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DIRITTO DELL’UE (Parte speciale) - Strozzi

CAPITOLO VI – LE POLITICHE DI CONCORRENZA


La politica di concorrenza rivolta alle imprese private
Gli artt. 101 e 102 del TFUE disciplinano il comportamenti di imprese private sul mercato che potrebbero
alterare la concorrenza. Nel diritto UE l’impresa è qualunque soggetto che svolge una attività economica e
che potrebbe incidere sulla concorrenza del mercato a prescindere dalla natura giuridica e dalle modalità
di organizzazione. L’impresa deve avere un carattere concreto di autonomia (su di essa non deve essere
esercitato alcun controllo).

Le intese vietate ex art. 101: L’art. 101 vieta alle imprese di operare intese o di operare con pratiche
concordate che hanno come oggetto o l’effetto di impedire, restringere o falsare la concorrenza sul
mercato comune. Le intese vietate sono nulle. La nullità è insanabile, opera automaticamente e può
essere rilevata d’ufficio dal giudice o accertata dalle Istituzioni che vigilano sul mercato.
Per applicare l’art. 101 non è necessario che si verifichi una alterazione della concorrenza: è sufficiente la
possibilità che un determinato comportamento dell’impresa possa provocare tale effetto.
Un accordo tra imprese avente per oggetto l’impegno a tenere comportamenti lesivi della concorrenza
non costituisce violazione dell’art. 101 se le condizioni del mercato non consentono alle imprese di tenere
un comportamento diverso. In tal caso la limitazione della concorrenza è ricondotta ad una situazione di
fatto e non all’accordo tra le imprese.
Ai fini dell’applicazione della disciplina non è necessario che l’effetto anticoncorrenziale sia
effettivamente voluto dalle parti o se esso fosse più o meno prevedibile: ciò che rileva è solo la
produzione o la potenziale produzione di tale effetto.
Nell’ambito di applicazione della disciplina rientrano sia gli accordi che le pratiche concordate: non è
quindi necessario lo scambio del consenso ma è sufficiente che un soggetto assuma un comportamento in
corrispondenza del comportamento di un altro soggetto e che tali comportamenti nel loro insieme
producano una alterazione della concorrenza.
Ai fini dell’applicazione della disciplina vanno considerati tutti gli elementi che possono influenzare il
mercato e quindi sia i fattori anti che quelli pro concorrenziali. Le considerazioni diverse da quelle
sull’impatto sulla concorrenza vanno escluse.

Le esenzioni: La disciplina ex art. 101 non si applica agli accordi astrattamente distorsivi della concorrenza
che possono produrre effetti positivi sul processo di produzione o sul progresso tecnico-economico (par. 3
art. 101). Per essere esenti, gli accordi non devono imporre alle imprese restrizioni non necessarie, non
devono dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza, i vantaggi prodotti devono essere
distribuiti e deve essere mantenuto un mercato concorrenziale. Le esenzioni possono essere:
- Individuali: Le esenzioni individuali riguardano gli accordi. In base al sistema vigente prima del nuovo
regolamento 1/2003, l’esenzione veniva autorizzata dalla Commissione previa notifica dell’accordo di
cui si richiedeva l’esenzione. In base al regolamento 1/2003, l’art. 101 ha efficacia diretta pertanto
può essere applicato dai giudici nazionali o dagli organismi di vigilanza senza una previa decisione
della Commissione. Con il nuovo regolamento è venuto meno anche l’obbligo di notifica pertanto il
controllo è effettuato a posteriori in quanto sono le imprese che valutano l’esistenza dei presupposti
per l’esenzione e in caso positivo concludono gli accordi invocando l’art. 101, par. 3. Le imprese
devono dimostrare l’esistenza delle condizioni di esenzione.
- Per categoria: La Commissione può emanare regolamenti che stabiliscono l’esenzione per intere
categorie di accordi o pratiche concordate. L’esenzione è valutata in base alla quota di mercato

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detenuta dalle imprese e i regolamenti indicano una quota di mercato limite: se non è superata gli
accordi sono esenti, salvo l’inserimento di clausole nere che determinano la nullità dell’accordo e
salvo che gli organi di controllo non dimostrino la violazione del limite. Il superamento della quota
non consente l’esenzione ma l’impresa può dimostrare di poter beneficiare dell’esenzione individuale.

