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Collana Studi e Ricerche 70

Studi umanistici
Serie Antichistica
Munus Laetitiae
Studi miscellanei oferti a Maria Letizia Lazzarini

volume ii

a cura di
Francesco Camia, Lavinio Del Monaco, Michela Nocita

con la collaborazione di
Lucia D’Amore, Paola Grandineti, Giulio Vallarino

2018
Comitato promotore:
Maria Letizia Caldelli, Francesco Camia, Gian Luca Gregori, Francesco Guizzi,
Adolfo La Rocca, Enzo Lippolis, Elio Lo Cascio, Marco Maiuro, David Nonnis,
Silvia Orlandi, John Thornton, Pietro Vannicelli.

Volume finanziato dal Dipartimento di Scienze dell’Antichità


Sapienza Università di Roma.

Copyright © 2018
Sapienza Università Editrice
Piazzale Aldo Moro 5 – 00185 Roma
www.editricesapienza.it
editrice.sapienza@uniroma1.it
Iscrizione Registro Operatori Comunicazione n. 11420
ISBN 978-88-9377-073-6
Pubblicato a giugno 2018

Quest’opera è distribuita
con licenza Creative Commons 3.0
difusa in modalità open access.

In copertina: Lex sacra dal tempio di Casa Marafioti a Locri Epizefirii.


Indice

d) Vita religiosa
La statua della nassia Nikandre: kore o dea?
R. Di Cesare 11
Praxidike, le Praxidikai e la giustizia degli dei
I. Berti 27
Athena Ergane sull’Acropoli di Atene. Analisi delle testimonianze
epigraiche
F. Giovagnorio 43
Dediche efimere ad Artemide: tessili iscritti
negli inventari di Brauron
D. Marchiandi 61
La ‘Lex Sacra von der Hallenstrasse’ e l’Asclepieio di Pergamo
tra passato e presente
M. Meli 95
Thiasos artokreonikos in Kenchreai
S. Zoumbaki 109
Oracoli apollinei da Hierapolis di Frigia
F. Guizzi 121
Monumento funerario e proprietà terriera. Note preliminari
sul “doppio” sepolcro di una famiglia di Sidyma
S. Campanelli 145
e) sport e cultura
Aspetti economici dell’agonismo sportivo greco
in età arcaica e classica
L. D’Amore 175
Vi Munus laetitiae

Carriera e premi di uno sportivo di IV sec. a.C.


(Kleainetos di Argo): alcune ipotesi
A. Caruso 189
Novità su un rilievo di teatro antico (IG II/III³ 4, 636)
D. Summa 207
Poeti e conferenzieri stranieri in Tessaglia in età ellenistica:
l’epigramma funerario per Herillos iglio di Herodoros di Kalchedon
E. Santin 223
Plagiari per scelta, plagiari per tradizione: lo strano caso
di Meleagro, di Cheremone e dell’epitaio di Aminta
M. Cilione 251
I vincitori dei Sebastà nell’anno 86 d.C.
E. Miranda De Martino 267
f) onoMastica
Nomi poetici su un’iscrizione megarese arcaica
(SEG 13, 300): uomini, eroi o navi?
L. Bettarini 289
Antroponimi femminili esprimenti il sentimento della felicità
(e della prosperità) nelle iscrizioni greche: una rassegna preliminare
F. Camia 299
g) epigrafi ‘nascoste’
Epigraia povera: prima della pietra, invece della pietra
L. Criscuolo 317
Gemme e anelli: oggetti personali e di dono
G. Bevilacqua 339
h) epigrafia e antiquaria
Le iscrizioni greche della collezione del cardinale
Francesco Saverio de Zelada
M.L. Caldelli 361
“Nicodemo, arconte dei Siburesi”: la storia di un’epigrafe in lingua
greca di Roma e della sua copia settecentesca
G. Tozzi 375
i) Mondo coloniale
Nasso e Leontini, il problema dell’ecista
L. Braccesi 403
Indice Vii

Enyò dalle Cicladi in Sicilia


F. Cordano 411
Le aspirazioni di una dea greca: Ἐνὑώ tra Omero e Naxos di Sicilia
A.C. Cassio 419
Dono tra φίλοι? Il grafito sulla pelike da Cuma (RC 142)
attribuita ad Aison
P. Lombardi 423
<Σ>τηιος o ┌├ ┐ ηιος? Su una corona d’oro iscritta
dalla Magna Grecia a Delo
P. Poccetti 453
Entella tra i Cartaginesi e i Romani, ovvero da chi erano stati
espulsi gli Entellini?
M. Lombardo 485
I Crotoniati lontani da Crotone
M. Nocita 499
Una singolare variante del segno di spirito aspro a Hipponion
L. Del Monaco 521
Novità su un rilievo di teatro antico
(IG II/III³ 4, 636)

Daniela Summa
(Berlin, Berlin-Brandenburgische Akademie der Wissenschaften)

