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Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma

cxiii - n.s. xxii

BCom 2012 CXIII.indb 1 20/02/14 15:48


pubblicato a cura di
ROMA CAPITALE
ASSESSORATO ALLA CULTURA, CREATIVITÀ E PROMOZIONE ARTISTICA
SOVRINTENDENZA CAPITOLINA AI BENI CULTURALI
Sovrintendente  Claudio Parisi Presicce

Comitato scientifico
Eugenio La Rocca coordinatore - Hans-Ulrich Cain, Francesco De Angelis, Michel Gras,
Gian Luca Gregori, Chris Hallett, Lothar Haselberger, Tonio Hölscher, Pilar León,
Ricardo Mar, Marc Mayer, Luisa Musso, Domenico Palombi, Clementina Panella, Claudio
Parisi Presicce, Joaquin Ruiz de Arbulo, Thomas Schäfer, Rolf Schneider, Stefano
Tortorella, Desiderio Vaquerizo, Alessandro Viscogliosi, Andrew Wallace-Hadrill, Paul
Zanker.

Comitato di redazione
Claudio Parisi Presicce coordinatore - Maddalena Cima, Maria Gabriella Cimino, Susanna
Le Pera, Paola Rossi, Emilia Talamo. Francesca Ceci, Isabella Damiani, segreteria e revisione.

Il periodico adotta un sistema di peer-review

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Bullettino della Commissione
Archeologica Comunale
di Roma

CXIII

2012

«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

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COPYRIGHT © 2013 by «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER - ROMA
Via Cassiodoro, 19
Curatore redazionale Daniele F. Maras
con Alice Landi

Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma. - N.S. 1


(1987/88)- . - Roma : «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER, 1989- . - v. ; 29 cm.
- Annuale

ISSN 0392-7636
ISBN 978-88-8265-739-0

CDD 20.    930.1’05

Periodico: Autorizzazione Tribunale di Roma n. 523 del 24-10-1988

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Sommario

Il tempio presso S. Salvatore in Campo: lo stato della questione


di Dimosthenis Kosmopoulos 7

La bellezza di Roma, ovvero gli spazi della memoria e dell’identità. Alcuni aspetti urbanistici
tra Repubblica e Impero
di Eugenio La Rocca 43

Il Ponderarium-Augusteum di Tivoli: utilità, funzione e cronologia di un monumento


della vita civica
di Serena Caporossi 79

Excavaciones arqueológicas en la via Ariosto. iiiª zona del Esquilino (1874-2006).


Primera Parte: Restos arquitectónicos
di Elena Castillo Ramírez 97

L’insula sotto il Palazzo delle Assicurazioni Generali di Venezia in piazza Venezia a Roma
di Leandro Cucinotta 157

I LATINI SETTENTRIONALI
Ricerche e studi su Crustumerium e dintorni

a cura di
Francesco di Gennaro

Premessa
di L. Malnati 191

Caratteri degli insediamenti del Latium Vetus settentrionale


di Angelo Amoroso 193

Crustumerium: ricerche nell’area della trincea viaria


di Eero Jarva, Sanna Lipkin, Antti Kuusisto, Juha Tuppi, Markus Suuronen,
Anna-Kaisa Salmi 215

Scavi 1987-2011 nel sepolcreto crustumino di Monte Del Bufalo


di Francesco di Gennaro, Barbara Belelli Marchesini 229

Gli scavi dell’Università di Lipsia a Cisterna Grande e Monte Del Bufalo – Crustumerium (Roma)
di Wolf-Rüdiger Teegen, in collaborazione con Rosemarie Cordie e Sabine Rieckhoff 245

Indagini archeologiche nella necropoli di Cisterna Grande a Crustumerium:


sepolture arcaiche e identità funerarie
di Ulla M. Rajala 251

Tratti culturali della comunità antica di Crustumerium dagli scavi dell’Istituto d’Archeologia di
Groningen a Monte Del Bufalo
di Albert J. Nijboer, Peter A.J. Attema 263

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6 Sommario

Rapporti tra Crustumerium e l’Etruria. La ceramica


di Richard Daniel De Puma 279

Confini e organizzazione del territorio sulla sponda sinistra del Tevere tra Crustumerium,
Nomentum e Roma
di Luigi Finocchietti 285

A nord di Crustumerium: nuovi dati dall’abitato e dalla necropoli di Nomentum


di Paolo Togninelli 299

Relazioni su scavi, trovamenti, restauri in Roma e Suburbio 2009-2012 (prima parte):

MUNICIPIO I Strutture di epoca romana rinvenute in via


Quintino Sella 23
regioni v-vi di Sergio Fontana, Simona Piccirilli 362

Area nord-orientale del municipio i (quartieri Via Piacenza. Ritrovamenti archeologici


Quirinale, Ludovisi, Castro Pretorio). Rin- di Liliana Guspini 365
venimenti archeologici
di Simona Morretta 321 Via Genova e via Piacenza. Rinvenimenti ar-
cheologici
regione v di Bartolomeo Mazzotta 373

Via Marghera. Struttura muraria Via Veneto. Rinvenimenti archeologici


di Claudio Moffa 322 di Gloria Adinolfi, Rodolfo Carmagnola 375

Via Vicenza, 33. Rinvenimento di un am- Ambasciata degli Stati Uniti d’America a Roma.
biente dei Castra Praetoria presso l’istituto Ritrovamenti archeologici
“Suore Clarisse Francescane del SS. Sa- di Silvia Festuccia 378
cramento”
di Barbara Cardinali 323 Via Calabria, via Sicilia, via Campania, via
Puglie: nuove scoperte nell’area degli Horti
regione vi Sallustiani
di Valeria Fontana, Roberta Tanganelli (con
Ritrovamenti archeologici a via Cernaia – via la partecipazione di Eugenio Pischedda) 385
Castelfidardo
di Stefania Fogagnolo 327 regione viii

Via XX Settembre – via Goito. Un tratto delle L’area sacra di S. Omobono: nuove indagini
Mura Serviane di Paolo Brocato, Nicola Terrenato 398
di Paola Carrano, Alessandra Negroni 336
regione ix
Nuove testimonianze archeologiche lungo il
percorso dell’Alta Semita al Quirinale Area Sacra di Largo Argentina: indagini 2006
di Stefania Fogagnolo 338 di Monica Ceci, Riccardo Santangeli Valenzani 406

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La bellezza di Roma,
ovvero gli spazi della memoria e dell’identità.
Alcuni aspetti urbanistici tra Repubblica e Impero

I monumenta, la memoria collettiva e l’iden- commossi che quando intendiamo parlare di loro
tità romana o che leggiamo qualcuno dei loro scritti?”3. È uno
di quei pomeriggi ateniesi nei quali l’Accademia,
Cicerone, nel quinto libro del suo trattato De fi- dato l’orario, era spopolata: quindi l’effetto evoca-
nibus bonorum et malorum, introduce un dialogo tra tivo del luogo, romantico ante litteram, doveva es-
Cicerone, il fratello Quinto, il cugino Lucio e gli sere anche superiore (fig. 1). Per un’interessante
amici Attico e Marcus Pupius Piso Calpurnianus, il associazione di idee, a questo punto Piso affianca
futuro console del 61 a.C., con il quale l’oratore all’Accademia un altro monumento, stavolta ro-
sarebbe venuto in seguito in contrasto in quanto mano. È la gloriosa curia Hostilia, già sede dell’at-
fautore dell’operato di Clodio1. Il dialogo che si tività di grandi uomini come Scipione, come Le-
svolge nel 79 a.C., in piena età sillana, ha come lio, come il suo antenato Lucius Piso Frugi, il cele-
ambientazione i giardini dell’Accademia ad Atene. bre annalista4. Da poco tempo, tra l’81 e l’80 a.C.,
I cinque protagonisti, ancora relativamente giova- la curia Hostilia era stata demolita e ricostruita5
ni e assetati di cultura, vi si erano diretti perché nell’ambito di un ambizioso progetto urbanistico
attirati dalle memorie del luogo, dove aleggiava il che coinvolgeva un settore del Campidoglio e una
ricordo di Platone, naturalmente, ma anche di parte dell’area nord-occidentale del foro (fig. 2).
Speusippo, di Senocrate, di Polemone2. Piso lo af- L’intervento di rinnovamento della curia era do-
ferma apertamente: “Non so se sia una disposizio- vuto senza dubbio alla necessità di ampliare gli
ne naturale o quale illusione, ma quando vediamo spazi destinati alle riunioni del senato i cui mem-
i luoghi dove sappiamo che gli uomini degni di bri, in base alla riforma sillana, erano notevolmen-
memoria hanno vissuto a lungo, non siamo più te aumentati di numero (da 300 a 600)6; ma l’e-

* L’eccellente, e ancora insuperato, lavoro di Diane Favro 3


In un brano del De legibus (Cic., De leg. 2, 4) si ritrova il me-
(Favro 1996), mi esime dal ripetere quanto da lei perfettamen- desimo concetto: “Sui luoghi stessi dove sussistono le tracce degli
te analizzato in base ad un esame capillare delle fonti letterarie, esseri che noi amiamo e ammiriamo, proviamo un’emozione che
epigrafiche e archeologiche, ed a modelli di lettura che hanno non saprei definire”.
a loro supporto la più aggiornata letteratura sulla definizione 4
Coarelli 1983, p. 140 ss., 154 ss.; Coarelli 1985, p. 234 ss.;
dell’immagine urbana antica e moderna (Favro 1996, spec. p. LTUR, i, 1993, p. 331 s., s.v. Curia Hostilia (F. Coarelli); Carafa
1 ss.). Mi interessa, piuttosto, partendo dalle sue premesse, ap- 1998, pp. 140, 155; Amici 2004-2005, p. 351 ss.; Amici 2007, p.
profondire il tema del rapporto, spesso conflittuale, tra la me- 161 ss. La discussione sull’effettiva posizione della curia ricostruita
moria collettiva e la conservazione dei monumenti del passato, prima da Silla e poi dal nipote Fausto, se nella sede della vecchia
nonché tra il tessuto urbano della Roma vetus e quei medesimi curia Hostilia oppure già nel luogo dove fu realizzata la curia Iulia,
monumenti, spesso rinnovati dalle fondamenta e radicalmente è ancora oggetto di discussione, né vi sono ancora elementi cogen-
trasformati. ti a favore dell’una o dell’altra ipotesi. V. Liverani 2008, p. 44 ss.
1
Cic., De fin., 5, 1 ss. 5
Plin., Nat. Hist., 34, 26; Cass. Dio, 40, 50, 2.
2
Cic., De fin., 5, 2. 6
Gabba 1973, p. 124 ss.; Coarelli 1983, p. 149 e nota 34.

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44 Eugenio La Rocca

1. Plan de L’Academie et de ses Environs, incisione di A.Tardieu (da Voyage du Jeune Ana-
charsis en Grece, 1825).

stensione del programma urbanistico, che interes- in verità – di un monumento in quanto luogo della
sava anche le pendici capitoline con la costruzione memoria pubblica. Come afferma Cicerone, sulla
del c.d. Tabularium, suggerisce che non doveva es- base della suggestione dei luoghi, capaci di evoca-
sere estranea al dittatore la volontà di avviare un re passate memorie, si era sviluppata da tempo
processo di regolarizzazione del foro Romano, il un’autentica scienza mnemotecnica basata su luo-
cui assetto non risultava più idoneo alla capitale di ghi e immagini: era un supporto “artificiale” alla
un impero. Eppure, malgrado l’ambizioso pro- memoria individuale, utile all’organizzazione dei
gramma sillano, Piso aveva la mente rivolta alla testi oratorii e delle esercitazioni retoriche7. La
primitiva curia, già sede di Scipione, di Catone, di memoria per i romani era elemento essenziale
Lelio, del suo avo: la nuova, sebbene fosse ben più dell’educazione: fondandosi sui luoghi, essa per-
grande, gli sembrava piccola al confronto: “I luo- metteva la costruzione di differenti tipi di immagi-
ghi – egli dice – hanno un tale potere di rievocazio- ni mentali, che avevano un rapporto simbiotico
ne che, non senza ragione, sono stati utilizzati per con le immagini reali. Lungi dall’essere un siste-
creare un’arte della memoria”. È questo uno dei ma “statico” di memorizzazione, utile per la reci-
primi brani nella lunga storia culturale d’occiden- tazione o per la ripetizione, esso aveva il compito
te nel quale si tenta la difesa – puramente verbale, di accentuare la creatività. Senza queste immagini
7
Yates 1972, p. 3 ss.

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La bellezza di Roma, ovvero gli spazi della memoria e dell’identità 45

non vi sarebbe stata inventio: né le capacità creati-


ve (e quindi le creazioni artistiche in tutti i campi)
né l’inventariazione, cioè la collocazione delle im-
magini in loci della mente dai quali potessero esse-
re prontamente recuperate8. Ma, mentre l’arte
della mnemotecnica tende ad adoperare anche – e
forse specialmente – ambienti immaginari, utili a
fissare le linee di un discorso, la cultura della me-
moria che è alla base della memoria pubblica, e
collettiva9, le è solo parzialmente affine, in quanto
si sofferma sullo spazio naturale, e trasforma mo-
numenti e paesaggi in mnemotopoi, in insiemi da
memorizzare in funzione dell’identità sociale. Essa
non è affatto individuale, ma dipende dall’am-
biente sociale nel quale viviamo, nasce al servizio
di tale identità: è l’ambiente che, in un certo senso,
definisce e “normalizza” i ricordi in funzione del
presente10. Cicerone è cosciente di ambedue le
funzioni della memoria, e molto spesso – non solo
nel brano del De finibus honorum et malorum che
abbiamo citato – le fonde in un discorso unitario.
Quando incontrava lungo i suoi percorsi le costru-
zioni di Roma antica, l’arpinate vedeva i luoghi11,
vedeva le immagini immagazzinate nei luoghi, con
una visione interiore a tal punto penetrante da far-
gli venire immediatamente alle labbra le idee e le
frasi del suo discorso: l’ordine dei luoghi conserva
l’ordine delle cose, egli dichiara; le immagini ri-
2. Proposta di collocazione topografica del comitium repubblicano,
della basilica Porcia, della curia Hostilia e, a tratteggio, della curia chiamano le cose stesse12. I rapporti tra questi due
Cornelia, secondo Filippo Coarelli (da Coarelli 1985). differenti usi della memoria non sono chiari13.

8
Carruthers 1998, p. 10 ss., 15 ss. Mary Carruthers sviluppa menta, nonché sulla suggestione della lettura del libro The Art of
in modo eccellente il valore della inventio (allo stesso tempo cre- Memory, pubblicato nel 1966 da Frances A. Yates, Pierre Nora ha
azione – o inventiva – e inventariazione, nel senso che non si può sviluppato il concetto degli spazi fisici come lieux de mémoire (Nora
creare senza aver immagazzinato nella mente in appositi loci e in 1981-1992; 1989), mentre Jan Assmann ha elaborato il concetto di
modo preciso memorie alle quali si possa attingere in qualunque “memoria culturale” come organo del ricordo extra-quotidiano e
istante) e della intentio (un elemento emozionale e personale nei come ricostruzione sociale del passato (Assmann 1997). Più recen-
confronti delle cose memorizzate – la Carruthers parla di “tensione temente, Mary Carruthers ha proposto una revisione di alcuni dei
creatrice” –, senza il quale non si potrebbe produrre un inventario concetti basilari di Frances Yates, giudicando improponibile l’ipo-
mnemonico, né permettere alla memoria di realizzarsi in maniera tesi che in antico l’arte della memoria fosse “statica”, e non avesse
produttiva) nell’arte antica della memoria. altro scopo se non di reperire materiali immagazzinati e inventa-
9
È da verificare ancora se il concetto moderno di “memoria riati nella mente, senza tener conto che essa aveva una funzione
collettiva” possa essere adoperato in modo compiuto per il mon- eminentemente creativa, in quanto aveva il compito di favorire lo
do antico. Mary Carruthers ha qualche dubbio in merito e, par- sviluppo dell’immaginazione e l’inventiva personale, sia in campo
lando piuttosto di “memoria pubblica”, si avvale nel suo lavoro oratorio sia in quello artistico (Carruthers 1998, p. 7 ss.). V. inol-
dell’antico concetto della memoria rerum, la memoria delle cose tre, tra le ricerche più recenti sulla memoria: Erll–Nünning 2008;
(o degli oggetti). L’esempio è offerto dal Vietnam Memorial a Boyer–Wertsch 2009.
Washington. Il monumento è il luogo comune collettivo sul quale 11
Yates 1972, p. 5 s.
sono inscritti i nomi dei caduti (le res) grazie ai quali ognuno può 12
Cic., De or., 2, 86, 351-354.
costruirsi i ricordi personali in base alle sue conoscenze mnemo- 13
In una recentissima indagine, Daniele Miano ha tentato di
niche degli eventi, come si può immaginare assai differenziate, collegare la memoria artificialis adottata dai retori e dagli oratori
oppure in base a qualche nome a lui noto. Ogni storia che si crea romani con la concezione della memoria che si sarebbe sviuppata a
è personale – molti le incrementano deponendo oggetti vari (fo- Roma a partire del iv secolo a.C. (Miano 2011, p. 62 ss.), quando
tografie, medaglie, fiori) davanti al muro – ma tutte hanno in co- L. Furio Camillo dedicò a Iuno Moneta (la dea che ammonisce,
mune le res del locus stesso. Inoltre, la memoria muta nel tempo, secondo l’ipotesi, non da tutti accettata [a favore, con ottimi ar-
ed ha un differente grado di forza a seconda del sentimento (della gomenti: Prosdocimi, Marinetti 1993, p. 173 ss.; Livingston
intentio) dello spettatore: Carruthers 1998, pp. 24 ss., 36 ss. Co- 2004, p. 23 ss.] di una derivazione di Moneˉta da moneoˉ, ma anche
munque sia, è indubbio che il Vietnam Memorial sia esso stesso della memoria, come già credeva Livio Andronico, e come affer-
un mnemotopos (v. infra) e svolga una funzione di identità per la ma Cicerone [Liv. And., Odyssea, fr. 23 Morel = fr. 21 Blänsdorf;
società americana. Cic., De nat. deor., 3, 47]) un tempio sull’Arce (Miano 2011, p. 71
10
Dopo il lavoro pionieristico di Henri-Louis Bergson, Matière ss., con analisi dettagliata dell’etimologia. Su Iuno Moneta v. an-
et mémoire, apparso nel 1896, il tema della memoria sociale collet- che la nota 20). Indubbiamente ci sono connessioni tra l’arte mne-
tiva è stato analizzato da Maurice Halbwachs in due importanti monica e la funzione dei monumenta, come l’Accademia di Atene
contributi: il primo, Les cadres sociaux de la mémoire, pubblicato o la curia, come luoghi della memoria collettiva, ma i legami non
nel 1925, il secondo, La mémoire collective, pubblicato postumo, nel costituiscono di per sé un argomento per la totale sovrapposizione
1950, dopo la sua tragica morte a Buchenwald. Sulle loro fonda- dei due concetti.

