usignolo, cioè di un altro poeta, che canta ispirato
dalla tradizione poetica, canta anche lui poiché vuole
imitarne il canto. Nel momento in cui lo fa, il poeta
nota che riesce, mediante artifici retorici, ad abbellire
la sua poesia: i ‘colores rethorici’ di cui scrive
Orazio183, che rendono lucente il canto, bene sono
rappresentati dal fogliame che fiorisce nel bosco. Il
bosco è emblema della struttura del componimento
poetico, mentre le foglie e i frutti sono simboli
dell’abbellimento delle figure retoriche. Il verde in
questo contesto ha significato positivo, poiché indica
l’abbellimento del componimento poetico, dovuto alle
figure retoriche che emanano luce; le foglie diventano
emblema della lucentezza della pietra preziosa, di uno
smeraldo, che ben lavorato e limato, colpito dal sole,

182 JAUFRE RUDEL, ibid., vv.9-16.


183 Cfr. ORAZIO, Ars poetica, vv.86-87, ed. cit.

122
emana luce. In Belha m'es la flors d'aguilen scrive
Bernart Marti :

Belha m'es la flors d'aguilen,


Quant aug del fin joy la doussor
Que fan l'auzelh novelhamen
Pel temps qu'es tornatz en verdor,
E son de flors cubert li reynh,
Gruec e vermelh e vert e blau. 184

L’amante, in primavera, finalmente può


carpire il ‘joy d’amor’, poiché vede i prati diventare di
nuovo colorati. Il prato è gruec e vermelh e vert e
blau, poiché riflette la luce del giorno, che diventa
forte per la bella stagione: il riferimento ai colori è
importante in quanto diretta manifestazione della
luce solare.
Un altro poeta della prima generazione dei
trovatori, Cercamon scrive in Puois nostre temps
comens'a brunezir:

Nos no·ls podem castiar ni cobrir;

184 ID., Belha m'es la flors d'aguilen, ed. cit.

123
Tollam nos d'elhs e dieus acosselh nos!
Qu'us joys d'Amor me reverdis e·m pays,
E puesc jurar qu'anc ta bella no fos:
Petit la vey, mas per ella suy gays
Et jauzions, e Dieus m'en do jauzir. 185

Cercamon ben esplica il fatto che la gioia


d’Amore che fa risplendere l’animo del poeta proviene
da Dio. L’animo del poeta diviene lucente e luminoso,
e verde poiché diventa di nuovo gioioso dopo la
tristezza; il poeta-amante si accinge a limare
retoricamente la sua poesia. Nello stesso momento in
cui lo fa, il suo animo si affina e diviene verde come
come le foglie che rinverdiscono in primavera. Il
colore verde indica la gioia, che prende il posto della
tristezza nell’animo del poeta, così come il verde delle
foglie sugli alberi in primavera prende il posto del
brullo e spoglio paesaggio invernale. A che è dovuto il
rifiorire e il rinnovamento del paesaggio interiore del

185CERCAMON, Puois nostre temps comens'a brunezir, ed. Tortoreto


1981: « Nos no·ls podem castiar ni cobrir; | Tollam nos d'elhs e
dieus acosselh nos! | Qu'us joys d'Amor me reverdis e·m pays, | E
puesc jurar qu'anc ta bella no fos: | Petit la vey, mas per ella suy
gays | Et jauzions, e Dieus m'en do jauzir. »

124
poeta? Il rinnovamento è dovuto alla ‘luce’ della gioia
d’Amore, rappresentata dalla donna, emblema del
canto poetico (Petit la vey, mas per ella suy gays).
Ma chi è che conferisce gioia d’Amore? Dio: al canto
d’amore per la donna, e quindi per la poesia, si
sovrappone quello divino. 186
Marcabru è il poeta in cui trovo più occorrenze
della parola vert. Interessante analizzare la canzone
Pois l’inverns d’ogan, che mette in scena il prato
verde e il giardino folto, che rallegrati dal cinguettare
spingono il poeta a cominciare il suo canto.187 Poiché
l’inverno è andato via ed è tornata la primavera,
definita douz temps floritz, si sente il cinguettare
menutz degli uccelli. I prati sono verdi e i giardini

186 Cfr. S. WEIL, En quoi consiste l’inspiration occitanienne, cit. L.

LAZZERINI, La trasmutazione insensibile, cit., pp. 153-205 (I parte),


313-369 (II parte).; D. ZORZI, Valori religiosi nella letteratura
provenzale: la spiritualità trinitaria, cit.
187 MARCABRU, Pois l'inverns d'ogan es anatz, ed. Gaunt-Harvey-

Paterson 2000 : « Pois l'inverns d'ogan es anatz | E.l douz temps


floritz es vengutz, | De moutas guisas pels plaissatz | Aug lo refrim
d'auzels menutz! | Li prat vert e.il vergier espes | M'ant si fait ab joi
esbaudir, | Per qu'ie.m sui de chant entremes. || Totz lo segles es
encombratz | Per un albre que.i es nascutz, | Autz e grans, brancutz
e foillatz, | Et a meravilla cregutz, | Et a si tot lo mon perpres | Que
vas neguna part no.m vir, | No.n veia dels rams dos o tres. »

125
folti, che hanno reso gioia al poeta e hanno fatto
muovere il suo canto. Il poeta-amante guarda la
natura e spinto dalla contemplazione della sua
bellezza decide di comporre una poesia; ma la stessa
poesia ha in sé elementi simbolici che indicano il
processo di composizione della poesia: «lo refrim
d'auzels menutz» possono rappresentare il canto
poetico degli uccelli, mentre «li prat vert e.il vergier
espes» possono indicare la fioritura dell’animo dei
poeti che ottengono gioia dal canto. Se i poeti
‘verdeggiano’ di gioia188 , cioè grazie al canto poetico
tornano alla gioia come se il loro animo fosse un
albero rifiorito, anche il poeta che dice io torna alla
gioia. La fin’Amors è materiale di gioia per il poeta: il
processo di raffinamento dell’animo del poeta è
dovuto alla produzione e alla fruizione delle belle
lettere, che raffinano il suo animo come una pietra
preziosa 189 affinché il poeta colga la luce dell’assoluto
e del divino. Allo stesso modo il poeta affina e lima il
suo canto poetico affinché esso diventi pregevole

188JAUFRE RUDEL, Lanqan lo temps renovelha, ed. Chiarini 1985.


189B. BRUNO, Marbodo di Rennes, I lapidari. La magia delle pietre
preziose, Roma 2006.

126
come una pietra preziosa che quanto più è lavorata
tanto più è lucente 190. La luce a cui mira il poeta è
Amore: all’amore erotico si sovrappone l’amore per
Dio 191. Lo stesso poeta, per poter fruire di lettere e
produrne, deve ritirarsi dal mondo in stato di
contemplazione come un mistico. Si noti che nel
processo di contemplazione la luce è opacizzata,
poiché l’uomo per la sua condizione di finitudine non
potrà mai giungere al divino.
Emblema di questa ‘ruggine’ dell’animo e della
finitudine umana è la visione dell’immoralità e dei
peccatori più incalliti: Marcabru, infatti, mette in
contrasto la luminosità dell’esordio, immagine di
purezza celeste, con l’oscurità del mondo terreno, in
cui un albero dal fusto verde ha le sue radici nella
malvestatz192. L’albero tiene legati tutti i nobili avari
che non vogliono concedere nulla agli intellettuali.
L’immagine simbolica dell’albero compare nello

190 G. ERRANTE, Marcabru e le fonti sacre della lirica romanza, cit.


191 D. ZORZI, op. cit.
192 MARCABRU, Pois l'inverns d'ogan es anatz, vv.8-14 , ed. cit. : « Totz

lo segles es enconbratz | per un arbre que.i es nascutz, | aus e grans,


brancutz e foillatz, | et a meravilla cregutz, | et a si tot lo mon
perpres | que vas neguna part no.m vir, | no.n vega dels rams dos o
tres. »; cfr. P. DI LUCA, I trovatori e i colori, cit.

127
spazio ‘mentale’ del vergier proprio nel frangente in
cui il suo animo si incupisce. Se nella prima cobla il
giardino è emblema della felicità e spazio ‘mentale’
della gioia, nella seconda cobla il giardino sfiorisce e
diventa emblema del male per la mancanza di gioia, di
Amore, e di conseguenza di luce divina. Se nella prima
strofe, il paesaggio era luminoso perché la luce divina
incombeva, nella seconda, a causa del male e del
peccato, la lux divina è offuscata e porta ombra. Nella
terza strofe il poeta poi afferma:

Empero aissi es levatz,


E vas totas partz espandutz
Que lai d'outra.ls portz es passatz
En Franss' et en Peitau vengutz!
Qu'ieu sai qu'el es en tal defes,
E dic ver, segon mon albir,
Qu'en tenra sa verdor jasses.

La malvagità si è diffusa in tutte le direzioni,


ha oltrepassato la penisola iberica, che è sotto il
dominio musulmano, e ha raggiunto i Pirenei,
diffondendosi in Francia e nel Poitou, che sono

128
territorio cristiano. Il poeta dubita che i territori
occitanici siano difesi bene, e lo dice secondo il suo
albir, cioè la sua luce, poiché il ‘verde’, cioè il marcio,
si è stabilito anche in Occitania. Il discorso di natura
religiosa diviene ancora più esplicito: il male, che è
radicato tra i non credenti, ha raggiunto anche i
credenti, che, mossi dai beni materiali, sono stati
inclini a peccare e si sono dimenticati del Verbo, cioè
della parola divina e delle letras. Il poeta-amante si
scaglia quindi contro coloro che, non mossi dalla
contemplazione e da un percorso ascetico, mirano ai
beni materiali tramite l’occhio dell’homo exterior
agostiniano193. La verdor (v.21), nella terza cobla,
indica il colore del marcio in contrapposizione ai prat
vert (v.5) della prima cobla. Il verde non è connotato,
ma deduciamo dalla poesia che quello dei prati in
fiore sia un verde chiaro, poiché illuminato dal ‘joy
d’Amor’ e dalla luce, mentre il verde del male è quello
opaco, scuro, che si forma in ambienti oscuri, e indica
il marcio, il rame su cui si deposita la ‘roïll’ 194, cioè la

AGOSTINO, Confessiones, X, 6 ; ed. cit.