Mi fa piacere cogliere questa lieta occasione in onore della mia magistra


Romana artis epigraphicae per pubblicare delle recenti acquisizioni ri-
guardo a un rilievo greco rinvenuto in Sardegna1.
Nel 1849 a Cagliari furono rimosse dal pavimento della chiesa an-
tica di Bonariale lastre tombali di notabili famiglie locali. In questa cir-
costanza Fedele Dessì, mercedario del convento di Bonaria, informò il
canonico Giovanni Spano2, specialista di antichità sull’isola, del rinve-
nimento di un rilievo antico corredato di epigrafe greca sul retro della
lapide di un suo antenato3. Spano ricevette il rilievo dal Dessì, lo pub-
blicò sul Bullettino Archeologico Sardo e lo donò al Museo di Cagliari4.
Il reperto è conservato tuttora in un deposito del suddetto Museo,
dove ho potuto studiarlo nel 2014 per la recente edizione di IG II/III³
4 (ed. Jaime Curbera), previo permesso della Soprintendenza di Ca-

1
Ringrazio profondamente la Direttrice del Museo di Cagliari Donatella Mureddu,
Mariella Maxia e Cynthia Ventimiglia per l’autorizzazione allo studio del rilievo e
per il supporto nei magazzini del museo di Cagliari; María José Rucio Zamorano,
Jefa de Servicio de Manuscritos e Incunables, Biblioteca Nacional de España per
l’apertura del codex Matritensis e le riproduzioni fotograiche; Maria Giuseppina
Meloni e Giuseppe Seche per le ricerche sulla famiglia Arca e l’aiuto con l’araldica
sarda; Jaime Curbera, Brigitte Le Guen e Sotera Fornaro per le loro preziose
osservazioni, quest’ultima in particolare per avermi pazientemente accompagnato
in tutte le indagini sull’isola.
2
Su Giovanni Spano (1803-1878), ‘padre’ dell’archeologia in Sardegna, vd. Mastino
2000, 13-40; idem 2004, 225-344.
3
Spano non dà alcuna informazione sul suo “amico” Fedele Dessì, la cui discendenza
dalla famiglia Arca non è in realtà affatto sicura (nt. 45). I dettagli biograici su Fedele
Dessì, anche preposto al regio Lazzaretto di Cagliari, sono tratti da Lippi 1870.
4
Spano 1861, 129-132; nello stesso numero cfr. Cavedoni 1861, 163-165 e Martini
1861, 171-172. Spano include il rilievo nel Catalogo dei reperti da lui donati al
museo di Cagliari, Spano 1860, 60.
208 Munus laetitiae

gliari. Si tratta di una lastra di marmo bianco5 con rilievo sovrastato


da cymation e acroteri, mutilo a destra di poco meno della metà (Fig.
1). L’iscrizione frammentaria ΗΡΑΕΕΣ ΔΙΟΝΥΣΩΙ ΑΝΕ è incisa sul
cymation superiore. Il testo integrato Ἡραέες ∆ιονύσωι ἀνέθηκ[αν]6
è apparso da ultimo in IG, a cui rimando per l’apparato critico con le
letture incorrette del passato.
Datazione: Sia il rilievo sia l’iscrizione sono stati datati intorno agli inizi
o alla metà del IV sec. a. C. Oltre al supporto della paleograia, la da-
tazione mi sembra ben deinita da due termini, il primo ante quem e il
secondo post quem: il fenomeno di non contrazione Ἡραέες invece di
Ἡραεῖς ricorre nei demotici attici Ἐρχιέες, Κολλυτέες, Ἀχαρνέες etc.
del IV sec. a. C. e non oltre la seconda metà dello stesso secolo. Inoltre
la forma dell’aoristo cappatico ἀνέθηκαν successiva ad ἀνέθεσαν è at-
testata a partire dalla metà del IV sec. a. C. e si impone verso l’inizio del
III7. Di conseguenza l’iscrizione è databile probabilmente alla seconda
metà del IV secolo a. C.
Iconograia e provenienza: Il reperto è stato più volte oggetto di stu-
dio sia per l’interesse iconograico sia per la dificile esegesi dell’iscrizione
(nt. 6). Il rilievo s’inquadra nella serie del tipo greco-orientale noto come
“Totenmahlreliefs” o “Banquet couché”, nel quale sono rappresentate
tre igure di base: una igura principale maschile imberbe oppure barba-
ta, distesa su una kline, a seconda dei contesti identiicata come un eroe
o un dio; una igura femminile più o meno giovane, dea, ninfa, eroina
o personiicazione di un concetto, seduta ai piedi della kline; un coppie-

