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Interviste

Karl Raimund Popper

Il falsificazionismo
26/7/1989

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 Professor Popper, nei Suoi scritti Lei ha affermato di aver imparato da Einstein non solo che un'ipotesi non può mai
essere certa, ma anche che ci sono dei requisiti che rendono l'ipotesi verificabile. Può chiarirci meglio questo aspetto
del Suo pensiero? (1)

 Qual è il criterio di scientificità di una teoria? (2)

 Questo è vero, però, per quel che riguarda una confutazione riuscita. Ma nel caso di una confutazione mancata, di
una confutazione che non riesce a provare la falsità di una teoria? (3)

 Possiamo dire lo stesso delle osservazioni? Tutte le nostre osservazioni sono realizzate allo scopo di confutare le
teorie scientifiche, così come avviene con gli esperimenti? (4)

 Se le osservazioni sono dei piccoli esperimenti, questo vuol dire allora che la scienza non inizia dalle osservazioni? (5)

 Questa conoscenza deve necessariamente essere innata, perché non è possibile apprendere attraverso l'esperienza il
modo di apprendere o il modo di osservare. (6)

 Si può forse riassumere il Suo pensiero, dicendo che, sebbene apprendiamo dall'esperienza e per mezzo
dell'esperienza, non conosciamo però nulla attraverso l'esperienza. Ciò che conosciamo è ipotetico e deriva da una
precedente conoscenza o è un tentativo di indovinare. Mentre invece apprendere dalle osservazioni significa
eliminare delle ipotesi. È esatto? (7)

 Professor Popper, Lei ha indicato nella falsificabilità il criterio di demarcazione delle teorie. Questo significa che una
teoria non falsificabile è sempre una cattiva teoria? (8)

1 Professor Popper, nei Suoi scritti Lei ha affermato di aver


imparato da Einstein non solo che un'ipotesi non può mai
essere certa, ma anche che ci sono dei requisiti che rendono
l'ipotesi verificabile. Può chiarirci meglio questo aspetto del
Suo pensiero?

Si tratta del problema della controllabilità di una teoria. Se una teoria


può essere sottoposta a prova, allora essa è certamente una teoria
degna di considerazione, e sottoporla a nuovi controlli è sempre
interessante, qualunque sia il risultato. Se i controlli portano al crollo
della teoria, la cosa è comunque importantissima e di enorme
significato, e, in un certo senso, potremo parlare di successo della
teoria, anche se non del successo sperato. Insomma, se una teoria
può essere confutata, allora è proprio la confutazione la cosa più
importante: è senz'altro un fattore positivo l'aver ottenuto una nuova
informazione che ci deriva dalla confutazione della teoria. Einstein
affermò che esistevano severi controlli per la sua teoria, e più volte
affermò che se tali controlli - che egli si augurava che venissero
realizzati - avessero confutato la sua teoria, egli avrebbe accettato la
confutazione. E questa è la cosa veramente molto importante.
Chiunque propone una nuova teoria, dovrebbe specificare in quali
circostanze egli ammetterebbe di venir sconfitto; o, meglio, dovrebbe
specificare in quali circostanze la propria teoria crollerebbe. In tal
modo, se la sua teoria resiste, egli ha fatto qualcosa di apprezzabile,
proprio in quanto la sua teoria poteva venir confutata.

