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David riesman: la personalità etero diretta

Nell'opera di David Riesman “La folla solitaria del 1950”, si affaccia una critica della società
americana e del suo ceto medio, composto di individui dalla personalità eterodiretta, ovvero
individui il cui comportamento dipende dai giudizi e dai modelli espressi dai mass media e
legati al consumismo. L’uomo eterodiretto, infatti, cerca di essere come gli altri . Secondo questa
concezione, la figura dell'individuo eterodiretto si va sempre più affermando nella società
contemporanea. Con questi cambiamenti, è mutato anche il ruolo delle agenzie di socializzazione:
i mass
genitori e insegnanti. media hanno
La visione preso il
di Riesman, posto che
dunque, in precedenza
è chiaramente era occupato
in sintonia con le da
teorie della
Scuola di Francoforte.
I cambiamenti della società secondo la Scuola di Francoforte
La globalizzazione ha rivoluzionato l'economia, la politica, la religione, ha investito ogni campo
dell'attività umana. La letteratura, la pittura, la musica diventano prodotti da vendere che hanno un
valore merceologico. Secondo gli intellettuali della scuola di Francoforte noi vivremmo in società
apparentemente libere e democratiche, perché libertà significa: libertà dall'economia, libertà politica,
libertà intellettuale. Secondo la teoria di Marcuse la nostra sarebbe una società autoritaria, I controlli
sociali, creano dei "falsi bisogni*, incentivando gli
individui a lavorare fino allo sfinimento per soddisfare bisogni, che non sono indispensabili
perché il singolo potrebbe vivere tranquillamente senza questi. Viviamo in delle società dove siamo
costantemente chiamati a produrre e consumare infinitamente. Il sociologo Bauman, parla
dell'atteggiamento compulsivo patologico del comprare. Oggi un uomo non si sente povero perché
non può comprare L’essenziale ma perché non può acquistare come fanno tutti gli altri. I consumatori
sono sempre alla ricerca del nuovo. Secondo i francofortesi è il potere politico che ci spinge a
omologarci, a sforzarci di diventare tutti uguali, perché così diventa molto più semplice controllarci.
Habermas spiega come l'opinione pubblica sia fortemente condizionata. A giocare un ruolo
importante sono sicuramente i mass media, i quali diventano strumenti di manipolazione. Anche i
prodotti culturali vengono oggi utilizzati per massificare i gusti. L'industria culturale si oppone alla
libera circolazione delle idee e delle opere, privilegia solo quelle che vengono maggiormente
apprezzate dal mercato e perciò facilmente acquistate. Secondo Adorno e Horkheimer l'industria
culturale trasforma la cultura in merce. I rischi consistono nell'emarginazione dei prodotti meno
commerciabili. Il pensiero critico e le forme più originali vengono emarginati da un mercato che cerca
il successo economico e non la diffusione dell'intelligenza. In campo artistico si assiste alla serialità di
un'opera (cioè la sua riproducibilità) e questo, riduce l'arte a merce di consumo. la produzione
artigiana è entrata in crisi. Un'altra riflessione che merita di essere affrontata è quella del rapporto tra
società e spettacolo elaborata da Debord. Secondo Debord Sono le
immagini che regolano le relazioni sociali. Le immagini producono una visione del mondo.
Ciò che viene trasmesso con le immagini diventa realtà.