5
Inv. n. 10918. Dimensioni: a. 0,43, l. 0,415. Il marmo è sicuramente greco, forse di
origine paria, secondo l’esame mineralogico comunicato da Pais 1895, 370.
6
Le lettere sottolineate sono note dal codex Matritensis 5781, sul quale infra. Dopo
Spano edd. Kaibel, IG XIV 605 (dal cod.Matrit.); Pais 1895, 369–378; Maass
1896, 102–106 igg. 1-3. Cfr. Furtwängler I 1887, 32 nt. 1; Reisch 1890, 23-24
nt. 3; Dieterich 1897, 201; Wilamowitz 1898, 524 [= Kl. Schriften IV 35]; Poland
1906, 74; Svoronos III 517 e 525 c. ig 239; Taramelli 1914, 120 nr. 112; Thönges-
Stringaris 1965, 95 nr. 177; Guarducci 1962, 276 c. ig. 71; Webster 1967, 34 nr. AS
6; Dentzer 1982, 505–506, 619 nr. R 449; Slater 1985, 340; Himmelmann 1994,
139-140 c. ig. 72; Micheli 1998, 6-7; Ruggeri 1999, 148; Froning 2002, 77–79 ig.
94; Mastino 2001, 100-101; Marginesu 2002, 1809–1811; Vierneisel - Scholl 2002,
32 c. ig. 23; Ibba 2005-2006, 3-5 c. igg. I-III; Csapo 2010a, 90-91 ig. 7.5.
7
Riguardo al primo fenomeno cfr. Threatte 1980, I, 158; riguardo al secondo,
ibid. II, 615-619: “Only ἀνέθεσαν occurs until about 360-350 BC...”; “for the
period 275-31 BC ἀνέθηκαν is almost universal”. Byrne 2008, 123-132 analizza
nel dettaglio le due forme nelle iscrizioni attiche, giungendo alla conclusione che
già dopo il 300 a. C. non sono più attestati esempi sicuri di ἀνέθεσαν. La nostra
iscrizione rappresenta un ulteriore testimone a favore della cronologia di Byrne.
Novità su un rilievo di teatro antico 209

re. Figure aggiuntive, variazioni, arricchimenti semantici o puramente


decorativi compaiono in numerosi rilievi di questo tipo. In età classica
e postclassica la loro destinazione è soprattutto votiva, mentre dal III
secolo a. C. in poi si riscontra piuttosto un utilizzo funerario8. Nel nostro
rilievo partendo da sinistra è rafigurato accanto ad un cratere per liba-
gioni un coppiere che tiene una phiale nella mano sinistra e nella destra
una brocca. Sopra di lui pendono tre maschere tragiche, di cui la centra-
le presumibilmente femminile. A destra una donna seduta su un diphros
ai piedi della kline ha lo sguardo rivolto alla maschera tragica che tiene
in mano e non al dio, come di consueto in questi rilievi. La igura di
imponenza e abbigliamento matronale è a mio avviso identiicabile con
la personiicazione della tragedia9. La sua posa contemplativa richiama
l’iconograia degli artisti drammatici che osservano la maschera, di cui
gli esempi più noti sono nel pressoché contemporaneo rilievo del Lyme-
Park, nel vaso ‘di Pronomos’ (c. 400 a.C.) o nel rilievo di ‘Menandro’10.
Nella parte destra mancante era disteso sulla kline Dioniso, come attesta
l’epigrafe a lui dedicata. Questa iscrizione aiuta a dirimere anche i dubbi
sull’identità della igura maschile in due simili rilievi di teatro provenienti
dal Pireo11e da Eleusi12. La scena originariamente incorniciata tra due
colonnine con capitelli dorici e l’architrave ritrae l’interno del santuario
di Dioniso. La rafigurazione delle maschere tragiche in alto visualiz-
za la pratica di appendere le maschere alle pareti del santuario dopo le
rappresentazioni drammatiche come dono votivo, uso bene illustrato da

8
Thönges-Stringaris 1965; Dentzer 1982.
9
Eroina secondo Vierneisel - Scholl 2002, Coregia secondo Marginesu 2002.
Propendo per la Tragedia (menzionata come una delle opzioni da Micheli 1998
e Ibba 2005-2006) sulla base dell’iconograia: si vedano in particolare la igura
identiicata come Tragedia nel vaso di ‘Pronomos’ da Hall 2010, 176-179, e il
gruppo statuario del Dionysion di Thasos, pressoché coevo al nostro rilievo, dove
la Commedia è rafigurata vestita di chitone allacciato sotto il seno e mantello; la
Tragedia è perduta ma doveva avere un aspetto non molto differente; entrambe
tenevano una maschera in mano, di cui ci resta quella tragica, vd. Grandjean -
Salviat 2000, 92-94 e 254-257. Si veda anche LIMC VIII s.v.
10
Sul rilievo del Lyme-Park, le copie romane del rilievo ellenistico ‘di Menandro’
e altri esempi di attori o coreuti contemplanti la loro maschera in dalla ine del
V sec. a. C. vd. Himmelmann 1994, 140-149; Scholl 1995, 213-238; sul vaso di
‘Pronomos’ vd. Taplin - Wyles 2010.
11
IG II-III³ 4, 1208 della seconda metà del IV sec. a. C. Il nome di Dioniso fu aggiunto
sotto in epoca posteriore, vd. Guarducci 1962, 276 ig. 72,3; Froning 2002, 76, ig.
93; Scholl 2002, 222-223; Csapo 2010a, 94-96 ig. 7.8.
12
Rilievo anepigrafe della prima metà del IV sec. a. C., Svoronos 1908-1937, III, 525 ig.
240; Guarducci 1962, 277; Thönges-Stringaris 1965 nr. 88; Csapo 2010a, 93 ig. 7.7.
210 Munus laetitiae

