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Marcel Proust,

PERCORSO MONOGRAFICO
l’uomo e l’autore

Dal romanzo L’opera di Marcel Proust rappresenta un punto di svolta nella letteratura di fine Ottocento
naturalistico e del primo Novecento: segna il trapasso dal romanzo naturalistico al romanzo psicologi-
al romanzo co. Da un lato, è innegabile il debito che Proust contrae con la letteratura del XIX secolo:
psicologico la sua opera ha un marcato carattere autobiografico e risente del modello del “romanzo
di formazione”, tipico del Romanticismo; riecheggia anche il modello della grande rap-
presentazione d’epoca sperimentato da Honoré de Balzac (1799-1850) nel ciclo di
romanzi della Comédie humaine (“Commedia umana”), una sorta di immenso affresco di
un intero periodo storico. Dall’altro, tuttavia, l’analisi introspettiva che caratterizza l’ope-
ra di Proust è una componente nuova rispetto all’esperienza letteraria precedente. Se è
vero, infatti, che A la recherche du temps perdu (“Alla ricerca del tempo perduto”), il suo
capolavoro, offre al lettore un ritratto della società del tempo, al centro della narrazione si
colloca però non il dato storico-descrittivo, ma quello intimo e introspettivo, che fa del
romanzo un chiaro esempio di romanzo psicologico.
Una nuova Nell’opera di Proust, la descrizione dei personaggi e delle vicende che li coinvolgono fa
concezione da cornice alle riflessioni e alle memorie del narratore. L’elemento cronologico viene stra-
del tempo volto: la vicenda non si articola attraverso uno sviluppo temporale lineare, ma in base ad
narrativo una scansione regolata sui ritmi della memoria della voce narrante. Attraverso questo
“tempo interno” si delinea il profilo psicologico dei protagonisti, di cui è possibile osser-
vare le dinamiche del pensiero e le diverse sfaccettature della coscienza. Oltre al tempo,
si scompone ed articola dunque anche l’unità psicologica del protagonista, di cui si osser-
va il frammentarsi della personalità. Contrariamente ai personaggi della precedente pro-
duzione letteraria, infatti, quelli messi in campo da Proust mutano ed evolvono continua-
mente. Ed è questa la vera novità, la cifra originale dell’opera proustiana: riscoprire la real-
tà attraverso i mutamenti che essa opera, nel tempo, sulle persone e sulle cose.
La caduta Il nuovo modo proustiano di descrivere l’ambiente e i personaggi è il riflesso della crisi
degli dèi storica dell’aristocrazia e della borghesia francesi a cavallo tra l’Otto e il Novecento.
L’aristocrazia, con la fine della monarchia francese, è delegittimata e priva dei tradiziona-
li fondamenti istituzionali; la borghesia si allontana dalle idee progressiste che aveva
appoggiato al tempo della Rivoluzione e nel corso dell’Ottocento. La classe media si ada-
gia ora sulle posizioni di privilegio acquisite, preoccupandosi unicamente di mantenere il
primato sociale raggiunto. La saga romanzesca di Proust ha come sfondo proprio il “bal-
letto della sopravvivenza” di queste due classi al tramonto, delle quali offre una spietata
analisi dei valori così come dei limiti storici.