Abuso della posizione dominante ex art. 102


L’abuso di posizione dominante è disciplinato ex art. 102 del Trattato. Ciò che è vietato non è l’esistenza di
una posizione dominante (anche collettiva), ma l’abuso che si fa di essa.
Per stabilire la posizione dominante occorre definire il mercato rilevante ossia il mercato in cui opera
l’impresa (una posizione può essere dominante se valutata in un mercato ristretto e invece scomparire in
un mercato più ampio). Per determinare il mercato rilevante, la Commissione distingue tra:
- Mercato del prodotto: È quello che comprende tutti i prodotti che possono essere sostituiti dal
consumatore con i prodotti dell’impresa considerata;
- Mercato geografico: È quello in cui le condizioni di concorrenza dei prodotti considerati sono
omogenee tra di loro e permette di distinguere le varie zone.
Una volta definita la posizione dominante occorre stabilire quando essa viene sfruttata abusivamente. L’art.
102 elenca in via esemplificativa i comportamenti che possono costituire abuso di posizione dominante (ad
es. in tema di prezzo costituisce abuso la fissazione di prezzi minori o diversi per prestazioni equivalenti, o la
fissazione di prezzi troppo bassi rispetto ai costi di produzione o troppo alti rispetto alla prestazione).

I procedimenti di applicazione del diritto comunitario della concorrenza


L’applicazione ad opera della Commissione: Il procedimento può essere attivato d’ufficio dalla
Commissione o su denuncia di chi ha interesse. La Commissione, su cui grava l’onere di provare la
violazione antitrust, ha un ampio potere di accertamento in quanto può accedere ai locali dell’impresa ed
esaminare libri contabili e documenti. Inoltre può chiedere alle imprese informazioni ed esse hanno
l’obbligo di fornirle. Se però la richiesta è formulata in modo da richiedere la confessione della violazione,
l’impresa ha il diritto di non rispondere. Al termine della fase pre-istruttoria la Commissione può archiviare
la denuncia, respingere la denuncia o aprire un procedimento formale di infrazione. In tal caso la
Commissione ha l’obbligo di comunicare alle parti gli addebiti contestati che non possono essere
modificati. Le parti indagate possono illustrare per iscritto il loro punto di vista o chiedere una audizione
orale. Al termine del procedimento la Commissione può:
- Constatare l’esistenza di un’infrazione e disporne la cessazione: Se l’impresa ha contravvenuto
intenzionalmente o per negligenza, la Commissione indica anche i rimedi e applica ammende. La
Commissione può decidere di revocare il beneficio dell’esenzione di categoria agli accordi se accerta
che questi producono effetti incompatibili con l’art. 81. La Commissione può disporre misure cautelari
qualora ci sia presenza di un rischio grave e irreparabile per la concorrenza.
- Riconoscere l’inapplicabilità dei divieti ex artt. 101 e 102: L’inapplicabilità può derivare sia dalla
mancanza degli elementi ex art. 101, par 1, sia dal soddisfacimento delle condizioni previste dal par. 3.
In questo ultimo caso la decisione della Commissione ha valore dichiarativo e non costitutivo poiché
l’esenzione opera di diritto.

L’applicazione decentrata da parte delle autorità antitrust nazionali: La disciplina antitrust comunitaria
può essere applicata anche, in ciascuno Stato, dalle autorità nazionali garanti della concorrenza che hanno il
compito della tutela del pubblico interesse ad una concorrenza non falsata.
Tali organi possono adottare, d’ufficio o su richiesta, decisioni sulla cessazione dell’infrazione, disporre
misure cautelari, ammende e sanzioni o, se non sussistono elementi per l’infrazione, decidere di non

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intervenire. Tali autorità possono inoltre disporre la revoca del beneficio dell’esenzione per categorie
quando un’intesa, pur rientrando nel regolamento, determina effetti contrari all’art. 101.

L’applicazione giudiziale: Le procedure giudiziarie offrono la tutela di posizioni di natura privatistica. I


giudici nazionali sono competenti per l’applicazione degli artt. 101 e 102 in tema di diritti soggettivi
nell’ambito di un contenzioso che può avvenire su istanza di parte o d’ufficio. Diversamente dalla
Commissione e dalle autorità garanti, i giudici non hanno il potere di revoca del beneficio di esenzione di
categoria. Nello svolgimento del procedimento i giudici nazionali sono vincolati dal rispetto dei precedenti
della Corte di Giustizia e del Tribunale di I grado e dei regolamenti di esenzione comunitari ma possono
applicare la normativa processuale nazionale.

