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FRIEDRICH NIETZSCHE

(1844-1900)
 
Umanismo/umanesimo
È dalla seconda metà dell'800 che ci si chiede a cosa servano gli studi umanistici, in particolare la filosofia…
Ciò che distingue una mente umana da una macchina è il bisogno di senso.
Nietzsche è un filosofo che si è posto tutta la vita questa domanda sul senso della vita. Nietzsche esordisce
nella sua carriera come filologo, non come filosofo, studia sotto Ritsche (importante filologo dell'epoca).
Nella sua prima opera "La nascita della tragedia dallo spirito della musica" (1872) Nietzsche dice che
accanto all'impulso apollineo esiste quello dionisiaco.
Il concetto di umanismo attraversa i secoli e giunge problematicamente ai giorni di Nietzsche. (Alle spalle di
Nietzsche c'è la lettura de "Il mondo come volontà e rappresentazione" di Schopenhauer).
(Anche per Heidegger il problema sarà quello di comprendere l'origine della verità.)
 
"La nascita della tragedia dallo spirito della musica", 1872
Nietzsche mette in discussione l'immagine canonizzata della classicità, l'idea che la civiltà occidentale
detenesse la verità su cosa significhi essere umano. La storia è effettivamente un susseguirsi di dibattiti tra
ciò che contraddistingue il classico e il moderno:
 Schiller con il saggio sulla poesia ingenua e la poesia sentimentale voleva dirci che antico e moderno
non sono soltanto due epoche storiche, ma sono due atteggiamenti diversi dell'uomo
 Hegel propose i concetti del divenire storico, la questione della morte dell'arte, il bisogno dell'arte
di entrare in un rapporto dinamico con il concetto, il bisogno di superare l'arte classica e il concetto
del superamento dell'arte nella filosofia; il filosofo ribadisce una necessaria distanza rispetto al
passato, il passato non è "inutile", ma è relativizzato rispetto al suo tempo.
 Kant veniva concepito come il filosofo della scissione (egli stesso partiva da Cartesio e la sua
distinzione tra res cogitans e res extensia), il moderno si trova a fare i conti con le difficoltà di
questa divisione.
"Analizzare" significa sciogliere, fare a pezzettini il reale, ma questa azione ha come contrapposizione
l'incapacità di ricomporre poi il "puzzle" -> la realtà manca di unione, di senso.
Elegia "Pane e vino”: Viviamo nell'epoca in cui gli dei sono sfuggiti, compito dell'uomo è attendere un
ritorno del divino… idealizzazione della classicità. Il classico è tutto ciò che noi non siamo più, simbolo
dell'unità che viene superata dalla frattura presente. Winkelmann è considerato il padre del
neoclassicismo, ma egli stesso è molto consapevole della problematicità della scissione del presente; si
pone la questione di cosa voglia dire "imitare", la capacità di "fare come" i greci, ovvero essere
culturalmente all'altezza della propria epoca, come i greci lo erano della loro (rispondere al richiamo della
propria epoca).
Hegel e Nietzsche sono stati capaci di ricostituire una visione unitaria della realtà che comprende e
attraversa la modernità, la modernità è il problema, ma la risposta ai problemi moderni va data nella
modernità (non dobbiamo imitare la classicità).
 
Qual era il problema del sapere moderno?
Lo storicismo nato all'interno del positivismo. Nietzsche porta la frattura dentro la classicità (tensione tra
apollineo e dionisiaco): se il moderno può trarre qualche giovamento dal confronto con l'antico è proprio
perché l'antichità stessa si rapportava con una frattura. Nietzsche ci spiega come una volta si stava bene
nella misura in cui una grande sofferenza sapeva controbilanciarsi con delle armonie.
La classicità restituisce la frattura del moderno, ma è qualcosa che si può ricomporre: solo uno sguardo che
attraversa le divisioni riesce a cogliere la classicità come una dimensione in cui la frattura è diventata parte
costitutiva di qualcosa. Non si vuole risolvere la frattura, ma si cerca di attraversarla, di mettere in relazione
la vita e le forme. Quello che ci sembra organico e compatto nella classicità è prodotto di una frattura, di

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una sofferenza. Per Nietzsche il mondo non è stabile, ma in continuo divenire. Cade il tema dell'intuizione
(Schopenhauer), l'uomo è una specie di poeta che costruisce il mondo, produce soltanto finzione e inganni,
non riesce ad arrivare al cuore della realtà.
L'equilibrio tra apollineo e dionisiaco si sbilancia, l'apollineo sembra gradualmente avere la meglio sul suo
opposto (secondo Nietzsche con Euripide la tragedia muore per suicidio… sulla scena accadono episodi
simili a quelli che accadono nella vita quotidiana) in nome di una purificazione morale (catarsi). La vera
tragedia è quella di Eschilo e Sofocle, la quale radicava il proprio significato nel mito, gli spettatori non
andavano a teatro per sapere come una vicenda si svolgesse e terminasse, ma lo facevano come una sorta
di rito.
Secondo Nietzsche i filologi sono i grandi nemici della grecità perché ne custodiscono il cadavere.
Nietzsche parla di "considerazioni inattuali", "non tempestive", egli infatti propone concetti che sembrano
inopportuni rispetto a un mondo che vede nella conservazione del bene culturale qualcosa di indiscutibile.
Nietzsche esordisce con una citazione di Goethe: "detesto tutto ciò che mi istruisce soltanto, senza
crescere o vivificare immediatamente la mia attività". Vuole sottolineare la mancanza di valore della storia
e prende questa citazione come criterio. Nietzsche mette in discussione il concetto di "Historie", intesa
come la descrizione degli eventi storici, la storiografia (diverso da "Geschichte", intesa come la storia vera e
propria), qualcosa che avviene sempre dopo l'avvenimento (trionfo del filologo, dell'intellettuale
alessandrino), lo storico si distacca dagli eventi storici e per oggettivarli si distacca dalla vita stessa: questo
atto di presa di distanza è pericoloso per Nietzsche. Nietzsche vuole ricordare alla storiografia che il
problema ultimo rimane la vita, ma la soluzione non è l'irrazionalismo, bensì una storiografia capace di farsi
carico dei problemi della società.
La storia, secondo il filosofo, si trasforma in un continuo annientamento della vita. Idea che la storiografia,
la storia intesa come patrimonio culturale, abbia ucciso la storia vera e propria. La "colpa" di tutto ciò viene
attribuita all'insegnamento delle discipline storiche e umanistiche, al positivismo di questo periodo.
La nascita della tragedia ha mostrato l'illusione di poter fermare la vita nella forma e per questo ha
annullato la vera natura tragica dell'umanità. Dalla nascita della tragedia in avanti viene meno il concetto di
intuizione, essa non è più la chiave che permette di penetrare i segreti della realtà. Questo venir meno
dell'intuizione comporterà l'idea che tutto si svolga in modo radicale, la dimensione dell'essere stabile e
permanente è volatilizzata, le cose non esistono, sono solo nostre costruzioni. Il rischio del sapere
positivistico è quello di rendere il passato un cadavere, per un positivista non dobbiamo fare niente col
passato (Nietzsche, invece, trova la domanda assurda in principio).
 
P.54 (Edizione Adelphi)
"Si giunge al punto da supporre che colui a cui non importa nulla di un momento del passato, sia destinato
a rappresentarlo."
Con questa amara affermazione, Nietzsche vuole dirci che siamo arrivati al punto in cui può parlare del
passato solo colui a cui di ciò non importa nulla: tale è il rapporto dei filologi coi greci, questo vien detto
oggettività (l'oggettività diventa assenza di interesse), potrà essere esperto di qualcosa colui che non ha
nessun interesse in quella cosa. Questo "non interesse" implica l'imparzialità, il non essere accecati
dall'interesse personale, ma Nietzsche individua l'impossibilità di rimuovere la parzialità nella conoscenza.
 
 Secondo Nietzsche quale sarebbe, quindi, il modo giusto per trattare e apprezzare un'opera d'arte?
Trattarla non come un'opera d'arte: nel momento in cui stabiliamo che un oggetto è un'opera d'arte, lo
stiamo confinando in qualcosa, togliendogli il suo valore veritiero (trasformare un evento culturale in un
oggetto culturale uccide il suo rapporto con la vita). La cultura generale mette distanza, l'opera d'arte
diventa oggetto privilegiato dell'esterno, oggetto di una trasformazione di quello che è stato un elemento
vivente in un'oggetto culturale.
 
 Nietzsche critica la natura stessa della filologia oppure è una critica che si muove verso l'approccio
tenuto dai suoi contemporanei verso lo studio dei testi?

