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Chiese medioevali di Sardegna

Dionigi Scano

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DIONIGI SCANO

CHIESE MEDIOEVALI
DI SARDEGNA

EDIZIONI

DELLA FONDAZIONE IL NURAGHE

CAGLIARI

Indice
Prefazione
Tavole
Indice

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CHIESE MEDIOEVALI DI SARDEGNA

CONSIDERAZIONI GENERALI

La Sardegna non ebbe nei periodi storici arte propria, mentre in epoche
preistoriche le forme architettoniche e scultoriche raggiunsero uno sviluppo che
non ebbero l’uguale le altre regioni italiane; i grandiosi monumenti megalitici,
come i nuraghi, per il loro numero, per la loro imponenza e perfezione, attestano
della potenza raggiunta dalle genti eneolitiche, da quella schiatta mediterranea,
cioè, che prima approdò nei lidi sardi.

A queste primitive manifestazioni vennero a sovrapporsi nuove correnti e


nuove civiltà che allontanarono dal litorale e dai campidani le antiche genti,
internandole nella regione più montuosa, in quella Barbagia che, attraverso tante
civiltà, mantenne le rudi e fiere caratteristiche dell’antica razza.

Le più evolute forme dell’Oriente soffocarono in breve non solo gli elementi
costitutivi, ma anche il sentimento e le tradizioni dell’arte sarda che solo si
perpetuarono negli oggetti più umili dei nomadi pastori.

Dopo il periodo dei nuraghi, la nostra fu arte riflessa, alla quale mancò anche
quell’influenza locale che dovunque diede un particolare colore alle diverse
manifestazioni artistiche: le finissime incisioni della glittica egiziana ed assira, le
squisitezze dell’oreficeria punica e la bellezza dei marmi e delle terrecotte
elleniche a noi giunsero pel tramite di artisti e di mercanti cartaginesi, popolanti le
floride città costiere, Cagliari, Nora, Sulcis, Tarros, Cornus e Olbia.

La civiltà, che si riassunse nel nome di Roma e che da questa trasse le forme
più vitali, portò anche nel campo dell’arte ad un’intima fusione fra l’elemento
latino ed indigeno. Lo spirito della città madre ci unì alle altre regioni d’Italia, e
d’allora noi fummo avvinti al pensiero e alla vita italiana che nessuna influenza
estranea, anche intensa e secolare, potè estirpare dal nostro suolo.

Le conquiste vandaliche e le incursioni saracene non lasciarono nell’isola


nostra traccia alcuna d’arte e di vita: il governo di Bisanzio, la di cui azione, per
essersi svolta da lungi, non fu mai nè intensa nè continua, lasciò edifici e sculture

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in cui l’elemento latino, invece d’esser soffocato, trovò nuova vitalità. Le forme
artistiche bizantine in Sardegna, per recenti indagini, si manifestano già di un
interesse che prima d’oggi certo non si prevedeva: le chiese di S. Giovanni di
Sinis, di S. Saturnino di Cagliari, gli avanzi architettonici di Assemini, di S.
Antioco, i frammenti decorativi e le epigrafi di Villasor e di Donori, di Mara e
d’Assemini costituiscono un complesso d’elementi che mette in inaspettata luce
questo periodo che si riteneva mancante di manifestazioni d’arte. La chiesa di S.
Saturnino, ora dedicata ai Santi Cosma e Damiano, è il modello tipico di questo
svolgimento architettonico.

La chiesa era costituita da un nucleo centrale coperto da volta a bacino con


quattro navate in modo da formare una pianta a forma di croce greca.

Presentemente mancano le navate trasversali e di quella anteriore si hanno


solo i muri perimetrali, ma malgrado ciò le antiche e primitive strutture sono
chiaramente visibili ad occhi esperti.

La cupola a bacino, elemento tipico delle costruzioni bizantine, poggia sul


tamburo, e il raccordo di questo a sezione quadrata colla volta semisferica è
ottenuto mediante quattro peducci formati da due lunette intersecantisi secondo le
diagonali. Questo raccordo è interessante dal punto di vista costruttivo, essendo
qualche cosa di più evoluto e di più progredito di quel che non s’abbia nelle
costruzioni anteriori al mille. Più tardi ricomparirà con frequenza in quelle cupole
gotiche gettate in molte chiese della Sardegna sotto l’influenza delle forme
architettoniche aragonesi.

All’ingiro della cupola è intarsiata con pietruzze trachitiche la seguente


iscrizione: Deus qui incoasti perfice usque in finem, preceduta da una croce e
terminante con una colomba.

Tutto induce a ritenere che la cupola dovea esser originariamente ornata di


pitture, il che spiega la singolare disposizione delle lettere dell’iscrizione che
furono probabilmente incavate negli spazi fra le diverse figurazioni.

Che la cupola colle quattro pilastrate sia anteriore al mille è dimostrato, non
solo dalle caratteristiche strutture costruttive, ma anche dalle decorazioni delle
belle mensole in marmo sulle quali poggiano gli archetti: vasi ansati, stelle
raggianti, croci greche incluse in cerchi ed altri simboli e ornamentazioni di puro
carattere bizantino.

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La chiesa di S. Giovanni di Sinis in territorio di Cabras, presso le rovine di
Tarros, ha forma basilicale e, non differenziando da tante altre chiese romaniche
sarde, potrebbe riferirsi al XI o XII secolo se alcune strutture architettoniche,
come la volta a bacino poggiante su quattro pilastri, non c’inducessero a portarne
l'origine ad epoca più remota.

