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La primitiva facciata della

Badia Fiesolana
Materiali per una ipotesi diagrammatica e cronologica

Luca Maccaferri

Prima di giungere al cuore della nostra indagine riteniamo utile soffermar-


ci, seppur cursoriamente, sulle vicende storiche che presiedettero alle suc-
cessive edificazioni del monumento oggidì conosciuto col nome di Badia
Fiesolana, al quale appartiene l’attuale incrostazione marmorea della faccia-
ta (fig. 1). Presso il fiumicello Mugnone, a circa mezza strada tra Fiesole e Fi-
renze, in conseguenza di fatti avvolti da un’aura di leggenda, sorse nel V-VI
secolo la primitiva Cattedrale paleocristiana di Fiesole con annesso il palaz-
zo del vescovo, su di un’area precedentemente occupata da un templum
etrusco1. Sino alla fine del VI secolo non si ha nessuna notizia della sede ve-
scovile e della Cattedrale, salvo la constatazione che anch’esse furono tra-
volte dalla conquista longobarda e ridotte a tristi condizioni, tanto che nel
599 il Pontefice San Gregorio scrisse al vescovo di Luni (Lib X, epist. 45)
esortandolo a porgere il suo aiuto finanziario per il restauro di quella chie-
sa che appariva già rovinosa2. Per quanto riguarda i periodi successivi è sta-
to giustamente osservato che “La Cattedrale appare dunque sempre presen-
te attraverso la storia travagliata di questi secoli, e la sua struttura architet-
tonica, di cui peraltro non è possibile ricostruire neppure in via ipotetica il
primitivo aspetto, fa tuttavia costantemente sentire la propria concreta pre-
senza”3. Presenza che ritorna evidente ai primi dell’XI secolo, in quanto il
vescovo Jacobo il Bavaro stabilisce il trasferimento della Cattedrale all’inter-
no del recinto della città alta di Fiesole e sotto la protezione della rocca4. Per
questo fatto nel 1028 l’antichissimo Duomo, che in gran parte giaceva sman-
tellato e distrutto5, fu convertito in Badia e affidato ai Camaldolesi6. E fu pro-
prio sul palinsesto architettonico del nuovo monastero benedettino dedica-
to a San Bartolomeo, la cui chiesa abbaziale presentava un’unica navata co-
perta da un solo spiovente a capanna, che nel 1456-‘67 avvenne il grande in-
tervento di ricostruzione a cura di Cosimo de’ Medici, che ci restituisce nel-
le grandi linee il complesso della Badia nelle sue forme attuali7.
Si pone quindi la basilare domanda: la facciatina marmorea cosiddetta “ro-
manica” appartiene di sana pianta nella sua genesi alla chiesa abbaziale ca-
maldolese posteriore al Mille, oppure forse rimonta a una antichità più alta,
appartenendo ancora nei suoi tratti salienti a quella “Pieve di San Romolo”8
poi parzialmente smantellata durante l’epoca di Jacobo il Bavaro?9
Venendo a mancare ogni tipo di testimonianza epigrafica o documentale,
tutti coloro che si sono applicati alla risoluzione del quesito hanno dovuto
basarsi (o almeno avrebbero dovuto) sull’antico adagio che recita: te saxa do-
cebunt. Questa strada venne seguita al principio del secolo scorso da Aristi-
de Nardini Despotti Mospignotti nella sua opera dedicata al Battistero di Fi-
renze10, ove dimostrò con perizia e rigore logico come l’architettura sacra
medioevale fiorentina dovesse le sue forme e le sue ragioni all’esistenza del-
l’antichissimo archetipo del Duomo di San Giovanni, databile tra il IV e il V
secolo dell’era volgare11. Avverte il Nardini Despotti Mospignotti che “[...] il
raziocinio c’induce a credere che le riminiscenze e le forme classiche, eredità
dell’evo romano debbono essere sopravvissute con tanta più forza quanto
più approssimano i tempi del gentilesimo; e così tanto più nei secoli VII,
VIII, IX e X, che non nell’XI e nei seguenti; senza per questo disconoscere
che l’architettura posteriore al Mille, come spettante ad età meno barbara,