La comunicazione nell'era globalizzata
Uno degli aspetti che più degli altri è stato rivoluzionato dalla globalizzazione è quello della
comunicazione.La comunicazione sociale è un processo che implica la produzione, la trasmissione e
la diffusione di testi, notizie, brani musicali, immagini, tali da poter raggiungere una quantità di
persone, che non sono in relazione tra loro, in tempi molto brevi o addirittura in modo istantaneo. Il
mezzo che utilizziamo ha una grande importanza. McLuhan sostiene che: il linguaggio condiziona la
nostra visione del mondo, distingue i “media freddi" dai "media caldi". Sono "freddi” quei mezzi di
comunicazione, come il telefono o la parola, che richiedono un'alta partecipazione del ricevente. I
"media caldi", sono caratterizzati da una scarsa partecipazione del ricevente. Attraverso la radio, la
televisione, la stampa e il cinema avvenga una forma di comunicazione che procede da uno solo o
pochi emittenti verso un numero potenzialmente infinito di destinatari. Ciò consente all'emittente di
avere una posizione privilegiata,nessun telespettatore può interrompere lo speaker. Thompson
distingue l'interazione mediata dalla quasi-interazione mediata, nel primo caso vi è una dimensione
dialogica e l'emittente e il ricevente sono simmetrici. Nella quasi-interazione la comunicazione è
unidirezionale e vi è asimmetria tra emittente e ricevente. In tempi recenti ai mass media
tradizionali si è affiancata una nuova famiglia di
strumenti di comunicazione, caratterizzata dal fatto di modificare notevolmente i rapporti tra emittente
e destinatari. All'origine dell'esplosione del fenomeno dei new media sta il processo della
digitalizzazione delle informazioni. Lo sviluppo delle tecnologie di digitalizzazione delle
informazioni ha consentito di ridurre lo spazio di un informazione registrata, di aumentare la quantità
di informazioni, di facilitare la costruzione e la modificazione delle informazioni. Il più importante tra
i new media è Internet. Internet introduce una novità fondamentale: non esiste un centro del sistema,
non c'è un emittente che si pone su un altro livello rispetto al pubblico, tutti coloro che hanno accesso
alla rete possono usufruire delle informazioni, ma anche a loro volta immettere informazioni ed
intrattenimenti. Poiché non possiede un centro e non ha un autore, non ha neanche un controllo,
questo la rende democratica e libera. Con l'avvento dei nuovi mezzi di comunicazione assistiamo al
cambiamento del concetto di tempo e di spazio: oggi si parla di cyberspazio. All'interno di questo
spazio senza territorio gli esseri umani si organizzano creando nuove relazioni sociali, dando vita a
comunità virtuali. L’avvento di internet favorisce la circolazione più vasta di beni, servizi,denaro, idee
e culture. Le caratteristiche di internet hanno fatto pensare a molti che potesse essere uno strumento di
superamento delle disuguaglianze. Ma l’esperienza ha dimostrato che non è così, si crea il Digital
Divide, divario digitale tra coloro che padroneggiano le tecnologie e chi no.
La rivoluzione psico-sociologica dei social
Un "mi piace*, notificato con suono riconoscibile sullo smartphone, diventa per molti motivo di gioia
fino a trasformarsi in una ragione di vita. La Sindrome del Like. Un "mi piace" sotto la foto postata
pochi secondi prima sul Social comporterebbe, secondo la ricerca in questione, una scarica nell'
organismo di dopamina, il neurotrasmettitore alla base dei fenomeni di dipendenza. Secondo il più
recente studio, Facebook provoca anche infelicità ai suoi utenti più abituali, Tale infelicità consegue
all'invidia provata verso la felicità artificiale mostrata nei profili Facebook. La maggior parte dei
profili Facebook, in effetti, è costruita "ad hoc" per mostrare, e talvolta persino fingere, la propria
felicità. Ciò provoca una sorta di "spirale dell'invidia". Gli altri utenti, provando invidia per l'altrui
felicità, sono spinti a trasmettere, a loro volta, un'immagine fittizia di sé stessi, suscitando ulteriore
invidia ed alimentando il circolo vizioso. L'ingresso di Internet ha notevolmente cambiato le nostre
vite, l'accesso alla rete è qualcosa di abitudinario e di essenziale, sembra quasi di non poter vivere se
non si è collegati. Dal punto di vista psicologico questo comporta l'insorgere di nuovi disagi
psicologici.
Il grande fratello digitale
Uno degli aspetti della rete maggiormente tenuto sotto controllo dai sociologi è quello legato alla
sorveglianza, Ciascuna società storicamente esercita un controllo sui propri membri. La rivoluzione
digitale ha notevolmente ampliato le possibilità di controllo non solo da parte dello stato, ma da
chiunque voglia avere informazione su un individuo. La dipendenza da Internet, meglio conosciuta
con il nome inglese Internet addiction disorder (IAD), è un disturbo di discontrollo degli impulsi.
Esistono forme diverse di dipendenza:
1. Dipendenza cibersessuale (o dal sesso virtuale): gli individui che ne soffrono sono di solito
dediti allo scaricamento, all'utilizzo e al commercio di materiale pornografico online.
2. Dipendenza ciber-relazionale (o dalle relazioni virtuali): gli individui che ne sono affetti
diventano troppo coinvolti in relazioni online.
3. Net Gaming: la dipendenza dai giochi in rete comprende una vasta categoria di
comportamenti, compreso il gioco d'azzardo patologico,i videogame, lo shopping compulsivo
e il commercio online compulsivo.
4. Sovraccarico cognitivo: Gli individui trascorreranno sempre maggiori quantità di tempo nella
ricerca e nell'organizzazione di dati dal Web.
5. Dipendenza dai Social: possono impossessarsi della vita di alcuni utenti,rendendoli schiavi di
tutti i meccanismi connessi al loro funzionamento.
Critiche alla televisione: la videocrazia
Neil Postman afferma che «una nuova tecnologia non aggiunge e non sottrae nulla: cambia tutto».