Strutture preromaniche, incorporate in edifici posteriori, troviamo nelle


chiese di S. Giovanni in Assemini e di Santa Sabina di Silanus, singolarissima
costruzione quest'ultima che ci lascia perplessi sulle sue origini e sui criterî
stilistici che prevalsero nell’erigerla.

Queste strutture bizantine, poche di numero, modeste nelle loro dimensioni e


prive di decorazioni, non devono spingerci a conclusioni affrettate e a svalorizzare
dal punto di vista architettonico il periodo orientale.

La durata della dominazione e della civiltà bizantina dovette indubbiamente


estrinsecarsi con più imponenti manifestazioni di quelle oggi conosciute. Non è
improbabile che, dando maggiore estensione in Sardegna agli studi artistici, si
venga a mettere in luce sotto stucchi ed intonaci settecentisti molte altre strutture
preromaniche.

Certo è che nelle maggiori chiese isolane non manca mai qualche frammento
epigrafico o decorativo bizantino. Così nella cattedrale di Cagliari un'iscrizione
marmorea bizantina venne usata come materiale da costruzione in strutture
murarie eseguite nel XVII secolo: nella Chiesa di S. Gavino di Portotorres si
conservano alcune mensole decorate, certamente anteriori al mille: nel Duomo
d’Oristano rinvenni due bassorilievi preromanici e frammenti decorativi bizantini
troviamo nelle chiese di S. Antioco, di Mara e di Villasor.

Le sculture e le decorazioni ritrovate in alcuni scavi eseguiti a Donori hanno


tali caratteri e dimensioni da attestare dell’importanza e della grandezza
dell’edificio a cui esse appartenevano.

* *

Un impenetrabile mistero avvolge le vicende della nostra isola durante la


decadenza dell'impero orientale e al sorgere dei giudicati. Questo cambiamento di

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regime non può esser avvenuto pacificamente, ma tutto c'induce a ritenere che la
costituzione di quattro giudicati autonomi sia stata l’ultimo risultato di un periodo
convulsivo di lotte.

Con l'ultimo sprazzo dell’influenza di Bisanzio cessò ogni attività artistica e


intellettuale, ma dopo qualche secolo, da prima timidamente e poscia con ritmo
sempre più crescente, s'innestano sulle rovine dell'ordinamento orientale nuove
forme di un'arte che ci ricollega alla civiltà latina sopìta ma non spenta.

Già dal 1087 il pontefice Vittore III rivolgevasi a Giacomo, arcivescovo di


Cagliari e ai presuli dell’isola, per dolersi dello stato rovinoso delle chiese sarde e
per esortarli a dar maggior impulso alle costruzioni di carattere religioso.

Il mònito che proveniva dalla cattedra di S. Pietro non fu pronunziato


invano: troppo erano attaccati alla fede di Cristo i giudici e gli stessi sardi per non
apprezzare così autorevole consiglio. Ed il paesaggio severo della nostra isola si
popolò di chiese e di monasteri, dai quali i religiosi scendevano cogli strumenti di
lavoro nelle campagne rigogliose. Furono da prima edifici che ancora
rispecchiavano la terribile agonia in cui s'era dibattuta la nostra isola, tetre chiese
romaniche molto spesso solo rivestite di cantoni in pietra da taglio; ma ai primi
del XII secolo, quando un alito rinnovatore viene, per opera dei pisani e dei
genovesi, a dar nuova vita alle vicende isolane, e quando, al contatto delle fresche
e già vigorose energie delle due fiorenti città marinare, si modificano le
costituzioni, s'aprono ai traffici i porti della Sardegna e il tratto del Tirreno
intercedente fra l’isola e la madre patria, ormai sicuro, è percorso intensamente da
navi per lo più pisane e genovesi, pari a questa rinascita d'energia l'architettura
religiosa ha un risveglio meraviglioso: maestranze d’artefici toscani, chiamate
dalla pietà dei giudici, portano nelle nostre vallate e nei nostri campidani la poesia
e l'eleganza di quell’arte che fiorì nelle rive dell'Arno, e, sotto la guida di questi
costruttori, le tetre chiese romaniche si trasformano, le facciate s'inghirlandano di
gallerie e di colonnine, gli sfondi parietali si coprono d’intarsi minuti, da
rivaleggiare coi sontuosi tappeti d'Oriente, e sulle rudi e liscie ossature si stende
una delicata trama di forme decorative. È tutto un fiorire di belle chiese colle
quali le maestranze, mandate da Pisa, sciolgono veramente nelle nostre terre il più
bel canto per la gloria e per l’arte della loro città, che, gentile intermediaria in
questa rinascita, ancora una volta riunisce noi isolani alle genti italiane in unico
sentimento ed in unico nome.

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Queste leggiadre costruzioni di puro carattere romanico-toscano, al contatto
delle prime forme gotiche, subiscono alla fine del XIII secolo e ai primi del XIV,
caratteristiche trasformazioni che hanno pochi riscontri nelle altre regioni italiane.
Finestre ogive, archi trilobati ed altri elementi gotici si stendono con mirabile
armonia su strutture fondamentalmente romaniche, e le nuove forme
architettoniche derivate da questa fusione costituiscono l’ultima espressione
dell’influenza pisana, il canto del cigno dei discendenti di Buschetto.