2 Qual è il criterio di scientificità di una teoria?

Nelle mie prime pubblicazioni proposi come criterio del carattere


empirico di una teoria scientifica o, se preferisce, del carattere
scientifico di una teoria - visto che in inglese il termine "scienza"
denota la scienza empirica - la falsificabilità o controllabilità, la
possibilità, cioè, di sottoporre le teorie a controllo. Cercai di mostrare
che la controllabilità è equivalente alla falsificabilità: vale a dire, che
una teoria è controllabile se esistono, se si possono concepire dei
controlli che possono confutarla. Si tratta di qualcosa di simile
all'esame di uno studente. Uno studente è esaminabile se esistono
possibili domande che consentono di accertare che egli non sa nulla, o
non abbastanza da superare quel dato esame. Analogamente una
teoria è controllabile o, diciamo, sottoponibile ad esame se implica
predizioni oppure - in modo del tutto equivalente - retrodizioni che
possono risultare sbagliate, che possono non concordare con le nostre
scoperte. Se si dà questo, allora vuol dire che la nostra teoria
implicava una predizione falsa, ed una teoria che implica una
predizione falsa è una teoria falsa. Ma ciò non significa che essa sia da
gettare nel cestino solo perché ha condotto ad una predizione falsa.
Possiamo, infatti, correggere la nostra teoria, possiamo apportare
delle modifiche. Falsificabilità vuol dire che la teoria può essere
sottoposta a controllo, e nel caso che fallisca può o essere gettata nel
cestino o essere corretta. E talvolta le correzioni, pur essendo limitate,
possono fare una tremenda differenza, può accadere che una piccola
correzione rafforzi la teoria in modo tale che essa finisca con lo
spiegare molto più di quanto originariamente non ci si aspettasse.
Queste sono cose che accadono. Non possiamo perciò concordare con
l'affermazione di Kuhn - che chiamava questo procedimento
"falsificazionismo stereotipato". Ora, il falsificazionismo non può
essere stereotipato perché le teorie non sono stereotipate. Il
falsificazionismo può condurre, in casi estremi, al rigetto totale della
teoria, cosa che può essere sbagliata o azzeccata; oppure, in altri
casi, può portare ad un meraviglioso miglioramento della teoria.

Secondo questa concezione tutti i controlli scientifici, gli esperimenti,


sono dei tentativi di confutazione. E rivestono perciò un grande
valore. Non si può avere una confutazione senza imparare qualcosa di
nuovo ed importante.

3 Questo è vero, però, per quel che riguarda una confutazione


riuscita. Ma nel caso di una confutazione mancata, di una
confutazione che non riesce a provare la falsità di una teoria?

Se il controllo non confuta la teoria possiamo dire solo che la teoria ha


superato la prova. Non possiamo dire molto di più. Non significa
effettivamente molto il fatto che la teoria superi una certa prova,
significa solo che non siamo costretti ad abbandonare la teoria, e se
fino ad allora non abbiamo preso troppo sul serio quella teoria, vuol
dire che faremmo bene a farlo. Ma tutto ciò non porta a molto.
Ovviamente questo dipende, poi, dalla particolare teoria. Se la teoria
è così illuminante, se la teoria è capace di spiegare tante cose che
prima non eravamo in grado di spiegare, allora si tratta di una buona
teoria, una teoria che comincerà a piacerci e che probabilmente ci
piacerà di più dopo che l'avremo messa alla prova. Ma questo non
significa, sul piano logico, che la teoria sia vera. Questo significa solo
che la teoria è stata controllata e niente di più.

Tutto questo è in forte contrasto con coloro che credono


nell'induzione, con coloro cioè per i quali il superamento dei controlli è
la cosa davvero importante. Costoro possono chiamare "verifica" il
superamento di un controllo. Ma, se con "verificazione" si intende che
una teoria ha superato un controllo, allora questo non vuol dire molto,
proprio per la ragione che non dice molto superare un controllo.
Tuttavia, è chiaro che quando si parla di verificazione - verificazione
sta per verum facere - noi pensiamo prendiamo alla lettera questa
parola, e riteniamo che la verificazione significa "fare vera" una teoria,
"veri-ficarla". In realtà noi non possiamo fare vera nessuna teoria. O
anche solo mostrare che sia vera. Se una teoria ha un grande potere
esplicativo, noi la ammireremo. E se essa, alla fine, nonostante il suo
potere esplicativo, si rivelerà falsa, allora forse concluderemo che
c'era comunque qualcosa di interessante in quella teoria e dovremmo
ancora riflettervi.
L'unico fine per cui si effettuano i controlli è quello di falsificare la
teoria, non di verificarla.