testimonianze archeologiche, vascolari e letterarie13. Si tratta quindi di


un rilievo offerto al dio del teatro da parte di committenti legati al milieu
artistico delle rappresentazioni tragiche.
Quanto alla sua provenienza, fu già appurato da Ettore Pais (nt. 5)
che il marmo non è sardo, ma di origine greca. Inoltre questo documen-
to presuppone l’esistenza di performances drammatiche nell’ambito di
feste dionisiache e di un ediicio teatrale nel IV secolo a. C., entrambi
non attestati in Sardegna prima dell’epoca romana14. Inine l’iconogra-
ia tipica dei rilievi attici15, che furono oggetto di una vera e propria
produzione ‘industriale’ nel IV secolo a. C., non lascia dubbi16 sulla sua
provenienza attica.
L’iscrizione: Il problema maggiore per gli antichisti riguarda l’identità
dei committenti, o secondo alcuni di un singolo committente, Ἡραέες
e il inale perduto dell’epigrafe. Spano ne faceva un nome di donna
dedicante e rafigurata con la maschera in mano; Cavedoni, Pais, Wila-
mowitz17 lo interpretarono come un etnico plurale, per Webster si trat-
tava di adoranti di Era. Più convincentemente Furtwängler ipotizzò una
dedica da parte di attori. In sintonia con quest’ultimo Maass ebbe l’idea
di un tiaso di artisti di Dioniso, che avrebbe tratto il nome da un fon-
datore Ἡραῖος, sulla base della forma Φιλετηρεῖες (i.e. Φιλεταιρεῖς18)
derivata da Φιλέταιρος iglio di Attalo pergameno. Gli studiosi succes-
sivi hanno seguito l’ipotesi di un tiaso o associazione di artisti di Dioni-
so19. Recentemente Eric Csapo torna a ipotizzare un soggetto singolare
Ἡραέες, da identiicarsi con il nome di un corego, considerando che
solo il inanziatore del coro sarebbe attestato a quest’epoca come com-

13
Raccolte in Green 1982, 237-248; Scholl 1995, 213-238; Wilson 2000, 238-242;
Froning 2002, 70-95. Vd. anche nt. 34.
14
Finora sono attestati due ediici teatrali in Sardegna: uno a Cagliari d’età tardo
repubblicana (vd. nt. 44), l’altro a Nora/Capo di Pula, datato alla prima metà del II
sec. d. C., Ciancio Rossetto - Pisani Sartorio 1996, II, 414 e 417-418; Sear 2006, 195
igg. 118-119. Anche a Turris Libisonis si suppone l’esistenza di un teatro d’epoca
romana non ancora dissotterrato: Boninu 1984, 23. Qui si trovava nel II sec. d.C.
il corocitaredo periodonica Apollonio, presumibilmente in tournée, quando lo colse
la morte, IG XIV 611, cfr. Leppin 1992; Marginesu 2002, 1819-1822.
15
Oltre a Thönges-Stringaris 1965 e Dentzer 1982, tra i rilievi attici iscritti del IV sec.
vd. i due supra ntt. 11-12 e IG II-III³ 4, 331, 333, 349, di teatro 1084, 1200 infra.
16
Eccezioni Minutola 1976/1977, 436-437; Micheli 1998, 6-7.
17
Per gli studi qui di seguito citati vd. nt. 6.
18
“Musenbund”, IG VII 1790, 6 = Bringmann 1995, Knr. 87.
19
Froning 2002, 78-79 più prudentemente presume un rilievo dedicato da attori.
Novità su un rilievo di teatro antico 211

