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monumens de l’Antiquité.
Étude et réception de l’Antiquité romaine au siècle des Lumières
dir. de M. Cavalieri et O. Latteur.
Collection FERVET OPVS
4
A cura di
Marco Cavalieri
B
©
maschera
Tel.
duc@ciaco.com
Tel.
Indice
Volume I
Da Castelraimondo al Mediterraneo:
ventidue anni di archeometria della ceramica grezza
Gabriella Guiducci 45
v
Indice
vi
Indice
Il ciclo produttivo del ferro: nuove chiavi di lettura degli indicatori archeologici
Maria Stella Busana, Leonardo Bernardi 399
Miniature in steatite.
Un passo nel mondo dei sigilli della civiltà dell’Indo
Massimo Vidale, Ivana Angelini e Dennys Frenez 447
vii
Indice
Volume II
V. Cultura iconografica
Spolia Oceani.
Note sull’iconografia oceanica a margine della ricerca di Sara Santoro
Marco Cavalieri 689
viii
Indice
ix
© Disegno di Mathieu Minet da foto di Serena Carattini
Sara Santoro
Abstract
in which the carved scene takes place. However, sometimes they assume
-
standing of the content represented. A very interesting example for this
porpouse can be seen in a relief sculpted scene on a marble altar dedi-
cated to the Matronae, coming from the Roman town of Angera, where
present will be useful in order to better understand the value of the tree in
that monument.
Gli elementi paesistici nella scultura a rilievo romana, e soprattutto gli alberi,
sui quali vorrei concentrarmi in questa sede, mostrano una notevole varietà di
impiego, in rapporto col tipo e la destinazione dell’oggetto che contribuiscono
a decorare e col registro stilistico adoperato. Lo spettro è molto ampio: dalle
riproduzioni grandiose di intere foreste, quali si osservano su un monumento
stilizzata nel fondale di una scena di pastorizia, abbozzata su una stele funera-
661
Simone Rambaldi
diversi campi della scultura a rilievo romana. Nella maggior parte dei casi in cui
si presenta, l’albero concorre a definire l’ambiente dove si svolge la scena nella
quale è inserito. In talune circostanze, però, esso appare caricarsi di una valenza
più pregnante, travalicando la funzione di semplice elemento di contorno e
recando, così, un contributo significativo alla comprensione del contenuto raf-
figurato.
Per l’analisi che intendo proporre vorrei basarmi su un monumento cisal-
pino, l’altare delle Matrone rinvenuto ad Angera nel 1909 e oggi conservato
nel Museo Civico Archeologico di Varese. Si tratta di un’opera assai nota e
più volte studiata, anche in tempi molto recenti, però la questione che qui mi
interessa approfondire non è mai stata affrontata nello specifico. Dopo la fon-
damentale pubblicazione di Giovanni Brusin del 1944, ancora oggi di riferi-
mento1, l’altare è stato generalmente considerato nel quadro di indagini più
ampie, di volta in volta dedicate o ad Angera romana e alle sue testimonianze
di scultura2, o al patrimonio epigrafico angerese e varesino3, o al culto di origine
celtica delle Matrone nella Gallia Cisalpina4.
Prima di prendere in esame l’argomento specifico che è all’origine del pre-
sente contributo, non sarà inutile ripercorrere le caratteristiche generali del
manufatto e i suoi principali confronti. Pur nella sua frammentarietà l’altare, in
marmo di Candoglia5, fornisce alcuni dati certi, intorno ai quali la sua interpre-
tazione si è ormai sedimentata: un ignoto Sex(tus), di cui si conosce per intero
solamente il praenomen, dedicò il monumento alle Matrone, come si ricava
dall’iscrizione disposta su quattro linee, tutte purtroppo mutile della porzione
destra, a causa dei seri danni, certo volontari, che il pezzo si trovò a soffrire6. Al
culto delle dee ricordate nell’epigrafe rimanda con sicurezza la scena scolpita
a rilievo sulla fronte posteriore, il lato che inevitabilmente ha sempre suscitato
1 Brusin 1944. Per le circostanze del recupero, avvenuto nella corte di un oratorio annesso
alla chiesa angerese di S. Alessandro, cfr. Giussani 1917-1918, 71-75, n. 1, che contiene la
prima descrizione del pezzo, con l’indicazione delle sue misure (m 0,95 x 0,60 x 0,44). Poiché si
trovava in giacitura secondaria, unitamente ad altri materiali antichi pertinenti a un ipocausto,
non è possibile identificare il punto dell’Angera romana da cui il manufatto proveniva. Per le
vicende seguite alla sua scoperta, sulla base dei documenti d’archivio, cfr. Banchieri 2003,
soprattutto 132-135 e passim.
2 Sena Chiesa 1982, 116-117 e 122-125; Tocchetti Pollini 1983, 171-174, n. 7; Sena
Chiesa 1995, xxxiii; 2014, 76-77.
3 Sartori 1995, 39; Cantarelli 1996, 70-75, n. 18; Sartori 2009, 368, n. ANG 10.06.
4 Landucci Gattinoni 1986, 31-32, 87, n. 79; Zaccaria 2001-2002, 153, n. 34; Mennella,
Lastrico 2008, 123, n. 53MA; Miedico 2016a, 210-212; 2016b, 49-50.
5 Cfr. Strada 1996, 240.
6 AE 1948, 203: Voto [soluto opp. suscepto] / Ma[tronis] / Sex(tus) S[…] / dic[avit]. A proposito
dell’integrazione nell’ultima linea e della possibilità che, al posto del verbo, recasse il cognomen
del dedicante, cfr. Cantarelli 1996, 73.