4 Possiamo dire lo stesso delle osservazioni? Tutte le nostre


osservazioni sono realizzate allo scopo di confutare le teorie
scientifiche, così come avviene con gli esperimenti?

Sì, naturalmente. È ovvio che le osservazioni o gli esperimenti sono


entrambi, nella sostanza, nient'altro che controlli di una teoria.
Prendiamo ad esempio il caso, molto importante, della scoperta di
Nettuno. Certamente si può dire che fu un nuovo controllo a
comportare una nuova scoperta, una cosa molto interessante. Si
trattò, in quel caso, di un controllo della teoria newtoniana, di un
controllo particolarmente severo per la teoria della gravitazione
universale. La teoria newtoniana aveva condotto ad una determinata
previsione del movimento del pianeta Urano, che si rivelò falsa. Si
pose perciò la questione se si dovesse abbandonare la teoria di
Newton. Alcuni sostennero di no, e affermarono che si dovesse
ricercare la causa della discrepanza notata non già nella teoria
newtoniana, ma nella nostra imperfetta conoscenza, nel nostro
modello del sistema solare, il quale poteva essere falso in quanto
avrebbe potuto esserci un altro pianeta più esterno rispetto ad Urano:
il modello planetario, dunque, poteva non essere completo. Ora, in
una situazione come questa le cose non sono tanto semplici. Si poteva
tentare di cercare questo pianeta; ma poteva essere una cosa
disperata cercare un oggetto tanto minuscolo come un pianeta fra
tutte le altre stelle. Poteva trovarsi molto lontano, poteva essere
molto piccolo. In ogni caso, però, si poteva calcolare e questa fu
certamente una grande fortuna. Due uomini riuscirono a calcolarla,
Adams e Le Verrier. Quest'ultimo informò l'astronomo Galle, a Berlino,
dei propri calcoli. Galle puntò il telescopio verso il punto predetto e
non esattamente in quel punto, ma in una posizione estremamente
prossima, trovò una minuscola stella che gli sembrò che si muovesse.
Dopo un'ora di osservazione ebbe l'impressione che si stesse
muovendo un po' più rapidamente e dopo qualche ora ancora apparve
evidente il suo moto rispetto alle stelle fisse: perciò si trattava di un
pianeta.

5 Se le osservazioni sono dei piccoli esperimenti, questo vuol


dire allora che la scienza non inizia dalle osservazioni?

Questo è un punto di grande rilevanza, perché è la ragione principale


che porta a credere nell'induzione: alla credenza cioè che la
conoscenza, e specialmente la conoscenza scientifica, inizi con
l'osservazione. E questa è una credenza, che ritengo che sia
ancor'oggi diffusa, come sempre. Solo poche persone, in realtà, si
rendono conto che non è così e che non può essere così. Qualsiasi
osservazione presuppone una previa conoscenza. Non si può
osservare nulla senza sapere che esistono certe cose, che le cose
dovrebbero andare in un certo modo, perché è la nostra conoscenza
che ci dice che esse vanno in un modo o nell'altro. L'osservazione ci
mostra allora che esse sono proprio così come ce le aspettavamo,
oppure no. Per essere estremamente chiari, qualsiasi osservazione
presuppone una grande quantità di conoscenze: possiamo riferirci, per
fare un esempio, all'auscultazione, che è l'indagine del mio interno
tramite l'orecchio o mediante uno stetoscopio. È l'indagine che viene
fatta dai medici. Se uno, che non è medico, poggiasse l'orecchio sul
mio torace, udirà solo rumori che non avranno alcun significato; potrà
forse sentire il mio cuore battere, ma anche questa, che è la cosa più
semplice, è comunque il frutto di una conoscenza precedente. È la
conoscenza pregressa del fatto che ho un cuore e che questo cuore
batte, a portare all'identificazione o all'interpretazione di quello che si
è udito. Ma per un dottore l'auscultazione dei miei battiti cardiaci o del
rumore all'interno della mia cassa toracica ha un significato molto
superiore, perché egli già sa come interpretarli.

