Sei sulla pagina 1di 52

lezione 1 → LE REGOLE DELLA CONCORRENZA APPLICABILI ALLE IMPRESE

LE FONTI NORMATIVE DI RANGO PRIMARIO (GENERALI)


Art. 3 TFUE, include tra i settori rientranti nella COMPETENZA ESCLUSIVA dell’Unione la
“definizione delle regole della concorrenza necessarie al funzionamento del mercato
interno”.
Art. 119 TFUE richiede una politica economica dell’Unione e da parte degli Stati membri
“condotta conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera
concorrenza” (principio riproposto anche dall’art. 120 TFUE).
Protocollo 27 al TFUE (sul mercato interno e sulla concorrenza), ha lo stesso valore
giuridico dei Trattati, il quale afferma che “il mercato interno ai sensi dell’articolo 3 del trattato
sull’Unione europea comprende un sistema che assicura che la concorrenza non sia
falsata”; il medesimo Protocollo 27, nella parte dispositiva evoca la possibilità di ricorrere
anche all’art. 352 TFUE (c.d. clausola di flessibilità) per adottare misure rivolte a
realizzare tale obiettivo in assenza di attribuzione da parte dei Trattati dei necessari poteri di
azione (il Consiglio delibera all’unanimità, su proposta della Commissione e previa
approvazione del Parlamento; deroga al principio di attribuzione secondo il quale l’UE è
competente solo nei settori in cui un suo intervento sia espressamente contemplato dai
Trattati e soltanto per gli obiettivi ivi indicati).

FONTI NORMATIVE DI RANGO PRIMARIO (SPECIFICHE)


Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE): Sezione I, Regole applicabili
alle Imprese:
- Art. 101 – 102: Divieto di Intese e Abuso di Posizione Dominante;
- Art. 103 – 105: regole relative all’applicazione dei due divieti;
- Art. 106: regole speciali relative ad imprese pubbliche o incaricate della gestione di
servizi di interesse economico generale.

Sezione II, Aiuti statali alle Imprese:


- Art. 107 - 109: normativa relativa al divieto di Aiuti di Stato.

La disciplina delle c.d. CONCENTRAZIONI tra imprese non è contenuta nei Trattati ma in
atti di diritto derivato dell’UE: Reg. 139/2004 del Consiglio; Reg. 802/2004 della
Commissione (Reg. di esecuzione del Reg. 139/2004); Comunicazioni della Commissione.

RATIO E FINALITA’ DELLA NORMATIVA


La politica della concorrenza ha lo scopo di preservare la struttura competitiva del mercato,
in modo da assicurare un’efficiente allocazione delle risorse e, conseguentemente, la
migliore qualità dei beni e servizi offerti dalle imprese al prezzo più basso possibile, nonché
una maggiore possibilità di scelta per i consumatori.
Obiettivo dell’UE: garantire concorrenza sana ed efficace (workable competition).
I divieti di cui agli artt. 101 e 102 del TFUE si configurano quali risvolti in chiave privatistica
delle disposizioni del TFUE in materia di libera circolazione delle merci, dei servizi, dei
lavoratori e dei capitali e contribuiscono a realizzare l’obiettivo del MERCATO UNICO. Gli
artt. 101 e 102 TFUE sono volti ad impedire che tale unificazione sia vanificata da
comportamenti tesi ad isolare i singoli mercati.
In un regime di concorrenza leale e non falsata, le imprese hanno interesse ad offrire
prodotti migliori a prezzi più bassi, rappresentando ciò un sicuro fattore di PROGRESSO

1
ECONOMICO nonché vantaggio per i CONSUMATORI finali (per i riferimenti alla tutela dei
consumatori: art. 101, par. 3, TFUE nello stabilire le condizioni per dichiarare il divieto
inapplicabile prescrive che l’intesa deve riservare “agli utilizzatori una congrua parte dell’utile
che ne deriva”; art. 102, secondo comma, lett. b), considera abusive e vietate le pratiche di
un’impresa dominante consistenti nel “limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo
tecnico, a danno dei consumatori”).

COMPETENZA ESCLUSIVA DELL’UNIONE EUROPEA


Art. 3 TFUE, include tra i settori rientranti nella competenza esclusiva dell’Unione la
“definizione delle regole della concorrenza necessarie per il funzionamento del mercato
interno” competenze dell’UE possono essere:
A) Esclusive;
B) Concorrenti;
C) Competenze di sostegno, coordinamento e completamento, c.d. del terzo tipo.

COMPETENZA ESCLUSIVA→ Art. 2 TFUE: “Quando i trattati attribuiscono all’Unione una


competenza esclusiva in un determinato settore, solo l’Unione può legiferare e adottare
atti giuridicamente vincolanti. Gli Stati membri possono farlo autonomamente solo se
autorizzati dall’Unione oppure per dare attuazione agli atti dell’Unione”.

AUTORITA’ NAZIONALE
In Italia, L. 287/1990, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM).
“Se le imprese, invece di competere tra loro, si mettono d’accordo e coordinano i loro
comportamenti sul mercato restringono la concorrenza, danneggiando i consumatori
o gli altri concorrenti. L’Antitrust vigila perché questo non accada e sanziona chi viola la
legge.
L’Autorità interviene anche quando un’azienda abusa del suo potere di mercato,
imponendo ai consumatori prezzi troppo elevati o chiudendo l’accesso ai potenziali
concorrenti o, ancora, attuando politiche che taglino fuori le imprese che competono sullo
stesso mercato.
Quando due aziende si fondono, o un’azienda ne compra un’altra, l’Antitrust verifica
che la nuova impresa non abbia un eccessivo potere di mercato. Se ritiene che
esistano rischi per la competizione può vietare la fusione o imporre misure che mitighino gli
effetti anticoncorrenziali”.

RAPPORTO TRA NORMATIVA INTERNA E NORMATIVA COMUNITARIA


Art. 3 TFUE, include tra i settori rientranti nella competenza esclusiva dell’Unione la
“definizione delle regole della concorrenza necessarie al funzionamento del mercato
interno”.
In proposito, Regolamento del Consiglio 1/2003, ha definito la disciplina dei rapporti tra
normativa europea e nazionale della concorrenza, ed ha istituito una serie di meccanismi
volti a:
a) Attribuire alle amministrazioni nazionali, e segnatamente alle Autorità antitrust
nazionali, talune competenze in passato riservate alla Commissione;
b) Favorire l’utile cooperazione tra questa e le Autorità attraverso un costante scambio
di informazioni e una consultazione reciproca.

2
Ripartizione delle competenze:
La competenza dell’Unione sussiste nel caso in cui venga posto in essere un
comportamento idoneo a pregiudicare il commercio TRA STATI MEMBRI (stabilire il c.d.
“Mercato Rilevante”).
La competenza dell’Unione lascia intatta la competenza degli STATI MEMBRI in ordine alla
disciplina di quei comportamenti delle IMPRESE che abbiano effetti anticoncorrenziali sul
piano MERAMENTE NAZIONALE, senza coinvolgere gli scambi tra Stati membri.

BARRIERA UNICA/DOPPIA BARRIERA


Un determinato comportamento tenuto da una Impresa può essere suscettibile di provocare
effetti anticoncorrenziali tanto a livello di commercio tra Stati membri, che a livello nazionale.
Domanda: È possibile l’applicazione parallela e congiunta di entrambe le discipline?
Due soluzioni:
- Doppia Barriera: applicazione congiunta di entrambe le normative, chiaramente nel
rispetto delle condizioni di applicazione di ciascuna di esse;
- Barriera Unica: se una fattispecie ricade nel campo del diritto dell’UE, la normativa
nazionale non è applicabile.

In via generale, manca un intervento del legislatore ma la Corte sembra aver ammesso
l’applicabilità del principio della “Doppia Barriera”, considerando come le normative
agiscano in ogni caso su due piani diversi.
In tal caso è stato tuttavia precisato, in applicazione del principio del PRIMATO DEL
DIRITTO DELL’UE, che:
- La normativa nazionale non deve in ogni caso impedire l’applicazione uniforme del
diritto UE e il pieno effetto dei suoi provvedimenti
- Le ammende siano in ogni caso “proporzionate” e tengano conto della doppia
applicazione normativa;
- In ogni caso, se una condotta è illecita secondo il diritto dell’UE non può ritenersi
“scriminata” solo perché una normativa nazionale la permette o non la considera
ugualmente illecita.

Precisazione, Reg. n. 1/2003:


(a)Intese: se un comportamento non è vietato ai sensi del diritto dell’UE (art. 101) non può
esserlo nemmeno ai sensi del diritto nazionale;
(b)Abuso di Posizione Dominante: un comportamento meramente unilaterale può essere
vietato dal diritto nazionale, anche se non rientra nell’ambito di applicazione del diritto
dell’UE (art. 102).

APPLICABILITA’ EXTRATERRITORIALE
Domanda: E’ possibile applicare le norme dell’UE sulla concorrenza nei confronti di Imprese
appartenenti a Stati terzi?
Tale applicabilità appare ammesso; tuttavia, di discute se, quale CRITERIO DI
COLLEGAMENTO:
a) sia sufficiente che gli effetti della condotta anticoncorrenziale si facciano sentire sul
mercato interno (c.d. TEORIA DEGLI EFFETTI);
b) sia necessaria una certa localizzazione sul territorio UE (es. presenza di filiali o
agenti; c.d. TEORIA DELLA TERRITORIALITA’).

3
Quando ha potuto, la Corte ha fatto riferimento al criterio della territorialità (presenza di filiali
o agenti) per legittimare l’intervento della Commissione (Sentenza 14 luglio 1972, causa
48/69, Imperial Chemical Industries) .
Tale sentenza ha avuto ad oggetto un cartello di prezzi di coloranti realizzato da imprese con
sedi in paesi terzi; la Corte ha rilevato che «valendosi del proprio potere direttivo nei
confronti delle proprie affiliate con sede nella Comunità, la ricorrente è riuscita a far
applicare la sua decisione sul mercato comunitario»
Successivamente, la Corte è in ogni caso ricorsa al criterio dell’attuazione (ha dato cioè
rilevanza al fatto che l’intesa fosse attuata nel territorio dell’UE, anche se conclusa altrove).
Sentenza c.d. Pasta di Legno, la Corte dichiarava contrario al mercato interno un cartello
sui prezzi concluso dai maggiori produttori di pasta di legno con sede in Canada, Stati Uniti,
Finlandia e Svezia (al tempo tutti paesi terzi), che vendevano ad acquirenti dell’UE. La Corte
qui non ha considerato la presenza di filiali o agenti ma solo il fatto che l’intesa fosse stata
attuata sul territorio dell’UE.
Un esplicito riferimento alla teoria degli effetti è stato fatto nella recente sentenza Intel
(sentenza 6 settembre 2017) in cui la Corte ha condannato la società Intel (compagine di
diritto americano) per un serie di condotte, quali «sconti fedeltà» volti a far sì che certe
imprese costruttrici di apparecchiature informatiche (es. Lenovo, HP) acquistassero
microprocessori solo da Intel.
La Corte ha giudicato l’effetto pregiudizievole diretto sul mercato interno (art. 102) che il
comportamento di Intel era suscettibile di produrre secondo il criterio degli “effetti probabili”
ovvero secondo un criterio di “prevedibilità”. L’effetto prodotto era riconducibile alla
indisponibilità sul mercato mondiale, e su quello dell’Unione, di computer portatili
Lenovo dotati di microprocessori forniti da concorrenti di Intel.

ISTITUZIONI E FONTI DERIVATE


CONSIGLIO: ha il potere di adottare, su proposta della Commissione e previa consultazione
del Parlamento Europeo, i necessari atti d’applicazione delle norme del Trattato (art. 103,
TFUE).
Tipologia di atti: Regolamenti e Direttive (atti non legislativi; l’art. 103 TFUE non qualifica la
procedura decisionale come legislativa).
Art. 103 TFUE è la “base giuridica” di numerosi e importanti interventi nel settore.
Regolamenti principali: Regolamenti (CE) n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002,
concernente l’applicazione delle regole della concorrenza; Regolamenti (CE) n. 139/2004
del Consiglio, del 20 gennaio 2004, relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese.
CLAUSOLA DI FLESSIBILITA’, art. 352 TFUE (deroga al principio di attribuzione,
richiamata dal Protocollo 27): “Se un’azione dell’Unione appare necessaria nel quadro delle
politiche che definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai Trattati senza che
questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio,
deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del
Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate. Allorché adotta le disposizioni in
questione secondo una procedura legislativa speciale, il Consiglio delibera altresì
all’unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento
europeo”.
COMMISSIONE, effettiva “guardiana della Concorrenza”.
La Commissione è “organo di persone”, non legate ad un vincolo di rappresentanza ad uno
Stato membro. I componenti della Commissione devono soddisfare requisiti di
INDIPENDENZA e PROFESSIONALITA’ (art. 17 TUE). L’art. 245 TFUE, impegna gli Stati a

4
rispettare l’indipendenza dei membri della Commissione e a non cercare di “influenzarli
nell’esercizio dei loro compiti”.
Ricopre un ruolo di primaria importanza nel garantire lo sviluppo e l’applicazione del diritto
UE della concorrenza in quanto:
- Ha poteri ispettivi e di controllo e vigilanza;
- Adotta annualmente una Relazione sulla Politica di Concorrenza (raccolta di
«prassi»);
- Compie un monitoraggio dei mercati e indagini settoriali per individuare potenziali
problemi di concorrenza, cooperando con le Autorità nazionali (es: AGCM italiana);
- Emana documenti esplicativi (linee guida e comunicazioni).

Tipologia di atti: COMUNICAZIONI, ORIENTAMENTI e LINEE GUIDA per rendere noto


come intende dare applicazione al diritto della concorrenza ed in particolare agli artt. 101 e
102 con riferimento a determinate questioni o categorie di fattispecie. (c.d. Soft Law: atti
senza vera e propria efficacia vincolante, ma tali da ingenerare una legittima aspettativa che
la Commissione rispetti le regole in essi espresse).
La Commissione si “autolimita nell’esercizio del suo potere discrezionale e non può
discostarsi dal contenuto della comunicazione senza incorrere in violazione di principi
generali del diritto, segnatamente quelli della parità di trattamento e della tutela del legittimo
affidamento”.
“Quando la Commissione adotta orientamenti destinati a precisare, nel rispetto del Trattato, i
criteri che intende applicare nell’esercizio del suo potere discrezionale, ne deriva
un’autolimitazione di tale potere in quanto la detta istituzione è tenuta a conformarsi alle
norme indicative che essa stessa si è imposta”.
Un atto della Commissione che non si conformi alle indicazioni della stessa Commissione
potrà essere oggetto di ricorso per annullamento.
Ulteriori fonti: regolamenti di secondo grado adottati su delega del Consiglio e la prassi
(non tradotta in comunicazioni, orientamenti e linee guida) costituita dalle decisioni adottate
dalla Commissione nei singoli casi concreti (la prassi della Commissione viene pubblicata
annualmente nella Relazione sulla politica della concorrenza, presentata poi al Parlamento
Europeo). La prassi non può in ogni caso fondare un legittimo affidamento da parte dei terzi,
e non legittima un ricorso per annullamento.

SOGGETTI “PASSIVI”: GLI STATI


Gli artt. 101 e 106 sono diretti ad imporre determinati divieti alle IMPRESE.
Da tali disposizioni discendono però obblighi anche a carico degli STATI membri.
In ragione dell’obbligo di leale cooperazione (art. 4 TUE) letto in combinato disposto con gli
artt. 101 e 102 del TFUE, GLI STATI SONO TENUTI “AD ASTENERSI DALL’ EMANARE
O DAL MANTENERE IN VIGORE PROVVEDIMENTI CHE POSSANO RENDERE
PRATICAMENTE INEFFICACI TALI NORME”.
Gli Stati in particolare non devono adottare o mantenere in vigore provvedimenti, anche di
natura legislativa o regolamentare, idonei ad eliminare l’effetto utile delle regole applicabili
alla concorrenza.
Il divieto può risultare violato in particolare:
1) Nel caso vengano RAFFORZATI gli effetti di un'intesa vietata ai sensi dell’art.
101.
2) Nel caso cui vengano DELEGATI da parte dei poteri pubblici proprie
competenze ad operatori privati (ad es. per fissare tariffe obbligatorie o il rilascio di

5
determinate autorizzazione all’esercizio di specifiche attività; In tal caso, ove venga
rimessa la determinazione di tali requisiti ad es. a delle organizzazioni di categoria
senza il vaglio dell’autorità pubblica, e senza che dunque nel caso di specie venga
tutelato l’interesse generale e delle categorie non rappresentate in seno a tali
organismi, ma che con esse hanno rapporti, è probabile che tale pratica venga
considerata illegittima ai sensi degli artt. 101 e 102 TFUE; più in particolare, 101
TFUE).
3) Nel caso in cui misure nazionali IMPONGONO LA CONCLUSIONE di un'intesa
vietata ex art. 101 TFUE.
La Corte in questi casi valuta che l’intesa non persegua in ogni caso un “obiettivo legittimo”
e, secondo un criterio di “proporzionalità”, non vada oltre quanto richiesto per raggiungerlo.
Eventualmente, se tali parametri sono rispettati nei singoli casi di specie, la normativa
nazionale potrebbe essere anche considerata compatibile col mercato interno; si tratta
tuttavia di una valutazione da effettuare caso per caso.

Responsabilità Stati/Imprese:
Occorre poi chiedersi se, in caso di normative nazionali che facilitino o impongono intese
vietate, sussista poi una RESPONSABILITA’ degli Stati membri e delle IMPRESE in ogni
caso.
Nel caso occorre valutare il grado di discrezionalità che l’intervento statale lascia alle
Imprese e il grado di concorrenza che lascia sopravvivere.
Se la normativa nazionale lascia intatto un certo grado di concorrenza, le Imprese saranno
responsabili nel caso in cui concludano accordi che, pur sulla base della normativa
nazionale, violano gli artt. 101 e 102 TFUE (eventualmente l’esistenza di una normativa
nazionale potrebbe influire sulla quantificazione delle ammende, in senso di una loro
attenuazione).
Diversamente, se la normativa nazionale non lascia spazi discrezionali ed elimina ogni
forma di concorrenza, solo gli Stati saranno ritenuti responsabili di tali violazioni.

