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CHIMICA DEL DIABETE

Il diabete è una patologia comune e molto diffusa è la 3° causa di morte dopo le malattie
cardiovascolari e il cancro nei paesi sviluppati.
Le complicazioni del diabete, al di là della morte sono molto serie, riguardano la vista, insufficienza
renale, influenze sul sistema nervoso ed è la causa principale della cecità, dell’amputazione di arti che
possono essere compromessi, attacchi cardiaci e ictus.
Il diabete viene definito fame (da parte delle cellule) in una situazione di ampia disponibilità di
nutrienti.
Il diabete mellito è una malattia in cui l'organismo non produce sufficiente insulina o non risponde
normalmente all'insulina, causando livelli eccessivamente elevati di zucchero (glucosio) nel sangue.
L’insulina ha la capacità di influenzare tutte le vie metaboliche, soprattutto anaboliche, riguardanti
tutti i nutrienti.
Il diabete determina un danno a lungo termine, dal punto di vista delle caratteristiche sintomatiche, si
presenta come poliuria, cioè un’eccessiva perdita di urine, una sete notevole, che cerca di
compensarla e perdita di peso.
Questo perché abbiamo visto che durante la carenza di glucosio all’interno delle cellule, l’organismo
ricorre alla degradazione di trigliceridi e questa degradazione massiccia per ricavare energia,
determina una perdita di peso molto repentina e naturalmente questo porta nelle forme più severe a
chetoacidosi, perché la degradazione di trigliceridi determina la sintesi di corpi chetonici e quindi
quando questi sono eccessivi, determinano una diminuzione del pH del sangue.
Questa la situazione più seria del diabete, perché è la chetoacidosi che porta ad un’acidosi metabolica
scompensata, che può portare al coma e alla morte.
I sintomi possono essere un po’ difficili da evidenziare subito e compaiono in modo subdolo.
Il diabete di tipo 2 assumerà proporzioni pandemiche, si prevede che nel 2040, le persone nel mondo
caratterizzate da questa patologia saranno 640 milioni.

L’insulina è un ormone peptidico non tanto proteico perché è


fatta di 51 amminoacidi in 2 catene legate da due ponti disolfuro
che li tiene legati intercatena, tra una catena e l’altra. Una catena
A di 20 aa e una catena B di 30.
Ha un’emivita molto breve, 5-10 minuti, è degradata da un
enzima chiamato insulinasi che la degrada rompendo i ponti
disolfuro.

Dato che è un ormone peptidico comporta un aspetto biotecnologico importante: c’è un grande
studio per ottenere forme somministrabili di insulina, che non siano le forme di somministrazione per
via parenterale (cioè iniezioni, fleboclisi) dato che non si può prendere per via orale perché è una
proteina e come tutte le proteine verrebbe digerita e quindi non raggiunge mai la concentrazione nel
sangue adeguata a funzionare e questo è uno dei grandi limiti della terapia con insulina. Ci sono
moltissimi studi che cercano di trovare forme in cui l’insulina non viene attaccata o degradata,
rivestita da particolari materiali, che la fanno passare attraverso lo stomaco.
Il problema reale dell’insulina è che non è un farmaco per cui se ne può assorbire adesso il 30%, dopo
il 90%, deve essere sempre in una quantità precisa.
L’insulina dipende per la sua azione dal glutatione, una molecola riducente e la scissione di questi due
ponti disolfuro dissocia le due catene e quindi inattiva l’azione dell’insulina
L’insulina bovina differisce da quella umana per 3 amminoacidi, l’insulina di maiale differisce di 1
amminoacido. Viene riportata questa cosa, perché per lungo tempo fino a quando non si è prodotta
per via ricombinante come è attualmente, si utilizzavano insulina di maiale purificata dato è la più
simile, ma la somministrazione di una proteina diversa, seppure per un solo amminoacido, era
accompagnata da reazioni immunogeniche che possono variare da individuo ad individuo, la proteina
non veniva riconosciuta come propria. Quindi il passaggio epocale sicuramente per la
somministrazione ai diabetici di insulina è stata quando si è potuto produrre in via ricombinante la
insulina umana e la proteina, dunque, è tale e quale.

L’insulina è stato il primo ormone ad essere isolato, purificato e sintetizzato, e ad essere sequenziato
sulla parte proteica. È stato anche il primo ormone ad essere prodotto mediante la tecnologia del DNA
ricombinante inserendo il gene umano in alcuni organismi unicellulari, ESCHERICHIA COLI (batteri
Gram negativi), ottenendo così grandi quantità di insulina perfettamente identica a quella prodotta
dagli esseri umani.
La strategia di clonaggio prevede la produzione della catena A e B separatamente.
L’informazione per la catena A è stata sintetizzata fondendo la sequenza nucleotidica con il gene lacZ
nel plasmide, vettore di clonazione in E.coli, e nel punto di fusione tra lacZ e l’informazione relativa
alla catena A è stato inserito il codone codificante l’amminoacido metionina.
La catena B è stata, invece, sintetizzata in due tempi: prima è stata sintetizzata la porzione N-
terminale con procedimento analogo a quello seguito per la catena A, poi è stata sintetizzata la
porzione C-terminale con lo stesso procedimento. In seguito all’espressione di tali geni in E.coli si
sono isolati i frammenti codificanti la catena, sono stati fusi col gene lacZ inserendo nel punto di
fusione l’amminoacido metionina.