La mia tesi, insomma, è che tutte le nostre osservazioni sono di


questo tipo. Così, un bambino deve apprendere come guardare, come
ascoltare. All'inizio, le percezioni visive, gli occhi gli restituiscono solo
informazioni prive di significato, nient'altro che caos. Ed è solo dopo
aver imparato molto che il bambino è capace di osservare veramente
qualcosa. La conoscenza, quindi, non inizia dalle osservazioni.
Dobbiamo apprendere. Ma la capacità di apprendere è basata sulla
conoscenza innata. Sappiamo che gli animali hanno certe conoscenze
innate. Nascono intelligenti nella stessa esatta misura in cui
moriranno. Sanno, sin dagli inizi, tutto quello che sapranno in seguito,
grazie all'ereditarietà. Ci sono poi altri animali, che hanno un apparato
cognitivo superiore - e noi siamo tra questi - che sono in grado di
apprendere. Ma anche questa è conoscenza innata: è conoscenza di
come apprendere.

6 Questa conoscenza deve necessariamente essere innata,


perché non è possibile apprendere attraverso l'esperienza il
modo di apprendere o il modo di osservare.

Logicamente sarebbe un regresso all'infinito. Sul piano logico è


impossibile imparare come imparare come imparare come imparare.
Ci deve essere della conoscenza innata. Sto parlando della
conoscenza, in qualche modo propria del bambino, di come imparare.
Naturalmente poi egli imparerà e acquisirà sempre più conoscenze, e
fra queste la conoscenza di come osservare e di come apprendere
dalle osservazioni. Un altro argomento, che è estremamente
importante e che mostra chiaramente quanto sia sbagliata l'idea che
la conoscenza o la scienza o un qualunque altro apprendimento
muovano dalle osservazioni, è il seguente: che le osservazioni sono
basate sui nostri organi sensoriali. Ma gli organi sensoriali hanno
chiaramente una funzione biologica ben determinata. E precisamente
hanno il ruolo di aiutarci, una volta appreso come osservare, di darci
informazioni circa lo stato momentaneo del nostro ambiente, uno
stato momentaneo, piccoli ritagli transitori di ciò che l'ambiente è
realmente. Ma questo presuppone che noi abbiamo già una certa
conoscenza dell'ambiente in senso lato; che sappiamo già che c'è un
ambiente; che sappiamo, per fare un esempio, che se siedo qui c'è
qualcosa alle mie spalle, anche se non lo sto osservando. Io posso
vedere che cosa c'è dietro di Lei e Lei può osservare quello che c'è
dietro di me. Ma entrambi sappiamo che esiste qualcosa alle nostre
spalle, anche in questo momento che non lo stiamo osservando. In
altre parole, dobbiamo avere una conoscenza dettagliata
dell'ambiente, se vogliamo che osservazioni momentanee significhino
qualcosa per noi. La vista può, ad esempio, informare un animale
dell'arrivo di un nemico, ma l'animale deve già sapere qualcosa circa
gli amici ed i nemici. È necessaria pertanto una grande quantità di
conoscenze affinchè sensazioni momentanee abbiano per noi un
qualche significato. E questo viene facilmente dimenticato dalla gente
perché ciò che ci colpisce maggiormente è l'informazione
momentanea. Questo dà origine all'idea che si conosca aprendo gli
occhi e le orecchie ed osservando e ascoltando. Ma si tratta di un vero
errore. Un errore che è compiuto da tanti filosofi. Rudolf Carnap, per
esempio, nel trattare il problema della conoscenza, si chiede come si
conosca e dice che questo è equivalente a determinare attraverso
quale osservazione sia acquisita tale conoscenza. Quindi egli
presuppone l'idea che la conoscenza inizi dalle osservazioni. Come si
arrivi a conoscere significa, per lui, come si acquisisca questa o quella
conoscenza attraverso le osservazioni. Lo sostiene in molti luoghi ed
egli è un filosofo molto considerato ed una figura molto influente per
quel che riguarda la teoria della conoscenza. Ma ciò è
fondamentalmente errato. Conduce all'induzione, perché se uno pensa
che io ottenga la mia conoscenza mediante le osservazioni, la
domanda successiva è inevitabilmente: come si acquisisce la
conoscenza delle leggi generali? E la risposta è: attraverso molte
osservazioni. Quale altra potrebbe essere la risposta se la conoscenza
è ottenuta tramite l'osservazione? E come potrei acquisire la
conoscenza di leggi generali se non tramite molte osservazioni
ripetute? Questa è l'induzione. È così che si è sospinti direttamente
alla teoria dell'induzione e a credere nell'induzione: a causa del
fondamentale pregiudizio che si conosca attraverso le osservazioni. In
questo pregiudizio consiste, per così dire, la forza e la debolezza
dell'induzione. Forza, perché molti credono in essa e debolezza perché
si tratta di una teoria sbagliata.

