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I luoghi biografici e letterari del Foscolo

Parco letterario di

PAOLO NIZZOLA
La presentazione della proposta didattica

Il percorso intende offrire una panoramica sui luoghi biografici e letterari più significativi
di Ugo Foscolo: viene concepito come itinerario artistico-letterario che unisce ai luoghi
effettivamente visitati dal poeta, o in cui egli ha dimorato, quelli che rappresentano lo
sfondo di un componimento (A Zacinto, Le Grazie) o la tappa cruciale di un’opera letteraria,
in relazione ai suoi contenuti o alla sua genesi (Ultime lettere di Jacopo Ortis, Dei Sepolcri,
ancora Le Grazie). Il percorso si rivolge, pertanto, alla pratica didattica1: in esso si vede la
possibilità di un approccio originale alla trattazione dell’autore e della sua produzione,
ricostruita appunto secondo un criterio bio-geografico realistico e letterario. Dunque,
accanto a scenari letterari – luoghi la cui identità geografica è comunque reale, ma che
vengono trasfigurati dal contesto specifico dell’opera o dal sentimento che l’autore vi
effonde –, saranno contemplati anche siti materiali, quali paesaggi naturali, isole, città,
monumenti, e siti immateriali sotto forma, ad esempio, di tradizioni, usi e costumi descritti
all’interno dei brani raccolti, o ad essi relativi.

L’elaborato è quindi impostato come illustrazione di componimenti poetici e di opere in


prosa (scelti nella loro interezza o per singoli passi), che consentono agli studenti di
comprendere come l’autore abbia colto l’anima di un luogo o un suo aspetto,
trasfigurandolo e/o immortalandolo, secondo topoi significativi – ben consolidati nella
tradizione letteraria – quali il locus amoenus, il paesaggio-stato d’animo e la funzione civile
assegnata a località e monumenti, sui quali è opportuno soffermare l’attenzione degli alunni
affinché, imparando a riconoscere un patrimonio formulare – contenutistico e formale –
ricorrente, sappiano cogliere il valore della letteratura come codice espressivo costante e
universale, plasmato da ciascun autore in relazione al contesto storico-culturale in cui è
vissuto, che ne influenza in modo diretto la produzione.

Ai passi antologizzati fa seguito un breve inquadramento volto specificamente a mettere in


risalto come la descrizione del luogo sia stata elaborata da Foscolo, perseguendovi precisi
intenti espressivi o sulla scorta di reminiscenze letterarie; e di esso saranno evidenziati i
tratti salienti nell’ottica bio-geografica e artistica. In tale prospettiva, l’inquadramento può
essere letto come una sorta di didascalia geografica e letteraria, in grado di offrire alla classe
spunti di riflessione e collegamenti con la programmazione didattica, anche secondo un
approccio pluridisciplinare: i passi, infatti, vengono corredati da immagini che, in alcuni
casi, raffigurano il luogo specifico di riferimento, in altri, ne propongono un’illustrazione
mediante opere d’arte che richiamano idealmente le località descritte o le suggestioni che
ne emergono; l’attenzione a topoi letterari particolarmente significativi completa, infine, il
quadro delle didascalie. Il lavoro intende fornire utili spunti anche per ricerche e tesine,

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Non è comunque da escludersi l’ipotesi di trasformare il parco letterario in un concreto viaggio d’istruzione:
tutti i luoghi contemplati sono infatti raggiungibili, ma difficilmente riunibili in un unico itinerario compatibile
con la tempistica della didattica scolastica.
2
sulla base dei collegamenti interdisciplinari – letteratura greca e latina, storia dell’arte e
storia, soprattutto – ricavabili dalla strutturazione della proposta didattica.

I luoghi biografici e letterari del Foscolo

Zante. Niccolò (Ugo è il nome che il poeta assume più tardi) vi nasce nel 1778. Appartiene
all’arcipelago delle Isole Ionie, all’epoca possedimento della Repubblica di Venezia, assieme
a Cefalonia (con ogni probabilità la Same menzionata nell’Odissea) ed Itaca, patria dell’eroe
omerico Ulisse. L’isola natia resterà sempre nella memoria del poeta come luogo di serenità,
bellezza, gioia vitale e fecondità; essa costituisce inoltre un legame diretto con la civiltà
classica – di cui Foscolo si sentiva erede ideale –, legame vieppiù rafforzato dall’origine
ellenica della madre del poeta, Diamantina Spathis.

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Immagini 1-3: vedute attuali di Zante, che ne mettono in risalto le acque cristalline e la natura rigogliosa.

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A Zacinto

Né più mai toccherò le sacre sponde

ove il mio corpo fanciulletto giacque,

Zacinto mia, che te specchi nell’onde

del greco mar da cui vergine nacque

Venere, e fea quelle isole feconde

col suo primo sorriso, onde non tacque

le tue limpide nubi e le tue fronde

l’inclito verso di colui che l’acque

cantò fatali, ed il diverso esiglio

per cui bello di fama e di sventura

baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,

o materna mia terra; a noi prescrisse

il fato illacriminata sepoltura.

Gli studenti potranno assaporare le suggestioni legate alla terra d’origine del poeta dal
sonetto A Zacinto: in esso viene certo colta l’anima del luogo, immortalata secondo una
prospettiva nostalgica (il componimento risale infatti agli anni 1802-1803, periodo nel quale
Foscolo vive esperienze convulse, militando anche nell’esercito) che idealizza Zante come
terra felice dell’infanzia, sulla quale viene già proiettata l’ombra di una vita raminga che
avrà il proprio epilogo nell’esilio. La struttura del componimento rispecchia i due poli
contenutistici – infanzia idealizzata/terra materna; presente storico/assenza di patria –
individuati poc’anzi: le quartine e la prima terzina, apparentemente descrittive, evocano il
rimpianto della terra d’origine; la terzina conclusiva si focalizza sul presente e sull’assenza
di una patria, tema già anticipato dalla menzione di Ulisse, figura nella quale si esplicita
l’antitesi tra l’eroe che, dopo anni di peripezie, bacia di nuovo la sua Itaca e il poeta che
potrà lasciare solo il proprio canto, come spoglia di sé, a Zante. E il tema dell’illacriminata
sepoltura rende il sonetto una Ringkomposition, dato che l’ultimo verso, in cui esso viene
definito, richiama idealmente il primo che – esordendo ex abrupto con una sorta di ottativo

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negativo fortemente marcato: Né più mai toccherò… – esprime già la perdita di ogni speranza
non solo per il presente ma anche per il futuro.

Immagine 4: Sandro Botticelli, Nascita di Venere.

Spalato. È la prima tappa delle lunghe peregrinazioni biografiche del poeta: vi compie i
primi studi, presso il seminario locale. Si tratta di una località degna di nota – in prospettiva
archeologica e antiquaria, legata alla storia di Roma – soprattutto in relazione alle preziose
vestigia architettoniche che conserva: il palazzo di Diocleziano – Augusto dal 284 al 305 d.C.
–, che, dal Medioevo, ha inglobato al proprio interno l’intero nucleo cittadino, come è tuttora
riscontrabile dall’impianto urbanistico che la città conserva nel centro storico.

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Immagine 5: ricostruzione del palazzo di Diocleziano a Spalato (IV sec. d.C.).