L’utilizzo del sistema lacZ/beta-galattosidasi ha numerosi vantaggi:


• il sistema è inducibile;
• le catene vengono sintetizzate in fusione con la beta-galattosidasi, che svolge un’azione
protettiva nei confronti della demolizione proteolitica.

I due peptidi vengono trattati quindi con bromuro di cianogeno, un agente chimico capace di scindere
i peptidi con taglio proteolitico in corrispondenza dell'amminoacido metionina. Non resta, quindi, che
purificare i prodotti di sintesi e di mescolare le due catene, permettendo la formazione dei ponti
disolfuro, ponendo la soluzione equimolare delle due catene in blande condizioni di ossidazione, per
favorire la formazione di ponti S-S.

BIOSINTESI
L’insulina è sintetizzata nelle cellule beta del pancreas, come preproinsulina, cioè una proteina più
grande in cui sono comprese le catene A e B, c’è un peptide N-terminale segnale che guida questa
proteina attraverso il reticolo endoplasmatico (che poi viene rimosso) e poi una parte chiamata
peptide C.
Nel reticolo endoplasmatico viene allontanato il peptide N-terminale segnale e abbiamo la
proinsulina, dopodiché nell’apparato del Golgi, quello che rimane da fare è rimuovere il peptide C.
L’insulina è un T1/2 cioè un tempo di vita di emivita di circa 6 minuti, proteina che vive molto poco,
come tutti gli ormoni peptidici e non peptidici, hanno altre vie di degradazioni.
Il peptide C ha un’emivita molto maggiore rispetto a quella dell’insulina perché all’inizio serve per
tenere inattiva e correttamente orientate le due catene A e B l’una rispetto all’altra e poi diventa
anche un marker che indica all’organismo la presenza della biosintesi e della secrezione dell’insulina
stessa. Poi viene anche esso eliminato e degradato (sopravvive più dell’insulina a cui ha dato origine).

SECREZIONE INSULINA
La secrezione avviene dalle cellule beta ed è è stimolata dal glucosio.
L’insulina viene sintetizzata, raccolta in granuli e deve essere poi rilasciata. Lo stimolo potente che
determina questo è il glucosio per cui ci sono dei TRASPORTATORI, il glucosio ne ha moltii, almeno 5
significativi, che hanno a che fare con l’insulina:
GLUT2 che è un tessuto specifico e si trova nelle cellule beta e negli epatociti permette l’ingresso di
glucosio, questo trasportatore ha un’elevata KM (una bassa affinità). Entrerà in funzione quando il
livello di glucosio effettivamente sale a livello ematico e permette l’ingresso di glucosio.
L’enzima glucochinasi, anche questa tessuto specifico, è presente solo nel fegato, ha un’elevata
velocità e bassa affinità perché fosforilerà il glucosio solo quando ce n’è molto. La glucochinasi
fosforila il glucosio a glucosio-6-fosfato che ha una relazione con il sistema del canale del potassio, che
è sensibile all’ATP, cioè si chiude e l’ATP che è presente a livello della cellula epatica, determina la
depolarizzazione in presenza di un equilibrio di ioni potassio e sodio e determina l’apertura tramite
depolarizzazione di un canale del calcio e quindi glucosio entra e la glucochinasi (una chinasi che
utilizza l’ATP) fosforila il glucosio.
C’è un’ampia disponibilità di ATP e questo determina anche l’apertura di un canale del calcio che
depolarizza a sua volta i granuli che contiene insulina e questo permette il rilascio, che è mediato
dall’energia, dal glucosio-6-fosfato, fosforilato da un enzima specifico del fegato, da un trasportatore
e dal calcio (un segnale di ioni).
Una volta rilasciata l’insulina, come tutti gli ormoni, si lega a dei recettori specifici, i cosiddetti tessuti
bersaglio dell’insulina.
Il recettore dell’insulina è un recettore tirosin-chinasico chiamato IRS ed è presente nel fegato, è
presente nel muscolo e nel tessuto adiposo. È fatto da due tipi di subunità alfa e beta a cui si lega
l’insulina, una volta che si è legata, il recettore, può autofosforilarsi a livello di specifici residui di
tirosina.
È in grado di autofosforilarsi in seguito alla variazione conformazionale dovuta al legame dell’ormone,
ma non solo, può anche fosforilare altre proteine e questo darà luogo alla rete di segnali (cascata) e
alla produzione di un secondo messaggero, che è il fosfatidilinositolo (nel caso dell’insulina). La
cascata di segnali attiva tutti i processi anabolici: sintesi di glicogeno, sintesi proteica, di lipidi e
inibisce tutti i processi catabolici: principalmente glicogenolisi, beta ossidazione degli acidi grassi e
anche la gluconeogenesi dato che è un processo attivato dal glucagone.
Inoltre, ha un effetto importante su un altro recettore, GLUT4, recettore e carrier del glucosio che
determina il suo assorbimento. Viene attivato immediatamente dopo il legame dell’insulina al proprio
recettore. Ha un effetto immediato.
GLUT4 attiva una chinasi, che è la chinasi indicata PI3K che converte un fosfolipide di membrana a
fosfatidilinositolo trifosfato. Serve a reclutare altre chinasi, che poi portano alla formazione di queste
vescicole e alla loro traslocazione e poi anche alla utilizzazione del glucosio, vero e proprio.