mittente di doni votivi a Dioniso a seguito di una vittoria20. Di fronte


a quest’ultima ipotesi è necessario qui almeno segnalare che la graia
non contratta -εες (= -εις) non corrisponde in Attica a nessun sufisso
nominale noto per il singolare e che l’antroponimo femminile ῾Ηραεΐς è
escluso a una data così alta.
L’apografo cinquecentesco: L’originale non può più restituirci il inale,
ma disponiamo tuttora di un apografo cinquecentesco meno frammen-
tario sebbene deteriore. Il foglio 60 del codex Matritensis 5781 (olim Q
87), opera di Antonio Agustín, arcivescovo di Tarragona e noto umanista
(1517-1586)21 trasmette una lista di iscrizioni latine e una sola greca – la
nostra – di Cagliari senza altri dettagli e con vari errori di trascrizione.
Il maldestro testo greco ΗΡΑΙΕΣ ΔΙΟΝΥΣΟ ΑΝΕΘΗΚ fu comunica-
to da Theodor Mommsen22 a Georg Kaibel per il corpus delle iscrizioni
greche d’Italia (IG XIV, anno 1890). A discolpa di Antonio Agustín già
Mommsen aveva osservato che il foglio 60 fu vergato dalla mano dell’ar-
civescovo, ma senza dubbio sulla base di una copia realizzata da qualcun
altro sul posto23. Inoltre alla luce delle recenti ricerche24 non risulta che
Agustín abbia mai soggiornato in Sardegna. Sicuramente non furono ne-
anche i suoi studenti romani Fulvio Orsini e Onofrio Panvinio, sebbene
autori di parti del manoscritto, a copiare le iscrizioni di Cagliari, ma piut-
tosto uno dei suoi conoscenti residenti in Sardegna e non esperto di greco
e latino25. Purtroppo non è possibile la consultazione di questo codice a
causa del cattivo stato di conservazione. Tuttavia già una riproduzione

20
Csapo 2010a, 90; possibilista Wilson 2000, 374 nt. 137. Sui rilievi di teatro come
coregici, più categorico Csapo 2010a, 84-96, più cautoWilson 2000, 242-243.
21
Su Antonio Agustín e l’epigraia vd. Carbonell 1991; Crawford 1993. Il codice
presenta fogli in latino, spagnolo e alcuni anche in italiano inviati all’arcivescovo
nel 1566-1567 dagli umanisti romani Onofrio Panvinio e Fulvio Orsini, entrambi
allievi di Agustín che visse a Roma negli anni ’50 del ’500.
22
Il codice fu visionato in realtà da Emil Huebner, inviato per il CIL in Spagna, dove
non risulta che Mommsen si fosse mai recato (cfr. Rebenich 2002, 162). D’altro
canto Mommsen condusse ricerche epigraiche a Cagliari e al Museo nell’Ottobre
1877 con attenzione anche alle iscrizioni greche, ma non ebbe notizia di questo
rilievo, Mastino 2004, 225-344.
23
CIL X p. 779: “Auctorum, qui inscriptiones Sardas rettulerint, omnium
antiquissimus A. Augustinus est. Exhibet eas scriptas sua manu, sed non a se
descriptas in codice hodie bibliothecae nationalis Matritensis Q 87 (cfr. Huebner
vol. II p. XV) f. 60´ adhuc a nemine adhibito”.
24
Sul foglio 60 vd. Carbonell 1993, 115-117.
25
Carbonell 1993, 115-117 azzarda il nome dell’amico Pedro del Frago y Garcés,
vescovo di Ales nel 1561 e di Alghero nel 1566, per la cui investitura sembra che
Agustín avesse giocato un ruolo decisivo. A me pare più probabile che si trattasse
212 Munus laetitiae

fotograica del foglio 60, realizzata nel 2014 dai responsabili del dipar-
timento manoscritti della Biblioteca Nacional de España (Fig. 2), mi in-
dusse a credere che l’iscrizione nel codice di Madrid non fosse frammen-
taria: il inale appare infatti celato nella rilegatura tra i due fogli. Le mie
insistenti richieste di procedere ad una maggiore apertura del manoscritto
attraverso una strumentazione apposita sono state di recente favorevol-
mente accolte dalla direttrice María José Rucio Zamorano, che ha potuto
inalmente leggere il testo integrale dell’iscrizione e mi ha trasmesso una
fotograia del inale (Fig. 3).
ΗΡΑΕΕΣ ΔΙΟΝΥΣΩΙ ΑΝΕΘΗΚΑΝ: Abbiamo così ora la prova in-
confutabile che una pluralità di persone deinitesi Ἡραέες dedicò un
rilievo a Dioniso. Rimane la questione dell’identità dei committenti.
Riguardo all’ipotesi formulata da Maass, non sono attestate associazio-
ni di artisti di Dioniso anteriori al primo quarto del III sec. a.C.; né
si può teorizzare un tiaso o associazione ante litteram in assenza della
terminologia necessaria, come Brigitte Le Guen mi fa notare (per litt.).
Furtwängler e in tempi recenti Froning hanno più convincentemente
proposto una semplice compagnia di attori. Compagnie itineranti gui-
date dagli attori protagonisti in veste di manager si esibivano infatti in
tournée nel V secolo nei teatri attici e a partire dal IV secolo in tutta la
Grecia26. Si presenta invece più arduo il problema dell’etimologia della
forma Ἡραέες. La sola ipotesi possibile, condivisa anche da B. Le Guen,
è la sua derivazione dall’antroponimo di un ignoto fondatore e attore
protagonista Ἡραῖος27. Sebbene non ci restino evidenze al riguardo,
queste compagnie di tragici e comici dovevano infatti essere identiica-
bili mediante un nome collettivo d’arte. Nei documenti uficiali preel-
lenistici troviamo il solo nome dell’attore protagonista a rappresentare
la sua compagnia28, la quale pertanto, almeno in alcuni casi, plausibil-
mente poteva derivarne il nome.