193

MARCABRU, Lo vers comens quan vei del fau, ed. cit, vv.49-54:
194

«Marcabrus ditz que no·ill en cau | qui quer ben lo vers al foïll, | que

129
ruggine di cui parla Marcabru per indicare il peccato.
Il verde è ambiguo per il fatto che nella medesima
lirica sia colore della rinascita e dell’appassimento:
nel primo caso è manifestazione della luce del ‘joy
d’Amor, a cui è da sovrapporre la dedizione del poeta
verso la poesia lirica e verso Dio; nel secondo caso è
immagine della penombra e del progressivo oscurarsi
della lux divina a causa del peccato195.
Un altro dei primi trovatori in cui è presente la
parola vert è Peire d’Alvernhe. Ne L’airs clars e.l
chans dels auzelhs il poeta-amante Peire d’Alvernhe si
schiera a favore dei seguaci di una poesia non-clus:
solamente l’homo interior e la facoltà contemplative
potranno far uscire l’uomo dalla sua prigione e dalla
sua condizione di finitudine, affinché egli vede la luce
di Dio. Il dibattito tra trobar clus e trobar leu, tanto
caro ai poeti morali, si riduce a un dibattito non tra
due scuole poetiche e nemmeno tra poeti antitetici ma

no·i pot hom trobar a frau | mot de roïll, | intrar pot hom de lonc
jornau | en breu doïll». Ho tratto questo testo da: Aurelio Roncaglia,
Marcabruno: Lo vers comens quan vei del fau, in «Cultura neolatina»,
XI 1951, pp. 25-48, alle pp. 29-32. – Rialto 23.iv.2005.
195 Cfr. DI LUCA, I trovatori e i colori, cit., pp. 321-401.

130
a momenti lirici di uno stesso componimento 196: nel
momento in cui il poeta poter mira alla
contemplazione divina, si abbandona ad essa, il suo
canto è lieve e leggero. Quando invece il poeta insiste
sulla sua condizione di finitudine e di essere clus in
una prigione il componimento diventa chiuso. D’altro
canto la tradizione occitanica, incentrata sul binomio
luce-oscurità, colori scuri e chiari, felicità e tristezza, è
anche antinomia tra chiuso e non chiuso: tutti i poeti
occitanici che derivano da Marcabru sono chiusi e non
chiusi a seconda dei propri momenti lirici.
Peire d’Alvernhe vuole cogliere un
componimento non chiuso, proprio nel momento
lirico in cui la positività del canto lo spinge a vedere la
luce e a liberare il suo ‘animo’ dal male e dalla ruggine
del peccato. Infatti egli dice che l’aria chiara e il canto
degli uccelli, il fiore fresco e la foglia che si spande per
i rami – e la verde erba che nasce – lo convince a
essere pronto a cogliere canto non chiuso, tale che
nuova sia la melodia, sicché la canti ormai chi voglia,
che il canto porta allegria. Tristezza, in
contrapposizione con la ‘joy d’Amor’, non produce

196 Cfr. C. DI GIROLAMO, I trovatori, cit.

131
bontà, anzi solamente danno e turbamento. Come
ogni cattivo impedimento deriva da cupidigia, così
ogni fatto triste nasce dall’essere tetro. Il poeta vuole
quindi un tipo di amore che non abbia nessun tipo di
difetto. Nel passo seguente (vv.49-60) poi:

Que-l sieus ioys gensetz esiau


Selhuy qui-l s'autreya
Senes fenh'e semblant brau
E ses vair'enveya
Qu'ades a quasqun iornau
Sai viu e verdeya
Sa valors ab ver lonc lau,
Cuy totz pretz sopleya!
Que, cum resplan roz'en rozier
Gensetz d'autra flor de vergier,
Sobra sobre totz ioys sos iays
Del maior gaug qu'anc nasc ni nays.197

Poiché la sua gioia rallegra meglio colui che le


si dona senza cattiva cera e senza mutevole enveya, al
punto tale che essa sempre vive e ‘verdeggia’ con vera

197 PEIRE D ALVERNHE, L’airs clars e.l chans dels auzelhs, ed. cit.

132
lunga lode il suo valore, cui si sottomette ogni pregio.
Il poeta-amante deve donarsi alla sua donna e alla joy
d’Amor con tutto se stesso: se la donna è immagine
specultare della poesia che affinata retoricamente
acquista capacità di riflettere la luce, così allo stesso
tempo il poeta, affinando le lettere198, raffina se stesso
e coglie la luce del messaggio che le belas letras
comunicano. Questa luce è quella dell’assoluto, che è
arte poetica e allo stesso tempo luce divina. Il poeta-
amante deve donarsi all’arte poetica con tutto se
stesso, deve quindi ritirarsi dal mondo per poter
contemplare la parola lirica e allo stesso tempo la
parola divina, cioè le letras. Il poeta-amante si deve
donare alla verità divina con tutto se stesso e senza
invidia, definita vaire, cioè variopinta e corruttibile. Il
sentimento che il poeta-amante prova è quello
dell’enveya, termine che indica piuttosto che invidia il
desiderio di entrare in un mistero, quello divino che è
un sentimento indefinito, il quale porta alla gioia e
allo struggimento allo stesso tempo. La gioia
spirituale meglio rallegra colui che le si abbandona

C. BOLOGNA, Orazio e l'ars poetica dei primi trovatori, cit., pp.193-


198

194.

133
senza finzione e duro sembiante («senes fenh’e
semblant brau») e senza inconstante desiderio
(«vair’enveja»). In questo caso vaire, termine indicato
per l’accostamento di più colori, ha una forte
accezione negativa. Enveja è in rima con verdeja, due
termini in forte contrasto. Il poeta-amante
caratterizza in maniera positiva il verde: la gioia
d’Amore rallegra chi le si dona con tutto se stesso e il
suo valore ‘verdeggia’ nel suo animo: il valore, cioè
l’essenza della gioia, che è l’assoluto a cui mira, cioè
l’arte poetica e il sembiante divino. Se il poeta amante
si metterà al servizio di Amore, cioè riuscirà ad essere
suo vassallo, e quindi dedito alla vita interiore e
all’affinamento dei sensi mediante la vita
contemplativa dedicata alle lettere, riuscirà a
purificare il suo animo e a renderlo lucente come lo è
un prato verde.
In Era, can vei reverdezitz di Giraut de
Bornelh il poeta-amante afferma che dopo che sono
rinverditi i prati il suo animo è più disposto al piacere.
Il canto degli uccelli lo porta a nuova gioia e lo invita a
cantare, ma egli è intristito da colei che non le
concede il suo amore. Il paesaggio luminoso è rotto

134
dalla presenza dei saraceni che continuano a tenere in
mano il Santo Sepolcro.

Era, can vei reverdezitz


Los vergers e cobra l'estatz,
Me tira.l cor plus vas solatz!
Que, can se dezaguiza l'ans
E.l jois e.l chans
Dels auzels e.l deportz e.l critz,
Es m'us envitz
De chantar, per qu'eu m'esbaudei.
Pero si vei
Mantas res de que sui iratz
E plus, car a paias malvatz,
Enics e fenhs, fals e felos
Es lo sanhs sepulcres restatz,
Que no.ls ensec clams ni tensos 199

In questa lirica il poeta-amante è spinto a


cantare dal ‘joy d’Amor’, amore verso la donna, a cui
sovrappongo l’amore verso la poesia e verso Dio: il
paesaggio descritto è simbolo della sua interiorità
199 GIRAUT DE BORNELH, Era, can vei reverdezitz, ed. Sharman 1989.

135
illuminata dalla luce dell’assoluto a cui egli, immerso
in uno stato di contemplazione, affina retoricamente il
suo canto e quindi contemporaneamente, mediante il
labor limae sulla sua poesia, affina anche il suo animo
nella contemplazione delle proprie letras – e delle
letras delle Scritture 200 – che diviene luminoso come
una pietra preziosa e coglie la luce del divino. Il
rinverdire dei prati indica proprio la condizione di
beatitudine a cui il poeta sente di appartenre: la joy
d’Amor, cioè la gioia per la contemplazione delle
letras, lo spinge a vedere un paesaggio illuminato. Ma
a questo paesaggio il poeta sovrappone la tristezza per
il male e il peccato che caratterizzano il mondo,
identificato dai musulmani che tengono in mano il
santo Sepolcro.
Un poeta di poco posteriore, Raimbaut
d’Aurenga, impiega il lemma vert in En aital rimeta
prima, in cui delinea la sua difficile inclinazione a
essere gioioso guardando le immagini della natura 201:

200 Cfr. C. BOLOGNA, Anima mea liquefacta est, cit., p. : l autore


collega la lirica occitana con il pensiero mistico dei cistercensi, e in
particolare con Riccardo di San Vittore (Benjamin Maior).
201 ID., En aital rimeta prima, ed. cit. : « Qan vei rengat en la cima |

Man vert-madur frug pel cim, | E qecs auzelletz relinha | Vas Amor,

136
il poeta-amante afferma che quando vede frutti metà
verdi e metà maturi allineati sulle cime e quando gli
uccelli muovono il loro canto verso amore con felicità
e con lamenti, egli si volge verso la gioia d’amore, ma
non può trattenersi dal pianto. Raimbaut impiega la
parola ‘verde’ per indicare un frutto quasi del tutto
acerbo, non ancora da cogliere. Il poeta-amante, in
seguito al lavoro di raffinamento sul proprio canto
poetico, che diviene lucente come una pietra preziosa,
migliora anche il suo animo in seguito alla
contemplazione divina del Verbo 202; nonostante ciò,
egli si rende conto che non è possibile estirpare la
‘ruggine’ dall’animo, cioè non è possibile estirpare
dall’animo l’ombra del peccato. Questa figura di
animo rivolto verso la spiritualità e allo stesso tempo
rivolto verso la materialità ben si connette con
l’immagine dei frutti metà verdi e metà maturi.
Nelle liriche di Bernart de Ventadorn il colore
verde è presente in diverse occorrenze; in Lancan
folhon bosc e jarric il poeta, guardando la natura,

don chant'e qila, | Per cui ieu vas Joi relinh, | Don m'esforz e chant e
qil; | E·l rosinhols s'estendilha | Qe'm nafra d'amor tendilh.»
202 C. BOLOGNA, ibid.

