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Il 

Voicecraft di Jo Estill, ovvero il gioco delle


figurine vocali, fatto 'scienza'...
 
Il 'voicecraft', singolare metodo di canto,
significativamente definito 'non metodo' dai suoi
stessi sostenitori, nasce negli anni ottanta del
Novecento per opera di Jo Estill e già nel nascere
incomincia a farsi notare per i suoi plateali
cortocircuiti logici.
'Voicecraft' significa letteralmente 'artigianato della
voce', ma in questo caso ci troviamo di fronte a un
ben strano artigianato, un 'artigianato' in cui l
´''artigiano', per costruire un tavolo, dovrebbe prima 
farsi una radiografia delle mani, studiarne uno per
uno i muscoli su un atlante di anatomia e poi
continuare a pensarci, mentre sta costruendo il
tavolo......Afferma infatti la Estill che la prima delle
tre fasi o aspetti in cui si articola l' esperienza del
canto, è il 'craft', che sarebbe appunto da porre in
relazione con la fisiologia, affermazione questa che
lascia stupefatti, dato che anche i bambini sanno che
nessun 'artigiano-artista' della storia (sia questo
Cellini o Farinelli) ha mai basato la propria abilità
(manuale o vocale) sulla minima conoscenza delle
proprie mani o delle proprie corde vocali (di cui anzi
avrà ignorato beatamente l'esistenza) e che a nessun
pianista si richieda la conoscenza anatomica dei
muscoli delle proprie mani e neppure l'iscrizione a un
corso per accordatori....
Che un' 'intuizione' del genere abbia potuto costituire
la base di un metodo di canto con pretese
scientifiche, fa sorridere, ma in fondo non c' è da
meravigliarsi. Il modello di scienza a cui si ispira,
infatti, è quello che informa tuttora la mentalità
corrente, sfasata di più di un secolo rispetto alle
concezioni scientifiche più avanzate: è un modello
che rispecchia la veteroscienza del diciannovesimo
secolo, una scienza piattamente meccanicistica,
distante anni luce dalla scienza contemporanea dei
'quanti e delle 'superstringhe', una scienza ingenua,
che ancora crede che l' apprendimento del canto sia
questione di manovrare leve più o meno astruse,
astrusamente chiamate, in questo caso, “figure
obbligatorie.”  Il paradosso (tra i tanti), che in tal
modo si viene a creare, è il seguente: una volta erano
gli strumenti musicali ad aspirare alla condizione del
canto, imitandone anche il vibrato; adesso è il canto
che dovrebbe 'assurgere' al rango di macchina o
strumento musicale meccanico-digitale, simulando
tasti, imitando sirene e riproducendo artificialmente
dall'esterno, copiandolo, addirittura il proprio vibrato
naturale....
L'inventrice di questo 'metodo-non-metodo', di
questo 'artigianato non-artigianale' chiamato
'voicecraft', e cioè Jo Estill, fin dall'inizio mostra
quella miscela di ingenuità, ignoranza, pionerismo e
miopia intellettuale, che sempre caratterizza imprese
del genere. Esso si manifesta innanzitutto nel ritenere
superfluo il passare al vaglio dei principi elaborati da
una tradizione secolare, quella del belcanto italiano,
le proprie ipotesi, anzi nel passarci tranquillamente
sopra...
Qualche esempio di questa faciloneria sedicente
'scientifica':
1)- la scuola di canto italiana storica, cui è da
ricondurre la genesi e lo sviluppo del belcanto
(universalmente riconosciuto come modello
insuperato di accordo tra perfezione estetica ed
efficienza acustica e fisologica), ha sempre
considerato la respirazione e il respiro come fattore
“centrale” nello sviluppo della voce (Mancini,
1777), arrivando a definire il canto all'italiana come
“scuola del respiro” (Delle Sedie, 1887). A partire
dalla fine dell'Ottocento a oggi il vero significato di
questa indicazione si è andato sempre più perdendo e
pervertendo in mero meccanicismo muscolare. Di
fronte a questo problema la 'logica' della Estill
ragiona in questo modo: la respirazione è ormai
inutilizzabile ai fini del canto (perché meccanizzata,
n.d.a.), dedichiamoci quindi ad altri settori della voce
(la laringe e le cavità di risonanza)
e....meccanizziamo anche quelli....(!!)