Breve excursus sul palazzo di Diocleziano a Spalato

Il tetrarca Diocleziano2, originario di Salona, scelse il sito di Spalato per costruirvi un


imponente palazzo, nel quale egli risiedette dal 305, anno di abdicazione al regno, sino al

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Il regno di Diocleziano segna un’importante svolta nella storia del Tardo Impero romano: egli, allo scopo di
porre rimedio alla grave crisi dei decenni centrali del III secolo (la cosiddetta ‘anarchia militare’), instaura un
nuovo sistema di governo, chiamato tetrarchia, che si fonda sulla spartizione del potere tra quattro sovrani,
due Augusti e due Cesari. Accanto a Diocleziano, Augusto d’Oriente, regnano Massimiano, in qualità di
Augusto d’Occidente, e due Cesari, destinati a succedere al trono degli Augusti: Galerio per l’Oriente e
Costanzo Cloro per l’Occidente. Tale innovazione è densa di conseguenze geo-politiche e storico-culturali: si
tratta, anzitutto, di una strategia di frammentazione politico-territoriale dell’Impero, finalizzata a renderlo
meglio governabile, a fronte della vastità dei territori sottomessi e delle sempre crescenti pressioni esercitate
sui confini dalle popolazioni esterne; Roma perde la sua centralità, a vantaggio delle quattro capitali imposte
dal riassetto amministrativo: Nicomedia, Milano, Tessalonica, Treviri. Tuttavia, il sistema tetrarchico non
garantisce la continuità nella successione imperiale – com’era, invece, nelle intenzioni del suo fondatore –,
subito minata, al momento dell’abdicazione di Diocleziano e Massimiano (305), da guerre dinastiche che
porteranno al potere la dinastia costantiniana. Il regno di Diocleziano, in conseguenza dell’energica attività
riformistica dell’imperatore, culminata appunto nel nuovo sistema di governo, segna convenzionalmente
l’inizio dell’Età tardo-antica: un periodo di grande fermento culturale, che funge da sutura tra Antichità
classica e Medioevo europeo, sullo sfondo dell’avvicendamento di paganesimo morente e cristianesimo
trionfante, il cui limite cronologico è dato dal regno di Giustiniano (527-565).
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313, anno della sua morte. Si tratta di un
edificio concepito secondo i criteri della
castrametazione, ovvero sulla base dei
tradizionali assi ortogonali del cardo e
del decumano, che, nell’architettura
romana, costituivano lo schema dei
castra, l’accampamento. La forma
planimetrica del complesso è pressoché
rettangolare (180 x 220 metri ca.): i tre lati
orientati verso la terraferma erano
caratterizzati da alte mura turrite; il
quarto lato, affacciato a Sud sul mare, era
sormontato da un ampio loggiato
traforato che sorreggeva un giardino
pensile. Lo spazio interno era suddiviso
dall’intersezione di cardo e decumano in
quattro grandi settori, a loro volta
raggruppati in due ali, una a Nord e
l’altra a Sud. La parte settentrionale
Immagine 6: planimetria del palazzo di Diocleziano: si nota la
pianta ortogonale dell’edificio, data dall’intersezione di cardo e ospitava la caserma dei pretoriani, gli
decumano, e i vari ambienti da essa derivanti. alloggi dei funzionari e i magazzini; la
parte meridionale era invece riservata all’imperatore: un peristilio immetteva in vari
ambienti e portava ad altri edifici, tra i quali il tempio di Giove, gli appartamenti imperiali
– comprensivi di biblioteca e terme –, il mausoleo dell’Augusto, a pianta ottagonale e
coperto da una grande cupola, per la prima volta rivestita all’interno di mosaici:
un’innovazione dagli esiti importantissimi nella nuova architettura cristiana, tanto in
Oriente quanto in Italia.

Il palazzo rappresenta la concreta tendenza ad un’architettura di ampia scala, diffusa nelle


nuove capitali imperiali e sostenuta dal mecenatismo dei sovrani, destinata ad offrire i
maggiori contributi per lo sviluppo del linguaggio architettonico negli ultimi secoli
dell’Impero. Tale tipologia di edificio era generalmente di proporzioni rilevanti e prevedeva
ambienti deputati a diverse attività, residenziali ma non solo: dalle sale di rappresentanza
agli edifici di culto, ai mausolei, alle strutture dedicate allo svago (terme e spazi per
spettacoli) o ad uso militare; spesso era fortificata, come nel caso preso in esame. Nonostante
il palazzo di Spalato sorgesse in un punto nevralgico dell’Adriatico, che avrebbe segnato
alla fine del IV secolo il confine tra Impero romano d’Occidente e Impero romano d’Oriente,
dopo la morte di Diocleziano iniziò a decadere e divenne, in seguito, luogo di rifugio per le
milizie della vicina e più importante città di Salona, che vi si asserragliarono al momento
dell’invasione degli Avaro-Slavi, e per altri profughi, che formarono il primo nucleo degli
abitanti di Spalato.

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Le abitazioni costruite progressivamente all’interno delle mura si adattarono alla pianta
ortogonale preesistente e, secondo un fenomeno urbanistico – che si potrebbe, con un
efficace anacronismo, definire di ‘riqualificazione’ funzionale e spesso cultuale degli edifici
– tipico nel passaggio dalla Tarda Antichità al Medioevo, sul mausoleo imperiale sorse la
cattedrale, mentre sul tempio di Giove il battistero di San Giovanni: così, il centro storico
dell’odierna Split è delimitato dalle mura dell’antico palazzo, mentre al di fuori di esse,
durante la dominazione veneta, sorse la città moderna, dotata di un impianto autonomo.
Come ha osservato Hertzberger3, «quest’enorme edificio, assorbito completamente dalla
Città, serve a un nuovo e differente fine: la Città, contemporaneamente, si è del tutto adattata
alla forma del Palazzo. Quella che noi osserviamo è una metamorfosi […]»: la metamorfosi
di una struttura ben definita, costruita secondo i criteri della tradizionale architettura
romana a pianta ortogonale, che ha subito rimaneggiamenti nel corso dei secoli, e che offre
oggi una testimonianza – tanto preziosa quanto impressionante – del processo di
stratificazione in cui un sito materiale può incorrere, assumendo così il valore di fonte
primaria per l’indagine storico-archeologica e culturale.

Immagine 7: uno degli ambienti interni del palatium, delimitato da colonne e paraste sormontate da capitelli corinzi che
reggono archi a tutto sesto.

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In G. Fiorese, Sussidiario di architettura, Araba Fenice, Boves 2007, p. 51.
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Immagine 8: veduta aerea attuale del centro storico di Split, in cui si riconosce la pianta quadrangolare corrispondente
all'antico palazzo di Diocleziano.

Secondo la prospettiva bio-geografica del parco letterario, Zante e Spalato, luoghi della
giovinezza del poeta strettamente legati all’Antichità, si configurano come tramite, per il
Foscolo, del patrimonio della civiltà classica – fondamento di quella europea –, dal quale
egli ricava non solo temi e moduli espressivi – richiami mitologici, ascendenze letterarie e
topoi, segnalati nelle didascalie che accompagnano i passi antologizzati – ma anche il gusto
del bello, l’ideale eroico-virtuoso e l’insegnamento civile della poesia, che ispirano la poetica
foscoliana in una sintesi originale di tradizione neo-classica e istanze derivate, invece, dalla
nuova temperie romantica. L’immagine che propongo sotto è un dipinto del pittore di
origine svizzera Jacques Henri Sablet (1749-1803), a mio avviso significativa in quanto

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racchiude i motivi – le rovine dell’Antichità classica, sullo sfondo dell’ambientazione
cimiteriale e cupa4 – fondanti della cultura di fine ‘700, della quale Foscolo fu sommo
esponente.