137
nota che essa fiorisce e rinverdisce «segon ma
natura», così come ‘rifiorisce’ il suo animo. Come in
Raimbaut non è la natura che spinge il poeta ad
amare, ma è lui che spinge la natura a rifiorire: il
poeta-amante, affinando retoricamente il proprio
canto poetico, raffina anche il suo animo203. Bernart
sottolinea che la natura rifiorisce «segon ma natura»:
le immagini naturali sono infatti riflesso dell’animo
del poeta 204, che è emblema del paesaggio interiore,
dell’homo interior, che in preda alla gioia per l’amore
verso le letras materializza davanti ai suoi occhi un
paesaggio ameno. Bernart, come Raimbaut, sottolinea
che il canto poetico è elogio del ‘joy d’Amor’, che fa
riofire il paesaggio: non è quindi il paesaggio che fa
rifiorire il ‘joy d’Amor’. 205 L’amore della donna rende
i prati verdi e vermigli come nel dolce tempo di

203 G. VALENTI, Liturgia della fin’Amor, cit.


204 cfr. C. BOLOGNA, L’invenzione dell’interiorità. Spazio della parola,
spazio del silenzio: monachesimo, cavalleria, poesia cortese, in
AA.V.V., Luoghi sacri e spazi della santità, a c. di S. Boesch Gajano – L.
Scaraffia, Torino, pp. 243-266; J. LECLERCQ L’amour des lettres et le
désir de Dieu. cit.
205 BERNART DE VENTADORN, Can vei la flor, l'erba vert e la folha, ed.

Appel . (o confrontato per questa lirica anche l ed. Mancini


2003.

138
maggio, la neve è bianca e vermiglia, l’inverno è primo
di maggio. La gioia d’Amore trasforma la realtà
davanti agli occhi del poeta, il cui animo è rischiarato
dalla luce d’Amore.
Bertran de Born, in Pois gens lo terminis
floritz, afferma che invia una sua lirica al re d’Aragona
per dirgli delle imprese che è riuscito a compiere in
suo nome. In un passo poi gli racconta la cattura della
moglie dell’imperatrice da parte di un re alleato: 206

questo re ha vergognosamente tradito l’imperatrice


con la sua falsità e con cuore malvagio, da cui è stato
tratto il verde e il maturo, ha messo in mare la donna
tra tanti pericoli. Vert e madur è un’espressione
indicata per un frutto che è metà acerbo e per metà in
via di maturazione, per presenta due sfumature di
colore, l’una tende alla luce, l’altra all’oscurità.

206 ID., ibid., ed. cit. : « E.l bons reis navars, cui dreitz es, | Cobrara.l

ab sos Alaves, | Sol s'i atur. | Aitant qant aurs val mais d'azur | Val
meills, e tant es plus complitz, | Sos pretz que del rei apostitz.|| Per
cella de cui es maritz, | Per la bona reina.m lais, | E des qe.m dis so
don m'apais. | Berengiers de Besaudunes | Li retraisera, si.l plagues,
| Mas tot recur | Sos malvatz faitz, que son tafur, | Car per el fo
mortz e trahitz, | Don es sos lignatges aunitz ».

139
3.3 Il rosso.

Nella poesia trobadorica il rosso viene


lessicalizzato con almeno due termini, probabilmente
afferenti a diverse sfumature dello stesso colore: ci
imbattiamo in numerose occorrenze di vermelh, poi
con minore frequenza di ros 207. Il ros indica un colore
più scuro, tendente al marrone, mentre il vermelh è
più chiaro. Il colore rosso è di fondamentale
importanza da un punto di vista antropologico: la sua
variante più scura era impiegata dagli antichi Romani
per i drappi imperiali e indicava il colore dei ricchi e
dei nobili. Questa connotazione positiva del rosso
porpora rimane anche nel Medioevo: i drappi signorili
e le tende degli accampamenti militari sono spesso
descritti di questo colore da storici e antropologi. 208 Il
rosso nel Medioevo, in particolar modo quello di una
tonalità più chiara, ha una connotazione negativa,
poiché è il colore del demonio 209. Il ros è impiegato
da Guglielmo IX nella famosa Farai un vers pos mi
207 P. DI LUCA, I trovatori e i colori cit.
208 M. PASTOUREAU, Couleurs, images, symboles, Paris, 1989.
209 H. PLEIJ, Colors Demonic and Divine: Shades of Meaning in the

Middle Ages and After, New York, 2002.

140
sonelh:210 il rosso del gatto ha una valenza simbolica
molto forte. Il gatto è dello stesso colore delle fiamme
dell’inferno e con questo colore è connotato come una
creatura demoniaca. Un altro poeta tra i primi
trovatori che utilizza la parola ros è Peire d’Alvernhe:
le foglie, i fiori e i frutti mature portano gioia al poeta,
così come il canto degli uccelli.

Lo fuelhs e-l flors e-l frugz madurs,


Quan es sazos,
M'es ioys e gaugz m'adutz,
E-l retins per plas e per murs
Dels auzelhos
E-l ros qu'el ram relutz,
Qu'entendemens
Mi ven e voluntatz
D'esser sabens
De mais en mielhs assatz. 211

210 GUGLIELMO IX, Farai un vers pos mi sonelh, ed. Pasero 1973. « Sor,
si aquest hom es ginhos | Ni laicha a parlar per nos, | Nos aportem
nostre gat ros | De mantement, | Qe-l fara parlar az estros, si de re-
nz ment. »
211 PEIRE D ALVERNHE, Lo fuelhs e-l flors e-l frugz madurs, ed. Fratta

1996.

141
I rami sono rossi per la luce del sole che
presumibilmente li colpisce al momento del tramonto.
In questa lirica non è tanto importante il riferimento
al colore quanto quello alla luce solare, come bene
esemplifica l’accostamento tra il termine ‘ros’ e il
termine ‘relutz’. La visione della luce dà lo spunto al
poeta per il canto: «Mi ven e voluntatz | D'esser
sabens». Il paesaggio in fiore è espressione del talan,
cioè del desiderio di cogliere il bos sabers, il quale è
ferm voler. La luce del sole, emblema dell’assoluto,
spinge il poeta-amante a tessere le lodi di Amore. In
De sirventes suelh servir Peire Cardenal scrive:

Malvestat vei espandir


Vas totas partz a sauput
Que-l mon a tot corromput,
Que gaire non es a dir.
Qar qui o auzava dir,
Neir e blanc e brun e ros
An tan ros
Que qan los remir,

142
Dolors m'en ven aramir. 212

Peire Cardenal ci parla di monaci vestiti di


nero, bianco, marrone e rosso: ogni ordine monastico
ha un colore diverso, ma al poeta non importa fare
differenze tra di loro. L’allusione a costumi monastici
di questo colore non sembra plausibile, poiché non
sono stati ancora trovati ordini monastici che
vestissero di rosso. Due motivi hanno quindi spinto
Peire a scegliere la parola ros per qualificare il clero: il
colore ros conferisce una connotazione negativa ai
monaci che lo indossano. L’aggettivo ros è impiegato
anche per fare una rima in poliptoto con il verbo ros.
213 Non è importante di che colore vestano i religiosi
della poesia di Peire Cardenal, quanto è importante
analizzare il ruolo del colore in questo suo
frammento. Il poeta-amante fa dei colori del clero
emblemi: i religiosi sono criticati in quanto hanno
‘roso’ ogni principio morale, poiché attirati dai beni

212 PEIRE CARDENAL, De sirventes suelh servir, ed. Vatteroni, 1994, 23,
vv. 37-45.
213 P. DI LUCA, ibid.

143
materiali 214. Piuttosto che darsi alla contemplazione
mistica e ritirarsi dal mondo, hanno scelto la via della
mondanità, che gli ha fatto perdere ogni pregio e luce.
Hanno seguito gli impulsi dell’homo exterior, non si
sono ritirarti in se stessi, affinando i sensi dell’homo
interior 215 in un’osservazione del mondo mediata
dallo studio delle lettere. Il poeta-amante può
esprimere sentenze di natura morale poiché in stato
di contemplazione della parola biblica ha redatto la
sua lirica, affinando sia quest’ultima, sia il proprio
animo, per cogliere la luce dell’assoluto: quella della
bellezza della poesia e di Dio 216.