7 Si può forse riassumere il Suo pensiero, dicendo che,


sebbene apprendiamo dall'esperienza e per mezzo
dell'esperienza, non conosciamo però nulla attraverso
l'esperienza. Ciò che conosciamo è ipotetico e deriva da una
precedente conoscenza o è un tentativo di indovinare. Mentre
invece apprendere dalle osservazioni significa eliminare delle
ipotesi. È esatto?

Sì. Noi impariamo tanto spesso da rapide eliminazioni di ipotesi. E qui


il discorso cade sulla percezione. In realtà, le percezioni sono molto
importanti, ma una percezione è sempre un'ipotesi. Anche ciò che è
chiamato percezione di una Gestalt è un'ipotesi. Percepisco che questo
è un libro, ma anche questa è un'ipotesi. Infatti potrebbe essere un
pezzo di legno tagliato a forma di libro allo scopo di ingannare me o
qualcun altro. Cose del genere càpitano. Potrebbe trattarsi di qualsiasi
cosa, ma io faccio l'ipotesi che sia un libro. Un'ipotesi è sempre
un'aspettativa. Mi aspetto che quando lo prenderò e lo aprirò, vi
troverò delle pagine stampate. Questa è un'aspettativa e tutte le
nostre percezioni implicano aspettative. Ed è l'aspettativa che
accompagna le percezioni a dare un significato, in senso biologico, ad
esse. La funzione delle percezioni è quella di formarsi, in base ad
esse, un'aspettativa, ovvero di ipotizzare ciò che accadrà negli istanti
successivi. La conoscenza momentanea, l'informazione momentanea
che i nostri sensi ci danno, ha la funzione di farci prefigurare quello
che accadrà nei prossimi momenti, nei prossimi minuti e così via, cosa
che è biologicamente molto importante. Possiamo pertanto affermare
che ipotesi ed aspettazioni sono dal più al meno equivalenti: il termine
"aspettazione" è, per così dire, l'equivalente biologico del più
sofisticato termine epistemologico "ipotesi" o "congetture". I due
termini sono praticamente equivalenti, e le nostre percezioni sono un
modo di formare aspettazioni di ciò che accadrà nei prossimi secondi,
o nei prossimi minuti o nelle prossime ore. Quindi, perfino le
osservazioni o le percezioni sono vere ipotesi. L'osservazione libera da
ipotesi non può esistere. E per questa ragione l'idea che la scienza
parta dalle osservazioni per arrivare ad ipotesi o a leggi o a qualsiasi
altra cosa del genere, è radicalmente sbagliata, nonostante sia così
diffusa e sia di fatto alla base di tutte le teorie della conoscenza. Ad
eccezione, però, della teoria che dice che noi nella scienza lavoriamo
formulando ipotesi e tentando poi di eliminarle, con ipotesi o, come ho
detto nel titolo del mio libro, con congetture, ovvero con il metodo che
consiste nell'avanzare ipotesi e nella loro confutazione. In questo, a
mio avviso, consiste il processo della conoscenza, in congetture e
confutazioni, nel concepire delle ipotesi, naturalmente nel lavorare con
le ipotesi e nel continuare a lavorarci finché queste non crollano,
finché non sono confutate.