SOGGETTI PASSIVI: LE IMPRESE


Il TFUE non fornisce una definizione “comunitaria” di IMPRESA.
La nozione viene fornita dalla Corte di Giustizia, la quale ha definito impresa ai sensi degli
artt. 101 e 102 TFUE:
“Qualsiasi entità che esercita un’attività economica”, da intendersi come, “qualsiasi
attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato”.
Non rileva:
- Lo status giuridico (privato o pubblico);
- La modalità di finanziamento e organizzazione;
- L’assenza del fine di lucro.

Soggetti che offrono beni e servizi sul mercato possono costituire “IMPRESA” a
livello comunitario anche se non ricoprono la qualifica di impresa negli ordinamenti
nazionali.
Ai fini della normativa UE della concorrenza sono “imprese”:
- Liberi professionisti (es. avvocato) anche se esercitano attività prevalentemente
intellettuale;
- Federazioni sportive per attività economicamente rilevanti (es. i contratti di
sponsorizzazione);

6
- Ordini professionali, in quanto associazioni tra imprese;
- Gruppo d’imprese, in quanto costituenti un’unità economica sul mercato.

Gli avvocati sono “IMPRESE” ai sensi della disciplina comunitaria? - SI -


“ ... gli avvocati offrono, dietro corrispettivo, servizi di assistenza legale consistenti nella
predisposizione di pareri, di contratti o di altri atti nonché nella rappresentanza e nella difesa
in giudizio. Inoltre, essi assumono i rischi finanziari relativi all'esercizio di tali attività poiché
(...) l'avvocato deve sopportare direttamente l'onere dei disavanzi”.
“Di conseguenza, gli avvocati iscritti all'albo (...) svolgono un'attività economica e, pertanto,
costituiscono imprese ai sensi del Trattato, senza che la natura complessa e tecnica dei
servizi da loro forniti e la circostanza che l'esercizio della loro professione è regolamentato
siano tali da modificare questa conclusione”.
Dispositivo dell'art. 2082 Codice Civile Italiano
“È imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine
della produzione o dello scambio di beni o di servizi”.
- Professionalità (attività svolta in maniera abituale e stabile, e non occasionale);
- Economicità (fine di lucro o, quanto meno, pareggio tra costi e ricavi);
- Organizzazione (impiego di forza lavoro e capitale).

SOGGETTI “PASSIVI”: LE IMPRESE (ECCEZIONI)


Ai fini della normativa UE della concorrenza non sono “imprese”: attività di carattere
sociale, svolta secondo principi estranei alle leggi di mercato.
Gli enti gestori del servizio sanitario nazionale sono “IMPRESE” ai sensi della
disciplina comunitaria? -NO-
“Non esercitano un'attività economica e non costituiscono quindi imprese ai sensi degli artt.
81 CE e 82 CE [ora artt. 101 e 102 TFUE] gli enti che svolgono una funzione
esclusivamente sociale”, la cui “attività di gestione è basata sul principio della solidarietà
nazionale (...)”. “Ciò si verifica nel caso di enti che gestiscono un sistema sanitario nazionale
(...) Questi stessi enti non agiscono come imprese neppure quando acquistano materiale
sanitario venduto da altre imprese per offrire servizi sanitari gratuiti agli iscritti al detto
sistema sanitario nazionale”.
Allo stesso modo, gli enti assicurativi e previdenziali che erogano prestazioni il cui
ammontare è stabilito per legge e non risulta commisurato ai contributi versati dai
soggetti iscritti NON sono qualificabili come “IMPRESE” ai sensi della disciplina
comunitaria.

DIVIETI DI CUI AGLI ARTT. 101 E 102: EFFICACIA DIRETTA


In forza dell’effetto diretto degli artt. 101 e 102 TFUE, i singoli possono invocare la violazione
in sede di giudizio di fronte al giudice nazionale (c.d. private enforcement del diritto europeo
antitrust) al fine di ottenere, tra l’altro, il risarcimento del danno subito (meccanismo che
consente a imprese o privati cittadini di ottenere dinanzi ai giudici del proprio ordinamento la
tutela di una situazione giuridica soggettiva che si ritiene lesa da comportamenti
anti-competitivi).
“Per loro natura, i divieti sanciti dagli artt. 85, n. 1, e 86 [ora artt. 101, par.1 e 102] sono atti a
produrre direttamente effetti nei rapporti fra i singoli. Detti articoli attribuiscono
direttamente a questi dei diritti che i giudici nazionali devono tutelare”.
RATIO ALLA BASE DEL ”DIVIETO DI INTESE”
Scenario di mercato auspicato dal legislatore:

7
Mercato connotato da una concorrenza non falsata dove le imprese, una volta entrate
nell'arena economica, si battono fra loro ad armi pari.
Questa concezione di concorrenza libera è incompatibile con il ricorso a fattori esterni o
contrari al libero gioco del mercato, che vengono solo tollerati, o ammessi in via
eccezionale.
Quando può dirsi configurata una concorrenza libera?
Quando, tendenzialmente, le imprese operano sul mercato in assenza di interferenze idonee
a pregiudicare la libera concorrenza.
Ossia quando non intervengono restrizioni alla facoltà di esercitare le normali funzioni
imprenditoriali.
Ne deriva che le imprese autonomamente determinano le proprie strategie di mercato.
Ad esempio, l’impresa dovrà autonomamente rispondere ai seguenti quesiti:
- Quanto investire in un determinato settore?
- Quanta merce produrre per rifornire quel determinato mercato? –
- Quale prezzo di rivendita applicare?
IL LIBERO ESERCIZIO DI TALI FACOLTÀ È CONSIDERATO UNA CONDIZIONE
NECESSARIA AFFINCHÉ LA CONCORRENZA CONTRIBUISCA AD EFFICIENTARE IL
MERCATO.
Le interferenze possono essere di due macro tipologie:
1) Interventi dello Stato.
Lo Stato si potrebbe sostituire alle decisioni delle imprese (ad es. modificando i
meccanismi di formazione dei prezzi o concedendo aiuti ad imprese inefficienti).
2) Iniziative delle imprese.
Ad es. attuazione di forme di cooperazione fra imprese concorrenti che, limitando
l’autonomia di ciascuna nell’adozione delle scelte strategiche di mercato, restringono
o falsino le condizioni dell’offerta.

Interferenze potenzialmente idonee a provocare effetti distorsivi della concorrenza

INTERVENTI DI STATO COOPERAZIONI TRA IMPRESE

- attività legislativa e regolamentare. - gli accordi e altre forme di collusione o di


cooperazione tra imprese (le “intese”).
(art. 101 TFUE).

- aiuti concessi dagli Stati alle imprese (artt. - lo sfruttamento abusivo, da parte di
107-109 TFUE). un’impresa della posizione dominante che
essa detiene (da sola o congiuntamente ad
altre) sul mercato (art. 102 TFUE).

- concentrazioni tra imprese


(regolamenti- comunicazioni).

➔ Perché è importante escludere le interferenze?


Le ragioni dell’importanza devono essere mutuate dalla teoria economica: la teoria della
concorrenza parte dal presupposto che i migliori risultati in termini di efficienza
economica sarebbero raggiunti se ogni impresa si sforzasse di superare i concorrenti
facendo affidamento solo sulle proprie forze:

8
Ogni operatore economico deve autonomamente determinare la condotta che egli intende
seguire sul mercato comune.
➔ Le interferenze vanno escluse a priori? →No.
L’attuazione rigorosa della teoria economica della concorrenza perfetta rischierebbe di
provocare effetti indesiderabili.
➔ Le interferenze vanno escluse a priori?
- Esempio di corretta interferenza dello Stato.
La ricerca della massimizzazione del profitto, fattore predominante in un contesto
economico lasciato alla libera iniziativa imprenditoriale, non garantisce il conseguimento
di alcuni obiettivi che pur rivestono grande rilievo per il benessere della collettività
(occupazione, tutela ambientale, istruzione, pubblica sicurezza-edilizia, gestioni grande
opere civili, investimenti in aree meno favorite etc.).
Pertanto, lo Stato non può esimersi del tutto dall’economia: occorre stabilire il livello
adeguato di intervento/interferenza.
- Esempio di corretta interferenza costituita da cooperazione tra imprese.
L’innovazione, fattore determinante per l’incremento della concorrenza, non può essere
realizzata senza ricerche lunghe, costose e dall’esito incerto.
Se, in riguardo al principio della piena autonomia, non fosse consentito ad un’impresa unire
le proprie forze a quelle di imprese concorrenti, per realizzare congiuntamente programmi di
ricerca e sviluppo (R&S) industriale, verrebbe molto probabilmente scoraggiata questa
fondamentale attività.

Divieto di intese: alle imprese conviene sforzarsi di superare i concorrenti facendo


affidamento solo sulle proprie forze? →No.
Di regola l’impresa operante su un mercato competitivo (non falsato) può sperare di
prevalere sui concorrenti solo se riduce i prezzi o se effettua gli investimenti necessari per
migliorare i prodotti.
La prevedibile conseguenza è, in ambo i casi, l’erosione dei profitti che, al di là di un certo
limite, ne metterà in questione la permanenza sul mercato.
Conseguenze: l’impresa per evitare l’erosione dei propri profitti attua strategie
distorsive della concorrenza.
Tendenza delle imprese a concludere accordi finalizzati a ridurre i costi della competizione.
Le imprese si accordano così sulla fissazione dei prezzi, sulla ripartizione dei mercati etc.
allo scopo prevalente di procurarsi sovraprofitti che non sarebbero possibili in regime di
concorrenza.
Alla luce di quanto detto, la naturale tendenza delle imprese è quella di aggirare le logiche
della concorrenza, evitare di pagare i prezzi imposti da un regime di concorrenza.
Ratio della normativa antitrust
La normativa antitrust è, quindi, in generale una reazione legislativa ai fenomeni di
distorsione del mercato: finalizzata ad evitare interferenze nocive per il mercato.
Tra i fenomeni di distorsione del mercato rientrano anche le intese di cui all’art. 101 TFUE
poste in essere dalle imprese sul mercato.
ARTICOLO 101, PARAGRAFO 1°, TFUE
Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in vigore dal 01/01/2009, ha sostituito il
precedente trattato della Comunità Europea del 1957 (Trattato di Roma), a sua volta
modificato a più riprese.

9
Per quanto riguarda i due articoli fondamentali in materia antitrust, il divieto delle intese e il
divieto di abuso di posizione dominante, essi sono rimasti immutati nei vari passaggi,
cambiando solo la loro numerazione:
● artt. 85-86 del trattato di Roma;
● artt. 81-82 con la nuova numerazione introdotta dal trattato di Amsterdam (in vigore
dal 01/05/1999)
● artt. 101-102 del trattato TFUE, attualmente in vigore.

«Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le
decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano
pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di
impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato
interno…...ed in particolare quelli consistenti nel:
a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero
altre condizioni di transazione;
b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli
investimenti;
c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per
prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella
concorrenza;
e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri
contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi
commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi.

I requisiti per l’applicazione dell’art. 101 sono essenzialmente i seguenti:


1) L’esistenza di un’intesa tra imprese;
2) Che l’intesa abbia per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare la
concorrenza (pregiudizio al commercio);
3) Che l’intesa pregiudichi il commercio tra stati membri (pregiudizio alla concorrenza);
4) Che l’intesa non benefici dell’esenzione dal divieto prevista dall’art. 101,par. 3.

Accordi tra imprese


Decisioni di associazioni di imprese → INTESE
Pratiche concordate

Ha chiarito la Corte che le tre tipologie di intese riportate all’art.101 ricomprendono forme di
collusione aventi la medesima natura e che si distinguono solo per la loro intensità e per le
forme in cui si manifestano.

REQUISITI DELL’INTESA
L’intesa presuppone la sussistenza di due soggetti che la realizzino.
Fattispecie limite:
Caso 1: Intese fra società madre e società figlia.
Caso 2: Intese fra concedenti e distributori qualora il rischio di impresa di quest’ultimo sia
supportato dal fornitore.

10
PRINCIPIO UNITA’ ECONOMICA
Per comprendere se le intese fra i soggetti di cui ai casi 1) e 2) debbano ricadere nel divieto
di intese di cui all’art. 101 TFUE è necessario chiamare in causa il principio dell’unità
economica.
Secondo il principio dell’unità economica, manca la plurisoggettività (requisito dell’intesa)
se due imprese indipendenti da un punto di vista giuridico sono, tuttavia, fortemente
collegate tra loro da un punto di vista economico.

A. CASO 1
Oggetto della contestazione
viho – distributore olandese - contestava alla parker – società inglese produttrice di penne- il
fatto di obbligare le proprie filiali a limitare la distribuzione dei prodotti parker a
territori determinati e, pertanto, detta condotta costituiva violazione dell’art. 85, n. 1, del
trattato cee.
Struttura societaria della parker
La parker detiene il 100% del capitale delle proprie filiali; dall’altro, emerge che le attività di
vendita e marketing delle filiali vengono dirette da un ufficio regionale designato dalla
società madre e che controlla, in particolare, gli obiettivi di vendita, gli utili lordi, i costi di
vendita, il cash flow e le giacenze.
Ragionamento della commissione e della corte
La commissione prima e il tribunale poi traggono la conclusione che il gruppo parker è
un’unità economica in cui le filiali non possono stabilire autonomamente la loro
condotta sul mercato. Ai fini dell’applicazione delle norme sulla concorrenza, l’unicità
della condotta sul mercato della società madre e delle proprie filiali prevale sulla
separazione formale tra tali società derivante dalla loro distinta personalità giuridica.
Ne consegue che, in assenza di un concorso di volontà di soggetti economicamente
indipendenti, le relazioni nell’ambito di un’unità economica non possono dar luogo ad un
accordo o una pratica concertata tra imprese, restrittivi della concorrenza ai sensi dell’art.
85, n. 1, del trattato.

LE TRE FORME DI INTESE:


1. ACCORDI TRA IMPRESE
La giurisprudenza ha accolto una definizione assai ampia di «accordo».
Ossia, la giurisprudenza ritiene sufficiente che le imprese «abbiano espresso la loro
comune volontà di comportarsi sul mercato in un determinato modo».
Quindi, l’accordo è l’espressione, da parte di due o più imprese, della comune volontà di
tenere un determinato comportamento sul mercato.
Infatti, le condizioni necessarie per l’applicazione dell’art. 101 sono soddisfatte anche se:
- l’accordo non è scritto;
- l’accordo non è giuridicamente valido e vincolante ai sensi della legge nazionale
applicabile;
- l’oggetto e le sue condizioni non sono chiaramente precisati;
- la sussistenza dell’accordo risulta solo dal comportamento delle parti.

L’ACCORDO E IL COMPORTAMENTO UNILATERALE


Nell’ambito degli accordi di distribuzione è complicato distinguere fra le seguenti due
fattispecie:

11
1) accordo restrittivo della concorrenza richiesto dal produttore e implicitamente
(tacitamente) accettato dal distributore. si applica l’art. 101.
Esempio Sentenza Sandoz
Sandoz - produttore di prodotti farmaceutici - appone sulle proprie fatture la dicitura
«esportazione vietata».
I distributori, da una parte non hanno contestato l’apposizione di tale dicitura e, dall’altra
parte, hanno proseguito a rifornirsi dal produttore.
Corte: quella dei distributori è una «manifestazione tacita di assenso»
2) Comportamento restrittivo della concorrenza assunto (unilateralmente)dal produttore,
ma non accettato dai distributori. non si applica l’art. 101.

2. PRATICHE CONCORDATE
PRATICA CONCORDATA: “CONSAPEVOLE COLLABORAZIONE”
Definizione: la pratica concordata è « [...] una forma di coordinamento delle imprese che,
senza essere stata spinta fono all’attuazione di un vero e proprio accordo, costituisca in
pratica una consapevole collaborazione fra le imprese a danno della concorrenza,
collaborazione che porti a condizioni di concorrenza non corrispondenti a quelli
normali del mercato».
Regola generale: la Corte sostiene che ogni impresa è tenuta a autodeterminare il proprio
comportamento nel mercato dell’unione europea.
Come va interpretata questa regola generale?
- Impresa può reagire «intelligentemente» al comportamento noto o presunto degli altri
concorrenti.
- Fra le imprese NON possono esserci contatti diretti o indiretti aventi lo scopo di
influire sul comportamento tenuto sul mercato.

Situazione tipica: parallelismo di comportamento.


Se sussiste un «parallelismo di comportamento», ossia se le imprese adottano politiche
identiche o comunque simili, allora di volta in volta occorrerà valutare quanto queste siano
consapevoli: il parallelismo è frutto dell’intelligenza e di una fisiologica interdipendenza,
oppure è frutto di una pratica concordata?
Due esempi su cui ragionare.
1) In un mercato oligopolistico – mercato in cui un determinato bene viene offerto da un
numero ridotto di imprese – costituisce un esempio di parallelismo comportamentale
un aumento simultaneo dei prezzi.
2) In un mercato concorrenziale - mercato in cui un determinato bene viene offerto da
un gran numero di imprese – il comportamento parallelo di un’impresa che segue il
comportamento dell’impresa leader del comparto di riferimento è tendenzialmente
fisiologico.

Indici di una pratica concordata:


Qualsiasi modalità di incontro finalizzata allo scambio di informazioni «anticoncorrenziali»
costituisce un indice di attuazione di una pratica concordata. Ad esempio: una riunione nel
corso della quale le parti si scambiano informazioni relative a:
- I prezzi che intendono applicare nel futuro;
- La marginalità che intendono realizzare;
- Le quote di mercato che vogliono raggiungere
- Le modalità di ripartizione dei mercati etc.

12
3. DECISIONI DI ASSOCIAZIONI DI IMPRESE
«Associazione di imprese»: è una forma di aggregazione tra imprese.
Decisione.
Viene adottata una definizione ampia, rientrano nel concetto di «decisione»:
- Raccomandazione obbligatoria proveniente dall’associazione;
- Raccomandazione non vincolante ma accettata dagli associati.

PREGIUDIZIO AL COMMERCIO E ALLA CONCORRENZA


I requisiti per l’applicazione dell’art. 101 sono essenzialmente i seguenti:
1) l’esistenza di un’intesa tra imprese;
2) che la stessa abbia per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare la
concorrenza (pregiudizio alla concorrenza); e
3) che tale intesa pregiudichi il commercio tra stati membri (pregiudizio al commercio)
4) la stessa non benefici dell’esenzione dal divieto prevista dall’art. 101,par. 3.