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PERCORSO MONOGRAFICO

Profilo biografico e produzione


La fine Proust nasce nel momento di maggior travaglio che la storia e la società francesi vivono alla
di un’epoca fine dell’Ottocento. La sconfitta del 1870 di Napoleone III (imperatore dal 1852) ad opera
della Prussia segna infatti la fine della monarchia in Francia. Dopo la proclamazione della
Terza Repubblica, a Parigi la popolazione insorge e decreta la nascita della Comune (18
marzo 1871), una sorta di “autogoverno cittadino” ispirato alle idee anarchiche di Michail
A. Bakunin (1814-1876, filosofo, padre del pensiero anarchico). I genitori di Marcel fuggo-
no dalla città e riparano ad Auteuil, sobborgo residenziale della capitale. Le truppe del-
l’esercito francese entrano a Parigi (21 maggio) e, dopo una settimana di aspri combattimen-
ti, sbaragliano la resistenza cittadina. Il 10 luglio nasce Marcel. Gli storici avvenimenti di
quei giorni segnano l’inizio del progressivo sfaldamento delle classi sociali che hanno fin
qui guidato la nazione; il declino si protrarrà attraverso l’intero periodo della Belle Époque
(1870-1915 ca.) e avrà il suo culmine con l’inizio della Prima Guerra Mondiale.
I luoghi Le esperienze dei primi anni di vita forniscono a Marcel gli spunti per la costruzione di
dell’infanzia quell’universo di miti personali e suggestioni che emergeranno poi nella Recherche, tra-
e della memoria ducendosi nella dimensione del nostalgico rimpianto per il “tempo perduto” dello scrit-
tore: perduto perché sepolto nell’oblio di un passato irrecuperabile. Ad alimentare la
memoria del giovane sono soprattutto i soggiorni presso le dimore di Illiers e Auteuil, dove
trascorre con la famiglia i periodi di vacanza. La penna dello scrittore maturo tradurrà in
racconto quelle suggestioni infantili e il sobborgo parigino di Auteuil si tramuterà in una
sorta di eden smarrito, un rassicurante luogo di regressione.
Lo studente Nel 1882 Proust si iscrive al Liceo Condorcet. È uno studente modello e la sua prepara-
e i salotti zione gli vale più volte l’inserimento nell’Elenco d’Onore. Gli anni del liceo mettono in
evidenza le due inclinazioni fondamentali della personalità del giovane. La prima è quel-
la letteraria, istillatagli dalla madre, Jeanne Weil, fin dalla prima giovinezza, in netto con-
trasto con le aspettative più pragmatiche del padre Adrien. Assecondando la propria voca-
zione, Marcel segue il corso di retorica e successivamente quello di filosofia tenuto da
Alphonse Darlu. Al contempo, si fa in lui irresistibile l’attrazione per gli ambienti dell’al-
ta società. Diviene amico di Jacques Bizet (1838-1875; noto compositore, autore dell’ope-
ra Carmen) e di Lucie Faure, figlia del futuro presidente della Repubblica. Nello stesso
periodo viene accolto nel salotto di M.me Caillavet, dove conosce ed entra in confidenza
con lo scrittore Anatole France (1844-1924, Accademico di Francia nel 1896). In questo
periodo Proust sviluppa un’inclinazione raffinata, vagamente estetizzante, che lascia trac-
cia nella personalità matura e si riflette nell’eleganza di molte sue pagine. Lo scrittore
impara dunque a conoscere quell’ambiente aristocratico e borghese il cui splendore e
declino rivivranno nelle vicende della Recherche.
Gli anni Si arruola volontario nell’esercito, ma risulta penultimo fra gli allievi del suo corso. Ritorna così
dell’Università agli studi e dopo il Baccelierato, conseguito nel 1889, si iscrive (per compiacere il padre) alla
facoltà di giurisprudenza, ma segue anche le lezioni del corso di scienze politiche. Particolare
importanza hanno, per la sua formazione, le lezioni di Henri Bergson (1859-1941), filosofo
irrazionalista che ha grande influsso sugli intellettuali e gli artisti di fine Ottocento e primo
Novecento. Le idee di Bergson rappresentano una pietra miliare nell’ideologia e nella poetica
di Proust. Dal filosofo, infatti, egli mutua il concetto di memoria involontaria, capace di evo-
care volti e avvenimenti con una efficacia e una precisione assai maggiori di quelle che offre
il ricordo volontario. Proprio la manifestazione del ricordo spontaneo, evocazione di immagi-
ni sepolte dal tempo, sarà il tema dominante del capolavoro proustiano.
Man mano che Proust va costruendo la propria formazione letteraria, approfondisce an-
che la conoscenza del mondo dorato dell’alta società che già lo ha affascinato negli anni
del liceo. Nel 1892 frequenta i rinomati salotti di Laura Hayman, di M.me Staus e M.me
Aubernon, mentre l’anno successivo fa la conoscenza del conte Robert de Montesquiou-
Fezensac (1855-1921). L’incontro risulta decisivo per il futuro di Marcel. È infatti questo
raffinato letterato, legato alle più note famiglie della nobiltà europea, ad introdurlo nell’al-
ta aristocrazia francese, da cui Proust attinge la principale fonte di ispirazione per la crea-
zione del suo capolavoro.
Gli esordi Proust si laurea nel 1893. Nello stesso anno esordisce sulla “Revue blanche” con sei pro-
letterari se che ne rivelano il talento narrativo. Sono componimenti d’occasione, incentrati sulla
tematica della vita mondana che l’autore ha avuto modo di conoscere ampiamente attra-
verso le proprie frequentazioni altolocate. Le prose vengono successivamente pubblicate
nel volume Les plaisirs et les jours (“I piaceri e i giorni”, 1896), una silloge che raccoglie
insieme poesie, saggi e racconti della prima produzione di Proust. Il volume passa presso-
ché inosservato e solo dopo la morte dell’autore conoscerà una parziale rivalutazione.
L’unico componimento degno di rilievo è la novella La fin de la jalousie, che contiene in
nuce le tematiche successivamente sviluppate nella prima parte della Recherche.

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LA BELLE ÉPOQUE

Il periodo che comprende gli ultimi anni del XIX e l’inizio del XX, fino alle soglie della Prima Guerra Mondiale, è deno-
minato Belle Époque: “bella epoca”, in francese.
Nelle grandi città europee, infatti, si conduce una vita agiata e brillante; i non pochi benestanti, in particolare, trascor-
rono molto tempo al ristorante, a ballare e a far festa nei propri palazzi o nei locali pubblici. Parigi, detta ville lumière
(“città luce”) per il suo moderno sistema di illuminazione, è la “capitale delle capitali”. Al Moulin rouge, un locale della
città, si può assistere, tutta la notte, alle sfrenate danze di can-can di famose ballerine, immortalate nei manifesti del
pittore Henry de Toulouse-Lautrec (1864-1901). L’atmosfera allegra e spensierata dei locali pubblici parigini è il simbo-
lo di un periodo della storia dell’Europa durante il quale tutto sembra andare nel segno del progresso in ogni campo.
Dal 1870 non si verificano guerre nel vecchio continente. La scienza e la tecnologia conoscono progressi straordinari:
la seconda rivoluzione industriale, basata sull’elettricità e sulla chimica, è in pieno sviluppo; nell’ultimo decennio del
secolo i fratelli Lumière inventano il cinematografo, mentre sorgono le prime fabbriche di automobili (nel 1899 la Fiat
di Torino); iniziano le prime prove di comunicazione senza fili, dopo gli esperimenti di Guglielmo Marconi, premessa
alla nascita della radio. Si diffondono le esposizioni universali; a Parigi, in occasione dell’Esposizione Universale del
1889, l’ingegnere Eiffel progetta la costruzione della torre che ne porta il nome, per la cui realizzazione sono usate
7500 tonnellate di acciaio.
La predominante concezione positivista, certa del progresso dell’umanità garantito dalla scienza, ritiene il Novecento
un secolo di sicura pace, di crescente benessere, di rapidissimo sviluppo tecnologico: il passaggio al nuovo secolo rap-
presenta il punto culminante della Belle Époque.
Anche molti intellettuali, artisti e scrittori sono contagiati dall’ottimismo: ne sono testimonianza fenomeni come il
Modernismo artistico o Art Nouveau, che si propone di avvicinare il mondo dell’arte alla vita di tutti i giorni attraver-
so la diffusione di oggetti artistici destinati all’uso quotidiano, e, per certi aspetti, lo stesso primo Futurismo, fautore di
una alleanza fra arte e industria, nel nome del culto della tecnologia e della modernità.