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46 Eugenio La Rocca

Quanto della forma di esercitazione retorica e let- di immortalità, come quella propria degli eroi –,
teraria, definita scienza mnemotecnica, è sfociata stava a cuore ai magistrati romani della tarda re-
nel tempo in una vera e propria esaltazione dei pubblica tutto ciò che fosse capace di risvegliare la
luoghi, e dei monumenti, come contenitori di me- memoria dei posteri sui grandi del passato. I mo-
morie, storiche o mitiche, del passato, atti alla co- numenta di ogni sorta avevano la funzione di mone-
struzione di una memoria sociale collettiva, e re, cioè di ammonire, nel senso di richiamare alla
quindi finalizzata a rafforzare l’identità comunita- mente qualcosa (ad esempio le illustri imprese de-
ria, e viceversa?14 In età tardo-repubblicana – è Ci- gli uomini del passato), e di far pensare20. Essi non
cerone stesso ad affermarlo – le due “memorie” valevano di per sé, ma solo come strumento di me-
sembrano sovrapporsi, ma senza coincidere con moria: come dice Varrone, monumenta sono quan-
precisione; né potrebbe essere altrimenti, visto che to è scritto o realizzato memoriae causa21, o, secon-
le loro funzioni non sono affatto convergenti. Sof- do Festo, quel che è fatto in memoria di qualcuno,
fermandoci in questa sede solo sulla memoria col- come i fana, i porticati, gli scritti e le poesie oltre
lettiva – quindi in primo luogo sui monumenti e che, ovviamente, gli edifici funerari22. In tutta l’o-
sui paesaggi, tenendo comunque a mente che i pera di Cicerone i monumenta – che possono essere
“luoghi della memoria” non sono solo spazi fisici, perciò edifici pubblici o privati, strutture funera-
ma anche cerimonie come i trionfi e le feste pub- rie, complessi di opere d’arte e, ancor meglio, i te-
bliche (ad esempio le processioni dove, meglio che sti scritti, considerati più duraturi della pietra –
in altri casi, si osserva il meccanismo di volontaria assumono un’importanza capitale quali strumenti
cancellazione di passate memorie, come avvenne capaci di risvegliare il ricordo degli uomini illustri
nel caso dei cristiani che deliberatamente sovrap- del passato. Da Omero in poi, per i greci come per
posero alle processioni pagane, e lungo lo stesso i romani, era in primo luogo la celebrazione lette-
tragitto, le processioni destinate ai santi e ai marti- raria ad essere considerata la vera garanzia di im-
ri della nuova religione)15, commemorazioni, bat- mortalità, il modo migliore per ascendere agli
taglie e testi scritti16 –, la storia più antica può es- astri, in quanto, sola, riusciva a preservare la me-
sere attualizzata, e anche manipolata, trascurando moria delle azioni eroiche. Il motivo, di ascenden-
volutamente le differenze tra passato e presente, za pindarica, della gloria assicurata agli uomini di
deformando secondo un’ottica aggiornata i reali valore dai poeti23, si era diffuso a Roma con En-
intenti degli uomini che quei luoghi avevano fre- nio24, ben prima di approdare nei famosi versi ora-
quentato, o che avevano edificato quei monumen- ziani che dichiarano la supremazia del canto poeti-
ti17. Ciò avviene perché la tradizione è continua- co sui monumenti, anche i più sontuosi: “Non
mente soggetta a modificazione, se non a una co- marmi incisi con pubbliche iscrizioni, / per cui
struzione ex novo. Eric Hobsbawn aveva da tempo dopo la morte ritorna animo / e vita ai prodi con-
osservato che “le tradizioni che ci appaiono, o si dottieri, … / … proclamano le lodi / più splendida-
pretendono, antiche hanno spesso un’origine piut- mente delle calabre Muse; / se tacciono le carte
tosto recente, e talvolta sono inventate di sana non avrai / compenso alle tue imprese …”25. Ben
pianta”18. Si potrebbe discutere se i dati trasmessi cosciente del valore della poesia Cicerone, seguen-
come tradizionali siano solo adattati a nuovi scopi, do l’esempio di Marcus Fulvius Nobilior che aveva
in risposta a situazioni che hanno uno scarso rap- voluto Ennio al suo fianco durante la campagna
porto con il passato, oppure totalmente inventati: etolica perché cantasse le sue gesta, lodò Archia
resta comunque di base una manipolazione o come un nuovo Ennio, in quanto il poeta si era
un’invenzione di sana pianta19. Al di là delle spe- proposto di scrivere un poema sulle sue gesta du-
ranze personali di memoria eterna – e forse anche rante il consolato26. Cicerone credeva insomma

14
Sugli aspetti culturali della memoria nel mondo romano, e ria, già avanzata da Mommsen 18888, p. 216 (“… Göttin der Erin-
senza pretesa di completezza, v.: Wiseman 1986, p. 87 ss.; Hölke- nerung”), da E. Marbach, in RE, xvi, 1933, s.v. Moneta, col. 119,
skamp 1987; Carruthers 1998, p. 7 ss.; Hölscher 2001, p. 183 e più recentemente da Radke 1965, p. 221 ss., è stata sviluppata
ss.; Hölkeskamp 2001, p. 97 ss.; Citroni 2003; Morstein-Marx in Meadows–Williams 2001, p. 27 ss., e in Miano 2011, p. 71 ss.
2004; Walter 2004; Gowing 2005; Hölkeskamp 2006, p. 478 ss.; (Daniele Miano connette il fenomeno, come ho già ricordato, con
Hölkeskamp–Stein-Hölkeskamp 2006; Montanari 2009; Mia- le vicende storiche di iv secolo a.C.).
no 2011, spec. pp. 33 ss., 45 ss. 21
Varr., l.L., 6, 49 (dove, come avverte P. Flobert [Flobert
15
Carruthers 1998, p. 46 ss. 1985, p. 128], si collega moneo e memini al termine memoria).
16
Nora 1984-1993; Nora 1989, p. 7 ss. 22
Paul. Fest., p. 123 L., s.v. Monimentum.
17
Assman 1997. 23
La Penna 1983, 149.
18
Hobsbawn–Ranger 1983, 1 ss. 24
Il motivo dell’immortalità ottenuta tramite il canto dei poeti,
19
Hobsbawn–Ranger 1983; Dench 2005, p. 15. È significati- oltre che tramite statuae e sepulcra, svolgeva un ruolo fondamentale
vo, a tal proposito, l’esempio proposto da Andrew Wallace-Hadrill nel xvi libro degli Annales (410-413 Vahlen2).
(Wallace-Hadrill 2008, p. 217). La distinzione dei clan scozzesi 25
Il motivo, che ha uno dei suoi punti di forza nei celeberrimi
in base alla trama e al colore dei loro kilt sembra autenticamente versi dell’ode 30 del terzo libro (“Exegi monumentum aere perennius
ancestrale, ed è sconcertante scoprire che si tratta di un’invenzio- / regalique situ pyramidum altius / …”, ritorna nelle odi 8 e 9 del iv
ne moderna. libro (la citazione nel testo è tratta dai versi 13-22 dell’ode 8).
20
L’idea che Iuno Moneta fosse stata anche una dea della memo- 26
Narducci 1997, p. 14 ss.

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La bellezza di Roma, ovvero gli spazi della memoria e dell’identità 47

negli strumenti (cartacei o di pietra) idonei a pre-


servare la memoria, in quanto garantivano l’eter-
nità delle azioni umane. Ossessionato dalla sete di
gloria, anche la memoria dei grandi del passato, ai
quali non modestamente si confrontava, era per
lui un chiodo fisso. Per fortuna il foro Romano, il
Campidoglio, il Palatino, il Velabro, e i venerandi
edifici dell’età monarchica e repubblicana (la curia
Saliorum con il lituo di Romolo, l’altare di Acca
Larenzia, il Comizio, il puteal che copriva il rasoio
e la pietra di Atto Navio), sebbene riplasmati o ri-
costruiti più volte nel tempo, erano ancora – così
almeno si voleva credere, e in molti casi era pro-
prio così, ben conoscendo la mentalità romana – 3. Denario di P. Cornelius Lentulus Marcellinus (50 a.C.), rovescio:
nel luogo medesimo dove erano stati anticamente Marco Claudio Marcello depone gli spolia opima nel tempio di
eretti, a ricordare visivamente l’eternità di Roma e Giove Feretrio (da Fuchs 1969).
degli uomini che l’avevano resa capitale di un im-
pero27. I monumenta realizzati in pietra punteggia-
vano lo spazio di Roma, che era spazio sacralizzato quale c’era sopra la figura di una sfera e di un cilin-
dalla loro presenza: anzi, per certi aspetti tutta dro. E allora dissi subito ai siracusani – c’erano ora
Roma era, secondo la formula di Hubert Cancik28, dei magistrati con me – che io ero testimone di
paesaggio sacro, nel quale i monumenta svolgevano quella stessa cosa che stavo cercando. Mandati
il ruolo di “luoghi della memoria”29. Importava dentro con falci, molti ripulirono e aprirono il luo-
poco se nell’ambito di questa riproposizione della go. Per il quale, dopo che era stato aperto l’accesso,
situazione arcaica ci fossero anche, talvolta, ele- arrivammo alla base posta di fronte. Appariva un
menti spuri. I monumenta erano oggetti concreti30 epigramma sulle parti posteriori corrose, di brevi
destinati a risvegliare nei visitatori gli exempla del- righe, quasi dimezzato. Così la nobilissima cittadi-
le gloriose imprese svolte dagli antenati e delle loro nanza della Grecia, una volta veramente molto
virtutes: in poche parole, a cementare il senso iden- dotta, avrebbe ignorato il monumento del suo uni-
titario dei romani31. Eppure, malgrado i continui co cittadino acutissimo, se non lo fosse venuto a
riferimenti all’eternità dei monumenta, l’aspetto sapere da un uomo di Arpino”32. Qualche decen-
della loro fatale caducità – in particolare di quelli nio dopo, uno dei primissimi interventi di restauro
non cartacei, assai meno duraturi malgrado il largo di Ottaviano, iniziato a quanto pare prima della
uso di retorica nella descrizione della loro funzio- battaglia di Azio, riguardò il tempietto di Giove
ne – non era ignoto a Cicerone, come si desume Feretrio sul Campidoglio (fig. 3)33. Dedicato da
dalla significativa operazione di recupero della Romolo, restaurato da Anco Marcio, al suo inter-
tomba di Archimede a Siracusa: “Io questore sco- no si conservavano ancora gli spolia opima del re di
prii la tomba di Archimede, sconosciuta ai siracu- Veio, Lars Tolumnius, ucciso durante la battaglia
sani, cinta con una siepe da ogni lato e vestita da di Fidene da Aulus Cornelius Cossus (426 a.C.). In-
rovi e spineti, sebbene negassero completamente credibili dictu, al momento dell’azione di Ottavia-
che esistesse. Tenevo, infatti, alcuni piccoli senari, no, dietro suggerimento proprio di Attico, l’unico
che avevo sentito essere scritti nel suo sepolcro, i dei giovani della scampagnata all’Accademia an-
quali dichiaravano che alla sommità del sepolcro cora in vita, il tempio era in pessime condizioni,
era posta una sfera con un cilindro. Io, poi, osser- scoperchiato per la vetustà e l’abbandono. Dal no-
vando con gli occhi tutte le cose – c’è, infatti, alle stro punto di vista la vicenda ha dell’inconcepibile,
porte Agrigentine una grande abbondanza di se- non foss’altro perché si trattava del più antico tem-
polcri – volsi l’attenzione ad una colonnetta non pio romano di cui si avesse notizia, legato al fonda-
molto sporgente in fuori da dei cespugli, sulla tore stesso della città. Il suo stato fatiscente non

27
Kardos 2004, p. 89 ss. 33
Corn. Nep., Att., 20, 3; Liv., 1, 10, 4-7; 4, 20, 5-7; Dion.
28
Cancik 1985, p. 260. Hal., 2, 34, 4; Res gest. div. Aug., 19, 2, app. 2; Fest., p. 189 L.;
29
V. nota 16. Prop., 4, 10. V. LTUR, iii, 1996, p. 135 s., s.v. Iuppiter Feretri-
30
Sul significato di monumentum: Thes. Ling. Lat., 8, 1460 ss. us, aedes (F. Coarelli). L’illustrazione a fig. 3 è tratta dal cele-
Sul monumentum (anche testuale) come res, cioè come documento bre denario di Publius Cornelius Lentulus Marcellinus, del 50 a.C.
incorruttibile, ma pur sempre soggetto a interpretazioni (intentio- (Crawford 1974, n. 439, 1), che raffigura il suo antenato Marco
nes) personali: Miles 1995, p. 16 ss.; Carruthers 1998, p. 29 ss.; Claudio Marcello mentre introduce nel tempio di Giove Feretrio
Miano 2011, p. 57 s. gli spolia opima del re gallo Viridomarus da lui stesso ucciso in un
31
Wiseman 1986, p. 87 (= Wiseman 1994, p. 37 s.); Kraus– combattimento corpo a corpo a Clastidium (222 a.C.). Il tempio
Woodman 1997, p. 55 s.; Chaplin 2000, Miano 2011, p. 45 ss. riprodotto nella moneta deve essere appunto quello poi restaura-
32
Cic., Tusc., 5, 64-66. to da Ottaviano.

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48 Eugenio La Rocca

aveva destato alcun interesse per gli uomini politi- erano il risultato di imprudenti congetture, se non
ci dell’epoca; ci volle il suggerimento di un uomo di interpolazioni o di invenzioni. Tutto era finaliz-
colto, attento alla preservazione della memoria zato ad una causa più alta, la vittoria del cristiane-
storica, perché Ottaviano procedesse, non, tutta- simo sul paganesimo. Tornando per un momento
via, ad un restauro filologico, bensì ad un presso- al De finibus, ed esaminandolo secondo un’ottica
ché totale rifacimento del primitivo edificio del leggermente diversa, nel dialogo che si svolge tra i
quale, come testimonia Dionigi di Alicarnasso, re- giovani romani nell’Accademia ateniese si potreb-
stò visibile solo l’antica traccia: forse l’orienta- be percepire anche il sintomo dell’affermazione di
mento e la misura esigua di quindici piedi. Per una nuova visione culturale, basata per certi aspet-
quelle antinomie, però, non infrequenti nei tor- ti su una diversa concezione del passato. Fino ai
tuosi percorsi della storia, l’affioramento nella co- primi decenni della tarda repubblica, nella fase
scienza collettiva dei romani di questo particolare della conquista dell’oriente mediterraneo, la pre-
aspetto della memoria è venuto alla ribalta in con- servazione delle architetture – fatto di per sé raro
trasto con la realtà dell’epoca – anzi di tutto il – non era basata tanto sul desiderio di serbare la
mondo antico e di buona parte del mondo moder- memoria dei grandi uomini che le avevano fre-
no, fino all’affermazione dello storicismo – che quentate, quanto di non irritare gli dei in nome
procedeva, al contrario, a radicali trasformazioni della religione atavica. Per questo motivo, non era
urbanistiche ed a brutali demolizioni, con un tota- permesso cancellare il ricordo di coloro che le ave-
le disinteresse per le qualità formali dei monu- vano costruite, di solito come scioglimento di un
menti, in nome non tanto di un preteso soggettivi- voto, e trasformate in monumento alla gloria per-
smo dei valori artistici (quanti capolavori di età sonale: ma la struttura in sé sembrava avere per i
gotica sono stati sacrificati durante il rinascimento romani poco o nullo interesse, perlomeno sotto il
e l’età barocca!), bensì delle mutate esigenze socia- profilo estetico. Ad esempio, non v’è, nel recupero
li che sottendono di solito superiori interessi eco- della tomba di Archimede da parte di Cicerone o
nomici e politici. Tuttavia nessun magistrato pri- del tempio di Giove Feretrio da parte di Ottavia-
ma di Cesare pose in discussione la sacralità “sim- no, il desiderio di rendere apprezzabile ad un più
bolica” del paesaggio. Quel che interessava era la vasto pubblico lo specifico monumento in sé, ma
sopravvivenza del locus memoriae malgrado la sua di ricordare azioni e uomini di cui si rischiava la
profonda e talora totale trasformazione fisica. L’e- perdita di memoria. D’altronde il sepolcro di Ar-
dificio può aiutare a ricordare, ma non è “la me- chimede non doveva essere di particolare spicco, e
moria”34. Anche dopo la sua scomparsa, in deter- il tempio di Giove Feretrio fu quasi totalmente ri-
minati casi esso sopravvive nella mente degli indi- fatto: il monumentum valeva come contenitore sim-
vidui nel ruolo di “luogo comune”, e in quanto tale bolico di memoria collettiva. Questo aspetto del
stimola il ricordo di specifiche immagini. Il caso problema merita un’analisi più precisa.
dei monumenti di Gerusalemme, malgrado la loro
totale cancellazione da parte di Adriano con la fon-
dazione di Hadrianopolis (132 d.C.), è emblemati- Valore politico della memoria collettiva
co. Ai pellegrini si continuavano a mostrare i loro
siti, veri o presunti, anche se, a distanza di tempo, Nella tarda repubblica si enfatizzarono, quin-
più o meno volutamente, l’importanza simbolica di, le virtù morali e politiche degli antenati, e si
del luogo prevaleva al punto da spingere a vere e instaurò il mito di un passato tanto migliore ri-
proprie contaminazioni spaziali tra Antico e Nuo- spetto al presente, in nome di un’identità roma-
vo Testamento (ad esempio, la pietra sulla quale na che l’imperialismo e la trasformazione dei co-
Abramo era in procinto di sacrificare Isacco collo- stumi avrebbero messo in serio pericolo36. Si
cata a poca distanza dal punto in cui era stata eret- procedette inoltre alla revisione a posteriori di un
ta la croce di Cristo)35. D’altronde i pellegrini an- sistema culturale alto- e medio-repubblicano,
davano a Gerusalemme per rafforzare, alla vista organico al potere costituito, che Roma non ave-
dei loci, le loro conoscenze dei testi sacri, e quindi va mai effettivamente avuto. Mutando sensibil-
per orientarsi meglio nella loro lettura. Le imma- mente la reale configurazione del loro passato, i
gini (la grotta dove era nato Gesù, il Golgota, il romani tentarono di porre rimedio, con l’ausilio
sepolcro nel quale Cristo era stato sepolto) erano di quello schema precostituito, ai mutamenti
quindi costruite a priori e si riaccendevano nella della società e all’erosione dei poteri della classe
mente alla vista dei luoghi: e poco male se i luoghi, senatoria. L’élite dominante ha sperato, per un
spesso riconosciuti in base a quelle medesime let- limitato periodo prima del sopraggiungere della
ture ed a pochi altri indizi non sempre fededegni, rivoluzione augustea, di stabilizzare il proprio

