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di transito sul ponte di Varallo e il centro abitato di Rocca, confiscati allo stesso
Riccardo e al fratello Uberto.
«Concedimus itaque comitatum de Plumbia et alium de Oxula cum sua
integritate [...], et corticellam de Cavalli regis, quam tenet Richardus, cum
alpe de Otro, simul etiam cum ponte de Uarade, et Roccam Huberti de valle
Sesedana et omnia predia que ipse retinet in predicta valle et in Seticiano
[...]» (2).
Le confische del 1014 e del 1025 – come pure quella successiva del 13
aprile 1060, con la quale Enrico IV confermava nuovamente la donazione alla
Chiesa novarese dei beni detenuti a quel tempo da Riccardino, figlio ed erede
di Riccardo e di Waldrada (7) – non ebbero tuttavia alcun seguito e l’alpe
d’Otro, così come tutti gli altri beni in Valsesia elencati nei diplomi prece-
dentemente citati, rimase saldamente nelle mani della potente famiglia dei ric-
cardini-ubertini, ovvero dei conti di Pombia.
Con lascito testamentario del 6 marzo 1083 il conte Guido di Pombia, in
punto di morte nel suo castello di Olengo, presso Novara, donò l’alpe d’Otro,
insieme a molti altri beni da lui posseduti in Valsesia, all’abbazia di Cluny:
«Ideoque, ego, qui supra Wido comes, dono et offero, a presenti die,
in eodem monasterio, pro anime mee mercede, id sunt, aliquantis rebus
juris mei, que subter nominavero: mee portiones de ecclesia una que nomi-
nantur Sancti Dionixii, que est constructa in Val que dicitur Sesedana, et
mansoras sedecim, et alpes duas, et silvis buscaleis, et mee portiones de monte
uno [...]. Prima Alpe esse videtur in ipsa Val Sesedana, nomina Lavozoso;
secunda in jam dicta Val, nomina Oltro [...]» (8).
Societatis Palatinæ in Regia Curia, 1740, col. 741 (998 gennaio 15). MGH, Diplomatum Regum
et Imperatorum Germaniae, vol. II, doc. 414, pp. 848-849 (1001 novembre 21); vol. III, doc.
299, p. 370 (1014 maggio 7). Le carte di Biandrate dell’archivio capitolare di S. Maria di Novara,
I, a cura di M. G. Virgili, in «Bollettino Storico per la Provincia di Novara», LV (1964), doc.
134, p. 223 (1013 marzo 15), doc. 140, p. 235. Cfr. anche C. BASCAPÈ, Novaria seu de Ecclesia
novariensi. Libri Duo: Primus de Locis, Alter de Episcopis. Carolo ep. novariensi Auctore, Novariæ,
apud Hieronymum Sessallum, 1612, pp. 318-319.
(6) G. SERGI, I confini del potere. Marche e signorie fra due regni medievali, Torino, Einaudi,
1995, p. 186.
(7) MGH, Diplomatum Regum et Imperatorum Germaniae, vol. VI, parte 1, doc. 63, pp.
82-84; Carte valsesiane, cit., doc. VI, pp. 11-13.