McLuhan ritiene che la televisione comporti modificazioni sia dal punto di vista
dell'apparato sensorio sia per la ridefinizione dei rapporti nella famiglia, con i vicini, nella scuola.
Inoltre, quando le informazioni viaggiano così velocemente, le dicerie diventano realtà. In questo
modo si determina una telecrazia, o videocrazia. A questo proposito Derrick de Kerckhove afferma
che la televisione «parla in primo luogo al corpo e non alla mente» annullando così l'autonomia di
pensiero che gli esseri umani hanno acquisito con la lettura e la scrittura.
Cattiva maestra
Una violenta accusa alla televisione, per le negative conseguenze educative, è arrivata dal filosofo
austriaco Karl Popper che l'ha definita cattiva maestra, perché insegna la violenza ai bambini. Popper
arriva a proporre la censura per difendere i minori: coloro che fanno la televisione dovrebbero
sostenere un corso, al termine del quale conseguire una "patente" Le considerazioni di Popper si
basano sugli studi dello psicologo e scienziato delle comunicazioni statunitense John C. Condry. Lo
studioso riporta alcuni dati, dai quali risulta che i bambini passavano 40 ore alla settimana davanti
alla televisione, assistendo a 25 atti di violenza all'ora. Le critiche di Condry sono però più generali; a
suo parere, la televisione:
1. è una ladra di tempo perché sottrae ore che i bambini potrebbero impiegare per imparare
cose sul mondo che la televisione non insegna;
2. spesso distorce la realtà e i bambini non sono in grado di capirlo;
3. è "bugiarda e serva infedele", perché educa male i bambini che le "vengono affidati”.
I mass media
Nel sistema generale dei media si possono individuare i mass media, cioè gli strumenti della
comunicazione di massa che rendono possibile una comunicazione "da-uno-a-molti" (l'emittente si
rivolge a più riceventi). Il termine "massa" viene inizialmente usato in senso negativo; l'espressione
"società di massa" infatti si riferisce a una collettività di individui anonimi , i cui comportamenti sono
eterodiretti, cioè diretti da qualcuno, lo studioso Daniele Pitteri sostiene che il pubblico sceglie quali
messaggi ricevere. Questa "passività" del pubblico è sottolineata dal sociologo McLuhan, ma anche
dall'antropologo Stuart Hall (1932-2014) che nell'opera Codifica e decodifica del discorso televisivo
(1980) propone il concetto di "modello egemonico-dominante" di comunicazione in base al quale
l'emittente si preoccupa che il messaggio venga compreso nel significato da lui espressamente voluto.
Computer e nuovi media
Negli ultimi decenni abbiamo assistito alla nascita dei nuovi media: la diffusione degli smartphone, la
creazione dei social network e la nascita di internet. Tra questi internet fa da connettore, in quanto nei
paesi industrializzati è attraversata la rete che oggi si opera a tutti i livelli: a partire dalla posta
elettronica fino al pagamento delle tasse. Questo periodo prende il nome dell'era dei Big data che sta
modificando le abitudini individuali e sociali.
Internet
Internet è divenuta accessibile al pubblico all'inizio degli anni 90 con la creazione del web ovvero la
rete telematica Mondiale Attraverso la quale internet opera. Con l'avvento del web sembra compiersi
una democratizzazione dell'informazione. Il web rende disponibile una fonte di informazioni messe in
rete in tempo reale. Inoltre anche i libri sono stati digitalizzati e intere biblioteche sono consultabili
da casa. Ciò ha reso più facile la vita sia agli studiosi sia ai normali studenti. La mancanza di un
controllo centrale rende più facili attività criminali e anche la facoltà di comunicare via web. Internet
è risultato essere uno spazio proficuo, ciò l'hanno capito Google, Amazon, Facebook che ne hanno
assunto il controllo.
I social network
Tra i new media troviamo i social network, ovvero architetture internet di diverso genere in grado di
gestire Reti Sociali. Il più diffuso è Facebook, lanciato nel 2004, una piattaforma web nella quale
ciascuno può aprire un proprio profilo nel quale postare foto e pensieri. Facebook si presenta come un
luogo aperto in cui le persone possono incontrarsi e scambiarsi opinioni ma è anche fonte di fake
news. Twitter deve il suo successo a brevi post, con un massimo di 280 caratteri. Esso non consente
argomentazioni articolate, ma solo messaggi che possono colpire l'opinione pubblica, per questo è
usato dai politici. se Facebook era il social preferito dei giovani, esso è stato soppiantato da
Instagram. Instagram prevede un servizio di messaggistica. Più recente è Tiktok lanciato in Cina
nel
2016 e consente di creare brevi video musicali. Permette di scambiarsi messaggi, foto e video il
servizio WhatsApp considerato uno strumento fondamentale per tenersi sempre in contatto. Si
possono creare gruppi WhatsApp tra amici, compagni di classe, genitori o insegnanti degli alunni.