ARTICOLO 101, PARAGRAFO I°, TFUE


“Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le
decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare
il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire,
restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno…”

INTESE CHE RICADONO NEL DIVIETO EX ART. 101


I requisiti per l’applicazione dell’art. 101 sono i seguenti:
1. l’esistenza di un’intesa tra due o più imprese;
2. l’intesa pregiudichi il commercio tra stati membri (pregiudizio al commercio);
3. che l’intesa abbia per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco
della concorrenza (pregiudizio alla concorrenza);
4. che l’intesa non benefici dell’esenzione dal divieto prevista dall’art. 101,par. 3.

PREGIUDIZIO AL COMMERCIO
L’art. 101 si applica solo agli accordi «che possano pregiudicare il commercio tra Stati
membri» e cioè ad accordi in grado di incidere sul commercio intra-comunitario.
Si sono voluti escludere dall’ambito di applicazione dell’art. 101 gli accordi che
esauriscono i loro effetti all’interno di uno Stato membro e, pertanto, non interessano il
mercato europeo.

Questo non significa in assoluto che le intese nazionali (e cioè tra imprese dello stesso
Stato membro) siano escluse a priori dall’ambito di applicazione dell’art. 101 TFUE.
Anzi, la nozione di «pregiudizio al commercio tra Stati Membri» ha subito un
progressivo ampliamento nella giurisprudenza comunitaria, che consente di coprire un
numero crescente di intese nazionali.
Corte: «qualsiasi intesa e qualsiasi prassi atta ad incidere sulla libertà del commercio
fra Stati membri, in un senso che possa nuocere alla realizzazione degli scopi di un
mercato unico fra gli Stati membri, in particolare isolando i mercati nazionali o
modificando la struttura della concorrenza nel mercato comune».

Comunicazione della commissione → «Linee direttrici la nozione di pregiudizio al


commercio tra Stati membri di cui agli articoli 81 e 82»

13
Considerando 78 → organi giurisdizionali comunitari hanno stabilito in diverse sentenze
che gli accordi che si estendono a tutto il territorio di uno Stato membro hanno, per
loro natura, l'effetto di consolidare la compartimentazione dei mercati a livello
nazionale, ostacolando così l'integrazione economica voluta dal trattato.

Le intese c.d. nazionali, aventi per oggetto la disciplina della concorrenza all’interno di un
solo Stato membro, possono pregiudicare il commercio tra Stati, ad es.:
1. se ostacolano l’accesso su tale mercato di imprese di altri Stati membri ;
2. se impediscono ai partecipanti dell’intesa di operare fuori dallo Stato in
questione.

I requisiti per l’applicazione dell’art. 101 sono i seguenti:


1. l’esistenza di un’intesa tra due o più imprese;
2. l’intesa pregiudichi il commercio tra stati membri (pregiudizio al commercio);
3. che l’intesa abbia per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco
della concorrenza (pregiudizio alla concorrenza);
4. che l’intesa non benefici dell’esenzione dal divieto prevista dall’art. 101, par. 3.

PREGIUDIZIO ALLA CONCORRENZA


L’intesa deve avere «per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco
della concorrenza» → c.d. pregiudizio alla concorrenza.

Pregiudizio alla concorrenza: restrizione per oggetto


La Corte ha a più riprese affermato che le intese che contengono una restrizione per
oggetto «possono essere considerata, per loro stessa natura, dannose per il buon
funzionamento del normale gioco della concorrenza».
Sono, pertanto, intese che «rivelano un grado di dannosità per la concorrenza
sufficiente perché si possa ritenere che l’esame dei loro effetti non sia necessario».

Come individuare le restrizione per oggetto? Non esiste un documento al cui interno si
esaurisce il novero delle restrizioni per oggetto. Tuttavia, la Commissione ha pubblicato una
guida funzionale ad individuare quali devono ritenersi, ad oggi, le restrizioni per oggetto
(Commission staff working document).

Pregiudizio alla concorrenza: restrizione per effetto


E se l’intesa non ha per oggetto di impedire, restringere o falsare la concorrenza?
Le intese il cui oggetto non sia per natura restrittivo devono essere valutate in
considerazione degli effetti che queste possono produrre.
Occorrerà, dunque, tramite un’indagine valutare volta per volta se l’intesa in esame causi
effetti pregiudizievoli al gioco della concorrenza.

Qual è lo scopo dell’indagine sugli effetti?


Secondo la giurisprudenza occorre: «tener contodell’ambito concreto nel quale essa
produce i suoi effetti, in particolare del contesto economico e giuridico nel quale
operano le imprese interessate, della natura dei servizi contemplati dall’accordo
nonché dalle effettive condizioni del funzionamento della struttura del mercato
interessato»

14
Questa intesa - accordo che apparentemente non va oltre l'investimento passivo in
un'impresa concorrente e che non mira al controllo di detta impresa - può ritenersi avere
l’effetto di impedire o restringere il gioco della concorrenza?
PROBLEMA → mercato delle sigarette è un mercato stagnante ed oligopolistico, e in
mancanza di vera concorrenza sul piano dei prezzi o della ricerca, la pubblicità e l'acquisto
di imprese costituiscono i principali strumenti per aumentare la quota di mercato di un
operatore economico.

RAGIONAMENTO → Impegni assunti dalla Philip Morris e dalla Rembrandt:


- Escludono la rappresentanza della Philip Morris nel consiglio d'amministrazione e in
qualsiasi altro organo direttivo della Rothmans International;
- limitano la partecipazione della Philip Morris a meno del 25% del capitale della
Tothmans International;
- prevedono che le imprese si impegnino a non scambiare informazioni che possano
incidere sulla loro condotta concorrenziale.

SOLUZIONE → L’intesa non ricade sotto il divieto di cui all’art. 101 TFUE in quanto la sua
attuazione è finalizzata a:
- permettere alla Philip Morris di poter impedire che la Rothmans International cada
sotto il controllo di un'altra impresa concorrente;
- permettere alla Philip Morris di incrementare i propri utili.

Ci sono due tipi di intese:


a. Orizzontali → sono orizzontali quelle intese concluse tra imprese che operano allo
stesso livello del ciclo produttivo, ossia tra imprese in concorrenza effettiva o
potenziale (es. accordo tra imprese che producono il medesimo prodotto o
offrono lo stesso servizio aventi lo scopo di ripartire il mercato o fissare il
prezzo);
b. Verticali → sono verticali quelle intese concluse tra imprese che operano su diversi
livelli del ciclo produttivo. N.B. la restrizione produce comunque i suoi effetti tra
imprese dello stesso livello (es. accordo di distribuzione mediante il quale il
concedente e il distributore fissano il prezzo di rivendita).

PREGIUDIZIO SENSIBILE
Tutte le intese idonee a pregiudicare il commercio tra stati membri e la concorrenza
ricadono nel divieto di cui all’art. 101 tfue? No.
Affinché un’intesa ricada nel divieto di cui all’art. 101 TFUE, questa deve produrre
un’alterazione alla concorrenza e un pregiudizio al commercio di una certa rilevanza (c.d.
pregiudizio sensibile).
Corte: l’art. 101 non si applica «qualora tenuto conto della debole posizione dei
partecipanti sul mercato dei prodotti di cui trattasi, esso non pregiudichi il mercato in misura
rilevante».

Un’intesa vietata ricade nel divieto di cui all’articolo 101 tfue se soddisfa due
condizioni:
1. pregiudica sensibilmente il commercio tra stati membri;
2. restringe (o impedisce) sensibilmente il gioco della concorrenza.

15
Le intese tra piccole e medie imprese con una presenza estremamente debole sul
mercato ben difficilmente possono influenzare il commercio tra stati membri , con la
conseguenza di fare presumere che accordi di tale genere non siano tali da impedire o
restringere sensibilmente la concorrenza e quindi non ricadano nel campo di
applicazione dell’art. 101.1 tfue.

Sono necessari parametri quantitativi per determinare se un’intesa vietata comprometta


sensibilmente il commercio tra stati membri e il gioco della concorrenza.

Pregiudizio sensibile al commercio tra sm


Come si comprende se un’intesa potenzialmente vietata non incide sensibilmente il
commercio tra stati membri?
Fonte: comunicazione della commissione del 2007 relativa alle «linee direttrici la nozione
di pregiudizio al commercio tra stati membri di cui agli articoli 81 e 82 del trattato».
La commissione ritiene, in linea di principio, che gli accordi non siano in grado di
pregiudicare sensibilmente il commercio tra stati membri quando sono soddisfatte le
seguenti condizioni cumulative:
- la quota di mercato aggregata delle parti su qualsiasi mercato rilevante all’interno
della comunità interessato dagli accordi non supera il 5%;
- il fatturato comunitario aggregato annuo non è superiore a 40 milioni di euro.

Pregiudizio sensibile alla concorrenza


Come si comprende se un’intesa (che incide sul commercio tra stati membri) sia
idonea a restringere sensibilmente la concorrenza?
Fonte: comunicazione della commissione c.d. «de minimis».
La commissione ha cercato di delimitare delle soglie al di sotto delle quali si presume che le
intese non restringano sensibilmente la concorrenza.
La comunicazione de minimis del 30/08/2014, ora in vigore, prevede l’inapplicabilità del
divieto quando le quote di mercato detenute dall’insieme delle imprese partecipanti
all’intesa non superano, su nessuno dei mercati rilevanti all’interno dell’unione europea, le
soglie seguenti (safe harbour):
- 10%, quando si tratti di un accordo orizzontale;
- 15%, quando si tratti di un accordo verticale.

IMPORTANTE!
La comunicazione de minimis prevede che la presunzione di legalità degli accordi (il c.d.
safe harbour) non si applichi a quelle intese che prevedono una restrizione della
concorrenza per oggetto.
Ciò in quanto ogni intesa che prevede una restrizione della concorrenza per «oggetto»
costituisce per sua natura e indipendentemente da ogni effetto concreto una restrizione
sensibile della concorrenza.

ARTICOLO 101, PARAGRAFO 3


Dichiarazione di non applicazione (c.d. esenzione).
Il divieto di raggiungere le intese di cui all’art. 101.1 tfue non è assoluto.
Il 3 dell’art. 101 tfue prevede, al ricorrere di talune condizioni, la possibilità di dichiarare
inapplicabile l’art. 101.1 tfue.

16
Per beneficiare dell’esenzione occorre che l’intesa:
a. Contribuisca a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere
il progresso tecnico o economico;
b. Riservi agli utilizzatori una congrua parte dell'utile che ne deriva.

Inoltre occorre che l’intesa non:


c. imponga alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per
raggiungere tali obiettivi;
d. dia a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale
dei prodotti di cui trattasi.

CONSEGUENZE IN CASO DI VIOLAZIONE DELL’ART. 101.1


Duplice conseguenza: nullità (101.2 tfue) e ammenda (103.2 tfue):
- nullità (art. 101. 2). la nullità è:
1. assoluta, nel senso che l’accordo è privo di effetti tra i contraenti e non può
essere opposto a terzi;
2. parziale nel senso che non riguarda l'intero accordo, ma, se possibile, solo le
clausole vietate dall’articolo 101 tfue.

lezione 2 → ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE


LE FONTI NORMATIVE DI RANGO PRIMARIO
Art. 102, TFUE: “E’ incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa
essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di
una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte
sostanziale di esso”.

RATIO E FINALITA’ DELLA NORMATIVA


«La libera concorrenza ha la finalità di creare un ambiente nel quale le imprese, pur
nel tentativo di aumentare le proprie quote di mercato, possano competere sulla base
dei loro meriti rispettivi. La tendenza all’aumento del potere di mercato può tuttavia
degenerare verso forme patologiche, allorché per perseguire tale finalità le imprese
pongano in essere condotte basate non già sul proprio livello di efficienza, ma sull’uso
distorto del loro potere attuale sul mercato, al fine di estromettere gli altri concorrenti e/o
arrecare pregiudizi diretti alle controparti contrattuali».
«L’obiettivo dell’Unione è pertanto quello di salvaguardare in via immediata il processo
concorrenziale nel mercato interno e, in via mediata, la tutela dei consumatori finali».

OGGETTO DEL DIVIETO


Oggetto del divieto: non è la detenzione o l’acquisizione di una posizione dominante
(compatibilmente con la normativa in materia di c.d. “concentrazioni tra imprese”) ma il suo
sfruttamento abusivo.
E’ irrilevante come la posizione dominante sia stata acquisita (maggior efficienza, titolarità di
una licenza statale, etc.). La detenzione di una posizione dominate comporta per l’impresa
una responsabilità speciale che le altre imprese non hanno.

17
CONDIZIONI PER ACCERTARE ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE
Per stabilire se l’art. 102 TFUE è stato violato è necessario effettuare un’analisi tripartita,
praticata anche dalla Commissione nelle sue decisioni, così come dalla Corte di Giustizia e
dal Tribunale nelle pronunce in materia.
In particolare, occorre:
- individuare il mercato rilevante, cioè il mercato nel quale si ritiene che l’impresa
oggetto di indagine possa detenere una posizione dominante;
- accertare se effettivamente l’impresa detenga una posizione dominante, su tale
“mercato rilevante”;
- accertare se il comportamento dell’impresa in “posizione dominante” possa ritenersi
effettivamente abusivo.
Si tratta in effetti di un’analisi alquanto artificiosa, e che porta a numerosissimi scontri
tra avvocati e Commissione in particolare nella definizione di quello che è il “Relevant
Market”

IL MERCATO RILEVANTE
Prima Fase: individuare il “Relevant Market”, sotto un duplice profilo:
- il Mercato Geografico;
- il Mercato dei Prodotti e Servizi.

MERCATO GEOGRAFICO
In particolare, il mercato geografico corrisponde all’area nella quale “le condizioni
obiettive di concorrenza relativamente al prodotto in questione devono essere le
stesse per tutti gli operatori economici”.
In linea di principio il mercato da prendere in considerazione dovrebbe essere l’intero
mercato interno (“spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera
circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali”, art. 26 TFUE). Tuttavia, lo
stesso art. 102 TFUE consente che, in alternativa, venga in rilievo un’area più ristretta,
purché di tratti di una parte sostanziale del mercato interno. Ove così con fosse,
troveranno applicazione sole le (eventuali) disposizioni antitrust nazionali.
La Comunicazione della Commissione del 9 dicembre 1997 “sulla definizione del mercato
rilevante ai fini dell’applicazione del diritto comunitario in materia di concorrenza” definisce il
mercato geografico come quell’area “nella quale le imprese in causa forniscono o
acquistano prodotti o servizi, nella quale le condizioni di concorrenza sono
sufficientemente omogenee e che può essere tenuta distinta dalle zone geografiche
contigue perché in queste ultime le condizioni di concorrenza sono sensibilmente diverse”.
Il Mercato Geografico individua l’area in cui le imprese che scambiano beni o servizi,
anche similari o interscambiabili, agiscono; e ciò in quanto, se la loro attività non incide
sulla stessa area geografica, non potranno ritenersi in concorrenza, e non potrà verificarsi se
effettivamente l’impresa ritenuta in “posizione dominante” subisca o meno l’influenza delle
imprese concorrenti su di una determinata area (così, se l’impresa subisce tale influenza,
non si troverà in posizione dominante; se l’impresa non subisce tale influenza, allora si
troverà in posizione dominante; ma un mercato concorrenziale deve esistere). Deve
individuarsi un’area di concorrenza.

MERCATO DEI PRODOTTI


Il mercato dei prodotti comprende in tal senso non solo i prodotti identici dell’impresa in
questione, ma anche quelli che, in ragione delle loro caratteristiche obiettive, presentano

18
rispetto a questi un certo grado diintercambiabilità o di sostituibilità reciproca, di modo
che tra i primi e i secondi sussista una certa concorrenza. La nozione di mercato di cui
trattasi (relevant market) implica, in realtà, che vi possa essere concorrenza effettiva tra
prodotti che ne fanno parte, il che presuppone un sufficiente grado di interscambiabilità
per lo stesso uso fra tutti i prodotti che fanno parte dello stesso mercato.
Il Mercato dei Prodotti include tutti i prodotti e/o i servizi che possono essere considerati
interscambiabili o sostituibili dal consumatore, in ragione delle caratteristiche dei
prodotti, dei loro prezzi e dell’uso al quale sono destinati. La finalità ultima è quella di
individuare i beni che, dal punto di vista dei consumatori, soddisfino le medesime esigenze,
e quindi, costituiscano degli adeguati succedanei del bene di riferimento; succedanei che
rappresenterebbero una alternativa per i clienti nel momento in cui l’impresa in “posizione
dominante” decidesse ad es., di aumentare i prezzi dei beni offerti sul mercato.

POSIZIONE DOMINANTE
Seconda Fase: comprendere se l’impresa ha una “posizione dominante”.
Nozione di “posizione dominante” fornita dalla giurisprudenza: “una situazione di potenza
economica grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare la
permanenza di una concorrenza effettiva sul mercato di cui trattasi ed ha la possibilità di
tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei
suoi clienti e, in ultima analisi, dei consumatori”.
Differenza con una situazione di monopolio (o quasi-monopolio): la posizione dominante “a
differenza di una situazione di monopolio o di quasi-monopolio, non esclude l’esistenza di
una certa concorrenza, ma pone la ditta che la detiene in grado, se non di decidere,
almeno di influire notevolmente sul modo in cui si svolgerà detta concorrenza e, comunque,
di comportarsi sovente senza doverne tenere conto e senza che, per questo, simile
condotta le arrechi pregiudizio”.

Fattori da prendere in considerazione:


- quota di mercato, generalmente determinata sulla base delle vendite realizzate in
un mercato rilevante (n.b.: un’elevata quota di mercato è a volte stata ritenuta un
indizio sufficiente, es. quote superiori al 50 %; quota di mercato bassa = esclusa la
sussistenza di posizione dominante, quote inferiori al 20%, o tra il 30 e 40%);
- struttura dell’impresa;
- numero e forza dei concorrenti;
- esistenza di barriere all’ingresso sul mercato da parte di nuovi concorrenti
(ostacoli giuridici o di fatto; es. licenza esclusiva per esercire un determinato
servizio).

Ai fini della disciplina rileva:


- Posizione Dominante Individuale, detenuta da una sola impresa;
- Posizione Dominante di Gruppo (detenuta da più imprese costituenti un gruppo).
Anche ai fini della disciplina relativa all’abuso di posizione dominante, la nozione di
“IMPRESA” va intesa come “unità economica sul mercato” e dunque comprensiva di
eventuali affiliate.

Rapporto controllante-controllate: chi è responsabile della violazione?