(8) I beni donati, a eccezione dell’alpe d’Otro, di alcuni mansi nel biellese e delle pro-
prietà nel luogo e fondo di Stode Garda (da identificare con una località oggi scomparsa situata
nei pressi di Vespolate), sembrano essere concentrati nel territorio della media Valsesia: una
parte della chiesa di S. Dionigi a Locarno, il monte di Parone (monte uno qui dicitur Paruno),
le selve di Doccio (Duze), Solivo (Facia Soliva), Lagaredo e Biscognago, un mulino situato a Varallo
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(molandino uno cum alveis et riva, et cum omni utilitatem ad eum pertinentibus, quod est con-
structo in loco ubi dicitur Varale), sedici mansi, quattro dei quali situati nel luogo di Castellito
(l’attuale Castelletto Cervo in territorio biellese) e quattro in quello di Casa Nova, condotti da
uomini di Varallo, Locarno, Foresto, Rocca, luogo quest’ultimo da cui proveniva anche il servo
Mauro da Rocca che venne donato, con la moglie, i figli e le figlie, insieme alla mandria di cui
era il custode (Mauro de la Roca et conjux eius cum omnibus filiis et filiabus eorum et gregio
uno de vaccis cum vitulis et tauris in integrum, que esse videtur in ipsa Val); qualche dubbio
persiste invece sull’individuazione dell’altro alpeggio citato nell’atto (prima Alpe esse videtur in
ipsa Val Sesedana, nomina Lavozoso), che secondo alcuni sarebbe da identificare con l’alpe Lavazei
sopra Rima, mentre secondo altri corrisponderebbe all’alpe Lavazzosa, sui monti a ovest di Rocca
Pietra. A. BRUEL, Recueil des chartes de l’Abbaye de Cluny formé par Auguste Bernard, complété,
révisé et publié par Alexandre Bruel, Paris, Imprimerie nationale, 1888, vol. IV, doc. 3600, pp.
757-758; Carte valsesiane, cit., doc. VIII, pp. 14-17; D. SANT’AMBROGIO, Donazione al mona-
stero di Cluny nel 1083 della chiesa di S. Dionigi e di beni diversi in Val Sesia, in «Rivista di
storia, arte e archeologia di Alessandria», 16 (1907), pp. 327-337. Sull’identificazione del luogo
di Stodegarda (associato a Ponello e alle corti di Vespolate e Carpenedo in un atto del 22 aprile
1053 edito in Le carte del Museo Civico di Novara (881-1346), a cura di G. B. Morandi,
Pinerolo, s. e., 1913 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, 77/2), doc. XX, pp. 33-35),
cfr. G. ANDENNA, Per un censimento dei castelli, in Novara e la sua terra nei secoli XI e XII.
Storia, documenti, architettura, Milano, Silvana Editoriale, 1980, p. 318; ID., Alcune osservazioni
a proposito delle fondazioni cluniacensi in Piemonte (sec. XI-XIII), in L’Italia nel quadro dell’e-
spansione europea del monachesimo cluniacense. Atti del convegno di Pescia (26-28 novembre 1981),
Cesena, s. e., 1985, p. 48 nota 14; L. CROCE, Le pievi vercellesi sulla sinistra della Sesia: terri-
torio, istituzioni, insediamenti, in «Bollettino Storico Vercellese», 50 (1998), pp. 5-8.
(9) A. BRUEL, Recueil des chartes, cit., vol. IV, doc. 3616, pp. 777-778; Le carte dell’archi-
vio capitolare di S. Maria di Novara, a cura di F. Gabotto, G. Basso, A. Leone, G. B. Morandi,
O. Scarzello, vol. II, Novara, Parzini, 1915 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, 79), pp.
127-129; Carte valsesiane, cit., doc. IX, pp. 17-19.
(10) Patrologiae cursus completus, Series Latina, a cura di J. P. Migne, vol. 151, col. 411.
Interpretazioni e rassegne 587
L’alpe d’Otro continuò a fare parte del patrimonio del priorato clunia-
cense dei Santi Pietro e Paolo di Castelletto Cervo per oltre un secolo; essa
compariva ancora nella bolla del 7 settembre 1184 (12) con la quale papa Lucio
III riceveva sotto la protezione della Sede Apostolica il monastero, confer-
mandone tutti i possessi.
Soltanto pochi anni più tardi però il possesso sulla valle d’Otro del prio-
rato cluniacense di Castelletto Cervo fu contestato dal monastero femminile
di S. Pietro di Cavaglietto (13), che sosteneva di potere vantare dei diritti sulla
proprietà. In un documento del giugno 1192 contenente gli atti del processo,
vengono definiti i termini della lite tra il cenobio di Cavaglietto, rappresen-
tato dalla badessa Agnese, e il priorato di Castelletto
«per l’attribuzione della proprietà dell’alpe di Otro in Valsesia, ove i
cluniacensi facevano confluire i loro armenti, secondo l’uso della transumanza.