Il 'laringocentrismo' colpisce quindi anche la Estill
(come già la Rohmert) e non si rende riconoscibile
per quello che è (una fissazione in tutti i sensi),
perché visto come 'scienza', parola dotata per molte
persone di un incredibile potere di fascinazione.
L'illusione in cui cadono questi non scienziati,
idolatri della scienza, è quella di pensare che le
nozioni astratte, puramente cerebrali, di 'corde vocali'
e del loro funzionamento abbia qualche rapporto con
loro capacità di controllo. La falsità di questo assunto
è autoevidente (altrimenti tutti i foniatri
canterebbero), ma si sa che chi si autoipnotizza,
riesce a vedere vestito dei vestiti più meravigliosi il
re, anche quando è nudo...(Ovviamente se ad essere
sorpreso vestito di vestiti invisibili non è il re, ma un
suo sguattero, questo allora sarà visto semplicemente
e squallidamente come nudo, e in tal caso
l'autoipnosi non funzionerà..)
2)- la scuola del belcanto ha sempre considerato i
vocalizzi come fondamentali per lo sviluppo della
voce. Arriva la 'ricercatrice' Estill, che invece li
ritiene sostituibili con.....le 'sirene' vocali,
dimostrando in tal modo di ignorare totalmente che
cosa sia il 'legato'. I maestri del belcanto hanno
sempre considerato il 'legato' come la sostanza stessa
del vero canto, tanto che Lamperti ha affermato
perentoriamente: “chi non lega, non canta”. In Italia
esso è stato tradizionalmente paragonato alla collana
di perle, in cui le singole perle sono staccate e
insieme unite intimamente le une con le altre dal filo
che le attraversa. Le 'sirene' vocali dei metodi
moderni, coi loro 'glissandi', rappresentano il nuovo
modo, 'scientifico' di collegare le perle tra loro, ossia
non col filo, ma con la colla...In questo modo si
perde l'articolazione 'chiara e distinta' delle note, che
nel canto classico deve sempre coesistere e
armonizzarsi, come in tante altre coppie di opposti
del canto, col suo contrario: il flusso uguale e dolce
dell'energia.
L'arte del collegare intimamente col filo (in greco
'logos'...) è un'arte perduta (come tante altre) nel
canto odierno. Sia la Estill, sia Seth Riggs si
dedicano così al gioco delle perle senza filo: o le
utilizzano come proiettili di una mitragliatrice,
oppure le incollano tra di loro, ignorando che solo il
filo fa di una serie di perle quella nuova 'forma
creativa', che chiamiamo collana di perle.....
3)- La tradizione belcantistica ha individuato nel
'sorriso interno' (concepito come sensazione vitale e
tendenza dinamica e flessibile, non certo come
posizione statica prefissata) quasi il simbolo stesso
del canto, la cui essenza profonda è estatica.
Ignorando e contraddicendo tale principio, rimasto
immutato dal Settecento alla fine dell'Ottocento, la
Estill afferma invece: “quando mi sono resa conto
che il motivo per cui la mia voce era così
eccezionalmente bella, era perché 'piangevo' mentre
cantavo” (??!!) “lo choc mi ha cambiato la vita....”
(uno choc a catena, quindi, se pensiamo all' effetto
comico che a persone che sappiano qualcosa di
canto, suscita un'affermazione del genere...)   Già il
fatto di rileggere la propria storia personale nella
chiave mitica dell' improvvisa illuminazione e
'conversione' (sul modello della 'folgorazione' di S.
Paolo e dei 'lampi di genio' di Archimede e di
Newton) lascia molto perplessi. Apprendere poi dalla
Estill che la scintilla che determinò questa
folgorazione  fu la consapevolezza del 'pianto', fa
letteralmente cadere le braccia....In sostanza, una
sensazione, il 'pianto', appartenente al novero di
quelle sensazioni soggettive, deprecate come
'empiriche' proprio dalla Estill, rappresenta
paradossalmente il fondamento di un metodo, come
il voicecraft, che si propone di sostituire alla
arbitrarietà delle sensazioni dei metodi tradizionali l'
obiettività delle scienza. Il pianto diventa 'ipso facto',
col nome di 'sob' (!!) o 'sob-cry', una delle “qualità
vocali” su cui secondo il metodo-non-metodo
'scientifico' del voicecraft, si baserebbe il canto.