di qualcun altro da lui incaricato, piuttosto che del vescovo del Frago, anch’egli
studioso di eccezionale cultura.
26
Furtwängler 1887, 32; Froning 2002. Vd. Pickard-Cambridge 1996, 72; Csapo and
Slater 1995, 222-238; Pöhlmann 1997, 3-12. Sull’abbondanza di ediici teatrali in
Attica vd. Goette 2014, 77-105.
27
Attestato in tutte le epoche senza dificoltà, cfr. LGPN passim.
28
Fasti (IG II² 2318), Didascalie (IG II² 2319-2323), dediche coregiche e agonotetiche
(IG II-III² 4 passim). Nel 387/6 e 340/39 furono inoltre aggiunti nel programma
uficiale delle Dionisie ateniesi i revivals rispettivamente di tragedia e di commedia
(Fasti), della cui organizzazione e messa in scena l’attore protagonista del team era
responsabile.
Novità su un rilievo di teatro antico 213

I committenti dei rilievi di teatro: L’interpretazione del reperto appena


enucleata come dedica da parte di una compagnia di attori contrasta
con le recenti asserzioni che i rilievi e in generale i doni votivi di teatro
fossero dedicati a seguito di una vittoria esclusivamente da coreghi (su-
pra nt. 20). Fino alla ine del IV secolo a. C., lo ricordo, i coreghi vinci-
tori in gare liriche29 e drammatiche alle Dionisie inanziavano la dedica
dei monumenti di vittoria a Dioniso. Nelle competizioni drammatiche
gli ex voto a noi noti consistevano in oggetti per lo più deperibili, tra i
quali nel V secolo πίνακες, cioè tabelle dipinte e/o iscritte come quella
dedicata dal politico Temistocle nel 476 a. C. per la sua vittoria in ve-
ste di corego con il tragediografo Frinico (Plut., Them. 5, 5) o quella
che ritraeva Trasippo corego con il commediografo Ecfantide (Aristot.,
Polit. 1341A 34-36). Coreghi avari potevano offrire secondo Teofrasto
(Char. 22, 1-2) anche solo una modesta ταινίαν ξυλίνην con il loro
nome inciso sopra. Generoso o parsimonioso che fosse, la priorità dello
sponsor era naturalmente quella di esibire ed eternare almeno il proprio
nome se non la propria immagine. I rilievi marmorei del IV secolo a.C.
rappresentano uno sviluppo monumentale dei πίνακες e al contrario
di questi ultimi ci sono almeno in parte pervenuti. Tuttavia tra i rilievi
superstiti due soli recano un’iscrizione coregica30. Altri rilievi di teatro
iscritti o anepigrai non hanno chiari riferimenti iconograici o epigraici
a coreghi. A mero titolo esempliicativo mi limito qui ad indicare i rilievi
più incerti, a causa della presenza di artisti rafigurati con lo strumento
della loro arte: due del tipo ‘Totenmahl’ già menzionati, il primo pro-
veniente da Eleusi, nel quale una igura maschile si approssima al dio
tenendo una maschera in mano; il secondo dal Pireo, in cui sono rafigu-
rati tre attori o coreuti con maschere31; si aggiunga un terzo imponente
rilievo per Artemis Brauronia e Dioniso con cinque maschere di com-

29
Nelle vittorie liriche il premio, un tripode bronzeo, era dedicato a Dioniso dal
corego vincitore con la sua tribù e innalzato lungo o nei pressi della fastosa Via dei
Tripodi (Paus. 1, 20) sopra un piedistallo, una colonna o in un tempio. Monumenti
coregici in Wilson 2000, 198-262; Goette 2007; idem 2014; Csapo 2010a.
30
Entrambi risalenti alla metà del IV sec. a.C.: IG II-III³ 4, 505 da Ikarion con 4
maschere ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒̣ ἐχορήγει; IG II-III³ 4, 1200, del tipo ‘Totenmahl’ Λυσίας
Ἀπολλοδώρου χοραγῶν, potrebbe non essere attico, Svoronos III 550-551 ig.
87; Guarducci 1962, 276-277; Dentzer 1982, 505-509; Csapo 2010a, 91-93 ig.
7.6.
31
Ntt. 11-12. Altri rilievi di teatro incerti: IG II-III³ 4, 547 frammenti di rilievo con
coro di satiri ‒ ‒ ‒ ‒ ‒̣ων; un rilievo anepigrafe dal teatro di Dioniso con sei
maschere, Svoronos 1908-1937, III, 648, ig. 161; Karusu 1979, 111-116 ig. 32;
Wilson 2000, 242.
214 Munus laetitiae