3.4 Il bianco.

Il bianco è un colore ad alta luminosità ma


senza tinta. Contiene tutti i colori dello spettro
elettromagnetico ed è pertanto colore acromatico.
L’utilizzo del bianco, piuttosto che conferire realismo
descrittivo alle liriche, ha il valore simbolico di
214 S. VATTERONI, Falsa clercia: la poesia anticlericale dei trovatori,
Alessandria, 1999.
215 cfr. AGOSTINO, Confessiones, X, 6; ed. cit.

216 ID., ibid.

144
purezza ed è il perfetto equivalente del termine clar.217
In questo frangente la parola blanc equivale alla
termine clar, e blanc è sinonimo di clardat. Il primo
dei trovatori ad utilizzare questo lemma è Guglielmo
IX in Farai chansoneta nueva. Scrive Guglielmo che
mai potesse nascere una donna così bella dalla ‘stirpe
di Adamo’.

Que plus es blanca qu'evori,


Per qu'ieu autra non azori:
Si-m breu non ai aiutori,
Cum ma bona dompna m'am,
Morrai, pel cap sanh Gregori,
Si no-m bayza en cambr'o sotz ram.218

Lei è più bianca dell’avorio e per questo non


può amarne un’altra. Se lei non lo riamerà, l’amante
morirà, a meno che lei non lo bacerà in camera sua o
sotto un albero. Si noti come la bianchezza del corpo
indichi la sua luminosità e la sua purezza, elementi
che il poeta cortese intende carpire a piene mani. Il

217 S. WEIL, En quoi consiste l’inspiration occitanienne, cit.


218 GUGLIELMO IX, Farai chansoneta nueva, ed. Pasero 1973.

145
poeta-amante è preso dall’Amore per la donna, che a
mio parere esemplifica l’amore per la poesia e per la
parola divina, in quanto entrambe veicolate dalle
letras. La donna di cui parla il poeta è più bianca
dall’avorio, cioè è chiara e pura, senza macchia e
senza peccato219 . Il poeta-amante vuole che la donna
la baci sotto un ramo: se all’immagine della donna
sostituisco quella della poesia lirica, essa dovrà essere
devota nei suoi confronti, in maniera tale che il poeta-
amante potrà raggiungere la beatitudine 220. La poesia
lirica dovrà essere benigna nei confronti del trovatore,
il quale si mette al suo servigio come un vassallo si
mette al servizio del suo signore feudale, sperando di
ricevere mercé dall’arte poetica. Si noti come il
riferimento a san Gregorio sia importante: Gregorio
Magno è infatti un letterato e un importante esegeta
biblico e l’esclamazione nei suoi confronti ben è in
armonia in questo passo, in cui il poeta elogia la
donna in quanto poesia e vera bellezza delle letras.

B. BRUNO, Marbodo di Rennes, I lapidari. cit.


219

C. BOLOGNA, Orazio e l'ars poetica dei primi trovatori cit., pp. 173-
220

199.

146
Interessante analizzare le liriche in cui
Marcabru impiega la parola blanc: in Lo vers
comenssa, il poeta-amante afferma:

C’amors s’embria
Lai on conois son par,
Blancha e floria,
E presta de granar. 221

Oltre al bianco, per indicare la purezza, viene


esaltata anche la fecondità della fin’amor 222. L’amore
fiorisce nella sua bianchezza, cioè nella sua purezza,
proprio come un fiore. L’essenza della poesia può
essere sovrapposta all’immagine del fiore, che è
simbolo di componimento poetico puro, cioè
elaborato così tanto mediante la dottrina poetica a tal
punto che la tensione della parola poetica verso il
principio primo, cioè verso Dio, sia ben manifesto.

ID., Lo vers comenssa, ed. cit.


221

cfr. P. DI LUCA, I trovatori e i colori, in «Medioevo romanzo» XIX,


222

2005.

147
Peire d’Alvernhe scrive in Abans que.il blanc
puoi sion vert 223 : il poeta-amante afferma che
quando la bianca cima diventa verde e vediamo fiori
su di essa, gli uccelli sono pronti a cantare; proprio
ora che si è diradato il freddo, l’io lirico vuole recitare
una poesia che la intendano i migliori. La bianchezza
della neve indica la purezza della stagione invernale
che sta per risplendere alla luce dell’incipiente
primavera: il candore della neve può indicare il parlar
‘coperto’ delle Scritture, il cui senso potrà essere
rivelato solamente da un fedele immerso nella più
autentica esperienza mistica della parola divina. A
questa interpretazione sovrappongo anche
un’immagine di tipo erotico 224 : la bianca cima
tornata verde rappresenta la donna coperta da un
velo, che, in seguito alla dedizione che porta il poeta-
amante verso di lei, si denuda, mostrando così la sua
reale natura. La donna, che è immagine della poesia e

223 PEIRE D ALVERNHE, Abans que.il blanc puoi sion vert, ed. Fratta
1996. « Abans que.il blanc puoi sion vert | Ni veiam flors en la cima,
| qan l auzeil son de chantar nec, | q us contra.l freig no s esperta, |
adoncs vuoill novels motz lassar | d un vers qu entendant li meillor,
| qe.l bes entrels bos creis e par. »
224 L. LAZZERINI, La trasmutazione insensibile, cit., pp. 153-205 (I

parte), 313-369 (II parte).

148
delle Sacre Scritture, è velata nel suo parlar coperto,
ma il poeta-amante, spinto dal desiderio verso di lei,
dal talan, affinato dal voler, cioè dalla ‘doctrina
poetica’, può giungere a scoprire e rivelare la natura
delle parole.
Cercamon, poeta di poco posteriore rispetto a
Marcabru, scrive:

es plus bella q’ieu no sai dir,


fresc’a color e bel esgar,
et es blancha ses brunezir;
oc, e non es vernisada,
ni om de lei non pot mal dir
tant es fina, esmerada. 225

Cercamon scrive che la donna non è


vernisada, cioè colorata, non truccata, non
multiforme o mutevole: ci dà una testimonianza
ulteriore della valenza negativa attribuita ai colori,
che nella loro veste materiale indicano corruttibilità
226. La parola vaire, che indica i colori ha valore

225 CERCAMON, Ab lo temps qe fai renfreschar, ed. Tortoreto 1981.


226 cfr. P. DI LUCA, I trovatori e i colori, cit.

149
negativo. Se all’immagine della donna sovrappongo
quella della poesia, i colori della donna sono i ‘colores
rethorici’ della lirica. I colori, che rappresentano gli
artifici retorici, devono essere immagine dell’assoluto,
della morale e della luce divina227. La poesia di
Cercamon è naturale, non vernisada, poiché mira alla
verità divina228; molti poeti, invece, impiegano gli
artifici retorici solo per rendere le loro liriche dense di
un preziosismo fine a se stesso, sovrapponendo ai
colori l’oscurità pittosto che la lux divina. La donna
vernisada, immagine di un canto poetico non fine a se
stesso, è corruttibile, esemplifica il desiderio
dell’homo exterior verso la materialità e il piacere dei
sensi che non abbia collegamento con la razionalità e
la spiritualità dell’homo interior.
Bernart de Ventadorn scrive in Pois preyatz
me senhor:

Amors, e que.m farai

227 cfr. ORAZIO, Ars poetica, vv.86-87, ed. cit.


228 A. PULEGA, Amore cortese e modelli teologici : Guglielmo IX,
Chrétien de Troyes, Dante, Milano, 1995; J. LECLERCQ, L’amour des
lettres et le désir de Dieu, cit. (trad. It. Cultura umanistica e desiderio
di Dio, cit.).

150
Si garrai ja ab te
Ara cuit qu'e.n morrai
Del dezirer que.m ve,
Si.lh bela lai on jai
No m'aizis pres de se,
Qu'eu la manei e bai
Et estrenha vas me
So cors blanc, gras e le. 229

Il corpo della donna non è definito solo dal


colore bianco, ma anche da altri attributi che
ricorrono spesso, perché entrati a far parte di un
repertorio. Il suo corpo è lis, gras, covinen, grayle,
len, delgatz, gen, tutti aggettivi che possono essere
riferiti al canto poetico. La poesia, affinata
retoricamente, limata in maniera tale che come una
pietra preziosa risplenda la luce230, diventa ‘liscia,
delicata e gentile’. Pur qualificando il corpo per la sua
perfezione esteriore, è ovvio che il riferimento al

229 BERNART DE VENTADORN, Pois preyatz me senhor, ed. Appel 1915.


230 Cfr. B. BRUNO, op.cit.

151
colore bianco ha valore simbolico231 e indica la
perfezione interiore della donna, cioè del canto
poetico. Il poeta-amante soffre poiché si rende conto
che questa donna non si mostra benigna nei suoi
confronti: egli si rende conto di non potersi
specchiare nella bellezza della donna, e quindi del
canto poetico, per la sua natura di peccatore 232 : nel
processo di limatura poetica, egli si rende conto che
non potrà rendere mai il suo componimento perfetto.
In Cars, fenhz del bederesc di Raimbaut
d’Aurenga caro, dolce e segreto è il basso canto dello
scricciolo, ed è per questo motivo che lui è così
contento. Il canto dello scricciolo si diffonde e trilla
quando le cicale cantano nel muro sotto il blocco di
pietra: la sua voce è più ‘lucente’ del sughero. Lo
scricciolo rappresenta la melodia del mondo, mentre
le cicale ne forniscono l’armonia233. Il volatile
rappresenta il canto del poeta, che si diffonde in un
mondo pervaso dalla gioia d’Amore, la quale
rappresenta l’essenza che lo muove. Il poeta-amante,

231 Cfr. P. ZUMTHOR, Essai de poétique médiévale, Paris, 1972 (trad. it.
a cura di M. Liborio, Semiologia e poetica medievale, Milano, 1973).
232 D. ZORZI, op. cit.; S. GUIDA, op. cit.