Infatti Guglielmo, priore di Castelletto, aveva fatto pignorare l’alpeggio, con-
(14) G. ANDENNA, Sanctimoniales Cluniacenses. Studi sui monasteri femminili di Cluny e sulla
loro legislazione in Lombardia (XI-XV secolo), Münster, LIT Verlag, 2005 (Vita Regularis.
Ordnungen und Deutungen religiösen Lebens im Mittelalter, 20), p. 85; cfr. anche L. MAGGIOTTI,
Notizie di Cavaglietto, cit., pp. 73, 133; G. ANDENNA, I priorati cluniacensi in Italia in età comu-
nale (secoli XI-XIII), in Die Cluniazenser in ihrem politisch-sozialen Umfeld, a cura di G.
Constable, G. Melville, J. Oberste, Münster, LIT Verlag, 1998 (Vita Regularis. Ordnungen und
Deutungen religiösen Lebens im Mittelalter, 7), p. 507.
(15) Nel 1092 i fratelli Ottone e Allone, del fu Azzone, con le loro consorti, Operto di
Aldo e Drogo, figlio di Ugo, entrambi professanti legge longobarda donarono la chiesa e una
porzione del castello: «Offerimus in eadem ecclesia Sancti Petri de Castelleto a presenti die
pro animarum nostrarum mercede idest ecclesia una edificata in fundo Cavalgni Mediano in
Honore Sancti Petri iuxta ecclesiam Sancti Victoris et nostra porcione de senioria cum omni
iure et pertinencia in eadem ecclesia fundo Cavalgni Mediano vel in eius territorio omnia et
ex omnibus ad ipsam ecclesiam pertinentibus in integrum. Que autem suprascripta ecclesia Sancti
Petri subiuta monasterio item Sancti Petri de Castelleto [...]». Copia della pergamena di fon-
dazione è conservata presso l’Archivio di Stato di Milano, Museo Diplomatico, pergamena c.
22, 682 / 989, 1092 luglio 18; un’altra copia cartacea si trova invece in Archivio Storico
Diocesano di Novara, Fondo Frasconi, Armadio Frasconi, ms. II, C, anno 1092 luglio 18. L’anno
successivo gli stessi donatori, insieme ad altri 33 comproprietari donarono l’intero castello
all’abbazia di Cluny: G. ANDENNA, Sanctimoniales Cluniacenses, cit., p. 62. L’atto di donazione
è conservato presso l’Archivio di Stato di Torino (ASTo), Materie ecclesiastiche, Monache
diverse, Cavaglio, Monache di S. Pietro, pergamena n. 1, 1093 luglio 10.
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stenza dell’ente ecclesiastico alla spogliazione dei suoi beni, per quanto pro-
fonda potesse essere la crisi in cui versava.
Nel 1277 l’alpe d’Otro risultava ancora contesa tra il priorato di Castelletto
e le monache di Cavaglietto (19), alle quali i monaci di Castelletto, per potervi
condurre le proprie mandrie, erano tenuti a corrispondere un fitto.
Il periodo tra la fine del Duecento e i primi anni del Trecento segnò la
crisi delle istituzioni ecclesiastiche cluniacensi: il monastero femminile di
Cavaglietto, al termine di un periodo molto travagliato, fu soppresso e divenne
poi un convento di clarisse; anche il priorato di Castelletto era ormai in con-
dizioni economiche critiche; a causa della cattiva amministrazione del priore
Filippo l’ente era ormai quasi in rovina, tanto che il vicario della provincia
cluniacense di Lombardia Beraldo ordinò la sospensione del priore e dei
monaci dall’amministrazione del patrimonio fondiario del priorato, proibendo
agli affittuari il versamento dei censi annuali ai religiosi.
Anche i rapporti tra i due enti non migliorarono affatto, anzi le crescenti
tensioni culminarono nel grave episodio del 1308, quando il priore e i monaci
di Castelletto
Nel corso dei secoli XIV e XV, la Chiesa novarese, beneficiaria delle con-
cessioni imperiali del 1025 e del 1060, non sembrò rassegnarsi a rinunciare ai
propri diritti sulla valle, e per ben tre volte, su istanza del vescovo di Novara
Uguccione dei Borromei, si fece nuovamente confermare la donazione di
(19) E. LOMAGLIO, La Valle d’Otro, in «de Valle Sicida», II (1991), pp. 27-28.