media, dove il dedicante è distintamente identiicabile con l’auleta in


primo piano32. Questi rilievi non possono essere costretti nella categoria
coregica. Mi sembra piuttosto necessario mantenere un criterio meno
rigoroso per i dedicanti dei rilievi e anche di altri ex voto di teatro. A
prescindere dai monumenti uficiali di vittoria innalzati dai coreghi, è
assolutamente possibile che gli artisti di teatro33, allo stesso modo degli
atleti e dei militi vittoriosi, offrissero a titolo privato pitture, rilievi, stru-
menti della loro arte quali maschere o altri oggetti alla divinità in seguito
ad una vittoria, come già avevano evidenziato le ricerche archeologiche
della ine dell’80034. Trattandosi di doni votivi per lo più analoghi, ne
consegue la nostra dificoltà di identiicare la categoria dei committenti,
laddove manchi un chiaro riferimento epigraico o iconograico.
Il reimpiego del rilievo: Com’è arrivato un rilievo greco in Sardegna?35.
L’ipotesi di un riutilizzo dei rilievi come zavorra per le navi è già stata
esclusa in passato per la leggerezza delle pietre36. Si aggiunga che il loro
valore artistico ed economico, più o meno elevato a seconda della quali-
tà, non avrebbe permesso di utilizzarli in tal modo. È più probabile che
il reperto sia giunto in Sardegna attraverso il commercio antiquario37.
A questo proposito bisogna ricordare che i rilievi erano apprezzate
opere d’arte e oggetto di commercio già nell’antichità. Il ritrovamento
di numerosi rilievi greci per lo più del IV sec. a.C. e di loro riproduzioni
romane in prestigiosi contesti residenziali38 a Roma e dintorni conferma

32
IG II/III³ 4, 1084 (metà del IV sec. a. C.). L’iscrizione sotto la dea e la igura umana
femminile reca – – –ις (presumibilmente Artemis) Ἀθηναΐς, vd. Vierneisel - Scholl
2002; Csapo 2010a, 88-89; Goette 2014, 85-86 c. ig. 2.8. Quest’ultimo congettura
la provenienza Halai Araphenides.
33
Non osta lo status sociale o economico di questi artisti, tra i quali i più in voga nel
IV secolo assurgono già ad una elevata visibilità economica e politica, vd. Csapo -
Slater 1995, 222-238; Csapo 2010b, 83-116.
34
Furtwängler 1887, 31-32; Reisch 1890, 21-22, 54-62; Dieterich 1897, 205-209.
Acquisizioni naturalmente da attualizzare, ma fondamentalmente tuttora valide
per gli archeologi: Vierneisel - Scholl 2002 e Froning 2002 interpretano i rilievi del
Pireo (nt. 11) e di Cagliari come doni di attori. Testimonianze di maschere offerte
come ex voto di attori sono raccolte in Sifakis 1967, 55-56.
35
Questa domanda concerne anche un secondo rilievo greco anepigrafe conservato a
Cagliari, di cui resta solo la parte superiore destra rafigurante due igure femminili,
vd. Ibba 2005-2006, 5-8.
36
Nel caso di Mahdia infra, Kuntz 1994, 889.
37
Per commercio medievale optano Mastino 2001, 100 e Marginesu 2002, sulla base
del reimpiego di materiale edilizio nelle chiese frequente in età medievale. La pietra
non presenta tuttavia tracce di reimpiego ino al 1603.
38
Cfr. Froning 1981. I rilievi superstiti nell’area laziale-campana ammontano a 45
Novità su un rilievo di teatro antico 215

che il commercio dei rilievi fosse in auge tra la tarda età repubblicana e
la prima età imperiale. Una testimonianza eccezionale di questo com-
mercio ci viene notoriamente dal carico di una nave d’età repubblicana
naufragata a largo di Mahdia (Tunisia), che dal Pireo era diretta senza
dubbio a Roma39. Tra le numerose opere del relitto destinate al mercato
antiquario romano, sono stati recuperati quattro rilievi attici risalenti
al IV sec. a.C., di cui due del tipo ‘Totenmahl’ simili al nostro. Alle
testimonianze archeologiche fa eco un passo di Cicerone in cui l’oratore
commissiona all’amico Attico residente ad Atene rilievi per arredare il
suo atrio (ad Att. 1, 10, 3)40. Nel caso del nostro rilievo di teatro è poi
nota la passione dei Romani per i temi dionisiaci e le maschere teatrali,
di cui è ricchissima l’arte romana, con molteplici esempi naturalmente
anche in Sardegna41. Per quanto concerne inine l’importazione di ope-
re d’arte da Roma sono ben attestate le rotte Roma-Sardegna in dal II
secolo a.C.42. Ritengo pertanto probabile che il rilievo fosse giunto già
a questa epoca antica ad ornamento di una villa romana43 o del teatro
stesso di Cagliari44.
Fortuna rinascimentale: Il codice di Madrid prova che nella seconda
metà del ’500, epoca della redazione del manoscritto, il rilievo si tro-
vava ancora integro in una collezione privata o in un luogo visibile di
Cagliari. L’iscrizione greca fu copiata da qualcuno, che sebbene non
specialista, era consapevole del suo valore documentario per gli studi
umanistici. Tale consapevolezza risulta perduta nel 1603, anno in cui

secondo le stime di Kuntz 1994, 889-899.


