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Una nozione antirealista di verità per gli asserti empirici

Gabriele Usberti

0. Introduzione.
Il problema di cui mi sto occupando è la definizione di una
nozione antirealista di verità che sia applicabile agli asserti
empirici. Il modello ovvio è la concezione intuizionista della
verità come esistenza di una dimostrazione, ma questa idea si
applica in modo naturale solo agli asserti matematici; il mio
problema può dunque essere riformulato così: come estendere agli
asserti empirici una definizione della verità di ispirazione
intuizionista?
Una caratteristica fondamentale che distingue gli asserti
empirici da quelli matematici è che mentre questi ultimi possono
essere dimostrati, e una volta dimostrati rimangono tali, i primi
possono solo essere ‘supportati’ o – come preferisco dire –
giustificati, e una volta giustificati possono perdere questo
loro status in seguito a un incremento di infomazione. In breve,
dirò che la nozione di dimostrazione è conclusiva, quella di
giustificazione non-conclusiva. Questa differenza tra ambito
matematico ed ambito empirico ha una una conseguenza importante
per quanto riguarda la possibilità di definire una nozione di
verità in termini della nozione di evidenza: mentre in ambito
matematico è plausibile (almeno a prima vista) l’idea
intuizionista di definire la verità di un asserto A come
esistenza di una dimostrazione di A, in ambito empirico l’idea
analoga di definire la verità di A come esistenza di una sua
giustificazione sembra (anche a prima vista) del tutto
implausibile: dato che le giustificazioni sono non-conclusive,
definire la verità di A come esistenza di una sua giustificazione
avrebbe come conseguenza la possibilità che A sia vero oggi e
falso (o perlomeno non vero) domani.

1. Sulla natura delle giustificazioni per credere.

La difficoltà messa in luce è così seria che molti filosofi di


ispirazione antirealista sono stati indotti a ritenere che, anche
in ambito empirico, si debba definire la verità in termini di una
nozione conclusiva, tipicamente la nozione di verificazione;
chiamerò “verificazionisti” i sostenitori di questa posizione;
tra di loro va annoverato sicuramente Prawitz; la posizione di
Dummett è meno univoca: da un lato preferisce chiamare la propria
teoria del significato “giustificazionista” piuttosto che
2

“verificazionista”, sottolineando la natura non-conclusiva delle


giustificazioni; dall’altro non ha mai esplorato concretamente le
conseguenze dell’adozione una nozione non-conclusiva come nozione
chiave della teoria del significato.
Io ritengo insostenibile questa scelta, ma in questo
intervento non cercherò di spiegare perché. Mi limito a dire che,
in ambito empirico, la nozione chiave di una teoria del
significato deve essere la nozione non-conclusiva di
giustificazione. È però necessario che dica qualcosa di più su
come, secondo me, vanno intese le giustificazioni per credere. Su
questo punto assegno un ruolo centrale a un argomento formulato
da Paolo Casalegno contro la possibilità di una nozione non-
conclusiva di verificazione, e dunque contro una nozione di
giustificazione. Anche qui, non discuterò l’argomento di
Casalegno, limitandomi a dire che esso lascia aperta una via –
una sola, a mio avviso - al giustificazionista: quella di
concepire le giustificazioni per asserti (statements) come stati
mentali o, come preferisco dire, stati cognitivi.
Cosa intendo per stati cognitivi? Se adottiamo una
concezione computazionale della mente possiamo dire, in generale,
che uno stato cognitivo di un soggetto è individuato da due
ordini di fattori: l’informazione disponibile al soggetto in un
istante dato, e la struttura cognitiva, o l’apparato
computazionale, del soggetto. Naturalmente, il problema è
specificare quali informazioni, esattamente, sono pertinenti a
fare di uno stato cognitivo una giustificazione per un asserto, e
come deve esser fatto l’apparato computazionale. Dato che
l’argomento di cui intendo parlare oggi è la verità e non la
giustificazione, mi limiterò ad alcune indicazioni essenziali,
necessarie per capire come intendo caratterizzare la nozione di
verità.
Innanzitutto, mi pare indispensabile che la caratterizza-
zione della nozione di giustificazione per A avvenga per
induzione sulla complessità logica di A; di conseguenza,
l’informazione pertinente a fare di uno stato cognitivo una
giustificazione per A varierà al variare della struttura logica
di A; dunque il problema va articolato in diversi sottoproblemi:
cos’è uno stato cognitivo atomico, uno congiuntivo, uno
disgiuntivo, e così via. In secondo luogo, ritengo necessario che
gli stati cognitivi siano epistemicamente trasparenti, nel senso
che, se un soggetto si trova nello stato σ, deve essere nella
posizione di riconoscere1 che si trova in quello stato;2 di

1 «To be in a position to know p, it is neither necessary to know p nor sufficient to


be physically and psychologically capable of knowing p. No obstacle must block one’s
path to knowing p. If one is in a position to know p, and one has done what one is in a
3

conseguenza, le informazioni codificate in uno stato cognitivo e


la struttura dell’apparato computazionale devono essere tali da
permettere appunto tale riconoscimento: in termini un po’
figurati, devono permettere al soggetto di rispondere con un “Sì”
o con un “No” alla domanda “Sono autorizzato a credere che A?”;
ma va tenuto ben presente che la nozione di autorizzazione va
intesa qui in senso puramente computazionale, nel senso che la
risposta dipende esclusivamente dalle informazioni disponibili,
cioè dalla natura dell’input, e dalla natura del programma che
l’apparato cognitivo sta eseguendo.
Consideriamo per esempio l’asserto atomico P(n); in questo
caso la domanda “Sono autorizzato a credere che P(n)?” è
riducibile a quest’altra: “Sono autorizzato ad applicare il
concetto denotato dal predicato “P” all’oggetto denotato dal nome
“n”?”. Se concepiamo un oggetto come un insieme di termini di un
sistema rappresentazionale interno alla mente, e un concetto come
un programma di feature checking, diventa possibile ottenere una
risposta attraverso una computazione: basta eseguire il programma
associato al concetto dandogli come input uno o più termini
appartenenti all’oggetto. Quando la risposta è “Sì”, lo stato
cognitivo è una giustificazione per P(n). La questione è molto
più complicata di così, ma non entro nei dettagli.
Questa è la base della definizione induttiva di
giustificazione. Sulla struttura delle clausole induttive non
dirò niente, anche perché, in questo caso, c’è un modello
illustre che può dare un’idea di come si può procedere: la
spiegazione del significato delle costanti logiche data da
Brouwer, Heyting e Kolmogorov (la BHK-explanation). Assumerò
semplicemente che sia possibile definire come deve essere fatto
uno stato cognitivo per essere una giustificazione per A∧B, per
A∨B, e così via.