Immagine 9: Jacques Henri Sablet, Elegia romana (1791).

Venezia. Dopo la morte del padre del poeta (1788), spinta da difficoltà economiche, la
madre vi si trasferisce nel 1789, nella speranza di poter contare sul sostegno di familiari e
amici. Foscolo la raggiunge nel 1793, all’età di quindici anni, ed è un soggiorno importante,
anche dal punto di vista formativo: il giovane poeta vi studia la lingua e la cultura italiane
(che conosceva poco) e compone qui i primi versi, guadagnando fama – nonostante la sua
povertà – presso la società veneziana. Foscolo, entusiasta dei principi ispiratori della
Rivoluzione francese, manifesta nella Serenissima le sue posizioni libertarie ed egualitarie,

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Il titolo dell’opera, Elegia romana, rievoca altresì in toto tale commistione: le origini dell’elegia sembrano infatti
risalire ad un primitivo carattere trenodico di questo genere della poesia lirica greca, mentre l’aggettivo romana
richiama di per sé il mondo antico e le sue vestigia.
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attirando su di sé i sospetti del regime oligarchico e conservatore della Repubblica, che lo
costringono a fuggire. Nella città, il poeta farà ritorno nel 1806: in questa occasione, un
incontro con il letterato Ippolito Pindemonte gli offrirà lo spunto per il carme Dei Sepolcri.

Immagini 10-11: la casa veneziana del Foscolo e, a destra,


particolare dell’epigrafe commemorativa del poeta sulla
facciata.

Venezia imprime dunque nel giovane poeta un’impronta ispirata alla vivacità culturale che
la Repubblica conosce nel ‘700, secolo nel quale le arti vi fioriscono a tutto tondo: dalla
letteratura (Goldoni, Chiari), alle arti figurative (Tiepolo, Canaletto, Guardi), alla musica
(Vivaldi). Per quanto, infatti, il XVIII secolo rappresenti il periodo della decadenza politica
ed economica della Serenissima – emblematico è, in questo senso, il trattato di Campoformio
che tocca direttamente Foscolo –, la città conserva splendore e magnificenza, che le
confermano lo statuto di capitale mondana dell’Europa. Ho voluto evocare l’atmosfera della
vita quotidiana e del fervore artistico della Venezia settecentesca attraverso un breve passo
della Locandiera di Goldoni e alcune tele del Canaletto e di Francesco Guardi, riportati di
seguito.

La locandiera, atto III, scena IV

CAVALIERE Fatemi questa grazia, tenete questa boccetta.

MIRANDOLINA In verità, signor Cavaliere, dei regali io non ne prendo (con disprezzo, stirando).

CAVALIERE Gli avete pur presi dal Conte d’Albafiorita.

MIRANDOLINA Per forza. Per non disgustarlo (stirando).

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CAVALIERE E vorreste fare a me questo torto? e disgustarmi?

MIRANDOLINA Che importa a lei, che una donna la disgusti? Già le donne non le può vedere.

CAVALIERE Ah, Mirandolina! ora non posso dire così.

La gustosa scenetta della Locandiera è in grado di offrire agli studenti uno spaccato della
società veneziana del ‘700, presentata secondo la poetica educativa e riformistica di Goldoni.
Il drammaturgo intende, infatti, scardinare le istituzioni veneziane dal loro rigido
immobilismo per abbracciare il moderno ideale illuministico: la scaltra civetteria di
Mirandolina – protagonista della vicenda –, grazie alla quale essa ha la meglio sulle velleità
dei nobili che la corteggiano invano, si può considerare la traduzione dell’intento del poeta
in forma di etopea, applicata al personaggio. Ad essa fanno seguito i dipinti dei maestri
veneziani che, parimenti, immortalano alcuni scorci della Serenissima, dai quali ne emerge
tutta la vivacità, espressa tanto dalla monumentalità degli edifici quanto dalle fervide
attività quotidiane che si svolgono nei dintorni di essi.

Immagine 12: Canaletto, Palazzo Ducale e Riva degli Schiavoni.

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Immagine 13: Canaletto, Piazza San Marco.

Immagine 14: Francesco Guardi, Il Molo con la Libreria e la Chiesa della Salute sullo sfondo.
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Immagine 15: Francesco Guardi, Santa Maria della Salute.

I Colli Euganei. Foscolo vi trova asilo attorno al 1796, per sfuggire ai sospetti del governo
veneziano. Questo luogo assume, al di là del dato biografico, una valenza anche letteraria,
dato che le colline del padovano sono il luogo che dà l’abbrivo – con chiara sovrapposizione
biografica – alle peregrinazioni di Jacopo, protagonista delle Ultime lettere di Jacopo Ortis,
come si evince dall’incipit del romanzo, presentato di seguito:

Da’ colli Euganei, 11 Ottobre 1797

Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppur ne verrà concessa, non
ci resterà che per piangere le nostre sciagure e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di
proscrizione, lo so: ma vuoi tu ch’io per salvarmi da chi m’opprime, mi commetta a chi mi ha tradito?
Consola mia madre: vinto dalle sue lagrime le ho ubbidito, e ho lasciato Venezia per evitare le prime
persecuzioni, e le più feroci. Or dovrò io abbandonare anche questa mia solitudine antica, dove, senza
perdere dagli occhi il mio sciagurato paese, posso ancora sperare qualche giorno di pace? Tu mi fai
raccapricciare, Lorenzo; quanti sono dunque gli sventurati? E poi, pur troppo, noi stessi italiani ci
laviamo le mani nel sangue degl’italiani. Per me segua che può. Poiché ho disperato e della mia patria
e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadavere almeno non cadrà fra le braccia

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straniere; il mio nome sarà sommessamente compianto da’ pochi uomini buoni, compagni delle nostre
miserie; e le mie ossa poseranno su la terra de’ miei padri.

Il passo preso in considerazione è la lettera di apertura del romanzo: il giovane Jacopo,


profilandosi la cessione di Venezia all’Austria da parte di Napoleone5, si è rifugiato sui Colli
Euganei per evitare le persecuzioni contro i patrioti giacobini. Sin dall’incipit di quest’opera
emerge uno dei temi ricorrenti della produzione foscoliana: quello della morte, che viene
qui a identificarsi come unica alternativa per una situazione politica senza via d’uscita.
Legato ad esso è, dunque, il motivo della condizione precaria dell’eroe senza patria, così
come quello, consequenziale, dell’illacriminata sepoltura, secondo una riflessione già notata
nel sonetto A Zacinto.

Immagine 16: Caspar D. Friedrich, Monaco in riva al mare.