(20) G. ANDENNA, Le clarisse nel novarese, cit., pp. 54-55.
Interpretazioni e rassegne 591
a testimonianza del rilievo economico che rivestivano in quel tempo, gli alpeggi
facevano parte della cosiddetta pars dominica all’interno dei grandi patrimoni:
essi erano cioè gestiti direttamente dai detentori dei diritti di proprietà sulla
terra, tramite l’utilizzo di manodopera servile. Servi come quel Mauro de la
Rocca, ricordato nella donazione del 1083 (26), che con la moglie e i figli con-
duceva la mandria di bovini del conte Guido agli alpeggi di Otro e Lavozoso,
e che fu ‘ceduto’ all’abbazia di Cluny insieme al bestiame che accudiva e ai
pascoli che sfruttava.
Non disponiamo di indicazioni precise sulla struttura degli insediamenti
e sulle caratteristiche degli edifici rurali in questa epoca così remota, sappiamo
però che gli alpeggi erano già allora articolati in differenti zone situate a quote
crescenti, così da consentire lo spostamento stagionale delle mandrie dalle quote
più basse a quelle più alte e viceversa.
In Valsesia sono numerosi gli esempi di località che ancora oggi conser-
vano nei loro toponimi traccia della presenza di antichi insediamenti struttu-
rati in alpeggi e piedi d’alpeggio. I nomi delle località che furono un tempo
piedi d’alpeggio sono spesso preceduti dal termine Pè o Pede: in val Grande,
l’alpe di Mud e Pedemonte (Pede Moyt, Pè de Motis), l’alpe Alagna (Olen) e
Pedelegno (Pè d’Alagna), l’alpe Alzarella e Pè d’Alzarella, l’alpe Meggiana e
Piedimeggiana; in val Sermenza, l’alpe Fagiolo e Piè di Fagiolo. Talvolta viene
invece utilizzato il termine Campo: in val Grande, l’alpe Artogna e Campertogno;
in val d’Egua, l’alpe Ragozzi e Campo Ragozzi.
Per il piede d’alpeggio di Otro, situato nel comune di Alagna Valsesia non
lontano dal luogo dove sorge l’attuale frazione Resiga, sono attestate entrambe
le forme. Nella scarsa documentazione superstite risalente al Trecento com-
(26) A. BRUEL, Recueil des chartes, cit., vol. IV, doc. 3600, pp. 757-758.
(27) E. RIZZI, Storia dei Walser dell’Ovest. Vallese, Piemonte, Cantone Ticino, Valle d’Aosta,
Savoia, Oberland Bernese, Anzola d’Ossola, Fondazione Enrico Monti, 2004 (Atlante delle Alpi
Walser, II), p. 106.
Interpretazioni e rassegne 593
(28) Si trovano ad esempio citati: Giovanni fu Guiglino de Campo Oltri nel 1344; Enrigeto
e Pietro fu Alberto de Campo Oltri nel 1347 (ID., Sulla fondazione di Alagna, cit., p. 356, docc.
18 e 20).
(29) I nominativi che compaiono nella documentazione sono: Antonio fu Zanni de apud
Olterum nel 1417; Giovanni fu Pietro de apud Oltrum nel 1429; Milano fu Janni Petarelli de
apud Oltrum nel 1438; Giovanni Caligarius fu Pietro de aput Oltrum nel 1463; i fratelli Giovanni
e Pietro fu Milano de Petarello de aput Olterum e Antonio fu Martino de Prato de apud Oltrum
nel 1465; Giacomo di Pietro de Bige de apud Oltrum nel 1468; Antonio fu Giovanni Comolo
Burro de apud Oltrum e Giovanni fu Milano de Peterro de apud Oltrum nel 1472; Giacomo de
Bye de apud Oltrum nel 1474; Pietro fu Milano de Peterello de apud Oltrum nel 1491 (Ivi, p.