34
Carruthers 1998, p. 42. 36
Wallace-Hadrill 2008, p. 213 ss.
35
Carruthers 1998, p. 42 s.

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La bellezza di Roma, ovvero gli spazi della memoria e dell’identità 49

potere e di arrestare il collasso delle istituzioni di recuperarne alcuni perduti. Certo, nelle aspre
con un controllo capillare del sapere sociale at- lotte politiche dopo il secondo conflitto cartagi-
traverso una soluzione che appare essere, per nese si era talvolta cercato di far leva sui costumi
certi versi, una vera e propria mistificazione del romani atavici come arma contro l’invasivo filel-
passato: d’altronde, come ho già detto, la tradi- lenismo che sembrava porre in ombra il passato
zione è soggetta per sua natura alla manipolazio- autenticamente romano39, ma si era trattato di
ne, o meglio, all’invenzione37. I monumenta, o interventi frammentari, non idonei a costruire
quanto restava di essi, per lo più solo il luogo, un’immagine a tutto tondo di una Roma “idea-
ottemperarono così alla funzione di rafforzare il le”, come avvenne a partire dai decenni centrali
concetto identitario, ormai in crisi, della romani- del i secolo a.C. Solo allora i romani furono abili
tà. Questa nuova visione di Roma non impedì ad impostare una nuova concezione della città,
certo a Silla di demolire la curia Hostilia per co- ed a rappresentarsi il suo tessuto urbano e i suoi
struirla più grande di prima (non è dato sapere edifici pari per dignità a tale visione, conferendo
con certezza se nella stessa sede, come ritengo nello stesso tempo ai suoi monumenti un valore
più verosimile, o in un’area limitrofa e con diver- di memoria pari, se non superiore, a quello dei
so orientamento)38, né in seguito impedì ad Au- gloriosi edifici ateniesi che effettivamente parte-
gusto di intervenire sugli antichi edifici pubblici cipavano della grandezza di Atene per magnifi-
e sacri della città secondo modi che solo con un cenza e qualità estetica. Il vagheggiamento idea-
eufemismo possono essere considerati restauri. listico di tale posizione non ha però neutralizzato
Non interessava evidentemente la morfologia l’intervento dei magistrati della tarda repubblica
delle antiche strutture fatiscenti, bensì, molto di o degli imperatori che, pur con differenti “di-
più, la preservazione della loro memoria storica: stinguo”, pur mantenendo più o meno fedel-
nessuna traccia di restauro filologico o archeolo- mente memoria dei loci e degli spazi, demolirono
gico, ma conservazione dei monumenti ricostru- drasticamente i monumenti del passato rico-
iti con un linguaggio architettonico aggiornato struendoli secondo il gusto dell’epoca. Si ha, in-
nei loro siti originari, e forse qualche elemento somma, l’impressione che i colti romani dell’età
della loro storia religiosa e/o evenemenziale: di tardo-repubblicana privilegiassero l’idea delle
solito le statue di culto, oppure qualche elemento glorie del passato, e per converso l’idea dei luo-
strutturale o decorativo. Insomma, quel che in- ghi e dell’ambiente entro i quali si erano svolti
teressava, come d’altronde sembra desumersi gli eventi che avevano reso la città padrona del
dalle parole stesse di Cicerone, erano i luoghi Mediterraneo, non i monumenti di per sé e nep-
sotto il profilo simbolico, non i monumenti in sé. pure la reale conformazione urbanistica di Roma,
Così Ottaviano poté procedere al rifacimento del che avrebbe dovuto essere elemento basilare nel-
tempio di Giove Feretrio. Questa è una delle la logica della preservazione del paesaggio: la sua
tante incoerenze nelle quali sono caduti i romani vera bellezza non era assoggettata alla bellezza
della tarda repubblica e del primo impero. Nel del suo tessuto urbano né delle sue componenti
riorganizzare la loro tradizione storica, essi han- artistiche e monumentali, quanto alla sacralità
no reinventato il loro passato secondo una visio- dei suoi luoghi, ed alla sua immagine come sim-
ne basata su concetti di alto valore etico, non bolo di potere politico. Eppure solo personaggi
sappiamo fino a qual punto rispondenti al vero, del calibro di Cesare o di Nerone ebbero, forse, il
ed hanno perfezionato il concetto di Roma come coraggio di eliminare dal panorama cittadino
paesaggio sacro della memoria. Il fatto interes- tratti consistenti della Roma vetus, nel tentativo
sante è che i romani non ebbero bisogno di crea- di regolarizzarne, dove possibile, il tessuto urba-
re nuovi spazi per questo paesaggio dando loro no con la costruzione di nuovi ed imponenti edi-
un immaginario carisma di antichità. Spazi e fici secondo più innovativi e rivoluzionari pro-
luoghi preesistevano nella memoria sociale e re- getti urbanistici. Si diceva che Cesare, nell’im-
ligiosa, anche se con differenti gradi di impor- porre il suo marchio alla città con nuove leggi,
tanza rispetto al passato, e quindi essi non dovet- con programmi edilizi e con l’allargamento del
tero impegnarsi a inventarne molti altri: semmai pomerio, volesse imitare Silla40, ma i dati a no-

37
V. nota 17. 39
Il processo di ellenizzazione in realtà non ha mai posto in se-
38
Secoli dopo anche la tomba di Silla (LTUR, iv, 1999, p. 286, rio pericolo l’identità romana. Come ha osservato Andrew Wal-
s.v. Sepulcrum: L. Cornelius Sulla [E. La Rocca]), come in prece- lace-Hadrill, tra ellenizzazione e romanizzazione c’è stato nel tempo
denza quella di Archimede, fu preda di una simile perdita di me- un processo di scambi culturali non separabile, ma interdipendente
moria. Definita mnemeion da Cassio Dione (Cass. Dio, 78 [77], 13, (Wallace-Hadrill 2008, p. 26). Né romani né greci persero la pro-
7) e tumulus da Lucano (Fars., 2, 222), e collocata in medio Campo, pria matrice, ma il fenomeno di ellenizzazione e di romanizzazione
se ne erano perdute le tracce finché, ritrovata dall’imperatore Ca- nel bacino mediterraneo proseguì come “interrelated aspects of the
racalla, fu restaurata. I sepolcri da soli, contrariamente a quanto same phenomenon”.
supponeva Foscolo, non erano sufficienti a serbare il ricordo dei 40
Cass. Dio, 43, 50, 1. Su questa sorta di imitazione di Silla:
grandi uomini. Giardina 2010, 31 ss.

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50 Eugenio La Rocca

4. Piantina schematica degli scavi compiuti nell’area dell’aula Regia del teatro di Marcello (da Ciancio Rossetto 1994-1995).

stra disposizione dimostrano che i suoi interven- re e poi di Nerone, poco ligio agli schemi politici
ti, anche se parzialmente abortiti, sarebbero stati codificati, portò ambedue alla rovina prima che i
ben più audaci rispetto alle operazioni effettuate loro ambiziosi disegni divenissero realtà. Cesare,
da Silla e, a ben vedere, anche rispetto a quelle secondo le fonti, distrusse alcuni templi41 a favo-
successive di Augusto, i quali non vollero stra- re della realizzazione del teatro che avrebbe pre-
volgere l’assetto originario del centro storico in so il nome da Marcello, il nipote di Augusto42, e
modo impietoso e non aderente ai tabù religiosi. per tale motivo fu biasimato. Tra di essi si anno-
Costoro, per quanto si sappia, non demolirono vera il tempio di Pietas, già allineato ai tre templi
un solo edificio inaugurato secondo le tradizio- del foro Olitorio, di cui recenti scavi hanno posto
nali formule sacrali senza che fosse ricostruito in luce le fondamenta sotto l’aula regia del teatro
nel medesimo luogo. Il comportamento di Cesa- (fig. 4)43; non sappiamo, però (e le fonti non lo

41
Cass. Dio, 43, 49, 3. Nel medesimo brano si dice che Cesare con “un’inclinazione progressiva dei piani di posa delle assise dei
avrebbe distrutto persino alcuni agalmata di legno, probabilmente blocchi soprastanti la ghiera in conci”, teorizzata definitivamente
statue cultuali di notevole antichità. solo in età barocca, con un trattato dell’architetto spagnolo Gio-
42
Probabilmente proprio del tempio di Pietas sono state rinve- vanni Caramuel (1678), dall’altro hanno suggerito che una mor-
nute le fondazioni, sotto l’aula regia del teatro di Marcello, paral- fologia a portici colonnati sul modello delle vie di età ellenistica si
lele ai tre templi del foro Olitorio: Ciancio Rossetto 1994-1995, sarebbe adattata meglio al gusto di Nerone. Ne è scaturita l’ipotesi
p. 197 ss. di porticati ad un solo piano (il raddoppio dovrebbe essere attribu-
43
LTUR, iv, 1999, p. 86, s.v. Pietas, aedes in foro Holitorio / in ito ad un intervento di età flavia), che avrebbero superato i disli-
Circo Flaminio (P. Ciancio Rossetto). velli del terreno con una soluzione a setti affiancati (Medri 1996,
44
Dopo la prima ipotesi ricostruttiva di Esther B. Van Deman p. 170 ss., fig. 156). Ma i più recenti scavi lungo le pendici orientali
(Van Deman 1925, p. 115 ss., tavv. 61-64) con porticati ad arcate del Palatino, che hanno condotto al recupero di alcuni elementi
rampanti a due piani, che superavano il dislivello del terreno con architettonici pertinenti ai porticati lungo il tracciato viario tra la
strutture voltate ed imposte oblique (l’ipotesi è stata riconfermata meta sudans e il luogo dove in seguito sarebbe stato eretto l’arco di
da Carandini–Bruno–Fraioli 2011, p. 144 s., spec. figg. 1-2, 5, in Tito, hanno permesso di respingere la proposta della via colonna-
una duplice variante, ad uno o due piani), le seguenti proposte da ta a favore di portici ad arcate e pilastri cui erano applicate lesene
un lato hanno respinto la possibilità che nel mondo romano fosse corinzie rudentate, e con coperture a crociera (Ferrandes 2006, p.
stata inventata la soluzione architettonica dell’obliquità in elevato, 37 ss.; Panella 2011, p. 162 ss.). La forte pendenza del terreno era

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La bellezza di Roma, ovvero gli spazi della memoria e dell’identità 51

5. Veduta ricostruttiva tridimensionale degli edifici della domus Aurea. In primo piano, in basso a sinistra, la regolarizzazione della via Sacra
con la costruzione di ampi porticati laterali che, nelle intenzioni dell’imperatore, avrebbero dovuto obliterare tutti gli edifici preesistenti alle
pendici del Palatino e della Velia. La strada conduce all’ingresso monumentale della domus con il Colosso, alle cui spalle si vede lo stagnum,
nell’area in seguito occupata dal Colosseo (da Viscogliosi 2011).

dicono), se la demolizione fosse totale, o se il cul- Roma arcaica e repubblicana (fig. 5). Nerone, per
to fosse stato trasferito in altri edifici sacri dell’a- raggiungere il suo scopo, non si peritò di demo-
rea. L’intervento di Nerone nel cuore politico lire, come suppone Andrea Carandini, la domus
della città dopo il devastante incendio del 64 d.C. attribuita al rex sacrorum e il tempio dei Lari45.
fu ancor più radicale. Per l’accesso sontuoso dal Furono sacrificati al nuovo impianto ortogonale
foro Romano alla sua domus Aurea, l’imperatore anche la domus presso le curiae Veteres, da identi-
trasformò drasticamente l’immagine delle pen- ficare probabilmente con la casa ad capita Bubu-
dici del Palatino verso la Velia. Il tratto superio- la dove nacque Augusto, già trasformata in sa-
re della via Sacra fu rettificato, e vi si affiancaro- crarium, l’edificio a facciata tetrastila costruito
no porticati, mai condotti a termine per la morte dall’imperatore Claudio, nel quale si tendono a
dell’imperatore44, che obliterarono interamente riconoscere le curiae Veteres, un tempio arcaico
– talora definitivamente, anche se i recenti scavi del quale sono stati rinvenuti solo i depositi voti-
offrono un quadro almeno in apparenza meno vi nelle fondazioni dei porticati neroniani46. La
radicale – alcuni fondamentali monumenti della sorte finale di queste strutture non è al momento

controbilanciata dalla loro divisione a sezioni separate e, all’interno 1-2, potevano essere adibite ad horrea o mercati da affittare a di-
di ogni sezione, per mantenere orizzontale la trabeazione, dall’in- versi mercanti secondo spazi distinti di 25 mq circa. L’effetto d’in-
nalzamento progressivo dei pilastri, che aveva come conseguenza sieme della via Sacra in età neroniana è offerto dagli ottimi disegni
architettonica (in verità non del tutto riuscita) l’elevazione del plin- ricostruttivi in Viscogliosi 2011, 158, figg. 1-2.
to di supporto delle lesene (Panella 2011, p. 162 s., spec. figg. 1-3, 45
Palmer 1978-1980, p. 111 ss.; Coarelli 1983, p. 34 s.; LTUR,
5, 8-9). La ricostruzione suggerita è in molti aspetti simile a quella iii, 1996, p. 174, s.v. Lares, aedes (F. Coarelli); Carandini 2007,
già avanzata da E. B. Van Deman, ma senza la pesante cornice ad pp. 63, 70, figg. 32, 35, 37, 39-40, 43-47; D. Filippi, in Arvanitis
attico e, venendo meno l’obliquità dei portici rampanti, senza la 2010, p. 23 ss., figg. 4, 5.
sgradevole impostazione degli archi a livelli differenti. È possibile 46
Deposito votivo: Zeggio 1996, p. 95 ss. Area sacra con le cu-
che, come suggerisce Esther Van Deman, anche i porticati nero- riae Veteres: Panella 1996, p. 27 ss., spec. 55 ss. (con fig. 57). Per
niani della via Sacra fossero affiancati da vaste aule pilastrate che, l’obliterazione delle curiae dopo l’incendio del 64 d.C.: Panella
come confermano Carandini–Bruno–Fraioli 2011, p. 144, figg. 1996, p. 69 s.

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52 Eugenio La Rocca

conosciuta in tutti i dettagli. Anche se danneg-


giate dall’incendio, in altri tempi esse sarebbero
state ricostruite esattamente dove erano. Al con-
trario, le funzioni della domus regis sacrorum e del
tempio dei Lari furono forse trasferite nella nuo-
va e più ampia casa delle Vestali, orientata ormai
secondo l’asse viario regolarizzato. L’edificio nel
quale si vogliono riconoscere le curiae Veteres
potrebbe essere stato spostato, ma solo in età fla-
via e in dimensioni ridotte, nelle immediate vici-
nanze della meta Sudans. Potrebbe darsi che Ne-
rone avesse preventivato la ricostruzione di que-
sti edifici ai bordi, o nell’ambito, della domus
Aurea; in tal caso essi non avrebbero mai più po-
tuto insistere nella loro sede originaria. L’atteg-
giamento di Augusto fu invece, come era nella
sua natura, in apparenza meno dirompente, ma
in realtà altrettanto rivoluzionario47. Nel preciso
istante in cui inserì nel contesto urbano antico
nuovi e imponenti edifici pubblici, egli tentò di
garantire, in ogni caso, l’integrità urbana preesi-
stente: la deferenza nei confronti della città re-
pubblicana era concettualmente il riconoscimen-
to dello stato repubblicano e il dovuto rispetto
nei suoi confronti48. Questo è tutto? Certamente
no, né poteva essere altrimenti per il nuovo Ro-
molo, rifondatore della città. La sua presenza –
reale attraverso le riforme religiose che compor- 6. Disegno ricostruttivo dei frammenti della Forma Urbis Seve-
riana nell’area del circus Flaminus: in alto, la porticus Octaviae con
tavano processioni e sacrifici cui partecipava lui i templi di Giove Statore e di Giunone Regina (fase augustea); in
stesso, e simbolica attraverso la riforma ammini- basso, la porticus Philippi con il tempio di Hercules Musarum.
strativa che tentò di coinvolgere i cittadini stessi
nella gestione dei quartieri nei quali abitavano,
dove la benevola immagine del principe proteg- e considerato da Vitruvio un modello nel suo ge-
geva, simile a un dio, il suo popolo, attraverso il nere, costruendo in sua vece un nuovo tempio
suo Genius nei sacelli dei Lares Compitales – era sine postico, completamente diverso per pianta
pervasiva come non era mai avvenuto prima di ed alzato, attribuito da Plinio52 agli architetti
allora. Augusto non poteva non pilotare la me- spartani Sauras e Batrachos (fig. 6). In questo
moria collettiva in funzione del suo messaggio in caso specifico, come in numerosi altri che è inu-
apparenza pacificatore. Lo fece cancellando dai tile elencare in questa sede, non solo Augusto
monumenti da lui restaurati o ricostruiti i nomi trasformò l’assetto architettonico dei complessi
dei loro primitivi dedicanti, apponendovi il suo monumentali, ma ne usurpò le dediche origina-
nome, oppure quello dei suoi parenti e, almeno rie a suo favore, provocando, in tal modo, la can-
in una prima fase, degli amici più intimi49. Egli cellazione dalla topografia urbana, e quindi dalla
intervenne, ad esempio, sulla porticus Metelli de- memoria collettiva basata sui loci, delle testimo-
dicandola all’amatissima sorella Ottavia50, pre- nianze monumentali dei grandi magistrati della
servò il perimetro e le fondazioni del complesso media e tarda repubblica. Si è trattato di una sor-
monumentale, ma non si fece alcuno scrupolo ta di corto circuito mnemonico pilotato in base al
nel demolire il tempio di Giove Statore, opera di concetto che Roma non avesse ormai che un solo
Hermodoros di Salamina, il primo tempio perip- trionfatore assoluto, epitomatore del valore e
tero interamente in marmo realizzato a Roma51, delle imprese dei romani del passato? Non è

47
Favro 1996, p. 79 ss. 52
Plin., Nat. hist., 36, 42. Il testo di Plinio non è perfettamente
48
Favro 1996, p. 232 ss. chiaro, e quindi non è facile stabilire se lo scrittore ritenga Sauras
49
La Rocca 1987, p. 347 ss. e Batrachos artefici dei templi dell’età di Metello (in tal caso essi
50
LTUR, iv, 1999, p. 130 ss., s.v. Porticus Metelli (A. Viscoglio- avrebbero ricostruito il tempio di Giunone Regina e realizzato il
si); 141 ss., s.v. Porticus Octaviae (A. Viscogliosi). tempio di Giove Statore in base ai disegni di Hermodoros), o di
51
LTUR, iii, 1996, p. 157 ss., s.v. Iuppiter Stator, aedes ad Cir- quelli dell’età di Augusto. Optano decisamente per la prima ipo-
cum (A. Viscogliosi); Gros 1996, p. 128; Coarelli 1997, p. 488 ss.; tesi: Gwyn Morgan 1971, p. 491 ss.; Corso 1988, p. 601 s., nota
Stamper 2005, p. 53 ss.; La Rocca 2011, p. 9 ss. 42, 2.