662
Alberi e culti. Un contributo all’analisi degli elementi paesistici nella scultura a rilievo
il maggiore interesse. Qui si osserva una fila di quattro fanciulle, dai volti poco
individualizzati e con le braccia reciprocamente intrecciate, danzanti sotto un
albero, al cui tronco è appoggiata un’anfora (fig. 1). I guasti che la superficie
scultorea ha subito nella parte inferiore, lungo il margine sinistro e soprattutto
nella porzione superiore, interamente perduta, non ostacolano la lettura d’in-
sieme della scena rappresentata. Sul più stretto fianco sinistro dell’ara (rispetto
all’iscrizione), nella sostanza il meglio conservato benché lacunoso, si erge un
rigoglioso e complesso stelo vegetale, dal quale si dipartono simmetricamente
foglie lanceolate dalla superficie ondulata (in basso e sulla cima) e una serie
di calici acantiformi sovrapposti, desinenti in un elemento somigliante a una
pigna; altri gambi con fiori sbocciati accrescono la ricchezza di questa com-
posizione fitomorfa, ribadita da un grosso festone di foglie di alloro appeso
lungo l’orlo superiore della superficie scolpita, con bende ai due capi (un’a-
naloga ghirlanda doveva corredare il lato delle fanciulle, come si evince dalla
benda che scende dall’alto sulla destra, unico residuo rimasto). Con ogni pro-
babilità anche il fianco opposto, il destro, doveva essere decorato a rilievo, ma
purtroppo qui nulla è visibile, perché l’azione di scalpellatura subita dall’altare
ha asportato completamente questo lato. La faccia con l’iscrizione, invece, oltre
che lacunosa nella porzione destra, come si è detto, è priva anche di tutta la
parte sottostante al testo epigrafico, dove però doveva trovarsi un’altra scena
a rilievo, la cui originaria presenza è rivelata da due piccoli dettagli sopravvis-
suti, appena visibili lungo il margine della lacuna inferiore: la sommità di una
testa umana a sinistra e quello che sembra essere un corno con un orecchio
bovino un poco più in alto a destra. Da ciò si deduce che, sotto l’iscrizione,
doveva essere rappresentata molto probabilmente una scena di sacrificio alle
Matrone, secondo una prassi comune anche ad altri manufatti dello stesso tipo,
come può ad esempio confermare un’altra celebre ara angerese, quella dedicata
a Giove dai Qurtii, il cui lato frontale è similmente impaginato con l’epigrafe in
alto e il rito sacrificale in basso7.
Il culto delle Matronae, o Matres, è bene attestato in area celto-germanica,
con una massiccia concentrazione di occorrenze nel territorio renano, in par-
ticolare nella zona in antico abitata dalla popolazione degli Ubii (tra Colonia
e Bonn), dove erano specialmente venerate le Matronae Aufaniae. Dai loro
santuari provengono numerose testimonianze scultoree di piena età imperiale
663
Simone Rambaldi
8 Nell’ambito di una tradizione di studi molto ampia, per un’informazione basilare segnalo,
anche per la bibliografia che riportano: Bauchhenss 1997; Woolf 2003; Garman 2008; Eck,
Kossmann 2009; Biller 2010; Thomas 2014. Alcune attestazioni transalpine di Matrone in
piedi, iconograficamente più simili ai casi nord-italici, sono indicate da Spagnolo Garzoli
1996, 101.
9 Sulle affini Dominae, testimoniate nella Venezia orientale, cfr. Bertacchi 1992.
10 In generale Ihm 1887, 112-120, n. 20-101; Landucci Gattinoni 1986; Zaccaria 2001-
2002, 132-133; Mennella, Lastrico 2008. Il culto della Matrone ad Angera è comprovato da
altre due testimonianze epigrafiche (CIL V, 5475-5476), su cui cfr. Landucci Gattinoni 1986,
85, n. 50-51; Sartori 1995, 35-36; Zaccaria 2001-2002, 153, n. 32-33; Mennella, Lastrico
2008, 122-123, n. 51-52MA; Sartori 2009, 368, nota 247; Miedico 2016b, 50-52.
664
Alberi e culti. Un contributo all’analisi degli elementi paesistici nella scultura a rilievo
e da altri due manufatti simili per tipologia e iconografia, provenienti dal terri-
torio piemontese, l’uno da Avigliana e l’altro da Pallanza.
Anche in questi due casi sono rappresentate a rilievo teorie di fanciulle
danzanti, tanto che si è ipotizzato che l’associazione di simili figure col culto
matronale potrebbe essere stata introdotta proprio nell’area interessata dal
ritrovamento di tali monumenti, data la fondamentale diversità che essi mani-
festano rispetto agli esemplari transalpini11. Nell’altare di Avigliana, forse il più
antico del gruppo, le fanciulle (dai volti molto consunti) sono cinque, tutte alli-
neate sulla faccia principale, direttamente sotto l’iscrizione e senza elementi di
contorno, né vegetali né di altro genere, se si eccettua la striscia irregolare di
terreno su cui poggiano i piedi12. In quello di Pallanza sono tre, scolpite sulla
faccia posteriore sotto una ghirlanda con bende pendenti, come nel rilievo di
Angera, però qui senza ulteriori dettagli a precisare l’ambiente13. Mentre sui
fianchi dell’altare di Avigliana sono rappresentati oggetti rituali (una patera
e un urceus), su quelli dell’esemplare di Pallanza compaiono due fanciulle
molto simili alle altre tre (a parte la diversa pettinatura della chioma dietro
la nuca), una per ciascun lato, per cui in totale le devote sono cinque anche
qui. Il lato frontale, invece, rappresenta una scena sacrificale avente il dedicante
come protagonista, immediatamente sotto il testo epigrafico. Se potesse essere
confermata l’interpretazione proposta per il rilievo che, in origine, decorava
nella stessa posizione la faccia principale dell’altare angerese, i due manufatti
troverebbero in ciò un’altra affinità14. Per quanto riguarda la cronologia del
11 Tocchetti Pollini 1983, 154; Landucci Gattinoni 1986, 32-33.
12 L’altare, oggi conservato a Torino, fu dedicato dal liberto Ti(berius) Iulius Acestes (CIL V,
7210). Cfr. Ihm 1887, 114, n. 32; Brusin 1944, 160-162; Sena Chiesa 1982, 117; Landucci
Gattinoni 1986, 32, 89, n. 93; Schraudolph 1993, 232-233, n. L116; Mennella, Lastrico
2008, 124, n. 78MA; Miedico 2016a, 212; 2016b, 55. Per la datazione all’età di Tiberio, proposta
molti anni fa soprattutto sulla base del nome del dedicante, cfr. Brusin 1944, 162 e nota 27.