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Sancita, come è noto, dal trattato di Campoformio. Siglato il 17 ottobre 1797, ma già noto da qualche giorno
nelle sue linee essenziali, il trattato rappresenta un profondo trauma per Foscolo che perde tutte le speranze
politiche riposte in Napoleone; tuttavia, pur disilluso e mantenendo un atteggiamento critico nei confronti del
Bonaparte, egli continua a operare all’interno del sistema napoleonico, ravvisando in esso un passaggio
obbligato per la creazione di un’Italia moderna.
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Mi sembra interessante, secondo la
prospettiva bio-geografica della ricerca,
riscontrare come il disorientamento del
giovane si manifesti spesso nella natura che
lo circonda – secondo il topos del paesaggio
stato d’animo – in diversi passaggi del
romanzo, che corrispondono a varie tappe
del viaggio del protagonista. Ne riporto i
più significativi di seguito, corredati – come
già il precedente – da dipinti del pittore
romantico Caspar David Friedrich (1774-
1840), la cui poetica rispecchia nelle tele
scelte le suggestioni che emergono dai testi
foscoliani, ed in particolare il senso di
inquietudine e di solitudine che l’uomo
prova di fronte alla natura – colta nelle sue
manifestazioni più imponenti – e al
dipanarsi della storia:
Immagine 17: Caspar D. Friedrich, Viandante sul mare di
nebbia.

19 Gennajo

[…] Andava dianzi perdendomi per le campagne, inferrajuolato sino agli occhi, considerando lo
squallore della terra tutta sepolta sotto le nevi, senza erba né fronda che mi attestasse le sue passate
dovizie. Né potevano gli occhi miei lungamente fissarsi su le spalle de’ monti, il vertice de’ quali era
immerso in una negra nube di gelida nebbia che piombava ad accrescere il lutto dell’aere freddo ed
ottenebrato. E parevami vedere quelle nevi disciogliersi e precipitare a torrenti che innondavano il
piano, trascinandosi impetuosamente piante, armenti, capanne, e sterminando in un giorno le fatiche
di tanti anni, e le speranze di tante famiglie. Trapelava di quando in quando un raggio di Sole il quale
quantunque restasse poi soverchiato dalla caligine, lasciava pur divedere che sua mercè soltanto il
mondo non era dominato da una perpetua notte profonda. […]

22 Gennajo

Così va, caro amico; – stavami al focolare del mio castaldo, dove alcuni villani de’ contorni s’adunano
a crocchio a scaldarsi, contandosi le loro novelle e le antiche avventure. Entrò una ragazza scalza,
assiderata, e fattasi all’ortolano, lo richiese della limosina per la povera vecchia. Mentre la si stava
rifocillando al fuoco, esso le preparava due fasci di legna e due pani bigi. La villanella se li pigliò e,
salutandoci, uscì […].

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Immagine 18: Caspar D. Friedrich, Paesaggio invernale con chiesa.

Immagine 19: Caspar D. Friedrich, Nebbia mattutina in montagna.

18
13 Maggio

[…] Jer sera appunto dopo più di due ore d’estatica contemplazione d’una bella sera di Maggio, io
scendeva a passo a passo dal monte. Il mondo era in cura alla Notte, ed io non sentiva che il canto
della villanella, e non vedeva che i fuochi de’ pastori. Scintillavano tutte le selle, e mentr’io salutava
ad una ad una le costellazioni, la mia mente contraeva un non so che di celeste, ed il mio cuore
s’innalzava come se aspirasse ad una regione più sublime assai della terra. Mi sono trovato su la
montagnuola presso la chiesa: suonava la campana de’ morti, e il presentimento della mia fine trasse
i miei sguardi sul cimiterio dove ne’ loro cumuli coperti di erba dormono gli antichi padri della villa:
– Abbiate pace, o nude reliquie: la materia è tornata alla materia; nulla scema, nulla cresce, nulla si
perde quaggiù; tutto si trasforma e si riproduce – umana sorte! men infelice degli altri chi men la
teme. – Spossato mi sdrajai boccone sotto il boschetto de’ pini, e in quella muta oscurità, mi sfilavano
dinanzi alla mente tutte le mie sventure e tutte le mie speranze. Da qualunque parte io corressi
anelando alla felicità, dopo un aspro viaggio pieno di errori e di tormenti, mi vedeva spalancata la
sepoltura dove io m’andava a perdere con tutti i mali e tutti i beni di questa inutile vita. E mi sentiva
avvilito e piangeva perché avea bisogno di consolazione – e ne’ miei singhiozzi io invocava Teresa.

Immagine 20: Caspar D. Friedrich, Due uomini davanti alla luna.

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Immagine 21: Caspar D. Friedrich, Paesaggio roccioso nell’Elbsandsteingebirge.

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Dalla Pietra, 15 Febbraio

Strade alpestri, montagne orride dirupate, tutto il rigore del tempo, tutta la stanchezza e i fastidj del
viaggio, e poi?

Nuovi tormenti, e nuovi tormentati.

Scrivo da un paesetto appiè delle Alpi Marittime. E mi fu forza di sostare perché la posta è senza
cavalcature; né so quando potrò partire. Eccomi dunque sempre con te, e sempre con nuove afflizioni:
sono destinato a non movere passo senza incontrare lungo la mia via il dolore. – In questi due giorni
io usciva verso mezzodì un miglio forse lungi dall’abitato, passeggiando fra certi oliveti che stanno
verso la spiaggia del mare: io vado a consolarmi a’ raggi del Sole, e a bere di quell’aere vivace;
quantunque anche in questo tepido clima il verno di quest’anno è clemente meno assai dell’usato. E
là mi pensava di essere tutto solo, o almeno sconosciuto a que’ viventi che passavano […].

Ventimiglia, 19 e 20 Febbraio

[…] Alfine eccomi in pace! Che pace? stanchezza, sopore di sepoltura. Ho vagato per queste
montagne. Non v’è albero, non tugurio, non erba. Tutto è bronchi; aspri e lividi macigni; e qua e là
molte croci che segnano il sito de’ viandanti assassinati – Là giù è il Roja, un torrente che quando si
disfanno i ghiacci precipita dalle visceri delle Alpi, e per gran tratto ha spaccato in due questa
immensa montagna. V’è un ponte presso alla marina che ricongiunge il sentiero. Mi sono fermato su
quel ponte, e ho spinto gli occhi sin dove può giungere la vista; e percorrendo due argini di altissime
rupi e di burroni cavernosi, appena si vedono imposte su le cervici dell’Alpi altre Alpi di neve che
s’immergono nel Cielo, e tutto biancheggia e si confonde – da quelle spalancate Alpi cala e passeggia
ondeggiando la tramontana, e per quelle fauci invade il Mediterraneo. La Natura siede qui solitaria e
minacciosa, e caccia da questo suo regno tutti i viventi. […]

I passi presentati sopra offrono una panoramica variegata delle tipologie di paesaggio nelle
quali si manifesta lo stato d’animo del personaggio, o che lo influenzano. Il gelo
dell’inverno, nel primo brano, sembra immobilizzare ogni forma vitale della natura e
l’attenzione di Jacopo si rivolge, pertanto, alle suggestioni violente e distruttive evocate da
tale scenario, secondo un’immagine di sublime che scaturisce dalla forza impetuosa e
sconvolgente di ciò che circonda il giovane. Ad esso, in apertura della lettera successiva,
offre rimedio una scena di ospitalità semplice ma verace – il cui archetipo risiede nella
poesia omerica6 –, caratterizzata da alcuni tratti folkloristici che rendono vivace il quadretto