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La bellezza di Roma, ovvero gli spazi della memoria e dell’identità 53

7. Veduta ricostruttiva dell’abside nord-occidentale del foro di Augusto. Nell’edicola principale, al centro, il gruppo raffigurante Enea che
porta in salvo il padre Anchise e il figlio Iulo-Ascanio. Nelle altre edicole, le statue dei summi viri, verosimilmente i re di Alba e i membri della
gens Iulia (disegno InkLink).

esattamente così. È intervenuta piuttosto una re- tenuazione dei risvolti politici ritenuti fuorvianti
visione della memoria storica, finalizzata ormai, nel nuovo assetto, era diventato un exemplum vir-
secondo una mirata concatenazione di cause ed tutis, partecipe di uno svolgimento progressivo
effetti, alla gloria del nuovo fondatore della città, della storia che conduceva alla felicitas del tempo
quasi che tutte le vicende romane, dalle origini in presente, sotto la guida del principe discendente
poi, fossero state condizionate alla nascita dell’uo- da Enea. Quale colpo di teatro doveva essere ve-
mo della provvidenza, il solo capace, dopo decen- dere insieme coloro che avevano fatto Roma gran-
ni di aspre e sanguinose guerre civili, di pacificare de e potente, perfettamente allineati e “omologa-
l’impero e di ritessere le fila di una nuova età ti”, con il loro ruolo pianificato e, per molti versi,
dell’oro. La memoria collettiva, perciò, non avreb- de-individualizzato con abile sapienza, in quanto
be potuto più basarsi sui singoli monumenta, ma co-protagonisti di una storia che il fato aveva vo-
sulla ricostruzione personalizzata della storia ro- luto si compisse con Augusto. Il magnifico gioco
mana secondo un ordine rigoroso e attentamente di allusioni sarebbe stato riproposto con attori in
programmato, e proprio per questo motivo ricali- carne ed ossa che impersonavano i summi viri in
brata con il supporto di pochi monumenta scelti. Il occasione dei funerali del principe53. La scultura e
foro di Augusto divenne il nucleo fondante del si- la pittura, tanto più valorizzate come fenomeno
stema, dove i summi viri furono rappresentati in artistico rispetto all’architettura, erano anch’esse
sequenza temporale, ognuno con il proprio elo- sottomesse alla medesima mentalità di inadeguato
gium, come membri di un canto corale destinato a o nullo rigore critico. Si dice che Caligola volesse
glorificare la grandezza e l’eternità di Roma (fig. trasferire a Roma lo Zeus di Olimpia mutandone
7). Ognuno di loro, con una sapiente cancellazio- le fattezze del volto con le sue54. Claudio fece per
ne dei lati oscuri della loro personalità e con un’at- davvero qualcosa di simile, sebbene non in suo fa-

53
Papini 2008, p. 90 ss. nel suo foro una statua equestre di Alessandro Magno in groppa a
54
Suet., Gaius, 2, 2. V. Cass. Dio, 59, 28, 3. Ci sarebbe, a tal pro- Bucefalo, opera di Lisippo, facendo sostituire la testa del macedo-
posito, il precedente di Cesare. Sembra che il dittatore avesse posto ne con la sua (Stat., Silv. 1, 1, 84-90. V. anche Suet., Caes., 61, 1;

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54 Eugenio La Rocca

vore e non in simile entità: si permise di cancel- pi basilari sui quali è impostato il ragionamento
lare le fattezze del volto di Alessandro nei due vitruviano61, gli onnipresenti concetti di ordina-
dipinti di Apelle conservati nel foro di Augusto, tio (in greco taxis, la ricerca di un’unità organica
mutandole con quelle di Augusto55. Nerone, poi, basata sulla symmetria62, ottenuta attraverso la
apprezzava talmente un bronzo di Lisippo raffi- commensurabilità delle parti differenti tra loro, e
gurante Alessandro fanciullo che decise di farlo di ciascuna d’esse con il tutto), di dispositio (in
dorare; e poiché la costosa coltre aurea aveva an- greco diathesis, l’organizzazione delle compo-
nullato la qualità artistica dell’opera, si decise in nenti e i modi di ripartizione dei volumi, aventi
seguito di sottoporla ad un restauro che la rese come risultato eleganza ed armonia, secondo la
ancora più preziosa, in quanto vi restarono visi- nozione di eurythmia)63 e principalmente di decor
bili le cicatrici e i graffi destinati a far aderire l’o- (l’idea che la forma di un’opera d’arte debba es-
ro alla superficie56. sere appropriata alla sua funzione e alla sua loca-
lizzazione ambientale)64, sono sì derivati, come
tanti altri, dallo stile retorico e dalla critica lette-
La bellezza di Roma e la (debole) memoria dei raria, ma recuperati mescolando in modo sog-
monumenti gettivo più fonti, e quindi senza alcun riconosci-
bile riferimento ad uno specifico canone. Vitru-
Ma da cosa nasce questo scarso interesse per il vio sembra essere, ad esempio, in sintonia con
monumento in sé a favore del monumento, o Policleto nel considerare la symmetria (la com-
meglio del luogo, come simbolo e memoria di un mensurabilità matematica di tutte le componenti
glorioso passato? e qual era l’effettiva visione di un’opera complessa per il tramite di un’unità
estetica dei romani nel campo dell’urbanistica e modulare con i suoi multipli e sottomultipli)
dell’architettura? Per quanto possiamo giudicare come vettore della bellezza artistica65. Il concetto
in base ai pochi dati superstiti, i grandi monu- di symmetria, però, non resta congelato nei limiti
menti dell’architettura antica non erano stati in- dell’esperienza classica; si evolve nel tempo, e di
seriti in uno o più canoni secondo le regole adot- esso sono partecipi, con differenti schemi modu-
tate per la scultura e la pittura. Né sembra che i lari e matematici, altri artisti, tra cui, alle soglie
canoni delle arti figurative aggiornati dai grandi dell’età ellenistica, Lisippo66. In realtà, contra-
filosofi della Stoà di Mezzo – prima Panezio, poi riamente ai canoni artistici, la visione teorica di
Posidonio, il cui metro di giudizio non si basò Vitruvio non privilegia affatto la fase architetto-
sulle acquisizioni a carattere tecnico, e quindi su nica classica. Nel suo trattato i monumenti presi
una sempre più organica imitazione del vero, ma nella massima considerazione sono quelli attri-
sulla capacità degli artisti di superare la mimesis buiti a Pytheos e a Hermogenes, quindi pertinenti
“vedendo” con la phantasia, cioè per immagina- alla fase ellenistica, tra la fine del iv e la metà del
zione creativa (o, se si vuole, per intuizione), una ii secolo a.C. Sono architetture delle quali lo
realtà superiore, non percepibile dai sensi57 – ab- scrittore decanta le straordinarie qualità formali,
biano influenzato le discipline dell’architettura che sembrano rientrare perfettamente nei suoi
in modo organico e duraturo. Tantomeno si ven- principi di symmetria, di eurythmia e di decor.
ne mai a costituire un canone dell’architettura Malgrado ciò, né questi, né i meno apprezzati
secondo criteri morali58. Vitruvio, pur dipenden- monumenti dell’età classica sono da lui inseriti
do da molti trattati greci sull’architettura59, li ha entro un elenco canonico, né risultano essere
adoperati in modo personale, e comunque senza espressione di valori morali universalmente ac-
avere – almeno così sembra – una conoscenza cettati. Come tutte le opere di architettura nel
specifica di determinati canoni60. Anche i princi- mondo greco e romano, la loro salvaguardia era

Plin., Nat. hist., 8, 155). Ma le fonti non sono perfettamente chia- 60


Gros 1990, pp. xlii ss., lxv ss.
re (da ultimo: Cadario 2006, 35 ss.) né i frammenti della base di 61
Watzinger 1909, p. 202 ss.; Schlikker 1940, p. 73 ss.; Ferri
una statua equestre rinvenuti nel foro, ed attribuiti ipoteticamente 1960, p. 49 ss.; Frézouls 1985, p. 217 ss.; Gros 1990, p. xxviii ss.;
alla statua lisippea, riescono ad offrire, secondo il mio parere, dati Gros p. 1992, xix ss.
migliori per una soluzione del problema (Delfino–Di Cola–Ro- 62
Gros 1997, p. liv ss.
sati–Rossi 2010, p. 349 ss.). 63
Pollitt 1974, pp. 159 ss., 165 ss.
55
Plin., Nat. hist., 35, 36, 93-94. Le due tabulae sono citate an- 64
Horn-Oncken 1967; Pollitt 1974, pp. 68 ss., 341 ss. Come
che in Plin., Nat. hist., 35, 10, 27 e Serv., Aen., 1, 294. sempre, dalla critica letteraria il concetto deve aver condizionato in
56
Plin., Nat. hist., 34, 63. età tardo-ellenistica anche la storia dell’arte, come si desume dal
57
Pollitt 1974, p. 52 ss., 58 ss. Sull’importanza del canone fatto che Strabone (8, 353-54) consideri lo Zeus di Olimpia troppo
nell’antichità: Assmann 1997, p. 74 ss. grande per lo spazio entro cui è inserito (una critica “razionalisti-
58
L’uso del termine kanon con un valore morale è già presente in ca”, per noi pedante, che fece sua anche Apollodoro di Damasco
Euripide, Electra, 50 ss., dove si parla di un canone della ragione (v. nella sua critica del tempio adrianeo di Venere e Roma: Cass. Dio,
Oppel 1937, p. 23 ss.). Sarebbe stata poi proprio la Stoà di Mezzo 69, 4, 1-5).
a teorizzare un rapporto tra morale e arti figurative. 65
Vitr., 1, 2, 4.
59
Gros 1990, p. xxxvi ss.; Gros 1997, p. lxiii ss. 66
Plin., Nat. hist., 34, 65.

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La bellezza di Roma, ovvero gli spazi della memoria e dell’identità 55

basata su precetti molto labili, e forse non accol- avversione – che appare in tutta la sua virulenza
ti universalmente. Il valore della curia Hostilia anche nei frammenti della sua opera, e non è
per Piso era basato sulla fama di coloro che l’ave- un’invenzione di sana pianta di età tardo-repub-
vano frequentata, non sulla sua bellezza formale. blicana71, quando si volle rafforzare l’immagine
Ed è immaginabile che questo discorso valesse idealizzata dell’uomo romano incorruttibile, fu-
per tutti i monumenti romani, ivi compreso il stigatore di costumi non consoni ai prisci mores
tempio di Giove Feretrio. Anche quando, secon- – poggiava su una differente concezione dell’e-
do la narrazione di Tito Livio, Catone, nella sua ducazione, che doveva restare essenzialmente ro-
arringa contro l’abrogazione della lex Oppia (195 mana, sebbene non priva di un calibrato apporto
a.C.), sentenziava che gli antefixa fictilia degli di elementi greci. Sotto la sferza catoniana rien-
dei romani avrebbero dovuto essere privilegiati trava anche il lusso edilizio privato72, che già in
rispetto alle sculture trasferite da Siracusa a età precoce stava penetrando a Roma modifican-
Roma, o agli ornamenta di Corinto e di Atene, done i più moderati assetti tradizionali. Fosse
tanto lodati ed ammirati, perché solo in tal modo vero o meno – si tratterebbe al massimo di un’ac-
gli dei romani avrebbero continuato ad essere centuazione enfatica a carattere politico contro
propizi alla loro città67, il suo giudizio – sempre l’eccessiva ellenizzazione dei costumi, in quanto
che l’orazione liviana sia stata costruita su mate- la documentazione è tratta dai frammenti delle
riale catoniano68 e non su clichés di età augustea69 stesse orazioni di Catone –, in questo periodo il
– non verteva né sull’atto del saccheggio di opere sovvertimento degli usi tradizionali romani era
d’arte in sé, da molti ritenuto sacrilego se le ope- pienamente in azione73. Da queste premesse, da
re d’arte raffiguravano divinità ed erano colloca- questo pencolamento tra un passato idealizzato,
te nei templi70, e neppure sulla qualità estetica in parte ricostruito in conformità a preconcetti
delle opere stesse, ma sulla loro aderenza all’au- morali, e un presente che sembrava non rispon-
tentica tradizione romana. Catone non era con- dere più al mos maiorum, nasceva anche un’im-
trario in linea di principio alle arti greche. La sua magine di Roma “astratta”, non aderente alla re-

67
Liv., 34, 4, 4-5. suoi tempi si stavano imponendo gli usi conviviali greci, come quello
68
Così Kienast 1954, p. 21 ss. (il quale supponeva che l’orazio- di banchettare sdraiati nei triclinia e non seduti nell’atrium italico, di
ne fosse stata edita per la prima volta proprio nel testo di Livio), e, predisporre molte portate, di ornare le stanze con addobbi sontuosi e
in modo persuasivo, Letta 1984, p. 21, nota 110. Reputo difficile, di vestire vesti lussuose, di dare eccessiva importanza ai cuochi di pro-
con Letta, che parte almeno del materiale adoperato da Livio non fessione, per lo più greci, e alle delizie gastronomiche (Cato, frr. 96,
sia di matrice catoniana. 144 M. [=frr. 178, 132 Sbl. Cug.]; Ad Marcum filium, fr. 2, p. 83 J.). Si
69
Hanno avanzato dubbi a mio parere eccessivi: Pape 1975, p. 83 tratta comunque di una differenza di pochi anni. L’orazione di Cato-
ss.; Astin 1978, pp. 25 s., 173 s.; Briscoe 1981, p. 39 ss.; Sblendorio ne sulla lex Oppia è del 195 a.C.; il trionfo di Manius Acilius Glabrio
Cugusi 1982, p. 511 s.; Gruen 1992, pp. 69 s., 112 s.; Ducos 2010, p. sugli Etoli ed Antioco iii è del 190 a.C.; il trionfo di Scipione Asiatico
98 ss. Si considerano infatti i riferimenti agli ornamenta di Atene e di su Antioco iii e di Manlius Vulso sui Galati del 189 e del 186 a.C. Gla-
Corinto anacronistici rispetto alla data (195 a.C.) del discorso contro brio trasferì a Roma suppellettili regie d’argento e vesti magnifiche.
l’abrogazione della lex Oppia che aveva proibito, all’epoca della guer- Scipione e Vulso introdussero letti di bronzo, abaci e monopodia (tri-
ra annibalica, l’eccessivo lusso femminile, in quanto, secondo Plinio, clinia aerata), vasi d’argento cesellato e le celeberrime vesti attaliche
Nat. hist., 34, 34, i romani avrebbero continuato a dedicare nei loro (Østenberg 2003, p. 95 ss.). Può anche essere, insomma, che l’orazio-
templi simulacra di legno e di terracotta (e non di bronzo o di marmo) ne sia in tutto o in parte un’invenzione liviana, ma lo storico cerca di
almeno fino alla conquista dell’Asia (189 a.C.) oppure, come ipotesi adeguarsi alla mentalità catoniana nel modo più opportuno, né si ri-
alternativa ricordata da Magrit Pape, fino al trionfo di Flaminino sul- scontrano nel suo testo eccessivi anacronismi. Al contrario, alcuni dati
la Macedonia (194 a.C.). La produzione corinzia, poi, avrebbe fatto sono precisi, e di estrema verosimiglianza. Quando Catone, ad esem-
la sua comparsa a Roma con la distruzione della città nel 146 a.C., ad pio, descrive la massa di matrone che, in preda all’agitazione, blocca-
opera di Lucius Mummius. A parte che ciò non è affatto vero, visto che vano le vie della città e gli accessi al foro, tenendosi a stento lontane
già il bottino da Siracusa e da Taranto doveva essere colmo di opere da esso e dalle assemblee pubbliche, e chiedendo a gran voce che fos-
prodotte da artisti e artigiani della madrepatria, e visto che Plinio nel se abrogata la lex Oppia contro il lusso femminile, stigmatizza il loro
suo celebre brano non è così drastico sulle materie adoperate per la comportamento in quanto il motivo teorico di tale assembramento
realizzazione delle statue nei templi romani (“lignea potius aut fictilia non era quello di chiedere la restituzione dei loro uomini ostaggio dei
deorum simulacra in delubris dicata …”), mi sembra che tale lettura del cartaginesi, e neppure quello di ricevere nel modo più sfarzoso la Ma-
testo liviano (cit. a nota 67) sia viziata da preconcetti. Per la precisio- gna Mater proveniente da Pessinunte: ed era noto che l’unica eccezio-
ne, Catone parla prima dei signa trasferiti da Siracusa a Roma, e poi ne allo sfoggio di lusso era in occasione di festività religiose pubbliche
della deprecabile lode generalizzata per gli ornamenta di Corinto e di (Liv., 34, 1, 5-6; 2, 8 ss.; 3, 6). Il riferimento all’introduzione del culto
Atene. Sono due cose distinte: Catone non afferma che dai due più ce- della Magna Mater, avvenuto il 205 a.C., durante la seconda guer-
lebrati centri artistici della Grecia siano state depredate sculture come ra punica, non sembra essere, nel contesto, un’interpolazione liviana.
bottino di guerra, ma che i loro ornamenta (e con il termine si inten- 70
Miles 2008, p. 82 ss.; McGing 2010, p. 159 ss.; Williams
dono non solo statue, ma manufatti a carattere decorativo in genere) 2012, p. 281 ss.
erano particolarmente apprezzati a Roma. Come ha osservato John 71
Della Corte 1969, pp. 90 ss., 108, 113 ss.; Garbarino 1973,
Briscoe nel commento al paragrafo liviano, contatti romani con Atene p. 313 ss.; Astin 1978, p. 157 ss.; Letta 1984, p. 17 ss.; Gruen
c’erano da lungo tempo (Liv., 31, 5, 8 s.). Ambasciatori romani erano 1992, p. 52 ss., spec. p. 64 ss.; Ducos 2010, p. 96 ss. Sulle inter-
andati a Corinto e ad Atene nel 228 a.C., e Roma era stata ammessa ai pretazioni tardo-repubblicane della figura di Catone: Della Cor-
giochi istmici (Pol., 2, 12, 8; Zonar., 8, 19, 7 [con il nome del primo te 1969, spec. pp. 174 ss., 206 ss. (Catone in Cicerone e Livio);
romano vincitore]). Non c’è dubbio, inoltre, che il numero dei visi- Tränkle 1971; Astin 1978, p. 295 ss.; Hermand 2010, p. 103 ss.
tatori romani in Grecia fosse ulteriormente incrementato durante la 72
Cato, frr. 133, 174, 185 M. (= frr. 97, 218, 139 Sbl. Cug.).
seconda guerra macedonica. Non dovrebbe destare sorpresa, quindi, 73
Il dibattito sul tema del lusso è stato recentemente analizzato,
la presenza di manufatti corinzi ed ateniesi a Roma già nel primo de- con nuovi interessanti risultati, da Andrew Wallace-Hadrill (Wal-
cennio del ii secolo a.C. Lo stesso Catone, d’altronde, informa che ai lace-Hadrill 2008, p. 315 ss.).