2. Verità.

Dunque, se le giustificazioni per credere un asserto A sono stati


cognitivi, in che cosa consiste la verità di A? Come ho già
accennato, le giustificazioni hanno caratteristiche che le
rendono drasticamente diverse dalle dimostrazioni; Prawitz le
riassume così:

position to do to decide whether p is true, then one does know p. [...] Thus being in a
position to know [...] is factive.» (Williamson 2000, p. 95.)
2 Williamson ha formulato un argomento a sostegno della non trasparenza della
conoscenza; ammesso (e non concesso) che l’argomento sia convincente, esso non si
applica al caso presente, che riguarda la trasparenza della giustificazione. Cfr.
Berker (2008).
4

Fuori dalla matematica, si può voler dire che un enunciato è stato


asserito correttamente (su basi sufficienti) anche se più tardi è
risultato che l’enunciato era falso, vale a dire: si giudica
ancora che le basi su cui era fondata l’asserzione dell’enunciato
fossero sufficienti nella situazione in questione (sebbene non lo
siano più attualmente). (Prawitz 1980: 8)

A noi, come a Prawitz, sembra del tutto naturale che un enunciato


sia correttamente asserito a t, e più tardi sia riconosciuto
falso, o perlomeno non vero; altrettanto naturale ci sembrerebbe
che un enunciato sia correttamente denied a t, e più tardi
riconosciuto vero; ma perché ci sembra naturale? Perché
troveremmo innaturale che prima un enunciato sia riconosciuto
falso, o perlomeno non vero (o, nell'altro caso, vero), e poi sia
correttamente asserito (o, nell'altro caso, denied)?
Evidentemente perché i giudizi "A è vero", "A è falso" sono
intuitivamente avvertiti come in qualche senso 'più definitivi'
di "A è asseribile", "A è deniable"; in altre parole, un giudizio
di verità (o falsità) di A sembra richiedere qualcosa di più di
una semplice giustificazione. Consideriamo per esempio due
soggetti s1 e s2 seduti, rispettivamente nelle posizioni p1 e p2,
attorno a un tavolo al centro del quale è collocato un disco
rotondo; manovrando in modo opportuno le loro posizioni e
l’illuminazione si può far sì che s1 veda il disco come rotondo,
s2 come ellittico; supposto che non possano scambiarsi le
posizioni, è del tutto naturale dire che s1 ha una
giustificazione per credere che il disco è rotondo, s2 una
giustificazione per credere che il disco è ellittico; al
contrario, non ci sembra affatto naturale dire che s1 riconosce
vero che il disco è rotondo e che s2 riconosce vero che il disco
è ellittico: intuitivamente, per dire che un soggetto s riconosce
vero un asserto empirico, richiediamo che abbia qualcosa in più
di una semplice giustificazione per crederlo. Chiamerò "truth-
ground" una giustificazione che ha quel ‘qualcosa di più’; il
problema è appunto di specificare in cosa consiste quel qualcosa
in più. Mi pare che siano concepibili due alternative.

2.1. Due alternative.

La prima consiste nel concepire i truth-grounds come


giustificazioni conclusive. In base a questa intuizione possiamo
dire che, sebbene s1 e s2 abbiano entrambi una giustificazione
per credere i loro rispettivi asserti, solo la giustificazione di
s1 è un truth-ground dell’asserto “Il disco è rotondo”, appunto
perché solo questa giustificazione è conclusiva. Ora, è chiaro
che le informazioni di ciascuno dei due soggetti s1 e s2 dispone,
5

mentre gli permettono di stabilire che lo stato cognitivo in cui


si trova è una giustificazione per credere l’enunciato che crede,
non gli permette di riconoscere se è una semplice giustificazione
o un truth-ground. Ora, dato, come in questo caso, un asserto
atomico, osservativo e relativamente ‘semplice’, è forse
possibile specificare quali informazioni potrebbero permettere a
un soggetto di discriminare tra giustificazioni e truth-grounds
per A, o perlomeno cicoscrivere in qualche modo l’insieme di tali
informazioni; ma certo non è possibile farlo in generale, cioè
per enunciati empirici di qualunque natura e complessità: la
quantità e la qualità delle informazioni pertinenti a
discriminare tra giustificazioni e truth-grounds non sembrano
circoscrivibili a priori. Dunque, non può essere escluso a priori
che un soggetto in grado di effettuare una discriminazione di
questo genere disponga di un numero infinito di informazioni.
C’è anche almeno una ragione positiva per cui la capacità di
discriminare tra giustificazioni e truth-grounds (intesi come
giustificazioni conclusive) comporta la disponibilità di un
numero infinito di informazioni. Nel caso dei due soggetti s1 e
s2, dopo quanti test riusciranno a stabilire che il disco è
rotondo? Normalmente dopo uno o due. Ma non è difficile
immaginare situazioni in cui non c’è un limite definito al numero
di test necessari. Consideriamo il caso seguente. Ieri il notaio
A ha ricevuto il certificato di matrimonio di B; questo dato,
insieme a molti altri, gli fornisce una giustificazione per
credere che Giovanni è sposato; oggi però scopre che B ha tutto
l’interesse a fargli credere che è sposato, perché questo gli dà
diritto a un’eredità che altrimenti non avrebbe accesso, e che in
passato B è stato condannato per truffa; a questo punto la
giustificazione che aveva ieri non gli pare un truth-ground di
“Giovanni è spesato”; a questo punto va al Comune, per verificare
se il certificato è auentico: la risposta è sì; dunque la
giustificazione originale gli sembra adesso un truth-ground; ma
qualche giorno dopo viene informato da un collega che la moglie
di Giovanni è morta qualche mese prima; a questo punto non è più
disposto a considerare la giustificazione un truth-ground; ma poi
viene a sapere che il collega che gli ha passato l’informazione
ha interesse ad ingannarlo sulla situazione coniugale di
Giovanni; e così via. Poiché non è possibile porre un limite al
numero o alla complessità dei test che possono rivelarsi
necessari per stabilire se la giustificazione originaria è un
truth-ground, il solo modo per evitare la possibilità di
un’alternanza indefinitamente grande di risposte “sì” e “no” è
6