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Si tratta dell’episodio del porcaro Eumeo che accoglie Odisseo appena approdato ad Itaca (Odissea XIV 1-
110). Il topos dell’ospitalità povera e sincera diviene uno dei prediletti dal gusto alessandrino, poiché consente
di applicare al racconto mitologico o eroico una prospettiva più intima e domestica, secondo uno stilema caro
alla letteratura ellenistica. Gli esempi più significativi sono rappresentati dai personaggi di Ecale
(nell’omonimo epillio) e Molorco (nella Victoria Berenices) in Callimaco (IV-III sec. a.C.), ma il Leitmotiv conosce
ampia fortuna sino alla tarda Antichità, tanto che lo si trova ancora in Nonno di Panopoli (V sec.), nell’epillio
del pastore Brongo (Dionisiache XVII 37-90). Elementi ricorrenti in questi episodi sono la rusticità della mensa
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domestico: i villani che si scaldano attorno al focolare, raccontandosi a vicenda le ultime
nuove e le storie vissute; le fascine di legna e i pani bigi che costituiscono la consueta
elemosina per la ragazza scalza e la sua padrona. I paesaggi notturni esprimono, poi, il
gusto tipicamente romantico della sera: il momento della pace, delle immagini dai contorni
non più definiti, a conclusione del giorno
e, come tale, prefigurazione della morte,
secondo l’analogia istituita dal poeta
stesso nell’esordio de Alla sera: Forse perché
della fatal quïete / tu sei l’immago… Nel
terzo passo, la riflessione di Jacopo è
ancora una volta suscitata da ciò che
osserva attorno a sé: il tramonto sereno
che cede il passo alla notte stellata, la
chiesa e il cimitero, il silenzio dell’oscurità
creano i contorni dello scenario onirico in
cui Foscolo sembra assaporare –
immedesimandosi nel protagonista
dell’Ortis – la pacificazione dalle
tribolazioni dell’esistenza, che l’uomo
abbraccia nell’eternità. La natura torna a
manifestare la sua maestosa potenza nelle
lettere scritte da Pietra Ligure e
Ventimiglia: il paesaggio – quasi
un’istantanea della macchia mediterranea
Immagine 22: Caspar D. Friedrich: La regione dell’Uttenwalder. ligure con gli oliveti, le gole profonde e
le montagne che precipitano a picco nel
mare – è ancora una volta espressione della solitudine interiore del personaggio e, a
Ventimiglia, diviene spunto per una riflessione sulla condizione dell’Italia prostrata dal
giogo del dominio straniero, sviluppata nel prosieguo del passo riportato. È evidente che i
luoghi vengano plasmati in queste suggestive descrizioni in scorci dell’interiorità di Jacopo
– e del poeta –, secondo un procedimento analogico: la natura perde progressivamente i

e dei cibi imbanditi, e la condizione modesta del personaggio che offre ospitalità – cui si può idealmente
accostare la figura della vecchierella che sedeva in un cantuccio con un caldano fra’ piedi nel seguito della lettera
del 22 Gennajo dell’Ortis citata sopra –, ma accompagnati da sincera benevolenza e generosità nei confronti
dell’ospite, spesso di statura eroica o di natura divina (note oppure no), che si trova ad agire in un contesto
più umile. Così, Eumeo raccoglie arbusti soffici per il giaciglio di Odisseo, porgendogli anche la sua stessa
coltre, la pelle d’una ispida capra selvatica, e arrostisce due piccoli porcelli, dato che i porci grassi li mangiano i proci
(Odissea XIV 50 e 81); la vecchia Ecale accoglie Teseo nella propria angusta dimora dopo aver sprimacciato dal
proprio giaciglio un piccolo cencio per il giovane eroe, cui aggiunge della ramaglia da tempo riposta, e gli
serve una zuppa accompagnata da pane e olive (Ecale, passim); Brongo offre al dio Dioniso cibo da pastori –
olive in salamoia, formaggio appena cagliato e latte, in luogo del consueto vino – giacché viveva in una casa che
non era una casa (Dionisiache XVII 41), ma un semplice rifugio naturale scavato nella roccia. La semplicità di
queste vivande e, più in generale, del contesto in cui esse vengono descritte, richiama in modo esplicito il dono
modesto ma prezioso delle fascine di legna e dei pani neri, offerti dai contadini alla villanella dell’Ortis.
22
tratti del locus amoenus che definivano in A Zacinto – anzitutto, le acque cristalline rievocate
dall’immagine dell’isola che si specchia nel mare; la fecondità della terra lambita dalla
spuma delle onde da cui è nata Venere, dea
dell’amore e dispensatrice di vita con il suo
sorriso, secondo un’evidente reminiscenza
lucreziana7; le limpide nubi e le fronde
ombrose – il ricordo dell’età spensierata
dell’infanzia, per assumere una
raffigurazione più selvaggia e potente che si
fa progressivamente specchio dello spirto
guerrier indomito nel poeta. Gli studenti
avranno allora modo di comprendere che la
tecnica descrittiva non ha una funzione
puramente esornativa nel testo, ma
contribuisce a veicolare il messaggio che
l’autore intende trasmettere, grazie alle
suggestioni che essa porta con sé.

Immagine 23: Caspar D. Friedrich, Le bianche scogliere


di Rügen.

È altresì suggestivo, in riferimento alle lettere di ambientazione ligure prese in


considerazione poc’anzi, ricordare la tradizione secondo la quale Foscolo in persona
avrebbe visitato i luoghi descritti da Jacopo. In particolare, non lontano da Pietra Ligure,
sorge il borgo medievale di Toirano, noto per il complesso di grotte che si trova lungo la Val
Varatella, il cui sbocco accoglie il centro abitato, a pochi chilometri dal mare. Tra le caverne

7
Si veda Lucrezio, De rerum natura I 1-43. Si tratta, come è noto, del proemio del poema, caratterizzato da una
marcata struttura innologica, in cui Venere viene invocata anche come personificazione della voluptas epicurea,
sotto forma di forza fecondante della natura. Venere è la dea dispensatrice non solo di vita ma anche di pace
per i Romani, facendo assopire Marte nel proprio grembo, e interrompendo così le opere della guerra,
governate dal dio (29-40). A tal proposito, è interessante istituire un raffronto tra i versi proemiale del De rerum
natura, nei quali Lucrezio sviluppa in parallelo il tema dell’amore e della pace, come forze personificate da
Venere, contrapposte alla guerra, e A Zacinto che sembra rielaborare motivi analoghi, chiaramente decodificati
dal Foscolo in ossequio alla propria poetica. Più precisamente, trovo rilevante un accostamento tra l’ultima
terzina del sonetto, che suggella il tema politico-patriottico nell’immagine dell’illacriminata sepoltura, già presa
in esame, e i vv. 41-43 del De rerum natura, riportati di seguito: «Poiché io non posso compiere la mia opera in
un’epoca / avversa alla patria, né l’illustre stirpe di Memmio / può mancare in tale discrimine alla salvezza
comune» (trad. L. Canali). Dunque, è come se nelle guerre civili del I sec. a.C., sfondo dell’invocazione rivolta
da Lucrezio al dedicatario del poema, Gaio Memmio, si riflettesse lo scoramento del Foscolo di fronte alle sorti
politiche d’Italia e al proprio destino di esule, tema costantemente evocato in A Zacinto, cui il poeta può
opporre parziale rimedio attraverso il lascito del proprio canto. Tale riflessione, peraltro, chiama in causa la
funzione eternatrice della poesia, topos letterario di origine assai antica – basti pensare a Virgilio, Eneide IX 446-
449 (l’apostrofe ai giovani Eurialo e Niso, la cui sorte sventurata è destinata ad imperitura memoria grazie al
canto del poeta) e ad Orazio, Odi III, 30 (il monumento eterno che il poeta ha costruito con i suoi versi) – sul
quale è opportuno guidare l’attenzione degli studenti in prospettiva interdisciplinare e intertestuale.
23
naturali che formano il parco speleologico, la grotta di Santa Lucia Superiore sarebbe legata,
secondo i racconti locali, al nome del Foscolo. Tale grotta è sita alle spalle dell’omonimo
santuario risalente ai secoli XV-XVI: le pareti del cunicolo, che si apre proprio dietro l’altare
del tempio, recano numerosi graffiti autografi incisi nella roccia o vergati con nerofumo, che
testimoniano la funzione di rifugio naturale che l’anfratto avrebbe offerto nel corso dei secoli
(il corridoio è noto, infatti, sin dal Medioevo) agli abitanti del luogo e ad avventurieri. Questi
vi avrebbero trovato asilo anche in momenti di pericolo, ad esempio, nel corso del XX secolo
in occasione dei conflitti mondiali; e la popolazione locale ha conservato memoria del fatto
che anche l’autore dell’Ortis avrebbe soggiornato nella grotta, lasciando con la propria firma
– che tuttavia risulta non ancora identificata – testimonianza del proprio passaggio.