8 Professor Popper, Lei ha indicato nella falsificabilità il


criterio di demarcazione delle teorie. Questo significa che una
teoria non falsificabile è sempre una cattiva teoria?

Il criterio dice che dobbiamo essere sempre critici. Questo è il


nocciolo. Se una teoria non può venir criticata sulla base di
osservazioni sperimentali, allora non deve essere considerata una
teoria empirica. Ciò non significa, però, che una teoria non
sottoponibile a riscintri sperimentali sia una cattiva teoria.

Si prenda il caso della teoria atomistica, che è un buon esempio. La


teoria atomistica non è stata falsificabile per tutto il periodo che va dal
500 prima di Cristo, quando fu inizialmente proposta, fino all'anno
1905, l'anno in cui Einstein propose la teoria del moto browniano, che
la rese falsificabile trasformandola, in realtà, in una teoria molecolare.
Ora, in tutto quel periodo non fu sottoponibile a controlli, ma ciò
nonostante offrì agli scienziati suggerimenti eccellenti e rappresentò
un'ipotesi che, per così dire, fu da tutti tenuta in mente come una
specie di idea di sfondo - potremmo chiamarla una idea metafisica - e
fu estremamente utile nel suggerire idee più precise e falsificabili. Ho
menzionato questo tipo di teorie già nella mia prima pubblicazione
nella rivista "Erkenntnis", dove chiarivo che esistono idee pre-
scientifiche - come allora le definii - che, pur non essendo falsificabili,
hanno tuttavia un grande valore.

Secondo Popper una teoria scientifica è tale quando può essere


sottoposta a prova e a sempre nuovi controlli. Se poi la teoria viene
confutata, dalla sua falsificazione si sono comunque ottenute nuove
ed importanti informazioni. La controllabilità, ovvero la falsificabilità di
una teoria è la condizione della sua scientificità di una teoria. Secondo
questa concezione tutti gli esperimenti sono tentativi di confutazione
di una teoria. Se i controlli non confutano una data teoria, e se questa
è in grado di spiegare molte cose, possiamo dire, al massimo, che si
tratta di una buona teoria, ma non che sia una teoria "vera". Anche le
osservazioni sono tentativi di confutazione che possono far progredire
la conoscenza: Popper ricorda il caso delle il caso delle osservazioni
delle anomalie orbitali di Urano, che sembravano confutare la teoria
newtoniana della gravitazione universale, e che invece portarono alla
scoperta di Nettuno. Ma Popper avverte che l'indagine scientifica non
inizia mai dalle osservazioni, ma da una conoscenza preliminare. In un
certo senso si può parlare di una conoscenza innata che guida le
nostre stesse osservazioni. L'uomo impara da rapide eliminazioni di
ipotesi; le percezioni, secondo Popper, possono essere considerate
delle ipotesi e le ipotesi implicano aspettative. Non c'è
un'osservazione libera dalle ipotesi, non si passa induttivamente dalle
osservazioni alle ipotesi, la conoscenza procede sempre per
congetture e confutazioni. Infine, Popper esamina il caso
dell'atomismo come esempio di quelle teorie che, pur non essendo
falsificabili, hanno rappresentato ipotesi di grande valore.

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