13 Questo è l’unico monumento sicuramente databile, poiché fu dedicato alle Matrone
dallo schiavo di Caligola Narcissus (CIL V, 6641), che sarebbe poi divenuto un influentissimo
liberto alla corte di Claudio. Fra i committenti di questi tre altari cisalpini, fu indubbiamente il
personaggio di maggior rilievo. Cfr. Ihm 1887, 114, n. 35; Brusin 1944, 160-164; Sena Chiesa
1982, 117; Landucci Gattinoni 1986, 31-32, 86-87, n. 75; Schraudolph 1993, 232, n. L115;
Zaccaria 2001-2002, 154, n. 50; Mennella, Lastrico 2008, 124, n. 73MA; Miedico 2016a,
210, 212; 2016b, 54-55.
14 Sulle analogie tra i due altari ha insistito in particolare Brusin 1944, 163-164, per il quale
l’ara di Angera sarebbe stata direttamente influenzata da quella di Pallanza. È più verosimile
pensare piuttosto all’esistenza di un modello comune. Ritengo opportuno precisare che, nel
corso del presente lavoro, mi servo dei termini “altare” e “ara” come sinonimi, senza perpetuare
l’arbitraria distinzione che talvolta è stata fatta in passato, quando il primo era riservato a sicuri
Opferaltäre, mentre il secondo era applicato a monumenti di destinazione meno certa: cfr.
Hermann 1961, 10. Sebbene sul suo lato superiore residuo non siano oggi visibili tracce utili per
confermarlo, la Schraudolph ha supposto che il manufatto di Angera fosse più propriamente
665
Simone Rambaldi
una base, secondo un’ipotesi da lei avanzata anche per l’ara di Pallanza, che ritiene potesse forse
sorreggere un’immagine delle Matrone: Schraudolph 1993, 26 e loc. cit. alla nota seguente.
Sulle difficoltà che le somiglianze tipologiche pongono spesso alla differenziazione fra altari e
basi, cfr. la discussione ibid., 23-27, e, più in generale, Hermann 1961.
15 Una cronologia un poco più alta per l’altare, intorno alla metà del i sec. d.C., è stata
proposta da Brusin 1944, 162, e Sena Chiesa 1982, 124; per la Schraudolph 1993, 58, nota
73, e 233, n. L117, si dovrebbe invece risalire fino all’età tiberiana. Sartori 2009, 368, sulla base
del dato epigrafico, ha proposto il ii sec. d.C., pur con un margine di dubbio.
16 Cfr. Spagnolo Garzoli 1996, 102 e nota 56, la prima che ha parlato di questo pezzo
di proprietà privata, qualificandolo “base” nel testo e “ara” nella didascalia della figura che lo
riproduce (tav. XXXVI), forse a causa di un’incertezza nella definizione tipologica (cfr supra,
nota 14). La studiosa riferisce che, degli altri due lati, soltanto il più lungo è decorato con
una scrofa. Il luogo di provenienza, ricondotto dubitativamente all’antica Pollentia, rimane
sconosciuto. Cfr. Miedico 2016a, 212.
17 Si trattava di un voto sciolto alle Matrone da un Varius [Te]nax (CIL V, 7703): cfr. Ihm
1887, 113, n. 24; Brusin 1944, 160; Sena Chiesa 1982, 117, nota 34; Landucci Gattinoni 1986,
29-30, 82, n. 7; Zaccaria 2001-2002, 155, n. 54; Mennella, Lastrico 2008, 120, n. 11MA.
Benché più volte trascritta nella bibliografia or ora citata, gioverà ripetere qui la descrizione
di Pietro Nallino: “Sotto [l’epigrafe] tre femmine, quella di mezzo più grande, quella di dritto
quasi uguale, quella a sinistra più piccola; quella di mezzo e quella di sinistra porgono la mano
alla figura a dritto; la figura alla sinistra sembra tenere nella mano sinistra una piccola cesta”.
Si sarebbe tentati di avanzare l’ipotesi che possa trattarsi proprio del pezzo di Sommariva del
Bosco segnalato dalla Spagnolo Garzoli, privato del testo epigrafico, magari perché asportato
in un’epoca imprecisata. In effetti le tre figure di cui Nallino parla all’inizio potrebbero riferirsi
alla terna dei personaggi più grandi, intendendo la “figura alla sinistra” come quella più piccola
col cesto. Sarebbero necessarie ulteriori verifiche, che al momento non mi è possibile effettuare.
666
Alberi e culti. Un contributo all’analisi degli elementi paesistici nella scultura a rilievo
documentata per altra via nel territorio piemontese, come testimonia in par-
ticolare una serie di frammenti di ceramica comune di epoca imperiale, rin-
venuti in varie località lungo il corso del fiume Sesia. Essi appartengono a una
classe decorata con figurazioni a rilievo, che comprendono triadi femminili,
dall’iconografia molto simile a quella che si riscontra negli altari considerati, in
diversi casi accompagnate da Mercurio, talora in prossimità di un albero dall’e-
sile fusto. Questi reperti ceramici, che, anche per il ruolo giocato dall’immagine
di Mercurio, trovano confronti figurativi prevalentemente in ambito narbo-
nese, possono essere messi in rapporto con una declinazione più domestica del
culto matronale18.