Queste qualità vocali inizialmente si assestano
attorno al numero sei e poi, significativamente
raggiungono il numero di sette, numero fatidico
ottenuto per 'scissione', tra l'altro, di una delle
peggiori 'qualità', il cosiddetto 'twang', sdoppiatosi in
“twang nasale” e “twang orale”.
Ma per quanto aberrante sia (non in sé e per sé, ma
per come è stato concepito e sviluppato dalla Estill) il
discorso sulle qualità vocali, il voicecraft non poteva
accontentarsi di una premessa così poco
meccanicistica. Occorreva qualcosa dall'apparenza
più 'scientifica', occorreva costruire un castello di
carte con l'etichetta anatomica & fisiologica e,
trattandosi appunto di un castello di carte, il
voicecraft non poteva partire che da.....'figurine':  le 
cosiddette 'figure obbligatorie', appunto, ossia
distinte e specifiche configurazioni muscolari per
ogni aspetto della voce (quindi di per sé
coordinazioni muscolari statiche, rigide e grossolane,
perché prodotte dalla mente razionale), finalizzate a
realizzare l'aspirazione veteroscietifica a un controllo
meccanico diretto dei muscoli.
A smentire questa infantile utopia basterebbe la
semplice constatazione che l' uomo reale (e non i
'frankenstein' partoriti dalla fantasia del voicecraft)
non soltanto non è costitutivamente ('ergo'
scientificamente) in grado di emettere nessun suono
senza passare attraverso la mediazione e l'evocazione
della rispettiva immagine mentale, ma che addirittura
i semplici atti del soffiare aria fredda e alitare aria
calda non possono realizzarsi, se noi ci limitiamo ad
agire direttamente sui muscoli espiratori, senza aver
evocato l'immagine sintetica e il ricordo del 'soffiare'
e dell' 'alitare', gesti appresi probabilmente per
imitazione.  Questo è il modo in cui l'essere umano è
fatto obiettivamente e dai dati obiettivi dovrebbe
partire ogni scienza che non voglia rimanere banale
fantascienza. Analogamente è fuorviante e illusorio
pensare e far credere che determinati gesti vocali ,
come ad esempio l'attacco duro, l'attacco morbido e
l'attacco aspirato, siano prodotti da un controllo
muscolare diretto. Anche in questo caso, infatti,
occorrerà evocare specifiche sensazioni fonatorie, già
insite nella definizione dei tre tipi di attacco del
suono, se non addirittura entrare in specifici 'file' ,
inseriti nel nostro 'corpomente' dalla natura, che
vanno dal gesto del 'sussurrare' al 'colpo di tosse'.
Pertanto le cosiddette 'figure obbligatorie', cioè
precise manovre muscolari, che dovrebbero attivare
distinti meccanismi fonatori, rimangono alla periferia
del vero canto, in quanto coordinazioni troppo
grossolane per suscitarlo, e possono servire al
massimo per produrre fenomeni  di imitazione
esterna dei vari aspetti del canto. In conclusione, esse
sono utilizzabili in una scuola di imitatori vocali e di
'rumoristi', non in una scuola dove si insegni il
Canto, ma forse la Estill ignora la differenza, che è
sostanziale, tra canto e 'imitazione canora'. A
confermare questo sospetto bastano le 'figure'
deputate ad abbassare e ad alzare la laringe. Anche se
nel canto classico è rilassata in basso e non sale mai
al di sopra di un certo livello di guardia, per cui si
sarebbe tentati di  affermare che la sua posizione è
'bassa', in realtà, se si cerca di abbassarla
direttamente e localmente, si otterrà come risultato
non il suono del vero cantante lirico, ma la sua
caricatura che, non a caso, è quella che viene
presentata dalla Estill come esempio sonoro della
figura “opera” nel sito del voicecraft, a dimostrazione
che la sua conoscenza del belcanto e dell' opera è
quella che può avere una massaia di S. Diego, che
abbia sentito un giorno cantare Del Monaco alla
televisione...