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56 Eugenio La Rocca

altà dei fatti. Più volte Cicerone decanta la città si trattava di zone inedificate o perché erano di
con termini elogiativi che contengono una forte proprietà dello stato, oppure acquisite con espro-
componente retorica: “Gli dei, con il loro potere prio, le nuove strutture monumentali vi si inne-
divino, difendono i templi e le case di Roma non starono entro un tessuto eterogeneo di strade e
da lontano, come solevano fare un tempo contro vicoli stretti e sinuosi. Ogni struttura architetto-
nemici esterni, ma standoci accanto. Pregateli, nica aveva una sua indipendenza, che non si cu-
Quiriti, adorateli e implorateli perché protegga- rava dell’assetto urbanistico, neppure di quello
no dal crimine scellerato dei cittadini più abietti limitrofo. Quale differenza con le nuove capitali
questa città, che hanno voluto la più bella, rigo- dei regni ellenistici, fondate sulla base di elegan-
gliosa e potente, oggi che tutti gli eserciti nemici, ti impianti ortogonali derivati all’insegnamento
per terra e per mare, sono stati schiacciati”74. Pur di Ippodamo di Mileto! Strabone, un greco d’A-
disonorata dalla presenza di cittadini non degni sia Minore, si è sforzato di comprendere le pecu-
della sua grande tradizione, la città era stata pla- liarità di Roma80: “…la sua posizione è dovuta
smata dagli dei stessi perché fosse, al culmine più alla necessità che ad una scelta … Neppure
della sua potenza, bella, rigogliosa e potente. quelli che in seguito continuarono a costruire al-
Che fosse rigogliosa e potente non c’è alcun dub- tre parti della città furono liberi di migliorare la
bio: ma era anche bella?75 C’è da dubitare sull’ef- situazione, ma dovettero assoggettarsi alle con-
fettiva qualità estetica della Roma tardo-repub- dizioni preesistenti … Mentre infatti i greci rite-
blicana, non tanto perché non corrispondeva nevano di aver raggiunto il loro massimo scopo
all’immagine tanto ammirata delle grandi capi- con la fondazione delle città, perché si erano pre-
tali d’oriente, di Alessandria, di Pergamo, di An- occupati della loro bellezza, della sicurezza, dei
tiochia, ma perché l’intervento di quei magistra- porti e delle risorse naturali del paese, i romani
ti che, a seguito dei trionfi, avevano adornato la hanno pensato soprattutto a ciò che quelli aveva-
città con magnifici monumenti pubblici, non era no trascurato: a pavimentare vie, a incanalare ac-
stato capace di rinnovarne a fondo l’impianto ur- que, a costruire fogne che potessero evacuare nel
banistico76. Le nuove strutture semplicemente si Tevere tutti i rifiuti della città … Si potrebbe
erano sovrapposte al preesistente tessuto, entro dire che i primi romani hanno tenuto in poco
strade sinuose, irregolari e anguste. Quanto pos- conto la bellezza di Roma, volti ad obiettivi im-
siamo immaginare della città tardo-repubblicana portanti e necessari …”81. La descrizione di Stra-
prima di Augusto è rivelato dai monumenti su- bone è selettiva. Della città gli interessano le
perstiti e dalle fonti letterarie. Roma era diventa- mura, la funzione del Tevere come via di naviga-
ta nel ii secolo a.C. capitale di un impero, ma del zione e di commercio fluviale, cave, foreste e cor-
tutto impreparata sotto il profilo urbanistico, ri- si d’acqua; poi, le infrastrutture, frutto di capa-
sultato, a quanto pare, di numerosi interventi su cità tutte romane. Come giustamente ha osserva-
un nucleo magmatico venutosi a costituire sulle to Filippo Coarelli, Strabone voleva spiegare ai
rovine ancora fumanti dell’incendio gallico del greci quali fossero le differenze sostanziali tra
390 a.C.77. Le impellenti esigenze di ricostruzio- Roma e le città greche. V’è nel fondo quella tipi-
ne, nonché la volontà di evitare il trasferimento ca logica a stampo retorico che voleva i romani
in altra sede – c’era chi aveva proposto seriamen- eccellenti nei lavori d’ingegneria (strade, fogne,
te un trasferimento a Veio78, fieramente ostacola- acquedotti), e i greci esperti nelle forme artisti-
to da Marco Furio Camillo – impedirono di ri- che. Ma quando poi il geografo deve descrivere
fondare la città secondo un coerente piano rego- la città, la sua scelta cade su un solo quartiere, il
latore. Essa aveva conservato il primitivo Campo Marzio (fig. 8), e di esso decanta l’opera
impianto “serviano”, senza grandi alterazioni. munifica di Pompeo, di Cesare, in particolar
La frase declamata secoli dopo da Augusto, di modo di Augusto e di Agrippa, che avevano sa-
aver ricevuto una Roma di mattoni, e di lasciarla puto trasformare una zona paludosa e disabitata
di marmo79, trasmette il senso reale della situa- in un luogo di delizie, superiore a quanto era sta-
zione. Gli interventi dei trionfatori nel ii secolo to fino allora realizzato nelle capitali d’oriente.
a. C. avevano cominciato a mutare l’aspetto della Strabone accenna appena alla città storica, e di
città, non la sua struttura urbanistica. Laddove essa non rileva affatto l’operato dei senatori della
c’era la possibilità di recuperare spazio, o perché media e della tarda repubblica, e neppure i gran-

74
Cic., Cat., 2, 13, 29. Inoltre: Cic., Cat., 3, 3; Nat. deor., 3, 9; 79
Suet., Aug. 28, 3.
Verr., 2, 5, 127. 80
Strabo, 5, 8 (C 235).
75
Favro 1996, p. 45 ss. 81
Wiseman 1987, p. 161 ss.; Coarelli 1988b, p. 89 ss.; Engels
76
La Rocca 2012, p. 78 ss. 1999, p. 298 ss. (sulla cronologia dell’opera: p. 36 ss.); Rottier
77
Favro 1996, p. 42 ss. 2004, p. 533 s. Sulla visione della romanità in Strabone: Vigourt
78
Liv., 5, 4, 49. 2007, p. 131 ss.

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La bellezza di Roma, ovvero gli spazi della memoria e dell’identità 57

8. Pianta del Campo Marzio, nella quale sono distinti, a colori differenti, i monumenti dall’età tardo-repubblicana all’età medio-imperiale
(disegno di Paola Mazzei).

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58 Eugenio La Rocca

di interventi augustei nel foro Romano ed alle


pendici del Campidoglio. È difficile sottrarsi al
pensiero che la città storica non era descrivibile
secondo il concetto di uno scrittore aduso alle
bellezze delle città ellenistiche, in primo luogo
Alessandria, che al contrario descrive con mag-
giore dovizia di particolari. L’irradiamento della
cultura greca verso Roma è ormai percepibile,
anche se in modi meno pervasivi rispetto agli ul-
timi due secoli della repubblica, fin dall’età ar-
caica; né mancavano in città manufatti autentica-
mente greci a fianco di manufatti profondamente
influenzati dallo stile degli artisti greci, come di-
chiarato, già nel 1973, dalle opere esposte nella
mostra “Roma medio-repubblicana”82. È altret-
tanto palese che l’idea di una Roma “rustica”
fosse nata da una falsa immagine della città co-
struita con intenti retorici83. Greca sembra esse-
re l’Amazzone ferita dall’Esquilino84, opera in
terracotta forse prodotta da quei medesimi Da-
mophilos e Gorgasos attivi al tempio di Cerere,
Libero e Libera agli inizi del v secolo a.C. Gre- 9. Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. La c.d. Cista
Ficoroni, dettaglio: gli Argonauti alla fonte, in attesa del ritorno di
che dovevano essere le sculture di Alcibiade e di Polluce (da Dohrn 1972).
Pitagora85, poste nel foro Romano verso la fine
del iv secolo a.C. Di derivazione greca sarebbe
stato, secondo Filippo Coarelli, l’impianto del aver prevalso sull’innovazione. Podio modanato,
nuovo comitium ricostruito in una data impreci- enfasi della facciata, misura degli intercolumni
sata tra la fine del iv e la prima metà del iii seco- tale da poter consentire alle donne, durante le
lo a.C., a imitazione degli ekklesiasteria greci (fig. processioni, di entrare nei templi tenendosi per
2)86. Anche numerose opere d’arte prodotte se- braccio, privilegio di una pars antica ampia in
condo usi e modelli locali, come la Cista Ficoro- luogo del pronao, inutile ai fini del rito romano,
ni, opera di Novios Plautios, un artigiano attivo a misura della cella idonea anche per riunioni e at-
Roma verso la metà del iv secolo a.C. (fig. 9)87, o tività collegiali, sono gli elementi fondanti che
terrecotte architettoniche e votive88, non sono hanno impedito, ancora per lungo tempo, ai ro-
pensabili senza una mediazione greca. La strut- mani di adeguarsi all’architettura greca90. Non
tura urbana e le architetture restarono però fon- c’è quindi motivo di dubitare sull’aneddoto dei
damentalmente italiche. Né mutò la situazione cortigiani di Filippo v che avrebbero deriso gli
con l’arrivo a Roma di manufatti greci in massa, usi e i costumi, le imprese, infine “l’aspetto della
prima da Siracusa del 212 a.C., poi da Taranto loro città, che non era ancora stata abbellita con
nel 209 a.C.89. I templi continuarono ad essere edifici pubblici e privati”91. Come Diane Favro
realizzati alla maniera antica: non erano di mar- ha osservato, “monuments to individuals embel-
mo, ma di tufo stuccato, legno e terracotta, ed lished the city, yet such self-serving works con-
avevano un ritmo del colonnato, areostilo o dia- veyed rivalry and thus did not foster a unified
stilo, tanto più largo rispetto ai coevi edifici gre- urban identity”92. Roma era rimasta una fra le
ci. È evidente che la forza della tradizione deve tante città laziali e italiche, senza avere ancora la

82
Roma 1973; La Rocca 1990, p. 289 ss.; Coarelli 1996, p. 15 Wallace-Hadrill 2008, p. 108 ss.; Coarelli 2011, p. 207 ss.
ss.; Coarelli 2011. 88
V. ad esempio le terrecotte architettoniche attribuite al tem-
83
Horsfall 1993, p. 791 ss.; Wiseman 1994, p. 26 ss.; Feeney pio di Victoria sul Palatino (La Rocca 1990, p. 321, figg. 123, 124;
1998, pp. 25 ss., 50 ss.; Wiseman 2004, p. 13 ss.; Wallace-Hadrill Pensabene 1991, p. 45 ss., figg. 41, 42; Pensabene 2001, p. 94 ss.;
2008, p. 17 ss., spec. p. 25. Cecamore 2002, p. 127, figg. 44, 45; Rossi 2006, p. 425, figg. 23,
84
Lulof 2007, p. 7 ss. 24) e i busti di terracotta da un santuario di Cerere (?) ad Ariccia
85
Zevi 1970, p. 68 s.; Coarelli 1985, p. 119 ss.; Gruen 1992, (Roma 1973, p. 321 ss., nrr. 473, 474, tavv. lxii-lxv [A. Zevi Galli-
pp. 91, 93, 228; Sehlmeyer 1999, p. 88 ss.; Storchi Marino 1999, na]; Roma 1990, p. 176 s., nrr. 146, 147, tavv. xxxi, xxxii, 1 [M. Ro-
p. 146 ss.; Humm 2005, p. 541 ss.; Papini 2004, p. 175 ss.; Miano ghi]; Roma 2005, p. 212 ss., nrr. 44-45 [A. Tedeschi]. Sul santuario
2011, p. 100 ss. di Ariccia: Zevi 2005, p. 59 ss.; Ruggeri–Carosi 2006, p. 29 ss.).
86
Coarelli 1983, p. 146 ss.; Coarelli 1985, p. 11 ss.; Humm 89
Pape 1975, p. 6 ss.; Gros 1979, p. 85 ss.; Ferrary 1988, p. 573
2004, p. 43 ss. Indagini più recenti spingono ad una maggiore pru- ss.; Gruen 1992, p. 84 ss.; Østenberg 2003, pp. 41 ss., 78 ss., 84 s.
denza sull’argomento: Carafa 1998, p. 150 s.; Miano 2011, p. 87 ss. 90
La Rocca 2012, p. 63 ss.
87
Dohrn 1972; Bordenache Battaglia–Emiliozzi 1990, p. 91
Liv., 40, 5, 7.
211 ss., nr. 68, tavv. ccxcvii-cccxiii; Wiseman 2004, p. 89 ss.; 92
Favro 1996, p. 44 s.

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La bellezza di Roma, ovvero gli spazi della memoria e dell’identità 59

benché minima impostazione da capitale di un gole sia giunta anche una scelta di doccioni, di
impero. Ai cortigiani di Filippo v mal gliene in- antefisse, di geisa e di sime), e di una tipologia
colse, ma ancora per molto tempo i romani si fe- architettonica di derivazione greca, sebbene
cero un vanto della loro tradizione culturale, e forse ibrida nel risultato. È stato supposto che
non si dichiararono interessati ad una ridefini- la scelta di Flaccus fosse caduta sul tempio di
zione capillare della loro città sotto il profilo ur- Hera Lacinia perché fondato da Eracle a seguito
banistico93. Le prime strutture di sapore elle- di una delle sue fatiche che, negli sviluppi elle-
nizzante a Roma risalgono alla prima metà del nistici del mito, aveva creato ad arte un collega-
ii secolo a.C. L’operazione svolta nel 173 dal mento simbolico tra Roma e Crotone. Recupe-
censore Quintus Fulvius Flaccus94 può valere rata nel più lontano occidente, a seguito di un
come esempio emblematico dei modi in cui i ro- ordine di Euristeo, la mandria dei buoi di Ge-
mani si rapportavano alla più alta tradizione ar- rione (simbolo forse delle rotte commerciali
chitettonica greca in funzione della loro archi- percorse dai mercanti fenici e greco-orientali in
tettura. In quell’anno egli decideva di spogliare età arcaica)97, l’eroe sulla via del ritorno si era
il celeberrimo tempio di Hera Lacinia nei pressi fermato nei luoghi dove sarebbero state fondate
di Crotone delle sue tegole marmoree per rive- le due città; a lui, anzi, si attribuiva la fondazio-
stirne il suo tempio della Fortuna Equestris in ne stessa di Crotone, oltre che del culto di Hera,
via di costruzione nel Campo Marzio. L’opera- per propiziarsi la dea ostile e vendicativa98.
zione, ormai a buon punto, fu bloccata per ma- Quintus Fulvius Flaccus avrebbe, però, potuto
nifesta empietà dal senato che, nel decretare imitare Annibale che, identificato dalle fonti
immediate supplicationes in favore di Giunone greche coeve con Eracle, a sua volta analogo al
adirata, lo costrinse a riconsegnare le tegole al fenicio Melqart, ne ricalcò le orme trasferendosi
santuario crotoniate, dove restarono giacenti al con il suo esercito dalla Spagna in Italia attra-
suolo perché nessun artigiano si dichiarò capace verso le Alpi, fino a raggiungere anche lui il
di rimetterle al loro posto95. Ciò non meraviglia promontorio del Lacinio99. Qui, nel 205 a.C.,
più di tanto, poiché l’uso di tegole in marmo in avendo progettato di trafugare dal santuario di
luogo di quelle in terracotta era un’eccezione Hera una colonna votiva d’oro, ne fu dissuaso
anche per i templi della Magna Grecia96. Fu da un sogno che lo minacciava, lui già privo di
una novità per l’epoca l’impianto sistilo del un occhio, di perdere interamente la vista. A
tempio, più simile ai ritmi greci che non a quel- parziale risarcimento per il sacrilegio, ancorché
li romani, reso necessario dall’uso delle tegole non attuato, Annibale dedicò ad Hera una vacca
di marmo, ben più pesanti di quelle in terracot- ed un altare con una lunga iscrizione bilingue
ta. Altrettanto innovativo fu il trasferimento a contenente le sue res gestae, con un ampio risal-
Roma non di un’opera d’arte greca, ma di tego- to per le sue prime gloriose imprese ispaniche,
le (anche se si potrebbe supporre che con le te- dalle quali Polibio derivò informazioni di prima