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abbia potuto trattare quelle reminiscenze e quelle forme con minor rozzezza
e alquanto più garbo che non nell’età carlovingia e longobardica, per modo
che sembrassero riavvicinarsi all’antico”12. E ancora: “Posti questi principj,
anche per le ragioni dell’Arte viene a dedursi che i secoli VII, VIII, IX e X, i
quali seguono appunto il periodo d’incubazione e di transizione dall’archi-
tettura cristiana primitiva a quella romanica, dovessero usufruire le foggie
della decorazione classica, specialmente nell’Italia centrale così tenace nel
classicismo”13. Ed è grazie alla presenza di quest’archetipo, dai caratteri emi-
nentemente classici, che è possibile spiegare certe peculiarità proprie della
scuola romanica fiorentina e segnatamente, della facciata marmorea della
Badia Fiesolana. Prosegue su questa linea il Nardini Despotti Mospignotti
argomentando che “L’esistenza di quest’archetipo antichissimo dell’architet-
tura medioevale fiorentina è d’altronde […] indispensabile a spiegarci certe
particolarità e certi caratteri eccezionali di quella architettura, i quali, senza
di esso, non si saprebbe, in verità, a che attribuirli. Tutte quante la scuole me-
dioevali, non escluse quelle che più si attengono alle tradizioni del classici-
smo, come sarebbero giusto quelle dell’Italia centrale, entrando nella fase ro-
manica, bandiscono guerra alle linee e alle masse orizzontali, e soprattutto
alla principale di queste, voglio dire alla trabeazione. Per esse la trabeazione
dell’antica scuola classica non esiste più; il suo orizzontalismo che taglia e
divide, repugna troppo al loro genio e all’indole organica delle loro struttu-
re. Non più indizio pertanto di architravi e di fregi; basta una breve cornice,
una semplice linea di demarcazione, tanto che valga ad accennare il trapas-
so da una ad un’altra regione architettonica. La scuola romanica fiorentina,
sola fra tutte, conserva la trabeazione nella sua piena integrità; e questo fat-
to, che sarebbe già per se significantissimo, non è il solo [poiché] molte più
altre pratiche del classicismo ha conservato in sé cotesta scuola”14. Ecco allo-
ra che venendo a trattare della Badia Fiesolana, applicando allo studio dello
stile della facciata i succitati criterii, il prelodato Autore sostiene che “[...]
istituendo […] un confronto tra la facciata del vecchio Duomo fiesolano e
quella del San Miniato e della Pieve d’Empoli, noi ravvisiamo nella prima
tutti i caratteri di maggiore antichità. Nella facciata fiesolana le colonne so-
no rastremate e di proporzioni meno esili; gli archi che le sormontano non
posano direttamente sui capitelli, o sopra pulvini ad essi interposti, sì vera-
mente con l’intermezzo di una trabeazione completa e profilata sui capitelli
medesimi, della qual cosa non si ha altro esempio all’infuori del San Giovan-
ni. I profili delle sue cornici sono diversi da quelli romanici, tutti fra loro
uniformi e monotoni; hanno più aggetto, più vivacità, più rigore d’intaglio,
e sono oltre a ciò dentellati, cose tutte che più si avvicinano alle norme e al-
le consuetudini dell’arte classica […] Ma di fronte a questi fatti che ravvici-
nerebbero questa facciata al San Giovanni ed al buon tempo dell’architettu-
ra cristiana primitiva, vi è nel trattamento delle varie parti un non so che di
indeciso e di barbarico, e vi è lassù in alto un tale affastellamento di linee e
di intarsi che, sebbene facciano argomentare ad un restauro assai sciatto, la-
sciano tuttavia travedere dei tempi non troppo felici per l’arte, e ci dimostra-
no come questo frammento debba tenersi egualmente lontano dai periodi
fiorenti dell’architettura cristiana primitiva come da quelli del buon tempo
romanico. Tutte queste considerazioni portano a concludere che la facciata
della Badia Fiesolana è opera anteriore al Mille, e che per conseguenza deve
essere stata fatta in un tempo in cui la chiesa alla quale appartenne funzio-
nava tuttavia come cattedrale fiesolana. Tornerebbe assai malagevole preci-
sare oggi la data della edificazione di lei. Ma ripensando come anteriormen-
te al Mille corsero tempi infelici e famosi per sovrana ignoranza, ai quali re-
pugnerebbe far l’onore di quel lavoro, non del tutto spregevole, e ripensan-
do altresì alle non troppo floride condizioni della chiesa fiesolana nello scor-
cio del VI e durante il VII secolo, è ragionevole supporre che l’edificazione
di quella cattedrale avvenisse al tempo più lieto della dominazione visigoti-
ca (primi del secolo VI), e che il rimpasto di quel frammento che rimane og-
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gi della facciata di lei discenda all’età carlovingia (secolo VIII) e fors’anco, 1. La facciata della Badia Fiesolana.
chi sa?, al secolo IX o X”15. Abbiamo ritenuto di dovere citare per esteso que-
sti passi in quanto non sono mai stati oggetto di una critica obiettiva e sere-
na, essendo oramai purtroppo da lungo tempo invalsa l’abitudine di presen-
tare le solide deduzioni del Nardini Despotti Mospignotti come eccentricità
partorite da una mente fantasiosa16. Questo ingiusto trattamento, a lui riser-
vato in maniera eminente riguardo al Battistero, è avvenuto per conseguen-