ammettere che il soggetto della credenza possa disporre di un


numero infinito di informazioni pertinenti.3
Ciò costituisce ovviamente una difficoltà insormontabile per
chi voglia concepire la nozione di truth-ground come
epistemicamente trasparente: i truth-grounds sono giustificazioni
conclusive, e se per accertare la loro conclusività sono
necessarie infinite informazioni, può accadere che una
giustificazione sia un truth-ground senza che nessun soggetto sia
in grado di riconoscerlo. D’altra parte, una teoria antirealista
del significato non richiede necessariamente una nozione
epistemicamente trasparente di truth-ground: si potrebbe per
esempio rinunciare all’idea che la conoscenza del significato di
un asserto A vada concepita come conoscenza delle sue condizioni
di verità (e dunque come capacità di riconoscere i truth-grounds
di A), e concepire la conoscenza del significato di A come
capacità di riconoscere le giustificazioni per A, dove queste
ultime sono, come abbiamo visto, trasparenti.
Tuttavia, c’è una seconda difficoltà derivante dalla non-
trasparenza dei truth-grounds. Supponiamo la teoria del
significato che stiamo sviluppando sia intesa applicarsi anche ad
asserti epistemici, cioè della forma “s sa che A”; poiché è
naturale prevedere che una giustificazione per “s sa che A” debba
essere definita in termini della disponibilità ad s di un truth-
ground di A, la non-trasparenza della nozione di truth-ground
avrebbe come conseguenza quella della nozione di giustificazione
per gli asserti epistemici, e dunque non potremmo più concepire
la conoscenza del significato di un asserto come capacità di
riconoscere le sue giustificazioni.
Queste ragioni possono indurre l’antirealista ad esplorare
la seconda alternativa, consistente nel concepire la nozione di
truth-ground, e di conseguenza quella di verità, come relativa a
stati cognitivi. Torniamo al caso dei due soggetti s1 e s2 seduti
attorno al tavolo, e supponiamo che all’istante t2 si scambino le
posizioni; a questo punto saranno entrambi incerti riguardo alla
forma del disco – segno del fatto che non considerano più le loro
immagini visive come giustificazioni per le rispettive credenze -
; e in condizioni normali cercheranno entrambi di acquisire nuove
informazioni pertinenti, per esempio toccando il disco, o
cambiandogli posizione, o altro. Sembra plausibile dire che
durante questo processo i soggetti applicano alcuni criteri

3Notice tha what is required is not that the subject knows the answer to each test to
which the justification might be submitted; this would not yet be sufficient to
guarantee the possibility for the subject to decide whether the justification is a
truth-ground, because it might happen that infinitely many tests were necessary, and
that positive and negative answers to the tests alternated regularly. What is required
is stronger: that the test is one, and that, in order to answer to the question, the
subject knows all relevant information.
7

generali per selezionare una delle evidenze conflittuali che


hanno; per esempio, selezioneranno come ‘reali’ i dati visivi che
sono in accordo con quelli tattili (un criterio di accordo);
oppure selezioneranno come ‘reali’ quei dati che, insieme a
qualche legge percettiva nota, permettono di spiegare i dati
‘apparenti’ (un criterio di capacità esplicativa); e così via.
Dopo questo processo di selezione s1 potrà dire legittimamente
che la sua precedente immagine visiva di un disco rotondo era un
truth-ground della proposizione che il disco è rotondo, mentre s2
non potrà dire altrettanto della sua.
Riassumendo: a t1 ciascun soggetto ha una giustificazione
per il suo rispettivo asserto; a t2 entrambi acquisiscono nuove
informazioni pertinenti; a t3 entrambi hanno una giustificazione
per l’asserto “Il disco è rotondo”; inoltre, entrambi sono
autorizzati a dire che l’immagine visiva di s1 a t1 è un truth-
ground dell’asserto “Il disco è rotondo” relativamente a t3,
mentre l’immagine visiva di s2 a t1 non è un truth-ground
dell’asserto “Il disco è ellittico” relativamente a t3, sebbene
lo sia relativamente a t1 (si osservi che, in base a questa
concezione ‘relativista’ dei truth-grounds, ogni stato cognitivo
che è una giustificazione per A è un truth-ground di A
relativamente a se stesso). Tornerò sulla questione della
relatività dei truth-grounds dopo aver illustrato la mia proposta
riguardo a come definirli.

2.2. Una definizione induttiva dei truth-grounds.

Fermiamoci un momento e consideriamo il percorso seguito fin qui.


Il giustificazionista adotta come nozione chiave per una teoria
del significato degli statements empirici quella di
giustificazione, in analogia con l’intuizionista che adotta
quella di dimostrazione come nozione chiave per una teoria del
significato degli statements matematici. Ora, quando si ha una
dimostrazione dell’enunciato matematico M, si sa che M; e a
questo punto la verità di M può essere definita
dall’intuizionista come l’esistenza di una dimostrazione di M (e
dunque la verità di M verrà identificata con la possibilità di
conoscere M, oppure con il riconoscimento della verità di M, a
seconda che l’esistenza di una dimostrazione venga intesa come
una proprietà atemporale degli asserti o come il possesso
effettivo, temporale, di una dimostrazione). Nel caso di un
asserto empirico E, invece, avere una giustificazione per E non è
sufficiente per sapere che E; e tuttavia vogliamo seguire la
stessa strada che nel caso matematico per arrivare a definire la
verità di E; dunque abbiamo bisogno di sapere esattamente quali
8