359, docc. 39, 41, 46; p. 360, docc. 53-55; p. 361, docc. 58 e 60; p. 363, doc. 74).
(30) I nomi citati: Antonio de Peterro Pedis Oltri nel 1489; Giovanni fu Giacomo de Bij
Pedis Oltri nel 1535; Antonio fu Milano de Bigii Pedis Oltri e i fratelli Antonio e Pietro fu
Giovanni de Sordano Pedis Oltri nel 1540 (Ivi, p. 362, doc. 71; p. 365, docc. 95 e 97).
(31) E. RIZZI, Storia dei Walser dell’Ovest, cit., p. 106.
594 Interpretazioni e rassegne
«Se lo sfruttamento dei pascoli e [...] dei boschi rappresenta una delle
attività economiche principali, non sorprende che esso sia reso più agevole
con insediamenti diffusi per il territorio. Si avverte infatti un’ininterrotta ten-
sione a denominare, oltre ai villaggi, le singole località, senza preoccupazione
della loro misura, quasi a fissarne il possesso e in molti casi, attraverso que-
sto, l’identità di coloro che lo detengono. La documentazione che reca prove
in questo senso risale ai secoli XIII e XIV e riflette sicuramente anche il
progresso nel popolamento vallivo» (32).
(32) P. GUGLIELMOTTI, Unità e divisione del territorio della Valsesia, cit., pp. 123-124.
(33) S. M. GILARDINO, La casa nella civiltà germanica, in Di legno e di pietra, cit, p. 68.
(34) Ivi, p. 69.
Interpretazioni e rassegne 595
sia la predilezione per l’utilizzo del legno come materiale di costruzione delle
proprie case.
Durante gli ultimi decenni una lunga e feconda stagione di studi (36) ha
permesso di chiarire molti aspetti delle migrazioni di popolazioni walser attra-
verso le Alpi, collocando finalmente questo fenomeno nel contesto del grande
impulso ai dissodamenti, alle bonifiche e alla colonizzazione di terre margi-
nali dei secoli XI-XIII. Tuttavia numerosi sono ancora gli aspetti che atten-
dono di essere studiati e chiariti; troppi i dubbi e troppo deboli i presuppo-
sti alla base di molte ipotesi e generalizzazioni. Il tempo della sintesi è ancora
lontano, è indispensabile affrontare analiticamente i molti nodi ancora irrisolti,
tra i quali, appunto, quello del ruolo della grande proprietà, laica ed eccle-
siastica, nell’attrarre, condizionare e gestire i flussi migratori dall’area dell’alto
Vallese.
La trasformazione degli alpeggi, sfruttati economicamente soltanto durante
la breve stagione estiva, in insediamenti permanenti rispondeva all’esigenza da
parte dei proprietari delle terre di incrementare il valore economico dei pro-
pri beni e di aumentare di conseguenza l’entità dei canoni riscossi dai con-
duttori dei fondi. Tale trasformazione è stata spesso descritta – in contributi
storiografici anche recenti sulle popolazioni walser e sulla loro storia (37) –
ROBERTO BELLOSTA
Università degli Studi di Milano
dell’VIII Convegno internazionale di studi Walser (Briga, Naters e Sempione, 14-15 settembre 1990),
a cura di E. Rizzi, Anzola d’Ossola, Fondazione Enrico Monti, 1992; L. ZANZI, E. RIZZI, I Walser
nella storia delle alpi: un modello di civilizzazione e i suoi problemi metodologici, Milano, Jaca
Book, 1988; E. RIZZI, I Walser, Atlante delle Alpi Walser, vol. I, Anzola d’Ossola, Fondazione
Enrico Monti, 2003; ID., Storia dei Walser dell’ovest: Vallese, Piemonte, Cantone Ticino, Valle
d’Aosta, Savoia, Oberland Bernese, Atlante delle Alpi Walser, vol. II, Anzola d’Ossola, Fondazione
Enrico Monti, 2004.