“... il comportamento di una controllata può essere imputato alla società controllante
in particolare qualora, pur avendo personalità giuridica distinta, tale controllata non

19
determini in modo autonomo la sua linea di condotta sul mercato, ma si attenga, in
sostanza, alle istruzioni che le vengono impartite dalla società controllante.

Posizione Dominante Collettiva: l’art. 102, TFUE, prevede anche l’ipotesi in cui la
posizione dominante sia assunta da “più imprese”. Tale situazione può essere riscontrata
quanto più imprese indipendenti tra loro, sono tuttavia legate da vincoli economici che,
per tale motivo, le porta a detenere una posizione dominante rispetto agli altri operatori del
mercato.

SFRUTTAMENTO ABUSIVO
Terza Fase: appurare se l’impresa in “posizione dominante” abbia o meno SFRUTTATO
ABUSIVAMENTE la posizione dominante da essa detenuta. Per la Corte di Giustizia la
nozione di sfruttamento abusivo “è una nozione oggettiva, che riguarda il comportamento
dell’impresa in posizione dominante atto ad influire sulla struttura del mercato in cui ,
proprio per il fatto che vi opera detta impresa, il grado di concorrenza è già sminuito e
che ha come effetto di ostacolare, ricorrendo a mezzi diversi da quelli su cui si
impernia la concorrenza normale tra prodotti e servizi, fondata sulle prestazioni degli
operatori economici, la conservazione di un grado di concorrenza ancora esistente sul
mercato o lo sviluppo di detta concorrenza”.
L’impresa in “posizione dominante” agisce già in un mercato in cui la concorrenza è
indebolita. Per tale motivo tale impresa assume una particolare responsabilità, volta a
“non compromettere col suo comportamento lo svolgimento di una concorrenza effettiva e
non falsata nel mercato comune”.
La condotta sarà pertanto ILLECITA quando l’impresa si avvalga della sua posizione per
adottare comportamenti idonei a turbare lo svolgimento di una concorrenza effettiva e non
falsata sul mercato di riferimento; comportamenti che essa è in grado di tenere non in
base al proprio livello di efficienza, ma in virtù della posizione di forza detenuta sul
mercato, in grado di ridurre la capacità competitiva degli altri operatori, e conservare o
rafforzare artificialmente la propria posizione di dominanza, ovvero per realizzare
politiche di mercato che si avvalgono dell’assenza o della ridotta concorrenza per
conseguire una rendita monopolistica a danno dei consumatori.

LE PRATICHE ABUSIVE
Le pratiche abusive possono essere distinte, a seconda degli effetti sulla concorrenza, in:
- abusi di sfruttamento, in cui l’impresa dominante intende massimizzare il profitto
che può trarre dalla sua posizione sul mercato, imponendo condizioni che non le
sarebbe altrimenti consentito praticare in un mercato concorrenziale;
- abusi di esclusione, che mirano invece a proteggere o incrementare la posizione
dell’impresa dominante, espellendo dal mercato attuali concorrenti o impedendo
a concorrenti potenziali di entrarvi.
Le pratiche del primo tipo danneggiano direttamente anche gli interessi dei consumatori (es.
prezzi eccessivi) e gli abusi del secondo tipo danneggiano i concorrenti attuali o potenziali
(es. prezzi predatori), influendo negativamente sulla struttura della concorrenza e del
mercato.

20
TIPOLOGIE DI ABUSI
Gli abusi possono essere distinti in base al loro contenuto. L’art. 102, secondo comma,
TFUE contiene un’elencazione che coincide solo in parte con le tipologie riscontrabili nella
pratica.
Le fattispecie più diffuse sono le seguenti:
- PREZZI ECCESSIVI O NON EQUI → si verifica quando l’impresa in posizione
dominate pratica prezzi privi di ogni ragionevolezza in rapporto con il valore
economico della prestazione fornita.
Per accertare se vi sia abuso in tal caso si deve accertare se vi sia un’eccessiva
sproporzione tra il costo effettivamente sostenuto dall’impresa per fornire il
servizio/produrre il bene ed il prezzo effettivamente richiesto dall’impresa in
posizione dominante” e se sia stato imposto un prezzo non equo, sia in assoluto,
sia rispetto ai prodotti concorrenti;

- PREZZI DISCRIMINATORI → praticare prezzi differenti per prestazioni


equivalenti, a meno con non sia oggettivamente giustificato da es. diversi costi di
trasporto della merce, oneri fiscali, costo della mano d’opera;

- PREZZI PREDATORI → praticare prezzi troppo bassi, “allorché sono fissati


nell’ambito di un disegno inteso ad eliminare un concorrente”. Tali prezzi potrebbero
avere l’effetto di estromettere dal mercato delle imprese le quali potrebbero essere
altrettanto efficienti come l’impresa dominante ma che, per via della loro più modesta
capacità finanziaria, sono incapaci di resistere alla concorrenza che viene esercitata
nei loro confronti. Occorre in ogni caso che i costi siano bassi, ovvero inferiori ai
costi di produzione, e che vi sia un disegno di tipo esclusivo in danno dei
concorrenti;

- SCONTI SUI PREZZI → in particolare sono vietati gli “sconti fedeltà” i quali sono
legati all’impegno di un distributore di rifornirsi indipendentemente dal volume
degli acquisti, ovvero al conseguimento di obiettivi minimi di vendita di prodotti
acquistati dall’impresa dominante durante un determinato periodo.
L’effetto anticoncorrenziale consiste nel fatto che, attraverso la promessa di un
vantaggio che non è basato su alcuna controprestazione economica, viene
soppressa o limitata la possibilità dell’acquirente finale di scegliere la fonte di
rifornimento, cosicché si chiude l’accesso del mercato ai concorrenti, rafforzando la
posizione dominante. Non sarebbero vietati gli “sconti quantitativi”, legati al volume
di acquisti.

- TYING AND BUNDLING AGREEMENTS → Tale pratica consiste, secondo la


descrizione di cui all’art. 102, secondo comma, lett. d), TFUE “nel subordinare la
conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni
supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun
nesso con l’oggetto del contratto stesso”. E’ uno strumento utilizzato da un’impresa
dominante per estendere – in maniera illegittima - il proprio mercato anche ad altri
settori.

- RIFIUTO DI VENDERE → riconducibile all’ipotesi dell’art. 102, secondo comma, lett.


b), (limitazione agli sbocchi e alla produzione), viene considerato abusivo il rifiuto da

21
parte di un’impresa dominante di vendere i propri prodotti o servizi a chi ne faccia
richiesta.
L’abuso è grave se l’impresa richiedente era abituale cliente dell’impresa
dominante.

- RIFIUTO DI ACCESSO A ESSENTIAL FACILITIES → le imprese in posizione


dominante sono soggette all’obbligo di consentire ai concorrenti l’accesso alle
proprie strutture o servizi quando si tratti di “ESSENTIAL FACILITIES” ovvero di
strutture o servizi senza i quali l’attività in questione non potrebbe essere svolta
affatto.
Le condizioni affinché possa il rifiuto di accesso alle “essential facilities” possa
ritenersi ingiustificato sono le seguenti:
- il rifiuto deve costituire ostacolo alla comparsa di un nuovo prodotto per il
quale esiste una potenziale domanda dei consumatori;
- il rifiuto deve essere ingiustificato;
- il rifiuto deve essere idoneo a escludere qualsiasi concorrenza sul mercato
derivato.

IL PREGIUDIZIO AL MERCATO
Ultimo elemento essenziale: perché l’abuso sia vietato è necessario che si produca un
PREGIUDIZIO al commercio tra Stati membri.
Non è necessario che l’abuso abbia per effetto o oggetto di restringere la concorrenza
(come per art. 101 TFUE) in quanto la concorrenza in tali casi è già indebolita.
E’ sufficiente accertare una potenzialita’ abusiva della condotta; irrilevanti sono gli effetti
concreti da un punto di vista anticoncorrenziale e non è rilevante che il fatto che si siano
prodotti effettivi vantaggi economici o competitivi per l’impresa dominate.
Il divieto è inoltre ASSOLUTO, e non è possibile alcuna dichiarazione di inapplicabilità
o esenzione.
La violazione va accertata in maniera OGGETTIVA, indipendentemente dall’elemento
soggettivo tipico dell’illecito (colpa o dolo).

lezione 3 → IL CONTROLLO DELLE CONCENTRAZIONI


NORME DI RIFERIMENTO
Gli artt. 101 e 102 TFUE si sono rivelati inadatti ad essere utilizzati per assicurare il controllo
delle c.d. “Concentrazioni tra Imprese”; il legislatore dell’UE ha dunque deciso di dotarsi di
uno strumento apposito.

RATIO
Le imprese possono aumentare il proprio potere di mercato non solo mediante un processo
di crescita interno ma anche tramite un processo di crescita esterno, integrandosi con altre
imprese.

22
Una eccessiva concentrazione potrebbe tuttavia ridurre eccessivamente il numero di
concorrenti in un dato mercato o far sorgere una posizione dominante.
Proprio in ragione di questi potenziali effetti distorsivi si spiega il controllo esercitato dall’UE
tramite la Commissione.
Non sussiste in ogni caso un divieto generale di “Concentrazioni”. La disciplina è volta
esclusivamente a garantire un controllo preventivo, volto a stabilire se l’operazione come
progettata può creare dei pericoli per il mercato interno.

DEFINIZIONE DI CONCENTRAZIONE
Articolo 3, par. 1, reg. cit.:
1. “Si ha una concentrazione quando si produce una modifica duratura del controllo a
seguito:
a. della fusione di due o più imprese precedentemente indipendenti o parti di imprese;
oppure
b. dell'acquisizione, da parte di una o più persone che già detengono il controllo di
almeno un'altra impresa, o da parte di una o più imprese, sia tramite acquisto di
partecipazioni nel capitale o di elementi del patrimonio, sia tramite contratto o
qualsiasi altro mezzo, del controllo diretto o indiretto dell'insieme o di parti di una
o più altre imprese”.
2. “Si ha controllo in presenza di diritti, contratti o altri mezzi che conferiscono, da soli o
congiuntamente, e tenuto conto delle circostanze di fatto o di diritto, la possibilità di
esercitare un'influenza determinante sull'attività di un’impresa; trattasi in particolare di:
a. diritti di proprietà o di godimento sulla totalità o su parti del patrimonio di
un'impresa;
b. diritti o contratti che conferiscono un'influenza determinante sulla composizione,
sulle deliberazioni o sulle decisioni degli organi di un'impresa”.

E’ essenziale affinché ci sia una concentrazione, che ricada nell’ambito di applicabilità della
norma che, vi sia l’assunzione del “controllo” di un’impresa su di un’altra (o la creazione di
un’impresa comune) che conferisca ad una impresa, per diritto, per contratto o con ogni
altro mezzo, il potere di esercitare un’influenza dominante in seno ad altra impresa.

PROCEDURA DI CONTROLLO: AMBITO DI APPLICAZIONE


La procedura di controllo si applica solo alle concentrazioni di dimensione comunitaria.
Ciò significa che al di sotto delle “soglie comunitarie” la competenza passa alle Autorità
Nazionali della Concorrenza. Le autorità nazionali non possono valutare tuttavia in ogni caso
operazioni di concentrazione che hanno rilevanza comunitaria (si applica in tal caso il
principio della “barriera unica”).
I parametri per definire quando una concentrazione ha una dimensione “comunitaria” sono
legati al fatturato delle imprese coinvolte nell’operazione.

PROCEDURA DI CONTROLLO: CRITERIO DEL CONTROLLO


Le operazioni di concentrazione non sono ammesse se non sono compatibili col mercato
comune.
In particolare, per stabilire il criterio di compatibilità, art. 2, par. 2 e 3, reg. cit.:
“2. Le concentrazioni che non ostacolino in modo significativo una concorrenza
effettiva nel mercato comune o in una parte sostanziale di esso, in particolare a causa

23
della creazione o del rafforzamento di una posizione dominante, sono dichiarate
compatibili con il mercato comune.
3. Le concentrazioni che ostacolino in modo significativo una concorrenza effettiva nel
mercato comune o in una parte sostanziale di esso, in particolare a causa della
creazione o del rafforzamento di una posizione dominante, sono dichiarate
incompatibili con il mercato comune”.
Il focus è sull’”ostacolo significativo alla concorrenza” (anche se la concentrazione non
genera o non rafforza una posizione dominante, questo non è sufficiente).

PROCEDURA DI CONTROLLO: L'INTERVENTO DELLA COMMISSIONE


Le operazioni di concentrazione vanno notificate preventivamente alla Commissione.
Conseguentemente:
Esame informale: la Commissione valuta se l’operazione rientra nel campo di applicazione
del Regolamento, se è compatibile o se invece ci sono “seri dubbi” di compatibilità, e:
(a) e se non ci sono seri dubbi, la Commissione emana una decisione di compatibilità
col mercato comune;
(b) in caso contrario, inizia una procedura di esame formale.

In ogni caso, deve decidere entro 25 giorni dalla notifica, altrimenti la concentrazione è
ritenuta compatibile col mercato comune.
Se avviato l’esame formale, lo stesso deve concludersi entro 90 giorni, altrimenti la
concentrazione è da ritenersi compatibile col mercato comune.
Nel corso dell’esame formale la Commissione può richiedere informazioni e avvalersi delle
autorità nazionali per compiere ispezioni presso le imprese coinvolte (conformemente alla
legge nazionale di ogni paese).

PROCEDURA DI CONTROLLO: DECISIONE DELLA COMMISSIONE


La procedura formale può terminare con una decisione di:
- compatibilità;
- incompatibilità;
- compatibilità subordinata all’assunzione di determinati impegni per le parti (strutturali
o organizzativi); in tal caso la dichiarazione di compatibilità è condizionata al rispetto
di detti impegni.
Esempio di impegni strutturali: cedere un asset.
Esempio di impegni organizzativi: impegno a far sì che i concorrenti abbiano accesso ad
una infrastruttura essenziale (“essential facilities”).

OBBLIGO DI SOSPENSIONE DELLA CONCENTRAZIONE


In ogni caso, vi è un obbligo di sospensione delle concentrazioni, ovvero non possono
essere realizzate prima che siano notificate e dichiarate compatibili, o che siano scaduti i
termini predetti (e la concentrazione sia dichiarata compatibile con una sorta di “silenzio
assenzo”).
In caso di violazione, la Commissione può ordinare:
- la separazione delle IMPRESE; la cessazione del controllo;
- ogni altra misura utile.
La Commissione può inoltre comminare ammende e penalità di mora, in caso di operazione
realizzata senza preventiva notifica o realizzata nonostante la dichiarazione di

24
incompatibilità. Le prime possono arrivare sino ad un 10% del fatturato totale realizzato da
tutte le imprese interessate.
La Commissione potrà anche imporre misure di deconcentrazione volte a ripristinare lo
status quo ante.

OPERAZIONI DI M&A
Esempio di clausola contrattuale tipica in operazioni di M&A.
Condizione Sospensiva all’efficacia del Contratto Definitivo di Cessione di Partecipazioni
Societarie (“Share Purchase Agreement”).

PROCEDURA PER L’APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 101 e 102 TFUE


COMPETENZA
La competenza in ordine all’applicazione delle regole della concorrenza contenute negli artt.
101 e 102 TFUE è affidata:
- alla Commissione;
- alle autorità degli Stati membri competenti in materia di concorrenza (si tratta delle
autorità incaricate sulla base del diritto statale al controllo della concorrenza a livello
nazionale);
- ai giudici nazionali.
L’applicazione del diritto della concorrenza dell’Unione si basa dunque su “un
sistema di competenze parallele nell’ambito del quale sia la Commissione sia le
autorità nazionali garanti della concorrenza e i giudici nazionali possono applicare gli
articoli 101 e 102 TFUE”.

FONTI PRINCIPALI
Reg (CEE) n. 17/62;
1. sistema “accentrato” sul ruolo della Commissione (competenza prevalente);
2. il potere delle autorità nazionali veniva meno nel momento in cui la Commissione
dava inizio ad una procedura di contestazione degli artt. 101 o 102;
3. i giudici nazionali erano tenuti a rispettare eventuali decisioni già adottate dalla
Commissione sulla medesima fattispecie (giudici inviati inoltre, dalla Corte, a
sospendere i procedimenti interni in caso di procedimento parallelo da parte della
Commissione);
4. solo la Commissione era competente ad adottare a favore di un’intesa una
decisione individuale d’inapplicabilità (o esenzione individuale) ai sensi dell’art.
101, par. 3, TFUE.

Reg (CE) n. 1/2003:


1. maggiore decentralizzazione;
2. abolizione del potere della Commissione a concedere esenzioni individuali ex art.
101, par. 3, TFUE, con estensione della competenza anche in favore delle autorità
nazionali e dei giudici nazionali.
La Commissione mantiene comunque un ruolo centrale e si concentra sui casi più rilevanti in
ragione della rilevanza dell’infrazione per il funzionamento del mercato interno e della
probabilità di poterne accertare l’esistenza.

INTERVENTO DELLA COMMISSIONE: FASE INIZIALE


La Commissione può intervenire:

25
- di propria iniziativa (d’ufficio): sulla base di elementi raccolti a vario titolo, ad
esempio, tramite denunce e segnalazioni anche anonime, documenti trasmessi dalle
autorità nazionali, notizie di stampa, interrogazioni di membri del Parlamento
europeo;
- su denuncia di parte: ai sensi del reg. n. 1/2003 la denuncia può essere presentata
da persone fisiche o giuridiche che abbiano un legittimo interesse o da Stati membri
(art. 7, par.2).

Secondo la giurisprudenza coloro che presentano una denuncia non hanno un vero e
proprio diritto a che la Commissione adotti una decisione definitiva, salvo che il caso rientri
nella competenza esclusiva della Commissione.
La Commissione può attribuire un diverso grado di priorità alle denunce che le vengono
presentate, selezionando quelle che, sulla base di una sua valutazione discrezionale,
richiedono un intervento.
Una denuncia può essere rigettata, sia perché infondata, ma anche perché non sussiste un
“interesse comunitario” all’istruzione del caso (a titolo esemplificativo, in quanto sono state
già adite le autorità nazionali o le parti hanno in ogni caso la possibilità di farlo; l’indagine
sarebbe troppo complessa e con poca probabilità di dimostrare l’infrazione).
In ogni caso la Commissione:
1. deve esaminare tutti gli aspetti di fatto e di diritto;
2. deve consentire ai denuncianti di presentare osservazioni scritte;
3. deve adeguatamente motivare una decisione di rigetto, che altrimenti può essere
oggetto di impugnazione ai sensi dell’art. 263, quarto comma, TFUE (controllo
giurisdizionale di legittimità; ricorso d’annullamento).