Immagini 24-25: la Chiesa di Santa Lucia presso la grotta di Santa Lucia Superiore a Toirano (SV): il campanile e, a
destra, l’ingresso in corrispondenza della bocca dell’antro.

24
Una tradizione che, oltre ad evocare l’indole inquieta e indomita del poeta, conferma la
tendenza alla sovrapposizione tra biografia del Foscolo e sua produzione letteraria: una
costante nelle opere foscoliane, che ha offerto il principale spunto di indagine per il presente
elaborato. Essa, inoltre, risulta ben calzante
all’intento della proposta didattica sotto forma
di parco letterario, in quanto consente di
prendere in esame la suggestione offerta da un
sito materiale, di per sé affascinante in virtù
delle proprie peculiarità naturalistiche, che
evoca aspetti che, dalla concretezza del luogo
geografico e del contesto storico di sottofondo,
sfumano nel fascino di una tradizione – di
evidente genesi locale – che si ammanta di
un’aura leggendaria, pregna di significato in
relazione alla biografia storica e letteraria
dell’autore.

Immagine 26: la navata della Chiesa di Santa Lucia Superiore


all’interno dell’omonima grotta. Al di là della cancellata
dell’altare, si accede al prosieguo del cunicolo, che si estende
nella montagna per circa 240 metri.

Milano. È la tappa presso la quale il poeta ripara dopo la delusione provocata dal trattato
di Campoformio. Foscolo vi coltiva importanti relazioni intellettuali: conosce Parini, Monti
e diversi altri esponenti della cultura meneghina e non. Come nel caso dei Colli Euganei,
anche Milano assurge a luogo letterario, dato che il poeta riproduce nell’Ortis il proprio
incontro con Parini (lettera del 4 dicembre 1797), da considerarsi come la figura simbolo
dell’Illuminismo lombardo. Il rapporto con questa città assume tratti conflittuali negli anni
a venire: Foscolo vi rientra dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia; dopo Waterloo, il
governo austriaco, reinsediatosi in città, offre al letterato la direzione di una rivista culturale,
la Biblioteca italiana, con la quale il regime cercava di conquistare il consenso degli
intellettuali. Il poeta rifiuta però l’incarico, mantenendosi coerente con le proprie
convinzioni e con il proprio passato: è la scelta che lo porta alla via definitiva dell’esilio. Gli
anni milanesi del Foscolo vengono rievocati agli studenti non da una lettura, ma mediante
alcune immagini del Teatro Alla Scala e di Villa Belgiojoso Bonaparte che, nella loro
architettura neoclassica, riportano alla temperie che fa da sfondo alla produzione e al tempo
del poeta.

25
Immagine 27: il Teatro Alla Scala di Milano in una stampa del 1790.

Immagine 28: Milano, Villa Belgiojoso Bonaparte, sede della GAM.

26
Pavia. Grazie all’interessamento del Monti, Foscolo vi ottiene, nel 1808, la cattedra di
Eloquenza presso l’Università, che viene però presto soppressa, vanificando la collocazione
sociale e la sistemazione economica da lui auspicate. In questi anni il poeta si attira di nuovo
antipatie e sospetti per il proprio carattere fiero e per l’atteggiamento poco ossequiente
verso il regime: la rappresentazione, nel 1811, della tragedia Aiace – nella quale, nella figura
di Agamennone, si ravvisano allusioni a Napoleone – costringe Foscolo a riparare in
Toscana. Come nel caso di Milano, anche per Pavia propongo alcune immagini
dell’Università, rappresentative dell’esperienza del poeta, nonché testimoni del gusto
neoclassico nelle loro strutture architettoniche.

Immagine 29: Pavia, uno dei chiostri dell'Università.

27
Immagine 30: Pavia, Università: il cortile delle Magnolie.

Firenze. Foscolo vi soggiorna tra il 1812 e il 1813: un periodo finalmente sereno e creativo.
Sui colli fiorentini, nella villa di Bellosguardo, il poeta si dedica alla composizione delle
Grazie, di cui abbozza un nucleo consistente. La Toscana, già dai tempi dell’Ortis, è
considerata dall’autore luogo dell’arte per eccellenza, ed essa assume un valore di
idealizzazione non solo artistica, ma anche civile e umana nei Sepolcri, secondo la
testimonianza dei passi presentati di seguito:

Firenze, 25 settembre

In queste terre beate si ridestarono dalla barbarie le sacre Muse e le lettere. Dovunque io mi volga,
trovo le case ove naquero, e le pie zolle dove riposano que’ primi grandi Toscani: ad ogni passo ho
timore di calpestare le loro reliquie. La Toscana è tuttaquanta una città continuata, e un giardino; il
popolo naturalmente gentile; il cielo sereno; e l’aria piena di vita e di salute […].

28
Immagine 31: Thomas Patch, Veduta di Firenze da Bellosguardo (1782).

Dei Sepolcri, vv. 151-185

A egregie cose il forte animo accendono

l’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella

e santa fanno al peregrin la terra

che le ricetta. Io quando il monumento

vidi ove posa il corpo di quel grande,

che temprando lo scettro a’ regnatori,

gli allor ne sfronda, ed alle genti svela

di che lagrime grondi e di che sangue;

e l’arca di colui che nuovo Olimpo

alzò in Roma a’ Celesti; e di chi vide

sotto l’etereo padiglion rotarsi

più mondi, e il Sole irradïarli immoto,

onde all’Anglo che tanta ala vi stese

sgombrò primo le vie del firmamento;

te beata, gridai, per le felici

aure pregne di vita, e pe’ lavacri

29
che da’ suoi gioghi a te versa Apennino!

Lieta dell’äer tuo veste la Luna

di luce limpidissima i tuoi colli

per vendemmia festanti, e le convalli

popolate di case e d’oliveti

mille di fiori al ciel mandano incensi:

e tu prima, Firenze, udivi il carme

che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco,

e tu i cari parenti e l’idïoma

desti a quel dolce di Calliope labbro

che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma

d’un velo candidissimo adornando,

rendea nel grembo a Venere Celeste.