La poesia I primi scritti di Proust presentano un carattere “celebrativo” che investe anche la sua pro-
di Proust duzione in versi. L’esordio poetico è rappresentato da due serie di ritratti di musicisti e
pittori suoi amici. I versi di Proust non raggiungono mai le vette di eleganza della produ-
zione in prosa, neppure quelli che l’autore scrive nella fase matura della propria vita e
che invia a molte personalità del suo ambiente. Fra queste, Reynaldo Hahn, giovane
musicista di Caracas che diverrà nel 1945 direttore dell’Opera, ed il poeta e drammatur-
go Jean Cocteau (1889-1963), leader del movimento surrealista. Nella poesia di Proust
dominano il sarcasmo e l’humor nonché una spiccata leggerezza. Un esempio ci è dato
da una poesia incentrata sulla figura di Robert de Montesquiou.
Rigido come un palo, secco come una pietra, dov’è la sua grazia?
Sotto la palpebra sua mai si vedrà una lacrima.1
La caratura dei versi è modesta e il contenuto frivolo. Le poesie sono puri “divertimenti”,
alquanto ricercati nello stile ma troppo spesso intrappolati in una sintassi complessa e
nella forzata ricerca di immagini:
È là; secondo spiri Euro, Aquilone o Zéfiro, l’onda che abbiamo
eletta infrange il suo smeraldo o getta lo zaffìro sulle rocce
di porfido e lascia nella fuga mille perle di Ophir.2
Se la produzione poetica proustiana soffre di una evidente fragilità delle tematiche e di
un’eccessiva ricercatezza formale, in essa emerge tuttavia un’apprezzabile inclinazione
all’analisi intimistica.
Chopin, mare di lagrime, di sospiri e singhiozzi che una nube di farfalle
traversa senza posarsi, giuoco sulla tristezza o danza sulle onde.3
La lucidità di giudizio e l’acume descrittivo caratterizzano la raccolta Pastiches et mélan-
ges (“Imitazioni e miscellanee”, 1919). L’ironia dei primi comportamenti lascia sempre
più il posto all’indagine critica dei personaggi. Si iniziano a intravedere i volti e gli
ambienti che rappresentano i riferimenti stabili dell’universo proustiano. È proprio questo
l’aspetto più rilevante della poesia di Proust: rappresentare un terreno di prova, l’abboz-
zo del grandioso dipinto della élite ottocentesca ritratta qualche anno più tardi nelle pagi-
ne del suo grande ciclo romanzesco.

1 Da Chanson sur Robert (“Canzone su Robert”), Marcel Proust, Poesie, trad. a cura di F. Fortini, Einaudi, Torino, 1983.
2 Da A. Antoine Bidesco (“A Antoine Bidesco”), ibidem.
3 Da Chopin, ibidem.