Il coordinamento tra le autorità competenti all’applicazione del diritto comunitario sulla concorrenza
Il regolamento 1/2003 ha rafforzato il decentramento nell’applicazione della disciplina antitrust pertanto è
necessario un coordinamento tra le autorità al fine di dare uniformità all’applicazione della disciplina ed
evitare un’applicazione differenziata da parte dei vari organi. Il coordinamento è svolto dalla Commissione.
Il coordinamento tra Commissione e autorità garanti nazionali: Il regolamento 1/2003 prevede che la
Commissione deve essere avvisata dell’avvio della procedura e in caso di gravi motivi di opportunità può
avocare a sé un procedimento avviato dalle autorità garanti nazionali. Se la procedura è avviata dalla
Commissione, le autorità nazionali sono private di competenza; se la procedura è avviata dalle autorità
garanti, la Commissione non è privata di competenza ma deve consultare l’autorità nazionale prima di
avviare il proprio procedimento.
I coordinamenti tra la Commissione e le autorità giudiziarie: Il regolamento 1/2003 vieta ai giudici
nazionali di adottare decisioni in contrasto con una precedente decisione della Commissione relativa alla
stessa violazione. Però il giudice può effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte per far valere l’invalidità
della pronuncia. La commissione e le autorità garanti possono intervenire nel giudizio interno presentando
osservazioni scritte o orali nel rispetto del diritto processuale degli Stati membri.

L’ambito di applicazione del diritto comunitario di concorrenza


Il diritto comunitario della concorrenza può essere applicato se il comportamento di un’impresa è idoneo a
pregiudicare il commercio tra gli Stati. In caso contrario gli artt. 101 e 102 non possono essere applicati e
può essere applicata solo la normativa nazionale della concorrenza.
Il pregiudizio al commercio comunitario sussiste quando un accordo o una pratica può avere (anche
potenzialmente) un’influenza sul mercato comunitario interessando almeno 2 Stati membri. Non esiste
pregiudizio al commercio comunitario quando l’accordo, pur avendo impatto sulla concorrenza, produce
effetti prevalentemente nel territorio di un solo Stato membro o di paesi extracomunitari.

I rapporti tra diritto comunitario e diritto nazionale antitrust: Quando un comportamento è contrario al
diritto antitrust comunitario e nazionale, può essere preso in considerazione da entrambi gli ordinamenti e
può essere colpito dalle sanzioni previste da ciascuno di essi. Il regolamento 1/2003 consente l’applicazione
parallela del diritto antitrust comunitario e nazionale ma:
- Gli Stati membri non possono sancire una violazione antitrust per quelle intese che risultano lecite ai
sensi del diritto comunitario;
- Le autorità nazionali devono sempre applicare (oltre all’eventuale diritto nazionale) gli artt. 101 e 102
quando il comportamento in questione rientra nel campo di applicazione del diritto comunitario.

La delimitazione territoriale: La Corte ha stabilito che l’UE può sanzionare anche i comportamenti lesivi

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della concorrenza tenuti fuori del territorio della comunità se gli effetti si verificano all’interno del territorio
comunitario. L’UE può quindi sanzionare un comportamento posto in essere da imprese con sede al di fuori
del territorio comunitario che però, attraverso l’attività di filiali o succursali posti all’interno della comunità,
pregiudica il libero gioco della concorrenza all’interno della comunità stessa.

Il diritto della concorrenza in materia di concentramento tra imprese


Il regolamento 139/2004 si applica alle sole concentrazioni di dimensioni comunitarie. Per concentrazione
si intendono sia le operazioni di fusione che di acquisto del controllo di un’altra impresa.
La competenza sulle concentrazioni di dimensioni comunitarie è esclusiva della Commissione pertanto
non spetta anche alle autorità nazionali. Le concentrazioni vanno notificate alla Commissione e non
possono essere realizzate finché la Commissione non ha dichiarato che sono compatibili con il mercato
comune. Il regolamento 139/2004 pone considera non compatibili con il mercato comune quelle
concentrazioni che pur non costituendo una posizione dominante provocano un eccessivo aumento dei
prezzi o una riduzione delle possibilità di scelta del consumatore. Possono invece risultare compatibili
quelle concentrazioni che pur costituendo una posizione dominante possono produrre effetti positivi.