233 L. SPITZER, Classical and Christian Ideas of World Harmony, cit.

152
mosso dalla gioia per l’assoluto, colta nella
contemplazione mistica234, muove il proprio canto,
proprio come lo scricciolo muove il proprio
ascoltando le cicale di sottofondo. Nessuno, secondo il
poeta-amante, può essere più euforico quindi della
cicala e dello scricciolo. Scrive Raimbaut in Entre gel
vent e fanc:

Que sempre·m tornon l'oil blanc,


E·l cors, qu'est esglai mi presta,
Fail tro c'om la cara·m venta
Can mi soven, dompna genta,
Com era nostre jois verais
Tro lauzengiers crois e savais
Nos loigneron ab lor fals brais. 235

Il poeta-amante afferma che i suoi occhi


ritornano bianchi quando rivolgono l’attenzione alla
gioia d’Amore, ma il suo animo è pieno di terrore
cosicché la gente si rende conto di ciò che lo tormenta.
Egli pensa ancora alla sua grande gioia prima che i

234 C. BOLOGNA, Anima mea liquefacta est, cit., pp. 32-52.


235 RAIMBAUT D AURENGA, Entre gel vent e fanc, ed. Pattison 1952.

153
malvagi lauzengiers non sparlarono di lui e portarono
il loro rapporto a spezzarsi. Il poeta-amante, immerso
nella contemplazione delle belle lettere e della luce
divina236, il poeta-amante coglie l’ombra della propria
condizione di peccatore, che lo terrà confinato
sempre, clus, nel proprio corpo, non portandolo a
vedere la luce divina237. I lauzengiers sono immagine
degli altri uomini, che spinti dai beni materiali, ben
ricordano al poeta-amante di quale natura sia
l’umanità, quella di peccatori che non potranno mai
levarsi a cogliere la luce divina se non a sprazzi.
Un altro poeta che fa riferimento al colore
blanc è Arnaut Daniel in Si.m fos amor donar de joi
tan larga:

Na Mielhs-de-be, ja no'm siatz avarga,


qu'en vostr'amor me trobaretz tot blanc,
qu'ieu non ai cor ni poder qu'em descarc
del ferm voler que n'es pars de retomba,
que quan m'esvelh ni clau los huelhs de som
vostre remanc, quan leu ni vau jazer;

236 C. BOLOGNA, ibid., cit. p. 32-52; G. AGAMBEN, op. cit.


237 P. DRONKE, op. cit..

154
e no'us cuges que n'abais mos talens:
no o fara qu'ara'l sent en la testa. 238

Il poeta-amante si rivolge alla sua donna


esortandola ad essere clemente nei suoi confronti,
poiché ella lo troverà ‘bianco’ e disposto sempre ad
amarla, poiché non ha ni cor ni poder di liberarsi dal
suo ferm voler. Per Arnaut Daniel, nonostante la
natura umana sia corruttibile, il poeta-amante, forte
della propria dottrina, riuscirà a cogliere la luce
divina. Egli parafrasa una poesia di Jaufre Rudel, Non
sap chantar qui so non di, in cui il poeta, quando
dorme, vede il suo bos sabers andare lì dove alberga la
donna amata. La poesia lirica è sogno, durante il
quale gli artifici retorici portano il poeta a cogliere
l’oggetto della propria brama, seppure per brevi
istanti di illuminazione. Arnaut afferma però che
quando si alza e quando rimane sveglio, il suo talens
non si rivolge ad altro se non a lei: il desiderio rimane
fermo verso l’assoluto, che è immagine speculare della
bellezza divina. Questo desiderio può essere coronato

238ARNAUT DANIEL, Si.m fos amor donar de joi tan larga, ed. Eusebi
1995.

155
tramite il ferm voler, cioè l’arte poetica. Arnaut Daniel
si mostra in questo passo ottimista: il poeta-amante,
clus nella sua doctrina poetica, può giungere la
beatitudine e cogliere il vero messaggio divino.
Nel sirventese di un altro trovatore del tardo
periodo, Peire Cardenal.

Tals a el cap la corona


E porta blanc vestimen
Que-l voluntatz es fellona
Com de lop o de serpen,
Car qui tol e traís e men
E aussi e empoizona,
Ad aquo es aparven
Cals volers i brotona. 239

Si noti la contrapposizione tra la bianchezza


del vestito, che dovrebbe rappresentare la sua purezza
in veste di religioso, e la sua inclinazione a ingannare,
come un lupo o un serpente. Il colore rientra nel

239 PEIRE CARDENAL, L’arcivesques de Narbona, ed. Vatteroni 1990 :


« Tals a el cap la corona | E porta blanc vestimen | Que-l voluntatz
es fellona | Com de lop o de serpen, | Car qui tol e traís e men | E
aussi e empoizona, | Ad aquo es aparven | Cals volers i brotona. »

156
codice vestimentario ecclesiastico che si riferisce alla
scansione dell’anno liturgico240. Il bianco, ad esempio,
simbolo di purezza, viene utilizzato per le feste degli
angeli, delle vergini e dei confessori, o ancora,
indossato nelle celebrazioni natalizie, durante il
giovedì santo o la domenica di Pasqua, per
l’Ascensione e per il giorno dei santi.241 I religiosi
meschini e immorali, proprio come i poeti immorali
che rivestono di artifici retorici i loro componimenti
ingannevoli, mostrano una veste di rispettabilità,
dietro alla quale si nasconde il peccato.

3.5 Il blu.

Il colore blu è quello meno impiegato dai trovatori.


La parola ‘blu’ deriva dal latino flavus e dall’antico
tedesco blao, che stavano ad indicare il giallo, colore
della luce solare. Il colore blu era tra i Greci il cyanos,
che è il colore della sofferenza. Neanche per gli antichi
Romani il blu non aveva connotazione positiva ed era
considerato il colore dei barbari. Non era considerato

240 Cfr. P. DI LUCA, I trovatori e i colori, cit., pp. 323-401.


241 M. PASTOUREAU, op. cit., p.149.

157
un colore a sé, ma era variazione su bianco, verde o
nero.242 Il blu nell’antico occitano è diventato
ambivalente: rimane l’antica connotazione
melanconica, che era già associata al greco cyanos,
ma non ha connotazione negativa così forte come
nell’antica Roma. Il blu nella cultura germanica è
diventato anche colore della purezza. Se flavus
nell’antica Roma indicava il giallo, e quindi era
accostato da un punto di vista semantico alla
luminosità, il blau, che deriva da quella parola latina,
indica anch’esso una tonalità più luminosa rispetto a
quella percepita dai Romani come colore dei barbari.
Per la sua maggiore luminosità rispetto al passato
classico, i popoli germanici accostano il ‘blu’ alla
Vergine Maria. 243
Peire d’Alvernhe è il primo trovatore in cui è
attestata la parola blau. In Belh m’es qu’ieu faiss
hueymais un vers egli scrive 244: il poeta-amante si

242 ID., ibid.


243 ID., ibid..
244 PEIRE D ALVERNHE, Belh m’es qu’ieu faiss hueymais un vers, ed.

Fratta 1996: « Aquist engres, envers, estrait | Fals e flac filh d'avols
paires, | Felo, embronc, sebenc, mal fait, | Sers ressis, nat d'avols

158
scaglia contro i lauzengiers e dice che sono falsi,
screanzati e bastardi, nati sotto una cattiva stella
(malastros). I lauzengiers sono i maldicenti, coloro
che sparlano dell’amore della donna con il poeta,
simbolo degli illitterati e di coloro che, privi di
cortesia, non comprendono l’amore del poeta verso la
donna, cioè la poesia stessa. Peire riprende la parola
tanto cara a Marcabru malastruc, che significa
malaugurato e sciagurato. Poi chiama i lauzengiers
volpi blu d’invidia: il colore blu ha una connotazione
psicologica molto forte 245 e indica la roïll e la
malvestatz d’animo246. Roïll è un termine di
derivazione marcabruniana, significa ruggine ma
metaforicamente è usato per indicare la cattiveria
d’animo.
Il colore blu è rappresentato anche dalla parola
azur. Il termine occitano azur è calco del nome arabo
– diffusosi nel XII secolo al di là dell’area iberica – di
una pietra preziosa, al-lazward, oggi conosciuta con il
nome di origine mediolatina lapislazzuli. La parola

maires, | Malastros paubr' escudelha, | Volpillos, blau d'enveja, sec, |


Fan que quascus aprent un quec, | Don nays e bruelha-l pustelha. »
245 M. PASTOUREAU, op.cit.