* *

Le chiese di Pistoia, di Lucca e di Pisa furono i modelli cui s'inspirarono in


Sardegna i costruttori toscani e gli artefici locali che educaronsi alla loro scuola.
Dalle Chiese di S. Andrea e di S. Bartolomeo in Pantano di Pistoia, l'architetto
della Chiesa di S. Pietro di Sorres in Sardegna tolse l’ornamentazione ad intarsi di
pietre dure: le finestre dell’antica cattedrale di Suelli richiamano quelle di S.
Pietro Maggiore in Pistoia, e le stesse modanature riscontransi negli avanzi
dell’antico Duomo di Cagliari e nella Chiesa di S. Alessandro di Lucca.

Il secondo ordine e il frontone della facciata della Chiesa di Saccargia


riproducono le strutture decorative della facciata di S, Giusto di Lucca, le di cui
porte laterali trovano esatto riscontro nella porta principale della Chiesa di Santa
Maria del Regno in Ardara.

La tomba ad arcosolio di S. Pantaleo par tolta dai sepolcri addossati alla


Chiesa di S. Romano in Lucca, Le chiese di Pisa, alle quali le cave dei Monti
Pisani fornirono il più bel marmo, ed artefici geniali la squisita eleganza della loro
arte, contengono quasi tutte le forme decorative ed architettoniche sulle quali
modellaronsi quelle di Sardegna. E quest'architettura, così rinnovata, Pisa svolse
nell’isola nostra, con innato e squisito sentimento, dovunque la potestà opponeva
le sue armi e gli artefici suoi scolpivano la Madonnina, Essa presenta un interesse
che trascende dai limiti di un arte regionale in quanto ha il pregio di non aver
subìto che lievi modificazioni, per cui quello stile, che in Pisa precedette
l’architettura del Duomo, di S. Paolo in Ripa d'Arno, di S. Michele in Borgo e di
S. Caterina, e di cui non rinvengonsi che pochi e incompleti frammenti, si ritrova
integro in Sardegna senza alterazioni e senz’aggiunte posteriori.

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Le tradizioni latine. che mai disgiunsero dall’architettura toscana. trovarono
in Sardegna buon terreno. A mantenerle vive influirono le rovine di Olbia, di
Torres, di Tarros e della stessa Cagliari, alle quali ricorsero largamente i
costruttori delle nostre chiese. Le navate della basilica di S. Gavino in Portotorres
sono sostenute da 22 colonne di marmo, tolte per buona parte dalle vicine rovine
di Turris Libyssonis. Nella porta a destra del Duomo di Cagliari abbiamo
un'amorevole e leggiadra fusione di decorazioni medievali con classici frammenti
d’arte romana. Il bellissimo sarcofago, rappresentante un personaggio togato in
mezzo ad un festoso trionfo di genietti, è collocato sopra l’architrave, non a
casaccio, ma col chiaro intendimento di mettere in evidenza le belle sculture e di
farle trionfare nella lunetta sotto il simulacro della Madonnina.

La stessa architettura frammentaria riscontriamo in S. Antioco di Bisarcio, in


Santa Giusta d’Oristano, in Santa Maria d’Uta e in tante altre chiese di squisita
arte toscana.

Il vento medievale che nelle altre regioni italiane alterò le classiche e belle
forme ornamentali, trovò nella nostra isola un forte ostacolo nell’influenza delle
tante costruzioni romane sparse nelle nostre campagne. I mostri che si rincorrono
si affrontano e si dilaniano. popolando di spaventose immagini le tetre navate
delle chiese dell’Alta Italia. si ritrassero dalle nostre, mal sofferenti del cielo
perennemente azzurro e del candore dei marmi e dei calcari di cui s'adornarono i
nostri edifici religiosi.

* *

Le chiese medievali sarde, benché per nobilità di linee e per eleganza di


forme assurgano a vere opere d’arte, sono modestissime per le ristrette dimensioni
e per la sobrietà delle decorazioni. Le condizioni economiche dell’isola non
permisero l'esecuzione di chiese a cinque navate che sono frequenti nelle altre
regioni italiane. Le cupole, che gli artefici romanici solevano elevare agli
inerociechi delle navate longitudinali con quelle trasversali, non si riscontrano
nelle chiese romaniche sarde, malgrado i tanti modelli che ai costruttori locali
offrivano le chiese bizantine.

Mancano inoltre le costruzioni rotonde e poligonali che nel periodo romanico


si costruivano per lo più ad uso di battistero in vicinanza di chiese a prospettiva

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longitudinale.

Le variazioni al tipo originario basilicale sono frequenti nelle chiese sarde ed


alcune presentano speciale interesse, La forma planimetrica a tre navate con due
absidi terminali, che deriva dalla tradizione artistica carolingia, si riscontra nella
Chiesa di S. Gavino di Portotorres. La pianta a croce latina è usata raramente,
mentre nella maggiore parte delle nostre chiese, come in S. Pietro di Sorres, in S.
Maria di Tratalias, in S. Pantaleo di Dolianova, in S. Antioco di Bisarcio in S.
Maria del Regno d’Ardara, in S. Maria d’Uta, predomina la pianta basilicale,
inspirata alle forme paleo-cristiane, colla sala spartita in tre navate da due file di
colonne o di pilastri. Nelle piccole chiese di campagna la sala non è divisa ma
riducesi ad una sola navata terminata dall’abside per lo più circolare. La
spartizione della sala a due navate è poco frequente, e più che da criteri stilistici
questa forma iconografica fu dettata da esigenze economiche.

La polieromia, ottenuta con decorazioni affrescate od intarsiate. non ebbe


seguaci nei costruttori dei monumenti medievali della Sardegna e sì spiega ciò,
oltre che nelle limitate risorse economiche dei committenti, nel fatto che gli
svariati materiali costruttivi di cui è ricca l'isola poteano permettere di conseguire
gli stessi effetti con minore spsa.