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"Ai giorni nostri si ama tanto parlare dei greci, ma se poi ne arriva uno alla porta nessuno si fa trovare"
(Schlegel); Nietzsche riprende questa frase per dire che noi distilliamo ciò che una volta distillato non
possiamo far altro che "esporre", ne conserviamo un simulacro, qualcosa che non può più essere, ma ha
perduto la vita, diventa un oggetto al quale noi attribuiamo un altro valore. Che senso ha la relazione con
quelle che noi siamo soliti chiamare discipline umanistiche? Domanda da porsi con coraggio, ma Nietzsche
direbbe che chi si trova spiazzato davanti a questa domanda è ingenuo, egli vuole che la nostra cultura esca
da uno stato infantile. Trasformare un rito religioso in un'opera d'arte è la cosa più irrispettosa per
qualcuno in cui in quella fede crede.
 
 Ma non è sempre la filologia la scienza che ci permette di leggere al meglio i testi antichi e poi,
quindi, di conoscerne i contenuti?
Si, ma questa messa a distanza non è l'unica maniera per approcciarsi al passato (differenza tra esattezza e
verità). La filologia non è niente se non si accompagna all'estetica e alla filosofia.
 
 Dunque, per Nietzsche tutta la filologia è filologismo?
Rischia di diventarlo se non dimentica che è un interesse contemporaneo, se si pretende di raggiungere
una condizione disinteressata si nega, invece, la cognizione che rende impossibile al passato trasmetterci
qualcosa. Il filologismo avviene quando riproduciamo qualcosa senza coglierne effettivamente il significato.
 
La cultura è qualcosa di vivo.
 
Ci troviamo di fronte a due estremi: da una parte l'idea della passione verso uno studio per le discipline
umanistiche che però sono esterne rispetto a noi, dall'altra l'attualità di ciò che studiamo, che continua
comunque a dirci qualcosa sul presente. Dialogo tra noi e l'oggetto che stiamo studiando, è impossibile far
coincidere il centro di questi due cerchi, dobbiamo sempre muoverci in una dimensione di prossimità e
lontananza.
 
Nietzsche non dice che la filologia è inutile o superflua, non sta proponendo un irrazionalismo
metodologico, sta bensì dicendo che essa non è sufficiente da sola.
 
"Certo, noi abbiamo bisogno di storia, ma ne abbiamo bisogno in modo diverso di come ne ha bisogno
l'ozioso raffinato nel giardino del sapere, sebbene costui guardi alla nostra domanda con atteggiamento di
superiorità." La considerazione nobile della nozione di "ozio" è andata persa. Il trionfo dell'apollineo sul
dionisiaco aveva contrassegnato il trionfo della contemplazione, dell'ozio criticato da Nietzsche.
 
 Nell'ottica di Nietzsche, allora, come possiamo studiare storia e cultura in generale senza perderne
la vita cioè senza scadere nella contemplazione?
Dobbiamo finalizzare quella conoscenza alla costruzione di una nuova cultura. La storiografia positivistica si
calava completamente nel primato del passato, dimenticando il presente e il senso del futuro, questo è ciò
che Nietzsche considerava sbagliato: dobbiamo sempre ricordarci che è l'interesse contemporaneo che
spinge a interrogare il passato. Questa questione del tempo si trova all'inizio del primo capitolo della
Seconda Considerazione Inattuale: la storiografia vera, attuale, è quella che mi consente di prendere
coscienza di qualcosa in cui io mi trovo già, prendere coscienza del mio essere profondo, di tematizzare il
mio essere, che va a esplicitare la nostra appartenenza al passato (la cultura è ciò che ci permette di
prendere coscienza di noi stessi attraverso il passato).
 
 In che senso noi siamo determinati dalla storia? In che misura lo siamo?
"Con le nostre virtù noi coltiviamo anche i nostri difetti"…
Il rimedio rispetto a questo eccesso di storiografia non è buttare via tutto (se lo facessimo saremmo
semplicemente animali) … il tentativo di rispondere a questa domanda consiste in un rapporto con la

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grecità: si ha bisogno del passato, di interrogarlo, ma in maniera differente, da esso dobbiamo imparare a
osservare il presente con occhi diversi. L'intellettuale deve diventare inattuale. Nietzsche vuole assumere
un atteggiamento autenticamente filologico, lui scrive un testo del genere perché è un filologo, sa pensare
in modo inattuale. La filologia ci dice cose molto interessanti per il nostro presente perché ci insegna a
relazionarci ad esso attraverso la dimensione di rapporto dialettico, in cui la stessa posizione del presente
viene ridescritta sulla base della problematica relazione con il passato. Nietzsche si mostra così un grande
classicista che ragiona, però, con paradigmi molto più problematici.
Viene capovolto il rapporto di dipendenza che vige nella cultura dominante tra storia e storiografia, la
storiografia viene ricondotta al servizio della storia: ciò che per la cultura positivistica era il vanto del
proprio tempo diventa il grande problema della cultura contemporanea. Il presente di Nietzsche ha il
problema che la storia è ridotta a creazione di una cultura astratta, quindi produciamo distanze dai nostri
radicamenti, produciamo una cultura alienata che decentra il proprio interesse in qualcosa che non la
riguarda.
 
Lo storicista nega ogni idealizzazione del passato, guarda tutto con occhi disincantati e livella tutto per
poterlo conoscere, idealizzando però se stesso, il metodo, la capacità di oggettivare il passato e usarlo
come tale. Ma una cultura può farsi bastare questa conoscenza del passato solo tramite gli eventi
accaduti? No, ciò non è sufficiente se ci dimentichiamo presente e futuro.
 
 
PRIMO CAPITOLO
Nietzsche non idealizza la condizione dell'animale per il fatto che non è consapevole della storicità e del
divenire, ma egli idealizza il fatto che "saltelli" da un istante all'altro senza trattenere nulla del passato e
senza prospettarsi un futuro. Diversamente l'uomo può trattenere gli istanti passati, non lasciarli andare
definitivamente (rapporto tra la felicità dell'animale e l'infelicità dell'uomo, non si aspira a una felicità
frutto di puro vuoto).
NB: quante volte si ripetono le parole "volere" e "volontà" (richiamo a Schopenhauer).
La memoria è la possibilità di conservare delle forme di eventi (creiamo una sorta di spazio in cui le cose
vengono conservate nella loro forma). La conservazione non dipende da un atto della coscienza, noi
tratteniamo il passato perché siamo vivi, il passato è con noi, fa parte della nostra vita, per questo la
storiografia ci permette di riappropriarci di noi stessi… noi siamo il nostro passato prima di saperlo. Non
possiamo imparare a dimenticare. L'animale coincide interamente col presente, non è nulla di più e nulla di
meno, l'uomo, invece, resiste sotto il grande peso del passato.
Il linguaggio viene considerato come lo strumento che costruisce un mondo accanto al mondo e quindi ci
allontana dalla realtà. Non esiste una differenza ontologica tra vero e falso, esiste solamente un falso che
trionfa su un altro falso.
L'uomo deve essere consapevole della sua condizione di privazione, imperfetta, ma, nonostante ciò, non
può rimpiangere ciò che non può essere.
Si può creare la possibilità di una nuova cultura che non sia relativista. Questa convinzione non si raggiunge
perché otteniamo l'oblio dell'animale (errore del cinico).
Lo storicista è condannato a ricordare tutto senza misura, finendo per non credere più al suo stesso essere.
Nella vita di ogni essere umano non ci vuole soltanto luce, ma anche oscurità. Noi possiamo porci il
problema dell'oblio solo perché siamo memoria. La storiografia è il racconto consapevole che tematizza ciò
che noi siamo (-> coglie ciò che noi siamo come qualcosa di disinteressato).
Ogni vivente può diventare sano, forte e fecondo solamente nel divenire.
Lo storicismo considera finalmente adeguatamente il passato e pretende di ricostruirlo come è stato, in
questo modo relativizza se stesso: in questo modo la vita viene travolta, sente continuamente il bisogno di
un orizzonte non storico; è importante non dimenticare se stessi in questa opera di messa a tema del
passato. C'è bisogno di una forza plastica, che è ciò che manca allo storicismo. Il punto è capire come
l'elemento metodologico diventi l'altra faccia dell'oblio del sé (le scienze positivistiche implicano questa

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dimenticanza di se stessi, necessitano un approccio oggettivo, privo di interessi personali, ma da qui ne
deriva il limite autodistruttivo).
 
P.8
Nietzsche scrive: "un uomo che volesse sentire sempre e solo storicamente sarebbe simile a colui che vuole
astenersi dal sonno". La ragione che illumina la realtà è una ragione sempre desta, Nietzsche ce ne mostra
l'altro lato "nessuno può vegliare bene, se non ha dormito bene", solo attraverso un'immersione nella vita
si può restituire senso a ciò che la propria attività razionale produce.
 