Il rilievo con le fanciulle sull’altare di Angera, rispetto alle sue controparti
piemontesi, si distingue soprattutto perché è l’unico nel quale sia inserita una
precisa notazione ambientale, la sua caratteristica che più interessa in questa
sede. Le ghirlande appese sulle danzatrici, qui come sull’ara di Pallanza, non
contano in tal senso, in quanto costituiscono un ornamento frequente dei
monumenti votivi, come anche di quelli funerari19. Ciò che fa la differenza, nel
caso angerese, è l’albero raffigurato in primo piano, tra la prima e la seconda
fanciulla. L’elemento paesistico qui introdotto permette di postulare, per lo
svolgimento della cerimonia rituale, una sede all’aperto, la quale potrebbe essere
un giardino, oppure un luogo extracittadino sacro alle Matrone, benché non si
possa nemmeno escludere uno spazio annesso al loro santuario ad Angera, di
cui non sappiamo nulla. D’altronde disponiamo di scarsissime informazioni, e
ricavabili soltanto dal materiale epigrafico, sulle caratteristiche dei luoghi dove
veniva celebrato il culto matronale in Cisalpina, il quale, in ambito transalpino,
è invece documentato anche per via archeologica20. La tipologia delle foglie e le
grosse ghiande che pendono dai rami, indizi di uno scrupolo di veridicità non
sempre riscontrabile nei monumenti di questo genere, rivelano chiaramente
che l’albero è una quercia, pianta di cui il territorio angerese era ricco21. Alla
18 Spagnolo 1982, 97-98, tav. XLVI, 1; Mercando 1990, 447, fig. 4; Bertacchi 1992, col.
14 e 16, fig. 3; Ratto 2004, 135-137, fig. 1-2; Miedico 2016a, 212-213. Da tenere presente
specialmente Spagnolo Garzoli 1996, che ha studiato a fondo questa classe di manufatti.
L’associazione delle Matrone con Mercurio (e anche con Giove Ottimo Massimo) è
esplicitamente attestata da due dediche epigrafiche provenienti dallo stesso territorio (CIL V,
6594 e 6596).
19 Cfr. in generale Honroth 1971.
20 Landucci Gattinoni 1986, 33-36. Talora pure nei manufatti dedicati alle Matrone in
territorio germanico compaiono alberi, come nei lati posteriori di due altari alle Aufaniae di
Bonn, dove però hanno un valore prettamente simbolico, in combinazione con altri elementi
a formare composizioni del tutto divergenti da quella di Angera e associate anche ad altre
divinità: Bauchhenss 2005.
21 Sugli antichi querceti della zona cfr. Sena Chiesa 1982, 124, e Rottoli 1995, 503. Su
questa base, la Miedico 2016a, 213-214, propone di riconoscere nelle figure scolpite sull’altare
667
Simone Rambaldi
le Matronae Dervonnae, il cui epiteto deriva dal termine celtico designante la quercia. La stessa
studiosa avanza l’ipotesi che il c.d. Antro di Mitra, situato alla base della rocca di Angera, possa
identificarsi col loro luogo di culto: ibid., 215-220, ed Ead. 2016b, 61-62.
22 In Sena Chiesa 1982, 117, l’anfora viene accostata al tipo Dressel 2-4, vinario, pur senza
una piena certezza.
23 L’identificazione con le Matrone delle quattro fanciulle di Angera era stata proposta da
Giussani 1917-1918, 72, ed è stata ripresa con convinzione dalla Landucci Gattinoni 1986,
32, per la quale la loro somiglianza reciproca “fa pensare a una tipizzazione sacrale riferibile più
facilmente alle divinità che non ai loro fedeli”. Ma la genericità dei volti non ha in sé nulla di
stupefacente, data la tipologia del rilievo. Non mi sembra nemmeno dirimente il confronto coi
reperti ceramici ricordati più sopra, in cui l’apparente equiparazione delle fanciulle alla figura di
Mercurio sarebbe la prova del loro status divino, secondo la Spagnolo Garzoli 1996, 102-103.
668
Alberi e culti. Un contributo all’analisi degli elementi paesistici nella scultura a rilievo
669
Simone Rambaldi
rilievi dell’ara di Pallanza, che è l’esemplare stilisticamente più povero dei tre).
Inoltre propenderei anch’io, sulla scorta di Tocchetti Pollini, per mettere in
collegamento la pettinatura delle fanciulle più con l’intonazione di classicismo
periferico della rappresentazione che con la specifica acconciatura di una dama
imperiale, come quella di Agrippina Maggiore, chiamata in causa in passato28.
La disposizione così serrata delle fanciulle, unite strettamente per mezzo
delle braccia, suggerisce che la loro danza proceda con andamento circolare,
intorno al fulcro costituito dall’albero e dall’anfora ad esso associata, dato che
questi elementi risultano collocati davanti a loro. Il movimento in tondo, chiuso
o aperto, tenendosi per mano, spesso intorno a un centro (che può essere un
altare o un altro oggetto investito di significato sacrale), ha un valore molto
importante nell’orchestica antica, femminile in particolare, ed è frequente-
mente testimoniato fin da epoca remota29. La danza deve essere guidata da una
figura eminente, dotata di qualità che la distinguano dal resto del gruppo30. La
documentazione giunta sino a noi riguarda essenzialmente l’ambito greco, poi-
ché sulla danza nel mondo romano siamo assai meno informati; tuttavia, se non
altro nella sfera religiosa, il ruolo da essa rivestito risulta essere stato in generale
meno preponderante31. Per quanto sia difficile rintracciare modelli precisi, sul
monumento angerese potrebbe forse avere influito il ricordo di composizioni
come le danze di ninfe intorno a un altare, molte volte all’interno di grotte, a
noi note soprattutto da rilievi votivi greci, realizzati dal iv secolo in poi32. Di
norma, in tali rappresentazioni, le ninfe sono in numero di tre e sono precedute
da Hermes, il quale guida la danza, alla presenza di Pan intento a suonare e di
Acheloo, quest’ultimo spesso limitato alla sola maschera; le ninfe si tengono
per mano oppure si afferrano reciprocamente un polso33. Sembra, dunque, aver
colto nel segno Gemma Sena Chiesa, quando accennava alla “tradizione medi-
terranea di ninfe” con la quale il culto pedemontano delle Matrone potrebbe
28 Così Brusin 1944, 162, e Sena Chiesa 1982, 117. Cfr. Tocchetti Pollini 1983, 174, che
ravvisa comunque una maggiore affinità con la pettinatura di Antonia Minore.