* *

In Sardegna l’influenza dei materiali sull’architettura dei suoi monumenti è


sensibile specialmente per la bellezza e la varietà delle sue pietre e per il loro
avvicendarsi anche in zone di limitata estensione.

Laddove, come ad Ardara, sono numerosi i craterî di vulcani spenti e il


materiale costruttivo è fornito unicamente dal duro basalto, l'architettura si
presenta sobria, priva di decorazioni ed uniforme nel suo severo paramento,
mentre a Sorres, a Saccargia, a Tergu dove le colate vulcaniche coprono i
giacimenti calcarei, i costruttori trassero partito dalla differente natura e
colorazione dei detti materiali per un’armonica alternatività di filari bianchi e neri
profondendo nelle cornici, negli sfondi, è nei capitelli scalpellati nel morbido
calcare l'ornamentazione più ricca e più squisita.

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Le tenere arenarie delle cave di Dolianova permisero agli artefici della antica
cattedrale di S. Pantaleo di sbizzarrirsi nelle più svariate decorazioni e nelle più
grottesche figurazioni che artista medievale abbia potuto concepire.

Cagliari profittò della sua pietra forte (calcare), resistente alle azioni
atmosferiche ed agli sforzi di pressione, per innalzare le alte torri e per dotare le
strutture murarie della sua cattedrale di tersi paramenti che il tempo ingentilì con
una patina di calda intonazione.

La mancanza quasi assoluta di muratura in cotto caratterizza la tecnica dei


costruttori medievali, e ciò malgrado la tradizione romana e l'abbondanza di
buone argille.

Indubbiamente col crollo della potenza di Roma gli artefici locali — non più
a contatto coi costruttori della metropoli — perdettero ogni nozione sul
trattamento delle argille, e quando i tagliapietre e gli scalpellini dell'Appennino
vennero nell’isola, non trovarono né l’uso né la tradizione del mattone, e poiché
ciò si confaceva colla tecnica seguita nelle costruzioni della loro regione.
continuarono a rivestire i muri e a gettar le volte con cantoni.

La pietra da taglio (lapis quadratus) fu l'umico materiale usato nei paramenti


e nelle decorazioni degli edifici medievali della Sardegna. Anche nelle chiese più
modeste e negli oratorî di campagna, i muri, tanto nelle pareti esterne che in
quelle interne, sono rivestiti con bei conci parallelepipedi dagli spigoli netti e
messi insieme, secondo l'antica tradizione muraria, con pochissima calce.

A ravvivare questi paramenti in pietra da taglio furono incassate nelle mura


esterne le ciotole e le sottocope in maiolica, smaltate ed iridescenti.

* *

La decorazione che maggiormente caratterizza le nostre chiese è il fregio con


archetti coronante la sommità dei muri esterni o svolgentesi nei frontoni,
seguendone la pendenza, fregio che, pur mantenendo le linee organiche, assunse
svariate forme: la più comune è quella dell’archetto sagomato con gola rovescia e
listelli, poggiante su mensolina sporgente dal muro e sormontato da una cornice
orizzontale di poco aggetto modanata ancor essa con gola rovescia e listelli.

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L'esempio più ricco di questo motivo decorativo è dato dal fregio che
svolgesi nei muri laterali e nell'abside della Chiesa di S. Pietro di Sorres. Nelle
chiese di S. Gavino di Portotorres, di S. Giusta, di S. Paolo di Milis e di S.
Simplicio di Terranova, strette e lunghe lesene s’alternano con le mensoline di
sostegno degli archetti, mentre in altre chiese, fra le quali quelle di S. Nicolò
d’Ottana e di S. Maria di Tratalias, gli scomparti compresi fra queste lesene hanno
un certo numero d’archetti in modo che ad ogni serie di essi corrisponde una
lesena prolungantesi fino allo zoccolo, dove poggia con base sagomata
atticamente.

Gli archetti sono quasi sempre a tutto cerchio, ma non mancano le


decorazioni trilobati, come nelle chiese di S. Maria di Bonarcado e di S. Pantaleo
di Dolianova, e gli archetti a sesto acuto.

Predomina per eleganza e per accuratezza d'esecuzione il partito svolto nelle


strutture medievali della Cattedrale di Cagliari. In esso gli archetti hanno una
ricca sagomatura con tori cavetti e guscie, identica a quella della Chiesa di S.
Alessandro a Lucca, e poggiano parte su mensoline e parte su pilastrini. Alcune di
queste mensoline sono foggiate a capitelli e nel secondo ordine sopra la porta
aperta nella navata di destra se ne rileva uno elegantissimo, inspirantesi con arte
medioevale al classico corinzio, che palesa nell’artefice che lo scolpì un
sentimento e un'abilità decorativa non comuni.

I pilastrini non sono semplici lesene di sezione rettangolare, come nella


maggior parte delle nostre chiese, ma sono invece polistili con ricche sagome, le
quali magistralmente si raccordano colla sagomatura dello zoccolo.

* *

Nelle chiese schiettamente romaniche la porta ha quasi sempre una funzione


decorativa preminente: nell’architettura romanica-toscana delle chiese sarde
questa preminenza, se ancora sussiste negli edifici del periodo arcaico, svanisce
invece quasi del tutto nelle altre chiese.

Il tipo schematico costruttivo, dato dall’architrave monolitico a fior di muro


poggiante su solidi stipiti ed alleggerito da un arco di scarico, si riscontra integro

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nelle Chiese di Saccargia e di S. Nicolò d'Ottana, mentre più frequentemente è
arricchito con cornici, con capitelli e qualche volta con ornamentazioni figurate.