WhatsApp permette di mandare file audio e fare una videochiamata. Se prima gli sms comportano un
ritorno alla scrittura usufruendo delle abbreviazioni usuali, le nuove opportunità finiscono per far
prevalere l'oralità e le immagini.
Una rivoluzione social nella scuola
Nel 2020 un virus chiamato covid-19 ha costretto il mondo a restare a casa per cercare di contrastare
la diffusione della pandemia. I primi a essere reclusi sono stati gli studenti che dalla sera alla mattina
si sono trovati a non avere più la possibilità di andare a scuola, incontrare gli amici e fare sport. In
questo momento di panico i social network sono stati un mezzo che ha permesso al mondo di
rimanere in contatto. Nella scuola c'è stata una rivoluzione: gli insegnanti hanno dovuto organizzarsi
per poter garantire ai propri studenti una comunità didattica e così i social network sono entrati nella
scuola. WhatsApp che permette di fare videochiamate collettive si è rivelato uno strumento utile per
la Dad, così come la modalità webinar utilizzata per la formazione professionale che permette di
svolgere incontri collettivi sulla rete. Anche l'insegnamento scolastico si è dovuto servire di video
lezioni interattive con Skype, zoom e Google meet. L'insegnante non solo può spiegare ma può anche
coinvolgere gli studenti dando loro la parola ed interrogare. Tutto ciò è stato di particolare efficacia in
un momento di grande emergenza anche se l'uso delle videolezioni pone problemi di privacy.
Come è cambiato il lavoro durante la fase di lockdown?
Durante la fase di maggior emergenza internet si è rivelato una risorsa indispensabile anche per molti
ambienti lavorativi nei quali era possibile svolgere mansioni da remoto con il telelavoro e lo smart
working. Il sociologo De Masi ha fondato la società italiana telelavoro ed esiste da prima della recente
emergenza un Osservatorio del Politecnico di Milano che studia il fenomeno. Sulle opportunità che la
virtualità offre all'insegnamento e al lavoro, gli studiosi e l'opinione pubblica si presentano divisi nei
due partiti Individuati da Umberto Eco: gli integrati che ne vedono i vantaggi e gli apocalittici che ne
individuano i pericoli
I pro
Aldilà dell'emergenza, gli strumenti messi a punto per affrontarla possono servire per accompagnare
la didattica tradizionale. Per quanto riguarda il lavoro da remoto la possibilità di lavorare senza
spostarsi da casa aiuta a combattere il traffico, l'inquinamento e comporta il risparmio di tempo.
I contro
Molti però hanno criticato queste nuove modalità. Alcuni intellettuali hanno firmato un documento
contro la didattica a distanza nella quale manca un aspetto importante: il contatto fisico tra le
persone. Per quanto riguarda il mondo del lavoro, lo smart Working diminuisce la socializzazione tra
gli individui isolandoli e favorisce la sedentarietà.
Il digital divide
Quando in una comunità non tutti possono avere accesso agli stessi strumenti si crea una
disuguaglianza sociale. Oggi viene chiamata digital divide, cioè il divario digitale, la diseguaglianza
nell’accesso e nell'uso delle nuove tecnologie digitali. Il digital divide è interno ai singoli paesi
perché crea divisioni in base alle condizioni economiche alle classi sociali, separa per fasce d'età i più
giovani e più anziani e anche gli uomini dalle donne. Si evolve rapidamente tra Paesi più o meno
industrializzati, al punto che l'ex segretario statunitense Colin Powell ha definito questo divario una
vera Apartheid digitale.
Il medium e il messaggio
Il sociologo Mcluhan ha studiato i mezzi di comunicazione di massa e la loro influenza sul
comportamento degli individui. Una sua frase dice che il medium è il messaggio: il mezzo utilizzato
per veicolare il messaggio ha un'influenza su di esso superiore al suo contenuto. Pensiamo a una
notizia di cronaca ascoltata durante un telegiornale: dell'evento conosciamo solo ciò che il telecronista
ci racconta con le sue parole. Se invece leggiamo un articolo web che parla dello stesso fatto,
possiamo aprire dei link di approfondimento e cercare altri articoli che parlano dello stesso
argomento. Una differenza tra i due è che una notizia fornita
in televisione tende a presentarsi come completa, mentre un articolo scritto per il Web si presenta
come un punto di inizio a partire dal quale possiamo approfondire la conoscenza. La differenza è che
la televisione richiede che il nostro sguardo sia concentrato sul video mentre ascoltiamo ciò che viene
raccontato: l'associazione tra parole e immagini è preconfezionata. Nel web invece siamo noi che
scegliamo se vogliamo seguire un video fino alla fine o interromperlo per cercare dei testi che
spiegano alcuni aspetti. Il nostro livello di partecipazione dipende dal medium.