246 G. ERRANTE, Marcabru e le fonti sacre della lirica romanza, cit.

159
azur fu coniata in Occitania e in Francia per
descrivere una tonalità di blu presente negli stemmi
araldici di alcune casate nobiliari247. Il termine azur è
presente in sole due poesie: la prima di Giraut de
Bornelh è Nulla res. Il poeta-amante afferma in
questa lirica che a nulla serve il canto se esso non ha
razon e lezer e loc e sazo de qe chan; quanto più il
canto porta verità e virtù, tanto più creis ma
benanansa: il canto affinato da un punto di vista
morale affina anche l’amico dell’amante. Infatti il
poeta-amante esplicitamente afferma: «e vei assatz |
c’obs m’es que mos chans se melhur». Il poeta
afferma però che è triste per lui dover mostrare il
proprio bos sabers per lamentarsi; il poeta-amante è
clau, cioè si rifugia nella buona speranza, finché può
sopravvivere. Si può accostare la contrapposizione tra
clar e scur, euforia e disforia, colori luminosi e opachi
a quella tra levità e chiusura, leu e clus, il primo con
valenza euforica e il secondo con valenza disforica: ciò
avviene nella stessa lirica Nulla res: «Que’r ai be
razon e lezer (v.3) | Clau ab bon’esperansa» (v.30).
Giraut poi afferma:

247 C.N. ELVIN, A Dictonary of Heraldry, Richmond, 1889.

160
E s'eu ges per s'amor trassalh,
Que.l trop no.n poscha sostener,
Ni.lh m'enquer cal que no-dever,
Franha.l fol orgolh mercean!
Que benestan
L'er, si.m creis ni m'enansa.
Qu'eu ai be vezut eschazer
C'a l'estober
Val vil tengutz e mesprezatz!
Qu'estanhs folhatz
Es mes soven sotz bon azur
Per que melhs tenh'e que mais dur. 248

Il poeta-amante, se Amore gli è contrario e


sfavorevole, chiede cosa possa fare per poter diventare
più umile ed ammansire il suo orgoglio. Egli sente di
essere stato meno vile di molti altri amanti, poiché,
nonostante la tristezza, è rimasto in bon azur, in uno
stato d’animo malinconico, ma sopportabile, che gli
ha permesso di rimanere in vita. L’azur indica un tipo
di tristezza ammissibile che ha permesso il poeta-

248 GIRAUT DE BORNELH, Nulla res, ed. Sharman 1989.

161
amante di servire la propria donna, nonostante egli
fosse vicino alla morte. All’immagine di Amore si
sovrapponga quella divina: il poeta-amante chiede
mercé a Dio, affinché lo renda in grado di essere
umile; purtroppo egli è altezzoso perché, nonostante
le difficoltà nel suo percorso di natura spirituale e
nella sua contemplazione, ha raffinato il suo animo,
nonostante molti altri amanti, cioè molti altri mistici e
altri intellettuali, non siano riuscito ad affinarsi.
L’azur ben si connette all’ambivalenza dei sentimenti
del poeta-amante: esso è un colore né troppo chiaro
né troppo scuro che ben si associa ad una malinconia
che è dibattuta tra un senso di serenità e un senso di
inquietudine.
Bertran de Born, invece, scrive in Pois lo gens
terminis floris:

Lo bons reis Garsia Ramitz


Cobrera, qan vida.il sofrais,
Aragon, qe.l monges l'estrais!
E.l bons reis navars, cui dreitz es,
Cobrara.l ab sos Alaves,
Sol s'i atur.

162
Aitant qant aurs val mais d'azur
Val meills, e tant es plus complitz,
Sos pretz que del rei apostitz. 249

Bertran de Born fa l’elogio del re Garsia


Ramitz, che vale quanto l’oro vale più dell’azzurro del
lapislazzuli, così come le sue insegne luminose
valgono più di quelle blu e opache degli avversari:
l’oro indica un metallo prezioso che è prezioso quanto
il lavoro retorico che il poeta fa sulla propria poesia 250

limandola e rendendola pura in maniera tale che


possa riflettere la luce dell’assoluto e del divino. L’oro
è in questo caso indica il pregio del componimento
poetico, che come un metallo raffinato e lavorato
riflette la lux divina, la luce del divino 251. In questa
strofe il metallo lucente e quello oscuro sono messi in
rapporto di netta contrapposizione. L’oro può essere
messo anche in rapporto di metonimia con l’animo
del poeta, che è raffinato come una pietra preziosa nel

249 BERTRAN DE BORN, Pois lo gens terminis floris, ed. Gouiran 1985.
250 B. BRUNO, op. cit.; C. BOLOGNA, Orazio e l'ars poetica dei primi
trovatori, cit., pp. 173-199
251 D. ZORZI, Valori religiosi nella letteratura provenzale, cit.

163
momento in cui lavora retoricamente sulla poesia per
cogliere la luce divina.

3.6 Il ‘vaire’.

Il termine vaire è strettamente connesso, come


abbiamo visto, al lemma color, poiché spesso questa
indica più sfumature. L’accostamento tra più colori
nella cultura classica aveva un’accezione negativa ed
indicava corruzione e grossolanità: l’architettura
greco-romana degli edifici più importanti era infatti
solitamente monocroma 252. Nella cultura germanica
l’accostamento tra colori di natura diversa può avere
connotazione positiva, se esso è associato alla
luminosità del sole. La cultura occitanica associa al
termine vaire connotazione positiva o negativa a
seconda che esso indichi maggiore o minore
lucentezza.

3.6.1 La parola è innanzitutto attestata in


Marcabru, nella canzone Al son desviat chantaire. Il

252 M. PASTOUREAU, Couleurs, Images, Symboles, Paris, 1989.

164
poeta si lamenta di come nel secolo in cui vive non ci
sia amore puro e vero, per cui la fin’Amors è diventata
una pratica sociale in base alla quale è giustificato
l’adulterio, non un rapporto esclusivo tra una
nobildonna e un cavaliere innamorato di lei.

En abriu, s'esclairo.il riu contra.l Pascor,


E per lo bruoill naisso.il fuoill sobre la flor!
Bellamen, ab solatz gen, e.m conort de fin'
Amor].
Qui a drut reconogut d'una color
Blanc lo teigna, puois lo deigna ses brunor!
C'amors vair' al mieu veiair' a l'usatge trahidor.
253

Marcabru insiste sul fatto che i fini amanti, i


drutz, devono servire solamente una donna, cioè
devono quindi essere di ‘una color’: la donna deve
avere un amante blanc ses brunor, cioè bianco,
candido e puro senza macchia. Amors vaire, cioè
l’amore ‘variopinto’, per Marcabru è infamante, per
trahidor e persone disoneste: la fin’Amors non deve

253 MARCABRU, En abriu, s'esclairo.il riu contra.l Pascor, ed. cit.

165
essere pratica sociale che giustifichi l’adulterio, per
cui donne già sposate devono tradire i loro mariti con
più amanti, oppure i fini amanti devono assumerlo
come pretesto per avere più donne254. Il legame
d’amore deve essere esclusivo tra un uomo e una
donna, i quali, anche se sposati, si giurano amore
esclusivo, che sia sintonia tra due animi, la quale non
esclude pulsioni di natura erotica255. In questo caso
‘una color’ indica la purezza dell’amore vero, che ben
esplica quella che il poeta-amante ha nei confronti
delle belle lettere, le quali riflettono la luce
dell’assoluto, da identificarsi con la luce del sembiante
divino. Il rapporto d’amore tra uomo e donna è
sovrapposto dal rapporto tra poeta e la poesia, ma
anche dal legame che unice lo sposo e la sposa del
Cantico dei Cantici, a cui gli esegeti biblici medievali
sovrappongono l’amore del Cristo per la Chiesa 256 .
Vorrei porre l’attenzione sul termine vaire
nella canzone di Marcabru Dirai vos en mon lati:

254 Cfr. E. KÖHLER, Sociologia della fin’Amors, introduzione e


traduzione a cura di M. Mancini, Padova, 1976.
255 Cfr. ID, ibid.; cfr. C. DI GIROLAMO, I trovatori, Torino, 1989.

256 AGOSTINO, De doctrina christiana, trad. it. V. Tarulli, Roma, 1993.

166
Eras naisson dui poilli
Beill, burden, ab saura cri
Que.is van volven de blanc vaire
E fan semblan aseni!
Jois e Jovens n'es trichaire
E malvestatz eis d'aqui. 257

Nascono alle coppie figli che da bianchi


diventano multicolore, per cui Jois e Jovens arretrano
in confronto alla malvestatz. I figli non sono di un
colore chiaro, che identifica la purezza, perché non
sono nati all’interno dell’unione legittima, ma sono
multicolore, cioè bastardi. Marcabru, poi, nella strofe
successiva deride i mariti stupidi («Moillerat, ab sen
cabri»), i quali pensano che le mogli siano state al
sicuro nei propri letti («Don lo cons esdeven laire!»);
addirittura gioiscono che i nuovi nati gli sorridano,
ignari di non esserne padri. («Que tals ditz : mos fills
me ri | Que anc ren no.i ac a faire: | Gardatz sen ben
bedoi»). Il poeta-amante sovrappone all’idea
dell’amore corrotto l’idea di una poesia corrotta,

257MARCABRU, Dirai vos en mon lati, ed. Gaunt-Harvey-Paterson


2000.

167
poiché non portatrice di verità morali, ma solamente
composta per piacere all’orecchio dell’ascoltatori 258.

Infatti molti poeti inaspriscono il loro dettato poetico


e lo complicano per renderlo difficile e oscuro, senza
veicolarlo a contenuti di natura morale. Per Marcabru
la poesia può avere solamente funzione morale: le
belle lettere, in quanto meditate dal poeta in stato di
contemplazione, devono poi essere limate nella
ricerca della perfezione formale, che racchiude in essa
la perfezione divina. Molti poeti, invece, non spinti
dalla bellezza divina e dalla contemplazione, scrivono
poesie immorali, parlano a sproposito in maniera
turpe: come i lauzengiers coltivano l’uso della parola
per scopi deplorevoli, per il mal retraire del poeta e
del suo rapporto esemplare con la sua donna, che è
simbolo della poesia raffinata259. Per molti poeti
immorali, quindi, identificati con i molleiratz, la
fin’Amors è pretesto per l’adulterio, e non è veicolo
per una poesia ispirata ai canoni della retorica

258G. ERRANTE, op. cit.


259 L. LAZZERINI, La trasmutazione insensibile. Intertestualità
e metamorfismi nella lirica trobadorica dalle origini alla
codificazione cortese, in «Medioevo romanzo» XVIII 1993, pp.
153-205 (I parte), 313-369 (II parte).