In S. Maria di Tergu e in S. Pietro di Sorres gli stipiti hanno capitelli


squisitamente scolpiti e una cornice, ancor essa vagamente ornata, limita arcata di
scarico a cunei alternati di trachite scura e di calcare bianco. Lo stesso tipo
costruttivo e decorativo si riscontra in S. Maria d’Uta, che il tempo e i moderni
costruttori risparmiarono, lasciando integre le belle ed originarie forme: la cornice
arcuata finemente intagliata, contorna l'arco di scarico e poggia su due mensoline
figurate, mentre nella lunetta campeggia una rosa d’elegante disegno ad intarsi di
pietre dure.

In molte porte sono effiggiati i leoni, simboli della custodia della Chiesa.
Nella Chiesa di S. Giusta le due fiere sono collocate stranamente colle terga volte
all'ingresso. Nella porta della Chiesa di S. Pantaleo abbiamo forme in cui la
struttura toscana s'accoppia a decorazioni di carattere lombardo.

Le lunette racchiuse dall’architrave e dall’arco di scarico sono usualmente


liscie: in S. Pietro di Sorres e in S. Maria del Regno di Ardara lo sfondo cupo del
nero basalto è rotto da candide croci di calcare: in S. Gavino di Torres e in S.
Pietro di Bulzi sono scolpiti in piccolo rilievo alcune figure, che, eseguite
rozzamente, paiono concepite da menti puerili. Nelle porte della Cattedrale di
Cagliari gli architetti ottennero effetti gradevoli, intarsiando le lunette delle porte
con frammenti «d’arte pagana e cristiana.

Le finestre aperte nelle chiese sarde, sono bifore o trifore quando


campeggiano nelle facciate, di cui costituiscono il miglior ornamento, ma
riduconsi ad una semplice feritoia, più o meno ornata, nei fianchi e nelle absidi.

Nelle finestre polifore si ha una struttura organica, in cui ogni elemento


architettonico adempie ad una funzione statica, al contrario delle finestre gotiche e
del rinascimento, in cui colonnine e trafori hanno unicamente un còmpito
decorativo tanto che si possono togliere senza alterare la compagine dei muri.
Non così nelle finestre romaniche sarde, nelle quali gli archi girano per l’intero
spessore, gravitando sopra le colonnine, sormontate da pulvini, che nella parte
inferiore si accorda ai collarini dei fusti, allargandosi nella parte superiore con i
capitelli, fino a raggiungere lo spessore dei muri.

La massima sobrietà, non scevra di una tale quale tetraggine, costituisce la


nota dominante degli interni delle chiese medievali sarde. Non ravvivano le pareti

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le decorazioni, ricche di colori e di mosaici delle chiese dell’altra isola a noi
vicina, non marmi preziosi quali si ammirano nelle chiese toscane, alle quali le
cave di Carrara, di Siena e di Prato diedero coi tersi paramenti il fascino delle loro
tinte, non la ricchezza dei fondi dorati, ma il semplice rivestimento in pietra da
taglio, raramente rotto da pitture a bon fresco, imprimente una nota d’austerità
alle oscure navate.

Questa semplicità, che nelle chiese del periodo più fiorente contrasta colle
ornate pareti esterne, rispecchia le condizioni economiche dei giudicati.

Le cave numerose di arenarie, calcari, trachiti e graniti fornivano belle pietre


da taglio dalle diverse gradazioni di tinte, e le foreste, fiorenti nelle brulle pendici
dei nostri monti, mettevano a disposizione dei costruttori la quercia rovere per i
coperti. Con questi materiali, che i giudici i magnati e le corporazioni monastiche
aveano a mano, e con gli operai, che, come servi, eran parte dei loro tenimenti, si
costruiva quasi senza sborso di moneta, che invece era necessario per le pitture e i
mosaici. E se qualche volta chiamaronsi maestranze da Pisa, a queste era
sufficiente la larga ospitalità e i doni in natura.

Per lo più il paramento esterno estendevasi anche nell'interno, e la


tradizionale lavorazione della pietra da taglio trovava mirabile applicazione nelle
arcate, nei pilastri, nelle cornici, negli amboni, più o meno istoriati, e negli altari,
consistenti in tavole monolitiche portate da quattro colonnine angolari.

Le arcate poggiano su sostegni, colonnine o pilastri, direttamente sui capitelli


all'uso romanico.

Per lo più la navata centrale è senza volta con coperto sostenuto da cavalletti
in legname, mentre le due laterali sono scompartite in campate coperte da volte a
crociera.

In una sola chiesa abbiamo le volte anche nella navata centrale, e cioè in S.
Pietro di Sorres, un vero gioiello in cui par che siansi fusi il razionalismo dello
scienziato e la poesia dell’artista.

La forma delle incavallature è la primitiva: triangolare con la catena e i due


puntoni: mancano gli arcarecci, e perciò il tavolato sostenente il coperto laterizio
o plumbeo poggia direttamente sulle incavallature, le quali sono a breve distanza,
da m. 0.80 a m. 1.00 una dall’altra. Di conseguenza una folta armatura di travi
sovrasta la scura navata e ne termina nobilmente le linee verticali. Solo più tardi

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all’apparire delle forme gotiche, prima che s'adottassero le volte a crociera a
costoloni sagomati intersecantisi in gemme anulari, il tipo della capriata
s'arricchisce di nuove membrature (monaco e saetta). E così le incavallature si
discostano: si aggiungono gli arcarecci e poiché dalle ampie bifore si distende per
la navata la luce smagliante del nostro cielo, gli artefici sentono il bisogno di
decorar le travi e le tavole con ornamentazioni policrome come nelle Chiese di S.
Pietro di Zuri e della Maddalena d’Oristano.