P.14-15
Nietzsche cita Leopardi: al cospetto di questa realtà che sembra travolgerci, qual è l'atteggiamento
possibile dell'essere umano?
Un atteggiamento possibile è la considerazione della vanità del tutto (pessimismo della debolezza,
Nietzsche aveva studiato Schopenhauer e ne era stato fortemente influenzato), che comporta il guardare
con orrore il divenire. Questa è una risposta possibile, ma non è la risposta di Nietzsche: il filosofo propone
come atteggiamento possibile il pessimismo della forza, ovvero la capacità di tenere lo sguardo fisso sul
tragico che caratterizza l'esistenza. Questo atteggiamento si ritrova nella forza classica, la capacità di
restituire a questa negazione una forma (la capacità di dire sì alla vita). A partire dal 1878 (con la
pubblicazione di "Umano troppo umano") comprenderà che quella di Schopenhauer sembrava essere una
vera forma di pessimismo, ma era in realtà una forma di debolezza, una malattia della volontà: davanti alla
sofferenza della vita Schopenhauer propone un autosuperamento della volontà di vivere attraverso le
forme dell'arte, della morale e dell'ascesi religiosa. In queste forme Nietzsche vede una forma nichilistica di
negazione della vita, egli propone l'immersione nella vita, non la sua negazione: la redenzione, il riscatto
devono avvenire nella vita (nega ogni forma di trascendenza). Secondo Nietzsche, Schopenhauer non è
ancora capace di prendere a carico la tragicità della vita; la volontà deve essere la vera protagonista in
questa corsa all'affermarsi della vita.
Da un certo punto di vista il sapere storico è quell'eccesso da cui dobbiamo purificarci, dall'altro punto di
vista, la possibilità di passare attraverso questa purificazione non si configura come un abbandono del
sapere storico. Il sapere storico è il modo di essere peculiare della cultura occidentale, ciò che è importante
è trovare il modo corretto di starci dentro.
Il senso storico dà un'idea di un'unità col passato, il presente non poggia più soltanto sul passato, c'è
un'unità tra presente, passato e futuro. Il presente, attraverso il senso storico, diviene il soggetto
fondamentale.
Noi siamo storici (da ciò l'esistenza dell'essere umano si distingue dall'esistenza del gregge), per questo
non possiamo abbandonare l'orizzonte dello storicismo.
 
P.16
"La storia, in quanto sia al servizio della vita, è al servizio di una forza non storica."
La storia non è il fine, ma il mezzo, per questo non potrà mai diventare qualcosa di matematico: la storicità
dell'essere umano deve avere come risultato la produzione di nuova storicità.
 
Nietzsche delinea le 3 modalità con le quali possiamo immaginare di concepire un approccio alla storia che
non sia alienato: la vita ha bisogno della storia nel modo e nella misura giusta.
 La vita è attiva e ha aspirazioni (ha un presente); storia monumentale; "la storia occorre
innanzitutto a chi combatte una grande battaglia", considerazione del passato che lo consolida, lo
fortifica. Non dobbiamo riapplicare al presente i contenuti della storia, ma possiamo imparare a
fare come la storia (monumentalità della storia), la grandezza esistita una volta può esistere ancora.
La storia viene usata come mezzo contro la rassegnazione. Si tratta di eternizzare e di superare una
visione relativistica della storia, è ancora possibile FARE COME è già stato fatto. L'uomo deve saper
essere "autenticamente storico". L'abitudine è la seconda natura, l'essere umano è natura perché è

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vita, ma la sua vita non si può ridurre a questa naturalità: proprio l'essere insieme naturale e storico
fa si che l'uomo sia anche cultura, ma la cultura non è altro che il depositarsi nell'azione umana di
una seconda natura (abitudine, qualcosa che si possiede in maniera talmente radicata ormai nel
tempo e nelle tue abitudini che costituisce quasi una seconda natura). Esiste una tradizione
plurisecolare nella quale l'uomo ha cercato di autodefinirsi: la relazione fra natura e cultura è
sempre complicata. Questo atteggiamento monumentale non va assolutizzato, ogni posizione vive
nel rapporto con le altre posizione, un atteggiamento non prevale sull'altro (si rischierebbe di
dimenticare alcune parti del passato e fare emergere soltanto alcuni grandi fatti). Nei grandi eventi
del passato si trova qualcosa che rende possibile il nostro tendere alla meta.
 La vita preserva e venera (ha un rapporto con il passato); storia antiquaria;
(P.24)
La conservazione delle condizioni per le quali l'uomo è nato è orientata al servizio della vita, fare
storia antiquaria significa avere la capacità ermeneutica che è l'immedesimazione nel sapere storico.
Le scienze dello spirito dicono la propria verità soltanto nella misura in cui lo scienziato è capace di
immergersi, di immedesimarsi nell'oggetto del suo studio. È necessario essere capaci di rivivere ciò
che è oggetto del nostro studio. Il rapporto che si ha con il proprio passato è un sentire vitale, è la
capacità di ritrovare se stessi in questo passato in cui siamo radicati.
Si coglie la battaglia contro il positivismo che ha cercato di aumentare la scienziaticità della storia,
esportare le leggi naturali nella storia, il positivismo pensava di poter conoscere la storia attraverso il
monocausalismo (non possiamo applicare alle scienze dello spirito un metodo delle scienze della
natura). Possiamo studiare il passato, ma non potremmo mai riprodurlo in laboratorio. Le scienze
dello spirito sono idiografiche perché la loro irregolarità è unica e irripetibile.
Allora lo storico è uno scienziato privo di metodo? No, il prodotto finale del suo studio non segue una
pretesa universalistica, ma anzi annuncia l'assoluta unicità di un evento, di un testo, di un pensiero.
 La vita soffre e ha bisogno di liberazione (vive l'attesa per il futuro); storia critica; Nietzsche critica
l'idea dell'agire storico secondo cui il divenire faccia giustizia, che la storia sia in qualche modo
capace di autoredimersi, secondo il filosofo a un certo punto diventa necessaria una gigantesca
liberazione dal passato stesso.
Questi 3 punti costituiscono la premessa a un rapporto più autentico della natura temporale dell'uomo
stesso. Prevalgono la cifra del presente, del futuro e quella del "passato vivente", questi modi di
considerare il passato ne enfatizzano la vitalità. Le tre forme della storiografia devono stare in rapporto tra
loro e convivere pacificamente.
 
La distinzione tra natura 1' (natura) e natura 2' (cultura) ricompare nel discorso di Nietzsche, il quale
afferma che la natura 2' sia più debole della 1' --> bisogna rendere questa natura 2' tanto forte quanto la
1': esiste una possibilità di fare storia in maniera sensata, facendosi individui all'altezza del proprio tempo.
La relazione tra natura e cultura va interpretata come relazione a quell'immediatezza che è "andata
perduta", ma forse questa immediatezza prima non è mai esistita, ciò che possiamo fare è vivere dentro
questa perdita assoluta ricostruendo le condizioni di ciò che abbiamo perduto (ma che è qualcosa di non
naturale poiché non è mai esistita). La natura sembrerebbe esserci da sempre, ma essa si rivela già natura
culturale (natura 2'). -> dobbiamo restituire a questa cultura quel grado di naturalità che in realtà non ha
mai avuto.
 
"Ecce homo", 1888, uscito postumo, Nietzsche scrive un paragrafo destinato alla nascita della tragedia e
prende le distanze dal proprio scritto giovanile che "puzzava terribilmente di hegelismo".
 
Il passato ci riguarda, non è qualcosa di estraneo.
 
Secondo Nietzsche la vita può essere vissuta solo come fenomeno estetico, l'arte sarà quella del vivente
che falsifica la vita (condizione della metafisica). La falsificazione della realtà è al di là del vero e del falso,

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entra anche in un discorso di sopravvivenza. La metafisica è qualcosa di difficile da combattere perché vive
nella nostra vita, nel nostro mondo, può essere combattuta solo tramite un nuovo modo di guardare la
realtà.
 