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2. Abaco delle modulazioni proporzio-
nali.

za diretta anche per la Badia Fiesolana, correntemente assegnata al XII seco-


lo con buona pace di tutti, senza che si sia minimamente avvertito, da un la-
to, il bisogno di fornirne delle ragioni veramente probanti, e, dall’altro, la ne-
cessità di confutare preventivamente le numerose argomentazioni contrarie
addotte dal nostro Autore17. Tutto questo, sia ben chiaro, è stato detto non
per sposare tassativamente una datazione a scapito di un’altra, ma per met-
tere in evidenza quale ipotesi abbia un fondamento teoretico e quale invece
ne sia priva.
Noi da parte nostra andremo a verificare se qualche contributo potrà essere
portato alla questione dalla metrologia e dalla scienza delle proporzioni.
Grazie a un rilievo parziale pubblicato dal Supino18 è possibile appurare che
la lunghezza totale dello spartito della facciata è di m 10,99, misura che non
trova nessun corrispettivo con il braccio (fiorentino) da panno di m 0,583619.
Gustavo Uzielli, eminente studioso delle unità di misura antiche, ebbe a con-
cludere “Che le misure toscane, in generale, e tra le altre il braccio da terra,
il braccio da panno e il miglio di 3000 braccia da terra, non variarono mai dal
tempo che nei secoli XII e XIII succedettero alle misure romane e longobar-
de, aventi a base, le prime il piede romano e il miglio di 5000 piedi, e le se-
conde il piede di Luitprando”20. Andando quindi a ritroso nel tempo abbia-
mo potuto verificare la mancata corrispondenza con il piede di Luitprando21,
rilevando invece una piena conformità con il piede romano di cm 29,622. In-
fatti addizionando 37 piedi romani (m 10.952) e 2 dita (m 0,037) otteniamo la
somma di m 10,989, o sia della lunghezza del fronte di m 10,99. Lo stesso ra-

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gionamento si può applicare all’altezza delle colonne, di m 3,70, ove som- 3. Il quadrato direttore.
mando 12p (m 3,552) e 8d (m 0,148) si ottiene appunto il detto valore. Ma v’è
un altro riscontro numerico che costituisce una sorta di prova del nove al no- 4. La duplice scansione aurea del pri-
mo livello.
stro discorso: il pilastro angolare in macigno della facciata misura in larghez-
za cm 74, l’esatto valore del passus latino23. Alla luce di questi risultati, e ri-
cordando le parole dell’Uzielli, non è chi non veda la sovraggrande antichità
del nostro monumento.
Per quanto attiene le procedure grafiche che dovevano tradurre in realtà
concrete i concetti di proporzione e di armonia, la facciata, regolata da rap-
porti irrazionali, denota una compiuta applicazione della cosiddetta “sim-
metria dinamica”, locuzione che l’americano Jay Hambidge desunse da un
passo del Teeteto di Platone (147D-148A) per indicare numeri “potenzial-
mente commensurabili”, o sia per additare la commensurabilità esistente tra
le superfici costituite da elementi lineari incommensurabili24. Inoltre, proprio
perché tali superfici quadrate sono legate da proporzioni commensurabili,
l’impiego della simmetria dinamica genera tutta una concatenazione di aree
simili di differenti misure dominate da uno specifico tema proporzionale
(√2, √3, √5, la sezione aurea = 1,618, ecc.), secondo una sottile ed efficace in-
terazione che è negata alle proporzioni statiche o razionali25.
Come accennato sopra è proprio la celeberrima sezione aurea che dà luogo
ad alcune delle ripartizioni armoniche più notevoli, ed è proprio la sezione
aurea che governa da cima a fondo lo spartito compositivo della nostra fac-
ciata26.
Cominciamo allora la nostra analisi proporzionale dalla fig. 3, individuando
un quadrato direttore AB (avente per l’appunto il lato di m 10,99) che ab-
braccia l’intero fronte, delimitato in larghezza dai pilastri angolari in maci-
gno del pianterreno, in altezza dalla quota della soglia d’ingresso e dalla cor-
nice superiore: come si può notare il punto centrale della composizione (a)
coincide con il punto d’incrocio dei bracci della croce che appare nella spec-
chiatura centrale, poco sotto l’intradosso dell’arcata rialzata27.
Successivamente, nella fig. 4, ribaltando su AD la parte aurea AE del lato
AC, otteniamo il rettangolo aureo AG = 1,61828, il cui segmento IG fornisce
la quota del primo architrave tripartito; analogamente riportando su CB la
parte aurea BF del lato BD otteniamo, questa volta per sottrazione, il rettan-
golo AH = 2,618, il cui segmento JH fornisce la posizione della cornice della