L'effetto del Coccodrillo artificiale e la ricerca della straordinarietà
Nell'analisi dei new media è interessante considerare due fenomeni frequenti. Il primo è descritto
dalla sociologa Turkle che parla di effetto del Coccodrillo artificiale per indicare come nella cultura
della simulazione veniamo abituati all'artificio al punto da percepirlo come un elemento naturale. Il
coccodrillo della Disney con i suoi occhi in continuo movimento finisce per diventare più interessante
di un vero coccodrillo che si muove a filo d'acqua. il secondo riguarda la ricerca della novità e della
straordinarietà delle occasioni. Pensiamo alla pubblicità: negli slogan gli oggetti da desiderare sono
quelli che garantiscono prestazioni eccezionali ovvero destinati alle persone che contano. Il nuovo e lo
straordinario sono valori che appartengono ciascuno sui quali si fonda il senso di appartenenza e
l'identità.
L'infodemia e i tre conflitti che stanno favorendo l'ansia da Coronavirus
L'arrivo del Coronavirus in Italia e la conseguente proiezione del nostro Paese al centro dell'attenzione
mondiale per il numero di contagi al momento verificati (terzi al mondo dopo la Cina e la Corea del
Sud, primi in Europa) hanno generato una diffusa reazione di paura, ansia, se non addirittura panico in
segmenti significativi della popolazione. Le foto dei supermercati presi d'assalto da consumatori
evidentemente convinti di poter essere chiamati a restare barricati in casa per settimane testimoniano
un processo che a
questo punto pare difficile da contenere, almeno fino a quando Il numero di guarigioni non supererà
quello dei contagi. Accanto alla possibile epidemia di Coronavirus ne esiste un'altra, infatti, che si è
attivata e che si attiva ogniqualvolta si crea una crisi di fiducia dei cittadini nei confronti
dell'informazione "ufficiale", che proviene prima di tutto dalle istituzioni chiamate a gestire
un'emergenza, ma che riguarda anche l'eterogenea galassia dei mezzi di informazione. Questa
dinamica è definita infodemia, cioè la «circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta
non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la
difficoltà di individuare fonti affidabili» (dai Neologismi del Vocabolario Treccani). In sintesi: i
cittadini, attraverso i social media e ancor di più con strumenti di assai difficile tracciabilità esterna
quali le piattaforme di instant messaging, come ad esempio WhatsApp, iniziano a scambiarsi
informazioni che provengono dalle fonti più disparate. La sommatoria di tre dinamiche - ossia 1)
la sfiducia nei confronti delle istituzioni (Stato, Comuni, Regioni, Parlamento, politici in genere) e nei
media, 2) la maggior fiducia nei confronti delle informazioni provenienti attraverso il passaparola,
soprattutto se l'interlocutore è una persona all'interno delle proprie reti amicali e familiari; 3) la
presenza di bias cognitivi nell'elaborazione dell'informazione da parte di qualsiasi essere umano, e in
particolare quelli "di conferma” (cioè la tendenza a fidarci maggiormente delle opinioni altrui quando
assomigliano alle nostre o a ricordarci maggiormente le informazioni quando sono in linea con il
nostro punto di vista) - genera quell'impasto sostanzialmente inscalfibile che porta alle conseguenze a
cuí stiamo assistendo in questi giorni: mascherine introvabili, Amuchina in vendita a prezzi folli su
Amazon, risse a stondo xenofobo nei supermercati, solo per citare i casi più eclatanti. In una parola: il
panico. Le prime due
dinamiche descritte sono tra loro complementari: alla crisi di fiducia nei cosiddetti corpi intermedi
coincide, per riflesso, un rifugio nelle reti relazionali di prossimità. Di qualcuno, in fondo, ci si dovrà
pur fidare. Ed è qui che si può provare a fare qualcosa per ridurre l'effetto di ansia generalizzata in cui
l'Italia è piombata da giorni; il lavoro sugli errori e sulle distorsioni di percezione, per quanto
assolutamente fondamentale, richiede infatti anni e un massiccio investimento in educazione e media
literacy. Per farlo, però, bisogna mettere prima di tutto in evidenza tre conflitti che favoriscono la
sfiducia nelle istituzioni e nei media e la conseguente fuga verso il "sentito dire", Il conflitto tra le
competenze dello Stato: dopo
l'attuazione delle prime misure emergenziali adottate dalle Regioni più colpite dal Coronavirus, in