INTERVENTO DELLA COMMISSIONE: FASE ISTRUTTORIA


La fase istruttoria persegue “lo scopo di consentire alla Commissione di raccogliere le
informazioni e i documenti necessari per accertare” un’eventuale infrazione.
Il reg. n 1/2003 attribuisce alla Commissione ampi poteri istruttori, tra i quali:
- procedere ad indagini per settore economico e per tipo di accordi (art. 17);
- rivolgere alle imprese (o associazioni di imprese) richieste di informazioni (art. 18);
- raccogliere dichiarazioni da ogni persona fisica o giuridica che vi acconsenta (c.d.
audizioni; art.19);
- svolgere ispezioni presso le imprese (art. 20) o presso altri locali (art. 21) (incluso il
potere di accedere ai locali, fare copia dei documenti).
Per le ispezioni presso le imprese, si ritiene non necessaria la preventiva
autorizzazione della competenti autorità nazionali (la decisione della Commissione è
impugnabile davanti al Tribunale, e questa viene ritenuta una tutela sufficiente); le ispezioni
presso altri locali (quali, domicilio di amministratori, direttori o membri del personale), sono
possibili quando vi siano ragionevoli motivi per ritenere che documentazione rilevante sia ivi
conservata e, in ogni caso, è necessaria la preventiva autorizzazione dell’autorità
nazionale (art. 21, par. 3).

INTERVENTO DELLA COMMISSIONE: PROCEDIMENTO FORMALE


Ove la Commissione ritenga di aver raccolto elementi che lo giustifichino, essa da avvio al
c.d. procedimento formale, notificando alle imprese coinvolte una comunicazione di
addebiti.

26
Tale comunicazione deve consentire “agli interessati di prendere atto dei comportamenti di
cui la Commissione fa loro carico” fornendo loro “tutti gli elementi necessari per provvedere
utilmente alla propria difesa”.

Effetti della comunicazione di addebiti:


- cristallizza l’oggetto del procedimento = nella decisione finale la Commissione
non può prendere in considerazione addebiti ulteriori e, se la Commissione intende
modificare gli addebiti, deve procedere ad una nuova comunicazione o ad integrare
la comunicazione originaria;
- nel momento della notifica, le autorità nazionali perdono la loro competenza ad
applicare gli artt. 101 e 102 TFUE (nota bene: “Doppia Barriera”?).

In questa fase, le parti interessate:


1. hanno il diritto di esaminare tutti i documenti relativi al fascicolo istruttorio;
2. il diritto di presentare osservazioni scritte, entro il termine indicato dalla
Commissione nella comunicazione di addebiti;
3. di essere sentite in merito alle contestazioni mosse.

INTERVENTO DELLA COMMISSIONE: DECISIONE


La Commissione dispone di un ampio potere decisorio che può esprimersi come segue:
- Decisione in merito alla MERA CONSTATAZIONE di infrazione: l’infrazione è già
cessata, ma la Commissione ha comunque un legittimo interesse a constatarla;
- Decisione INIBITORIA: constata l’esistenza di una infrazione, la Commissione
impone alle imprese interessate rimedi (comportamentali o strutturali) volti
all’eliminazione dell’infrazione;
- Decisione comminatoria di AMMENDE: oltre all’inibitoria, in caso di infrazione, la
Commissione commina anche ammende per un valore che non può superare il 10%
del fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente; adeguato a
gravità e durata dell’infrazione;
- Decisione di ACCETTARE IMPEGNI: in alternativa all’inibitori, la Commissione può
adottare una decisione con cui rende obbligatori per le imprese gli impegni che le
stesse imprese si sono impegnate a rispettare, con la conseguenza che l’intervento
della Commissione non è più giustificato, finché tali impegni sono rispettati;
- Decisione di irrogazione di PENALITÀ DI MORA: per fare rispettare una inibitoria,
far rispettare misure cautelari, per far rispettare impegni già accettati dalla
Commissione;
- Decisione di CONSTATAZIONE DI INAPPLICABILITÀ: la Commissione, per ragioni
di interesse pubblico comunitario e d’ufficio, può procedere ad una constatazione di
inapplicabilità dell’art. 101 ed una specifica intesa, o perché le condizioni di cui all’art.
101, par. 1, non sono soddisfatte o perché sono soddisfatte le condizioni di cui all’art.
101, par. 3;
- Decisione di adottare MISURE CAUTELARI: in casi di urgenza e sempre che
prima facie consti l’esistenza di una infrazione degli artt. 101 o 102;
- Decisione di RIGETTO di una denuncia;
- Decisione di REVOCA: la Commissione, in caso specifici, può revocare il beneficio
concesso in un regolamento di esenzione per categoria ed in particolare quando
accerta che uno specifico accordo, decisione o pratica concordata cui si

27
applicherebbe il regolamento di esenzione ha effetti incompatibili con l’art. 101, par.
3, TFUE.
In conclusione, la Commissione gode di un potere istruttorio e decisionale molto ampio.

INTERVENTO DELLE AUTORITA’ NAZIONALI: COMPETENZA


Le Autorità Nazionali della Concorrenza possono applicare le regole di concorrenza
dell’Unione Europea, come la Commissione. Il Reg. n. 1/2003 definisce (in maniera
generica) i poteri decisori delle Autorità Nazionali della Concorrenza, mentre non
regolamenta i poteri di indagine.
Quanto ai poteri decisori, questi ricalcano quelli della Commissione. In particolare, ex art. 5
del reg. 1/2003, le citate autorità, nell’applicare gli artt. 101 e 102 TFUE, possono adottare le
seguenti decisioni:
- decisioni inibitorie;
- decisioni cautelari;
- decisione di accettazione di impegni;
- decisioni sanzionatorie;
- decisioni di non luogo a procedere.
Le Autorità Nazionali della Concorrenza applicano in via diretta gli artt. 101 e 102
TFUE (norme “direttamente applicabili”).
La disciplina del reg. n. 1/2003 è stata recentemente completata dalla Direttiva (UE) 2019/1.
Con tale direttiva il legislatore dell’Unione ha inteso raggiungere l’obbiettivo di rendere più
efficace l’applicazione degli artt. 101 e 102 TFUE da parte della autorità nazionali
assicurando loro, inter alia, adeguate garanzie di indipendenza, maggiori poteri istruttori e
sanzionatori (equiparati in sostanza a quelli della Commissione) e strumenti per una
reciproca assistenza.

INTERVENTO DELLE AUTORITA’ NAZIONALI: LIMITI


Rispetto alla Commissione, le Autorità nazionali non si trovano tuttavia in posizione di
eguaglianza. I vincoli sono i seguenti:
- Obbligo di Informazione (art. 11, par. 3 e par. 4, reg. 1/2003; art. 10, par. 3, dir.
2019/1):
a. le Autorità nazionali devono informare la Commissione di tutti i casi in cui
intendono istruire ai sensi degli artt. 101 e 102
TFUE;
b. devono comunicare con almeno 30 giorni di anticipo i progetti di decisione
che intendono adottare;
c. devono informare della chiusura di un procedimento se l’autorità decide di
non proseguire l’indagine.
- Effetto preclusivo (art. 11, par. 6, reg. 1/2003): l’avvio di un procedimento da parte
della Commissione priva le Autorità nazionali del potere di procedere a loro volta in
merito alla stessa fattispecie (nota bene: «Doppia Barriera?»).
- Obbligo di applicazione uniforme (art. 16, par. 2, reg. 1/2003): quando le Autorità
nazionali si pronunciano ai sensi dell’art. 101 e 102 TFUE su decisioni, accordi o
pratiche già oggetto di una decisione della Commissione, non possono assumere
decisioni in contrasto con quest’ultima (n.b.: ambito applicativo non chiaro).

28
INTERVENTO DEI GIUDICI NAZIONALI: COMPETENZA
I giudici nazionali possono applicare direttamente gli artt. 101 e 102 TFUE (norme dotate di
efficacia “diretta”; si veda anche art. 6, reg. n. 1/2003).
I soggetti “interessati” possono dunque invocare la violazione degli artt. 101 e 102 TFUE
innanzi al proprio giudice nazionale.
I giudizi possono essere i più vari e possono avere ad oggetto, a titolo esemplificativo:
- azione di nullità di un contratto stipulato in violazione dell’art. 101 TFUE;
- azione di risarcimento del danno derivante da una pratica vietata ex art. 101 o 102
TFUE.
Le controversie possono sorgere a seguito di una decisione della Commissione o
dell’Autorità Nazionale della Concorrenza competente (azioni c.d. follow on) oppure possono
essere proposte autonomamente prima che le predette intervengano (azioni c.d. stand
alone).

INTERVENTO DEI GIUDICI NAZIONALI: RAPPORTI CON ANC E COMMISSIONE


Quanto agli effetti delle decisioni adottate dalle Autorità Nazionali della Concorrenza,
occorre considerare che:
- se la decisione proviene dall’Autorità dello Stato membro del foro, la violazione “è
ritenuta definitivamente accertata ai fini dell’azione per il risarcimento del danno” (art.
9, par. 1);
- se si tratta di una decisione proveniente da una Autorità di uno Stato terzo, i giudici
nazionali possono utilizzare tale decisione come “titolo di prova prima facie, del fatto
che è avvenuta una violazione del diritto della concorrenza” (art. 9, par. 2).

Quanto ai rapporti con la Commissione:


- l’avvio di un procedimento formale da parte di quest’ultima non esclude il potere
del giudice nazionale di pronunciarsi (anche se, dalla Corte, viene raccomandata la
sospensione del procedimento innanzi al giudice nazionale; possibilità
espressamente prevista anche dall’art. 16, par. 1, reg. n. 1/2003, direttamente
applicabile);
- ove la Commissione abbia adottato una decisione, il giudice nazionale non potrà
discostarsi da tale decisione (preclusa la possibilità di adottare una decisione
difforme).

LA DISCIPLINA DEGLI AIUTI PUBBLICI ALLE IMPRESE


La ratio della collocazione sistematica
Perché parlare di aiuti pubblici alle imprese nell’ambito della disciplina comunitaria a
tutela della concorrenza?
Perché quando parliamo di aiuti pubblici facciamo riferimento a quelle misure economiche
di derivazione statale che favoriscono determinate imprese rispetto alle altre,
influenzando così il gioco della concorrenza e del libero mercato, ponendo cioè tali imprese
in una posizione privilegiata rispetto alle altre.
Ecco perché la disciplina degli aiuti pubblici all’interno del TFUE la troviamo sempre nel
Capo I del Titolo VII relativo alle regole di concorrenza, ma non nella Sezione I che
riguarda le regole applicabili alle imprese, bensì nella Sezione II - aiuti concessi dagli
stati.

29
Quadro normativo di riferimento: le norme di rango primario
- art. 107 tfue: principio di incompatibilita’ degli aiuti con il mercato comune, salvo
deroghe ed esenzioni;
- art. 108 tfue: procedura di controllo affidata alla commissione ed eccezionalmente al
consiglio;
- art. 109 tfue: potere del consiglio di stabilire, su proposta della commissione e previa
consultazione del parlamento europeo, tutti i regolamenti utili all’applicazione gli artt.
107.

Quadro normativo di riferimento: le fonti derivate


Per molto tempo il Consiglio non ha esercitato il potere di cui all’art. 109 TFUE, il primo
regolamento di attuazione della disciplina degli aiuti è stato il reg. 994/1998 sull’applicazione
degli artt. 107 e 108 a determinate categorie di aiuti orizzontali.
Tale regolamento ha abilitato la Commissione ad adottare regolamenti di secondo grado
che specificassero le condizioni in cui tali aiuti sono considerati compatibili con il mercato
interno e non necessitano di previa autorizzazione della Commissione per essere istituiti e
attuati.
In forza di questa delega nel tempo la Commissione ha adottato numerosi regolamenti di
esenzione per categoria.
Più di recente la Commissione ha adottato un regolamento generale di esenzione per
categoria, il n. 800/2008, che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato
comune.
Il secondo regolamento adottato dal Consiglio in base all’art. 109 TFUE è il Reg. n.
659/99, poi confluito nell’attuale reg. 1589/2015, recante le modalità di applicazione
dell’art. 108 TFUE e quindi la procedura di controllo sugli aiuti.
Nel quadro normativo bisogna tener conto anche della PRASSI DELLA COMMISSIONE,
composta da:
- decisioni adottate su casi individuali e spesso pubblicate anche in G.U.;
- nonché documenti di natura programmatica pubblicati dalla commissione.

Definizione: che cos’è un aiuto pubblico alle imprese?


Art. 107 par. 1 TFUE:
“Salvo deroghe previste dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura
in cui incidono sugli scambi tra stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero
mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo alcune imprese o talune
produzioni, falsino o minacciano di falsare la concorrenza”.
Secondo una giurisprudenza ormai consolidata la qualificazione di una misura quale aiuto
presuppone quattro criteri cumulativi.

I quattro criteri cumulativi della nozione di aiuto:


1. finanziamento di origine pubblica: deve trattarsi di un intervento dello stato o
comunque effettuato con risorse statali;
2. conferimento di un vantaggio per i beneficiari (e selettività della misura);
3. pregiudizio agli scambi tra stati membri;
4. pregiudizio alla concorrenza.
I motivi o gli scopi per cui lo Stato ha deciso di introdurre la misura risultano
ininfluenti, rilevano esclusivamente gli effetti che la misura produce sulla concorrenza
e sugli scambi: principio espresso da giurisprudenza costante.

30
Primo criterio: finanziamento di origine pubblica
In relazione ad esso l’art. 107 distingue due diverse ipotesi:
- gli aiuti concessi dagli Stati membri;
- quelli concessi mediante risorse statali.
Secondo la Corte di giustizia tale distinzione è volta a “ricomprendere nella nozione di aiuti
non solo quelli concessi dagli Stati ma anche quelli concessi da enti pubblici o privati
designati o istituiti dagli Stati”; tale può essere quindi anche l’aiuto che viene erogato quindi
da un’autorità non statale come gli enti pubblici territoriali o economici o le società
controllate dallo Stato o da enti incaricati dalla legge di gestire fondi provenienti da depositi
pubblici o privati.

Aiuti concessi mediante risorse statali → giurisprudenza costante ritiene che affinché si
possano ritenere tali, è necessario che il vantaggio accordato all’impresa beneficiaria,
qualunque ne sia la forma, corrisponda a un onere finanziario a carico dell’ente
erogatore.
Non necessaria una corrispondenza esatta in termini quantitativi, ma “è sufficiente che vi sia
un nesso sufficientemente diretto tra, da un lato, il vantaggio accordato al beneficiario e,
dall’altro, una riduzione del bilancio statale o un rischio economico sufficientemente concreto
di oneri gravanti su tale bilancio”.
L’aiuto si considera concesso mediante risorse statali anche quando le risorse utilizzate per
erogarlo provengano da contributi obbligatori o tasse parafiscali riscosse da un ente
pubblico a carico delle imprese di un certo settore e utilizzate a favore di alcune di
queste.

Secondo criterio: conferimento di un vantaggio ai beneficiari


L’aiuto può assumere le forme più diverse, come affermato da una ricorrente giurisprudenza:
“il concetto di aiuto è più ampio di quello di sovvenzione poiché vale a designare non solo
prestazioni positive, come le sovvenzioni, ma anche gli interventi che, in varie forme,
alleviano gli oneri che normalmente gravano sul bilancio di un’impresa e che, senza
essere sovvenzioni nel senso stretto del termine, hanno la stessa natura e producono
identici effetti”. Sotto questa prospettiva gli aiuti possono quindi essere distinti in quelli che
comportano prestazioni positive e quelli che consistono in una rinuncia ad introiti.

Aiuti sotto forma di prestazioni positive – sovvenzioni in senso stretto


L’esempio tipico di aiuto che consiste in prestazione positiva è il trasferimento materiale di
risorse finanziarie dal bilancio dell’ente pubblico erogatore a quello dell’impresa
beneficiaria. Appartengono a questa categoria anche la concessione di prestiti e
garanzie ovvero gli investimenti pubblici nel capitale di imprese quando avvengono in
condizioni che un investitore privato in un’economia di mercato non avrebbe mai
accettato.

Aiuti indiretti
Il vantaggio ai beneficiari derivante dall’aiuto può essere anche indiretto, nel senso che
l’erogazione di risorse pubbliche non è destinata ai beneficiari stessi ma ai loro
clienti.

31
Aiuti sotto forma di rinuncia a introiti da parte di autorità pubbliche
Rientrano in questa categoria anzitutto le agevolazioni fiscali, sotto forma di esoneri o di
riduzioni di imposte, tasse o contributi concessi a determinate imprese nazionali.
Altri esempi sono la Fissazione di prezzi di favore per determinati beni pubblici: es.
fornitura di combustibili di proprietà statale a prezzi inferiori rispetto a quelli praticati agli altri
utenti; o ancora l’assistenza logistica e commerciale fornita a prezzi inferiori a quelli di
mercato da parte di un’impresa pubblica alle proprie filiali che operavano in settori aperti alla
libera concorrenza.

Il requisito della selettività dell’aiuto


Perché si possa dire che una misura conferisce un vantaggio ai beneficiari occorre che essa
presenti un carattere di selettività: l’art. 107 TFUE infatti qualifica come aiuti di Stato le
misure che favoriscono “talune imprese o talune produzioni”. Una misura selettiva è ad es.
quella mediante la quale “le pubbliche autorità accordino a determinate imprese un
trattamento fiscale vantaggioso che collochi i beneficiari in una situazione finanziaria più
favorevole rispetto agli altri contribuenti”.
Al contrario non costituiscono aiuti le misure che favoriscono lo sviluppo delle attività
economiche in generale: avendo appunto carattere generale non sono selettive, purché si
tratti di misure di cui beneficiano tutte le imprese, indipendentemente dal settore di
attività o dalla regione in cui sono installate.

Aiuti individuali e regimi di aiuto


- aiuti individuali: sono concessi alle singole imprese;
- regimi di aiuto: sono definiti all’art. 1 lett. d) del reg. 1589/2015 come “un atto in
base al quale, senza che siano necessarie ulteriori misure di attuazione,
possono essere adottate singole misure di aiuto a favore di imprese definite
nell’atto in linea generale e astratta”.
A differenza di quelli individuali, i regimi di aiuto sono costituiti da atti di portata
generale che autorizzano la successiva adozione di provvedimenti individuali di erogazione
ovvero consentono alle imprese interessate di avvalersi senz’altro dei provvedimenti di
favore: devono contenere i criteri per l’individuazione delle imprese beneficiarie e per il
calcolo dei singoli aiuti.