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5. I rettangoli notevoli del secondo li- trabeazione dei capitelli, cornice che si sviluppa longitudinalmente per tut-
vello. ta la lunghezza della facciata29. L’ubicazione di questa stessa cornice è pure
individuata dai punti d’incrocio (b) e (c) delle diagonali del quadrato diret-
6. Le bucature.
tore AB con le diagonali del rettangolo AG, diagonali queste ultime che dal
loro intersecarsi in (d) individuano la quota d’imposta dell’architrave del
portale. Facciamo infine notare che il rettangolo JK, il cui lato superiore è da-
to dalla quota del cervello delle arcature, corrisponde anch’esso a una mo-
dulazione aurea di 6,618.
Passando alla fig. 5 il rettangolo AM = 1,539330 individua la quota della cor-
nice posta al di sopra della lista decorata a losanghe e rettangoli verticali: e
questa linea LM è oltremodo importante perché costituisce il trait-de-union
con la scansione proporzionale riferita non più alla soglia, bensì all’altezza
totale della facciata, comprensiva del suo basamento in macigno, cosicché il
rettangolo NM = √2 = 1,414. Concludiamo l’analisi dello spartito inferiore
osservando che dal ribaltamento dei punti I, G, L, M su AC ne risultano in-
quadrati gli imbasamenti delle colonne in (e) ed (f). Salendo al registro su-
periore troviamo il rettangolo notevole LO = 3,85431, il cui lato PO individua
la quota d’imposta del secondo architrave, costituito da una sottile cornice a
tre fasce; coincidenza geometrica assai rimarchevole è poi quella di consta-
tare che il rettangolo LB, il cui lato BD corrisponde alla cornice di corona-
mento, è di modulazione 2,854.
Passando ora alla fig. 6, dedicata alle bucature, notiamo come il rettangolo
WX del portale d’ingresso corrisponda alla modulazione 1,77232, mentre
quello UV delle finestre è uguale a 2,618. Ma rimanendo al livello superiore
rimangono da enucleare alcune peculiarità: le quote dei davanzali e degli ar-
chitravi delle finestre sono in relazione notevole col quadrato direttore AB,
in quanto rispettivamente riconducibili al rettangolo AQ = 1,404533 ed AR =
1,23634; ed infine il quadrato ST (appartenente al rettangolo LB di cui sopra)
regola la posizione delle due finestre laterali.
Dalla lettura dell’abaco delle modulazioni in fig. 2 risulterà evidente come
tutte le scompartizioni, eccetto la n° 9 (fig. 2), siano strettamente imparentate
col numero aureo35. La verace armonia di questo monumento denota quindi
una serie di modulate ricorrenze e riflessioni dello stesso tema, che produco-
no una compiuta euritmia o “composizione sinfonica”36, alla luce del noto as-
sioma pitagorico secondo cui “Tutto è organizzato secondo il numero”37. Ec-