particolare Lombardia e Veneto, è partita una corsa avventata da parte di altri enti locali che hanno
(in modo del tutto arbitrario) paventato provvedimenti di chiusura delle scuole o di limitazione alla
libertà di movimento da parte di persone residenti anche a decine di chilometri dalle zone del
contagio. Il fatto che queste scelte siano state adottate a macchia di leopardo e senza alcuna
omogeneità mina la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni e dunque può portare le persone
a non rispettare fino in fondo quelle direttive o a cercare elementi informativi "altri" (data anche la
sfiducia nei media) per verificare se il panico istituzionale' abbia una qualche ragione, magari non
ancora emersa nella pubblica opinione. Il conflitto tra esperti: l'opinione di immunologi e virologi è
molto ascoltata in questi giorni, com'è giusto che sia. Cosa succede se però l'opinione degli esperti
presenta elementi di difformità, o se addirittura genera polemiche incrociate tra loro? Dan Ariely, un
economista comportamentale, lo spiega in modo impeccabile in questo video: quando una persona è
posta davanti a un'alternativa tra due sole opzioni è più motivata a cambiare idea; se invece le
alternative diventano tre (o più) si preferisce rimanere sulla propria posizione di partenza perché il
costo cognitivo richiesto al cervello per ponderare tutte le alternative è eccessivo. Due immunologi
che discutono tra loro o un esperto che prova a smentirne un altro sui media nazionali generano
una sorta di annullamento del loro contributo: i cittadini smetteranno di ascoltare gli esperti perché, in
fondo, si contraddicono tra loro e manterranno la loro idea iniziale, anche se errata o viziata dalla
paura. Il conflitto tra le 'missioni del giornalismo': è in corso - per l'ennesima volta - uno scontro in
pubblica piazza tra le sempre meno conciliabili visioni di giornalismo nell'era contemporanea. Da una
parte assistiamo alla via del sensazionalismo, dei toni urlati, dei titoli ad effetto per conquistare
l'audience televisiva o i click necessari per attingere ai profitti della pubblicità. Dall'altra emerge la
necessità, mai così pressante come durante un'epidemia, di offrire informazione di qualità, ben
ponderata, che rifugga le semplificazioni, che rinunci anche alla pubblicazione intensiva
diaggiornamenti irrilevanti dal punto di vista giornalistico (gli articoli sui "casi sospetti' sul
Coronavirus, per citare l'esempio più eclatante) in nome dell'autorevolezza ma soprattutto della
riduzione dell'infodemia. Questi tre conflitti, purtroppo, sono evidenti e non aiutano né a contrastare il
Coronavirus né le reazioni spaventate della popolazione italiana. Ridurre quei conflitti vuol dire,
anche, aiutare a ridurre la durata di questa difficile stagione del nostro Paese.
Temi di oggi: sviluppo e consumo
pagine precedenti abbiamo delicato un profilo dell'antropologia economica a partire dalle sue origini,
soffermandoci su alcune tappe importanti della sua storia. A questo punto possiamo rivolgere la nostra
attenzione al mondo contemporaneo, per individuare qual è il ruolo dell'antropologia economica oggi,
e quali sono la sua funzione e i suoi obiettivi nei confronti delle grandi trasformazioni socio-
economiche attuali. Focalizzeremo l'attenzione sul contributo offerto dall'antropologia alla
comprensione delle implicazioni del concetto di "sviluppo" (> Laboratorio di cittadinanza attiva).
L'antropologia di fronte allo sviluppo
Con il termine "sviluppo" nella scienza economica si indica un cambiamento quantitativo e qualitativo
nel sistema economico di uno Stato, che non riguarda solo l'aumento della ricchezza, ma coinvolge
altri elementi del sistema sociale: le infrastrutture (ad esempio i trasporti), l'istruzione, la sanità, la
sicurezza, il tenore di vita delle persone, la condizione femminile. Pertanto lo sviluppo deve essere
distinto dalla semplice crescita economica, che consiste nell'aumento del prodotto interno lordo per
abitante (PIL pro capite). La crescita di per sé non cancella le disuguaglianze sociali e può provocare
danni all'ambiente. Il vero sviluppo invece è sostenibile, perché non pregiudica il benessere delle
generazioni future, tutela l'ambiente e si accompagna a interventi che promuovono l'equità sociale.