93
La Rocca 2012, p. 37. 82 ss.; Coarelli 2012, p. 72. Per le statue di culto serviane di For-
94
RE, vii, 1 (1910), col. 246 ss., s.v. (61) Q. Fulvius Flaccus tuna, v. Papini 2006, p. 57 ss.). Desumere dall’ipotizzata associa-
(Münzer); Salinas de Fréas 1989, p. 67 ss. zione di Fortuna con Ercole a Roma, e di Hera Lacinia con Eracle
95
Liv., 42, 3, 1-11; Val. Max., 1, 1, 20; Fest., 390, 3-7 L. (di in- a Crotone una connessione ideologica, accentuata dalla presenza
certa lettura). V. Champeaux 1987, p. 132 ss.; La Rocca 1996, p. 89 nel santuario del foro Boario di statue tripedanee dedicate nel 264
ss.; Poulle 2004, p. 76 ss. a.C. da un avo di Quintus, Marcus Fulvius Flaccus, dopo la sua
96
Spadea 1996, p. 253. vittoria su Volsinii (Torelli 1968, p. 71 ss.), è allo stato delle cose
97
Rackel Levy 1934, p. 40 ss.; Grottanelli 1973, p. 153 ss.; una proposta di lavoro, cui offre qualche credito il fatto che il dies
Grottanelli 1981, p. 109 ss.; Martin 1979, p. 11 ss.; Valenza natalis del tempio della Fortuna Equestris, il 13 agosto, coincide
Mele 1979, p. 19 ss.; Bonnet-Travellas 1983. sia con il dies natalis del tempio di Vortumnus, dedicato sempre
98
È persuasiva l’ipotesi di una dipendenza della leggenda ro- nel 264 a.C. da Marcus Fulvius Flaccus, sia con il dies natalis del
mana di Ercole e del furto dei buoi di Gerione ad opera di Caco, tempio di Hercules Victor ad portam Trigeminam e del tempio dei
da quella sviluppatasi in Italia meridionale dove l’eroe, secondo Dioscuri in circo Flaminio, in ideale accostamento alla data delle
un ramo della tradizione, aveva fondato non solo il santuario di festività dell’ara Maxima, il 12 agosto (Torelli 1968, p. 74, nota
Hera, ma la stessa Crotone, dedicandola al giovane eroe Kroton da 31; Champeaux 1982, p. 262; Champeaux 1987, p. 150; Poulle
lui ucciso accidentalmente mentre tentava di evitare che il suoce- 2004, p. 83).
ro Lakinos rubasse gli armenti. La reduplicazione del mito (ma 99
La principale fonte, cui si deve anche l’interpretazione del-
vi sono imitazioni, se non autentici calchi anche a Locri e ad Eri- le imprese di Annibale nella chiave di una imitatio Herculis (più
ce), l’assonanza tra i nomi Lakinos e Latinos, sono sicuro indizio precisamente di Eracle-Melqart), è lo storico greco Silenos, nati-
di una volontà di inserire Roma nel contesto delle città italiche vo di Caleatte in Sicilia, che accompagnò il cartaginese durante le
ellenizzate, se non propriamente greche: Bayet 1926, p. 156 ss.; sue campagne militari. È probabile che Silenos abbia offerto del
Carcopino 1942, p. 173 ss.; Galinski 1969, p. 75 s.; Jourdain- mito (ne abbiamo qualche informazione in base a Solin., 1, 14-15
Annequin 1982, p. 267 ss.; Giangiulio 1983, p. 785 ss. V. an- = FGH 175 F 8, a Paul. Fest., 220 L., e a Dion. Hal., 1, 43, 1) una
che Coarelli 1988b, p. 127 ss. Meno preciso, a mio parere, è il versione favorevole ai cartaginesi e ai celti loro alleati, e contraria ai
rapporto tra Fortuna ed Ercole, più volte postulato riconoscendo, romani. Come Ercole vincitore di Caco, Annibale, giungendo alle
ad esempio, nella dea armata a fianco di Ercole sulla terracot- rive del Tevere, avrebbe purificato l’Italia dai briganti che la infe-
ta acroteriale di S. Omobono non Athena, bensì Fortuna, la dea stavano: Briquel 1997, p. 37 ss. (che riprende alcune osservazioni
protettrice di Servio Tullio, analoga all’Astarte fenicia (Coarelli avanzate da Bayet 1926, p. 156 ss., e Carcopino 1942, p. 173 ss.,
1988a, p. 205 ss., spec. pp. 230 ss., 253 ss., 301 ss.; Poulle 2004, p. spec. p. 177 s.).

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60 Eugenio La Rocca

mano sui contingenti militari cartaginesi in e la grecità recepita da un nucleo assai maggiore
Spagna100. La spoliazione delle tegole del tempio di fruitori in tutta la sua complessità, e non per
di Hera Lacinia a favore del tempio di Fortuna brani frammentari, difformi e molto spesso pe-
Equestris sarebbe stata eseguita, perciò, per com- netrati senza una logica coerente nell’ancora
memorare la fallita iniziativa “erculea” di Anni- poco duttile sistema educativo romano. Marcus
bale e per celebrare, viceversa, le rinnovate gesta Fulvius Nobilior105, il vincitore di Ambracia, de-
ispaniche di Flaccus, dal suo punto di vista eroi- dicava a Roma, nel circo Flaminio, il tempio di
che quanto quelle del cartaginese, ma dai risulta- Hercules Musarum in un periodo compreso tra il
ti tanto più favorevoli a Roma101. Eppure, la fama 186 e il 179 a.C. (fig. 6)106. Era un’autentica no-
“pitagorica” di Crotone e una leggenda connessa vità, cui probabilmente non erano estranee mo-
con la copertura del tempio di Hera Lacinia of- tivazioni di radice pitagorica107. Per la prima
frono, secondo il mio parere, motivazioni ancora volta nella città – segno ormai di una costante e
più cogenti. Si narrava che se qualcuno avesse profonda opera di ellenizzazione dei costumi –
inciso con il ferro il suo nome su una tegola del si costituiva un rapporto simbolico, al quale Pi-
tempio, tanto a lungo l’iscrizione si sarebbe con- tagora aveva assegnato la massima importanza,
servata quanto a lungo fosse vissuto l’uomo che tra le grandi azioni eroiche, impersonate da Er-
l’aveva incisa102. Si può immaginare che fosse cole, e la loro imperitura memoria per virtù del-
posta in relazione simbolica l’eternità dell’indi- le Muse che, con la loro madre Mnemosyne, la
viduo – un’eternità legata magicamente alla me- memoria matrice di tutte le arti, le proteggono
moria scritta del suo nome – con l’eternità del dall’oblio rendendole eterne con il loro canto108.
monumentum, nella fattispecie le tegole del tem- Come recita Orazio: “La Musa impedisce la
pio lacinio. Ma non potrebbe essere estraneo alla morte di chi è degno di gloria; / la Musa lo bea-
decisione di Flaccus proprio il luogo dove il san- tifica in cielo. Così l’inesausto Ercole / s’asside
tuario, fondato da Eracle, era ubicato: il territo- alle bramate mense di Giove; / …”109. Per que-
rio di Crotone, la città che Pitagora aveva pre- sto motivo, d’altronde, Nobilior si era fatto ac-
scelto per costituirvi la sua scuola filosofica. La compagnare durante la sua campagna etolica da
fama di Crotone pitagorica era ampiamente dif- Ennio, poeta ben al corrente del valore della
fusa, e certo non priva di ripercussioni a Roma poesia come strumento d’immortalità, e non di-
stessa, dove si era radicata la leggenda di un di- giuno di conoscenze filosofiche110. Nel tempio
scepolato di Numa Pompilio presso il grande fi- erano esposti fasti nei quali Nobilior faceva
losofo samio103. Poco importava il palese anacro- sfoggio delle sue conoscenze religioso-antiqua-
nismo, e certamente anche la scarsa conoscenza rie, nonché astronomiche e astrologiche: vi era-
circa l’effettiva portata dell’insegnamento pita- no incise anche spiegazioni relative ai nomi dei
gorico. La statua del filosofo, dagli ultimi decen- mesi111. È possibile, perciò, riconoscere il Nobi-
ni del iv secolo a.C. fino ad età sillana, faceva lior in quel Fulvius che, in base ad una testimo-
bella mostra di sé nel comizio, presso l’ingresso nianza di Lido112, avrebbe affermato in una sua
della curia Hostilia, insieme con la statua di Alci- opera avente come tema proprio Numa Pompilio
biade104, ed era, per i romani dell’epoca, il sim- l’importanza della divinazione fondata sullo stu-
bolo stesso della sapienza greca. Relativamente dio degli astri113. È di ulteriore e valido supporto
poco, tuttavia, si sapeva di filosofia, di arti e let- a questa ipotesi la presenza nel tempio di Hercu-
teratura greca, persino durante le guerre mace- les Musarum del sacello bronzeo dedicato alle
doniche e siriane. In capo a pochi anni il quadro Camene da Numa Pompilio, già traslato dalla
di riferimento culturale sarebbe stato rovesciato, sua sede originaria presso porta Capena nel vici-

100
Cic., De div. 1, 24, 48; Liv., 28, 46, 16. L’altare con relativa 105
RE, vii, 1 (1910), col. 265 ss., s.v. (91) M. Fulvius Nobilior (F.
iscrizione fu esaminato da Polibio che ne fruì per elencare i contin- Münzer).
genti militari di Annibale in Spagna: Polyb., 3, 33, 18; 56, 4. V. il 106
LTUR, iii, 1996, p. 17 ss., s.v. Hercules Musarum, aedes (A.
commento di Molin 1971, p. 197, nota 151; 217, nota 234. Viscogliosi), con bibl. prec. Inoltre: La Rocca 2006b, p. 99 ss.;
101
Poulle 2004, p. 83. Fontana 2006, p. 233 ss.; Gobbi 2009, p. 215 ss.
102
Serv., Aen., 3, 552. V. Poulle 2004, p. 86 s. (“Une inscription 107
Boyancé 1937, p. 233 ss.
qui s’efface quand meurt son auteur relève, à mon sens, de la meme 108
La Rocca 2006b, p. 99 ss., spec. pp. 107, 110 s. È significativo
philosophie: elle est assimilable à la parole humaine”). che Mnemosyne, la “memoria”, sia la madre delle Muse. Ella è la
103
Plut., Numa, 8, 11, 14. V. Zeller–Mondolfo 1950, p. 610; matrice della creatività, proprio secondo l’assunto che memoria e
Ferrero 20082 (nuova edizione del testo del 1955), p. 140 ss.; Bur- inventio sono interdipendenti.
kert 1961, pp. 16 ss., 226 ss.; Burkert 1972, p. 111, nota 6; 469, 109
Hor., Od., 4, 8, 28 ss. Dopo Ercole, Orazio accenna ai Dio-
nota 20; Garbarino 1973, p. 221 ss.; Storchi Marino 1999. An- scuri e a Libero, divenuti anch’essi dei dopo aver conosciuto il do-
che Cicerone, che non accetta per ragioni cronologiche il rapporto lore d’essere uomini, e la morte.
tra Numa e Pitagora, cerca di anticipare l’influenza pitagorica a 110
Garbarino 1973, pp. 259 ss., 580 ss.
Roma ai primi tempi della repubblica (Cic., Tusc., 4, 1, 3 s.) per 111
Cic., Pro Arch., 11, 27; Brut., 20, 79; Tusc., 1, 2, 3. Inoltre:
una serie di motivi che non appaiono persuasivi: Garbarino 1973, Auct., De vir. ill., 52, 3; Symm., Epist., 1, 20, 2.
p. 224 ss. 112
Garbarino 1973, p. 256 ss.
104
V. nota 85. 113
Lyd., De ostent., 16 = Garbarino 1973, p. 143 s., nr. 300.

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La bellezza di Roma, ovvero gli spazi della memoria e dell’identità 61

10. Frammento di capitello ionico attribuito alla decorazione del tempio di Giove Statore nella porticus Metelli, e disegno ricostruttivo (da
Bianchi 2010).

no tempio di Honos et Virtus114. Tutto ciò sembra di ambiguità nel comportamento romano. Si
affermare un certo interesse di Marcus Fulvius tentava di preservare la memoria di un luogo ri-
Nobilior nei confronti del pensiero pitagorico. nomato, il santuario crotoniate costruito da Era-
Torniamo ora a Quintus Fulvius Flaccus, che di cle, associato all’insegnamento di Pitagora ed
Marcus Fulvius Nobilior era affine perché della alle imprese di Annibale, non nel suo insieme,
medesima gens. Nella sua scelta della località da ma tramite una sola delle sue componenti, le te-
cui trarre le tegole potrebbe aver avuto perciò un gole, anche se la loro asportazione destinava il
ruolo basilare da un lato la fama di Crotone con- monumento ad una fatale rovina. Quanto inte-
nessa con Pitagora e con il suo culto delle Muse, ressava ai romani dell’epoca era solo la memoria
dall’altro una sorta di imitatio dell’illustre paren- del luogo, un riferimento simbolico estrapolato
te. In questo insolito caso, non le Muse avrebbe- dal suo contesto naturale. Si dovrà attendere il
ro reso eterno il nome di Flaccus, ma le tegole del trionfo di Quintus Caecilius Metellus sulla Mace-
tempio di Hera Lacinia: un inconsueto ma sug- donia nel 146 a.C. per avere finalmente a Roma il
gestivo elemento mnemonico, accentuato dalla primo edificio interamente in marmo, il tempio
leggenda che collegava la loro durevolezza con i di Giove Statore, un periptero ionico a ritmo eu-
nomi incisi su di esse: un modo differente di ga- stilo116, realizzato su progetto di Hermodoros di
rantire l’eternità del nome di Flaccus e delle sue Salamina117, del quale Fulvia Bianchi ha forse
imprese, proprio nel momento in cui le tegole, trovato il frammento di uno dei capitelli ionici,
sradicate dal loro contesto naturale, dichiarava- così simile ai capitelli di Hermogenes (fig. 10)118.
no l’inevitabile disfacimento del tempio di Hera Eppure, il tempio di Giove Statore restò un
Lacinia115. Se questa chiave di lettura ha una sua esempio isolato nel panorama architettonico ro-
validità, saremmo di fronte ad un ulteriore caso mano, non tanto, forse, per la sua esecuzione in

114
Serv., Aen., 1, 8. V. LTUR, i, 1993, p. 216, s.v. Camenae, cum (A. Viscogliosi); Gros 1996, p. 128; Coarelli 1997, p. 488 ss.;
Camenarum fons et lucus (E. Rodriguez Almeida); LTUR, iii, 1996, Stamper 2005, p. 53 ss.; La Rocca 2011, p. 9 ss.
p. 18, s.v. Hercules Musarum, aedes (A. Viscogliosi). 117
Coarelli 1968, p. 334 ss.; Gwyn Morgan 1971, p. 486 ss.;
115
Ritornate a Crotone, le tegole giacquero per terra in quanto Gros 1973, p. 137 ss.; Zevi 1976b, p. 1047 ss.; Tortorici 1988, p.
non v’erano più maestranze capaci di rimetterle a posto. 59 ss.; La Rocca 2011, p. 8 ss.
116
LTUR, iii, 1996, p. 157 ss., s.v. Iuppiter Stator, aedes ad Cir- 118
Bianchi 2010, p. 287 ss., figg. 1, 3; La Rocca 2011, p. 9 s., figg. 8-9.

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62 Eugenio La Rocca

marmo, quanto per la sua morfologia non ri-


spondente alle esigenze del sistema rituale roma-
no. Non è un caso che solo nella fase compresa
tra la fine del ii e gli inizi del i secolo a.C. abbia-
mo probabilmente la prova concreta della rice-
zione del modello periptero, in marmo pentelico
nel tempio di Marte in circo (fig. 11)119, in pietra
nei templi di Iuno Sospita120 e di Spes nel foro Oli-
torio (fig. 12)121, e, di nuovo ipoteticamente, nel
tempio dei Castori al foro Romano122. Quasi tutti
presentano, nella logica greca, fortissime anoma-
lie: preservano ancora il colonnato esterno anula-
re, ma con una tale contrazione spaziale dell’am-
bulacro posteriore rispetto all’enfatizzazione della
pars antica, da pregiudicare la valenza specifica
del sistema periptero e da dichiararne in effetti il
fallimento in territorio romano. Anche il tempio
di Marte in circo, giudicato opera di Hermodoros,
sebbene realizzato in marmo pentelico con una
tecnica costruttiva che sembra presupporre una
parziale lavorazione non in loco (alle cave stesse
del Pendeli in Attica?), è parzialmente difforme
dagli schemi peripteri greco-ellenistici, in quanto
di ritmo picnostilo e con basi delle colonne libera-
mente modellate su schemi tuscanici. Gli altri
templi eseguiti o restaurati a partire da questo pe-
riodo in poi, tendono invece a riproporre, con ag-
giornamenti dovuti plausibilmente all’insegna-
mento di un grande architetto, Gaius Mucius (o
Mutius)123, l’assetto sine postico più confacente alla
consuetudine romana. A Mucius si doveva la rea- 11. Pianta del tempio di Marte in circo (disegno di D. Kosmopou-
los e di F. Fiano).
lizzazione del tempio mariano di Honos et Virtus,
molto apprezzato in quanto vincolava gli schemi
greci alla tipologia italica124. Se fosse stato di mar-
mo, afferma Vitruvio, sarebbe stato considerato sine postico, come dichiara la sua pianta riprodotta
tra i massimi capolavori dell’architettura125. Co- nella Forma Urbis Severiana (fig. 6)127. Forse per
desto tempio dichiarava praticamente conclusa la mancanza della costruzione di un canone, l’archi-
sperimentazione romana dei peripteri greci, a fa- tettura ebbe nei romani un differente grado di in-
vore del modello sine postico su podio, come il teresse rispetto alla scultura ed alla pittura, come
tempio di Giano nel foro Olitorio (fig. 12)126. Così, sembra dichiarare proprio la pressoché completa
in età augustea, insieme con la porticus Metelli, conservazione del programma scultoreo nella por-
che perse il suo nome a favore di Ottavia, e con il ticus Metelli come impostato dal suo primitivo de-
tempio di Giunone Regina, anche il tempio di dicante, con la turma Alexandri e con le opere di
Giove Statore, in totale sprezzo della sua fama, di Polykles e di Dionysios, di Philiskos, e forse di altri
cui restano tracce nel testo vitruviano, subì modi- artisti di età ellenistica (Heliodoros, Doidalsas,
fiche radicali assumendo lo schema più abituale Polycharmos)128. Fatte salve alcune aggiunte più

123
Gros 1990, p. 86 ss.; LTUR, iii, 1996, p. 33 ss., s.v. Ho-
119
Vespignani 1872-1873, p. 212 ss.; Coarelli 1968, p. 302 ss.; nos et Virtus, aedes Mariana (D. Palombi); Zevi 1996, p. 235 ss.;
Nash 19682, p. 120; Coarelli 1970-1971, p. 244 ss.; Gros 1973, p. D’Alessio 2010, p. 60 s. Su Gaius Mucius inoltre: Birnbaum
148 ss.; Zevi 1976a, p. 34 ss.; Zevi 1976b, p. 1047 ss.; Tortorici 1914, p. 60 ss.; Wesenberg 1983, p. 171 ss.; Knell 1985, pp. 17,
1988, p. 59 ss.; Rodríguez-Almeida 1991-1992, p. 3 ss.; LTUR, 71, 73.
iii, 1996, p. 226 ss., s.v. Mars, in circo (F. Zevi); Coarelli 1997, 124
LTUR, iii, 1996, p. 33 ss., s.v. Honos et Virtus, aedes Mariana
p. 492 ss.; La Rocca 2011, p. 11 ss.; Kosmopoulos 2012, p. 7 ss. (D. Palombi).
Sull’ingresso del marmo pentelico in architettura a Roma: Ber- 125
Vitr., 7, pr. 17.
nard 2010, p. 35 ss. 126
Crozzoli Aite 1981, pp. 49 ss., 96 ss., 110 s., figg. 58, 64, 131,
120
LTUR, iii, 1996, p. 128 s., s.v. Iuno Sospita (in foro Holitorio), tavv. iii, ix; Stamper 2005, p. 59 ss.
aedes (F. Coarelli); Stamper 2005, p. 61 s. 127
Dalla pianta non si può arguire neppure se il tempio avesse
121
LTUR, iv, 1999, p. 336 s., s.v. Spes, aedes (F. Coarelli). conservato, almeno nella sua pars antica, le medesime proporzioni
122
LTUR, i, 1993, p.­242 ss., s.v. Castor, aedes, templum (I. Niel- del suo predecessore.
sen); Nielsen–Poulsen 1992. 128
Plin., Nat. hist., 36, 35.