Ma per quanto, da brava meccanicista, la Estill cerchi
di elaborare il numero più ampio di figure, tali da
coprire gli ambiti considerati più importanti del
canto, cioè la fonazione (col controllo diretto  diretto
della laringe) e i colori della voce (col controllo
diretto delle cavità di risonanza), è evidente il
carattere utopico di questo tentativo che, se fosse
riuscito, avrebbe dovuto logicamente dare origine, in
ossequio ai principi della precisione scientifica, a dei
libretti d'istruzione con indicazioni del tipo 'abbassa
di due centimetri e mezzo la laringe, dai una tensione
di accollamento medio alle corde vocali, alza di due
gradi il palato molle..” e via farneticando. In realtà
anche la Estill deve rassegnarsi, ma non lo riconosce
pubblicamente e, come gli illusionisti, fa rientrare di
nascosto dalla finestra quello che aveva fatto uscire
trionfalmente dalla porta, cioè le famigerate
“sensazioni empiriche”, mimetizzandole come
“qualità vocali”. Quindi alla fine non sono le 'figure
obbligatorie' a generare le varie 'qualità vocali', ma
come sempre succede nel canto, è il contrario e cioè
sono le 'qualità vocali', evocate mentalmente, a
mettere in azione le figure obbligatorie che
apparentemente ne sono la causa, con questa 'petite
difference' rispetto ai metodi tradizionali: che,
avendo stabilito questa relazione falsa,
grossolanamente meccanica, tra certe 'qualità vocali'
e certe 'figure obbligatorie', le prime rimarranno per
sempre 'segnate', per vero e proprio riflesso
condizionato, dal marchio della coordinazione
muscolare statica e rigida che di per sé 'qualifica' 
ogni atto meccanico, cioè concepito e realizzato in
modo volontario e localizzato e qui scambiato per
causa. Ora se pensiamo che il concetto di 'non-
località' rappresenta una delle idee fondanti della
moderna fisica quantistica, possiamo renderci conto
come le rozze manovre muscolari localizzate del
voicecraft non siano che dei carri di buoi, mascherati
da astronavi, ai tempi delle astronavi
intergalattiche... 
A dimostrazione del totale fallimento di ogni
tentativo di controllo muscolare diretto e locale nel
canto (fallimento doverosamente occultato dalla
Estill), queste 'qualità vocali', riferite alle varie
coordinazioni muscolari, non vengono definite né
con un'aggettivazione generica (ad esempio, qualità
'brillante', qualità 'morbida', ecc.), né con
un'aggettivazione specifica di tipo anatomico-
fisiologico (ad esempio qualità 'ariepiglottica', qualità
'cricotiroidea' ecc.), ma con termini che suggeriscono
già determinati 'gesti fonatori', gesti che sono radicati
e automatizzati nella coscienza fin dall'infanzia. Lo
stesso dicasi delle 'sirene', che secondo la Estill
dovrebbero sostituire i vocalizzi tradizionali e che
possono essere 'prodotte' solo per imitazione, non per
controllo muscolare diretto : insomma, alla maniera
dei bambini, quando, giocando con le automobiline,
imitano il rombo di un motore in accelerazione....La
scientifica Estill, quindi, partita 'lancia in resta' col
baldanzoso proposito di eliminare le fantasie
'empiriche' dei metodi tradizionali e di “sostituire il
mistero con la conoscenza” (dei muscoli....), alla fine
si ritrova costretta a far ricorso agli stessi espedienti
utilizzati dalla didattica 'empirica', anzi addirittura a
imitare i bambini, quando giocano a riprodurre i
rumori...
Quale sia la differenza tra i 'sorrisi', gli 'sbadigli', i
'vomiti', le 'cupole' e le 'coperture' della didattica
empirica, da una parte, e i 'singhiozzi-pianto', i
'parlati', le 'pernacchie' nasali e orali, i 'falsetti' e le
'sirene' del voicecraft, dall'altra, rimane un mistero, il
cui chiarimento da parte di qualche adepto non
potrebbe che giovare alla credibilità di questo 'non-
metodo', sedicente scientifico.