L’uso frequente di queste armature di legname attesta che le maestranze locali


vollero continuare le antiche tradizioni delle primitive basiliche cristiane. in cui le
navate si coprivano interamente di legname; fors'anche non si peritarono
d’accingersi a strutture che, come le vòlte, richiedono cognizioni statiche che loro
mancavano.

* *

I caratteri stilistici che contradistinguono le nostre chiese medievali


m'indussero a suddividerle in tre gruppi, corrispondenti a tre periodi costruttivi, è
questo raggruppamento fu accettato dai migliori critici d’arte e fra gli altri dal
Toesca e dal Biehl.

Nel primo gruppo, che chiameremo arcaico, possono rientrare le chiese che
hanno come prototipi S. Gavino di Portotorres e S. Maria del Regno di Ardara. In
questi edifici, mentre nei muri laterali e nelle absidi è svolto con impressionante
uniformità il solito motivo degli archetti pensili più o meno ricchi, le facciate
s'adornano di forme architettoniche che, diverse da chiesa a chiesa, non sempre
hanno riscontro con i modelli toscani dai quali i costruttori derivarono la loro arte
e la loro tecnica. Tuttavia queste chiese, malgrado tali differenze, hanno di
comune una forma predominante: i paramenti in pietra da taglio senza logge e
senza colonnine, nei quali spiccano i fattori costruttivi più essenziali della
architettura romanica: la porta architravata, le finestre bifore o trifore
campeggianti nelle facciate, i rosoni e gli archetti pensili.

Appartengono a questo gruppo le chiese di S. Gavino di Portotorres, di Santa


Maria di Ardara, di Santa Giusta d’Oristano, di San Simplicio di Terranova, di
Santa Maria d’Uta, di Santa Maria di Tratalias, di San Nicolò di Trullas, di San
Palmerio di Ghilarza, di Santa Maria di Bonarcado, le quali chiese, indubbiamente

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del XI secolo, sono i primi edifici religiosi di architettura romanica che
susseguono le costruzioni bizantine.

Un secondo gruppo, comprendente le chiese di Saccargia, di Santa Maria di


Tergu, di Sant'Antioco di Bisarcio, di San Michele di Plaiano, di S. Pietro di
Torres, di San Pietro di Bulzi e tante altre di minore importanza, rispecchia le
forme decorative che preludiarono all’architettura del Duomo e di San Paolo di
Ripa d'Arno in Pisa, e che troviamo svolte in Lucca in San Giusto, in Santa Maria
del Giudice ed in Pisa anche in San Frediano ed in San Pierino.

In queste chiese le facciate sono inghirlandate da false logge con archetti


sporgenti dai venti ai trenta centimetri, impostantisi su colonnine isolate oppure su
pilastrini.

Nel terzo gruppo infine predominano strutture nelle quali le sobrie linee
romaniche del portale e dell’ossatura costruttiva s'alternano a quelle
spiccatamente gotiche delle bifore centrali e dei fasci sagomati, svolgentisi nei
frontoni con archetti trilobati. A questo gruppo appartengono le chiese che la
famiglia Donoratico costrusse in Villa di Chiesa, la testata della travata trasversale
del Duomo di Cagliari, la chiesa dei ali Carmelitani di Mogoro e altre minori.

Queste chiese, in cui gli elementi romanici e gotici si fondono mirabilmente,


sono l’ultima espressione dell'influenza di quell’arte che dalla Toscana trasse le
squisite forme.

La divisione delle nostre chiese in tre gruppi, aventi ciascuno analogie


stilistiche, corrisponde, a grandi linee, a criteri cronologici, poiché nel primo sì
comprendono le chiese del XI Secolo e della prima metà del XII secolo, nel
secondo quelle costrutte posteriormente fino alla seconda metà del XIII secolo, ed
infine nel terzo, avente uno spiccato tipo architettonico che differenzia da tutti gli
altri e che non ha riscontro neanche nella stessa Toscana, le chiese erette quando
la potenza di Pisa tramontava e cioè dagli ultimi del XIII alla prima metà del
susseguente secolo.

Non tutte le chiese medievali sarde entrano in questi tre gruppi, e ciò è
naturale, giacché gli aggruppamenti in arte sono sempre a grandi linee e non
soggetti a leggi ben definite. Abbiamo infatti in Sardegna chiese che per
particolarità stilistiche o per documenti epigrafici ci risultano erette da artefici
pisani e che purtuttavia non presentano i requisiti per esser incluse in uno dei tre
gruppi. Così nella Chiesa di S. Platano in Villaspeciosa abbiamo strutture derivate

15
da altre tradizioni artistiche insieme a forme schiettamente toscane. Nella Chiesa
della Maddalena presso Oristano le forme consuete toscane svolgonsi con eleganti
linee nella facciata e nei fianchi, mentre nell'abside quadrata una grande finestra
ogivale con traforo e colonnine sembra abbia voluto. fra le vecchie e decadenti
linee romaniche, imporre le nuove e slanciate forme gotiche.

Intorno a questi tre nuclei fondamentali si svolsero altre forme


architettoniche dovute ad artefici che non derivarono la loro arte e la loro tecnica
dai cantieri della Toscana. Così il comacino Anselmo, in S. Pietro di Zuri,
scolpisce nella rossa trachite le mostruose decorazioni inspirate, non più al
classico acanto, ma alla flora araldica ed alla fauna simbolica dell’ornamentazione
lombarda.