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La bellezza di Roma, ovvero gli spazi della memoria e dell’identità 63

12. Pianta dei tre templi affiancati del foro Olitorio. Secondo la più comune attribuzione, a sinistra è il tempio di Spes, al centro il tempio di
Iuno Sospita, e a destra il tempio di Giano (da Stamper 2005).

tarde (ma è ancora da dimostrare che i cetera si- agli elementi superstiti, anche l’attività edilizia
gna citati da Plinio fossero del Pasiteles attivo nel di Silla modificò solo parzialmente l’assetto co-
i secolo a.C., e non del celeberrimo Praxiteles), nosciuto129. Malgrado fosse dall’81 a.C. dittato-
nella porticus Octaviae fu cancellata la memoria re, e potesse finanziare la costruzione di monu-
di Metellus, ma non la presenza delle opere d’ar- menti ben al di là di quanto avessero potuto fare
te da lui raccolte. i suoi predecessori con le sole manubiae delle
conquiste, i suoi interventi furono limitati all’a-
rea compresa tra Campidoglio e foro Romano,
“City of fragments” o del fragile rapporto tra mo- senza che l’aspetto della città ne subisse un mu-
numenti e spazio urbano tamento sostanziale. Iniziò, è vero, la ricostru-
zione del tempio di Giove Capitolino distrutto
Durante il lunghissimo periodo di lotte civili, da un incendio nell’83 a.C., anche se l’edificio fu
tra aristocratici e popolari, tra Silla e Mario, tra dedicato da Quintus Lutatius Catulus nel 69 a.C.,
Pompeo e Cesare, tra Marco Antonio e Ottavia- ma, per quanto si possa giudicare anche in base
no, l’attenzione nei confronti dell’urbanistica e ai nuovi scavi, la pianta del tempio non subì tra-
dell’architettura subì un’ulteriore flessione. Non sformazioni sostanziali130. L’edificio conservò la
mancarono naturalmente nuove costruzioni e re- sua fisionomia tuscanica (fig. 13) sebbene fosse
stauri di edifici fatiscenti, specialmente nelle fasi stato ricostruito in marmo e per di più con alcu-
in cui il potere dei dittatori, prima di Silla e poi ne colonne tolte all’incompiuto Olympieion ate-
di Cesare, si era, almeno temporaneamente, sta- niese di Antioco iv131. L’effetto doveva essere
bilizzato. Per quanto si possa stabilire in base impressionante: un tempio areostilo (o diastilo),

129
Favro 1996, p. 55 ss. 131
Plin., Nat. hist., 36, 45. V. La Rocca 2011, p. 2 ss. (con bibl.
130
Elenco delle fonti in Danti 2001, p. 325, nota 6. prec.). Inoltre: Flower 2008, p. 74 ss. Sull’annosa questione della

BCom 2012 CXIII.indb 63 20/02/14 15:49


64 Eugenio La Rocca

privati o con le manubiae acquisite durante le


campagne militari, essi non ebbero un analogo
interesse per lavori a carattere infrastrutturale,
che furono di solito realizzati con i fondi censita-
ri135. Non mancarono naturalmente ponti, ac-
quedotti, strade, porticati lungo le strade per
proteggere i cittadini dalla pioggia, ma non sem-
bra che tali lavori fossero impostati nella logica
di un autentico rinnovamento urbanistico. Co-
nosciamo pochissimi casi di una specifica volon-
tà di plasmare l’assetto stesso di Roma rinnovan-
done, pur limitatamente ad aree circoscritte,
l’impianto urbanistico. Un esempio significativo
è offerto da un episodio del 154 a.C., quando i
censori Gaius Cassius Longinus e Marcus Valerius
Messalla decisero di realizzare finalmente un te-
atro permanente lungo le pendici del Palatino136.
Il lavoro, appena iniziato, fu bloccato da una mo-
zione di Publius Cornelius Scipio Nasica che con
13. Denario di Petillius Capitolinus (43 a.C.), rovescio: il tempio un decreto senatorio riuscì ad impedire che si di-
catuliano di Giove Capitolino (da Fuchs 1969). sponessero sedili e si potesse assistere seduti agli
spettacoli a Roma fino a un miglio dalla città137.
Molte ipotesi sono state avanzate per spiegare le
cioè con intercolumni troppo larghi per le sue motivazioni di questo scontro politico che impe-
nuove colonne alte e affusolate – perché tali do- dì a Roma di avere un teatro stabile ancora per
vevano essere le colonne dell’Olympieion –, su un secolo. Vinse il partito conservatore contro
cui poggiava un pesante tetto con architravi an- gli innovatori che volevano creare una Roma si-
cora di legno, sì che l’edificio così proporzionato mile alle città ellenistiche. Infatti, la soluzione
poteva essere equiparato a un uomo con la testa urbanistica che avrebbe dovuto essere adottata,
grossa rispetto al corpo, e con le gambe divarica- probabilmente costruendo il teatro in diretto
te132. Complessivamente Roma dovette subire collegamento con il soprastante tempio della
lungo l’intero arco del i secolo a.C. un forte dete- Magna Mater e con il sottostante Circo Massi-
rioramento del suo già fragile aspetto monumen- mo, sembra memore della complessa articolazio-
tale. Come si spiegherebbe d’altronde che Augu- ne pergamena composta dal santuario di Athena
sto, alla fine delle guerre civili, si vide costretto a Nikephoros in alto sull’acropoli138, dall’interme-
restaurare, e fu tra i suoi primi interventi, ben 82 dio grandioso teatro cui si affianca, in basso, un
templi?133 Da molto tempo, ormai, e non solo tra lungo dromos (la “Terrazza del teatro”), destina-
il 44 e il 29 a.C., Roma era “a city of frag- to probabilmente a percorsi processionali, sul
ments”134. Se questa era la situazione complessi- cui fondo era un tempio (si discute se dedicato a
va nel campo dell’architettura, gli ottimati roma- Dioniso o ad Asclepio) (fig. 14). A partire da Sil-
ni mostrarono in genere un disinteresse ancora la si tentò comunque di organizzare programmi
più considerevole verso una nuova concezione urbanistici su più vasta scala, capaci di rinnovare
urbanistica della città, o verso l’inserimento dei il delicato rapporto tra monumenti e spazio ur-
monumenti pubblici in uno spazio riadattato se- bano, ma sempre secondo una logica ristretta ad
condo più moderne regole di distribuzione dei ambiti limitati, mai come prodotto di un ri-dise-
quartieri di abitazione e degli assi viari. Interes- gno totale della città. A lui ed ai suoi più stretti
sati ai singoli monumenti da loro eretti con fondi collaboratori – non visse infatti così a lungo da

pianta del tempio arcaico v. ora: Arata 2010a, p. 585 ss.; Hopkins creto del senato, come avvenne nel 204 a.C., nel caso del tempio di
2010, p. 15 ss. L’illustrazione a fig. 13 è tratta dal denario di Petil- Magna Mater. Il compito di erigere templi era normalmente affi-
lius Capitolinus del 43 a.C. (Crawford 1974, nr. 487, 2b), che raffi- dato a magistrati straordinari, anche quando erano in carica censori
gura, in modo schematico, il tempio catuliano esastilo con ricchis- ai quali non competeva il diritto di trasformare un locus publicus in
sima decorazione frontonale e acroteriale un locus sacer, né un edificio pubblico in un edificio religioso.
132
Vitr., 3, 3, 5. 136
Liv., Per., 48; Val. Max., 2, 4, 2; Vell. Pat., 1, 15, 3; August.,
133
Res gest. div. Aug., 20, 4. V. i recenti commenti di Scheid Civ. Dei, 2, 5; Oros., 4, 21, 4. V. Hanson 1959, p. 24 s.; Gruen
2007, p. 59 s., e di Cooley 2009, p. 194 s. 1992, p. 206 ss.; Klar 2006, p. 175 ss.; Wallace-Hadrill 2008, p.
134
Favro 1996, p. 80 ss. 160 ss.; La Rocca 2011, p. 23 s.
135
Mommsen 1894, 145 ss. V. anche Suolahti 1963, p. 57 ss., 137
Sulle motivazioni dell’intervento di Nasica, sintesi di Walla-
spec. p. 65 s. Theodor Mommsen l’aveva già rilevato con precisio- ce-Hadrill 2008, loc. cit.
ne: i censori appaltavano edifici templari solo dietro esplicito de- 138
Radt 19992, p. 257 ss., e figg. 9, 15.

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La bellezza di Roma, ovvero gli spazi della memoria e dell’identità 65

14. Pergamo, veduta dell’acropoli dominata dal Traianeum a sinistra e dal tempio di Athena Nikephoros a destra. Sulle pendici, il teatro (da
Radt 19992).

vedere ultimati i progetti più grandiosi – si deve


il tentativo di offrire un nuovo assetto al foro Ro-
mano e al Campidoglio con una serie di opera-
zioni di rilevante impegno, non basati esclusiva-
mente sul rifacimento di templi e di edifici pub-
blici, come il tempio di Giove Capitolino o la
curia Hostilia, ma su uno studiato coordinamen-
to spaziale dei monumenti. Fu trovata una solu-
zione di collegamento tra Campidoglio e foro
Romano con la costruzione del c.d. tabularium,
una struttura con facciata a carattere scenografi-
co applicata alle pendici del Campidoglio, entro
la quale erano gallerie e scale monumentali per
superare agevolmente il dislivello tra la sommità
del colle e la pianura sottostante139. Attribuito a
Lucius Cornelius, praefectus fabrum di Quintus
Lutatius Catulus quando era console, e suo ar- 15. Il c.d. tabularium e, in alto, i templi di Venus Victrix, del Genius
chitetto quando Catulus divenne censore140, l’e- publicus populi Romani e di Fausta Felicitas, secondo l’ipotesi di Fi-
lippo Coarelli (da Coarelli 2010).
dificio sembra perfettamente inserito entro un
contesto in cui si voleva offrire al foro Romano,
nei limiti del possibile, un taglio più regolare.
Non sappiamo se, come recentemente proposto prova definitiva non c’è, ed anzi parla a sfavore
da Filippo Coarelli, sulla terrazza del c.d. tabula- dell’ipotesi il fatto che i tre templi, affacciati di
rium ci fossero i tre templi sillani di Venus Vic- prospetto sul foro, avrebbero oscurato la presen-
trix, del Genius publicus populi Romani e di Fau- za dei limitrofi templi di Giove Capitolino e di
sta Felicitas, che, in tal modo, si sarebbero affac- Giunone Moneta, offrendo di Silla un’immagine
ciati sul foro con un’evidenza visiva di tutto fin troppo rivoluzionaria per l’epoca –, un ampio
rispetto (fig. 15)141. Se così fosse stato – ma una settore cittadino sarebbe stato riplasmato e sot-
139
LTUR, v, 1999, p. 17 ss., s.v. Tabularium (A. Mura Sommella); del tempio di Giove Capitolino, sembra essere parte integrante di
Mura Sommella 1997, p. 425 ss.; Nicolai 2001, p. 183 ss.; Tucci un programma urbanistico unitario che è difficile non considerare,
2006, p. 63 ss.; Mazzei 2009, p. 275 ss.; Tucci 2009, p. 218 ss.; Ara- come la maggioranza degli studiosi ha proposto, sillano.
ta 2010b, p. 117 ss.; Coarelli 2010, p. 107 ss. Malgrado la struttura 140
Molisani 1971, p. 41 ss.
sia stata anch’essa dedicata da Quintus Lutatius Catulus, alla pari 141
Coarelli 2010, p. 107 ss.

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66 Eugenio La Rocca

16. Giuseppe Gatteschi, disegno ricostruttivo, a volo d’uccello, del foro Romano, del Campidoglio e dell’Arce, al quale sono state aggiunte le
immagini schematiche dei tre templi sillani sul c.d. tabularium.

tomesso ad una delle più brillanti forme di auto- tale nei confronti della religione avita, evidenti
rappresentazione anteriormente all’intervento di in modo macroscopico solo in età cesariana. Ri-
Augusto. Quale effetto dirompente avrebbe avu- tengo perciò più verosimile che in cima alla terraz-
to la percezione dalla piazza forense dei com- za del c.d. tabularium ci fosse, come ha recente-
plessi monumentali la cui costruzione o il cui re- mente proposto con dovizia di dati Paola Mazzei,
stauro è attribuito a Silla (anche se il dittatore uno dei più grandi archivi statali, già definito
non ne avrebbe visto il completamento): il c.d. atrium Publicum in età repubblicana e poi aera-
tabularium, sovrastanti ad esso i templi di Venus rium, dal momento della ricostruzione ad opera di
Victrix, del Genius publicus populi Romani e di Lutatius Catulus144. Comunque sia, l’operazione
Fausta Felicitas, al loro lato, sulla sommità del avviata per volontà di Silla, proseguita poi da Lu-
Capitolium, il tempio di Giove Capitolino, e in tatius Catulus che, almeno a giudicare dalle fonti e
basso la curia Hostilia (fig. 16)142. È forse troppo dalle iscrizioni, è stato colui che ha dedicato i mo-
anche per un dittatore come Silla143, e comunque numenti più rilevanti, è il frutto di un’impostazio-
in una fase in cui non si colgono ancora i sintomi ne urbanistica memore delle soluzioni architetto-
di una differente, e più elastica, posizione men- niche a terrazze monumentali organicamente col-

142
Ho inserito gli schemi dei tre templi nella veduta ricostrut- moderna. Malgrado ciò, risulta chiaro dalla veduta che i tre tem-
tiva di Giuseppe Gatteschi del foro Romano, del Campidoglio e pli sillani avrebbero avuto una collocazione privilegiata, superio-
dell’Arce di età tardo-imperiale. L’immagine di Gatteschi contiene re a quella dei templi di Giove Capitolino e di Iuno Moneta. Silla
molte proposte di ricostruzione ampiamente revisionate e corrette avrebbe osato giungere a tanto?
in base alle più recenti indagini, in primo luogo l’intera configura- 143
Sul comportamento di Silla, che tentò di cancellare la me-
zione dell’Arce e la collocazione del tempio di Iuno Moneta. Il suo moria stessa delle imprese di Gaio Mario distruggendone o oblite-
interesse risiede, tuttavia, nella possibilità di farsi un’idea concre- randone i trofei bellici (un autentico caso di “lotta per immagini”):
ta dell’affastellamento degli edifici, e dell’impossibilità di poter- Mackay 2000, p. 161 ss.
li osservare secondo una veduta ottimale nella logica prospettica 144
Mazzei 2009, p. 275 ss.

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La bellezza di Roma, ovvero gli spazi della memoria e dell’identità 67

legate, già attuata nel santuario della Fortuna


Primigenia a Palestrina (fig. 17) e, in Grecia, nei
meno coerenti, ma altrettanto audaci, complessi di
Asclepio a Kos e di Athena a Lindos145. Solo che a
Roma, come si può evincere dal precedente del te-
atro alle pendici del Palatino, non v’erano le con-
dizioni per la costruzione di impianti monumenta-
li di tale portata, a favore dei quali si sarebbe dovu-
to intervenire con drastiche demolizioni e con
altrettanto drastiche nuove distribuzioni volume-
triche e spaziali: il che, nella città tardo-repubbli-
cana, e nella logica di una visione conservatrice,
non sarebbe stato possibile. La medesima situa-
zione orografica di Roma lo avrebbe impedito, con
l’altezza dei suoi colli di gran lunga inferiore a
quella del dirupo di Lindos. La mentalità è simile,
il risultato meno efficace. È comunque analogo lo
scarso interesse per una veduta scenografica unita-
ria, percepibile assai meglio in pianta che in alzato,
a favore di una lettura per setti spaziali chiusi in sé,
e in sé coerenti. Non si spiegherebbe altrimenti
per quale motivo, aberrante ai nostri occhi abitua-
ti alla logica prospettica di taglio brunelleschiano,
la facciata del c.d. tabularium fosse parzialmente
ostruita dai volumi del tempio di Saturno, del suo
erario che precedette la porticus deorum Consen-
tium, e del tempio di Concordia, sì che l’effetto
d’insieme, come si osserva anche nella proposta di
ricostruzione di Giuseppe Gatteschi dell’area fo-
rense in età tardo-imperiale146, era ampiamente ri-
dimensionato dalla congestione di volumi non co- 17. Palestrina, santuario della Fortuna Primigenia. Assonometria
erentemente distribuiti (fig. 16). Anche il ben più ricostruttiva (da Kähler 1958).
coeso complesso santuariale di Palestrina non era
percepibile nella sua intrinseca unità spaziale se
non da lontano, e sempre che gli edifici della città
non ne avessero schermato l’immagine d’insieme
(fig. 17)147. Dalla sottostante area del foro, invece,
se ne potevano scorgere solo alcuni elementi (fig.
18), non la successione dei piazzali monumentali e
delle esedre, chiusi in sé secondo una concezione
visiva che parcellizza l’articolazione degli spazi, af-
fascinante e complessa in pianta, ma in effetti ma-
scherata dagli alzati. È la medesima logica sottesa
alla costruzione, stavolta in piano e non a terrazze,
del foro di Augusto, e in seguito del foro di Traia-
no148. Cesare, come si è già accennato, avrebbe osa-
to di più, tentando di scardinare gli schemi prefis-
sati con ardite proposte urbanistiche che dovettero
scandalizzare i benpensanti dell’epoca e provoca-
re, in alcuni casi, forte sdegno149. Il dittatore fece 18. Palestrina, veduta del santuario dall’area del foro cittadino (foto
demolire alcuni templi (forse distruggere anche al- E. La Rocca).