QUARTO CAPITOLO
Nietzsche getta uno sguardo al suo tempo chiedendosi dove si è persa la naturalezza del rapporto tra vita e
storia: il nostro tempo ha perso l'immediata coincidenza di vita e storia…
Ma allora è esistito un tempo in cui c'era questa coincidenza tra vita e storia? No, si tratta di una
ricostruzione illusoria di un passato ideale, il presente definisce se stesso come ciò che non c'è più. La
capacità di trasformare ogni ingenua credenza in un dato naturale altro non è che l'apprendimento
faticoso di una cultura che deve affondare le proprie radici.
È successo qualcosa di imponderabile? O questa perdita di coincidenza tra vita e storia è colpa nostra, del
nostro sguardo? Tutte e due le cose, il nostro presente ha la capacità di riconoscersi all'origine di quel
fraintendimento.
Qual è l'evento che catalizza il cambiamento epocale? Il trasformarsi della storia in storiografia, sapere
depositato, il grande pericolo è l'irrompere del positivismo con il suo tentativo di innalzare la storia a
scienza (vuole applicare allo studio del passato dei criteri propri della scienza). Questa assolutizzazione va a
discapito del vivente.
L'ideale per Nietzsche è l'unione dell'interno con l'esterno, di natura con cultura; l'uomo moderno invece
tende a scindere le due cose. Il suo rapporto con la tradizione dalla quale proviene è molto ambivalente.
Il sapere, che viene preso in eccesso e senza fame, oggi non opera più come motivo che trasformi e spinga
verso l'esterno, ma rimane nascosto in un certo caotico mondo interno (l'interiorità), ma per ogni vivente
questo è un contrasto innaturale. Menzogna della metafisica di Platone. La nostra cultura moderna non è
niente di vivo proprio per questo, non può essere concepita senza questo contrasto, è sempre la
mediazione di una mediazione, non è una cultura, ma una specie di sapere intorno alla cultura. Per
Nietzsche noi moderni siamo i barbari perché abbiamo perso l'armonia, dobbiamo fare come i greci:
ripristinare l'unità tra esterno e interno facendo qualcosa di moderno COME i greci.
Perché temiamo il barbaro? Mette in dubbio l'enciclopedia vivente che siamo. Il barbaro è per eccellenza
attuale perché in lui predomina la scissione tra l'interno e l'esterno a causa dell'eccesso di storia come
scienza.
L'aggettivo positivista garantisce l'oggettività della scienza? La neutralità finisce quando inizia qualcuno che
ti finanzia quel tipo di ricerca…
In quale mezzo resta ancora la natura a predominare ciò che si stipa abbondantemente? Nasce l'abitudine
a non prendere sul serio le cose reali, ne deriva una personalità debole. Uno dei modelli concettuali alla
base di tutto il discorso di Nietzsche è lo stile, il timbro che rende inconfondibile la prosa di un autore… ma
allora qual è il nostro stile? A parte ricordare tutto ciò che è stato. Il popolo deve essere qualcosa di
vivamente unico, lui stesso, non bello, e non dividersi tra contenuto e forma: dobbiamo collaborare alla
distruzione di una culturalità moderna a favore di una vera cultura (non della natura). Vuole parlare
soprattutto dei tedeschi del presente, la forma viene considerata come una convenzione, qualcosa di finto,
in questa paura i tedeschi abbandonarono la scuola dei francesi: volevano avvicinarsi alla natura, ma così
facendo finirono per imitare qualcun altro in modo cattivo (mentre si credeva di fuggire verso la
naturalezza, contro la cultura e il modello di vita francese, si finiva solo per lasciarsi andare). Il contenuto a
cui non corrisponde una forma e non riesce a sterilizzarsi ed è questo che rende l'interno incapace di
configurarsi verso l'esterno.
Dobbiamo ripristinare un'unità sul modello dei greci, ricercando un'armonia, un'unità tra interno ed
esterno.
 
QUINTO CAPITOLO
Da dove nasce il positivismo? Qual è il lato umano che si esprime?

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C'è, difatti, una virtù in questa ricostruzione scientifica del passato, è l'eccesso che la rende sbagliata. Si
tratta di rendere giustizia al passato, ma l'eccesso di giustizia è una minaccia per la vita.
 
P.42
Qual è il destino della filosofia in tutto ciò?
L'enciclopedismo si trasforma in "menzogna ambulante", l'autentica filosofia in una situazione del genere
non può vivere bene. La forzata uniformità esterna sembra mettere in luce la virtù del filosofo antico, il
quale non aveva paura di rompere le convenzioni sociali. Al giorno d'oggi, a causa della neutralizzazione
scientifica, la filosofia perde il suo valore originale. Per il mondo antico essere filosofo significava essere
portatore di una serie di valori per la propria esistenza, ora il filosofo è diventato un maestro prezzolato (?),
la filosofia ha perso la sua natura di amore per la sapienza ed è diventata insegnamento fornito attraverso
la mediazione di un'istituzione.
Per Nietzsche, noi, a differenza dei greci, non abbiamo uno stile, ovvero un'unità di forma e contenuto.
Se io ho una mia personalità mi posso confrontare con le personalità del passato e le posso commisurare.
"La cultura storica dei nostri critici non prevede che si giunga a un'efficacia in senso proprio…"
 
L'individuo che appartiene al gregge non merita propriamente nemmeno il nome di "individuo", non ha un
corretto rapporto con le tre estasi temporali. L'individuo umano, poiché è "er" (Kafka), si trova schiacciato
tra passato e futuro. L'essere umano ha la natura di essere immediatamente bisognosa di distaccarsi da se
per creare una nuova cultura.
Non abbiamo a che fare propriamente con una dialettica natura VS. cultura, ma con una dialettica natura 1'
VS. natura 2': qualsiasi possibilità di esprimere qualcosa come natura 1' necessita già la mediazione di una
natura 2', per questo motivo non è mai propriamente possibile parlare di natura 1'. Per questo motivo, per
autori come Schiller e Hegel, l'antico non esiste, in quanto esiste solo come rappresentazione di ciò che nel
moderno non esiste più.
La critica alla cultura, a un sapere che non è vita, non deriva da un rimpianto nostalgico di una coincidenza
non più possibile (non è un rimpianto di una vita animale che è da sempre sottratta alle possibilità
dell'uomo): il problema è come si vive il tempo, come è possibile ricostruire delle condizioni di una cultura
che non sia più separazione di interno ed esterno, una cultura che riesce a farsi vita, immediatezza, a farsi
natura 2' mediante cultura.
Dietro la filosofia classica tedesca c'è un rapporto ambiguo con Rousseau, pensatore di un difficile ritorno
alla natura (le sue confessioni sono "false", perché artificiali, non immediate, ricostruiscono semplicemente
qualcosa che manca, ma che in realtà non c'è mai stata).
"L'antichità come futuro"
 
P.54
Vediamo cosa pensava Nietzsche della filosofia del suo tempo: paradossalmente la mancanza di interesse,
l'estraneità rispetto alla cosa diventa un valore… i paladini dell'antico sono coloro a cui dell'antico non
importa nulla. A questa visione astratta Nietzsche poi contrappone questa affermazione: "Solo con la
massima forza del presente voi potete commentare il passato"… soltanto nella misura in cui avrete una
sorta di pregiudizio di ciò che è più grande e più nobile potrete avere una conoscenza selettiva del passato.
Non esiste un metodico "foglio di istruzione" per leggere correttamente il passato.
Si parla di annichilimento del passato nel momento in cui si abbassa il passato al nostro livello, invece di
elevare noi stessi alla grandiosità degli esempi che il passato conserva.
Non esistono un prima e un dopo stabiliti una volta e per sempre, esiste solo una dimensione circolare che
non può fare altro che relativizzarsi alla propria storicità.
In molte pagine Nietzsche si confronta con Hegel e von Hartmann (primo grande teorico della filosofia
dell'inconscio, discepolo di Schopenhauer), due grandi pensatori dell'Ottocento: i due costituiscono modelli
sbagliati nel modo in cui la nostra cultura ha pensato di potersi richiamare all'elemento storico che precede
la nostra esistenza (iperstoricismo hegeliano).

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 Per realizzare un rapporto vivo col passato è necessario assumere un approccio "personale" con
esso? (Se per "personale" si intende il contrario di "metodico")
Si, ma la parola "personale" va interpretata nella sua vera e propria etimologia: l'approccio è personale nel
modo in cui l'individuo è capace di costruire attivamente il suo carattere, non limitandosi ad assumere
passivamente il suo rapporto col passato. Nietzsche non vuole lasciare la metodologia coincidere con la
cattiva oggettività: il metodo d'indagine nietzschiano è personale, vivente, temporale, il filosofo insegna a
non dimenticare questa appartenenza inconscia. L'approccio personale consiste nel porre alla base del
proprio metodo d'indagine l'elemento personale, vivente. La nozione di metodo va intesa come le regole
astratto del presunto sapere scientifico, mentre è più giusto considerare il metodo come fondamento della
propria esperienza (allora persona e metodo non sono affatto opposte).
 
Non esiste la garanzia di un senso semplicemente data dall'attività: siamo abituati ad ereditare la sapienza
metodologica semplicemente perché c'è. Nietzsche propone il concetto di forza plastica come studio del
passato: non ci chiediamo perchè studiamo la storia.
 
Non possiamo pensare che questa scissione presente sia risolvibile: essa è parte del nostro modo di essere,
non siamo animali, questa unità ricostituita non può essere colta come un atto intuitivo. Non esiste
possibilità di intuire una dimensione che va sopra la scissione, noi siamo questo problema.
 