Se poi passiamo a vedere quali sono queste 'qualità
vocali', considerate dalla Estill come le componenti
fondamentali del canto, c'è da rimanere interdetti per
la assoluta arbitrarietà dei criteri di scelta per quanto
riguarda sia il numero, sia le caratteristiche acutiche
di tali 'qualità'...Vediamo infatti che qualità
dell'anticanto come il 'twang' e il 'belting', vengono
accostate a qualità 'neutre' come lo 'speech' (parlato),
mentre la qualità 'opera' viene messa sullo stesso
piano della figura 'falsetto'. L' ascolto diretto delle
sette 'qualità' ('speech', 'sob', 'nasal twang', 'opera',
'falsetto', 'oral twang', 'belt'), quali sono proposte
dalla Estill nelle sue esmplificazioni sonore, ci fa
capire poi chiaramente quale sia il livello di
conoscenza tecnico-vocale, su cui si basa tutto il
'non-metodo'.
Si capisce anche che l' insistenza da parte della Estill
e dei 'licenziatari' del voicecraft, nel voler far credere
di non porsi come fine l'insegnamento del canto, è il
classico mettere le mani avanti, smentito per altro
dalla semplice constatazione che tutti gli esempi sono
cantati. Ma vediamo di che 'qualità si tratta, partendo
dalla prima.
Lo 'speech' (parlato), per il quale uno si aspetterebbe
un collegamento con il significato dell'antica
intuizione 'belcantistica' del 'si canta come si parla',
viene invece concepito e presentato come un banale
suono sbiancato, effettuato a laringe alta. In pratica,
come al solito, l'attenzione è maniacalmente puntata
sulla posizione assunta dalla laringe nel parlato, che è
proprio quella che deve essere aggirata e superata, se
si vuole passare dal parlato al canto e non al banale
'parlato intonato' ! L' esempio sonoro della 'qualità
sob', che nel canto classico potrebbe corrispondere al
suggerimento tradizionale dell ''implorare' o del
'pianto alto' per facilitare il passaggio al registro
acuto delle voci maschili (tanto per farsi un'idea
dell'originalità del metodo...), è altrettanto
impresentabile per l' ariosità dell'emissione, ma si sa
che il canto di alto il livello, il canto 'sul fiato, 'aereo',
NON è canto arioso...
Il 'twang' poi (nella sua doppia forma, nasale e orale) 
è qualcosa di osceno e di ridicolo allo stesso tempo.
Pensare che questa vera e propria 'pernacchia' possa
costituire l'ingrediente di un qualsiasi tipo di canto,
significa non aver capito nulla di canto. Il twang
nasale e orale, infatti, non ha niente di naturale, nel
senso che non appartiene alla gamma sonora
dell'espressività umana, per lo meno nella forma in
cui viene presentato, che è di assoluta costrizione e
'spinta'. Il fatto poi che questo suono non esista nella
fonetica della lingua italiana e che sia stato bollato
dalle scuole belcantistiche come, rispettivamente,
“vizio del naso” (Tosi) e “belato” (Mancini),
avrebbe dovuto far capire che esso non c' entra
assolutamente niente né con la 'maschera', né con la
vera 'brillantezza' del suono, né col vero canto.
Pensare che il twang abbia a che fare con questi
fenomeni è come pensare che il sale e lo zucchero
sono uguali, solo perché entrambi sono
bianchi...Ovviamente gli italiani, nella loro storica
esterofilia, accettano acriticamente tutto ciò che
viene dai paesi anglosassoni, non sospettando
neppure che se una modalità fonatoria come il suono
nasale non appartiene alla lingua del paese dove è
nata e si è sviluppata la forma più elevata di canto,
quella modalità fonatoria non può logicamente essere
considerata la causa o una delle cause del canto per
eccellenza, cioè il canto a risonanza libera. Sarebbe
come introdurre nei metodi vocali l'aspirata araba e
teorizzare che essa è la fonte dell'emissione vocale
corretta, solo perché l'autore del metodo è arabo.... Il
fatto che singoli cantanti possano esibire determinati
vizi-vezzi vocali come la nasalità o che la nasalità
possa essere utilizzata come espediente momentaneo
per aiutare a risolvere singoli problemi vocali, come
l'eccessivo appesantimento del suono salendo al
registro acuto, non significa che essa sia da
considerare come elemento costitutivo della corretta
vocalità.