condizioni vanno aggiunte al possesso di una giustificazione per


E per ottenere la conoscenza che E – cioè, nella terminologia che
ho introdotto, quali condizioni fanno di una giustificazione per
E un truth-ground di E. A questo punto dovrebbe essere chiaro in
che direzione va cercata una risposta: in un’analisi dei problemi
di Gettier, in quanto sono appunto questi problemi che mettono in
evidenza i molteplici modi in cui una credenza giustificata vera
non è ancora conoscenza.
La difficoltà dei problemi di Gettier è notoria;4 tuttavia
la loro analisi è un passaggio obbligato per un programma di
estensione della teoria intuizionista del significato agli
enunciati empirici; qui mi limiterò ad usare una soluzione che ho
proposto altrove5 per enucleare le condizioni congiuntamente
sufficienti affinché una giustificazione per A sia un truth-
ground di A. Prima però vorrei sgombrare il campo da un possibile
fraintendimento. Secondo alcuni i problemi di Gettier sono non
soltanto difficili da risolvere, ma impossibili. Luciano Floridi,
per esempio, ha elaborato un argomento a sostegno de “La
insolubilità logica del problema di Gettier”, basato
sull’equivalenza tra questo problema e il ‘Problema dell’attacco
coordinato’, dimostrabilmente insolubile in logica epistemica.
Non intendo discutere in dettaglio l’argomento di Floridi, ma
solo mettere in rilievo che, come lo stesso Floridi chiarisce,
l’argomento è valido (se è valido) sotto una premessa importante:
che giustificazione e verità siano definite con strumenti
concettuali logicamente indipendenti; qualunque cosa ciò
significhi, è chiaro che un tentativo di soluzione antirealista
dei problemi di Gettier non può condividere tale premessa:
l’essenza dell’antirealismo (perlomeno nella versione ortodossa
che io propongo) è appunto di far dipendere logicamente la verità
dall’asserzione; e le ragioni di tale dipendenza sono del tutto
indipendenti dall’esigenza di risolvere i problemi di Gettier.
È noto che Gettier formulò due soli controesempi all’analisi
classica della conoscenza, ma che è possibile produrne una
famiglia potenzialmente infinita.6 Per comodità chiamerò
“atomici” i problemi di tale famiglia in cui lo statement creduto
è atomico, “disgiuntivi” quelli in cui lo statement creduto è una
disgiunzione, e così via. Cominciamo con i problemi atomici. Il
primo dei controesempi originali di Gettier è appunto di questo
tipo,7 e la diagnosi ovvia è che la credenza giustificata vera di
4 Williamson fa di tale difficoltà il punto di partenza del suo approccio alla nozione
di conoscenza (cfr. Williamson 2000). Floridi (2004) è un tentativo di dimostrare “the
logical unsolvability of the Gettier Problem”.
5 Per una mia proposta di soluzione cfr. Usberti (1992).
6 Cfr. Zagzebski (1994); un classico survey dei problemi di Gettier è Shope (1983).
7 Here is a brief sketch of the problem: Smith and Jones have applied for a certain
job. Smith is justified in believing the following proposition:
9

Smith non è conoscenza perché egli si riferisce scorrettamente a


Jones con la descrizione “colui che vincerà il posto”; e questa è
appunto la ragione per cui la giustificazione che Smith ha per la
sua credenza non è la ragione della verità dell’asserto creduto,
cioè il suo truth-ground. Ecco una variante del controesempio che
mette in evidenza un altro aspetto del problema. Smith è
giustificato nel credere l’asserto seguente:

(1) Jones è artritico

perché crede (giustificatamente) che “è artritico” significhi lo


stesso di “ha il raffreddore”, e ha sentito Jones starnutire. In
realtà, all’insaputa di Smith, Jones è artritico (nel senso
standard della parola); dunque la credenza di Smith è
giustificata e vera, ma non è conoscenza. In questo caso la
ragione è che Smith denota con il predicato “è artritico” il
concetto di avere il raffreddore.
Finora la condizione che che dobbiamo aggiungere affinché
una giustificazione per un asserto della forma “P(n)” sia un
truth-ground di “P(n)” è che le denotazioni di “P” e di “n” nello
stato cognitivo σ che è giustificazione per “P(n)” siano corrette
relativamente allo stato cognitivo σ’ nel quale stiamo giudicando
σ; quindi registriamo che dovremo dare un senso a queste nozioni:
la denotazione di nomi e predicati in stati cognitivi, e la
correttezza di tali denotazioni relativamente a stati cognitivi.
Ma ci sono altri problemi di Gettier atomici che mettono in
luce una difficoltà molto più profonda. Consideriamo l’esempio
seguente: Smith crede giustificatamente l’asserto

(2) Jones è sposato

perché ieri è stato informato che Jones è il marito di Luisa da


un amico affidabile, il quale tuttavia ignora che Luisa è morta
da molto tempo; ma, all’insaputa sia di Smith che dell’amico,
Jones si è risposato con Anna; quindi (2) è vero, e Smith lo
crede giustificatamente, ma non sa che è vero. In questo caso non
si tratta di denotazioni scorrette del nome o del predicato;
dunque perché la giustificazione che Smith ha per (2) non è un
truth-ground di (2)? Mi pare che il modo più illuminante di
formulare la risposta sia questo: perché la ragione per cui (2) è
creduto da Smith non coincide con la ragione per cui (2) è vero,

(a) Jones is the man who will get the job, and Jones has ten coins in his pocket,
from which he correctly infers
(b) The man who will get the job has ten coins in his pocket.
As a matter of fact, unknown to Smith, he himself, not Jones, will get the job. And,
also, unknown to Smith, he himself has ten coins in his pocket. Smith is therefore
justified in believing (b), and (b) is true, but Smith does not know that (b) is true.
10

dove però la ragione per cui (2) è vero non è altro che la
ragione per cui lo crediamo vero noi, reporters della credenza o
comunque soggetti ‘più informati’ del soggetto della credenza. Si
tratta adesso di dare un senso preciso a questa risposta
intuitiva.
Sia σ lo stato cognitivo di Smith, σ’ il nostro. Il problema
essenziale è come definire le ragioni della credenza in modo tale
che la stessa ragione possa ripresentarsi in tempi diversi o
essere adottata da soggetti diversi. Il ragionamento di Smith può
essere ricostruito nel modo seguente: l’ipotesi che l’amico di
Smith sappia che Jones è il marito di Luisa – la chiamerò
l’ipotesi K – è la spiegazione migliore dei dati disponibili
nello stato cognitivo σ (tra i quali dati c’è il fatto che
l’amico ha detto a Smith che Jones è il marito di Luisa); quindi
Smith inferisce K (in base al principio dell’inferenza della
spiegazione migliore); K implica (2) (e Smith lo sa); dunque
Smith inferisce (2), e quindi crede (2). A questo punto è
opportuno fare due osservazioni.
Prima osservazione: in base all’analisi che ho proposto
dell’esempio, il candidato naturale ad essere la ragione della
credenza di Smith è l’ipotesi K; ma si osservi che, in primo
luogo, K non è un’informazione immediatamente disponibile in σ: è
solo la spiegazione migliore dei dati disponibili in σ. Se
adottiamo l’idea (proposta da van Fraassen e molti altri) delle
spiegazioni come risposte a domande-perché, possiamo dire che K è
la risposta migliore, in σ, a una domanda che sorge in σ (la
domanda D espressa dall’enunciato “Perché il mio amico mi ha
detto che Jones è il marito di Luisa?”). In secondo luogo, K non
coincide con la proposizione creduta, ma la implica
(congiuntamente con altre premesse)8. Dunque, generalizzando,
possiamo dire che ciò che individua R, nello stato cognitivo σ,
come una ragione per credere A è (i) il fatto che in σ sorge una
domanda-perché alla quale R costituisce la risposta migliore, e
(ii) il fatto che da R è inferibile A, o, se vogliamo, che R è
una condizione sufficiente di A.9
Seconda osservazione: la ragione per cui Smith crede (2) va
distinta dalla giustificazione che Smith ha per credere (2). La
prima, come abbiamo appena visto, è il fatto che l’ipotesi K sia
la risposta migliore alla domanda D; la seconda invece va
identificata con l’intero stato cognitivo σ, e non con la
semplice informazione che l’amico gli ha detto che Jones è il
marito di Luisa: molte altre cose sono necessarie affinché quella