Gli aiuti concessi nel quadro di un regime di aiuti non sono aiuti individuali: non
devono essere notificati alla Commissione, né sono oggetto dell’obbligo di standstill;
le decisioni che ritengono compatibile un regime di aiuti in genere prescrivono che le
singole applicazioni del regime siano semplicemente comunicate alla Commissione.

Terzo e quarto criterio: pregiudizio al commercio tra stati membri e pregiudizio alla
concorrenza
Stessi criteri che l’art. 101 TFUE pone riguardo alle intese vietate: spesso la giurisprudenza
esamina queste condizioni congiuntamente, per cui non è facile distinguerle nella pratica e
questo rende molto difficile contestarne l’esistenza.
La Corte ritiene che “allorché un aiuto finanziario concesso dallo Stato rafforza la
posizione di un’impresa nei confronti di altre imprese concorrenti negli scambi
intracomunitari, questi sono da considerarsi influenzati dall’aiuto”.

32
Terzo e quarto criterio: pregiudizio agli scambi tra stati membri e
pregiudizio alla concorrenza
E’ SUFFICIENTE DIMOSTRARE:
a. che l’aiuto provochi il rafforzamento della posizione dell’impresa beneficiaria
rispetto ai suoi concorrenti;
b. che l’impresa operi in un mercato aperto agli scambi tra Stati membri, nel
senso che in tale mercato sono presenti imprese di più Stati.

La giurisprudenza ha chiarito che per escludere la sussistenza di tali condizioni non basta
sostenere che l’aiuto è rivolto ad un’impresa operante soltanto sul mercato nazionale,
perché il rafforzamento di tale impresa può comunque determinare una maggiore difficoltà di
penetrazione sul mercato interno da parte di imprese di altri Stati membri.
Nemmeno è sufficiente sostenere che l’aiuto è destinato ad un’impresa operante soprattutto
sul mercato di Paesi terzi, poiché data l’interdipendenza tra i mercati, non si può escludere
che un aiuto del genere possa alterare la concorrenza intracomunitaria.

Il principio de minimis
Come per gli accordi anticoncorrenziali, anche per gli aiuti è richiesto che il pregiudizio alla
concorrenza e agli scambi tra Stati sia rilevante: ciò non si verifica quando gli aiuti sono di
importanza minore, ovvero il loro importo complessivo non supera, per una stessa
impresa, la SOMMA DI 200.000 euro nell’arco di tre esercizi finanziari.
Non è chiaro se sotto la soglia di importanza non si debba considerare aiuto ai sensi dell’art.
107 TFUE par. 1 (come accade per le intese di minore importanza, considerate non
rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 101 TFUE) oppure se tale caratteristica
comporti soltanto che l’aiuto si presume compatibile con il mercato interno ai sensi del
paragrafo 3 del medesimo articolo: si propende per la prima alternativa.

Il principio di incompatibilità e le deroghe: art. 107 tfue


Qualsiasi misura statale che rientri nella definizione di aiuto è in linea di principio
incompatibile con il mercato interno ai sensi del par. 1 dell’art. 107 TFUE.
Tuttavia, a differenza che per le intese, non è previsto un vero e proprio divieto di aiuti ma un
principio di incompatibilità salvo deroghe: i successivi par. 2 e 3 dell’art. 107 TFUE
introducono infatti categorie di aiuti che sono compatibili e quindi autorizzati.

La valutazione di compatibilità spetta però non agli Stati bensì alla Commissione e quindi si
può dire che non c’è un divieto generale di aiuti ma un divieto assoluto di istituire aiuti
che non siano stati autorizzati dalla commissione o che non soddisfino le condizioni
previste da un regolamento di esenzione per categoria.

Aiuti automaticamente compatibili: art. 107 par. 2 TFUE


Il par. 2 prevede tre categorie di aiuti che sono automaticamente compatibili (“sono
compatibili con il mercato interno”), nel senso che la loro compatibilità risulta
direttamente dal TFUE e non deve essere valutata dalla Commissione: le istituzioni
devono limitarsi a verificare la sussistenza delle condizioni indicate, senza esercitare alcun
ulteriore potere discrezionale (es. aiuti per calamità naturali o eventi eccezionali).

33
Aiuti potenzialmente compatibili: art. 107 par. 3 TFUE
Poteri di scelta più ampi sono invece riconosciuti alle istituzioni riguardo agli aiuti rientranti
nelle quattro categorie previste dal paragrafo 3, il quale stabilisce soltanto che “essi
possono considerarsi compatibili” con il mercato interno. Spetta alla Commissione e,
eccezionalmente al Consiglio, decidere se il singolo aiuto vada o meno autorizzato.

LA PROCEDURA DI CONTROLLO SUGLI AIUTI: ART. 108 TFUE


Il compito di applicare la disciplina che il TFUE detta in materie di aiuti pubblici alle imprese
spetta: in maniera preponderante alle istituzioni europee, in particolare alla Commissione e
in maniera minore ai giudici nazionali, in nessun caso i giudici nazionali sono
competenti a valutare la compatibilità di un aiuto di Stato con il mercato.
La procedura con cui le istituzioni devono applicare la disciplina sugli aiuti è sommariamente
delineata dall’art. 108 TFUE: disposizione formulata confusa e lacunosa, che per lungo
tempo non è stata precisata e completata da regolamenti d’applicazione del Consiglio: ad
oggi il regolamento a cui fare riferimento per la procedura di controllo è il n.
1589/2015.

LE ISTITUZIONI TITOLARI DEI POTERI DI CONTROLLO SUGLI AIUTI


La procedura è affidata principalmente alla commissione;
l’art. 108 par. 2 tfue terzo comma prevede l’intervento eccezionale del consiglio: su
richiesta dello stato membro interessato può decidere, all’unanimità, che un aiuto già
istituito o da istituire sia considerato compatibile con il mercato in comune “in deroga
alle disposizioni di cui agli artt. 107 o dei regolamenti di cui all’art. 109 TFUE, quando
circostanze eccezionali giustifichino tale decisione” potere di autorizzare un singolo
aiuto diverso da quello di definire una nuova categoria di aiuti che possono essere dichiarati
compatibili dal Consiglio previsto dell’art. 107 par. 3 lett e) nell’ambito degli aiuti
potenzialmente compatibili.
L’art. 108 TFUE prevede in realtà due distinte procedure di controllo a seconda che si
tratti di aiuti esistenti o di aiuti nuovi.

LA PROCEDURA DI CONTROLLO SUGLI AIUTI ESISTENTI


L’art. 1 lett b) reg. 1589/2015 li definisce come gli aiuti individuali o i regimi di aiuti “ai
quali è stata data esecuzione prima dell’entrata in vigore del trattato e che sono
ancora applicabili dopo tale entrata in vigore” (la data di entrata in vigore varia a seconda
della data di adesione dello Stato membro che si considera).
Considerati aiuti esistenti anche:
- gli aiuti già oggetto di autorizzazione, compresi quelli che rientrano nel campo di
applicazione di un regolamento di esenzione per categoria della Commissione;
- quelli notificati alla Commissione ma in relazione ai quali non sia stata avviata
la procedura di indagine formale entro due mesi dalla notifica;
- quelli concessi da oltre 10 anni, senza che la Commissione abbia intrapreso
nessuna azione nei confronti dello Stato;
- gli aiuti che non erano tali al momento della loro istituzione ma lo sono divenuti
successivamente;
- gli aiuti individuali erogati in base ad un regime di aiuti autorizzato dalla
Commissione.

34
Gli aiuti esistenti sono sottoposti ad un esame permanente della Commissione ai
sensi dell’art. 108 par. 1 e 2 TFUE, qualora all’esito di tale esame si convinca che l’aiuto in
questione non è compatibile con il mercato interno apre la procedura di indagine formale,
che prevede:
a. intimazione agli interessati di presentare le loro osservazioni;
b. adozione di una decisione con cui la Commissione ordina allo Stato interessato di
sopprimere o modificare l’aiuto nel termine da essa fissato;
c. qualora lo Stato non si conformi alla decisione entro il termine, ricorso diretto alla
Corte di Giustizia.

LA PROCEDURA DI CONTROLLO SUGLI AIUTI NUOVI


Si tratta di tutti gli aiuti individuali o i regimi di aiuti che non sono da considerarsi
esistenti, per essi l’art. 108 par. 3 stabilisce un doppio obbligo procedurale a carico degli
Stati:
- obbligo di notifica: essi devono comunicare tutti i progetti diretti a istituire o
modificare aiuti “in tempo utile” alla commissione;
- obbligo di standstill: non possono dare esecuzione ai progetti di aiuti notificati
prima che la Commissione abbia adottato in proposito una decisione finale.
Qualora la Commissione ritenga che il progetto notificato non sia compatibile con il
mercato interno, inizia il procedimento di indagine formale applicabile anche in caso di
aiuti esistenti.

La procedura è più articolata rispetto a quanto prevede il 108 TFUE:


- in un primo tempo la Commissione sottopone gli aiuti notificati ad un esame
preliminare;
- è possibile che il procedimento si arresti alla fase preliminare mediante una
decisione di non sollevare obiezioni: questo avviene quando la Commissione
ritiene che la misura notificata non costituisce un aiuto o pur costituendo un aiuto,
non sussistono dubbi in ordine alla compatibilità con il mercato comune.
L’atto con cui la Commissione decide di non aprire il procedimento di indagine formale
costituisce una decisione impugnabile ai sensi dell’art. 263 comma quarto TFUE
(ricorso di annullamento).
L’art. 108 par. 3 non precisa il termine per l’apertura dell’indagine formale: si tratta di una
lacuna grave perché durante la fase di esame preliminare vige l’obbligo di standstill; la Corte
di Giustizia l’ha colmata stabilendo che l’apertura del procedimento deve intervenire
entro due mesi dalla notifica del progetto; decorso tale termine si può applicare l’aiuto
progettato.
Anche l’avvio della procedura di indagine formale costituisce una vera e propria
decisione ai sensi dell’art. 288 quarto comma TFUE e quindi può essere oggetto di
ricorso d’annullamento ai sensi dell’art. 263 TFUE.

LA CONCLUSIONE DEL PROCEDIMENTO DI CONTROLLO


Il procedimento dovrebbe concludersi ENTRO 18 MESI DALL’AVVIO: scaduto tale
termine invano, lo Stato membro può chiedere alla Commissione di adottare una decisione
“in base alle informazioni in suo possesso” e, se queste non sono sufficienti, “la
Commissione prende una decisione negativa” .
Come può concludersi il procedimento:

35
a. decisione che dichiara che la misura notificata non costituisce un aiuto (attestazione
negativa);
b. decisione che dichiara l’aiuto compatibile con il mercato interno (decisione
positiva);
c. decisione che dichiara l’aiuto compatibile con il mercato interno, subordinatamente al
rispetto di determinati obblighi e condizioni (decisione condizionale);
d. decisione che dichiara che all’aiuto non può essere data esecuzione (decisione
negativa).

GLI AIUTI ILLEGALI E I POTERI ECCEZIONALI DELLA COMMISSIONE


L’obbligo di standstill vale sia per i progetti di aiuti regolarmente notificati ai sensi dell’art.
108 par. 3 TFUE, sia e a maggior ragione per gli aiuti che, contrariamente a quanto
prescritto, non siano mai stati notificati alla Commissione. Qualora uno Stato dia
attuazione ad un aiuto in pendenza del procedimento davanti alla commissione
oppure senza averlo proprio notificato, l’aiuto viene considerato un aiuto illegale.

1. Fase provvisoria
Prima particolarità: potere della Commissione di intimare allo Stato membro, con decisione
provvisoria, la sospensione immediata dell’applicazione dell’aiuto; in caso di
inosservanza la Commissione può presentare ricorso alla Corte di giustizia ai sensi dell’art.
108 par. 2 TFUE.
La Commissione può ordinare allo Stato membro di “recuperare a titolo provvisorio”
l’aiuto concesso illegalmente, a due condizioni:
- non devono sussistere dubbi circa il carattere di aiuto della misura in questione in
base ad una pratica consolidata;
- deve trattarsi di una situazione di emergenza;
- esiste un grave rischio di danno consistente e irreparabile ad un concorrente.

2. Indagine formale
Dopo la fase provvisoria, a meno che non voglia adottare la decisione di non
sollevare obiezioni, la Commissione deve seguire il procedimento di indagine formale
già descritto e non può esimersi dal prendere in considerazione eventuali motivi che
possono giustificare una deroga ai sensi del par. 3 dell’art. 108 TFUE: la violazione
dell’obbligo di standstill non comporta di per sé che l’aiuto sia incompatibile con il mercato
comune.

LA DECISIONE DI RECUPERO DEGLI AIUTI ILLEGALI


Altro potere eccezionale: anche in caso di decisione negativa, la Commissione ha il potere
di ordinare allo Stato membro interessato di recuperare l’aiuto.
Il recupero deve avvenire:
a. “senza indugio”: non è imposto un termine preciso, si ritiene che lo Stato debba
agire immediatamente; nel caso insorgano particolari difficoltà nell’attuazione del
recupero, lo Stato deve chiedere la collaborazione della Commissione per trovare
una soluzione alternativa soddisfacente e solo in caso di impossibilità assoluta, lo
Stato è esentato (casi eccezionali);
b. “secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a
condizione che esse consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della

36
decisione della Commissione”: vale il principio dell’autonomia processuale degli
Stati membri, rispettando tuttavia anche quello di effettività e dell’equivalenza.

In materia di recupero di aiuti illegali e incompatibili, l’Italia si è dotata di una legge ad hoc, la
l. 234/2012: il provvedimento di recupero deve essere adottato dall’ente responsabile;
qualora l’aiuto sia stato concesso dallo Stato, il ministro competente adotta entro due mesi
dalla notifica della decisione di recupero un decreto immediatamente esecutivo.

CASI ECCEZIONALI DI ESENZIONE DALL’OBBLIGO DI RECUPERO


In alcune ipotesi la Commissione può non ordinare il recupero, in particolare “qualora
esso si ponga in contrasto con un principio generale”: dato il carattere imperativo
dell’art. 108 TFUE par. 3, le imprese beneficiarie di aiuti illegali non possono opporsi al
recupero invocando semplicemente il proprio legittimo affidamento o il principio della
certezza del diritto.
La Corte di giustizia ha specificato che un recupero di aiuti illegali può essere
considerato impossibile da realizzare solo quando la Commissione accerti l’esistenza
delle difficoltà addotte dallo Stato e che non ci siano modalità alternative di recupero.

CONTROLLO GIURISDIZIONALE SULLA PROCEDURA DI CONTROLLO


1. RICORSO DI ANNULLAMENTO – ART. 263 QUARTO COMMA TFUE
La Corte ha riconosciuto che, oltre allo Stato destinatario (o altri enti pubblici erogatori),
anche le imprese beneficiarie dell’aiuto hanno diritto di presentare ricorso in forza
dell’art. 263 quarto comma TFUE contro la decisione negativa della Commissione che
imponga allo Stato di non istituire o di sopprimere l’aiuto in questione.
Più problematica la possibilità di impugnare una decisione positiva: l’impresa concorrente
può impugnare la decisione positiva della Commissione (con cui ritenga l’aiuto
compatibile); la giurisprudenza sottopone la ricevibilità del ricorso a due condizioni:
a. che il ricorrente abbia svolto un ruolo attivo nel procedimento;
b. che la sua posizione sul mercato sia notevolmente lesa dal provvedimento di aiuto
oggetto della decisione impugnata.

2. RICORSO IN CARENZA – ART. 265 TFUE


L’eventuale inerzia della Commissione può essere oggetto di un ricorso in carenza ai sensi
dell’art. 265 TFUE da parte di Stati, altre istituzioni o persone fisiche o giuridiche.

3. RICORSO PER INFRAZIONE


Qualora lo Stato membro non osservi la decisione della Commissione, questa o un altro
Stato membro possono presentare direttamente ricorso per infrazione ai sensi dell’art. 108
par. 2 TFUE. Nell’ambito di un ricorso di questo tipo, lo Stato membro inadempiente che non
abbia impugnato la decisione della Commissione non può contestarne la legittimità.

EFFICACIA DIRETTA E RUOLO DEI GIUDICI NAZIONALI


La complessità della procedura attraverso cui l’art. 107 va applicato e la discrezionalità
dell’esame sulla compatibilità dell’aiuto hanno indotto la Corte a negare che l’art. 107 sia
una norma dotata di efficacia diretta e quindi invocabile dai privati davanti a un
giudice nazionale.

37
I giudici nazionali hanno un ruolo marginale in materia di aiuti; solo nell’ambito degli aiuti
illegali è stato loro riconosciuto un ruolo importante: la Corte ha affermato l’efficacia
diretta dell’art. 108 par. 3 TFUE nella parte in cui prevede l’obbligo di standstill.
Se il giudice nazionale constata che effettivamente si tratta di un aiuto nuovo non notificato,
potrà annullare i provvedimenti interni di concessione dell’aiuto, nonché ordinare allo
Stato di recuperare gli importi già erogati.
La Commissione in generale spinge affinché i soggetti interessati si rivolgano ai giudici
nazionali (PRIVATE ENFORCEMENT): tutela più rapida ed efficace, potendo concedere
provvedimenti provvisori di recupero in condizioni più ampie.
I giudici nazionali sono i soli a poter accordare ai concorrenti dei beneficiari di un aiuto
illegale il risarcimento danni: la domanda di risarcimento davanti solitamente è rivolta
contro lo Stato, in quanto autore della violazione di cui all’art. 108 par. 3 TFUE; non è
tuttavia escluso che l’impresa concorrente possa promuovere l’azione nei confronti della
stessa impresa beneficiaria degli aiuti.
Novità del reg. 1589/2015 è la cooperazione tra giudici nazionali e commissione: art. 29,
possibilità di richiedere informazioni alla Commissione e per la Commissione di presentare
osservazioni nei giudizi interni.

lezione 4 → LE QUATTRO LIBERTÀ


Definizione e riferimenti normativi
- Fonti di diritto primario: Trattati e Carta di Nizza;
- Fonti di diritto secondario: Direttive e Regolamenti.
Rimedi contro violazioni libertà di circolazione.
Le quattro libertà:
1. Libertà circolazione delle persone (art. 45 ss. TFUE);
2. Libertà stabilimento e prestazione servizi (art. 49 ss. e art. 56 ss. TFUE);
3. Libertà circolazione capitali (art. 63 ss. TFUE);
4. Libertà circolazione merci (art. 28 ss. TFUE).