29 Calame 1977, 77-84; Lawler 1984, 31-32 e passim; Yioutsos 2011.
30 Calame 1977, 84-143.
31 Shapiro et al. 2004, 337-343 (K. Giannotta, H.A. Shapiro).
32 Feubel 1935; Isler 1981, 22-24, n. 166-196; Wegener 1985, 139-150; Lonsdale 1993,
272-275; Yioutsos 2011. L’esemplare più antico della tipologia pare essere il rilievo di Arcandro
al Museo Archeologico Nazionale di Atene, risalente all’ultimo quarto del v sec. a.C.: Wegener
1985, 140-141, 306, n. 141.
33 Per i vari tipi di danza che prevedevano donne unite fra loro, cfr. Delavaud-Roux 1994,
100-113; per il legame mediante i polsi, anche Yioutsos 2011, 237-238.
670
Alberi e culti. Un contributo all’analisi degli elementi paesistici nella scultura a rilievo
essere stato collegato, soprattutto se confrontato con le forme assunte nei ter-
ritori transalpini34.
Nella raffigurazione della danza delle devote di Angera, l’albero e l’anfora
posti in primo piano coprono una piccola porzione della scena, conferendole
allo stesso tempo un senso di maggiore profondità spaziale. Nei rilievi romani
di committenza privata, come quelli funerari e votivi, nel cui ambito rientra
il nostro altare, gli elementi paesistici o di arredo sono generalmente intro-
dotti con la funzione di indicatori ambientali, allo scopo di precisare la cornice
dell’episodio scolpito, il quale rimane sempre la fondamentale ragion d’essere
della rappresentazione35. Queste appendici, inserite in composizioni peral-
tro sempre improntate a un’estrema sintesi, sono di solito trattate con molta
sobrietà, poiché l’aggiunta anche di un solo elemento era evidentemente rite-
nuta sufficiente per completare il contenuto del quadro. La notazione ambien-
tale, nella sua essenzialità, contribuisce a caratterizzare i personaggi raffigurati
e le azioni che essi svolgono, sottolineandone la “sfera di competenza”, che può
essere, ad esempio, la bottega per un commerciante oppure lo scenario naturale
per un pastore36. Ma quello che stupisce, nell’altare angerese, è la posizione di
grande spicco conferita proprio alla rappresentazione dell’albero con l’anfora
ai suoi piedi: si tratta di un’accentuazione di significato dell’elemento paesistico
per la quale è difficile trovare confronti, nell’ambito delle opere scultoree di
questo genere. Una prima spiegazione che si può proporre è che tali elementi
non servano soltanto a connotare l’ambiente in cui si svolge la cerimonia raf-
figurata, visto che, come si è già detto poco più sopra, la scelta di anteporli
visivamente alle fanciulle ha di certo anche lo scopo di suggerire che la danza
si snoda intorno ad essi.
Però è soprattutto alla quercia che sembra essere stata assicurata una note-
vole importanza all’interno della scena, dove in nessun modo può essere scam-
biata solo per un elemento di contorno. È da notare, in primo luogo, l’attenta
34 Sena Chiesa 1982, 117 e 124. L’argomento è stato ripreso da Spagnolo Garzoli 1996,
104-108, che ha richiamato l’attenzione sull’origine greca dei nomi dei dedicanti delle are di
Avigliana e Pallanza, per spiegare la sensibilità verso quel tipo di repertorio iconografico, di cui
anche le citate ceramiche che mostrano le Matrone accompagnate da Mercurio sono certo un
riflesso. Per il collegamento con le raffigurazioni di ninfe guidate da Hermes, cfr. Bauchhenss
1997, 814, n. 57, e 816 (con particolare riferimento a un rilievo di Vindonissa); Miedico 2016a,
216.
35 È quanto avveniva già nei rilievi greci di analoga natura: Carroll-Spillecke 1985;
Wegener 1985.
36 Un recente e fondamentale riesame dell’ambito artistico cui appartengono anche i rilievi
di questo tipo è quello tracciato dai vari saggi che compongono de Angelis et al. 2012, dove
la valutazione di quella che un tempo veniva etichettata “arte plebea”, con una formula che ha
avuto lunga fortuna, è stata reimpostata su basi criticamente aggiornate.
671
Simone Rambaldi
1. Il ruolo che abbiamo definito simbolico si esercita molte volte nelle zone
collaterali di un manufatto scolpito. Sui fianchi dei monumenti, nei casi in cui
questi siano decorati da elementi vegetali, appaiono peraltro più diffusi motivi
672
Alberi e culti. Un contributo all’analisi degli elementi paesistici nella scultura a rilievo
fitomorfi di altro genere, quali lo stelo elaborato che si protende verso l’alto sul
lato sinistro dello stesso altare delle Matrone, oppure il tralcio d’edera che fuo-
riesce da un kantharos sul lato destro della citata ara angerese dei Qurtii. Ma a
volte si trovano raffigurati anche veri alberi, di dimensioni più o meno grandi,
come può testimoniare l’altare funerario di Petilia Iusta di Aquileia37 (fig. 2).
Talora sono introdotti per corredare la faccia principale, come le due piante di
alloro nella stele ravennate dei Firmii, realizzate a rilievo molto appiattito ai lati
della nicchia inferiore, la quale reca il busto-ritratto del verna Speratus38.
37 Santa Maria Scrinari 1972, 135, n. 388; Dexheimer 1998, 102-103, n. 65; Lettich
2003, 267-268, n. 367; Cigaina 2015, 22, nota 11 (di recente datato al ii sec. d.C.; CIL V, 1331).
Sull’altro lato dell’ara è rappresentata una Venere nuda, con un ramoscello nella mano sinistra.
38 Mansuelli 1967, 121-122, n. 8; Pflug 1989, 154-155, n. 10 (secondo quarto del i sec. d.C.;
CIL XI, 178).