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Jean Santeuil Proust ha un rapporto controverso con l’alta società parigina: ne fa il proprio ambiente
elettivo, ma al contempo, con la sua sagacia critica, ne scopre i limiti e gli aspetti più
grotteschi. Les plaisirs et les jours ben rappresenta questi sentimenti. Ancora più signifi-
cativo, in questo senso, è il suo primo romanzo, Jean Santeuil, scritto tra il 1895 ed il
1904 (pubblicato postumo nel 1952), dopo il tentativo fallito di realizzare un grande
romanzo a carattere autobiografico. Lo stesso Jean Santeuil è una sorta di diario in cui
Proust ripercorre gli eventi della propria vita antecedenti il 1895. Nel romanzo prendo-
no vita gli ambienti e le figure che animano l’esistenza reale dello scrittore e che rivivran-
no nella Recherche. Attraverso le vicissitudini adolescenziali del protagonista – il roman-
ziere C., alter ego letterario dell’autore – Proust rievoca le atmosfere dell’amata Auteuil;
o ancora, nelle parole di M. Sandré, echeggia la preoccupazione del nonno Weil per le
inclinazioni letterarie del giovane protagonista; M. Beulier cela l’identità di Alphonse
Darlu, sotto la cui guida Proust ha compiuto gli studi filosofici; più avanti, la sfortunata
parentesi militare è descritta in alcuni capitoli della Settima Parte, mentre l’amicizia pro-
fonda con Reynaldo Hahn rivive nel rapporto fra il protagonista ed il giovane Henri de
Réveillon.
L’Affare Dreyfus: Unica eccezione all’autobiografia della narrazione è l’attenzione che Proust dedica al cele-
una ferita sociale bre Affare Dreyfus, nei capitoli V-IX della Parte Quinta. Alfred Dreyfus è un capitano del-
l’esercito, di origine ebrea, accusato e condannato per spionaggio a favore dei tedeschi. Il
governo, l’esercito e la Chiesa si oppongono alla revisione del processo, che considerereb-
bero un pericoloso segnale di deriva a sinistra della politica interna. Socialisti ed antimili-
taristi si coalizzano invece nella schiera dei dreyfusardi. Anche l’alta società si spacca sulla
questione: i salotti aristocratici monarchici e filo-cattolici sono in contrasto con quelli pro-
gressisti e borghesi. Gran parte degli intellettuali aderisce all’iniziativa dello scrittore Emile
Zola (1840-1902, principale esponente del Naturalismo). La sua lettera al presidente della
Repubblica, pubblicata nel celebre articolo intitolato J’accuse, prende posizione a favore
del capitano e solleva un grande movimento di opinione che culmina con la revisione del
processo. Nel corso di esso viene dimostrato che Dreyfus altro non è che il capro espiato-
rio utilizzato per insabbiare le torbide manovre di alti esponenti dell’esercito. L’apparente
estraneità del caso di cronaca all’interno della trama del Jean Santeuil si spiega facilmente:
funge da pretesto per illustrare, attraverso uno spaccato di cronaca, le dinamiche sociali di
un’intera epoca, colte significativamente in un momento di forti contrapposizioni.
Jean Santeuil, Lo spirito critico col quale Proust descrive la vita dei salotti parigini non equivale ad un
spartiacque atteggiamento di completo distacco da essi. Proust è parte integrante di questa realtà, si
della produzione muove con essa. Ha piena coscienza del suo declino, ma non lo vive in modo doloroso.
proustiana Non ha ancora un “tempo da ritrovare”, ma un “tempo da vivere”, nel cui flusso si lascia
trasportare. Solo quando la percezione della perdita irrevocabile del passato agiterà il suo
animo, in concomitanza con i lutti familiari e il sopraggiungere della maturità, avrà inizio
il cammino “alla ricerca del tempo perduto”. Nascerà allora nello scrittore l’esigenza di
ritrovare i volti e le immagini che rispecchiano il passato personale e, al contempo, quel-
lo di un’intera epoca e società. Il passaggio dalla descrizione di una realtà percepita come
attuale e viva alla ricerca di un tempo ormai trascorso segna dunque il vero discrimine fra
l’opera prima di Proust e la sua produzione matura.
La cognizione Nel 1990 Proust inizia la sua collaborazione con “Le Figaro”, con una serie di articoli
del dolore incentrati sulla vita dei salotti parigini e che, a partire dal 1903, appaiono nella rubrica
Salon. Al contempo studia l’opera dell’esteta e critico inglese John Ruskin (1819-1900),
fondamentale per lo sviluppo della propria poetica. Sono gli anni più dolorosi della vita
di Marcel, che tra il 1903 ed il 1905 perde entrambi i genitori. A opprimere lo scrittore è
soprattutto la perdita della madre. La prostrazione che ne deriva si traduce in un biennio
di silenzio letterario. Proust torna a comporre solo nel 1908, col saggio critico Contre
Saint-Beuve ( “Contro Saint-Beuve”, pubblicato postumo nel 1954), incentrato sulla figu-
ra del critico Saint-Beuve (1804-1869), di cui Proust non condivide la concezione “ludi-
ca” della letteratura, relegata da questi al ruolo di semplice “svago culturale”. Nel saggio
si fa strada il primo abbozzo della poetica matura di Proust, soprattutto là dove identifica
la missione della letteratura nel fare emergere la personalità profonda dello scrittore, l’io
sotterraneo che si cela dietro la finzione narrativa. Il saggio anticipa alcuni temi e perso-
naggi che vivranno nella produzione successiva. Ormai i tempi sono maturi per il capola-
voro. Si fa strada quel sentimento di “perdita” che Marcel vive in prima persona sia sul
piano degli affetti (in relazione alla perdita dei propri cari e, con essi, delle proprie ideali
origini), sia su quello del tramonto del dorato mondo dell’aristocrazia.

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L’isolamento, Ha inizio per l’autore una fase di completo isolamento. Per assicurarsi la totale concen-
la stesura trazione, Proust giunge a far rivestire di sughero le pareti della propria camera, nell’appar-
della Recherche tamento al numero 102 di Boulevard Hausmann. In tale solitudine prende forma l’epopea
e l’epistolario della Recherche, in cui vengono compendiate la meticolosa indagine sociologica sui
costumi e le personalità del tempo e il percorso psicologico del protagonista. Il ciclo
romanzesco ripercorre la vita stessa dell’autore.
La stesura del romanzo impegna Proust a partire dal 1909. L’anno successivo sono già state
redatte più di quattrocento pagine. Proust esce di rado e quando lo fa è prevalentemente
per assistere a balletti e concerti in compagnia di pochi e scelti amici. I suoi contatti col
mondo esterno sono affidati alle molte lettere che invia a tutti i conoscenti. L’epistolario
di Proust si compone di più di tremila pagine. I rapporti epistolari diventano per Proust,
rinchiuso nel suo volontario esilio, una vera e proprio ossessione, come egli stesso confi-
da alla sua governante, Celeste Albaret: Celeste, vedrete, appena sarò morto, tutti pubbli-
cheranno le mie lettere. Ho avuto torto, ho scritto troppo. Malato come sono sempre stato,
non ho avuto contatti con il mondo che scrivendo. […] Che impudenza, Celeste! Quelli
che non le pubblicheranno, le venderanno. Avrò fornito a tutta questa gente delle frecce
che scaglieranno contro di me!
Tuttavia, nonostante la futilità e la leggerezza che spesso la caratterizza, la corrisponden-
za di Proust offre importanti informazioni sulle tematiche e le finalità della sua opera let-
teraria. Ne è un esempio una lettera del 1914 inviata a Jacques Rivière:

Signore,
finalmente un lettore che intuisce che il mio libro è un’opera dogmatica e struttu-
rata. E che gioia per me che siate voi quello. […] Come artista, ho trovato più one-
sto e delicato non rivelare, non proclamare che quel che mi prefiggevo era la ricer-
ca della verità, e in che cosa essa consisteva per me. A tal punto detesto le opere
ideologiche nelle quali la narrazione un continuo tradimento delle intenzioni del-
l’autore, che ho preferito non dire nulla. È solo alla fine del libro […] che il mio
pensiero si paleserà.

da Lettere e i giorni. Dall’Epistolario 1880-1922,


trad. a cura di G. Alù, Mondadori, Milano, 1996

Gli ultimi anni L’epistolario, fra l’altro, tradisce tutta l’amarezza di Proust per le resistenze che gli editori
oppongono alla pubblicazione della Recherche. Gallimard, Olendorf e Fasquelle rifiutano
il manoscritto. Solo Grassé, nel 1913, dà alle stampe, a spese dell’autore, Du coté de chez
Swann (“La strada di Swann”), la prima parte del romanzo. Dal 1919 al 1922 sono editi
da Gallimard altri volumi, fra cui A l’ombre des jeunes filles en fleurs (“All’ombra delle
fanciulle in fiore”), che vale all’autore il premio Goncourt e la definitiva consacrazione let-
teraria. Premiato nel 1920 con la Legion d’Onore, Proust lavora alla Recherche fino alla
morte, sopraggiunta nel 1922 a seguito di un attacco di asma bronchiale. Tra 1923 e 1927
escono postumi gli ultimi tre volumi del ciclo, curati dal fratello dell’autore, Robert, e dal
critico letterario Jacques Rivière. La fortuna di Proust, affermatasi negli ultimi anni della
sua vita, prosegue e si amplia dopo la sua morte, anche grazie all’insistente battage pub-
blicitario promosso dall’editore Gallimard, che allo scrittore scomparso dedica anche il
fascicolo Hommage a Marcel Proust (1923).

Ideologia e poetica
I fondamenti Il secondo Ottocento segna l’affermazione dell’ideologia positivistica, basata sulla fede
del pensiero incrollabile nella possibilità per l’uomo di interpretare razionalmente la realtà attraverso i
proustiano: la principi della scienza. Sempre attraverso la scienza si creano i presupposti della nuova
teoria di Bergson morale borghese, fondata sul primato della tecnica e sui valori della produzione e del pro-
fitto. Proprio dalla scienza, però, giungono inaspettatamente le teorie che contribuiscono
a smantellare l’universo oggettivo del Positivismo (in particolar modo gli studi che antici-
pano la teoria della relatività di Albert Einstein). Ne deriva una ridefinizione del concetto
di tempo, che coinvolge inevitabilmente anche il pensiero filosofico. In particolare, il filo-
sofo Henri Bergson sostituisce al concetto di tempo “cronologico” quello di tempo “inter-
no”, costituito dalla memoria. Bergson, nel definire la sua concezione di tempo, opera

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però una netta distinzione tra la conoscenza che nasce da un atto volontario di ricordo e
quella che invece agisce mediante l’intuito. Solo quest’ultima è la memoria in grado di rie-
vocare i passaggi più significativi della vita di un individuo, quella capace di illustrare e
portare alla coscienza le fasi della crescita psicologica e dei mutamenti intervenuti nel
corso del tempo.
La memoria Proust viene fortemente influenzato dalle teorie di Bergson. Concepisce il tempo come
come unica una successione di eventi che emergono da diversi livelli della memoria e che vengono
salvezza recuperati e ordinati tramite il ricordo improvviso. Tale successione non segue la scansio-
ne cronologica tradizionale, bensì si articola in base all’ordine con cui i ricordi accedono
alla coscienza del narratore. La memoria è l’unico strumento con cui l’uomo può osser-
vare i cambiamenti della realtà che lo circonda, tramite il raffronto tra ciò che era e ciò
che è. La memoria dunque “salva” l’uomo, in quanto lo rende cosciente della vera natu-
ra di sé e delle cose, sostituendo ad una vaga aspettativa extra-terrena il profondo e since-
ro legame con la vicenda esistenziale sua e del suo mondo. Come nel pensiero di Bergson,
la memoria di Proust è una memoria involontaria, che opera repentina e inattesa, attivata
da improvvise associazioni e inaspettati riflussi del passato. Il ricordo volontario, invece,
agisce su un piano più materiale e viene inevitabilmente corrotto dalle aspettative gene-
rate dalla mente che lo esprime.
Origine Nel 1900 Proust inizia una dettagliata analisi dell’opera del critico ed esteta inglese John
di una poetica Ruskin (1819-1900), peraltro già conosciuta negli anni degli studi universitari. Ne traduce
due opere, La Bible d’Amiens (“La Bibbia di Amiens”, 1904) e Sesame et les lys (“Sesamo
e i gigli”, 1906), attraverso le quali approfondisce la propria conoscenza dell’architettura,
della pittura e della scultura. Nel saggio John Ruskin (1900), Proust fa proprie le teorie
estetiche del critico. Lo scrittore diviene per Proust un sacerdote della natura. L’artista non
è creatore, bensì pittore, tramite di raffigurazione del mondo reale, che egli deve rappre-
sentare senza arricchirlo o alterarlo. In tale concezione si ravvisa già l’elemento fondante
della poetica matura di Proust: la realtà comunicata tramite la scrittura non può essere un
semplice parto della fantasia. In altre parole, essa non va inventata, ma piuttosto percepi-
ta, semplicemente raccolta e rappresentata. Quando le teorie di Bergson faranno definiti-
vamente breccia nell’animo di Proust, allora il suo vago concetto estetizzante di percezio-
ne si tradurrà nel potere evocativo della memoria, nel suo esclusivo ruolo di “raccontare”
la realtà.
La poetica La concezione soggettiva del tempo, propria della fase matura della produzione di Proust,
matura si fonda su un’idea di letteratura come il più efficace strumento di cui l’uomo dispone per
cogliere le trasformazioni che il tempo reca con sé. La scrittura, come l’arte in generale,
ha il compito di superare la visione del mondo per cui le cose che si sperimentano nel
presente sono fisse e immutabili. Al contrario, attraverso improvvisi lampi di memoria,
brani di passato tornano a rivendicare il proprio ruolo fondamentale nella costruzione del
presente. Lo scrittore, nel raffronto tra la realtà passata e quella presente, può così pren-
dere coscienza dell’evoluzione e delle stratificazioni della propria personalità e dell’am-
biente esterno.