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co allora presentata agli occhi del lettore l’evidenza di uno status quaestionis
che testimonia di come il costante impiego di matrici a carattere simbolico-
mensorio nelle disposizioni della sacra ars costruendi, costituisse il cuore di
quell’intimo magistero in cui essa custodiva il principio immutabile della sua
autorità38. Magistero pitagorico, segreto, iniziatico, che per via delle sue ap-
plicazioni sui tracciati regolatori dei progetti architettonici (in particolare
quelli degli edifici religiosi) faceva parte di quegli insegnamenti riservati, di
quell’ammaestramento occulto che si trasmettevano le famiglie di architetti e
le corporazioni o collegia degli artigiani massoni39. Come nella religione e nel-
la filosofia, anticamente l’insegnamento professionale era su base esoterica, e
questo si applicava a figure quali lo scultore, il medico e l’architetto40. Lo stes-
so Vitruvio accenna solo in maniera molto velata all’utilizzo di proporzioni
irrazionali, quando afferma che “[...] le più difficili questioni concernenti la
simmetria sono risolte con rapporti e metodi geometrici”41.
Ritornando col pensiero alla nostra facciata e all’ipotetico periodo della sua
costruzione, ci è utile rammentare col Ghyka che “In epoca carolingia e all’i-
nizio dell’epoca romanica (vale a dire tra l’VIII e l’XI secolo), in cui l’edifica-
zione delle magnifiche abbazie benedettine rivestì un ruolo tanto importan-
te, lo sviluppo dell’architettura religiosa raggruppò dapprima proprio intor-
no a queste abbazie le botteghe o logge dei muratori e tagliatori di pietre in
vere e proprie scuole d’architettura dirette dai monaci benedettini”42. E fu
proprio nel corso del IX secolo, al termine di usurpazioni e saccheggi segui-
ti al dominio longobardo e al governo di Carlo Magno, che si aprì un perio-
do felice per la chiesa di Fiesole: “Durante il lungo vescovato di S. Donato di
Scozia (829-876) la chiesa fiesolana ebbe grande importanza intellettuale, re-
ligiosa e politica; nuovi beni donò poi il re Guido con diploma dell’890 […]
e Ludovico III nel 901 convalidò il possesso del monastero di S. Salvatore in
Alina nel pistoiese, il maggiore dei possessi della chiesa fiesolana”43. Fu for-
se in quest’epoca che furono concepite le auree geometrie della nostra fac-
ciata? Non sappiamo, anche se è a quel lontano passato, a quell’illic et tunc,
che addita il recondito linguaggio delle pietre.
E su queste riflessioni ci sia concesso di chiudere questa nostra indagine con
le parole di Luigi Vignali, indimenticato Maestro: “Il recondito linguaggio
delle pietre, la loro ordinata e sistematica ubicazione sapientemente unite le
une alle altre in un contesto che ha il sapore della divina armonia, e soprat-
tutto la loro sistemazione secondo un disegno diagrammatico tipico è deter-
minante almeno quanto, e forse più, di una notizia vergata su un antico do-
cumento rintracciato in un dimenticato stipo”44.

Note

1 L’antichissima prima Cattedrale, intitolata 5 In un documento del 1028 Jacobo il Bavaro


ai SS. Pietro e Romolo, sarebbe sorta nell’a- afferma, in riferimento alla nuova chiesa che
rea in cui Romolo, ipotetico discepolo di Pie- sarebbe andata a sostituire l’antica Cattedra-
tro (ma probabilmente testimone del IV se- le: “Consecravi denique predictam Eccle-
colo), avrebbe fondato una cappella dedicata siam, quam ipse destrueram”, cit. da D. Mo-
a S. Pietro e indi avrebbe subito il martirio reni, Notizie istoriche dei contorni di Firenze...,
assieme ad altri suoi compagni; luogo questo Firenze, per Gaetano Cambiagi, vol. III, 1792,
che avrebbe visto sorgere anche l’oratorio, o p. 95.
martyrium dedicato a S. Romolo stesso e più 6 V. Viti, op. cit., pp. 11-12; G. Morolli, op.
tardi, appunto, la primitiva Cattedrale. Si ve- cit., pp. 44-50.
da V. Viti, La Badia Fiesolana, Firenze, Vallec- 7 V. Viti, op. cit., pp. 21-36; G. Morolli, op.
chi, 1956, pp. 1-2. cit., pp. 68-103.
2 Ibidem, p. 3. 8 Così viene menzionata nel X secolo la chiesa
3 G. Morolli, La Badia Fiesolana: lettura del mo- Cattedrale in un documento citato da G. Lami
numento, in AA.VV., La Badia Fiesolana, Firen- (Lezioni di antichità toscane..., Firenze, appresso
ze, Le Monnier, 1976, pp. 37-134: 42. Andrea Bonducci, 1766, vol. I, p. XXVII).
4 V. Viti, op. cit., pp. 7-8, 10; G Morolli, op. 9 Dobbiamo osservare che, a rigor di logica,
cit., p. 43. quel “quam ipse destrueram” (vedi nota 5) è