Nietzsche sta cercando di elaborare una cultura vivente, in precedenza pensava che attraverso l'intuizione
si potesse cogliere il divenire eterno e unico (in chiave negativa, è una ridescrizione del principio originario,
ma nei termini tragici del divenire eterno e unico, è una verità che ci fa male e tutta la cultura è una
copertura ideologica che serve per non farci vedere come stanno le cose). Per Nietzsche tutta la metafisica
sarà un veleno (porterà il filosofo a concepire il nichilismo, un'esistenza mancante di senso e scopo) e un
rimedio (ci consente di non sprofondare nell'angoscia di fronte alla mancanza di senso della realtà).
La scommessa di Nietzsche dal '78 in avanti consiste nello sfidare l'uomo a rinunciare a tutti quei modi di
autoingannarsi e riuscire in questo modo a vivere. Tutto il Nietzsche degli anni '80 denuncerà questa
attitudine: sfida l'uomo a vivere da filosofo a vivere in nome di una verità e non di una menzogna utile alla
vita, che rende inutile la cultura stessa.
Il Dio cristiano diviene simbolo di qualcosa che è andato in crisi… è mai esistito davvero un Dio? Domanda a
cui non è possibile dare una risposta… per Nietzsche non esiste più un alto e un basso, la nostra posizione è
la posizione di chi è in ballo, non possiamo sbarazzarci di questioni che ci costituiscono profondamente.
Anche la conclusione della storia dell'uomo folle ci spiega che la morte di Dio non implica il fatto che ci
siamo dimenticati la trascendenza divina (Nietzsche oltrepassa l'ipotesi dell'ateismo). Il momento della
morte di Dio indica il momento in cui l'uomo ha preso atto che ciò che reputava come vero era in realtà
solo qualcosa di comodo per lui al fine della sua sopravvivenza (le nostre vecchie speranze scompaiono).
È allora possibile pensare a un Dio che non abbia i connotati della cultura occidentale?... Si potrebbe
riprendere l'antica immagine di Dioniso.
 
[Hans Jonas, conferenza straordinaria "Il concetto di Dio dopo Auschwitz", come si può ancora pensare a
un Dio nei termini rassicuranti dell'ontologia tradizionale? La domanda è destinata a rimanere aperta,
dobbiamo rimanere fedeli all'dea Nietzschiana e non pensare di poter approdare per sempre in una
"spiaggia" rassicurante]
 
La filosofia vuole saper stare dentro le questioni, non vuole sbarazzarsene.
 
L'idea di vitalismo non coincide con un'idea di irrazionalismo metodologico.
 

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Nietzsche non assolutizza l'"aldiqua" rispetto all'aldilà, la figura dell'ateo assoluto è quella di coloro che al
mercato prendono in giro l'uomo folle (non hanno più il problema) … le Chiese sono le tombe e i sepolcri di
Dio perché i credenti non si sono mai posti un problema al riguardo.
 
P.68
La cultura storica è votata alla contraddizione, non esiste una risposta che non sia la capacità di stare
dentro alla contraddizione. Questa contraddizione deve essere riconosciuta storicamente, la storia deve
riconoscere il problema della storia (solo muovendoci con le nostre gambe dentro questa dimensione).
 
Aforismo 34: ogni uomo grande è dotato di una forza agente a ritroso, in virtù sua tutta la storia è rimessa
sulla bilancia e mille segreti del passato sgusciano fuori dai suoi nascondigli. Non è possibile determinare
tutto ciò che sarà un giorno storia, forse il passato continua a essere essenzialmente non ancora scoperto.
Il passato non è il luogo in cui ci sono gli eventi che sono accaduti e che non sono più: ogni presente può e
deve riscrivere e restituire ciò che è stato la propria natura di possibilità aperta (al di là della sua datità). Il
presente diventa luogo di questa apertura, di questa possibilità di far riemergere le naturali possibilità del
passato.
 
Aforismo 137: il senso storico del presente viene considerato come cura e malattia ed è l'inizio di qualcosa
di interamente nuovo e sconosciuto nella storia. Noi del presente cominciamo a creare la catena di un
sentimento molto possente in avvenire: nel senso storico c'è un significato che va al di là di… il senso
storico come malattia, come grandissimo difetto dell'epoca.
 
 
MARTIN HEIDEGGER
(1889-1976)
 
Heidegger sostiene che sia necessario riproporre il problema dell'essenza dell'essere.
Vorhandenheit
Heidegger definisce l'uomo come "dasein", qualcosa di irreale, l'uomo non esiste come le altre cose: le
altre cose stanno, sono, mentre l'uomo è una possibilità che trascende, oltrepassa costantemente il suo
orizzonte fattuale. L'uomo è un essere nel mondo, ma è anche un'apertura alle cose e un poter essere… la
sua natura sta nell'essere una possibilità, il suo compito è realizzare le possibilità che lo realizzano.
Si deve recuperare la visione dell'uomo rispetto alle altre cose.
Le ontologie precedenti hanno dimenticato che il "dasein" è qualcosa in più delle altre cose perché è
l'unico ente capace di porsi il problema dell'essere -> bisogna interrogare l'unica chiave d'accesso al
problema dell'essere, cioè l'uomo.
 
Nell''87 Heidegger pubblica "Essere tempo", opera incompiuta, incompiutezza determinata dal "venir
meno del linguaggio", il filosofo si rende conto che quest'impresa è destinata a fallire. Il linguaggio
tradizionale a nostra disposizione è completamente improntato da parole della storia e della metafisica
occidentale. Le parole della metafisica non hanno consentito di dire la svolta che era già interna alla
prospettiva di "Essere tempo". Il linguaggio della metafisica è immediatamente compromesso nel
momento in cui cerca di stabilire cos'è l'essere, perché l'essere non è una cosa. La metafisica diventa
infedele al proprio oggetto proprio perché lo trasforma in oggetto.
La strategia che Heidegger muove in "Essere tempo" ruota attorno alla nozione di "da sein" (espressione
usata per indicare l'esistenza "c'è", quasi come sinonimo del termine "existenz"). Questa nozione viene
tradotta da Pietro Chiodi con "esserci": indica e descrive un modo di essere che è la sua esistenza. Non
tutte le cose che sono, esistono, solo l'uomo esiste perché rappresenta una possibilità che il "da sein" può
realizzare (vivendo relativamente alla sua autenticità) o non realizzare (perdendo se stesso). Il modo di

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essere di "da sein" è fondamentale, capacità di essere un "Seinverstaendnis", comprensione dell'essere,
nelle sue 3 forme:
 Essere di forme differenti dal "da sein", dalle altre cose
 Dell'ente che noi siamo in quanto "da sein"
 All'essere della differenza ontologica.
Il "da sein" è possibilità che sta più in alto della realtà.
Dobbiamo studiare quell'ente che noi siamo: questa analisi dell'esserci fa sì che si spalanchi un'enorme
questione circa l'appartenenza o meno di Heidegger alla corrente dell'esistenzialismo. Heidegger non
concepisce se stesso probabilmente come un esistenzialista, se non nel caso in cui si pone la questione
ontologica dell'essere. Heidegger dal punto di vista della storia e dei suoi effetti viene percepito come un
esistenzialista (seguendo la tradizione che si riconosce in Kierkegaard e in Hegel); ma questo quadro non
verrebbe riconosciuto da Heidegger come corretta descrizione del proprio cammino intellettuale… ogni
pensiero è anche la storia dei suoi effetti. Per interrogarci su questo concetto dobbiamo considerare anche
tutti i pregiudizi e i filtri interpretativi a noi precedenti. -> Heidegger esistenzialista o no? (equivoco
fruttuoso da parte della veloce lettura di Sartre).
Presenza di Heidegger in Francia negli anni '30… Heidegger era diventato uno degli esponenti della
"generazione delle 3 H" (definizione usata da Vincent Descombes per descrivere la filosofia che ha pervaso
la Francia degli anni '30): i giovani di questo periodo volevano proporre alternative alla filosofia accademica
cartesiana / kantiana -> compaiono scritti giovanili di Hegel e Marx; alla fine degli anni '30 viene tradotto
"Essere tempo", ma la traduzione di "da sein" proposta è molto "orientante". La traduzione di "da sein"
sarà quella di "realité humaine", ma il "da sein" per Heidegger è COMPRENSIONE delle 3 forme dell'essere
precedentemente citate -> questa traduzione scinde l'uomo dalla sua natura più profonda, che è di essere
una comprensione dell'essere.
Alexandre Kojéve ha realizzato degli incontri sulla fenomenologia dello spirito e ne ha proposto una lettura
mediatica: lesse il pensiero hegeliano alla luce del pensiero di Heidegger. Il pensiero di Heidegger ha agito
nella Francia degli anni '30 e si condensa in un'opera di Sartre scritta nel '43 dove il filosofo cerca di dare
una sua interpretazione dell'ontologia assolutizzando la dimensione antropologica e sfruttando le
ambiguità di Heidegger. Si vede una ripresa di una posizione dualistica dell'essere ontologico: l'ontologia
viene strutturata in due ambiti fondamentali, quello dell'"in sé" (totale coincidenza dell'essere con se
stesso) e la dimensione del "per sé" (dimensione della negatività, l'uomo non è ciò che è, è una possibilità
di essere).
La ricezione di Hegel in Francia è molto diversa da quella che abbiamo qui in Italia.
Le ontologie in passato non avevano individuato l'unico ente capace di porsi il problema dell'essere, che è il
"da sein" (perché è comprensione dell'essere) -> per Heidegger l'essere è al di là di ogni essere, proprio
l'avere scavato nelle profondità delle strutture del "da sein" era forse l'origine del problema e non la
soluzione… alla fine l'essere che ne ricavo è un essere concepito su misura dell'essere che ho studiato.
Questo ragionamento non verrà mai esplicitato da Heidegger… ricomprensione originale di "Essere tempo"
da parte dello stesso autore. Qui sta l'ambiguità di Heidegger: l'uomo non vuole essere compreso come
qualcosa di ontologicamente speciale (prima comprensione di Heidegger in Francia… negli anni '60 poi
Heidegger verrà diversamente interpretato, verrà abbandonato l'orizzonte esistenziale di "Essere tempo")
… l'esistenzialismo rispetto alla posizione originale di Heidegger tronca il legame dell'uomo con l'essere,
con l'ontologia, mentre il fine di Heidegger è sempre stato quello di concepire l'uomo come il fondamento
di un'ontologia.
Dal punto di vista di Heidegger c'è una coerenza nell'impianto di "Essere tempo": ma non è un caso che il
testo si sia interrotto nel momento in cui è iniziata un'ontologia fondamentale.
Si tratta di porre in maniera più corretta la domanda: cos'è l'essere? Heidegger vuole riproporre questa
domanda in termini non metafisici, la modalità migliore per ricostruire questa domanda è quella di passare
attraverso un'analitica fondamentale (questa interrogazione ha senso solo se la collochiamo in un contesto
più lungo che comprende tutto il rapporto di Heidegger con la storia della metafisica). La fase analitico-