8 Here I am assuming that some deductive apparatus is incorporated into the conceptual-
intentional system(s) of a subject (the system(s) postulated by Chomsky as responsible
for the semantic interpretation of syntactic structures).
9 Si osservi che R può coincidere con A: A è banalmente una ragione per credere A
11

informazione giustifichi la credenza di Smith – per esempio che


egli sappia che il suo amico è degno di fede e ben informato, che
egli non sappia che Luisa è morta, e così via.
Adesso confrontiamo σ con σ’. L’esempio che abbiamo fatto
non dice come noi siamo venuti a sapere che Jones si è risposato
con Anna, quindi è impossibile una ricostruzione dettagliata
della ragione per cui noi crediamo (2); ma c’è un’informazione
cruciale che è disponibile a noi e non a Smith: che Luisa è
morta; questo è sufficiente a rendere impossibile che l’ipotesi K
sia la risposta migliore, in σ’, alla domanda D (“Perché il mio
amico mi ha detto che Jones è il marito di Luisa?”) che sorgeva
in σ; in σ’ abbiamo certamente ragioni per credere (2), ma
nessuna di esse ha a che fare con la domanda D: il fatto che
l’amico di Smith gli abbia detto che Jones è il marito di Luisa
non svolge semplicemente alcun ruolo esplicativo in σ’. Nella
terminologia introdotta poco fa, la ragione per cui Smith crede
(2) non è la stessa per cui noi crediamo (2).
Dunque, ciò che dobbiamo richiedere, affinché una
giustificazione σ per un asserto atomico P(t) sia un truth-ground
di P(t) relativamente a σ’, è non solo che le denotazioni “P” and
of “t” in σ siano corrette relativamente a σ’, ma anche che
esista una domanda D che sorge in σ e tale che (i) la risposta
migliore ad essa sia la stessa in σ e in σ’, e (ii) tale risposta
sia condizione sufficiente di “P(t)”.
Per quanto ne so, questo requisito risponde a tutti i
controesempi di Gettier atomici. Per quelli logicamente complessi
la risposta è basata su un’idea generale: non c’è una ragione
uniforme del fallimento della definizione tradizionale di
conoscenza, ma la ragione varia al variare della struttura logica
dell’asserto creduto; quindi la definizione di “s sa che A” non
può essere esplicita: deve essere data per induzione sulla
complessità logica di A. Di conseguenza, anche la definizione di
truth-ground di A dovrà essere induttiva. Consideriamo per
esempio il secondo problema di Gettier, che è un esempio di
problema disgiuntivo.10 Se assumiamo che una giustificazione per

10 Un breve riassunto del problema: Smith ha forte evidenza per l’asserto seguente::
(a) Jones possiede una Ford;
ovviamente, (a) implica
(b) O Jones possiede una Ford, o Brown è a Barcellona;
Smith si rende conto di questa implicazione ed è quindi giustificato nel credere (b)
sulla base di (a). Ma immaginiamo che valgano altre due condizioni: But imagine that
two further conditions hold: primo, Jones non possiede una Ford; secondo, per pura
coincidenza, e all’insaputa di Smith, Brown è a Barcellona. In questa situazione Smith
non sa che (b) è vero, anche se (b) è vero, Smith crede che (b) è vero, ed è
giustificato nel crederlo.
12

A∨B è o una giustificazione per A o una giustificazione per B,11


possiamo spiegare perché Smith non sa che è vera la disgiunzione
dicendo che, sebbene abbia una giustificazione per la
disgiunzione, non ha un truth-ground della giustificazione; e il
rimedio consiste nel definire un truth-ground per A∨B come un
truth-ground per A o un truth-ground per B.12 Per quanto ne so,
tutti i problemi di Gettier (o perlomeno tutti quelli che ho
esaminato) possono essere risolti con questa strategia.
Spero di aver dato un’idea abbastanza precisa di come
possono essere definite le nozioni di giustificazione e di truth-
ground. A questo punto si può stipulare che un asserto A è vero
relativamente a uno stato cognitivo σ sse esiste una
giustificazione j per A che è un truth-ground di A relativamente
a σ. Le definizioni formali si trovano in Appendice.

3. Osservazioni finali.

Ho detto all’inizio che l’idea di definire la verità di A come


esistenza di una sua giustificazione sembra implausibile, in
quanto ha come conseguenza la possibilità che A sia vero oggi e
falso (o perlomeno non vero) domani. Ora, c’è un senso per cui io
ho effettivamente proposto di identificare la verità di A con
l’esistenza di una sua giustificazione: infatti, l’ho definita
come esistenza di un truth-ground di A, ma ho anche proposto di
concepire i truth-grounds come giustificazioni, più precisamente
giustificazioni che continuano ad essere tali anche nello stato
cognitivo in cui viene effettuata la valutazione di A; dunque, in
base alla mia definizione può accadere che A sia vero oggi e non
vero domani. La domanda che si pone è dunque se ho proposto una
definizione completamente implausibile di verità, vale a dire una
definizione non materialmente adeguata.
La questione dell’adeguatezza materiale è vasta e complessa,
in quanto equivale, in sostanza, alla domanda: “Quali condizioni
deve soddisfare un predicato per essere un predicato di verità?”,
ed è noto che, anche in ambito realista, non c’è una risposta
univoca. Io vorrei soltanto suggerire, in conclusione, che c’è un
altro senso per cui identificare la verità di A con l’esistenza
di un truth-ground di A non è implausibile.
In primo luogo: perché ci sembra implausibile che un asserto
sia vero oggi e non vero domani? La mia ipotesi è che in questo
senso di implausibilità siano confuse insieme due intuizioni: (i)