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assai più probabile si riferisse alle suppellet- Sanpaolesi (Sulla cronologia dell’architettura ro-
tili e alle parti interne della chiesa, da tra- manica fiorentina, in Studi di storia dell’arte in
sportare nella nuova Cattedrale di Fiesole, onore di Valerio Mariani, Napoli, Libreria
piuttosto che alla facciata, soprattutto se ri- Scientifica Editrice, 1972, pp. 57-65), basan-
flettiamo sul fatto che a quel tempo non si di- dosi sui risultati degli scavi di S. Reparata, ne
sfacevano i monumenti (o parti di essi) sen- ha ratificata la datazione tardo antica. Anco-
za un preciso motivo. ra in anni a noi più vicini un ricercatore di
10 Il Duomo di San Giovanni oggi Battistero di nome Piero degl’Innocenti (Le origini del bel
Firenze, Firenze, Fratelli Alinari, 1902, tratta- San Giovanni. Da tempio di Marte a Battistero di
zione a tutt’oggi insuperata per acume intui- Firenze, Firenze, CUSL, 1994) ha sostanzial-
tivo e rigore interpretativo. mente condiviso la medesima cronologia.
11 Ibidem, pp. 1-66 e passim (la dimostrazio- 17 Igino Benvenuto Supino (Gli Albori del-
ne di quest’assunto è svolta con una compe- l’Arte Fiorentina. Architettura, Firenze, Fratel-
tenza ed un’acribia tali che sarebbe impossi- li Alinari, 1906, pp. 65, 70-74) è stato quello
bile riassumerla in questa sede anche solo che più di ogni altro ha cercato, seppur in
per sommi capi; ci limiteremo perciò a citar- maniera assai disordinata e molto frammen-
ne talune parti accessorie secondo quanto taria, di ribattere alle argomentazioni del
dettano le necessità della nostra trattazione). Nardini Despotti Mospignotti, ma chiunque
Per quanto attiene le nascoste ragioni che legga i due libri in questione non potrà sfug-
hanno reso possibile che nel Battistero si cri- gire all’impressione di un dialogo fra sordi,
stallizzasse quest’archetipo ci siamo intratte- dovuto a due concezioni storiografiche in-
nuti in Osservazioni sugli affreschi della Cappel- conciliabili: mentre Supino, a torto, fa sem-
la di palazzo Medici Riccardi in Firenze, «Criti- pre esclusivamente riferimento alla pedisse-
ca d’arte», LXXIII, 45-46, 2011, pp. 99-116: qua ricopia e al riadattamento di antichi mo-
103. delli (a una tradizione morta quindi), secon-
12 A. Nardini Despotti Mospignotti, op. cit., do una dialettica che esalta a dismisura il
p. 24. concetto di Rinascimento, Nardini Despotti
13 Ibidem, pp. 25-26. Mospignotti invece si riferisce sempre, a ra-
14 Ibidem, p. 54, e prosegue (pp. 54-55) con gione, a una tradizione operante e viva (seb-
un lungo elenco di codeste particolarità che bene con battute d’arresto e ripartenze) che
qui, per brevità, omettiamo. presiede ai fatti costruttivi. Mario Salmi da
15 Ibidem, pp. 143-145. parte sua (L’architettura romanica in Toscana,
16 Tutti coloro che nell’arco di un secolo e più Milano, Bestetti & Tumminelli, s.d. [1927], p.
hanno cercato di contestare le conclusioni del 38, nota 23) non si dà punto pena di smenti-
Nardini Despotti Mospignotti in merito ai re il Nardini Despotti Mospignotti e propo-
monumenti fiorentini, lo hanno fatto, o sem- ne, in maniera piuttosto arbitraria, una data-
plicemente negandole sic et sempliciter, o, nel- zione alla seconda metà del XII secolo. Tale
la migliore delle ipotesi, isolando taluni sin- datazione, poggiante su basi così futili e po-
goli elementi del suo ragionamento e co solide, resiste ancora oggi (G. Morolli, op.
astraendoli completamente dal contesto ge- cit., p. 54), coadiuvata da un’ingiustificata
nerale nel quale erano consertati, col risulta- inversione cronologica che tende a vedere
to, in entrambi i casi, di giungere a una con- nel prospetto della Badia addirittura “il frut-
futazione del tutto proditoria e falsa; quasi to maturo del romanico fiorentino” (ibidem);
che, mi si passi la metafora, durante una di questo equivoco era ben consapevole il
guerra uno degli eserciti in campo pretendes- Toesca (op. cit., pp. 109-110), quando profeti-
se, nel primo caso, di vincere a tavolino, e nel camente scriveva che “Quando poi, nell’età
secondo, di decidere di sfidare in combatti- romanica, gli architetti si volsero vivamente
mento solo alcuni militi dell’opposto schiera- a cercare ammaestramenti e modelli nei resti
mento trascelti a proprio piacimento, e non dell’arte antica, il battistero suscitò a Firenze
dovesse invece affrontare l’intero battaglione quello stile architettonico dei secoli XI e XII
nella sua integrità. Volendo infine ricordare che, soprattutto nella chiesa di S. Miniato al
che la storia dell’arte (per fortuna!) è una e Monte e nella facciata della pieve di Empoli,
unica quando la si affronti senza preconcetti seguì da così vicino le forme decorative del
di sorta, vediamo che Pietro Toesca (Storia bel S. Giovanni da far persistere ancora l’opi-
dell’arte italiana – I. Il Medioevo, Torino, Unio- nione che il battistero stesso appartenga al-
ne Tipografico-Editrice Torinese, 1927, pp. l’età romanica”.
105-110, 542, 658-659) assegna il “bel S. Gio- 18 Op. cit., tav. XII; il rilievo completo, un
vanni” al V secolo. E non siamo affatto mera- tempo in giacenza presso la Soprintendenza
vigliati che uno studioso eminente quale Gu- ai Monumenti di Firenze, è andato perduto a
glielmo de Angelis d’Ossat (“Il battistero di seguito dell’alluvione del 1966.
Firenze: la decorazione tardo romana e le 19 Nessun corrispettivo, intendiamo, né col
modificazioni successive”, in IX Corso di cul- braccio nei suoi multipli interi, né con le sue
tura sull’arte ravennate e bizantina, Ravenna, sottopartizioni in soldi (1s = 1/20 b) e denari
Dante, 1962, pp. 221-232) abbia poi incontro- (1d = 1/12 s); si veda G. C. Romby (a cura
vertibilmente confermato la datazione paleo- di), Misure e proporzioni dell’architettura nel
cristiana del monumento, avvalorando una tardo Quattrocento. Materiali da costruzione e
volta ancora il sistema del Nardini Despotti misure nell’edilizia fiorentina, Firenze, Alinea,
Mospignotti. Successivamente anche Piero 1996, p. 6.