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esistenziale del pensiero di Heidegger può essere chiara solo se pensata nell'insieme dello sviluppo del suo
pensiero.
 
Heidegger fallisce nella proposta della possibilità di costruire un percorso continuo senza fratture che possa
passare dallo studio dell'essere che noi siamo, all'elaborazione del senso di essere in generale. Fallisce
perché a un certo punto si interrompe. Tutto questo non è stato pubblicato: per questo l'opera è stata letta
in un modo non del tutto conforme all'idea di Heidegger.
Heidegger ha fatto coincidere l'ontologia con la questione dell'uomo.
Nozione di libertà come costante situazione di rischio. Orizzonte di ateismo radicale: Sartre ripete che
l'uomo è condannato a essere Dio (tutto questo sulle macerie della morte di Dio); Sartre considera l'uomo
condannato a essere libero. Tutto è lecito se Dio non esiste, l'uomo è abbandonato perché non trova né in
sé, né fuori di sé un luogo in cui ancorarsi: questa libertà è un infinito sporgersi sul nulla.
 
 L'uomo non ha un’essenza per Sartre?
L'esistenza (verifica se un concetto soltanto possibile si realizza nella realtà) precede l'essenza
(ambito delle possibilità) … l'essenza del "da sein" è nella sua esistenza secondo Heidegger ->
l'esistenza disegna un modo di essere: un poter essere, una possibilità. Per Sartre dire che l'esistenza
precede l'essenza è un modo per dire che siamo liberi, la sua libertà è originaria, non si costruisce
all'interno di un'essenza. Questa condizione è per Sartre una condanna, un peso… è finito il periodo
dell'uomo creatura, l'uomo e Dio ora rivaleggiano apertamente (l'uomo per essere se stesso non può
che prendere il posto di Dio) -> fine di una tradizione, il fondamento, la dimensione dell'essere stabile
e permanente viene meno… assoluta mancanza di senso dell'uomo (è increato, insensato, …), vi si
coglie una negatività originaria. La realtà rimane estranea in senso ultimo ("Geworfenheit", idea
dell'essere gettato in un mondo), senso di una realtà estranea, indifferente.
 
Sartre ha una condizione abbastanza epica della libertà (non esalta l'essere inerme), in lui prevale una sorta
di attivismo quasi eroico, ma allo stesso tempo è consapevole della nascita di questa condizione che si basa
sull'essere solo dell'uomo.
L'uomo vive nella consapevolezza della gratuità, nell'assenza di fondamento, nel fatto che è condannato a
diventare lui stesso il fondamento (non c'è più una garanzia ontologica), siamo condannati a essere liberi e
riconoscere la mancanza di fondamento come possibilità di esercitare fino in fondo il compito di essere
Dio.
 
A differenza di Nietzsche (ha cercato di elaborare una via di uscita alla crisi dell'ontologia), in "Essere
tempo" questa strada non c'è, nonostante la presenza di una soggettività ingombrante del "da sein"…
Heidegger ha ripreso un'idea di soggetto finito, lo spazio vuoto dell'ontologia viene da lui occupato dal "da
sein"… ma nella seconda fase è riuscito a fondare un'ontologia negativa, una possibilità che coincide con la
mancanza (diversamente, Sartre antropologizza l'ontologia), Heidegger vuole differenziare l'essere
dall'ente (impianto differenziale)… il vuoto non è più solo la privazione ontologica (la dimensione del vuoto
diventa altro).
"Essere tempo" fallisce nell'elaborazione di un'ontologia esistenziale…
 
 
 
 

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JEAN- PAUL SARTRE
1905-1980
 
"L'esistenzialismo è un umanismo"
Nelle prime pagine Sartre difende le accuse che venivano mosse agli esistenzialisti (1945), "noi
esistenzialisti non siamo dei barbari"… venivano accusati di considerare l'uomo come isolato, di negare la
realtà… Sartre sostiene che questa rivalutazione dell'assenza del fondamento ci consenta di essere liberi.
 
Heidegger non si riconosce affatto nell'ateismo, che considera una forma di soggettivismo, lui e Sartre
hanno in comune solo l'idea che l'essenza precede l'esistenza. La presenza di un oggetto davanti a noi è
determinata -> la produzione precede l'esistenza. Le cose in "Essere tempo" sono strumenti dell'agire del
"da sein", il quale quando smette di usarli, li osserva e li descrive nella semplice presenza e in modo
teoretico (non è la forma originaria dell'oggetto; la sua forma originaria è quella pratica inziale). Sartre
critica questo concetto mettendo tutto dal lato della tradizione.
Dio crea l'uomo così come l'artigiano crea il tagliacarte -> l'uomo è esemplare di una natura umana… ogni
uomo è un esempio particolare di un concetto universale di uomo
Per Sartre l'uomo è sempre un'occasione mancata, non riesce mai a superare questa libertà che gli viene
data, ma coloro che sbagliano di più sono coloro che non hanno posto questa libertà al centro della scelta…
autenticità è essere se stessi (in senso filosofico, concettuale), quel singolo che siamo tenuti a essere,
poiché non c'è una natura umana.
 
Non c'è un vero e un falso, essere se stessi vuol dire assumere dei contenuti, Sartre chiede di prendere una
decisione radicale, assumere radicalmente la finitezza umana … non semplicemente decedere, ma vivere
per la morte, assumere radicalmente la libertà e innalzare l'uomo a fondamento. Assumere radicalmente
quel vuoto che è la libertà.
Il singolo sartriano deve contestare tutto ciò che precede la sua scelta, tutto ciò che limita la scelta e la sua
libertà, deve mettere in discussione tutto e considerare solo il suo essere singolo (contestazione di ogni
precedenza, di ogni idea di anteriorità). L'uomo, secondo la concezione esistenzialistica, all'inizio non è
niente perché si deve definire, deve diventare. L'uomo non è solo quale si concepisce, ma anche quale si
vuole… idea dello slancio verso l'esistere, come apertura, scelta, responsabilità, decisione, futuro. TEMI
ANTI ESSENZIALISTICI.
La dignità umana per Sartre sta nella scelta (Kant la poneva nella legge morale) … cosa implica ciò? Si
riferisce implicitamente a "Essere tempo" che non dà una forma all'essere, essendo un ente condannato a
coincidere con se stesso.
 