11 This is not strictly necessary; one might make the weaker assumption that a
justification for A∨B is an effective means of obtaining either a justification for A
or a justification for B
12 If one made the weaker assumption mentioned in the preceding footnote, a
correspondingly weaker clause would be appropriate.
13

che la verità è una proprietà degli asserti (non contenenti


indicali) stabile nel tempo; (ii) che una nozione temporale di
verità è irrimediabilmente soggettiva, mentre l’oggettività è una
caratteristica irrinunciabile verità.
Alla prima ragione di perplessità rispondo che, nel mio
approccio, la verità non è una proprietà degli asserti ma una
relazione tra asserti e stati cognitivi: la relazione che
sussiste tra A e σ quando esiste una giustificazione per A che è
un truth-ground di A relativamente a σ; il fatto che tale
relazione possa sussistere tra A e σ e non tra A e un σ’
successivo a σ (cioè individuato da un indice temporale
successivo a quello di σ) dipende dalla caratteristica degli
asserti empirici, messa in luce all’inizio, in base alla quale un
asserto empirico giustificato può perdere questo suo status in
seguito a un incremento di infomazione; un asserto matematico non
ha questo genere di instabilità, neanche nel mio approccio.
D’altra parte, la natura relazionale non è una caratteristica
della verità soltanto in un quadro concettuale antirealista: per
esempio, nella semantica dei mondi possibili, che è indubbiamente
una semantica congeniale a una teoria realista del significato,
il concetto di verità è altrettanto relazionale che
nell’approccio che ho presentato qui.
La seconda ragione di perplessità, come ho detto, è che una
nozione temporale di verità, come quella che io propongo, sembra
essere irrimediabilmente soggettiva. Questa idea è stata
sostenuta da Prawitz (1998). Prawitz chiama “soggettiva” o
“relativista” ogni concezione della verità in base alla quale non
c'è differenza tra l'essere vero di uno statement e il suo essere
preso per vero (da un soggetto individuale o collettivo); e poi
argomenta che, affinché tale differenza ci sia, cioè affinché una
concezione della verità sia oggettiva, è necessario che un
asserto non diventi vero in virtù del fatto che noi lo
verifichiamo: la possibilità di una verifica diretta (che per lui
equivale alla verità dell’asserto) doveva già sussistere prima
della nostra verifica. In altre parole: se uno statement diventa
vero nel momento in cui lo riconosciamo tale, è il nostro atto di
riconoscerlo vero che lo rende vero, e dunque la verità non è una
proprietà oggettiva di uno statement.
A me pare che Prawitz stia confondendo due tesi. Una è la
tesi generale che se un enunciato è reso vero dalla nostro
verificarlo, allora la verità è irrimediabilmente soggettiva.
L’altra è una tesi molto più specifica, che presuppone la
distinzione neoverificazionista tra verifiche canoniche e
verifiche non-canoniche, e la caratterizzazione di queste ultime
come metodi per ottenere verifiche canoniche; la tesi è che il
concetto di verifica di A è fissato una volta per tutte
14

(atemporalmente) quando vengono definiti il concetto di verifica


canonica di A e il concetto di metodo per ottenere una verifica
canonica di A, e che dunque la scoperta di una verifica di A non
mette capo a una modifica del concetto di verifica canonica.
Ora, Prawitz argomenta in realtà a sostegno della seconda
tesi, come dimostra il fatto che, per farlo, critica l’idea di
Wittgenstein che la scoperta di una nuova prova di A modifichi il
concetto stesso di prova di A; ma con questo non offre alcun
argomento a sostegno della prima tesi. Io non contesto la seconda
tesi (che al contrario mi pare plausibile); ma nego che essa
implichi la prima. Come ho detto, la seconda tesi presuppone la
distinzione tra verifiche canoniche e non-canoniche; ma è
perfettamente possibile proporre definizioni di giustificazione e
di verità che non presuppongono tale distinzione: la mia proposta
illustrata sopra è un esempio. Dunque, a sostegno della prima
tesi Prawitz non offre alcun argomento:dal fatto che A diventi
vero in seguito al nostro riconoscimento della sua verità non
segue affatto che il nostro riconoscimento della sua verità sia a
sua volta un atto arbitrario, non sottoposto a regole, e dunque
puramente soggettivo.
Al contrario è perfettamente coerente sostenere che un
asserto diventa vero nel momento stesso in cui lo riconosciamo
vero, e dunque che lo rendiamo vero con il nostro riconoscimento,
e che nello stesso tempo il nostro riconoscimento non è un atto
soggettivo. Come abbiamo visto, la risposta alla domanda “Sono
autorizzato ad applicare il concetto denotato dal predicato “P”
all’oggetto denotato dal nome “n”?” dipende da una computazione;
dunque anche la risposta alla domanda “Ho una giustificazione per
credere P(n)?” dipende da una computazione, e così pure la
risposta alla domanda “La giustificazione che il soggetto s ha
per credere P(n) è un truth-ground?”; e il risultato di una
computazione non è affatto arbitrario né soggettivo, sebbene sia
ottenuto nel tempo.
15

Riferimenti bibliografici

Berker, S. (2008). “Luminosity Regained”, Philosopher’s Imprint


8, 2, pp. 1-22.

Floridi, L. (2004). “On the Logical Unsolvability of the Gettier


Problem”, Synthese 142.1, pp. 61-79.

Prawitz, D. (1980), "Intuitionistic logic: a philosophical


challenge", in G.H.von Wright (ed.), Logic and
Philosophy, The Hague, Nijhoff; pp. 1-10. [Trad.
it. di A. Parodi in Bottani e Penco (1991), pp.
176-187.]

Prawitz, D. (1998). "Truth from a constructive perspective", in


C. Martínez et al. (eds.), Truth in Perspective,
Ashgate, Aldershot, pp. 23-35.

Shope, R. K. (1983). The Analysis of Knowing: A Decade of


Research, Princeton U.P., Princeton.