Lo sviluppo è misurato con appositi indicatori, come ad esempio l'ISU (Indice di Sviluppo Umano),
che si ottiene dalla media aritmetica semplice di tre indici: l'aspettativa di vita alla nascita, il grado di
istruzione, il PIL per abitante. Inteso in questo senso, di auspicabile miglioramento delle condizioni di
vita della popolazione di un paese, il termine sviluppo entrò nel lessico politico internazionale dopo la
fine della Seconda guerra mondiale e al compimento del processo di
decolonizzazione. Per colmare il divario tra l'Occidente ricco e i nuovi Stati indipendenti di Africa e
Asia, politici ed economisti di tutto il mondo ritennero che fosse necessario avviare "programmi di
sviluppo", In pratica, gli Stati poveri di quello che ancora negli anni Sessanta era definito "Terzo
Mondo" avrebbero dovuto ripercorrere, con l'aiuto delle organizzazioni internazionali, le tappe che
avevano portato Europa e Stati Uniti al benessere diffuso: industrializzazione, urbanizzazione,
democrazia, istruzione e servizi sociali per tutti. Anche gli antropologi furono coinvolti nei
programmi di sviluppo gestiti dalle organizzazioni internazionali, a cui parteciparono sostanzialmente
in due modi: esercitando la loro competenza di ricercatori sul campo oppure svolgendo una funzione
critica. Nel primo caso, indagini sul campo svolte in Africa e Asia (ad esempio in Ghana, Lesotho,
Marocco e Indonesia) contribuirono a migliorare la conoscenza di regioni del mondo spesso
frettolosamente classificate come "povere" o "sottosviluppate", rivelando la presenza di attività
imprenditoriali cresciute al di fuori del dominio coloniale (come l'industria del cacao in Ghana) o di
strategie economiche "informali", ovvero estemporanee e prive di regole, assai diffuse negli slums,
cioè i quartieri poveri delle metropoli asiatiche, nelle cui strade si affollano venditori ambulanti,
facchini, taxisti, mendicanti, borseggiatori e altre persone che si arrangiano per sopravvivere al limite
della legalità: Il messaggio che gli antropologi lanciarono ai responsabili dei programmi di sviluppo
sosteneva che per governare l'economia informale e gradualmente renderla formale, introducendo
regole, era necessario conoscerla e non sottovalutarla, Purtroppo un certo disinteresse della politica
internazionale, unito allo sviluppo dell'economia neoliberista, che riduce il controllo statale
sull'economia, hanno determinato non solo un'espansione dell'economia informale " di strada" nei
paesi in via di sviluppo, ma il trionfo della criminalità organizzata che traffica in droga e armi. Nel
secondo caso, oggetto della critica antropologica fu lo stesso concetto di sviluppo, di cui alcuni
studiosi hanno mostrato i limiti. Possiamo ricordare lo statunitense lames Ferguson e il colombiano
Arturo Escobar, secondo i quali la parola "sviluppo" ormai è una fi gura retorica utile nei discorsi
politici ma priva di conseguenze sulla società, visti i modesti risultati ottenuti dai programmi
internazionali di cooperazione. Oppure lo svizzero Gilbert Rist, che ha definito lo sviluppo una
credenza, assimilabile a una fede religiosa. Secondo Rist infatti chi ancora sostiene la possibilità dello
sviluppo si comporta come un credente, che professa la sua fede anche in assenza di prove concrete
dell'esistenza di ciò in cui crede. Il pessimismo di queste critiche, che peccano di una certa
unilateralità perché qualche risultato positivo in realtà è stato ottenuto (> Luoghi non comuni),
presuppone una totale sfiducia nei confronti di ogni iniziativa presa dai paesi che furono
colonizzatori: infatti secondo le voci più critiche il colonialismo non è mai finito, perché le prepotenze
del mondo ricco su quello povero continuano, anche se in forme diverse dal dominio politico, come
ad esempio lo sfruttamento economico operato dalle multinazionali oppure gli interventi militari che
con vari pretesti mirano a distruggere un paese per accaparrarsi le sue risorse. Se gli antropologi con
le loro denunce dello sfruttamento coloniale e dei limiti intrinseci ai programmi di sviluppo sono la
voce critica che ha il compito di scuotere le coscienze, non bisogna dimenticare l'importanza degli
attivisti, che con il loro impegno riescono a mobilitare intere popolazioni, al fine di mettere in pratica
un altro modello di sviluppo, che ha a cuore i diritti umani, la tutela della terra e il benessere delle
generazioni future, A questo proposito, presentiamo due celebri figure di attiviste per l'ambiente:
Wangari Maathai e Vandana Shiva. Premiata con il Nobel per la pace nel 2004, Wangari Maathai
(1940-2011) è stata un'attivista politica kenyota che ha sostenuto i diritti delle donne e si è battuta per
la difesa dell'ambiente. Nel 1977 fondò il Green Belt Movement, un movimento noto soprattutto per
le campagne di riforestazione, condotte tra gli agricoltori del Kenya, che per il 70% sono donne.