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INCONTRO CON LE OPERE

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Alla ricerca del tempo perduto

Un’opera Un giorno Proust confida alla governante Céleste Albaret: Vedete, Céleste, io voglio che,
“cattedrale” nella letteratura, la mia opera rappresenti una cattedrale. Ecco perché non è mai comple-
ta. Anche se già innalzata, occorre sempre d’ornarla di una cosa o l’altra, una vetrata, un
capitello, una piccola cappella che si apre, con la sua piccola statua in un angolo.
L’autore inizia la stesura della Recherche nel 1906 e da questo momento fino al 1922,
anno della morte, dedica ogni istante della propria vita ad ampliarla. Egli paragona la sua
opera alla costruzione di un immenso edificio, una cattedrale, il cui impianto fondamen-
tale viene via via arricchito da parti accessorie rispetto al nucleo centrale. Tuttavia, nono-
stante la sua complessità, la Ricerca segue un percorso ben definito. In essa, infatti, Proust
ripercorre le proprie esperienze biografiche attraverso gli avvenimenti della vita del prota-
gonista. Come questo, giunge alla conclusione che rivivere il passato attraverso la memo-
ria non è il vero scopo del ricordare. Rievocare il passato è solo un mezzo per capire i
propri cambiamenti nel tempo e quale sia, infine, la propria collocazione nella realtà. E
poiché i ricordi emergono in modo occasionale e frammentario, anche la trama del
romanzo non è sempre lineare, ma caratterizzata da ampie digressioni che prendono
spunto dai ricordi improvvisi del protagonista.
La strada Nel 1913 Proust pubblica a proprie spese Du coté de chez Swann (“La strada di Swann”o
di Swann “Dalla parte di Swann”). Il manoscritto non incontra l’interesse degli editori ed anche il
pubblico riserva al romanzo un’accoglienza piuttosto fredda. Nel romanzo si avvia la
vicenda autobiografica di Marcel, narratore e protagonista, che rievoca la propria fanciul-
lezza nella cittadina di Combray, luogo di villeggiatura della famiglia. Qui Marcel ha
modo di conoscere i Guermantes, gli antichi feudatari del luogo, della cui nobiltà sente
fortemente il fascino, e Swann, uno stimato gentiluomo, compagno della nota cocotte1
Odette de Crécy. Marcel narra la vicenda amorosa dei due, da quando Swann viene spin-
to dalla propria passione a seguire Odette nel mondo a lui poco congeniale della borghe-
sia degli affari, fino al matrimonio, che interviene tuttavia quando la passione amorosa è
ormai spenta.
Il Marcel Fin dalle prime pagine del romanzo, appare evidente che l’autore ripercorre le proprie
della Recherche, esperienze di vita. L’intento autobiografico si realizza col parallelo tra Marcel-autore e
“doppio” Marcel-protagonista. La narrazione fornisce a Proust il pretesto per descrivere i personag-
letterario gi che lo circondano nel mondo reale e, al contempo, per raccontare la ricerca della pro-
dell’autore pria identità attraverso la memoria. Così, tramite l’ambientazione a Combray, vengono rie-
vocati i soggiorni dei Proust ad Auteuil e Illiers, i luoghi e le atmosfere dell’infanzia. Anche
il protagonista regredisce nel tempo, sul filo dei ricordi dei primi anni di vita. La sensazio-
ne legata a un sapore da tempo non gustato (nel celebre episodio della madeleine) gli fa
rivivere l’infanzia trascorsa a Combray. Ad accomunare autore e narratore, oltre l’ansia di
ritrovare il passato, sono anche il carattere e le inclinazioni. Entrambi provano una forte
attrazione per il mondo aristocratico, incarnato dalla nobile famiglia dei Guermantes;
entrambi esprimono uno spiccato snobismo nei confronti dei parvenus, i nuovi ricchi, gli
esponenti della classe borghese arricchitasi nel corso del XIX secolo attraverso le imprese
commerciali ed industriali.
All’ombra Nel Bois de Boulogne, a Parigi, Marcel incontra Gilberte, la figlia di Swann e di Odette, e
delle fanciulle se ne invaghisce. La storia di questo amore giovanile, tenero e tirannico al contempo,
in fiore occupa gran parte di A l’ombre des jeunes filles en fleurs (“All’ombra delle fanciulle in
fiore”). Il romanzo, pubblicato nel 1919, ha decisamente maggior fortuna del primo e vale
a Proust il premio letterario Goncourt. In esso si assiste alla irresistibile ascesa sociale di
Odette ed al contemporaneo declino di Swann che, da fine gentiluomo, va progressiva-

1 Dal francese, letteralmente gallina, cocca (linguaggio infantile), per estensione donna di facili costumi; qui, nel roman-

zo, “mantenuta”.