PARTE II – LA POLITICA DI CONCORRENZA RIVOLTA AGLI STATI MEMBRI


La disciplina dei comportamenti sul mercato di imprese pubbliche o incaricate della gestione di servizi
pubblici: La disciplina di tali imprese è contenuta ex art. 106 che si compone di 3 norme:
1) La prima vieta agli Stati di emanare nei confronti di tali imprese misure contrarie alle norme
comunitarie sulla concorrenza;
2) La seconda riguarda l’applicabilità a tali imprese delle regole sulla concorrenza;
3) La terza stabilisce il potere normativo della Commissione che può emanare decisioni individuali o
direttive nei confronti degli Stati membri.
Le prime due norme dell’art. 106 pongono dei limiti alla attività normativa e imprenditoriale degli Stati
membri in quanto stabiliscono che essi non possono adottare per le imprese pubbliche o che svolgono
servizi pubblici misure contrarie a ciò che prevede il Trattato sulla concorrenza.
Le due norme sono però autonome tra di loro in quanto la prima ha un contenuto più ampio perché
riguarda l’attività normativa dello Stato membro, mentre la seconda riguarda il comportamento delle
imprese sul mercato. Pertanto l’art. 106 nel suo insieme non riguarda solo il comportamento delle
imprese e costituisce sua violazione ogni atto dello Stato teso a sottrarre alla concorrenza un settore
senza sufficienti motivazioni di carattere generale. Infatti, la deroga alle leggi comunitarie sulla
concorrenza è consentita solo se è giustificata da un interesse pubblico nel rispetto del principio di
proporzionalità tra la realizzazione dell’interesse generale e l’alterazione della concorrenza nel mercato.

Le due fasi di applicazione dell’art. 106: Nell’applicazione dell’art. 106 si possono individuare 2 fasi:
- Prima fase: In questa fase le Istituzioni UE hanno lasciato agli Stati una certa discrezionalità nel
valutare l’esistenza di un interesse pubblico che giustifica una deroga alle leggi della concorrenza e
nello stabilire la misura di tale deroga;
- Seconda fase: In questa fase Commissione ha cominciato ad utilizzare i poteri normativi ex art. 106,
par. 3 per effettuare un’attività di liberalizzazione di settori protetti (energia, gas) spingendo gli Stati
ad una politica di regolazione tesa ad aprire tali settori alla concorrenza nel rispetto delle esigenze di
carattere sociale-politico.

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II MISURE STATALI E NORMATIVA COMUNITARIA SULLA CONCORRENZA
Nel Trattato non ci sono norme che pongono obblighi agli Stati membri in relazione alle norme sulla
concorrenza rivolte alle imprese. Tuttavia la Corte ha stabilito che il Trattato obbliga gli Stati membri ad
astenersi dall’emanare norme che possono rendere inefficaci i divieti posti alle imprese private ex art.
102. Tale principio viene ricavato dalla Corte dalla combinazione dell’art. 3-g) (che indica tra gli obiettivi
della comunità un mercato comune con una concorrenza non falsata), dell’art. 10 (che obbliga gli Stati ad
assicurare l’esecuzione degli obblighi posti dal Trattato) e degli art. 101 e 102. Infatti, tale combinazione fa
nascere in capo agli Stati l’obbligo di non utilizzare il proprio potere normativo in modo da ostacolare
l’efficacia del diritto comunitario antitrust.

Il criterio applicativo della norma: Occorre definire l’ambito di applicazione dell’obbligo posto in capo agli
Stati dalla combinazione degli artt. 3-g, 10, 101 e 102. Secondo la Corte, la normativa statale che richiede
un comportamento attivo dell’impresa privata è incompatibile con le norme comunitarie. Tale
orientamento non può essere considerato del tutto convincente in quanto è difficile determinare quando
la norma statale è illegittima. Una volta che la normativa statale è riconosciuta incompatibile con il diritto
comunitario essa deve essere disapplicata sia dalle autorità giudiziarie che dalle autorità garanti.
Se il soggetto privato si è attenuto alla normativa statale che non gli lascia discrezionalità, la sanzione al
privato (derivante dalla violazione delle norme UE) è inapplicabile. Il privato è invece soggetto alla
sanzione prevista dall’ordinamento comunitario se la norma nazionale incompatibile non pone un
obbligo ma lasci una certa discrezionalità sul comportamento da tenere.