145
Sul sistema santuariale a terrazze, v. ora: D’Alessio 2011, p. 1989, p. 33 ss.; Rakob 1989, p. 87 ss.; Rakob 1990, p. 61 ss.; Coa-
51 ss. (con ricca bibl. prec.). relli 1989, p. 115 ss.; Merz 2001; D’Alessio 2011, pp. 57 s., 69, 78.
146
V. nota 142. 148
Sulla problematica della percezione dello spazio in architettu-
147
Fasolo–Gullini 1953; Kähler 1958, p. 189 ss.; Gullini ra, v. La Rocca 2006a, p. 120 ss.; La Rocca 2011, p. 19 ss.
1973, p. 746 ss.; Fancelli 1974; Coarelli 1976, p. 337 s.; Lauter 149
Favro 1996, p. 60 ss.; Liverani 2008, p. 43 ss. Per i lavori
1979, p. 390 ss.; Zevi 1979, p. 2 ss.; Coarelli 1987, p. 35 ss.; Zevi nell’area del teatro di Marcello: nota 42.

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68 Eugenio La Rocca

cune statue di culto, sebbene l’informazione appa- poloso quartiere dell’Esquilino (fig. 21)155. Co-
ia tendenziosa), per lasciar spazio al suo teatro alle struito nel luogo dove era la chiacchierata domus
pendici del Campidoglio: ma non è stato questo a di Publius Vedius Pollio, il complesso monumen-
fare di lui un autentico innovatore nel campo. Si tale è inserito, come si vede bene in alcuni fram-
dimentica, talvolta, che a Cesare si deve sì la rea- menti della Forma Urbis Severiana, entro un ir-
lizzazione del foro omonimo, con una visione au- regolare intrico di isolati e stradine che non han-
to-rappresentativa che non lasciava spazio ad equi- no subìto nessuna opera di riqualificazione, sì
voci di sorta, ma anche una coerente riqualifica- che l’inserimento della porticus nell’ordito urba-
zione del foro Romano con l’avvio dei lavori di no ad essa preesistente appare forzato. La rego-
costruzione della curia Iulia, della basilica Iulia150 e larizzazione di aree di vitale importanza strategi-
con l’aiuto economico offerto a Lucius Aemilius ca, come il foro Romano, la cui immagine rispon-
Paullus per il completamento della basilica Paul- deva male alle esigenze della capitale dell’impero156,
li (poi inaugurata nel 34 a.C. dal figlio Lucius Ae- era stata già avviata da Cesare (fig. 19 a). La sua
milius Lepidus Paullus) (fig. 19 a)151. Il dittatore risistemazione monumentale ebbe tempi molto
era poi in procinto di avviare lavori faraonici. lunghi. Solo quando il potere di Augusto fu defi-
Come ricorda Cicerone, con la lex de Urbe augen- nitivamente consolidato, lo spazio aperto di una
da del 45 a.C. egli prevedeva che “il Tevere ve- piazza di forma vagamente trapezoidale a lati irre-
nisse condotto da ponte Milvio lungo i rilievi del golari, distinta in due settori con differente orien-
Vaticano, che il Campo Marzio venisse ricoperto tamento, delimitata da importanti assi stradali e
di edifici e che invece la piana vaticana diventas- priva di un fuoco unico, ebbe una coesione di
se una specie di Campo Marzio” (fig. 20)152. È maggiore coerenza formale sulla base di un nuovo
difficile non leggere nella proposta cesariana il asse, avente per estremi il tempio del divo Giulio
tentativo di ampliare la città con una urbanizza- con i suoi nuovi rostra, e i vecchi rostra sul lato op-
zione – e forse, almeno parzialmente, una monu- posto, mentre la curia Iulia diveniva la cerniera di
mentalizzazione – dell’area limitrofa alla città raccordo tra vecchio e nuovi fori, con il sapiente
murata. Si dice di solito che le parole di Cicerone ampliamento del foro di Cesare, voluto da Augu-
non vadano prese alla lettera, e che Cesare non sto stesso, e con la disposizione in base al medesi-
avesse l’intenzione di trasferire le principali fun- mo orientamento anche del foro di Augusto (fig.
zioni del Campo Marzio in una sede differente. 19 b). Si venne, in tal modo, a mascherare con in-
Credo, invece, che fosse proprio questa la sua in- dubbia efficacia la scarsa organicità geometrica
tenzione, al contempo visionaria e audace, per- della piazza, anche con l’ausilio delle monumen-
ché doveva essersi convinto che i tempi fossero tali facciate delle basiliche Giulia ed Emilia, degli
maturi per una ricostruzione dell’immagine del- archi aziaco e partico ai lati del tempio del divo
la città secondo criteri innovativi che non pote- Giulio, infine della curia Iulia e dei suoi annessi,
vano più tener conto dei costumi religiosi atavi- di cui appena si avverte, ormai, l’orientamento
ci. D’altronde già meditava imprese ancor più difforme.
gigantesche, come il prosciugamento delle palu-
di Pontine, la costruzione di un emissario del
lago Fùcino, il taglio dell’istmo di Corinto, e al- Conclusione
tro ancora153. Augusto procedette, per certi
aspetti, ad un ridimensionamento dei progetti Quell’immagine contraddittoria, fatta di un
urbanistici cesariani154. Ad esclusione della mo- tessuto urbano confuso entro il quale venivano
numentalizzazione del Campo Marzio (fig. 8) inserite, come magnifiche gemme incastonate in
che, per quanto magnificente, non prevedeva né un manufatto antiquato e fuori moda, le nuove
un allargamento dell’area verso il Vaticano, né costruzioni dei trionfatori, quell’immagine così
spostamenti di funzioni, i suoi interventi non eb- poco adeguata alla capitale di un impero, era in
bero mai come scopo una drastica riformulazio- realtà oggetto di un amore incondizionato, in
ne del primitivo impianto urbano, il cui tessuto quanto specchio fedele di quei costumi che, si
connettivo subì solo qualche lacerazione, talora supponeva, l’avevano resa grande e potente. In
anche grave, ma non fu mai oggetto di un aggior- una fase in cui, a fronte al prepotente imporsi
namento progettuale complessivo. Ne è la prova del sistema culturale ellenico, Roma sembrava
lampante l’innesto della porticus Liviae nel po- perdere la sua propria identità culturale, le clas-

150
LTUR, i, 1993, p. 177 ss., s.v. Basilica Iulia (C. F. Giuliani, 153
Suet., Caes., 44.
P. Verduchi). 154
Un eccellente quadro sui programmi urbanistici augustei è
151
LTUR, i, 1993, p. 183 ss., s.v. Basilica Paul(l)i (H. Bauer); offerto da Favro 1996, p. 79 ss.
Ertel–Freyberger 2007, p. 109 ss.; Ertel–Freyberger 2007a, p. 155
Panella 1987, p. 611 ss.; LTUR, iv, 1999, p. 127 ss., s.v. Por-
493 ss.; Lipps 2011, p. 17 ss. ticus Liviae (C. Panella).
152
Cic., Ad Att., 13, 33, 1. 156
Zanker 1972; Favro 1996, p. 195 ss.

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La bellezza di Roma, ovvero gli spazi della memoria e dell’identità 69

a b

19. a. Pianta del foro Romano intorno al 42 a.C. Strutture preesistenti: 1. Rostra Vetera, rimossi; 2. Basilica Porcia, rimossa; 3. Curia Hosti-
lia (?) rimpiazzata dal tempio della Felicitas; 4. Tempio di Vesta; 5. Regia; 6. Tribunal Aurelium; 7. Gallerie sotterranee; 8. Lacus Curtius; 9.
Statua di Marsia; 10. Sacello di Venere Cloacina; 11. Tempio di Giano; 12. Lapis Niger; 13. Tabularium; 14. Tempio della Concordia; 15.
Tempio di Saturno; 16. Tempio dei Castori. Progetti cesariani: 17. Basilica Aemilia; 18. Curia Iulia; 19. Foro di Cesare; 20. Rostra Iulia; 21.
Basilica Iulia (da Favro 1998, con revisione dell’A. in base alla pianta del foro di Cesare [prima fase], secondo i risultati degli scavi recenti).
b. Pianta del foro Romano, del foro di Cesare e del foro di Augusto dopo gli interventi augustei (da Favro 1998, con revisione dell’A. in base
alle piante del foro di Cesare [seconda fase] e del foro di Augusto, secondo i risultati degli scavi recenti).

si dirigenti dichiararono programmaticamente fatti che i precedenti monumenti trionfali erano


la diversità culturale dei romani, talora manipo- monumenti personali del dedicante, per nulla o
lando la realtà storica, senza tuttavia rinunciare solo in parte inseriti entro un programma urba-
alla paideia greca, ma piuttosto adeguandola alle nistico unitario, studiato in tutti i dettagli e nelle
proprie esigenze e ai propri interessi. La passeg- sue ricadute nel contesto cittadino. La logica dei
giata di cinque giovanotti dell’aristocrazia roma- magistrati trionfatori era semplice: recuperare
na all’Accademia ateniese denuncia appunto la un locus publicus nelle aree cittadine più ambite
volontà di appropriazione del passato greco e di – quelle significative da un punto di vista simbo-
ri-appropriazione del passato romano, secondo lico e/o politico – e trasformarlo, con il supporto
la logica a confronto dalla quale sarebbero in se- del senato e del popolo romano, in locus sacer. Ma
guito nate le Vite parallele di Plutarco. Di fatto, i loci publici disponibili nel centro cittadino o nei
solo con la sperimentazione di Silla e dei suoi se- luoghi esterni al pomerio, di particolare valenza
guaci nel foro Romano, poi di Pompeo con il suo simbolica, dovettero ridursi molto presto di nu-
grandioso teatro colmo di spazi multifunzionali, mero. Si potrebbe spiegare, così, la disposizione
e, forse ancora di più, con gli interventi di Cesa- degli edifici templari e dei loro recinti – a volte
re lasciati a mezzo per la morte del dittatore, fu semplici muri di recinzione, altre volte imponen-
avviato un virtuoso programma teso a realizza- ti porticati – l’uno a fianco all’altro, in modo pa-
re nuovi edifici pubblici entro un contesto rin- ratattico, quasi senza un respiro urbanistico, in
novato, anche se spazialmente limitato, evitan- spazi talvolta assai limitati. Gli esempi ben noti
do quindi una loro incoerente immissione entro dei templi di largo Argentina, ognuno dei qua-
un tessuto urbano ad essi estraneo. È chiaro in- li era in origine chiuso entro un proprio recinto

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70 Eugenio La Rocca

glio di flash parziali, non riconducibili ad unità


(fig. 16). Poi, entro questo curioso disordine, at-
traverso muraglioni altissimi oppure attraverso
porticati che non lasciavano spazio se non ad una
serie continua di colonnati, si entrava in auten-
tiche piazze regolarmente scandite, ma secondo
schemi analoghi: ampi quadriportici che conte-
nevano di solito uno o più templi e opere d’arte.
Come per lo più avviene quando si va a fondo
nei problemi della cultura greca e romana, anche
in questo caso emerge la profonda differenza tra
il modo di vedere odierno rispetto a quello anti-
co. L’abitudine inveterata ad una lettura basata
sul sistema prospettico lineare, come nel magni-
fico pannello di Urbino, il cui disegno è attribu-
ito a Leon Battista Alberti (fig. 22)157, all’affer-
mazione di piazze entro un tessuto urbano che
non è elemento amorfo e indistinto, ma parteci-
pe di un dialogo che consiste nel rapporto ottico
tra monumenti ed assi viari, tra compressione e
dilatazione dello spazio secondo effetti accurata-
mente analizzati – ne è esempio insigne la piaz-
za del Campidoglio –, tutto ciò è parzialmente
inesistente nel mondo greco e romano. Diane
Favro ha perfettamente colto questo particola-
re principio della cultura romana, quando affer-
ma che l’antica teoria urbana era focalizzata sulla
realizzazione di nuove città o su utopie piutto-
sto che su una completa pianificazione della cit-
tà esistente. La scarsa volontà di porre mano ad
un autentico rinnovamento urbanistico della cit-
tà impedì, ancora per lungo tempo, di proporre
la realizzazione di nuovi quartieri edilizi ai suoi
bordi secondo un più aggiornato piano regolato-
20. Piantina schematica del progetto di regolarizzazione del corso
del Tevere nell’area del Campo Marzio, alle pendici del Vaticano
re. Solo Cesare ed Augusto derogarono parzial-
(da Favro 1998). mente dalla regola. Per primo Cesare vagheggiò
un raddrizzamento del letto del Tevere da ponte
Milvio lungo il colle Vaticano (fig. 20) in modo
da recuperare nuovo spazio edilizio nel Cam-
murario, o di quelli del foro Olitorio, o del circo po Marzio e trasferire quest’ultimo nella piana
Flaminio, la cui situazione è meglio nota attra- ai piedi del Vaticano. L’assassinio del dittatore
verso i frammenti della Forma Urbis Severiana, pose una pietra tombale su questo progetto, tal-
documentano con precisione quale fosse il meto- mente ambizioso che neppure Augusto osò rin-
do applicato a partire già dalla fine del iv secolo verdirlo, se non in maniera più limitata nell’area
a.C., con lo sfrangiamento dell’originale tessuto stessa del Campo Marzio. Perduta definitiva-
urbano secondo modi talora brutali e non per- mente la sua funzione originaria di luogo di rac-
fettamente suturati, come del resto è avvenuto colta dei giovani in armi, esso fu trasformato, in
millenni dopo con l’innesto del Vittoriano nel base al primo ed unico intervento urbanistico su
nucleo storico della città. La stessa immagine vasta scala nella città, in una delle meraviglie del
della città, vista al suo interno da uno spettatore mondo antico, tale da destare l’ammirazione di
che passeggiasse per le sue vie e i suoi portica- Strabone, un greco, che ne decantò la straordi-
ti, doveva offrire l’idea di un affastellamento, di naria bellezza considerando che il resto della cit-
un accumulo privo di rigore, dove ogni monu- tà avesse, a confronto, un ruolo accessorio (fig.
mento era costretto nell’ambito di una percezio- 8). Per il resto, gli interventi si sono susseguiti a
ne dal basso verso l’alto in un incredibile miscu- macchia di leopardo: o restauri e rifacimenti di

157
Morolli 2006, p. 393 ss.

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21. Disegno ricostruttivo dei frammenti della Forma Urbis Severiana nell’area della porticus Liviae (da Rodríguez Almeida 1991-1992).

edifici preesistenti o, quando si sentì la necessi- i terreni sui quali costruì il suo foro, tanto che,
tà di ampliare il foro Romano, con la difficoltà, secondo le fonti dell’epoca, la struttura risultò
di non poco conto, dovuta al valore raggiunto di misura non adeguata alle effettive necessità.
dai terreni nel centro storico, tale da impedire, Il tessuto urbano circostante rimase quello che
senza una drastica volontà di espropri forzosi, di era, disordinato e irregolare, anche nel caso in
ottenere risultati a più vasto raggio. Gli impe- cui vi si introdussero complessi monumentali di
dimenti che ebbe Cesare nell’acquisire i terreni particolare valore, come la porticus Liviae (fig.
sui quali avrebbe poi realizzato il suo foro, sono 21). La Roma vetus ebbe ancora per lungo tem-
documentati dalle lettere di Cicerone. Ma anche po la meglio sui suoi – talvolta potenziali – ri-
Augusto, all’apice del suo potere, quando era formatori.
ormai padrone di tutta Roma e dell’impero, si
guardò bene dall’espropriare a prezzi calmierati Eugenio La Rocca

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72 Eugenio La Rocca

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Abstract
The monumenta ‒ public or private buildings, funerary structures, works of art and, even better,
written texts, which were considered longer-lasting than stone ‒ are of paramount importance
to Rome as instruments capable of awakening the memory of illustrious men of the past. Stone
monuments were scattered throughout the city, in a space that was sanctified by their presence:
indeed, in some respects, all of Rome was a sacred landscape, in which the monumenta acted as
“commemorative places”. In the late Republic, monumenta were intended to awaken in visitors
exempla of the glorious deeds performed by their ancestors and their virtutes: in short, to cement
the sense of identity of the Romans. Yet, the principal buildings of the past were demolished to
make way for new and larger buildings. What interested Rome was rather the survival of the locus
memoriae, despite the city’s profound and sometimes total physical transformation. The building
could help to recall, but it was not the “memory”. 
However, an attempt was made to preserve the urban fabric. In a phase in which, confronted by
the overbearing ascendancy of the Greek cultural system, Rome seemed to lose its personal identity,
the ruling classes wanted to declare programmatically the cultural diversity of the Romans, at times
by manipulating historical reality, and at other times by not disrupting the urban image inherited
from the past. Ancient urban theory was in fact focused more on the creation of new cities or utopias,
rather than on a complete reorganization of existing cities. Still for a long time Roma vetus endured
and even overcame reformers’ endeavours (at times only projected, and never realized).

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