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mente trasformandosi in un “borghese”. La vicenda dei due ripercorre simbolicamente le


dinamiche sociali dell’Ottocento. Proust fa di Swann l’emblema del declino aristocratico
e di Odette, opportunista “arrampicatrice sociale”, quello della classe media sulla via
della completa affermazione. Anche la storia sentimentale del protagonista è inquieta. Per
un capriccio, Marcel decide di mettere alla prova la propria forza d’animo, allontanando-
si da Gilberte. Si reca così dalla nonna, a Balbec, in Normandia, dove fa la conoscenza
di un gruppo di amiche. Fra queste c’è Albertine, di cui si innamora, nonostante la ragaz-
za non mostri di contraccambiare il suo sentimento.
Un micro-romanzo Il secondo volume del ciclo recupera appieno l’esperienza ottocentesca del romanzo di
di formazione formazione. In particolare, Proust rievoca, attraverso l’adolescenza del protagonista, il
proprio apprendistato artistico e mondano. Attraverso le vicende del narratore si intravede
la smania del giovane Proust di entrare in società. Al contempo, la passione di Marcel per
l’arte e, in particolar modo, per la musica, rispecchia l’interessamento del giovane Proust
per la critica d’arte, coltivato fin dagli anni del liceo attraverso la lettura dell’opera di John
Ruskin.
I Guermantes Tra il 1920 ed il 1921 vengono pubblicati il terzo ed il quarto volume della Recherche, La
e Sodome coté des Guermantes (“I Guermantes”) e Sodome et Ghomorre (“Sodoma e Gomorra”).
e Gomorra Nel primo volume ritroviamo Marcel impegnato a frequentare il mondo dei salotti parigi-
ni, messo in fermento dall’Affare Dreyfus. Qui si invaghisce della duchessa Oriana. Gli
approcci con la nobildonna non hanno alcun esito, ma gli valgono la benevola attenzio-
ne della sua nobile famiglia, a cui si lega sempre di più. Così approfondisce la conoscen-
za di Charlus, gentiluomo aristocratico dai modi effeminati conosciuto durante il soggior-
no in Normandia (alter ego del conte di Montesquiou), di cui viene narrata la trascinante
passione per il giovane musicista Morel. Mentre si assiste alla definitiva consacrazione
sociale di Odette, l’inquieto Marcel ritorna a Balbec, meditando di lasciare Albertine, dal
momento che il sentimento per la ragazza si è ormai sopito. Tuttavia cambia improv-
visamente parere e decide di portarla a Parigi per sposarla.
La maschera Il tema dominante del terzo e quarto episodio della Recherche è quello della scoperta, da
svelata parte di Marcel, del vero volto dell’alta società del proprio tempo. L’incanto con cui il gio-
vane ha idealizzato la nobiltà durante gli anni dell’infanzia svanisce miseramente. Proust
rievoca il periodo dei propri studi universitari quando, ormai abituale frequentatore dei
salotti parigini, ridimensiona l’immagine poetica che dall’esterno si è fatto degli ambienti
aristocratici. Controverso, a tal proposito, è il parallelo tra la figura di Charlus e quella del
conte Robert de Montesquiou, amico e mecenate di Proust nel mondo dell’aristocrazia. Il
forte legame che unisce i due nella vita reale poco si concilia con l’immagine goffa e risi-
bile che lo scrittore ne offre attraverso il suo doppio letterario. Le cronache dell’epoca atte-
stano il risentimento provato dal conte nel ritrovarsi tratteggiato nel personaggio grottesco
di Charlus, sovente incline ad atteggiamenti poco virili.
L’ombra Tra i personaggi che affollano il romanzo quello di Odette in particolare incarna una
di Flaubert: delle dinamiche storico-sociali più significative del periodo. Odette è la spregiudicata
Odette ed Emma “arrampicatrice sociale” che con estrema destrezza si muove in società per raggiungere
quello status che i modesti natali non le hanno procurato, la personificazione della bor-
ghesia tardo-ottocentesca e del suo spasmodico anelito ad eguagliare il primato sociale
dell’aristocrazia. Nella sua affannosa ricerca di successo, la donna realizza le aspirazio-
ni coltivate da un altro celebre personaggio della letteratura francese dell’Ottocento, Em-
ma Roualt, protagonista del romanzo Madame Bovary (1856) di Gustave Flaubert (1821-
1880). Emma si caratterizza per la propria irrequietezza, l’ossessione nel cercare qualco-
sa che nemmeno lei sa chiaramente definire e che altro non è che l’aspirazione ad affran-
carsi dalle proprie umili origini e dalle angustie della vita coniugale col modesto medi-
co Charles. A differenza di Odette, però, Emma non conosce gli ambienti dell’alta socie-
tà né vi si saprebbe muovere con pari destrezza. I suoi adulteri si esauriscono in grotte-
schi fallimenti e sofferenze. Mentre Odette usa le persone che ha intorno, Emma è inge-
nuamente vittima dei propri sentimenti. I desideri inappagati la porteranno alla follia,
mentre la più concreta Odette uscirà indenne e anzi rafforzata da ogni vicenda.
La prigioniera Nel 1922 Proust muore mentre sta lavorando alla stesura degli ultimi tre volumi della
e Albertine Recherche, che dunque vengono pubblicati postumi. Nel 1923 esce La Prisionnière (“La
scomparsa prigioniera”), che racconta della vita parigina di Albertine e Marcel, del loro rapporto tor-
mentato, perennemente in bilico tra gelosia e desiderio di libertà. Proprio in un breve
momento di riconciliazione Albertine fugge. In Albertine disparue (“Albertine scomparsa”,
1925), romanzo noto anche col titolo La fugitive (“La fuggitiva”), il giovane soffre dell’ab-
bandono e cerca in ogni modo di rappacificarsi con la ragazza. Questa, però, muore per
un incidente a cavallo. La sofferenza per la sua perdita si stempera nel tempo, placando-
si infine quando Marcel si rende conto di essere ormai completamente mutato rispetto al