Questo è il cuore del diabete, perché è l’insulina che a livello dei tessuti, mobilizzando, attivando
questo carrier, permette l’ingresso di glucosio nelle cellule e mancando l’insulina manca l’ingresso di
glucosio nelle cellule.
C’è una grande distinzione tra il recettore del glucagone, che è accoppiato alle proteine G
eterotrimeriche e quello dell’insulina, hanno due modi di comunicare, trasdurre il segnale molto
diversi.
La conversione di glucosio a trigliceridi avviene tramite produzione di acetil-CoA
INSULINE DEFICIENCY (effetto metabolico della deficienza di insulina)
Per prima cosa DIMINUISCE L’UPTAKE e quindi l’INGRESSO DI GLUCOSIO, aumenta la proteolisi perché
il glucosio verrà sintetizzato dagli amminoacidi glucogenetici che però non sono sufficienti a garantire
la quantità di glucosio necessaria. Quindi vengono degradate le proteine per ricavare ulteriori
amminoacidi, aumenta la gluconeogenesi all’interno delle cellule e aumenta la degradazione di acidi
grassi per ricavare energia. Questo comporta l’IPERGLICEMIA, poiché uptake del glucosio viene
compromesso, il glucosio rimane nel sangue e il glucosio può diventare anche fino a 10 mM,
concentrazioni molto elevate, accompagnate da GLICOSURIA, cioè perdita di glucosio con le urine,
caratteristica tipica di diabete mellito(le urine sono dolci), perché anche il rene non è più in grado di
ricaptare il glucosio e si perde con le urine, caratteristica grave.
Anche iperlipidimia perché degradando continuamente lipidi c’è acidosi metabolica, corpi chetonici e
chetonuria cioè perdita anche attraverso le urine di corpi chetonici.
Glicosuria e chetonuria caratteristiche tipiche del diabete.
Ora ci sono diversi tipi di diabete mellito:
Diabete di tipo 1 (insulino dipendente): mancanza di produzione di insulina per diversi motivi:
▪ Interruzione nella produzione di insulina;
▪ Distruzione delle cellule beta, che possono essere non funzionali o ci sono degli autoanticorpi
contro le isolette di Langerans del pancreas o anche contro l’insulina;
▪ Malattie autoimmuni;
▪ Anticorpi contro qualcosa che non viene riconosciuto come self e questo determina una
incapacità di avere l’insulina perché la sottraggono; per esempio autoanticorpi contro la
DECARBOSSILASI DELL’ACIDO GLUTAMMICO, enzima che decarbossila l’acido glutammico in
tutti i tessuti, è un enzima nel pancreas, che determinano anche una carenza di produzione di
insulina o antianticorpi delle tirosine fosfatasi.
È il diabete GIOVANILE, perché la comparsa di questa forma diabetica avviene in età molto giovane ed
è tipico di una patologia autoimmune molte volte. Dal 5 al 10%, il diabete di tipo 1 o insulino privo, è
una percentuale molto più bassa, i rischi sono rischi genetici, malattie autoimmuni.
Diabete di tipo 2 (insulino non dipendente): resistenza all’insulina. L’individuo la produce, ma un
difetto che può essere di diversa natura, rende il soggetto resistente. Il recettore perde la sua
sensibilità all’insulina quindi non si lega o non si lega bene, e per questo il glucosio non può entrare
nelle cellule pur essendo presente l’insulina.
Il 90/95% dei casi, hanno questo tipo di diabete perché è indotto da diversi fattori legati alla dieta
(obesità), all’inattività fisica, comportamento dell’uomo.
Compare in età adulta e non è, di conseguenza, genetica ma di un particolare comportamento. Inizia
come resistenza all’insulina e le cellule non la utilizzano in modo appropriato. La necessità è quindi di
aumentare sempre di più la produzione di insulina e questo comporta un effetto in cui il pancreas
perde la propria abilità di produrre insulina, perché va incontro ad un iperstimolazione per un certo
numero di anni.
Per il diabete di tipo 2, oltre alla dieta ci sono dei farmaci, antidiabetici che si possono somministrare
per via orale di natura sintetica, fino a che il pancreas nel tempo non dovesse smettere di produrre
insulina, allora a quel punto la terapia diventa l’insulina.
Per il diabete di tipo 1 l’unica terapia è l’insulina.

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