39 Mercando 1998, 333, 336; Ead., Paci 1998, 24; Giuliano 2000, 59, n. 15 (prima metà del
ii sec. d.C.; CIL V, 7521).
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Alberi e culti. Un contributo all’analisi degli elementi paesistici nella scultura a rilievo
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Simone Rambaldi
Fig. 5. Reggio Emilia, Parco del Popolo: stele dei Concordii, particolare
(foto Rambaldi).
46 La scena è rappresentata nella stele della liberta Antistia Delphis (CIL V, 7044), conservata
nel Castello di Reano. Gli elementi paesistici che connotano il luogo sono inseriti nei tre vertici
del triangolo timpanale, due rocce in basso e la chioma della ficus, dalla curiosa forma prismatica,
in alto, sopra la lupa. Cfr. Mercando 1998, 338; Ead., Paci 1998, 206, n. 132 (la stele è collocabile
nella prima metà del ii sec. d.C.). Il tema trova raffronti anche in ambito provinciale, come
rivelano le stele pannoniche studiate dalla Palágyi 2003, la quale è incline a vedere qualche
riflesso del paesaggio locale negli elementi naturali raffigurati su taluni monumenti.
47 Il monumento fu recuperato presso Boretto, nel territorio di Brescello. Parte del recinto
funerario è stata ricostruita nel Parco del Popolo di Reggio Emilia, dove la stele è tuttora visibile.
Cfr. Aurigemma 1931; Scarpellini 1987, 137-139, n. 21; Pflug 1989, 178-179, n. 58 (terzo
quarto del i sec. d.C.).
676
Alberi e culti. Un contributo all’analisi degli elementi paesistici nella scultura a rilievo
Alla luce del panorama or ora delineato, l’albero delle Matrone risulta eser-
citare anch’esso un duplice ruolo, descrittivo (in quanto puntualizza il luogo
all’aperto dove si compie la cerimonia) e narrativo (in quanto probabile ful-
cro dell’azione rituale). A questo punto possiamo concentrarci sulla partico-
lare scelta iconografica già rimarcata in precedenza, cioè la parziale sovrap-
posizione dell’albero alle danzatrici, la quale ribadisce l’importante funzione
da esso esercitata all’interno della composizione. È questo un accorgimento di
applicazione molto infrequente, nell’ambito della produzione artistica romana
cui appartengono il nostro altare e gli altri esempi passati in rassegna, poiché
gli elementi paesistici, quando presenti, sono normalmente aggiunti dietro o
accanto alle figure protagoniste delle scene scolpite, come d’altronde è natu-
rale48. Un raro esempio di pianta anteposta alla scena principale è dato da un
rilievo provinciale piatto e disegnativo, recuperato nel territorio della Panno-
nia Inferior, dove due animali, un cervo e un capriolo, sono raffigurati uno
dietro l’altro al di là del tronco di un albero dal ricco fogliame49 (fig. 6). Pro-
babilmente, con la particolare soluzione iconografica qui adottata, pur tenuto
conto della povertà formale complessiva, si voleva conferire uno speciale risalto
all’ambiente naturale in cui gli animali si trovano.
677
Simone Rambaldi
678
Alberi e culti. Un contributo all’analisi degli elementi paesistici nella scultura a rilievo
Cichorius [1896-1900], di uso canonico per indicare le scene della Colonna). In un’occasione,
a fare provvista di legna sono i Daci, rappresentati però in modo analogo (LXVII, 171-172).
51 XXVI, 65-66.
52 LXIV, 158-160.
53 CXXXII-CXXXIII, 354-357.
54 Rispettivamente XL-XLI, 109-110, e CXXXVIII, 367-368.
55 CXLV, 386. Cfr. anche per la posa del re, che segue uno schema ben noto alla tradizione
iconografica greca e romana, Settis 1988, 115-117, 224-229; 1989.
679
Simone Rambaldi
Vi sono però dei casi, in verità piuttosto numerosi, in cui gli alberi posti
in primo piano acquistano la funzione di separatori tra due scene diverse
oppure, meno spesso, tra due momenti differenti di uno stesso episodio. Que-
sta modalità di utilizzo è resa chiaramente evidente dal fatto che, in tali circo-
stanze, l’albero si estende col suo fusto quasi sempre per tutta l’altezza della
spira del fregio nella quale si trova ed è, inoltre, contraddistinto da una marcata
verticalità56. È adoperato, ad esempio, per dividere nettamente una scena di
deportazione di prigionieri da una che mostra un reparto di cavalieri daci che
annegano nel Danubio57, oppure per separare un’altra scena di trasferimento
di nemici da un discorso di Traiano alle sue truppe, che costituisce l’ultimo
episodio della narrazione della prima guerra58. Nella raffigurazione di un asse-
dio, un albero interposto separa due successivi assalti dell’esercito romano alle
mura di una fortezza dove si sono rinserrati i nemici, suggerendo così una forte
cesura anche temporale59. Un’interruzione particolarmente netta nel racconto
può essere sottolineata mediante una coppia o anche un gruppo di alberi60. Un
caso speciale di impiego di due alberi in primo piano è quello che mostra il
re Decebalo, ormai vicino alla disfatta conclusiva, mentre assiste impotente
all’inutile tentativo dei suoi soldati di conquistare una piazzaforte romana,
accompagnato da due ufficiali61. La terna dei Daci, col re al centro, è delimitata
dai due alberi che la attorniano ai lati, isolandola dal contesto, quasi a signifi-
care che Decebalo seguiva l’andamento della battaglia da un punto di osserva-
zione in posizione sicura, ma contemporaneamente mettendolo in evidenza e
conferendogli un particolare risalto62.