Ma più beata ché in un tempio accolte

serbi l’itale glorie, uniche forse

da che le mal vietate Alpi e l’alterna

onnipotenza delle umane sorti

armi e sostanze t’invadeano ed are

e patria e, tranne la memoria, tutto.

Si tratta del celebre inno a Firenze, che svolge il tema della funzione civile del sepolcro:
l’encomio della città, infatti, è incentrato – al di là dei pregi paesaggistici (vv. 165-172) e
letterari (vv. 173-179) della Toscana, già annoverati nel passo dell’Ortis visto sopra – sulle
glorie italiane che essa accoglie nel pantheon di Santa Croce (vv. 154-164), unica eredità
superstite di un passato insigne, da quando hanno avuto inizio il declino politico e la
dominazione straniera in Italia (vv. 180-185). Tali monumenti non si limitano ad essere
celebrati come retaggio di un tempo glorioso ormai irrimediabilmente perduto, ma si
ammantano di una funzione parenetica in prospettiva etico-civile, essendo volti ad incitare
le nuove generazioni alla virtù, sull’exemplum fornito dai grandi del passato, di cui essi
racchiudono le spoglie.

30
Immagine 32: Firenze, la Basilica di Santa Croce.

Immagine 33: Firenze, Basilica di Santa Croce: la navata centrale.

31
Santa Croce viene già descritta dal poeta nella lettera del 27 agosto 1798 dell’Ortis, nella
quale risalta l’ammirato stupore con cui Jacopo visita le tombe dei più illustri intelletti
d’Italia, in accordo con la medesima prospettiva encomiastica riscontrata nell’inno a Firenze
dei Sepolcri:

Dianzi io adorava le sepolture di Galileo, del Machiavelli, e di Michelangelo; e nell’appressarmivi io


tremava preso da brivido. Coloro che hanno eretti que’ mausolei sperano forse di scolparsi della
povertà e delle carceri con le quali i loro avi punivano la grandezza di que’ divini intelletti? Oh quanti
perseguitati nel nostro secolo saranno venerati da’ posteri! Ma e le persecuzioni a’ vivi, e gli onori a’
morti sono documenti della maligna ambizione che rode l’umano gregge.
Presso a que’ marmi mi parea di rivivere in quegli anni miei fervidi, quand’io vegliando su gli scritti
de’ grandi mortali mi gittava con la immaginazione fra i plausi delle generazioni future. Ma ora
troppo alte cose per me! – e pazze forse. La mia mente è cieca, le membra vacillanti, e il cuore guasto
qui – nel profondo. […]

Immagine 34: veduta panoramica attuale di Firenze da Bellosguardo.

Nelle Grazie, nel proemio al Primo Inno, il poggio di Bellosguardo torna ad assumere i
connotati del locus amoenus: nel topos del bel paesaggio si rispecchia ora la serenità del poeta,
secondo la stretta relazione natura/stato d’animo già individuata come una delle tematiche
dominanti nella poetica foscoliana; la campagna toscana è, pertanto, luogo di rinnovata
32
idealizzazione sia per l’arte che per la biografia del poeta. Ma il poema viene concepito
anche secondo una prospettiva civile: dal punto di vista storico, esso deve rasserenare
l’Italia, sempre alla mercé delle potenze straniere8; inoltre, alle Grazie è affidata un’esplicita
funzione civilizzatrice, analogamente all’ispirazione sottesa ai Sepolcri: l’epifania di Venere
e delle sue ancelle è finalizzata a distogliere l’umanità dagli istinti feroci e dai conflitti che
la travagliano al suo stadio primitivo. Sotto questo profilo, potrà essere proposta agli
studenti anche la lettura degli episodi della nascita di Venere e delle Grazie dal Mar Ionio
(Inno primo, vv. 102-150) e della fuga sull’isola di Atlantide (Inno terzo, vv. 101-119), con il
quale si può mettere in relazione il celebre “velo delle Grazie” (Inno terzo, vv. 153-196), fatto
tessere da Venere per le dee sue discepole, affinché restino preservate dalle passioni
divoratrici degli uomini, ma continuino ad esercitare su di loro un benefico effetto
incivilitore, profuso dalla loro stessa natura.

Immagine 35: il cosiddetto Trono Ludovisi del Museo Nazionale Romano: Venere viene aiutata ad emergere dal mare. V
sec. a.C. Il particolare del velo, in primo piano, richiama idealmente il “velo delle Grazie”.

8
Negli anni (1812-1813) in cui il carme fu concepito, il Regno d’Italia era stato coinvolto da Napoleone nella
disastrosa campagna di Russia.
33
Le Grazie, Inno primo, vv. 1-27

Cantando, o Grazie, degli eterei pregi

di che il cielo v’adorna, e della gioia

che vereconde voi date alla terra,

belle vergini! a voi chieggo l’arcana

armonïosa melodia pittrice

della vostra beltà; sì che all’Italia

afflitta di regali ire straniere

voli improvviso a rallegrarla il carme.

Nella convalle fra gli aerei poggi

di Bellosguardo, ov’io cinta d’un fonte

limpido fra le quete ombre di mille

giovinetti cipressi alle tre Dive

l’ara innalzo, e un fatidico laureto

in cui men verde serpeggia la vite

la protegge di tempio, al vago rito

vieni, o Canova, e agl’inni. Al cor men fece

dono la bella Dea che in riva d’Arno

sacrasti alle tranquille arti custode;

ed ella d’immortal lume e d’ambrosia

la santa immago sua tutta precinse.

Forse (o ch’io spero!) artefice di Numi,

nuovo meco darai spirto alle Grazie


Immagine 36: la Venere di Rodi. Statua di Afrodite «al bagno»,
ch’or di tua man sorgon dal marmo. Anch’io rifacimento del I sec. a.C. di un tipo statuario del III sec. a.C.

pingo e spiro a’ fantasmi anima eterna:

sdegno il verso che suona e che non crea;

perché Febo mi disse: Io Fidia, primo,

ed Apelle guidai con la mia lira.

34
Immagine 37: Sandro Botticelli, La Primavera (particolare delle tre Grazie).
35
Immagine 38: Antonio Canova, Le tre Grazie. L’artista è presentato nel proemio delle Grazie come dedicatario
dell’opera.

36
A conclusione della parte del percorso dedicata al rapporto tra poesia e paesaggio, è
interessante istituire un confronto tra la descrizione che Foscolo dà dell’isola di Atlantide –
sulla quale Pallade trova rifugio, portando con sé le Grazie, per fuggire gli istinti più
selvaggi e violenti degli uomini – e l’Olimpo, come è tratteggiato – con tocchi tanto rapidi
quanto suggestivi – nel canto VI dell’Odissea:

Le Grazie, Inno terzo, vv. 113-119:

Poi nell’isola sua fugge Minerva,

e tutte Dee minori, a cui diè Giove

d’esserle care alunne, a ogni gentile

studio ammaestra: e quivi casti i balli,

quivi son puri i canti, e senza brina

i fiori e verdi i prati, ed aureo il giorno

sempre, e stellate e limpide le notti.

Odissea VI 41-46:

Detto così la glaucopide Atena andò via

sull’Olimpo, dove dicono sia la dimora sempre serena

degli dei: non è agitata da venti, non è mai bagnata

da pioggia, non vi si adagia la neve, ma senza nubi

l’aria si stende e vi è diffuso un terso splendore;

gli dei beati si allietano in essa ogni giorno.