CAP. VIII POLITICA COMMERCIALE COMUNE


La politica commerciale comune è una delle fondamentali azioni poste in essere dalla comunità ed e
fondata su principi uniformi sulla conclusione di accordi tariffari e commerciali, sulla politica di
esportazione, sull’adozione di misure di difesa commerciale da adottare in casi di dumping e sovvenzione.
I trattati di Maastricht, Amsterdam e Nizza hanno introdotto alcune modifiche al Trattato.
Trattato di Maastricht: Ha previsto che se la comunità deve intraprendere un’azione comune per
interrompere le relazioni economiche con uno o più Stati terzi, le misure urgenti vengono prese dal
Consiglio a maggioranza qualificata e su proposta della Commissione.
Trattato di Amsterdam: Prevede che in materia di politica commerciale il Consiglio può adottare misure
per rafforzare la cooperazione doganale tra stati Membri e tra questi e la Commissione.
Trattato di Nizza: Ha portato modifiche che da un lato sembrano aumentare le competenze dell’UE,
dall’altro rafforzano le posizioni degli Stati membri. Infatti ha incluso nella politica commerciale comune
alcuni settori prima esclusi e ha affermato la facoltà degli Stati membri di concludere accordi con paesi
terzi o con OI purché siano conformi al diritto comunitario e ai relativi accordi internazionali in materia.

Specifici strumenti della politica commerciale comune: Gli strumenti di realizzazione della politica
commerciale comune sono:
- Politica Tariffaria: L’UE ha introdotto una tariffa doganale comune applicata, da tutti gli Stati membri,
ai prodotti provenienti da paesi terzi. I prodotti provenienti da Stati terzi devono essere sdoganati
solo una volta da uno degli Stati membri e da quel momento sono liberi di circolare nel territorio
comunitario. La Tariffa Doganale Comune viene fissata annualmente da un regolamento del Consiglio
ed è amministrata dalla Commissione. Sono previsti trattamenti particolari per i paesi in via di
sviluppo per i prodotti dei quali l’UE applica tariffe preferenziali.
- Regimi di importazione/esportazione: Salvo i casi in cui la Comunità è vincolata da accordi
internazionali, la politica di importazione ed esportazione viene decisa in comune dagli Stati membri e

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viene attuata tramite regolamenti del Consiglio. Per le importazioni la regola generale è quella della
libertà delle importazioni ma, se ricorrono i presupposti, possono essere applicate misure
temporanee di salvaguardia. Anche per le esportazioni la regola generale è per la libertà delle
esportazioni ma possono essere limitate in caso di scarsità dei prodotti.
- Le misure di difesa commerciale: Le misure di difesa commerciale sono di 2 tipi: quelle che pongono
un rimedio al pregiudizio subito dai produttori comunitari a seguito delle importazioni da paesi terzi, e
quelle volte a neutralizzare gli effetti prodotti da pratiche illecite. Le prime sono misure di
salvaguardia che la Commissione può adottare solo dopo aver verificato che sussistono i presupposti
(altrimenti si può incorrere in responsabilità internazionale). Le seconde (misure antidumping e
misure antisovvenzione) sono misure che tendono a reagire a pratiche definite illecite dal GATT.
- Misure antidumping: L’UE può imporre un dazio antidumping su qualunque prodotto oggetto di
dumping se la sua libera circolazione può causare un pregiudizio alla comunità. Un prodotto è oggetto
di dumping se il suo prezzo di esportazione nella comunità è inferiore al prezzo applicato nel paese
esportatore (l’impresa di paese terzo vende i propri prodotti ad un prezzo inferiore a quello normale).
- Misure antisovvenzione: Un apposito regolamento stabilisce norme per proteggere le imprese
comunitarie contro le importazioni sovvenzionate provenienti da paesi terzi. In tal caso la condotta
illecita non è imputabile alle imprese (come nel dumping) ma allo Stato terzo che, riducendo gli oneri,
consente alle sue imprese di praticare prezzi ridotti danneggiando le imprese comunitarie
concorrenti. In tal caso l’UE può adottare un dazio compensativo che compensa la sovvenzione
concessa alla produzione, esportazione o trasporto di prodotti a cui commercializzazione nell’UE
provoca un grave pregiudizio.