Le stesse forme stilistiche svolgonsi nella chiesa di San Pantaleo in Dolianova,


che venne costrutta tenendo per modello la Cattedrale di Cagliari, nella quale
diverse scuole artistiche lasciarono le loro impronte.

Scevre di ogni influenza toscana sono anche le chiese di S. Pietro di Bosa, di


Santa Maria di Tiesi, di Santa Maria di Betleme.

* *

La conquista del Castello di Cagliari per opera del Re d'Aragona diede il


segnale di un nuovo reggimento politico e di nuove finalità artistiche.

Iniziaronsi nell'isola, coi monasteri di S. Domenico e di S. Francesco di


Cagliari, colla Cattedrale di Alghero e con altre chiese, quelle costruzioni che
hanno del gotico e del romanico in pari tempo e che, estese nei secoli susseguenti,
costituiscono uno stridente contrasto con lo svolgimento architettonico delle altre
regioni italiane, nelle quali dalle grazie del Rinascimento si passava all'eleganza e
al virtuosismo del barocco.

Dopo di esse che rappresentano l’ultimo sorriso dell’arte medievale sarda,


alla quale Pisa dal XI al XIII secolo impresse la festosità della sua architettura,
l’arte della sesta fu alla mercé delle corporazioni monastiche di mendicanti,
sostituitesi ai vallombrosani, ai camaldolesi, ai benedettini e ad altri ordini

16
schiettamente italiani, le quali, moltiplicatesi con incredibile rapidità, soffocarono
ogni aspirazione intellettuale, ogni tentativo di rinnovamento artistico.

* *

Le chiese medievali sarde non s'impongono né per mole, né per ricchezza,


ma hanno eleganze squisite per cui molte di esse assurgono a opere d’arte di
grande valore e attraggono per quel fascino derivante dalle cose poco conosciute e
di virginea freschezza, senza quelle aggiunte che in altre regioni più ricche
deturparono le più belle manifestazioni d’arte medievale. Certe forme arcaiche
dell’architettura romanica, che nella stessa Pisa, la nostra madre in arte, vennero
nel XIII secolo coperte o distrutte per dar luogo alle ricche strutture a gallerie, sì
mantengono integre nella nostra terra, in un ambiente primitivo che ne forma
degna e suggestiva cornice. Avanzi di un fortunoso periodo, esse non valgono
solamente alla conoscenza del passato, ma s'intrecciano e s'innestano alla parte
più bella e più nobile della vita italiana con l’arte che da Roma trasse le forme più
vitali e dalla Toscana la leggiadria e l’incantesimo.

In più, questi monumenti, ai quali artefici medievali impressero forme


classicamente vaghe, ci sono oltremodo cari, perché furono i legami che
avvinsero alla madre patria la nostra isola e che neanche quattro secoli di
dominazione straniera poterono spezzare.

17
TAVOLE
Le fotografie delle tavole num. VIII - X - XII - XIII - XV - XVI - XVII - XVIII - XXI - XXII - XXIII -
XXXV - XXXVI - XXXVII - XXXVIII - XXXIX - XL - XLIV - L - LI - LIII - LVI - LVII - LVIII - LIX -
LX sono state favorite dalla Casa Alinari di Firenze; dobbiamo le rimanenti (fotografie Pes) alla cortesia del
Direttore dei Monumenti della Sardegna, Cav. Dott. Carlo Aru.

Clichés DANESI.

TAV. I.

CAGLIARI — Chiesa di S. Saturnino (IX e XII secolo). Fianco.

TAV. II.

18
CAGLIARI — Chiesa di S. Saturnino (IX e XII secolo). Fianco.

TAV. III.

CABRAS. — Chiesa di S. Giovanni di Sinis (IX secolo). Fianco.

TAV. IV.

19
CABRAS. — Chiesa di S. Giovanni di Sinis (IX secolo). Abside.

TAV. V.

SILANUS. — Chiesa di Santa Sabina. Veduta d’insieme.

TAV. VI.

20
SILANUS. — Chiesa di Santa Sabina. Fianco.

TAV. VII.

SILANUS. — Chiesa di Santa Sabina. Parte posteriore.

TAV. VIII.

21
PORTOTORRES. — Chiesa di S. Gavino (XI secolo). Fianco.

TAV. IX.

PORTOTORRES. — Chiesa di S. Gavino (XI secolo). Interno.

TAV. X.

22
PORTOTORRES. — Chiesa di S. Gavino. Portale (XIV secolo).

TAV. XI.

23
ARDARA. — Chiesa di Santa Maria del Regno (XI secolo).

TAV. XII.

TRATALIAS. — Chiesa di Santa Maria (XII secolo).

TAV. XIII.

24
TRATALIAS. — Chiesa di Santa Maria (XII secolo). Facciata.

TAV. XIV.

25
TRATALIAS. — Chiesa di Santa Maria (XII secolo). Abside.

TAV. XV.

26
ORISTANO. — Chiesa di Santa Giusta (XI o XII secolo).

TAV. XVI.

ORISTANO. — Chiesa di Santa Giusta (XI o XII secolo). Abside.

TAV. XVII.

27
UTA. — Chiesa di Santa Maria (XII secolo).

TAV. XVIII.

28
UTA. — Chiesa di Santa Maria (XII secolo). Abside e fianco.

TAV. XIX.

CODRONGIANUS. — Chiesa della S.S. Trinità di Saccargia (XII secolo).


Facciata.

TAV. XX.