Art. 26 TFUE
1. L'Unione adotta le misure destinate all'instaurazione o al funzionamento del mercato
interno, conformemente alle disposizioni pertinenti dei trattati.
2. Il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata
la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le
disposizioni dei trattati.

CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UE (CARTA DI NIZZA)


Articolo 15 - Libertà professionale e diritto di lavorare
1.Ogni individuo ha il diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta
o accettata.
2. Ogni cittadino dell’Unione ha la libertà di cercare un lavoro, di lavorare, di stabilirsi o di
prestare servizi in qualunque Stato membro.
3. I cittadini dei paesi terzi che sono autorizzati a lavorare nel territorio degli Stati
membri hanno diritto a condizioni di lavoro equivalenti a quelle di cui godono i
cittadini dell’Unione.

38
LIBERTÀ CIRCOLAZIONE MERCI
Articolo 28 TFUE – Libera circolazione delle merci
L'Unione comprende un'unione doganale che si estende al complesso degli scambi di
merci e comporta il divieto, fra gli Stati membri, dei dazi doganali all'importazione e
all'esportazione e di qualsiasi tassa di effetto equivalente, come pure l'adozione di una
tariffa doganale comune nei loro rapporti con i paesi terzi.

Articolo 34 TFUE - Divieto delle restrizioni quantitative


Sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all'importazione nonché qualsiasi
misura di effetto equivalente.

LIBERTÀ CIRCOLAZIONE CAPITALI


Articolo 63 TFUE – Capitali e pagamenti
1. Nell'ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni
ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi.
2. Nell'ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni
sui pagamenti tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi.

LIBERTÀ CIRCOLAZIONE PERSONE


Articolo 45 TFUE – I Lavoratori
1. La libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione è
assicurata.
2. Essa implica l'abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità,
tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le
altre condizioni di lavoro.
3. Fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica
sicurezza e sanità pubblica, essa importa il diritto:
a. di rispondere a offerte di lavoro effettive;
b. di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati
membri;
c. di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un'attività di
lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative che disciplinano l'occupazione dei lavoratori nazionali;
d. di rimanere, a condizioni che costituiranno l'oggetto di regolamenti stabiliti
dalla Commissione, sul territorio di uno Stato membro, dopo aver occupato
un impiego.

DIRITTO DERIVATO DIRETTIVA 2004/38/CE


DIRETTIVA 2004/38/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 29 aprile
2004 relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare
liberamente nel territorio degli Stati membri.
Art. 2 n. 2 – Estensione garanzie libera circolazione anche a familiari (coniuge; partner
unione registrata, discendenti, ascendenti).

DIRITTO DI USCITA E DI INGRESSO


Direttiva 2004/38/CE - Articolo 4 Diritto di uscita
- Senza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio
alle frontiere nazionali, ogni cittadino dell'Unione munito di una carta d'identità o di

39
un passaporto in corso di validità e i suoi familiari non aventi la cittadinanza di
uno Stato membro e muniti di passaporto in corso di validità hanno il diritto di
lasciare il territorio di uno Stato membro per recarsi in un altro Stato membro;
- Nessun visto di uscita né alcuna formalità equivalente possono essere prescritti

Direttiva 2004/38/CE - Articolo 5 Diritto di ingresso


- Senza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio
alle frontiere nazionali, gli Stati membri ammettono nel loro territorio il cittadino
dell'Unione munito di una carta d'identità o di un passaporto in corso di validità,
nonché i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, muniti di
valido passaporto.
- Nessun visto d'ingresso né alcuna formalità equivalente possono essere prescritti al
cittadino dell'Unione.
- I familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro sono soltanto
assoggettati all'obbligo del visto d'ingresso ...

DIRITTO DI SOGGIORNO
Articolo 6 - Diritto di soggiorno sino a tre mesi
1. Diritto cittadini UE di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro per un periodo
non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità (salvo documento di
identità).
2. Applicabilità anche a familiari non cittadini UE che accompagnino o raggiungano il
cittadino UE.

Articolo 7 Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi


1. Diritto cittadini UE di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi in altro Stato
membro, a condizione:
a. di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante;
b. di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti e
di un'assicurazione malattia;
c. iscrizione corso di studi (e altre situazioni ...)
d. di essere un familiare che accompagna o raggiunge un cittadino UE nei casi a), b) o
c).
2. Applicabilità anche a familiari non cittadini UE che accompagnino o raggiungano il
cittadino UE.
3. Cittadino UE conserva qualità di lavoratore dopo aver cessato lavoro subordinato o
autonomo se:
- temporanea inabilità al lavoro;
- disoccupazione involontaria debitamente comprovata;
- corso di formazione professionale.

Articolo 16 Diritto di soggiorno permanente


- Spetta al cittadino UE dopo soggiorno legale e continuativo per 5 anni nello Stato
membro;
- Applicabilità anche a familiari non cittadini UE che abbiano soggiornato legalmente
in via continuativa per 5 anni assieme al cittadino UE

LIBERTÀ DI STABILIMENTO E LIBERTÀ PRESTAZIONE SERVIZI

40
Art. 49 TFUE – STABILIMENTO Artt. 56-57 SERVIZI

- DIVIETO restrizioni alla libertà di - DIVIETO restrizioni alla libera


stabilimento dei cittadini di uno Stato prestazione dei servizi
membro nel territorio di un altro Stato all'interno dell'Unione;
membro (ricomprese anche agenzie,
succursali o filiali: «stabilimento secon- - Fornite normalmente dietro
dario»); retribuzione;

- Ricompreso sia l'accesso alle attività - Ricomprese attività di carattere


autonome e il loro esercizio, sia la a) industriale; b) commerciale
costituzione e la gestione di imprese; c) artigiane; d) libere professioni.

- Stesse condizioni imposte ai cittadini - Stesse condizioni imposte ai


nazionali (art. 49, par. 2); cittadini nazionali (art. 57, par. 2)

- Trattamenti differenziati solo se - Stesse possibilità limitazione


giustificati da ordine pubblico, art. 52 (rinvio art. 62)
pubblica sicurezza e sanità
pubblica (art. 52) - Prestazione servizi
a titolo temporaneo.
- Stabilimento a titolo permanente.

DIRITTO DERIVATO – DIRETTIVE: PERCHÉ?


Articolo 50 - stabilimento
Per realizzare la libertà di stabilimento in una determinata attività, il Parlamento europeo e il
Consiglio deliberano mediante direttive secondo la procedura legislativa ordinaria, (...)

Articolo 53 - stabilimento
Al fine di agevolare l'accesso alle attività autonome e l'esercizio di queste, il Parlamento
europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono
direttive intese al reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli e al
coordinamento delle disposizioni legislative‚ regolamentari e amministrative degli Stati
membri relative all'accesso alle attività autonome e all'esercizio di queste.

Articolo 59 – prestazione servizi


Per realizzare la liberalizzazione di un determinato servizio, il Parlamento europeo e il
Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria (...) stabiliscono direttive.

LA DIRETTIVA 2006/123/CE («DIRETTIVA BOLKESTEIN » O «DIRETTIVA SERVIZI»)


Struttura della direttiva:
Capo I - disposizioni generali
Capo II - semplificazione amministrativa
Capo III - libertà di stabilimento dei prestatori Capo IV - libera circolazione dei servizi
Capo V - qualità dei servizi
Capo VI - cooperazione amministrativa
Capo VII - programma di convergenza

41
Capo VIII - disposizioni finali

OGGETTO E DEFINIZIONI DIRETTIVA 2006/123


- Art. 1 (oggetto): Liberalizzazione libertà stabilimento prestatori e libera
circolazione dei servizi, assicurando qualità elevata dei servizi;
- Art. 3 (definizioni): «servizio»: qualsiasi attività economica non salariata di cui
all’articolo 50 del trattato fornita normalmente dietro retribuzione;
- «prestatore»: qualsiasi persona fisica, avente la cittadinanza di uno Stato membro,
o qualsiasi persona giuridica di cui all’articolo 48 del trattato, stabilita in uno Stato
membro, che offre o fornisce un servizio.

SERVIZI ESCLUSI (ART. 2)


- servizi d’interesse economico generale riservati a enti pubblici o privati (così definiti
da ciascuno Stato membro)
- abolizione di monopoli
- aiuti concessi dagli Stati membri
- servizi non economici d’interesse generale
- servizi finanziari e bancari
- servizi e le reti di comunicazione elettronica
- servizi nel settore dei trasporti • servizi delle agenzie di lavoro interinale
- servizi sanitari
- servizi audiovisivi e cinematografici
- le attività di azzardo e giochi di fortuna
- le attività connesse con l’esercizio di pubblici poteri
- i servizi sociali riguardanti gli alloggi popolari, l’assistenza all’infanzia e il sostegno
alle famiglie ed alle persone temporaneamente o permanentemente in stato di
bisogno, forniti dallo Stato
- servizi privati di sicurezza
- servizi forniti da notai e ufficiali giudiziari nominati con atto ufficiale della pubblica
amministrazione.
- servizi nel settore fiscale

Restano impregiudicate le misure nazionali e comunitarie, di protezione e promozione in


materia di:
❖ diversità culturale o linguistica o il pluralismo dei media
❖ diritto penale
❖ legislazione del lavoro (occupazione, condizioni di lavoro, salute e sicurezza sul
lavoro, rapporto tra datori e lavoratori, negoziazione e conclusione di accordi
collettivi, azioni sindacali)
❖ sicurezza sociale
❖ esercizio dei diritti fondamentali

CAPO III – LIBERTÀ STABILIMENTO PRESTATORI


Sez. I – Regimi di autorizzazione
Art. 9: Accesso ed esercizio servizi può essere soggetto ad autorizzazione solo se:
A. Regime non discriminatorio
B. Motivi imperativi di interesse generale
C. Obiettivo non raggiungibile con misura meno restrittiva (es.: controllo a posteriori)

42
Art. 10: In ogni caso valutazione su autorizzazione vincolata da criteri non discriminatori,
giustificati, commisurati all’obiettivo, chiari, oggettivi, noti preventivamente, trasparenti e
accessibili.

Sez. II – Requisiti
Art. 14: Requisiti vietati per accesso o esercizio servizi:
- Cittadinanza o residenza
- Divieto di avere stabilimenti in più di uno Stato membro
- Restrizioni della libertà di scelta per il prestatore
- Obbligo condizioni di reciprocità
- Obblighi di garanzie finanziarie o assicurative
Art. 15: Requisiti da valutare (gli Stati membri sono tenuti a adeguare requisiti esistenti nei
loro ordinamenti alle indicazioni europee).

CAPO IV – LIBERA CIRCOLAZIONE DEI SERVIZI


Sez. I – Libera prestazione servizi
➢ Art. 16 par. 1, commi 1-2
- Obbligo rispetto diritto esercizio attività di servizi negli Stati membri
- Obbligo permettere accesso a tali servizi nel proprio territorio

➢ Art. 16 par. 1, comma 3


Possibilità limitazioni a libera prestazione servizi se:
- non discriminatorie
- necessità (o.p., salute, sicurezza, ambiente)
- proporzionalità

Sez. II – Diritti dei destinatari


➢ Art. 19 - Divieto restrizioni all’accesso ad un servizio fornito da un prestatore
stabilito in un altro Stato membro (es.: autorizzazioni, dichiarazioni...)
➢ Art. 20 - Protezione destinatario da discriminazioni (divieto discriminazioni dei
destinatari basate su nazionalità e residenza)

DIRETTIVA 2005/36/CE (RICONOSCIMENTO QUALIFICHE PROFESSIONALI)


Oggetto (art. 1): Fissazione regole relative al riconoscimento delle qualifiche professionali
acquisite in uno Stato membro (detto "Stato di origine") per l'accesso alla professione e
per il suo esercizio in un altro Stato membro (detto "Stato ospitante").

Effetti del riconoscimento (art. 4): Attribuzione del diritto di accedere nello Stato
ospitante alla corrispondente professione e di esercitarla alle stesse condizioni dei
cittadini di tale Stato.

STRUTTURA DELLA DIRETTIVA 2005/36/CE


Titolo I: disposizioni di carattere generale
Titolo II: disciplina della prestazione di servizi a carattere occasionale e temporaneo
Titolo III: disciplina della libertà di stabilimento con relativo regime di riconoscimento delle
qualifiche professionali (tre differenti regimi).

TITOLO II – LIBERA PRESTAZIONE DI SERVIZI

43
Disciplina relativa esclusivamente all’esercizio temporaneo e occasionale della
professione, valutato caso per caso (durata della prestazione, frequenza, periodicità e
continuità)
➔ Articolo 5
Divieto limitazioni libera prestazione di servizi per ragioni attinenti alle qualifiche
professionali, se il prestatore ha esercitato la professione nello Stato membro di stabilimento
per almeno due anni nel corso dei dieci anni che precedono la prestazione di servizi (salvo
professioni regolamentate).

➔ Articolo 6
Prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro sono dispensati dai requisiti riguardanti:
a) l'autorizzazione, l'iscrizione o l'adesione a un'organizzazione professionale
b) l'iscrizione a un ente di previdenza sociale.

TITOLO III – LIBERTÀ DI STABILIMENTO E RICONOSCIMENTO QUALIFICHE


PROFESSIONALI → TRE DIFFERENTI REGIMI

CAPO I - Regime «generale» e residuale

CAPO II - Regime qualifiche professioni artigiane, commerciali e industriali (all. IV):


Verifica dell'esperienza professionale.

CAPO III - Regime specifiche professioni regolamentate (all . V: professioni


precedentemente disciplinate da direttive settoriali abrogate, cioè medico di base e medico
specialista, infermiere, dentista, veterinario, farmacista e architetto) Riconoscimento
automatico, basato sul coordinamento delle "condizioni minime di formazione
«(requisiti corsi di studio fissati dal legislatore europeo). Attribuzione degli "stessi effetti"
prodotti dai corrispondenti titoli di formazione nazionali , ai fini dell'accesso alle attività
professionali e del relativo esercizio.

CAPO I - REGIME «GENERALE»


- Automaticità del riconoscimento delle qualifiche per tutte le professioni non
ricomprese al capo II o al capo III. Carattere di applicazione residuale
- Possibilità Misure di Compensazione

CAPO II - PROFESSIONI ARTIGIANE, COMMERCIALI E INDUSTRIALI (ALL. IV)


- Accesso ed esercizio subordinato alla dimostrazione del possesso di competenze e
conoscenze generali, commerciali o professionali mediante la prova dell'esercizio
effettivo dell'attività professionale nello Stato membro di origine (art. 16).
- Verifica dell'esperienza professionale.

CAPO III - REGIME SPECIFICHE PROFESSIONI REGOLAMENTATE (ALL. V)


- Regime relativo a specifiche professioni regolamentate (all. V), precedentemente
disciplinate da direttive settoriali abrogate: medico, infermiere,dentista,
veterinario, farmacista e architetto
- Automaticità del riconoscimento, basata sul coordinamento delle "condizioni
minime di formazione” (requisiti corsi di studio fissati dal legislatore europeo).

44
- Attribuzione degli "stessi effetti" prodotti dai corrispondenti titoli di formazione
nazionali , ai fini dell'accesso alle attività professionali e del relativo esercizio.

RISPETTO E VIGILANZA
★ Cosa succede se gli Stati membri non rispettano i diritti derivanti dalle fonti di diritto
primario e secondario?
- infrazione - (rinvio pregiudiziale)
★ Cosa succede se le Istituzioni dell’UE non rispettano i diritti derivanti dalle fonti di
diritto primario e secondario?
- annullamento - carenza

Lezione 5→ IL DIRITTO DI SOGGIORNO DEL CITTADINO UE E DEI SUOI FAMILIARI

DLGS 6.2.2007, N. 30 FINALITÀ E OGGETTO


Articolo 1
a. modalità esercizio del diritto di libera circolazione, ingresso e soggiorno in
Italia da parte dei cittadini UE e dei familiari;
b. diritto di soggiorno permanente in Italia dei cittadini UE e dei familiari;
c. limitazioni ai diritti di cui alle lettere a) e b) per motivi di ordine pubblico e di
pubblica sicurezza.
DLGS 6.2.2007, N. 30 DEFINIZIONI E AVENTI DIRITTO
Art. 2. Definizioni
"cittadino dell'Unione": qualsiasi persona avente la cittadinanza di uno Stato membro;
"familiare": coniuge; partner in unione registrata; discendenti diretti del cittadino UE di età
inferiore a 21 anni o a suo carico e quelli del coniuge o partner; ascendenti diretti a carico e
quelli del coniuge o partner.

Art. 3. Aventi diritto


- cittadino UE che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di
cittadinanza;
- familiari art. 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino UE.

Art. 3, comma 2: Lo Stato membro ospitante agevola l'ingresso e il soggiorno di:


a. ogni altro familiare, qualunque sia la sua cittadinanza:
- a carico o convivente nel paese di provenienza con il cittadino UE;
- gravemente malato e bisognoso di assistenza personale da parte del
cittadino UE;
b. il partner con relazione stabile con cittadino UE attestata con documentazione
ufficiale.

DLGS 6.2.2007, N. 30 DIRITTO DI CIRCOLAZIONE, INGRESSO, SOGGIORNO


Art. 4: Diritto di circolazione
Diritto di lasciare il territorio nazionale per recarsi in un altro Stato UE spettante:
- al cittadino UE (con documento d'identità valido per l'espatrio);
- ai suoi familiari non aventi la cittadinanza UE (con passaporto).
Fatti salvi i controlli dei documenti di viaggio alla frontiera.

45
Art. 5: Diritto di ingresso
Diritto ad essere ammessi nel territorio nazionale (fatti salvi i controlli dei documenti di
viaggio alla frontiera) spettante:
- al cittadino UE (con documento d'identità valido per l'espatrio);
- ai suoi familiari non aventi la cittadinanza UE (con passaporto e obbligo visto
d'ingresso o carta di soggiorno art. 10, la quale esclude necessità apposizione
timbri di ingresso o di uscita nel passaporto del familiare).

Divieto respingimento cittadini UE o familiari non cittadini UE senza documenti di viaggio o


visto di ingresso, se entro 24 h dalla richiesta vengono fatti pervenire i documenti o altra
idonea documentazione.