38 CRITICA D’ARTE
20 G. Uzielli, Le misure lineari medioevali e l’ef- ne contingente che ne deriva” (p. 29), e anco-
figie di Cristo, Firenze, Bernardo Seeber, 1899, ra: “Il quadrato è figura antidinamica fissata
p. 20. su quattro angoli; simboleggia la stasi o l’at-
21 Il valore del piede di Luitprando a Firenze timo prestabilito; implica un’idea di rista-
variava dai m 0,518 (secondo Manni) a m gno, di solidità, simbolo di stabilità nella
0,390 (colonna del Battistero); ibidem, pp. 6-7. perfezione: sarà il caso della Gerusalemme
22 I riferimenti bibliografici per il piede ro- celeste” (p. 51); e infine: “In essa [la croce] si
mano si trovano in A. Ozdural, The Church of riuniscono il cielo e la terra nella maniera
St. George of the Latins in Famagusta: A Case più intima possibile. In essa si confondono il
Study on Medieval Metrology and Design Tech- tempo e lo spazio. Essa è il cordone ombeli-
niques, in N.Y. Wu (Ed.), Ad Quadratum. The cale mai tagliato del cosmo legato al centro
practical application of geometry in medieval ar- d’origine. […] E’ il simbolo dell’intermedia-
chitecture, Aldershot, Ashgate, 2002, pp. 217- rio, del mediatore, di colui che è per natura
242: 220. Il piede romano era originariamen- eterna unità dell’universo e comunicazione
te diviso in 16 dita di cm 1,85 (ibidem, p. tra terra e cielo e cielo e terra” (p. 52). Sotto-
225). lineiamo inoltre come proprio il punto (a)
23 Ibidem. corrisponda anche con l’ideale posizione
24 Questa proprietà è dovuta al fatto che i centrale dalla quale è stata scattata la foto-
rapporti di similitudine tra le superfici sono grafia, così da permetterci una analisi pro-
proporzionali al quadrato del corrisponden- porzionale sostanzialmente esente da defor-
te rapporto lineare fra i lati: se questo rap- mazioni prospettiche.
porto è irrazionale, con l’elevazione al qua- 28 Ovviamente intendiamo dire che il modu-
drato l’irrazionalità scompare. lo è uguale a 1,618, ovvero il valore del rap-
25 I primi studi di Hambidge sull’argomen- porto tra il lato maggiore e il lato minore.
to furono pubblicati sulla rivista «The Dia- 29 J. Hambidge, The Elements of Dynamic
gonal» nel 1919-20, e in seguito riuniti nel Symmetry, cit., p. 96.
volume dal titolo The Elements of Dynamic 30 Ibidem, pp. 108-109.
Symmetry, New York, Dover, 1967 [ed. orig. 31 Ibidem.
New York, 1926]; in lingua italiana si rinvia 32 Ibidem, p. 111.
a C. Bairati, La simmetria dinamica. Scienza ed 33 Ibidem.
arte nell’architettura classica, Milano, Libreria 34 Ibidem, p. 27.
Editrice Politecnica Tamburini, 1952. 35 Come ben si appose il matematico Hein-
26 Il rapporto della sezione aurea si ottiene rich Carl Franz Emil Timerding (Der Goldene
riducendo a soli due i tre termini di una pro- Schnitt, Teubner, Leipzig, 1919) “[...] l’impie-
porzione attraverso l’applicazione del “Ra- go della sezione aurea non è che un caso par-
soio di Ockham”, la legge di economia delle ticolare di una regola generale, quella del ri-
entità logiche (Entia non sunt moltiplicanda si- torno della medesima proporzione nei parti-
ne necessitate): se nella proporzione geome- colari di un insieme”, e suggerisce così “[...]
trica continua A:B=B:C supponiamo l’impressione rassicurante di ciò che rimane