Un’esigenza simile a quella che trapela da quest’ultimo segmento, enucleato
dalla narrazione traianea, potrebbe avere guidato l’autore del rilievo raffigu-
rante l’azione rituale in onore delle Matrone. L’albero, elemento basilare per
connotare lo spazio sacro nel quale la scena si svolge e probabile perno della
cerimonia, produce allo stesso tempo uno stacco, non effettivo ma logico, che
56 In generale, sulla funzione compositiva e distributiva che gli alberi di frequente assumono
nel fregio della Colonna, cfr. Settis 1988, 132-137; sulle loro caratteristiche di aspetto e
tipologia, Lehmann-Hartleben 1926, 135, e Stoiculescu 1985.
57 XXX-XXXI, 72-75.
58 LXXVI-LXXVII, 200-203.
59 LXX-LXXI, 178-181. Cfr. Settis 1988, 134.
60 Così un abbinamento di alberi divide la scena già ricordata nella quale i Daci si procurano
la legna da un’altra dove i lavoratori sono i Romani, occupati a costruire un campo fortificato
(LXVII-LXVIII, 171-174); un gruppo di alberi, invece, separa una scena di sottomissione di
un capo dacico a Traiano da un’altra in cui i nemici sconfitti incendiano la loro città (CXVIII-
CXIX, 319-324). Cfr. Settis 1988, 133.
61 CXXXV, 361.
62 Cfr. Settis 1988, 132-133.
680
Alberi e culti. Un contributo all’analisi degli elementi paesistici nella scultura a rilievo
63 Non è escluso che si tratti solo di un’impressione, forse in parte stimolata dalle abrasioni
che il volto ha subito, ma la corifea sembrerebbe di età un poco più matura di quella delle sue
compagne. Mi pare in ogni caso improbabile che possa essere un uomo, come è stato proposto,
seppure in via ipotetica, da Sartori 1995, 39; 2009, 368.
681
Simone Rambaldi
ninfa e le altre64. La pianta viene ad assolvere qui una funzione logica deter-
minante, in quanto interrompe visivamente la processione, conferendo, allo
stesso tempo, speciale risalto alla figura della corifea, il cui ruolo è evidenziato
anche per mezzo della sua posa più statica.
Non potendo contare su altre informazioni in merito all’organizzazione del
culto delle Matrone, la proposta appena avanzata non può superare i limiti di
una congettura, con la quale si è cercato soprattutto di spiegare l’inconsueta
soluzione compositiva adottata per la rappresentazione della scena, in partico-
lare nel rapporto tra le figure e gli elementi di contorno in primo piano. L’u-
nico spunto che si può richiamare, sarebbe eccessivo dire come conferma, ma
almeno come minimo sostegno per l’ipotesi, è fornito dall’altare figurato di
Avigliana, ricordato nella parte iniziale di questo lavoro. In esso non è intro-
dotto un albero o un elemento di altro tipo che possa avocare a sé una funzione
immediatamente paragonabile a quella della quercia sull’altare di Angera. Però
la capofila appare staccata dalle compagne che la seguono, perché, pur essendo
vestita come loro e atteggiata in maniera analoga, non è formalmente unita a
loro nella danza: invece di porgere il braccio indietro verso una delle sue con-
sorelle, come nel rilievo angerese, essa tiene entrambe le mani congiunte in
grembo. Forse anche in questo si potrebbe vedere un tentativo di isolare la
corifea dalle compagne, allo scopo di mettere in evidenza il diverso ruolo che
essa ricopriva. A una tale esigenza si poteva rispondere in modi differenti, da
un monumento all’altro, poiché non vi era un univoco codice iconografico di
riferimento che ne guidasse la realizzazione.
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2013, 128, n. 70 (D. Bonanome).
682
Alberi e culti. Un contributo all’analisi degli elementi paesistici nella scultura a rilievo
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Elenco degli autori
Volume I
Ivana Angelini
Università degli Studi di Padova
Dipartimento dei Beni culturali: Archeologia, Storia dell’Arte, del Cinema e della
Musica
ivana.angelini@unipd.it
Patrizia Basso
Università degli Studi di Verona
Dipartimento di Culture e Civiltà
patrizia.basso@univr.it
Giorgio Bejor
già Università degli Studi di Milano
Dipartimento di Beni culturali e ambientali
giorgio.bejor@unimi.it
Margherita Bergamini
già Università degli Studi di Perugia
Dipartimento di Scienze storiche
margherita.bergamini@libero.it
Leonardo Bernardi
Università degli Studi di Padova
Dipartimento dei Beni culturali: Archeologia, Storia dell’Arte, del Cinema e della
Musica
leonardo.bernardi87@gmail.com
Federico Biondani
Indipendent Reseracher
f.biondani@tiscali.it
1003
Elenco degli autori
Cristina Boschetti
Institut de Recherche sur les Archéomatériaux, Centre Ernest-Babelon, UMR 5060,
CNRS-Université d’Orléans
cristina.boschetti@cnrs-orleans.fr
Maurizio Buora
Indipendent Reseracher
Società friulana di archeologia
mbuora@libero.it
Giuseppe Cacciaguerra
Consiglio Nazionale delle Ricerche
Istituto per i Beni archeologici e monumentali - Catania
g.cacciaguerra@ibam.cnr.it
Marco Cavalieri
Université catholique de Louvain
Centre d’étude des Mondes antiques
marco.cavalieri@uclouvain.be
Tiziana Cividini
Independent Researcher
tiziana_cividini@yahoo.it
Antonella Coralini
Alma Mater Studiorum - Università di Bologna
Dipartimento di Storia Culture Civiltà
antonella.coralini@unibo.it
1004
Elenco degli autori
Anika Duvauchelle
Site et Musée romains d’Avenches
anika.duvauchelle@vd.ch
Dennys Frenez
Alma Mater Studiorum - Università di Bologna - Ravenna Campus
Dipartimento di Storia Culture Civiltà
dennys.frenez@unibo.it