Artt. 6-7-14: Diritto di soggiorno (3 regimi)


1. Art. 6 – Diritto di soggiorno fino a 3 mesi
Diritto di soggiornare nel territorio nazionale per un periodo non superiore a tre mesi, senza
alcuna condizione o formalità, spettante:
- al cittadino UE (con documento d'identità valido per l'espatrio);
- ai suoi familiari non aventi la cittadinanza UE (con passaporto).

2. Art. 7 – Diritto di soggiorno sopra 3 mesi


Condizioni:
a. lavoratore subordinato o autonomo nello Stato ospitante (Italia);
b. risorse economiche sufficienti, per sé stesso e per i familiari, per non diventare un
onere a carico dell'assistenza sociale e assicurazione sanitaria o di altro titolo
idoneo che copra tutti i rischi nel territorio nazionale;
c. Corso di studi o formazione professionale presso istituti pubblici o privati e risorse
economiche sufficienti, per sé stesso e per i familiari, da attestare attraverso una
dichiarazione o con altra idonea documentazione, e assicurazione sanitaria o di
altro titolo idoneo che copra tutti i rischi nel territorio nazionale;
d. Familiare ex art. 2, che accompagna o raggiunge un cittadino UE che ha diritto di
soggiornare ai sensi delle lettere a), b) o c).

3. Art. 14 – Diritto di soggiorno permanente

QUALIFICA DI LAVORATORE
Interpretazione autonoma (NO riferimenti a definizioni ordinamenti nazionali).
Viene dato rilievo a «obiettivi di ordine economico», unitamente alla considerazione del
lavoratore come persona umana (Carta Nizza)
Lavoratori - 3 criteri:
- Vincolo di subordinazione;
- Durata prolungata;
- Remunerazione.

MANTENIMENTO QUALIFICA DI LAVORATORE


Art. 7 comma 3. Mantenimento qualifica di lavoratore dopo averla posseduta.
Condizioni:
a) Inabilità temporanea al lavoro a seguito di malattia o un infortunio;

46
b) disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato attività
lavorativa per almeno un anno ed è iscritto al Centro per l'impiego, oppure ha la
dichiarazione che attesti l'immediata disponibilita' allo svolgimento di attività
lavorativa;
c) disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo contratto di lavoro di
determinato inferiore ad un anno (oppure si è trovato in tale stato durante i primi
dodici mesi di soggiorno) ed è iscritto al Centro per l'impiego oppure ha reso la
dichiarazione che attesti l'immediata disponibilità allo svolgimento di attività
lavorativa. La qualità di lavoratore subordinato è conservata per un un anno;
d) Svolgimento corso di formazione professionale collegato con l'attività
professionale precedentemente svolta.

FORMALITÀ AMMINISTRATIVE ISCRIZIONE ANAGRAFICA


Art. 9 Dlgs 30/2007 - Formalità amministrative per i cittadini dell'Unione ed i loro
familiari, COMMA 1:
L'iscrizione nell'anagrafe della popolazione residente viene effettuata:
a. per nascita, presso il comune di residenza dei genitori o presso il comune di
residenza della madre qualora i genitori risultino residenti in comuni diversi, ovvero,
quando siano ignoti i genitori, nel comune ove e' residente la persona o la
convivenza cui il nato è stato affidato;
b. per esistenza giudizialmente dichiarata;
c. per trasferimento di residenza dall'estero dichiarato dall'interessato non
iscritto, oppure accertato secondo quanto è disposto dall'articolo 15, comma 1
(accertamenti d’ufficio in caso di omessa dichiarazione delle parti).

Art. 9 Dlgs 30/2007, COMMA 2: L’iscrizione anagrafica del cittadino UE e dei suoi familiari
non cittadini UE deve comunque essere richiesta trascorsi tre mesi dall'ingresso.
Rilasciata immediatamente attestazione con indicazione del nome, della dimora del
richiedente e la data della richiesta.

ISCRIZIONE ANAGRAFICA CITTADINO UE


Art. 9 Dlgs 30/2007 – COMMA 3 : Documentazione che deve produrre il cittadino UE
per l’iscrizione anagrafica in caso di soggiorno superiore a 3 mesi.
Nel caso di soggiorni per lavoro (art. 7, comma 1, lett. a):
★ Documentazione comprovante l’esercizio di attività lavorativa subordinata o
autonoma
Nel caso di soggiorni di cui all’art. 7, comma 1, lett. b:
★ Documentazione comprovante disponibilità di risorse economiche sufficienti per sé e
per i propri familiari*,
★ Documentazione comprovante la titolarità di una assicurazione sanitaria o altro titolo
idoneo a coprire tutti i rischi nel territorio nazionale
Nel caso di soggiorni per studio o formazione (art. 7, comma 1, lett. c):
★ Documentazione comprovante iscrizione presso un istituto pubblico o privato
★ Documentazione comprovante disponibilità di risorse economiche sufficienti per sé e
per i propri familiari*,
★ Documentazione comprovante la titolarità di una assicurazione sanitaria o altro titolo
idoneo a coprire tutti i rischi nel territorio nazionale

47
★ Comprovabile anche attraverso dichiarazione ex artt. 46 e 47, DPR 28 dicembre
2000, n. 445 (Dichiarazioni sostitutive di certificazioni e Dichiarazioni sostitutive
dell'atto di notorietà)

ISCRIZIONE ANAGRAFICA DEL FAMILIARE


Art. 9 Dlgs 30/2007 – COMMA 5 : Documentazione che deve produrre il familiare
(senza cittadinanza UE) del cittadino UE
★ documento di identità o passaporto in corso di validità;
★ documento dell’autorità competente del Paese di provenienza attestante la qualità di
familiare
★ Attestato della richiesta d'iscrizione anagrafica del familiare cittadino dell'Unione.
Le richieste di iscrizione anagrafica del familiare (senza cittadinanza UE) del cittadino UE
sono trasmesse a cura delle amministrazioni comunali alla Questura competente per
territorio (art. 6, comma 7, dlgs n. 286 del 1998).

FORMALITÀ AMMINISTRATIVE. CARTA DI SOGGIORNO DEL FAMILIARE DEL


CITTADINO UE
Art. 10 DLGS 30/2007. Carta di Soggiorno
La «Carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell'Unione» deve essere richiesta dai
familiari senza cittadinanza UE del cittadino UE alla questura competente per territorio di
residenza, trascorsi tre mesi dall'ingresso in Italia,
Documentazione che deve essere presentata per il rilascio della Carta di soggiorno:
passaporto o documento equivalente;
documento rilasciato dall'autorità competente del Paese di provenienza che attesti la
qualità di familiare
attestato della richiesta d'iscrizione anagrafica del cittadino UE di cui sono familiari
4 fototessere dell’interessato

Validità: cinque anni dalla data del rilascio, perdurante anche in caso di:
- assenze temporanee del titolare non superiori a sei mesi all'anno,
- assenze di durata superiore fino a dodici mesi consecutivi in caso di rilevanti
motivi (obblighi militari, gravidanza, maternità, malattia grave, studi o formazione
professionale, distacco per motivi di lavoro)
Onere di esibire la documentazione comprovante i fatti che consentono la perduranza di
validità.

CONSERVAZ. DIR. SOGG. FAMILIARI DECESSO O PARTENZA CITTADINO


Art. 11. Conservazione del diritto di soggiorno dei familiari in caso di decesso o di
partenza del cittadino dell'Unione europea
DECESSO o PARTENZA cittadino UE NON incidono sul diritto di soggiorno dei familiari
aventi la cittadinanza UE, a condizione che:
- essi abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente o siano in possesso dei
requisiti art. 7, comma 1 (soggiorno superiore a 3 mesi)

DECESSO cittadino UE NON comporta perdita diritto di soggiorno familiari non aventi la
cittadinanza UE, a condizione che:

48
➢ essi abbiano soggiornato nel territorio nazionale per almeno un anno prima del
decesso
➢ abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente o dimostrino di esercitare
un'attività lavorativa subordinata od autonoma o di disporre per se' e per i
familiari di risorse sufficienti,
➢ Dispongano di una assicurazione sanitaria che copra tutti i rischi nello Stato

DECESSO o PARTENZA cittadino UE NON incidono sul diritto di soggiorno dei figli o del
genitore che ne ha l'affidamento, indipendentemente dal requisito della cittadinanza, a
condizione che:
➔ essi risiedono nello Stato
➔ sono iscritti in un istituto scolastico per seguirvi gli studi, fino al termine degli
studi.

CONSERVAZ. DIR. SOGG. FAMILIARIDIVORZIO O ANNULLAMENTO MATRIMONIO


Art. 12. Mantenimento del diritto di soggiorno dei familiari in caso di divorzio e di
annullamento del matrimonio
DIVORZIO e ANNULLAMENTO matrimonio cittadini UE NON incidono sul diritto di
soggiorno dei familiari aventi la cittadinanza UE, a condizione che:
- essi abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente o siano in possesso dei
requisiti art. 7, comma 1 (soggiorno superiore a 3 mesi)

DIVORZIO e ANNULLAMENTO matrimonio cittadini UE NON comportano perdita del diritto


di soggiorno dei familiari non aventi la cittadinanza UE a condizione che:
- essi abbiano acquisito il diritto al soggiorno permanente oppure una delle seguenti
condizioni :
a) Durata matrimonio superiore a 3 anni, di cui almeno uno nel territorio
nazionale, prima dell'inizio del procedimento di divorzio o annullamento;
b) il coniuge non avente la cittadinanza UE ha ottenuto l'affidamento dei figli
del cittadino UE
c) Il coniuge risulti parte offesa in procedimento penale, in corso o definito con
sentenza di condanna, per reati contro la persona in ambito familiare;
d) il coniuge non avente la cittadinanza UE beneficia di diritto di visita al figlio
minore

SOGGIORNO PERMANENTE
Art. 14 – Diritto di soggiorno permanente del CITTADINO UE
Spetta al cittadino UE che abbia soggiornato nel territorio nazionale:
❖ legalmente
❖ in via continuativa per cinque anni
❖ non più subordinato alle condizioni degli artt. 7, 11, 12 e 13

Spetta al familiare senza cittadinanza UE che abbia soggiornato nel territorio nazionale
❖ unitamente al cittadino dell'Unione
❖ legalmente
❖ in via continuativa per cinque anni

49
Continuità non pregiudicata da:
❖ assenze temporanee non superiori a sei mesi all'anno,
❖ assenze di durata superiore, fino a dodici mesi consecutivi, in caso di rilevanti
motivi (obblighi militari, gravidanza, maternità, malattia grave, studi o formazione
professionale, distacco per motivi di lavoro)

Perdita diritto di soggiorno permanente in ogni caso a seguito di assenze superiori a


due anni consecutivi.

CARTA DI SOGGIORNO PERMANENTE


Art. 17 – Carta di soggiorno permanente per i familiari non aventi la cittadinanza di
uno Stato membro
- Spetta ai familiari senza cittadinanza UE del cittadino UE, che hanno maturato il
diritto di soggiorno permanente,
- Richiesta alla Questura competente per territorio di residenza prima della scadenza
della validità (5 anni) della Carta di soggiorno ex art. 10
- Rilasciata dalla Questura entro 90 giorni dalla richiesta Interruzioni del soggiorno
inferiori a due anni consecutivi non incidono sulla validità della carta di soggiorno
permanente.

DEROGHE ART. 14
Art. 15 - Deroghe a favore dei lavoratori che hanno cessato la loro attività' nello Stato
membro ospitante e dei loro familiari.
In deroga all'articolo 14 ha diritto di soggiorno permanente nello Stato PRIMA della
maturazione di un periodo continuativo di cinque anni di soggiorno :
1. il lavoratore subordinato o autonomo
a) che ha raggiunto l'età per pensione di vecchiaia
b) per incapacità lavorativa permanente, sopravvenuta dopo soggiorno
continuativo nello Stato per oltre due anni

2. I familiari, a prescindere dalla loro cittadinanza, che soggiornano con il cittadino


UE nel territorio dello Stato, se lo stesso ha acquisito il diritto di soggiorno permanente.
In caso di DECESSO del lavoratore subordinato o autonomo in attività, ma senza diritto di
soggiorno permanente, i familiari che hanno soggiornato con il lavoratore nel territorio
acquisiscono il diritto di soggiorno permanente, ad una delle seguenti condizioni:
a. il lavoratore, alla data del decesso, aveva soggiornato in via continuativa nel
territorio nazionale per due anni;
b. decesso avvenuto per infortunio sul lavoro o malattia professionale

DISPOSIZIONI COMUNI DIRITTO SOGGIORNO E DIRITTO SOGGIORNO PERMANENTE


art. 19
Cittadini UE e familiari, regolarmente soggiornanti, hanno diritto di:
- esercitare qualsiasi attività economica autonoma o subordinata,
- godere di pari trattamento rispetto ai cittadini italiani

Cittadini UE e familiari, non godono del diritto a prestazioni d'assistenza sociale durante
i primi tre mesi di soggiorno, salvo che tale diritto sia attribuito autonomamente in virtù
dell'attività esercitata o da altre disposizioni di legge

50
LIMITAZIONI DIRITTO INGRESSO E SOGGIORNO
Art. 20 DLGS 30/2007
1. diritto di ingresso e soggiorno dei cittadini UE e dei loro familiari limitabile solo per:
- motivi di sicurezza dello Stato (ad es.: atti sovversivi, coinvolgimento in
azioni di terrorismo, condanne per delitti contro la personalità internazionale
dello Stato di cui libro II, titolo I, c.p., ecc...)
- motivi imperativi di pubblica sicurezza (ad es.: minacce concrete, effettive
e gravi ai diritti fondamentali della persona o all'incolumità pubblica, condanne
per delitti non colposi contro la vita o l'incolumita' della persona o per altri
reati gravi, ecc...)
- altri motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

ALLONTANAMENTO
Può essere disposto nelle ipotesi di:
Art. 20, commi 4 ss.: Circostanze previste dall’art. 20, commi 1-2-3 (sicurezza Stato,
pubblica sicurezza, ordine pubblico)
Art. 21: Allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di
soggiorno

ALLONTANAMENTO ART. 20
Allontanamento ex art. 20 (sicurezza Stato, pubblica sicurezza, ordine pubblico)
I provvedimenti di allontanamento ex art. 20 sono adottati:
- dal Ministro dell'interno (per motivi imperativi di pubblica sicurezza, per motivi di
sicurezza dello Stato) e negli altri casi dal prefetto del luogo di residenza o dimora
del destinatario.
- rispetto principio di proporzionalità (criteri: durata del soggiorno, età, situazione
familiare e economica, stato di salute, integrazione sociale e culturale, importanza
dei legami con il Paese di origine, eventuali segnalazioni motivate del sindaco del
luogo di residenza o di dimora)
- obbligo motivazione del provvedimento (salvo motivi attinenti alla sicurezza dello
Stato) ed eventuale traduzione in lingua comprensibile dall'interessato
- No per motivazioni di ordine economico, o ragioni estranee ai comportamenti
individuali dell'interessato che rappresentino una minaccia concreta, effettiva e
sufficientemente grave all'ordine pubblico o alla pubblica sicurezza (esistenza di
condanne non giustifica di per sé l‘allontanamento.
- Indicazione del termine per lasciare il territorio (almeno un mese dalla notifica,
riducibile nei casi di comprovata urgenza a dieci giorni), della durata del divieto di
reingresso (non superiore a dieci anni nei casi di allontanamento per i motivi di
sicurezza dello Stato o a cinque anni negli altri casi) e delle modalità di ricorso.
- Esecuzione del provvedimento a cura del questore

REVOCA divieto di reingresso: può essere richiesta dal destinatario del provvedimento di
allontanamento dopo il decorso della metà della durata del divieto e in ogni caso non
prima di tre anni. Sulla domanda decide entro sei mesi l'autorità che ha emanato il
provvedimento di allontanamento.

ALLONTANAMENTO ART. 21
Allontanamento ex art. 21 (cessazione condizioni che determinano il diritto di soggiorno)

51
I provvedimenti di allontanamento ex art. 21 sono adottati:
❖ dal prefetto territorialmente competente secondo la residenza o dimora del
destinatario.
❖ Obbligo motivazione del provvedimento con eventuale traduzione
❖ Tenendo conto di: eventuali segnalazioni motivate del sindaco del luogo di
residenza o dimora, durata del soggiorno, età, salute, integrazione sociale e
culturale, legami con il Paese di origine.
❖ Indicazione del termine per lasciare il territorio nazionale (non inferiore ad un
mese) e delle modalità di ricorso
❖ attestazione di obbligo di adempimento dell'allontanamento consegnata
unitamente al provvedimento.
❖ Allontanamento ex art. 21 non può prevedere un divieto di reingresso.

In caso di mancata ottemperanza del provvedimento il prefetto può adottare un


provvedimento di allontanamento coattivo per motivi di ordine pubblico, ai sensi
dell'articolo 20, immediatamente eseguito dal questore.

RICORSI CONTRO ALLONTANAMENTO


Art. 22 - Ricorsi avverso i provvedimenti di allontanamento
Ricorsi avverso provvedimenti di allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato o per
motivi di ordine pubblico (art. 20, comma 1).
- Competenza giudice amministrativo
- Ricorsi sottoscritti personalmente dall'interessato,
- Possibilità presentazione ricorso anche per il tramite di una rappresentanza
diplomatica o consolare italiana (autenticazione della sottoscrizione e inoltro
all'autorità giudiziaria italiana a cura dei funzionari della rappresentanza).
- Possibilità istanza di sospensione dell'esecutorietà del provvedimento di
allontanamento.

RICORSI CONTRO ALLONTANAMENTO


Ricorsi avverso il provvedimento di allontanamento per motivi di pubblica sicurezza, per
motivi imperativi di pubblica sicurezza e per i motivi di cui all'art. 21.
- Competenza giudice ordinario
- Applicazione art. 17 dlgs. 150/2011
1. Rito sommario di cognizione
2. Tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l'autorità che
ha adottato il provvedimento
3. entro 30 giorni dalla notificazione del provvedimento, ovvero entro 60 giorni
se il ricorrente risiede all'estero,
4. anche a mezzo del servizio postale o per il tramite di una rappresentanza
diplomatica o consolare italiana (autenticazione della sottoscrizione e inoltro
all'autorità giudiziaria italiana a cura dei funzionari della rappresentanza)
5. Possibilità di stare in giudizio personalmente.
6. Possibilità istanza di sospensione dell'esecutorietà del provvedimento di
allontanamento (l'allontanamento non può avere luogo fino alla pronuncia
sull'istanza di sospensione).

52

Potrebbero piacerti anche