C=A+B, riducendo algebricamente ottenia- simile a sé stesso nella diversità dell’evolu-
mo la radice positiva (1+√5)/2=1,618. La de- zione”.
finizione generale della sezione aurea dedot- 36 Locuzione adottata da M. C. Ghyka per
ta dalla formula iniziale A/B=B/(A+B) si indicare una corretta applicazione della pro-
può esprimere logicamente così: due lun- porzione e della simmetria (= commensura-
ghezze, o magnitudini, sono nel rapporto o bilità fra il tutto e le parti) nell’arte classica
nella proporzione della sezione aurea quan- occidentale, ove la sezione aurea si trova
do il rapporto tra la più grande e la più pic- sommamente presente.
cola è uguale al rapporto tra l’intera e la più 37 Dallo Hieros Logos o Discorso sacro di Pi-
grande. La sezione aurea oltre a essere pre- tagora.
sente nella crescita omotetica organica, nella 38 Autoritas, giusta la primitiva sua forma
serie di Fibonacci e nella spirale logaritmica ortografica, proveniente da Autos, medesi-
(per citarne solo alcune), riveste un ruolo mo, non implica che il senso di medesimez-
fondamentale nella conformazione del cor- za, costanza.
po umano e di tutte le sue partizioni. Per 39 La tradizione attribuisce a Numa la fon-
una fenomenologia della sezione aurea ri- dazione di otto corporazioni di artigiani. Co-
mandiamo alle seguenti opere di M. C. me conferma della trasmissione dei principi
Ghyka: Esthétique des proportions dans la natu- corporativi nelle famiglie degli architetti, ab-
re et dans les arts, Paris, Gallimard, 1927; Il biamo tra le altre cose un testo del codice di
numero d’oro. Riti e ritmi pitagorici nell’evolu- Teodosio in cui si afferma che gli architetti
zione della civiltà occidentale, Roma, Arkeios, sono esentati da ogni incarico personale per
2009 [ed. orig. Paris, 1931]; The Geometry of poter più agevolmente insegnare ai propri
Art and Life, New York, Sheed & Ward, 1946. figli la pratica della propria arte. A tal propo-
27 Gérard de Champeaux e Sébastien sito vogliamo ricordare che lo stesso Ippo-
Sterckx (I simboli del medioevo, Milano, Jaca crate apparteneva a una famiglia di sacerdo-
Book, 1981, [ed. orig. St. Léger Vauban, ti, perché, diversamente, non avrebbe potu-
1972]) ci rammentano che: “[...] il simbolo to essere medico.
quadrangolare è determinato dal contatto 40 In merito alla trasmissione dei diagrammi
della perfezione trascendente con la creazio- pitagorici con l’architettura si veda M. C.

LA PRIMITIVA FACCIATA DELLA BADIA FIESOLANA 39


Ghyka, Il numero d’oro. Riti e ritmi pitagorici cenze di Vitruvio si veda M. C. Ghyka, op.
nell’evoluzione della civiltà occidentale, cit., pp. cit., pp. 100-101.
267-293. Si veda anche J. Rykwert, On the oral 42 Ibidem, p. 273.
transmission of architectural theory, «Res», 3, 43 V. Viti, op. cit., pp. 4-5.
1982, pp. 68-81. 44 L. Vignali, Presentazione a L. Maccaferri /
41 De Architectura, lib. I, I: “[...] difficilesque B. Rabanser / D. Turrini, Quadrato ed èquerre
symmetriarum quaestiones geometricis ra- ègyptienne. La facciata di palazzo Antinori, «Pa-
tionibus et metodis inveniuntur”. Sulle reti- rametro», 208, 1995, pp. 66-71: 67.

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40 CRITICA D’ARTE

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