Sauro Gelichi
Università Ca’ Foscari, Venezia
Dipartimento di Studi umanistici
gelichi@unive.it
Francesca Ghedini
Università degli Studi di Padova
Dipartimento di Archeologia
francesca.ghedini@unipd.it
Celestino Grifa
Università degli Studi del Sannio
Dipartimento di Scienze e Tecnologie
celestino.grifa@unisannio.it
Gabriella Guiducci
Independent Researcher
gabriella.guiducci76@gmail.com
Afrim Hoti
University “Aleksandër Moisiu” Durrës
Centre for Albanian Archaeological Heritage
afrimhoti@gmail.com
Daniele Malfitana
Consiglio Nazionale delle Ricerche
Istituto per i Beni archeologici e monumentali - Catania
daniele.malfitana@cnr.it
Valentina Manzelli
Soprintendenza Archeologia belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di
Bologna
e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara
valentina.manzelli@beniculturali.it
1005
Elenco degli autori
Arnaldo Marcone
Università degli Studi Roma Tre
Dipartimento di Studi umanistici
arnaldo.marcone@uniroma3.it
Emiliana Mastrobattista
Independent Researcher
emimastro@virgilio.it
Antonino Mazzaglia
Consiglio Nazionale delle Ricerche
Istituto per i Beni archeologici e monumentali - Catania
a.mazzaglia@ibam.cnr.it
Simonetta Menchelli
Università degli Studi di Pisa
Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere
simonetta.menchelli@unipi.it
Manuela Mongardi
Alma Mater Studiorum - Università di Bologna
Dipartimento di Storia Culture Civiltà
manuela.mongardi2@unibo.it
Iwona Modrzewska-Pianetti
Uniwersytet Warszawski
Instytut Archeologii
iwonamodrzewska@poczta.onet.pl
Nicolas Monteix
Centre Jean-Bérard (USR 3133 - CNRS/EFR)
nicolas.monteix@univ-rouen.fr
Alberto Monti
Independent Researcher
albertom@iol.it
1006
Elenco degli autori
Yolanda Picado
Independent Researcher
yolpicado@gmail.com
Angela Pontrandolfo
già Università degli Studi di Salerno
Dipartimento di Scienze del Patrimonio culturale
apontrandolfo@unisa.it
Paola Puppo
Independent Researcher
paola.puppo@katamail.com
Lorenzo Quilici
già Alma Mater Studiorum - Università di Bologna
Dipartimento di Archeologia
lorenzo.quilici@gmail.com
Monica Salvadori
Università degli Studi di Padova
Dipartimento dei Beni culturali: Archeologia, Storia dell’Arte, del Cinema e della
Musica
monica.salvadori@unipd.it
Clelia Sbrolli
Università degli Studi di Padova
Dipartimento dei Beni culturali: Archeologia, Storia dell’Arte, del Cinema e della
Musica
clelia.sbrolli@gmail.com
Eleni Schindler-Kaudelka
Independent Researcher
elenischindler@utanet.at
Paola Ventura
Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Friuli Venezia Giulia
paola.ventura@beniculturali.it
1007
Elenco degli autori
Massimo Vidale
Università degli Studi di Padova
Dipartimento dei Beni culturali: Archeologia, Storia dell’Arte, del Cinema e della
Musica
massimo.vidale@unipd.it
Volume II
Marcello Barbanera
Sapienza – Università di Roma
Dipartimento di Scienze dell’Antichità
marcello.barbanera@uniroma1.it
Robert Bedon
Université de Limoges
Faculté des Lettres et des Sciences Humaines
bedon.robert@wanadoo.fr
Cristina Boschetti
Institut de Recherche sur les Archéomatériaux, Centre Ernest-Babelon, UMR 5060,
CNRS-Université d’Orléans
cristina.boschetti@cnrs-orleans.fr
Elena Calandra
Direzione generale Archeologia belle Arti e Paesaggio
Istituto centrale per l’Archeologia
elena.calandra@beniculturali.it
Marco Cavalieri
Université catholique de Louvain
Centre d’étude des Mondes antiques
marco.cavalieri@uclouvain.be
Isabella Colpo
Università degli Studi di Padova
Centro di Ateneo per i Musei
isabella.colpo@unipd.it
1008
Elenco degli autori
Paolo Giandebiaggi
Università degli Studi di Parma
Dipartimento di Ingegneria e Architettura
paolo.giandebiaggi@unipr.it
Enrico Giorgi
Alma Mater Studiorum - Università di Bologna
Dipartimento di Storia Culture Civiltà
enrico.giorgi@unibo.it
Cristina Leonelli
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari”
cristina.leonelli@unimore.it
Daniele Manacorda
Università degli Studi Roma Tre
Dipartimento di Studi umanistici
daniele.manacorda@uniroma3.it
Emiliana Mastrobattista
Independent Researcher
emimastro@virgilio.it
Mauro Menichetti
Università degli Studi di Salerno
Dipartimento di Scienze del Patrimonio culturale
mmenichetti@unisa.it
Frances Pinnock
Sapienza – Università di Roma
Dipartimento di Scienze dell’Antichità
frances.pinnock@uniroma1.it
Simone Rambaldi
Università degli Studi di Palermo
Dipartimento Culture e Società
simone.rambaldi@unipa.it
1009
Elenco degli autori
Guido Rosada
già Università degli Studi di Padova
Dipartimento dei Beni culturali: Archeologia, Storia dell’Arte, del Cinema e della
Musica
guido.rosada@unipd.it
Barbara Sassi
Independent Researcher
progettazione@archeosistemi.it
Chiara Vernizzi
Università degli Studi di Parma
Dipartimento di Ingegneria e Architettura
chiara.vernizzi@unipr.it
Giuseppa Z. Zanichelli
Università degli Studi di Salerno
Dipartimento di Scienze del Patrimonio culturale
gzanichelli@unisa.it
Enrico Zanini
Università degli Studi di Siena
Dipartimento di Scienze storiche e dei Beni culturali
enrico.zanini@unisi.it
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Friends, Romans, countrymen, lend me your ears;
I come to bury Caesar, not to praise him.
The evil that men do lives after them;
The good is oft interred with their bones;
So let it be with Caesar.
W. Shakespeare, Julius Caesar, act III, scene II