39
Hellenkemper Salies et al. 1994, e ibid. Bauchhenss 1994, 375-380.
40
“Praeterea typos tibi mando, quos in tectorio atrioli possim includere”, cfr. Froning
1981, 8-32; Baumer 2001, 85-94. Lo stesso termine è utilizzato in greco, vd. LSJ
s.v. τύπος: Riethmüller 2005, I 298-299 nt. 121.
41
Sui sarcofagi di Porto Torres (Turris Libisonis) e Cagliari con maschere di teatro
cfr. Angiolillo 1987, 133-135; Teatini 2011, 55-71 e passim, importati soprattutto
da Roma e ritrovati soprattutto a Cagliari. Teste di satiro e Dioniso a Cagliari in
Angiolillo 1987, 143-144. Del 2003 è la scoperta di un’impressionante maschera
marmorea di satiro (I d.C.) in una domus romana di Turris Libisonis, cfr. Boninu,
Pandoli et al. 2008, 1782.
42
Sulle rotte commerciali tra Cagliari e la zona laziale-campana vd. Mastino et al.
2005, 112-113; Ibba 2008, 119.
43
Come la‘villa di Tigellio’, in realtà un intero quartiere residenziale d’età romana
le cui domus più note sono la ‘casa degli stucchi’ e la ‘casa del tablino dipinto’, vd.
Angiolillo et al. 1986; ead. 1987,42-43.
44
Un teatro con santuario d’età repubblicana è documentato a Cagliari, Tosi 2003, I,
644-645 e 742; Vismara et al. 2005, 37 e 73.
216 Munus laetitiae

il marmo venne tagliato in forma quadrata per fungere da tombino


funerario, come dimostra l’iscrizione catalana disposta sul retro esatta-
mente lungo i lati resecati della lapide: “sepultura de Francisco Arca45
y de sus ereus. Ani 1603” (Fig. 4). In un anno lagellato dalla peste il
rilievo greco giunse alla sua ultima destinazione nella chiesa di Bona-
ria, mentre varie iscrizioni latine note dal foglio 60 del manoscritto di
Agustín si salvarono nel Palazzo Regio di Cagliari, dove furono revi-
sionate nel secolo successivo per incarico di Ludovico Muratori46. Data
la noncuranza per il valore del rilievo, l’utilizzo del termine “ereus”
(catal. “eredi”) nell’iscrizione catalana può essere considerato solo una
bizzarra coincidenza, piuttosto che un dotto gioco di parole con i nostri
Ἡραέες tumulati insieme al loro proprietario. La sepoltura appartene-
va alla famiglia Arca, dell’Arca dopo l’acquisizione del titolo nobiliare
nel 159447. Originarii del regno di León e residenti a Sassari in dall’i-
nizio del ‘500 con un capostipite di nome Francesco, uomo d’armi, gli
Arca condivisero le idee politiche dell’inluente famiglia Alagón fedele
alla corona d’Aragona. Oltre alla devozione per la Madonna di Bona-
ria, patrona della Sardegna48, l’amicizia politica tra le due famiglie po-
trebbe spiegare le ragioni per cui il ‘nostro’ ignoto Francisco si trovasse
sepolto a Cagliari in prossimità della tomba gentilizia degli Alagón de-
cimati dalla peste in quegli stessi anni49.

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45
E non Arca y Dessì, come pubblicato da Spano travisando curiosamente, lui stesso
o Fedele Dessì, la lettura “y de sus” con “y Dessì”. Devo il suggerimento a Maria
Giuseppina Meloni.
46
Thesaurus II 1172, III 1500 e 1685. Conluirono successivamente nel Museo
archeologico della città, CIL X 7658, 7660, 7662, 7663, 7706.
47
Sulla famiglia Arca/dell’Arca vd. Floris - Serra 1986, 185; idem 1996, II 584.
48
Culto molto diffuso nella Sardegna del Cinquecento, vd. Meloni 2011.
49
Nel museo della Chiesa di Bonaria sono esposte le spoglie mummiicate di alcuni
membri della famiglia Alagón scoperte nel 1969/1970, sui quali non mi è nota
alcuna pubblicazione.
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Fig. 1. Il rilievo nel deposito del museo di Cagliari - inv. n. 10918 (foto autore).

Fig. 2. Cod. Matrit. 5781, fol. 60 (foto Biblioteca Nacional de España, Departamento
de Manuscritos e Incunables).
222 Munus laetitiae

Fig. 3. Cod. Matrit. 5781, fol. 60, particolare con il inale dell’iscrizione greca (foto
María José Rucio Zamorano, Departamento de Manuscritos e Incunables).

Fig. 4. Verso del rilievo antico con iscrizione catalana del 1603 (foto autore).

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