La natura esclusiva della competenza comunitaria nella politica commerciale comune e la


giurisprudenza della Corte: Sin dai primi anni di vita l’UE ha utilizzato i suoi poteri per negoziare e
concludere trattati internazionali nelle materie di propria competenza. Ciò è stato possibile anche grazie
all’orientamento Corte che ha mirato ad accrescere le competenze esterne dell’UE escludendo dove
possibile il potere concorrente degli Stati membri. In una sentenza la Corte ha stabilito il principio del
parallelismo delle competenze in base al quale, anche nelle materie non espressamente attribuite, se l’UE
adotta norme comuni, gli Stati membri non hanno più il potere di contrarre con Stati terzi obbligazioni che
incidono su tali norme. In seguito la Corte ha attenuato tale interpretazione stabilendo dei limiti
all’esclusività della competenza dell’UE in tema di politica commerciale comune. A seguito di ciò e del
Trattato di Nizza, si può parlare di 2 differenti regimi per gli accordi di politica commerciale comune: uno
esclusivo dell’UE e concorrente con gli Stati membri.

Accordi puramente comunitari e prassi degli accordi misti: Per accordi puramente comunitari si
intendono gli accordi che rientrano nella competenza esclusiva dell’UE e che quindi vincolano gli Stati
membri anche se essi non vi prendono parte.
Il fatto che gli Stati membri non sono favorevoli ad abbandonare i loro poteri sovrani ha moltiplicato nella
prassi i cosiddetti accordi misti: accordi negoziati e ratificati dall’UE e rafforzati dalla firma dei
rappresentanti degli Stati membri. Tali accordi sono di natura diversa (accordi di associazione, accordi nel
contesto di organizzazioni internazionali o di cooperazione internazionale) ma hanno in comune il fatto
che non sono attribuibili alla competenza esclusiva dell’UE e che il perfezionamento dell’accordo implica
la ratifica da parte degli Stati membri. La dottrina attribuisce a tali accordi natura bilaterale poiché la
posizione contrattuale dell’UE e degli Stati membri è ritenuta unitaria.

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Gli accordi commerciali. Il GATT e la sua inidoneità a produrre effetti diretti: Nell’ambito della politica
commerciale comune l’UE può concludere accordi tariffari e commerciali. L’UE ha posto in essere accordi
con paesi terzi (sia europei che extraeuropei) che hanno istituito unioni doganali o zone di libero scambio.
Il principale accordo internazionale commerciale è L’accordo Generale sulle Tariffe e sul Commercio
(GATT) inglobato nell’Accordo Sull’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC o WTO). Il GATT è stato
il più efficace strumento di liberalizzazione del commercio mondiale poiché ha previsto per le merci la
riduzione dei diritti doganali e il divieto di restrizioni quantitative tra Stati contraenti.
Sebbene il GATT è stato concluso dai singoli Stati membri prima del Trattato di Roma, l’UE si è
gradualmente sostituita agli Stati membri anche se non si è pervenuti ad una concreta vincolatività delle
norme GATT a carico dell’UE. Infatti la Corte ha affermato che la validità degli atti emessi dalla comunità
può essere inficiata da una norma di diritto internazionale solo se tale norma è vincolante per la comunità
attribuendo ai cittadini UE il diritto di esigerne l’osservanza. Pertanto la Corte ammetterebbe il controllo
di legittimità sugli atti comunitari alla luce del GATT solo se esso contenesse norme direttamente efficaci,
cosa che deve negarsi in quanto esse sono caratterizzate da ampia flessibilità e possibilità di deroga.

Gli accordi di associazione e la loro idoneità a produrre effetti diretti: Il Trattato Cee prevedeva sin
dall’inizio che l’UE potesse concludere, con Stati terzi o OI, accordi di associazione caratterizzati da diritti e
obblighi reciproci e azioni in comune. La dottrina più recente ha sottolineato la somiglianza degli accordi
di associazione con quelli commerciali sottolineando che i primi implicano una collaborazione più intensa
rispetto a quelli commerciali perché prevedono l’istituzione di organi comuni e perché mirano a
raggiungere una maggiore integrazione con l’economia comunitaria.

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