L'esistenza precede l'essenza, perciò l'uomo è responsabile di quello che è. Scegliere di essere questo
piuttosto che quello è affermare il valore della propria scelta… chi sceglie pensa di scegliere sempre bene
per tutti… creo una certa immagine dell'uomo che scelgo di essere (non scelgo sulla base di un'immagine
antecedente, io creo un'immagine attraverso la scelta) -> non c'è un presupposto della scelta, non ci sono
binari definiti entro i quali è tenuta la scelta
 
"siamo su un piano in cui ci sono solamente gli uomini" (frase che Heidegger prenderà per criticare Sartre)
 
L'impegno diviene un modo di essere, uno slancio fondamentale che permette all'uomo di passare
all'azione
Sartre sostiene di essere su un piano in cui ci sono SOLO GLI UOMINI (messi alla stessa altezza di Dio).
Sartre nega gli assoluti ed è così che rende la libertà qualcosa di significativo
Il concetto di libertà di Sartre è assoluto perché non si pone in contrasto con ciò che è casuale

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Alla fine del '45 Sartre tiene la famosa conferenza che si forma come una risposta a color che accusavano
gli esistenzialisti di nichilismo.
 
Nel 1946 scrive una lettera a Heidegger.
 
Domanda di jean boffè a Heidegger Come dare un senso alla parola umanismo?
La risposta di Heidegger ruota attorno alla possibilità di dare un senso alla parola umanismo: secondo
Heidegger ciò non è possibile, perché la parola "umanismo" è troppo legata alla storia occidentale… questa
parola, al di là dell'ideale e delle buone intenzioni, della rivalutazione dell'uomo
… la questione politica di Heidegger (adesione al nazismo) ha a che fare col suo pensiero filosofico?...
 
 
LETTERA SULL'UMANISMO, Heidegger, 1946-1947
Stile retorico
Qui siamo su un piano in cui è soprattutto l'ESSERE (differenza rispetto a Sartre) … NB: l'interruzione di
essere tempo è dovuta alla difficoltà di esprimersi con quei termini legati alla metafisica che Heidegger
vuole abbandonare -> a questo è dovuta la difficoltà del linguaggio di Heidegger.
Heidegger parla subito del tema dell'agire: "noi parliamo dell'agire in base alla sua utilità, mentre l'essenza
dell'agire è il portare al compimento, dispiegare qualcosa nella sua essenza… può essere portato a
compimento in senso proprio solo qualcosa che già è".
Se Heidegger si fosse espresso in modo più "semplice" si sarebbe contraddetto, non dobbiamo agire per
una finalità.
Non è a disposizione del pensiero decidere se corrispondere o no all'essere: l'essere non può porsi come
qualcosa di separato dal pensiero. Per Heidegger il pensiero è soltanto rapporto con l'essere. Non c'è un
pensiero al di là dell'essere perché il pensiero si dispiega in uno spazio che è costituito dall'essere (in
"Essere tempo" ogni capacità di apertura è costituita dal "da sein", tutto ricade sull'uomo e la verità ricade
totalmente su questa apertura originaria) … l'uomo sta in questa apertura dell'essere e la sua dignità
corrisponde soltanto nel rispondere a questa sfida.
La grandezza dell'uomo sta nel porsi in ascolto di questa apertura, è necessario abitare questo spazio, in
questa dimensione il linguaggio assume enorme importanza -> apparentemente ci sono tre dimensioni: il
pensiero, l'essere e il linguaggio (ma in realtà il linguaggio ingloba le altre due dimensioni). L'essere non c'è
nella sua consistenza ontologica, non è nulla se non il suo darsi all'uomo (il suo darsi come spazio
all'interno del quale si muove l'uomo, solo in questa apertura). Il linguaggio è l'insieme dell'apertura nel
suo essere e nel pensiero… l'essere è linguaggio (per la metafisica, diversamente, l'essere è colui che sta)…
apertura del linguaggio = apertura dell'essere… è l'essere che parla attraverso il linguaggio. Il poeta è colui
che riesce a farsi mediatore, a trasmettere la parola del divino (seguendo un'antica concezione), il
linguaggio poetico, non è compromesso dalla storia della metafisica, può trasmettere correttamente la
natura divina.
Il presupposto di questo discorso è che l'essere non se ne stia in disparte nella sua autonomia, ma subisca
un processo di svuotamento e venga ridotto alla dimensione di porsi al di là dell'ente. Il linguaggio è la casa
dell'essere, non c'è altro essere al di fuori del linguaggio. L'uomo è quell'ente che si muove all'interno di
questo spazio, la sua specificità è il suo essere rivelazione, apertura dell'essere. Il pensiero agisce in quanto
pensa.
Heidegger sostiene che Sartre non sia abbastanza filosofo perché non si è posto al livello originario, ha
fatto solo filosofia (per Heidegger la filosofia è metafisica, lui vuole essere un pensiero originario, segna
così la fine della filosofia).
La finitezza dell'essere di Heidegger è il fatto di non poter prescindere dall'uomo.
Il percorso di Heidegger non è lineare, il suo pensiero è fatto di resistenze, di contraddizioni, di
ripensamenti, drammi, brusche interruzioni… è un pensiero che grava intorno al pensiero dell'essere.

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La metafisica non viene lasciata alle spalle come qualcosa di abbandonato, essa è una forma di apertura
dell'essere (non è altro che il nascondersi dalle forme dell'ente), nella metafisica ciò si ottiene tramite
l'oblio… il vuoto che sta davanti a noi non si copre con il nostro agire, ma dobbiamo approfittarne, in
questo vuoto sta il dono dell'assenza dell'essere dal piano dell'ente (la metafisica ha interpretato questa
assenza come una mancanza e perciò ha cercato di fondare l'ente). Heidegger chiede di comprendere che
l'ente non ha una causa e l'essere non è fondamento. L'assenza non è una mancanza, ma una dimensione
religiosa che dobbiamo comprendere e ascoltare. Si tratta del fondamento come assenza (non dell'assenza
come fondamento).
"ogni operare riposa nell'essere e mira all'ente", dimenticando così l'apertura, l'orizzonte dell'essere che è
al di là dell'ente. Il pensiero dice la verità dell'essere, stando nello spazio che gli destina l'essere.
Pensare è "l'engagement par l'etre pour l'etre" (riprende le parole di Sartre -> l'impegno non è qualcosa di
appartenente all'uomo)… Sartre crede di essere un antimetafisico, ma ne è in realtà la conferma più
radicale (per Heidegger). L'essere è provenienza nel senso che la provenienza rimanda sempre avvenire. Lo
spazio che destina l'essere non si può mai chiudere, ma perché apre uno spazio di possibilità che si può
chiudere solo se la realtà si pone più in alto della possibilità.
 
L'essere va inteso come una relazione, come 'apertura di uno spazio di differenza in cui sta anche l'uomo,
irrimediabilmente connesso a questo spazio ontologico dell'essere.
L'essere rispetto al pensiero è sia un tema, sia una provenienza, un'origine.
 
PAG. 34 EDIZIONE ADELPHI
Risposta alla domanda: come dare un senso alla parola umanismo?
Heidegger si chiede se ciò sia necessario, il filosofo vede in queste definizioni (questi "-ismi") una sorta di
diffamazione del linguaggio, di linguaggio non autentico. È forte la riduzione della parola umanismo a una
riduzione al mercato dell'opinione pubblica, la parola umanismo coincide con la storia della metafisica
(bisogna voltare le spalle alla metafisica)… anche se è difficile associare l'umanismo a tutti gli altri -ismi.
Il pensiero è nello stesso tempo pensiero dell'essere in quanto appartenente all'essere e all'ascolto
dell'essere.
Il pensiero è ciò che è in base alla sua provenienza essenziale (questa è la risposta a Sartre)… l'umano si
pone come apertura all'essere. Non si tratta di utilizzare il pensiero nella sua valenza trasformativa, ma di
comprendere la sua valenza disvelativa, si tratta di lasciar essere… per Sartre l'umanismo è il nostro
caricarci della tradizione e andare avanti con la forza della decisione, facendo i conti con il crollo degli
assoluti / per Heidegger invece questo è il problema… Heidegger non distingue la possibilità dall'esistenza.
Non è l’uomo la possibilità, è l'essere il possibile.
Heidegger critica l'attività culturale fine a se stessa, descrive un mondo che ancora non conosce la
globalizzazione (nonostante ci siano grandi anticipazioni).
La filosofia come ontologia: vuole essere una fondazione del mondo, la ricerca dell'essere è la ricerca della
causa suprema del mondo (non sappiamo accettare l'ignoto e cerchiamo una giustificazione),
dimenticando che le giustificazioni valgono solo con riferimento all'ente. Il sapere diventa complice
dell'oblio dell'essere, non c'è rimedio a ciò.
Heidegger parla di dittatura della dimensione pubblica.
Il mondo è l'ambito dell'oggettivazione incondizionata, il mondo è diventato oggetto, ogni forma di alterità
diventa una forma di oggetto. Nella forma finale della metafisica arriviamo a una oggettivazione
incondizionata di tutto.
Il linguaggio cade al servizio della funzione mediatrice: nel contesto metafisico il linguaggio diventa
funzione mediatrice, comunicazione incondizionata -> linguaggio che ha perso le sue radici ontologiche (si
coglie un atteggiamento di negazione dell'accessibilità di tutto a tutti), il linguaggio "cade sotto la dittatura
della dimensione pubblica".
Resta celato il rinvio della parola all'essere e si dimentica che il linguaggio è la casa dell'essere

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La meditazione sul senso del linguaggio deve raggiungere un altro livello… le cose non esistono al di là delle
nostre parole.
La decadenza del linguaggio non è il fondamento, ma è già una conseguenza del processo per cui il
linguaggio cade in modo inarrestabile dal suo elemento (la verità dell'essere), dovuta alla metafisica
moderna.
La realtà non è altro che l'insieme delle cause e degli effetti.
 