Come spiega con semplicità e chiarezza nei suoi scritti, Wangari è riuscita a coinvolgere molte donne
nel suo programma, che dal Kenya si è esteso ad altri venti paesi africani; solo in Kenya il Green
Belt Movement ha piantato venti milioni di alberi, restituendo vita a un ambiente degradato, inaridito,
inquinato da pesticidi e diserbanti usati nelle fattorie e sfidando l'incredulità e l'indifferenza di molti.
Vandana Shiva (nata nel 1952) è un'ambientalista indiana che lotta per la conservazione della
biodiversità e dei metodi tradizionali dell'agricoltura. Nel 1991 ha fondato il movimento Navdanya
(parola indiana che significa "nove semi"), che si propone di
raccogliere, conservare e coltivare quante più varietà possibili di semi, in opposizione con la politica
agricola delle multinazionali che puntano sulla varietà più redditizia, oppure ricorrono alla
modificazione genetica per ottenere ortaggi e frutta inalterabili. Nel suo libro più noto. Il bene
comune della Terra (2005), Shiva propone di estendere i principi della democrazia alla
«casa Terra», in cui tutte le specie viventi dovrebbero vivere in armonia e le diversità biologiche e
culturali dovrebbero essere difese.
Il compito dell'antropologia economica oggi
I limiti del concetto di sviluppo
Prima o poi le crisi economiche e politiche ci costringeranno a ripensare i principi su cui è fondata
l'economia umana mondiale. Gli antropologi devono mostrare, oggi, non solo come si organizzino
localmente le persone rispetto alla disuguaglianza mondiale ma anche come si possa rendere un po'
più "giusta" la società, Ciò implica una fondamentale critica delle idee e delle correnti pratiche,
portate avanti nel nome dello "sviluppo". Recentemente si assiste a una crescente insistenza dei Paesi
ricchi sugli imperativi ecologici e ambientali, che normalmente vengono chiamati "sviluppo
sostenibile". Il fondamento logico, in questo caso, è che il povero non può diventare come il ricco
perché di beni in circolazione non ce ne sono abbastanza per tutti. Vantandosi del proprio declino
economico e demografico, i Paesi occidentali (e anche qualcuno asiatico) hanno riesumato il "limite
alla crescita", un tema che venne ventilato per la prima volta negli anni Settanta. Le élite sono da
sempre preoccupate che l'aumento demografico incontrollato dei poveri, che ora ha raggiunto
dimensioni globali, non giunga a minacciare la loro sicurezza. I Paesi ricchi propongono di mettere un
tetto alle emissioni di gas serra dei Paesi in via di sviluppo a un livello inferiore di quello degli Stati
Uniti o dell'Unione europea. Il Brasile, l'India, la Cina, il Sudafrica e gli altri paesi protagonisti della
ristrutturazione del capitalismo mondiale, oggi, si oppongono, e non a torto, visto che l'Occidente è
responsabile della maggior parte del diossido di carbonio già immesso nell'atmosfera. Sia il leader
cinese sia quello brasiliano ebbero a scherzare durante il summit di Copenhagen del 2009 sul
"riscaldamento globale", dipingendo gli Stati Uniti come un ricco signore che, dopo essersi ingozzato
a un banchetto, invitasse i vicini per un caffè, chiedendo loro di dividere il conto. (...] [Superare
l'etnocentrismo] La vecchia premessa dello sviluppo vale ancora per la maggior parte delle persone di
oggi. Esse vogliono essere cittadini a pieno diritto di un mondo di cui vedono i privilegi in
televisione. Vogliono di più di quanto hanno già, perché non si dica loro che è tempo di stringere la
cinghia. Gli Africani fanno ancora un sacco di figli perché là i bambini muoiono più spesso. Se la loro
popolazione raddoppia ogni trent'anni, questo riflette i limitati passi avanti fatti per proteggerli contro
la guerra, le malattie e le carestie. Ma loro sanno di avere molta strada da fare prima di approfittare
dei benefici economici moderni che sono dati per scontati in Occidente (dove non potranno durare per
sempre). Ma non possiamo pensare che le prospettive dell'economia umana dipendano esclusivamente
dall'Occidente. Certo il cuore della società mondiale sembra si stia ora inesorabilmente muovendo
verso il luogo in cui risiede la maggior parte delle persone: l'Asia. L'antropologia economica ha il
potenziale di fornire un approccio disciplinato alle questioni di straordinario significato per il
controllo del pianeta da parte della nostra specie. Le sue radici occidentali devono andare a farsi
fertilizzare da altre tradizioni intellettuali, se deve compiere la sua missione globale e contribuire a un
futuro umano più generale.

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