168
cortese, che medita l’esclusivo rapporto tra un uomo e
una donna collegati da un legame di natura spirituale,
oltre che carnale.
Ora passo in rassegna quella tonalità di rosso
definita vermelh, che appare in combinazione sempre
con un altro colore, formando così il colore vaire. Il
primo trovatore in cui è attestato questo lemma è
Marcabru in A l’alena del vent doussa:

A l'alena del vent doussa


Que Dieus nos tramet, no sai d'on,
Ai lo cor de joy sazion
Contra la doussor del frescum
Quant li prat son vermelh e groc. 260

Il principio primo che anima la natura, cioè


Dio, trasmette vento dolce e freschezza durante la
nuova stagione, quando i prati sono rossi e gialli per la
luminosità del sole. Marcabru fa in modo che sia la
nuova stagione ad arrecare gioia all’amante,
indipendentemente dal fatto che egli non potrà

260 MARCABRU, A l’alena del vent doussa, ed. Gaunt-Harvey-Paterson

2000.

169
soddisfare la sua gioia d’amore. Il fatto che possa
appagare il proprio desiderio non è a lui dovuto, ma a
Dio, il quale dovrà dare mercè al poeta per quanto
riguarda il tempo positivo. Il paesaggio descritto è
emblema della gioia che il poeta ha trasmesso
mediante l’affinamento retorico sulla poesia. Si
focalizzi l’attenzione sul fatto che è Dio il motore
universale che regge l’armonia del mondo. Scrive
infatti Marcabru che la dolcezza del vento è trasmessa
da Dio, ma lui non precisa da dove provenga: il ‘joy
d’Amor’ – cioè la gioia che la poesia porta al poeta e
la gioia della contemplazione – è quella che porta Dio:
la poesia e il lavoro retorico su di essa, la
contemplazione che consegue la fruizione delle
lettere, che siano liriche o Scritture, e la composizione
di liriche sono tutte espressioni del divino.

3.6.2 Interessante come Bernart Marti metta a


confronto due tonalità cromatiche come il rosso e il
verde nella canzone A senhors qui so cuges:

Selh qui plus gent sap mentir


Es ben segurs de garner

170
D'escarlat'ab vert vestir
Et esperos ab sotlar.
Mai lor vey deniers offrir
Que a negun de l'autar. 261

L’io lirico si lamenta di persone che sanno


mentire alla perfezione, vestendo di verde il loro
colore rosso (esclarlat ab vert vestir), cioè di portare
a buon fine l’inganno con vestito verde, cioè con veste
di verità. 262 Questi due linguaggi, quello naturale e
quello del corpo, sono strettamente connessi, poiché
la dama è descritta nei termini di chiarezza o
luminosità in rapporto di contrasto o di connessione
con il tempo atmosferico263. In questo caso i colori
verde e rosso hanno valore di contrasto: il primo
rappresenta la luce, il secondo l’oscurità. Il verde
rappresenta la verità (vert infatti è vicino

261 BERNART MARTI, Lancan lo douz temps s'esclaire, ed. Beggiato


1984. « Las, non es dregz domnejaire | Qi ja nul mes met en soan, |
Qar genars non val meins gaire | Q'abrils e mais q'es vertz et blan! |
Q'en totz terminis val amor, | E qan s'emprend a t'enreqir, | Deu
hom esser e pros e gais. »
262 Cfr. L. LAZZERINI, Letteratura medievale in lingua d’oc, Modena,

1993.
263 Cfr. F. BEGGIATO, Il trovatore Bernart Marti, Modena, 1984.

171
lessicalmente alla parola vertat, verità, e anche a
vertut, cioè virtù), mentre il rosso scarlatto
rappresenta la menzogna per la sua tonalità scura. 264

3.6.3 Peire d’Alvernhe mette in contrasto


l’oscurità dei vestirs vertz ni vars che donano i nobili
avari ai giullari nella canzone Cantarai d’aquest
trobadors, e l’animo che verdeggia e biancheggia della
dama amata nella canzone Deiosta-ls breus iorns e-ls
loncs sers: il sesto trovatore criticato da Peire nella
lirica è un certo Grimoartz 265, che è cavaliere e fa il
giullare; Dio perda chi glielo permette e chi gli dona
vestiti verdi, variopinti e sciatti, perché ora sarà
talmente ornato che cento diventeranno giullari. I
vestiti variopinti dei giullari sono villani in confronto
alla cortesia di midons, la quale in Deiosta-ls breus
iorns e-ls loncs sers è vestita nel suo animo di verde
come il prato e bianco come la neve.

264 P. DI LUCA, I trovatori e i colori, cit. ; M. PASTOUREAU, Le couleurs,


images, symboles, Paris, 1989.
265 PEIRE D ALVERNHE, Cantarai d'aqestz trobadors, ed. Fratta 1996:

«E-l seises, Grimoartz Gausmars, | Q'es cavalliers e fai ioglars! | E


perda Dieu qui-l o cossen | Ni-l dona vestirs vertzni vars, | Que tals
er adobatz semprars | Q'enioglarit se'n seran cen. »

172
So es gaugz e iois e plazers
Que a moutas gens abellis
E sos pretz mont'a grans poders
E sos iois sobreseignoris,
Q'enseignamens e beutatz l'es abrics:
Dompneis d'amor, q'en lieis s'espan e creis,
Plens de dousor, vertz e blancs, cum es nics!
266

Il poeta afferma che la sua donna rappresenta


la vera gioia e il vero piacere; il suo pregio è di grande
potere e il suo amore è signore con l’aiuto di cortesia e
bellezza. Il ‘dompneis d'amor’ in lei espande e cresce
come crescono le foglie di una pianta; il verde e il
bianco hanno una connotazione positiva perché
indicano la luce solare primaverile che, sciogliendo la
neve, fa spazio alla natura in fiore sottostante. Il
desiderio si espande e cresce, è verde e bianco come la
natura che d’inverno è ricoperta da una coltre di neve.
Il desiderio è quindi velato, come è ‘velata’, di non
facile comprensione, la risposta della donna, e quindi

266 ID., Deiosta-ls breus iorns e-ls loncs sers, ed. cit.

173
dell’arte poetica, nei confronti del trovatore. I colori
verde e bianco sono riflesso della luminosità. Solo il
poeta-amante può cogliere la luce divina che rivela la
vera natura della poesia, cioè il verde che c’è sotto la
coltre di neve267. Nella strofe precedente, aggiungo, il
poeta-amante scrive che è grata la vista della sua
donna che questo gli basta per arricchirsi; non fu mai
così povero e misero che guardandola un momento
sarebbe stato reso ricco di grande povertà. In questo
passo il tema evangelico della povertà, vera ricchezza
dell’uomo, si intreccia con il tema d’amor cortese 268:

la donna cantata da Peire è essenza della parola


poetica in quanto messaggio divino di salvezza che si
cela dietro le lettere, lo stesso che si coglie leggendo le
Scritture 269.

3.6.4 Giraut de Bornelh scrive in Ab semblan me fai


deschazer:

267cfr. L. PATERSON, Troubadours and Eloquence, Ofxord, 1975.


268 S. GUIDA, Religione e letterature romanze, cit.; G. VALENTI, Liturgia
della fin’Amor, cit.
269 Α. PULEGA, Amore cortese e modelli teologici : Guglielmo IX,

Chrétien de Troyes, Dante, Milano, 1995.

174
Domna.lh genser c'om pot vezer,
Oimais me fossetz d'avinen!
Que conoissetz mo fi talen
E co.us am ses cor vaire. 270

Il poeta-amante elogia la donna ritenendola la


migliore che egli abbia mai conosciuto e dichiara di
amarla con cor ses vaire, cioè con animo senza
macchia, non multicolore ma luminoso, che ben
rifletta la luce divina271. Il poeta, proteso verso la
fruizionedella poesie, afferma di avere il suo talen
verso la donna. Sarà la donna, a cui sovrappongo
l’immagine della poesia lirica, a decidere se egli deve
rimanere in vita, poiché nessun’altra vita è degna di
essere vissuta se non quella chiusa nella
contemplazione delle belle lettere, sia quelle liriche
che quelle delle Scritture, che ben rappresentino
l’assoluto e la lucentezza di Dio272. La poesia, se vorrà,

270 GIRAUT DE BORNELH, Ab semblan me fai deschazer, ed. Sharman


1989.
271 J. LECLERCQ, L’amour des lettres et le désir de Dieu, cit. (trad. It.

Cultura umanistica e desiderio di Dio. Studio sulla letteratura


monastica del Medioevo, cit.)
272 S. GUIDA, op. cit.

175
lo manterrà in vita: egli si rimette al suo voler, dal
quale spera di trarre gli artifici retorici per innovare il
suo canto e continuare la sua esperienza poetica.

3.6.5 Per Raimbaut d’Aurenga è la donna ad


aver cor vaire, cioè non ben disposta nei suoi
confronti. In Ar m'er tal un vers a faire scrive
Raimbaut che vuole comporre una poesia senza
fratture linguistiche, richiamandosi esplicitamente a
Marcabru, il quale attacca i poeti amanti con
l’espressione motz entrebescatz en fraitura 273. Il
poeta-amante deluso scappa via e invoca Dio che lo
liberi dalla sua sofferenza, ora che lui è afflitto nella
tristezza e nell’angoscia. Dovrebbe essere un poeta
piangente, poiché la poesia non può neanche più
confortarlo. Apparentemente l’angoscia è folle, poiché
il poeta-amante non ha perso nulla, dal momento che
non ha avuto nulla dalla sua donna. L’amante si
rivolge alla donna, poi, chiedendole di essere
clemente e di illuminarsi per lui, che è penitente a
causa sua. Si noti come Raimbaut accosti la figura

273MARCABRU, Per savi teing ses doptanza, ed. Gaunt-Harvey-


Paterson 2000.