Usberti, G. (1992). "Logique constructive et donkey-anaphore", in


J. Dubucs e F. Lepage (eds.), Méthodes logiques
pour les sciences cognitives, Hermès, Paris, 1995,
pp. 377-394.

Williamson, T. (2000). Knowledge and Its Limits, Oxford, Oxford


University Press.

Zagzebski, L. (1994). “The Inescapability of Gettier Problems”,


The Philosophical Quarterly 44, 174, pp. 65-73.
16

APPENDICE.
Definizioni formali.

1. Stati cognitivi atomici.

Definition 1:
An atomic cognitive state is a septuple
σ = <i,ec,at,class,inf,<pC1,...,pCn>,R>, where
- i is a time;
- ec is a function associating to every name n and to every
predicate P an epistemic content ecn and ecP, respectively;
- at is a term of IRS (the Internal Representation System)
activated at time i;
- class is a function associating to every term t of IRS a
classification function classt;
- inf is a function associating to every term t of IRS a
certain amount of information inft, and to every primitive
predicate P a certain amount of (supplementary) information
infP;
- <pC1,...,pCn> is a finite collection of feature-checking
programs;
- R is a relevance relation between statements and couples
<Pk,X>, where X = {P1,…,Pk,…};

2. Nomi.

If a cognitive state σ is specified, then for every name n the


following question has a definite computational meaning: “Does
ecn authorize an idealized subject to use n to refer to the
entity given by at, in presence of infat?”. It has a definite
computational meaning in the sense that the answer does not
depend on any other hidden feature of the context; it exclusively
depends on the following two questions:

(1) The Matching question for the name n:


Does match(ecn, infat)=1? I.e., is there an appropriate
matching between ecn and infat?

(2) The Uniqueness question for the name n:


For every term t’ such that match(ecn,inft’)=1, is /t’/=/at/?

If the answer to both questions are affirmative, in the cognitive


state σ one is authorized to use n to refer to the entity given
17

by at, otherwise one is not. We can therefore give the following


definition:

Definition 2.
A cognitive authorization to use n to refer to the entity
given by at is an atomic cognitive state
σ = <i,ec,at,class,inf> such that both the answer to the
Matching Question and the answer to the Uniqueness Question
is YES.

Given a cognitive state σ = <i,ec,at,class,inf>, for every name n


the following relation EQn can be defined on the set of terms of
IRS:

Definition 3.
tEQnt’=def match (ecn, inft)=1 iff match (ecn, inft’)=1.

Obviously EQn is an equivalence relation, so it induces a


partition on the set of terms of IRS. I will denote by “/t/σ,n”
the equivalence class of the term t.
When σ = <i,ec,at,class,inf> is a cognitive authorization to
use n to refer to the entity given by at, an idealized subject s
in σ is intuitively authorized to use n to refer to /at/σ,n; so it
is natural to identify /at/σ,n with the denotation of n in the
state σ, which I shall denote with the symbol “|n|σ”:

Definition 4.
The denotation of the name n in the cognitive state
σ = <i,ec,at,class,inf> (in symbols |n|σ) is /at/σ,n.

Definition 5.
A cognitive state σ’ = <i’,ec’,at,class’,inf’> is better than
σ = <i,ec,at,class,inf> with respect to the name n (in
symbols σ’≥nσ) iff the following condition (a) and one of the
conditions (b) or (c) are satisfied:
(a) infat is part of inf’at’;
(b) ecn is part of ecn’;
(c) ecn is not part of ecn’, and the association of ecn’ to n
yields a better explanation of the data contained in inf’at
than the association of ecn.

Definition 6.
The cognitive state σ is n-correct relatively to the
cognitive state σ’ iff conditions (a) and (b) of Definition 6
18

are satisfied. It is n-incorrect relatively to σ’ iff


conditions (a) and (c) of Definition 6 are satisfied.

Definition 7.
The cognitive state σ = <i,ec,at,class,inf> is n-correct and
n-complete relatively to the cognitive state
σ’ = <i’,ec’,at’,class’,inf’> iff conditions (a) and (b) of
Definition 6 are satisfied and, for every term t’ such that
match(ecn,inft’)=1, /t’/=/at/.

We can now define the notion of correct denotation:

Definition 8.
For all cognitive states σ and σ’, the denotation |n|σ of n
in σ is correct relatively to σ’ iff σ is n-correct and n-
complete relatively to σ’.

Notice that, for every σ, |n|σ is correct relatively to σ.

3. Predicati.

Now suppose that in the cognitive state σ an epistemic content is


associated to the predicate P in which the feature configuration
C is specified: if there is, among the programs accessible in σ,
a feature-checking program computing the k-ary function fC, fC
itself will be the obvious candidate to be the denotation of P in
σ.
If pre-linguistically accessibile concepts are the natural
denotations of primitive predicates nothing prevents a predicate
from denoting a 'linguistically constituded’ concept. For
example, consider the predicate “bachelor”, and suppose that the
associated epistemic content includes the features configuration
“ADULT AND MALE AND NOT-MARRIED”; if programs computing fADULT,
fMALE, FMARRIED, fNOT and fAND are accessible in σ, and if the
computational component of the C-I system is equipped with some
logical machinery,13 also a program checking the presence of the
complex feature “ADULT AND MALE AND NOT MARRIED” will be defined,
hence fADULT-AND-MALE-AND-NOT-MARRIED - i.e.FBACHELOR – will be accessible
and denoted by “bachelor”.
We can therefore define the notion of denotation for
predicates in the following way:

13 As it would be plausible to assume.


19

Definition 9.
The denotation of the k-ary predicate P in the cognitive
state σ = <i,ec,at,class,inf,<pC1,...,pCn>> (in symbols |P|σ)
is the k-ary function fC.

Definition 10.
A cognitive state σ’ = <i’,ec’,at’,class’,inf’> is better
than σ = <i,ec,at,class,inf> with respect to the predicate P
(in symbols σ’≥Pσ) iff the following condition (a) and one of
the conditions (b) or (c) are satisfied:
(a) infP is part of inf’P;
(b) ecP is part of ecP’;
(c) ecP is not part of ecP’, and the association of ecP’ to P
yields a better explanation of the data contained in inf’P
than the association of ecP.

Definition 11.
The cognitive state σ is P-correct relatively to the
cognitive state σ’ iff conditions (a) and (b) of Definition
12 are satisfied. It is P-incorrect relatively to σ’ iff
conditions (a) and (c) of Definition 12 are satisfied.