Se passiamo all' ascolto del successivo esempio di
'qualità', la qualità 'opera' (rappresentata dalla
grottesca imitazione di un cantante lirico),
incomincia a sorgere il sospetto che se la Estill, con
le altre qualità, non è riuscita a compiere il miracolo
della trasformazione del rumore in canto, con questa
'qualità', invece, è riuscita perfettamente a compiere
il miracolo contrario della trasformazione del canto
se non in rumore, in 'caricatura vocale'...
Anche la qualità 'falsetto' lascia perplessi, non fosse
altro che per la disinvoltura con cui il suo significato
originale viene stravolto dalla Estill, che con esso
pare intendere un suono ancora più evanescente,
sbiancato e arioso di quello che avevamo sentito
come esempio della qualità 'speech'.
Infine, per l' insensatezza della scelta di inserire
come settima qualità il 'belting' (o 'belt'), basti
leggere cosa ne scrive in proposito il foniatra Franco
Fussi: “nel belting si riscontra la contemporaneità
dell'azione dei tre elementi abusivi della voce
(laringe alta, pressione sottoglottica elevata, tempo
di contatto cordale elevato), il che provoca
facilmente fonoastenia e il precoce deterioramento
della voce.”
Se si pensa che il voicecraft vorrebbe presentarsi
come il metodo scientifico, fisiologico e foniatrico
per eccellenza,  c' è da rimanere allibiti dall' assurdità
sia della scelta di certi 'prodotti sonori' come
'ingredienti' del canto, sia dell'esclusione di altre
possibili qualità vocali, più in sintonia non dico con
le concezioni belcantistiche, ma con la pura e
semplice dimensione umana: ad esempio, uno 'smile',
un 'laugh', un 'sigh of relief', un 'whisper'...
Ma pare che la Estill sia attratta più dalla bizzarria
fine a sé stessa delle forme sonore e delle contorsioni
muscolari ad esse collegate, che dallo studio del loro
effettivo rapporto logico col canto e della loro
effettiva utilità didattica ai fini del suo
apprendimento. Lo sperimentalismo e il pionierismo
fini a se stessi rappresentano evidentemente per la
Estill , così come per i fautori di molti altri 'nuovi'
metodi, gratificazioni molto più grandi di quelle
rappresentate da una ricerca vera delle fonti delle
vera essenza del canto. Questa può avvenire solo se
si ha l' umiltà di rispettare, nella propria ricerca, non
gli idoli di una scienza che spesso è solo
veteroscienza, scienza superata, quindi
pseudoscienza, ma i principi scoperti e valorizzati da
chi ha dimostrato coi fatti la propria conoscenza della
verità vocale, e mi riferisco ai maestri storici del
belcanto italiano: Tosi e Mancini nel Settecento,
Delle Sedie, Garcia e i Lamperti nell'Ottocento,
Richard Miller nel Novecento, tutti beatamente
ignorati dalla scientifica Estill. Se si ha la pretesa di
rivoluzionare questi principi, si dovrebbe avere la
decenza scientifica di provare coi fatti la validità dei
nuovi e da questo punto di vista non mi risulta che
esista alcun cantante, formato colle 'sirene' e le
'figure obbligatorie' della Estill, che abbia mai
dimostrato di essere a un livello superiore a quello di
un qualsiasi professionista medio, educato coi metodi
tradizionali. 
La spiegazione è evidente: studiosi della voce come
la Estill e altri autori moderni di presunti nuovi
metodi vocali, sembrano attirati dall'idolo della
laringe come la falena è attirata dalla luce artificiale,
e rimangono accecati...E' incredibile ciò che la Estill
non vede e non sente delle sue  stesse 'qualità'
(contraddistinte addirittura dal marchio: “Estill Voice
Qualities”...), perché calamitata dall'ossessione della
'posizione' della laringe durante il canto. Non sente
che in tutti gli esempi sonori da lei presentati
l'attacco è sbagliato e si sa che, in base alla tradizione
belcantistica, l'attacco, in quanto inizio, è la base di
tutti suoni successivi. Più precisamente, in quattro
'qualità' ('opera', 'twang nasale', 'twang orale',
'falsetto') l' attacco è sbagliato (innanzitutto ma non
solo), proprio per quanto riguarda il tipo di
vibrazione delle corde vocali: tese e poco 'elastiche'
nelle prime tre, 'flosce' e devitalizzate nella quarta.