29
CODRONGIANUS. — Chiesa della S.S. Trinità di Saccargia (XII secolo).
Fianco e campanile.

TAV. XXI.

30
CODRONGIANUS. — Chiesa della S.S. Trinità di Saccargia (XII secolo).
Absidi.

TAV. XXII.

31
CODRONGIANUS. — Chiesa della S.S. Trinità di Saccargia.
Portichetto. (XIII secolo).

TAV. XXIII.

32
CODRONGIANUS. — Chiesa della S.S. Trinità di Saccargia (XII secolo).
Portichetto. (XIII secolo).

TAV. XXIV.

33
CODRONGIANUS. — Chiesa della S.S. Trinità di Saccargia.
Capitello (XIII secolo).

TAV. XXV.

34
OZIERI. — Chiesa di S. Antioco di Bisarcio (XII secolo). Facciata.

TAV. XXVI.

35
OZIERI. — Chiesa di S. Antioco di Bisarcio (XII secolo). Abside.

TAV. XXVII.

BORUTTA. — Chiesa di S. Pietro di Sorres colle rovine della canonica.

TAV. XXVIII.

36
BORUTTA. — Chiesa di S. Pietro di Sorres (XII secolo).

TAV. XXIX.

BORUTTA. — Chiesa di S. Pietro di Sorres (XII secolo). Abside.

TAV. XXX.

37
BULZI. — Chiesa di S. Pietro (XIII secolo). Facciata.

TAV. XXXI.

38
BULZI. — Chiesa di S. Pietro (XIII secolo). Fianco.

TAV. XXXII.

39
BULZI. — Chiesa di S. Pietro (XIII secolo). Portale.

TAV. XXXIII.

40
PLOAGHE. — Chiesa di S. Michele di Salvenero (XII secolo).

TAV. XXXIV.

41
OTTANA. — Chiesa di S. Nicola (XII secolo).

TAV. XXXV.

42
CAGLIARI. — Duomo. Porta a destra (XIV secolo).

TAV. XXXVI.

43
CAGLIARI. — Duomo. Porta a sinistra (XIII secolo).

TAV. XXXVII.

44
CAGLIARI. — Duomo. Sarcofago romano nella lunetta della porta a destra.

TAV. XXXVIII.

45
CAGLIARI. — Duomo.
Frammenti del pulpito di Maestro Guglielmo (XII secolo).

TAV. XXXIX.

46
CAGLIARI. — Duomo.
Uno dei leoni del pulpito di Maestro Guglielmo (XII secolo).

TAV. XL.

DOLIANOVA. — Chiesa di S. Pantaleo (XII e XIII secolo).

TAV. XLI.

47
DOLIANOVA. — Chiesa di S. Pantaleo. Facciata.

TAV. XLII.

48
DOLIANOVA. — Chiesa di S. Pantaleo. Portale.

TAV. XLIII.

49
DOLIANOVA. — Chiesa di S. Pantaleo. Abside.

TAV. XLIV.

50
DOLIANOVA. — Chiesa di S. Pantaleo. Particolari di un fianco.

TAV. XLV.

51
ZURI. — Chiesa di S. Pietro (XIII secolo).

TAV. XLVI.

52
ZURI. — Chiesa di S. Pietro (XIII secolo). Intercolonio.

TAV. XLVII.

53
ZURI. — Chiesa di S. Pietro (XIII secolo). Portale.

TAV. XLVIII.

54
ZURI. — Chiesa di S. Pietro. Abside (XIV secolo).

TAV. XLIX.

55
ZURI. — Chiesa di S. Pietro. Particolari dell'Abside.

TAV. L.

56
ORISTANO. — Duomo. Campanile, parte inferiore (XIV secolo).

TAV. LI.

57
ORISTANO. — Duomo. Piocchiotti in bronzo dell'antica porta (XIII secolo).

TAV. LII.

SASSARI. — Chiesa di S. Maria di Betlemme (XIII secolo).

TAV. LIII.

58
SASSARI. — Duomo. Cappelle trasversali.

TAV. LIV.

59
IGLESIAS. — Duomo (XIII secolo).

TAV. LV.

60
IGLESIAS. — Chiesa di N. S. di Valverde (XIII secolo).

TAV. LVI.

61
ALGHERO. — Duomo (XIV secolo).

TAV. LVII.

62
ALGHERO. — Duomo. Portale (XIV secolo).

TAV. LVIII.

63
CAGLIARI. — Chiesa di S. Domenico. Volte (XV secolo).

TAV. LIX.

64
CAGLIARI. — Chiostro di S. Domenico (XIV secolo). Loggiato del patio.

TAV. LX.

65
CAGLIARI. — Chiostro di S. Domenico (XIV secolo). Mensola.

66
INDICE
Prefazione
ALGHERO. — Duomo
ARDARA. — Santa Maria del Regno
BORUTTA. — San Pietro di Sorres
BULZI. — S. Pietro
CAGLIARI. — San Saturnino
Duomo
San Domenico
CABRAS. — S. Giovanni di Sinis
CODRONGIANUS. — SS. Trinità di Saccargia
DOLIANOVA. — San Pantaleo
IGLESIAS. — Duomo
N. S. di Valverde
ORISTANO. — Santa Giusta
Duomo
OTTANA. — San Nicola
OZIERI. — S. Antioco di Bisarcio
PLOAGHE. — San Michele di Salvenero
PORTOTORRES. — S. Gavino
SASSARI. — Santa Maria di Betlemme
Duomo
SILANUS. — Santa Sabina
TRATALIAS. — Santa Maria
UTA. — Santa Maria
ZURI. — San Pietro

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