176
dell’amante a quella del penitente, facendo toccare la
sfera dell’amore sacro con quella dell’amore profano.
Infatti Raimbaut scrive: «Dompna, cel qui es jutgaire
| Perdonet gran forfaitura| A cel – so ditz l'escriptura
– | Qe era traicher e laire!». Il poeta-amante afferma
che Dio ha perdonato anche chi è ingannatore e
malvagio, per cui anche lui si aspetta di ricevere
mercè da lei. Chi, infatti, non perdona il prossimo,
non sarà perdonato da Dio. Il poeta-amante si mette
al servizio della propria donna come un religioso si
mette al servizio di Dio: se la donna è immagine
speculare della poesia, il poeta si mette al servizio
delle belle lettere come al servizio del signore feudale.

Per vos am, dompn'ab cor vaire


Las autras tant co·l mons dura,
Car son en vostra figura;
Que per als no·n sui amaire!

L’io lirico definisce la donna dal cor vaire,


poiché è malvagia nei suoi confronti e non ha pietà nei
suoi confronti. Per questo il poeta dovrà cercare il suo
sembiante nelle altre donne, poiché è amante della

177
sua figura e non di altro. Se la donna amata è
immagine speculare dell’essenza divina della
poesia274, il poeta è conscio che la sua anima di
peccatore e la sua natura umana, che è rinchiusa in un
corpo mortale, non potranno mai giungere a cogliere
l’assoluto 275.

3.6.6 Arnaut Daniel accosta più colori per


descrivere un prato illuminato dalla luce del sole:

Er vei vermeills, vertz, blaus, blancs, gruocs,


vergiers, plais, plans, tertres e vaus;
e'il votz dels auzels son'e tint
ab doutz acort maitin e tart:
so'm met en cor q'ieu colore mon chan
d'un'aital flor don lo fruitz si'amors
e jois lo grans e l'olors d'enuo gandres. 276

274 J. LECLERCQ, op. cit.


275 cfr. E. DE MARTINO, Il mondo magico, Torino, ; nell ed. 1967,
cfr. p. sul bisogno di risarcire la crisi della finitudine dell essere.
276 ARNAUT DANIEL, Er vei vermeills, vertz, blaus, blancs, gruocs, ed.

Eusebi 1995.

178
In questa lirica i volatili, guardando il
paesaggio multicolore, ‘colorano’ il loro canto, così
come dovrà ‘colorarlo’ il poeta-amante con artifici
retorici277. Il colore, in questo passo, seppure
variegato non ha connotazione negativa, poiché indica
l’idea di luminosità 278. Se all’immagine degli volatili
sovrappongo l’immagine dei poeti lirici, questi come
gli uccelli cantano la loro gioia con dolci ‘canti’; sia i
poeti che i volatili, quanto più cantano, tanto più
raffinano il proprio animo279. I colori citati nella
poesia sono riflessi dalla luminosità del paesaggio, in
cui non sono menzionati luce e sole, ma l’allegria e
l’immagine di fiori e uccelli ci fanno capire che è
tornata la primavera in un paesaggio prima dominato
dall’oscurità. I colori sono quindi diretta espressione
della luce solare, a cui bene si sovrappone la luce della
bellezza poetica e della visione divina 280.

277 C. BOLOGNA, Orazio e l'ars poetica dei primi trovatori, cit., pp. 173-
199.
278 M. PASTOUREAU, Le couleurs, images, symboles, Paris, 1989.

279 B. BRUNO, op. cit.

280 D. ZORZI,Valori religiosi nella letteratura provenzale: la spiritualità

trinitaria, cit.

179
3.6.7 Bertran de Born, poeta di poco
posteriore, scrive: «Qan la novella flors par el vergan |
On son vermeill, vert e blanc li brondel, | Ab la
doussor q'eu sent al torn de l'an | Chant atressi cum
fant li autr'ausel!». Bertran indica i rami come rossi,
verdi e bianchi per dare l’idea dei raggi di sole che si
intravedono dietro le foglie intessendo cromatismi di
varia natura.281 In Can vei pels vergier desplegar il
poeta si definisce generoso e afferma di aver concesso
molte sue ricchezze ai giullari, ma molti di loro non
non sono contenti degli abiti che sono stati donati
loro. Il poeta-amante risponde alle accuse di chi gli
dice di essere avaro e di donare ai suoi giullari vestiti
vertz e blaus, variopinti e dai colori sgargianti (vertz
ni blaus).

Que so m'ant dich de lui joglar,


Q'en perdon ant faitz totz lur laus.

281BERTRAN DE BORN, Qan la novella flors par el vergan, ed Gouiran


1985. «Qan la novella flors par el vergan | On son vermeill, vert e
blanc li brondel, | Ab la doussor q'eu sent al torn de l'an | Chant
atressi cum fant li autr'ausel! | Car per auzel mi teing e maintas res,
| Car aus voler tot lo mieills q'el mon es! | Voler l'aus eu, et aver
corvolon, | Mas no.il aus dir mon cor, anz lo.il rescon.»

180
S'anc lor det vestirs vertz ni blaus
Ni lor fetz nuill denier donar,
Laich l'es c'om l'en sobreprenda. 282

I colori verdi e blu sono adatti ai giullari, che


non possono vestire in maniera elegante, in quanto
non si sono meritati la benevolenza del loro signore,
perché non cantano in maniera adeguata ciò che lui
compone. Questo accade perché la malvestatz è
onnipresente, per cui pochi come il poeta-amante,
raffinati dal processo di composizione e di fruizione di
letras, possono ottenere l’arte poetica e la possibilità
di comporre un canto che abbia anche i giusti valori di
rettitudine morale. 283

282 BERTRAN DE BORN, Can vei pels vergiers desplegar, ed. Gouiran
1985. La cobla continua : « Que d'un sol s'en saup ben pagar, |
D'Artuset, don fai a blasmar, | Qe.n mes als Juzieus en venda. »
283 G. ERRANTE, op. cit.

181
5. Conclusioni.

Il corpus lirico dei trovatori è un elogio alle


belle lettere, la cui fruizione rende migliore l’animo
del poeta-amante. Di questo affinamento è testimone
lo stesso poeta, il quale nello stesso processo di
composizione rende argomento del suo poetare il
proprio processo di affinamento interiore. Ma che
cosa spinge il poeta-amante alla fruizione della
poesia? Amore, e quindi l’assoluto nel quale risiede il
messaggio di salvezza divina; inoltre ciò che spinge il
poeta a comporre poesia è la fin’Amors nei confronti
della propria donna, alla quale è possibile
sovrapporre, oltre che l’amore per la poesia lirica,
quello per Dio.
I colori sono le figure retoriche, che
rappresentano l’affinarsi del canto poetico che tende
al sembiante divino: nel momento in cui la parola di
182
Dio e la parola dell’arte retorica manifestano la
propria luce a colui che scrive, i colori del dettato
poetico sono chiari e lucenti. Nel frangente in cui Dio
manifesta meno luce, i colori sono meno luminosi e
quindi opachi. I colori sono simboli di assenza o
presenza di luce, e rimandano sempre a questa idea di
vicinanza o lontananza del poeta dall’assoluto e dalla
parola divina. Il poeta-amante è come un mistico,
immerso nella contemplazione della natura, scruta e
osserva paesaggi con erba, alberi, rivi, uccelli, i quali
diventano immagini del suo lavoro di affinamento
retorico sulla propria poesia. Il Verbo divino e l’arte
poetica, che sono assoluto per il poeta, sono le belle
lettere che devono avere un importante contenuto
morale da veicolare, in maniera tale che coloro che ne
fruiscono migliorino il proprio animo.
La lirica trobadorica rappresenta i moti
d’animo del poeta, al quale si manifestano paesaggi in
fiore nel momento della gioia e paesaggi scarni,
oscurati, nel momento della tristezza. Le poesie degli
autori analizzati mi hanno portato ad evidenziare che
in una stessa poesia l’io lirico si fa testimone in una
strofa della propria gioia e in un’altra gioia della

183
tristezza. Questa dialettica diventa ben evidente nelle
poetica di Raimbaut d’Aurenga e Bernart de
Ventadorn: entrambi, come ho mostrato, si fanno
testimoni di una poesia del dolore e della rinuncia,
inasprita nei momenti lirici in cui la donna, e quindi
l’arte poetica stessa, non possono essere colte dall’io
lirico. L’analisi dei colori mi ha portato anche a
riflettere sul ruolo della poetica dei lirici analizzati
nell’intero corpus. In un momento storico in cui è
superato il dibattito tra i poeti appartenenti al ‘trobar
leu’ e al ‘trobar clus’, mostro come le parole leu e clus
possano convivere in una stessa poesia, come in
quella di Giraut de Bornelh, in Nuilla Res: nella strofe
in cui prevale l’euforia, e quindi la luce, il poeta
manifesta la sua levità nel comporre, mentre nella
strofe in cui prevale il dispiacere il poeta afferma di
essere clus, chiuso in se stesso, ma con buona
speranza. L’opposizione tra i termini ‘clus’ e ‘leu’ è un
esempio di altre dicotomie presenti nelle liriche dei
trovatori: l’accostamento tra parole chiave come
bas/aut; joy/paor, etc. rivela un’opposizione
semantica tra due termini, di cui uno euforico (x) e
l’altro disforico (y). Tutto ciò avviene in un

184
cromatismo di contrasti [f(x)] che riconduce la natura
della lirica trobadorica a un’antinomia tra luce (x1) e
oscurità (y1), volta alla manifestazione di molteplici
colori [f(x1)] nelle armoniche sfumature di tonalità
differenti.

185
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