Nelle altre tre 'qualità', ciò che si evidenzia
maggiormente è il disaccordo tra vibrazione e spazio
di risonanza: o insufficiente (nello 'speech'), o statico
e precostituito, cioè rigido (nel 'sob' e nel 'belt' ),
caratteristica quest'ultima, presente,per altro, anche
nella figura 'opera'. Non c'è da meravigliarsi per
questo: tutte le volte che si creano 'stampini' fissi e
dentro ci si illude di poter farvi stare la voce, questa
si ribella e i risultati sono quelli che sentiamo negli
esempi sonori presentati dal voicecraft. L'idolatria
per la scienza produce, tra gli altri, questo risultato:
far credere che, poiché un film è fatto di una serie di
fotogrammi, sia 'scientifico' vederlo un fotogramma
alla volta....In questo senso il voicecraft, con le sue
figure obbligatorie e le sue 'qualità' non di qualità,
non è che un cartone animato, privato per motivi
'scientifici' dell'animazione.... 
 
Quest' analisi critica del voicecraft ha preso lo spunto
dalla distinzione, operata dalla Estill, dei tre
'momenti' in cui si articola la dimensione del canto. Il
primo, abbiamo visto, è quello del 'craft, ricondotto
dalla Estill alla fisiologia, mentre il secondo è quello
dell''artistry', cioè delle capacità espressive e
interpretative. Se passiamo ora al terzo momento,
abbiamo immediatamente la chiave di lettura per
capire da dove nasce il particolare tipo di ricerca
scientifica della Estill. Il terzo momento è infatti,
incredibilmente, la 'Magia'....
Ora l' utilizzo, da parte di una ricercatrice scientifica,
di un termine come 'magia' per indicare l'espressione
più alta di quel fenomeno che si è fatto oggetto delle
proprie investigazioni scientifiche, è particolarmente
significativo e rivelatore. La scelta delle parole non è
mai casuale, sia essa conscia o inconscia. L'
evocazione della magia da parte della Estill suona
come un lapsus freudiano, che ci rende molto chiaro
il quadro psicologico in cui è nato e si è sviluppato il
suo discorso sul canto, iniziato col canto e proseguito
con le 'sirene' e le 'figure obbligatorie'.
La 'magia' col suo alone di onnipotenza infantile è in
realtà la 'figura nascosta' che fin dall'inizio ha mosso
le ricerche della Estill, ma che in un'epoca scettica e
materialistica come la nostra non poteva essere
accettata come tale (neppure nella sua veste
metaforico-simbolica di arte) , ma solo ritrovata
'sotto mentite spoglie' nel suo sostituto più autorevole
e prestigioso: la scienza.
La scienza, per la Estill come per molti, è la nuova
magia, quella che rende possibili, appunto, tutte le
magie.....:
1)- la trasmutazione del piombo in oro (pernacchie e
urli che diventano canto);
2)- la creazione dei gesti vocali più complessi per
semplice 'formulazione' di parole magiche, cioè
'dicendo' il nome scientifico della serie di muscoli
deputati a una determinata funzione;
3)- la 'trasvalutazione' di giochetti infantili ('sirene' e
rumori vari) in 'esperimenti scientifici';
4)- la 'animazione' delle figure immobili (e morte)
dell'atlante anatomico in forme vocali viventi;
5)- le 'laringoscopie' e le 'stroboscopie' come moderni
'oracoli' ed 'oroscopi';
 
e, 'dulcis in fundo', (6) la più grande magia:
l'elevazione di chi ha mostrato una fede incrollabile
in tutto ciò, al rango o di 'scienziato', o di 'iniziatore'
o di semplice 'iniziato'

Antonio Juvarra

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