We can now define the notion of correct denotation:

Definition 12.
For all cognitive states σ and σ’, the denotation |P|σ of P
in σ is correct relatively to σ’ iff σ is P-correct
relatively to σ’.

Notice that, for every σ, |P|σ is correct relatively to σ.

4. The Application Question.

Once a cognitive authorization σ to use the predicate P in order


to apply the concept C to objects has been specified, the
following question has a definite computational meaning, for
every name n:

(3) The Application Question for P in σ:


Does |P|σ apply to |n|σ?

Since |P|σ=fC, where C is the feature-configuration specified by


ecP, the answer is YES iff fC(|n|σ)=1; since |n|σ=/at/σ,n and
20

fC(|n|σ)=1 iff pC(t)=1 for all t∈|n|σ, the answer is YES iff
pC(t)=1 for all t∈|n|σ.
The procedure to get an answer to the Application Question
is the following:

(4)(A) Direct cases:


1) select pC;
2) order the elements of |n|σ in a list t1(=atn),...,tk;
3) select, among the ti‘s (1≤i≤k), the e-bestσ specimen tb of
|n|σ.
4) apply pC to tb;
5) if the answer is 1, then pC(|n|σ)=1;
if the answer is 0, then pC(|n|σ)=0.

(B) Indirect cases:


1) verify whether there is a why-question Q such that Q arises
in σ and the hypothesis that pC(|n|σ)=1 is the best answer to
Q or a logical consequence of the best answer to Q;
2) if the answer is 1, then pC(|n|σ)=1;
if the answer is 0, then pC(|n|σ)=0.

In the light of the preceding discussion the notion of


e(xplanatorily)-bestσ specimen can be defined as follows: it is
the term that permits to give the best answer to a question
arising in the cognitive state σ.

5. La nozione di C-giustificazione.

Let L be a first-order language containing, as logical


constants, ⊥, ∧, ∨, ⇒, ∀, ∃ and, as extra-logical constants, a
set N of names and a set P of n-ary predicates, for every n. A
cognitive structure for L is a pair C = <S,M>, where S is a
temporal sequence of atomic cognitive states σ1,σ2,… and M a
meaning-assignment, i.e. a function such that for every name n,
for every predicate P and for every atomic cognitive state
σ = <i,ec,at,class,inf,<pC1,...,pCn>,R> in S, M(σ,n)= ecn, e
M(σ,P) = ecP.

Definition 13.14

14 Abbreviations: “C-j.” for “C-justification”; “a.c.s.” for “atomic cognitive state”;


“hyp.” for “hypothesis”; “itbataqai” for “is the best answer to a question arising in”.
21

Let a cognitive structure C= <S,M> be given.


- A C-j. for an atomic statement P(n) is an atomic cognitive state
σ of S such that the answer to the Application Question for P as
applied to n (Does |P|σ apply to |n|σ?) is YES.
- A C-j. for ⊥ is an atomic cognitive state σ of S such that a
contradiction is known in σ.
- A C-j. for A∧B is an a.c.s. σ in which the hyp. that there is a
pair <j1,j2>, where j1 is a C-j. for A and j2 is a C-j. for B,
itbataqai σ.
- A C-j. for A∨B is an a.c.s. σ in which the hyp. that there is a
method whose execution yields, in a finite time, either a C-j.
for A or a C-j. for B itbataqai σ.
- A C-j. for A⊃B is an a.c.s. σ in which the hyp. that there is
a method associating to each C-j. for A a C-j. for B itbataqai σ.
- A C-j. for ∀xA is an a.c.s. σ in which the hyp. that there is
a method associating to each c∈D a C-j. for A(c) itbataqai σ.
- A C-j. for ∃xA is an a.c.s. σ in which the hyp. that there is a
method whose execution yields, in a finite time, a pair <c,j>,
where c∈D and j is a C-j. for A(c), itbataqai σ.

6. La nozione di C-truth-ground.

Definition 14.
Let a cognitive structure C= <S,M> be given.
- If j is a C-justification for an atomic statement P(n), then j
is a C-truth-ground of P(n) relatively to σ (in symbols j⊨C σP(n),
or more simply j⊨σP(n)) iff both the denotation of P in j and the
denotation of n in j are correct relatively to σ, and one of the
following conditions holds:
(i) The procedure to get an answer to the Application
Question is the one for Direct cases, and the e-bestj specimen tb
of |n|j is the e-bestσ specimen of |n|σ.
(ii) The procedure to get an answer to the Application
Question is the one for Indirect cases, and the hypothesis that
pC(|n|j)=1 is the best answer in σ to the same why-question Q
that Q arises in j.
- No C-j. for ⊥ is a truth-ground of ⊥.
22

- If j is a C-justification for B∧C, it can be identified with a


pair <j1,j2>, where j1 is a C-j. for A and j2 is a C-j. for B.
Then j⊨Cσ A iff j1⊨Cσ B and j2⊨Cσ C.
- If j is a C-justification for B∨C, it can be identified with a
method whose execution yields, in a finite time, either a C-j.
for A or a C-j. for B. Then: if the execution of j gives a j'
which is a C-j. for B, then j⊨Cσ B∨C iff j'⊨Cσ B; if the execution
of j gives a j' which is a C-j. for C, then j⊨Cσ B∨C iff j'⊨Cσ C.
- If j is a C-justification for B⊃C, it can be identified with a
method associating to every C-j. j’ for B a C-j. j(j’) for C.
Then j⊨Cσ B⊃C iff, for every j’, if j’⊨Cσ B, then j(j’) ⊨Cσ C.
- If j is a C-justification for ∀xB, it can be identified with a
method associating to each c∈D a C-j. j(c) for A(c). Then
j⊨Cσ ∀xB iff, for every c∈D, j(c)⊨Cσ B[c/x].
- If j is a C-justification for ∃xB, it can be identified with a
method whose execution yields, in a finite time, a pair <c,j>,
where c∈D and j is a C-j. for A(c). Then: j⊨Cσ ∃xB iff the
execution of j gives a j' such that j’⊨Cσ B[c/x].

7. Verità e validità.

Definition 15.
A is C- true relatively to σ (in symbols ⊨C σ A) iff there is a C-
justification j for A such that j⊨C σ A.

Definition 16.
A is C-constructively valid (in symbols ⊨C A) iff there is a C-
justification j for A such that, for every σ∈C, j⊨C σ A.

Definition 17.
A is constructively valid (in symbols ⊨ A) iff, for every
cognitive structure C, ⊨C A.

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