PAG. 40
Si tratta di preparare l'uomo a ricondurre l'uomo nella sua essenza, l'umanità dell'uomo riposa nella sua
essenza. Come si determina l'essenza dell'umano? L'uomo sociale è l'uomo naturale per Heidegger.
C'è sempre una concezione dell'ente che è alla base della concezione dell'uomo
L'interpretazione dell'ente come semplice presenza senza porre la questione della verità dell'essere.
La metafisica risulta umanistica (-> l'esistenzialismo è un umanismo, allora è metafisico, forte risposta di
Heidegger a Sartre)… si cerca una spiegazione dell'ente per dare stabilità. Nel determinare l'umanità
dell'uomo l'umanismo impedisce che si ponga una simile questione… l'umanista dimentica l'essere, la
differenza, ma questa cosa non si può rimproverare all'umanista perché è parte dell'umanismo.
Cos'è la metafisica? Questa domanda è già un tentativo di porre a problema la metafisica.
Non c'è un percorso continuo che porta dallo studio della comprensione dell'essere all'essere della
competenza ontologica.
Heidegger dice che l'esser e non è l'ente, ma il problema è che non lo pensa.
 
P.44
Problema dell'umanismo collegato al problema dell'essere… Heidegger vuole mostrare l'inseparabilità della
questione dell'uomo rispetto alla questione dell'essere. Viene meno l'aspetto differenziale, Heidegger cerca
di comprendere l'essere nella sua differenza dall'ente… anche il Dio più trascendente rimane un
fondamento dell'ente.
La metafisica rappresenta l'essere nel suo ente, ma non pensa alla differenza tra l'essere e l'ente… la
metafisica non domanda della verità dell'essere stesso, non domanda in che modo l'essenza dell'uomo
appartenga alla verità dell'essere. Questa domanda è inaccessibile alla metafisica in quanto metafisica: non
si è nemmeno posta la questione della differenza dell'essere dall'ente (domanda necessaria per
comprendere la parola umanismo). Per Heidegger la parola "umanismo" è completamente metafisica, la
nostra formazione umanistica tende a immaginare una facile distinzione tra umanismo "buono" e "cattivo".
La questione dell'umanismo per Heidegger si risolve in una questione soggettivistica.
Ogni rapporto con l'ente predispone uno spazio, un'apertura, la quale è istituita dall'essere: l'uomo si
muove all'interno di questo spazio stabilito dall'essere. Facciamo un favore all'uomo se lo mettiamo in cima
rispetto al resto degli esseri naturali? Concepiamo davvero la sua essenza rispetto agli altri enti? Dobbiamo
considerare l'uomo come un ente tra gli altri: l'uomo è superiore in quanto è comprensione dell'essere,
caratterizzato da un'apertura ontologica.
Questo modo di porre è tipico della metafisica, ma così l'essenza dell'uomo è stimata in misura troppo
modesta, l'uomo non pensa in direzione della sua humanitas. Ambiguità di Heidegger nella questione di
humanitas.
Il linguaggio non è lo strumento comunicativo che ci fa essere le cose (per Heidegger il problema non è
nemmeno la denominazione), il linguaggio è la casa dell'essere, le cose sono le cose del linguaggio… non si
tratta di cogliere le cose al di là della loro "falsificazione" linguistica. Per Heidegger il linguaggio è l'unica
condizione di possibilità.
Solo l'uomo esiste poiché lui solo ha questa modalità di apertura, perché sta fuori di sé. L'esistenza non è
solo il fondamento della possibilità della ragione, ma è ciò in cui l'essenza dell'uomo conserva la sua
determinazione.
In Sartre l'esistenza dell'uomo è totalmente chiusa nell'orizzonte dell'umano; in Heidegger il tema è
l'apertura all'essere (in comune hanno la radice esistenziale, ma declinata in due diversi modi).

16
L'uomo è destinato a pensare l'essenza del suo essere.
Esistenza significa "stare fuori" nella verità dell'essere; "existenzia" invece nomina la determinazione di ciò
che è l'uomo nel destino della verità. Existenzia resta il nome di ciò che una cosa è quando appare nella sua
realizzazione. L'esistenziale descrive un modo di essere, dunque una possibilità originaria. L'essenza si
misura in base all'estaticità del da sein nell'esserci… il "da" del "da sein" indica un'apertura, uno stare e in
questo caso è lo stare nella verità dell'essere. Heidegger tende a sottolineare l'aspetto dell'apertura e
dell'ascolto. È l'essere che si dà e che apre uno spazio.
L'esistenza non è né la realizzazione di un'essenza, né produce e pone essa stessa come qualcosa di
essenziale.
Temporalità dell'uomo e temporalità del da sein vanno distinte…
Esperienza fondamentale dell'oblio dell'essere: non c'è un mutamento del punto di vista di "Essere
tempo", ma c'è il risalimento all'origine dell'esperienza che era alla base dell'essere tempo, ovvero l'oblio
dell'essere. La svolta era pensata, ma non è stata detta perché le parole della metafisica lo hanno
arrestato.
Essere tempo ha oltrepassato l'orizzonte del soggetto soggettivistico.
La svolta è implicita, già predisposta dall'orizzonte di essere tempo. Esiste una frattura profonda. Questa
proposta di svolta del secondo Heidegger sembra arrivare a un punto pericolosamente inconsistente,
sembra che vada in direzione di un linguaggio ultrametafisico.
Emerge una critica radicale rispetto alla metafisica di Sartre… vuole difendere la sua opera dalla lettura che
ne hanno dato gli esistenzialisti: il rovesciamento di una tesi metafisica rimane una tesi metafisica (non è
altro che la sua opposizione, resta quindi legata a ciò che oppone… per Heidegger è necessario
oltrepassare).
L'essere è il celarsi dal piano dell'ente, è come se l'uomo avesse finora, nella metafisica, dimenticato ciò
che sfugge, ciò che si cela, e che rendeva possibile la parte evidente (illuminazione che deriva da un celarsi
dell'essere e che comporta un dispiegamento dell'ente). L'essere è ciò che rimane della cosa -> si ricerca la
fondazione, la stabilizzazione dell'ente.
L'uomo è in quanto esiste, per Heidegger, significa che l'esistenza è il suo modo di essere, un'apertura
Non vengono rifiutate le interpretazioni umanistiche dell'uomo, l'unico pensiero è che le supreme
determinazioni umanistiche dell'uomo non definiscano propriamente l'uomo: si pensa contro l'umanismo
perché non pone l'humanitas dell'uomo a un livello abbastanza elevato… le determinazioni umanistiche
separano l'uomo dall'essere, privandolo di quella apertura all'essere -> è necessario recuperare la relazione
con la verità dell'essere, la dignità dell'uomo consiste nel riconoscere la dignità dell'essere.
C'è un'etica in Heidegger? Egli denuncia la violenza metafisica e l'umanismo per essere una tradizione
violenta e avere una violenza nei confronti della natura e del mondo… non segue il sogno cartesiano
dell'uomo come signor e possessore della natura.
L'uomo è piuttosto gettato dall'essere stesso nella volontà dell'essere. Non è l'uomo a decidere. L'essere è
lui stesso, non è possibile descriverlo, se lo facessimo descriveremmo una cosa con dei caratteri di
persistenza solida… l'essere non è il fondamento, non è la causa prima, ma quell'essenza originaria in cui è
resa possibile l'apertura dell'ente. Ciò che fonda l'ente è l'essere, ma perché è ciò che manca, ciò che si
ritrae.
Spazio e tempo fanno parte del dispiegamento dell'essere.
Tentativo di Heidegger di crearsi una continuità con "Essere e tempo".
L'umanismo viene denunciato come una falsa soluzione, non mette in discussione ciò che ha reso la
metafisica tale (cioè l'oblio dell'essere), cambia lo scenario, ma non vengono messe in discussione le radici
della metafisica e la sua violenza.

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