(trad. G.A. Privitera)

Mi sembra evidente il nesso tra i due passi, giocato su una variatio del topos tradizionale del
locus amoenus9, applicato alle rispettive sedi divine, luoghi di pace imperturbata. E il motivo

9
Non è questa la sede per una trattazione dettagliata del locus amoenus, più volte menzionato nell’elaborato,
che meriterebbe un’attenzione specifica, essendo un topos insito ab origine nella letteratura e destinato a
straordinaria fortuna; mi limito a ricordare che esso è spesso legato ad un altro Leitmotiv: quello dell’età
dell’oro, parimenti connotato da una condizione di serenità e benessere idealizzati, sullo sfondo di una natura
rigogliosa che, escludendo ogni forma di conflittualità, offre spontaneamente i propri beni all’uomo che, a sua
volta, vive in completa armonia con essa. Il tema – pure di matrice greca: le prime descrizioni di paesaggio
idillico figurano infatti in Odissea VII 112-132 (il giardino di Alcinoo) e nel fr. 2 Voigt della poetessa Saffo (il
giardino di Afrodite), e vengono poi riprese e variate nella poesia bucolica di età ellenistica (ad esempio,
37
del bel paesaggio, carico di significati sia biografici che letterari, chiude, così, idealmente in
un cerchio l’incipit e l’explicit del percorso biografico geo-letterario.

Londra. È la città che Foscolo sceglie, dopo un soggiorno in Svizzera, come meta del proprio
esilio. Qui il poeta viene accolto con onori e simpatia, cui fanno seguito ancora una volta
attriti e incomprensioni. Foscolo collabora con diverse riviste letterarie, ma le sue condizioni
economiche si fanno sempre più precarie, anche a causa della vita follemente dispendiosa
che conduce. Il poeta trascorre gli ultimi anni ridotto in miseria, ammalato e perseguitato
dai creditori, trovando unico conforto nella traduzione dell’Iliade e dunque in quell’ideale
affinità con il mondo classico che lo aveva profondamente segnato sin dall’infanzia. Foscolo
muore nel villaggio di Turnham Green nel 1827; il sobborgo londinese viene così descritto
dall’autore in una lettera del 1826:

«tra il trambusto di uomini in rissa, di donne in litigio, di fanciulli sbraitanti, di esecutori


pignoranti».

Il conforto della serenità ideale rappresentata da Zacinto, dalla Toscana, da Citera è ormai
definitivamente perduto; e il rassegnato riassorbimento dello spirto guerrier del poeta
potrebbe allora trovare espressione nella consapevolezza della similitudine iliadica, che
coglie nell’immagine delle foglie le alterne vicende della vita umana:

come stirpi di foglie, così le stirpi degli uomini;

le foglie, alcune ne getta il vento a terra, altre la selva

fiorente le nutre al tempo di primavera;

così le stirpi degli uomini: nasce una, l’altra dilegua.

(Iliade VI 146-149, trad. R. Calzecchi Onesti)

Teocrito, Idilli VII, Le Talisie) – è ben testimoniato negli autori latini trattati nel secondo biennio liceale. Colgo
quindi l’occasione per segnalare – sulla scorta dell’esperienza di insegnamento da me condotta nel corso
dell’A.S. 2015/2016 nella classe 4I del Liceo Scientifico Vittorio Veneto di Milano – alcuni brani letti e analizzati
con i miei studenti, che sviluppano tale motivo: Lucrezio, De rerum natura II 29-33, Lo scenario idilliaco del ‘lathe
biosas’ (efficacemente contrapposto allo sconvolgimento dominante nei vv. 1-4 del medesimo libro – il
«naufragio con spettatore», secondo la celebre definizione data a questo passo da Blumenberg – e alle altre
immagini che seguono); Virgilio, Ecloga IV; Georgiche II 323-345, Inno alla primavera; II 458-542, L’elogio della vita
agreste; Orazio, Epodo XVI; Odi I, 17, Invito a Tindaride; III, 13, Alla fonte di Bandusia; Tibullo, Corpus Tibullianum
I, 1 1-44, Sogno di vita agreste; I, 3 35-50, Il regno di Saturno. Questi passi forniscono un ulteriore spunto di analisi
interdisciplinare ed intertestuale, che gli allievi possono approfondire in un percorso ad hoc, che dalla
letteratura latina – toccando anche quella umanistica e moderna – spazia alle arti figurative.
38
Immagini 39-40: memoriali di Ugo Foscolo a St. Nicholas Churchyard, Chiswick, Inghilterra, e, a destra, sull’isola di
Zante.

Foscolo riposa nel tempio di Santa Croce dal 1871, accanto alle spoglie dei grandi da lui
celebrati nei Sepolcri.

39
Immagine 41: Firenze, Basilica di Santa Croce: monumento funebre a Ugo Foscolo.

40
Riferimenti bibliografici per i passi antologizzati e citati

I brani del Foscolo sono stati tratti da: Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, introduzione
di D. Starnone, cura di P. Frare, Feltrinelli, Milano, 2000 (Ortis); G. Baldi, S. Giusso, M.
Razetti, G. Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al testo, Vol. III Tomo Primo/a, Dal
Neoclassicismo al Verismo, Paravia, Torino, 2000 (A Zacinto, Dei Sepolcri, Le Grazie).

Per altri autori e opere citati, si è fatto riferimento a: Callimaco, Inni epigrammi frammenti, a
cura di G.B. D’Alessio, 2 voll., Milano, BUR, 2001; Garbarino G., Letteratura Latina, vol. 2,
Torino, Paravia, 1997; Garbarino G. – Pasquariello L., Colores, vol. 2, Torino, Paravia, 2015;
Lirici greci. Saffo, Alceo, Anacreonte, Ibico, a cura di G. Guidorizzi, Milano, Oscar Mondadori,
2006; Lucrezio, La natura delle cose, introduzione di G.B. Conte, traduzione di L. Canali, testo
e commento a cura di I. Dionigi, Milano, BUR, 2012; Nizzola P., Testo e macrotesto nelle
«Dionisiache» di Nonno di Panopoli, Reggio Calabria, Leonida Edizioni, 2012; Nonno di
Panopoli, Le Dionisiache, II, Canti 13-24, a cura di D. Del Corno, traduzione di M. Maletta,
Milano, Adelphi, 1999; Omero, Iliade, prefazione di F. Codino, versione di R. Calzecchi
Onesti, Torino, Einaudi, 1997; Omero, Odissea, traduzione di G.A. Privitera, introduzione di
A. Heubeck, Milano, Oscar Mondadori, 2000; Orazio, Le opere. Antologia, a cura di A. La
Penna, Firenze, La Nuova Italia, 2003; Orazio, Odi Epodi, a cura di L. Canali, Milano Oscar
Mondadori, 2004; Teocrito, Idilli e epigrammi, a cura di B. M. Palumbo Stracca, Milano, BUR,
2004; Virgilio, Bucoliche, a cura di M. Cavalli, Milano, Oscar Mondadori, 2009; Virgilio,
Georgiche, a cura di A. Barchiesi, introduzione di G.B. Conte, Milano, Oscar Mondadori,
2011; Virgilio, Eneide, traduzione di L. Canali, introduzione di E. Paratore, Milano, Oscar
Mondadori, 2001.

Tutti i passi antologizzati sono stati scelti dall’Autore.

Le fotografie riportate nelle immagini 24, 25, 26 sono dell’Autore.

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