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tempo in cui ha vissuto l’idillio con Albertine.
Il tempo ritrovato Nel 1927 viene infine pubblicato Le temps retrouvé (“Il tempo ritrovato”). Dopo un lungo
periodo trascorso in una casa di salute, Marcel torna a Parigi, dove trova cambiate molte
cose. Odette, alla morte di Swann, si è risposata. Grazie al matrimonio della figlia
Gilberte, inoltre, si è imparentata coi Guermantes. Anche i Verdurin, famiglia di borghesi
arricchiti, hanno stretto rapporti di parentela con l’antica famiglia nobile. Nell’incontro
delle due realtà, quella borghese e quella aristocratica, si conclude la parabola delle due
classi sociali, ormai fuse in un’unica compagine. Ciò che maggiormente colpisce Marcel
è rivedere, durante un ricevimento tenuto dai Guermantes, gli antichi conoscenti invec-
chiati e prossimi alla fine. Una improvvisa raffica di ricordi gli rievoca come erano un
tempo i luoghi e i personaggi del presente. Decide così di ritrovare se stesso e quegli uomi-
ni e donne, così come li conosceva, attraverso l’arte, fissando per sempre, in un’opera
immortale, gli avvenimenti della propria esistenza.
La sintesi Attraverso l’episodio del ricevimento l’autore tira le somme dell’intera opera, di fatto spie-
di una vita gandone il significato profondo. Il protagonista scopre finalmente il modo col quale com-
prendere il significato della propria intera esistenza. I flash della memoria gli consentono
l’impietoso confronto tra l’attuale condizione, propria e delle persone che lo circondano,
e quella del tempo passato. Marcel comprende così di poter osservare i cambiamenti inter-
venuti nel corso della vita, assumendo piena consapevolezza di ciò che è diventato e,
dunque, della sua vera natura. Il protagonista si identifica adesso in modo esplicito e com-
pleto con l’autore della Recherche: come lo stesso Proust, Marcel si prepara a scrivere una
grande opera letteraria nella quale tradurre la propria vicenda e la lenta riscoperta del
“tempo perduto”.
Le undici Per scelte editoriali indipendenti dalla sua volontà, Proust ha dovuto suddividere la Re-
sequenze cherche in sette volumi. Gerard Genette (Parigi, 1930), critico letterario francese, docen-
di Genette te di semiologia, ha individuato nel ciclo romanzesco una possibile suddivisione differen-
te, articolata in undici sequenze narrative. Alla ripartizione originaria ne sostituisce perciò
una più consona al respiro narrativo dell’opera, separando o collegando episodi apparte-
nenti a volumi diversi. Così Du coté de chez Swann si scompone in Combray, in cui il nar-
ratore rievoca la propria infanzia ed anticipa alcuni avvenimenti posteriori, e Un amore di
Swann, dove viene narrata la vicenda della giovinezza di Marcel a Parigi ed il suo amore
per Gilberte. Seguono Balbec I, dove è descritto l’incontro del protagonista con Albertine;
Guermantes, in cui Marcel entra nel mondo aristocratico tramite la frequentazione del
salotto della nobile famiglia, s’innamora della duchessa Oriana e si riconcilia infine con
Albertine; Balbec II, ove sono raccontati gli amori di Marcel per Albertine e di Charlus per
il musicista Morel. Di seguito, in Albertine si assiste alla vita parigina dei due amanti e alla
fuga della ragazza, mentre Venezia narra della permanenza di Marcel in Italia e del suo
invaghimento per Gilberte. In Tansonville sono compresi alcuni ricordi dell’infanzia del
protagonista. Chiudono le undici sequenze Guerra, in cui sono descritte alcune settimane
parigine di Marcel, e Ricevimento Guermantes, in cui egli ritorna a frequentare i salotti del
bel mondo.
Lo stile come La memoria occupa un ruolo centrale nell’opera di Proust. È dunque necessario uno stile
riflesso che sappia adeguatamente esprimere il senso di ricerca in essa contenuto. Lo stesso Proust,
della “ricerca” in una lettera a M.me Straus, afferma che lo scrittore, al fine di creare uno stile consono ai
contenuti del proprio lavoro, può spingersi addirittura a tradire la purezza della lingua, pie-
gando la grammatica alle esigenze personali. La struttura sintattica della Recherche asse-
conda tale concezione estetica. In essa il respiro lento del tempo e la ricerca del passato
si traducono in un incedere tortuoso, fatto di parentetiche, di incisi, di frasi dipendenti. Il
senso del discorso viene spesso rivelato solo alla fine di lunghi periodi (così come ogni
verità si scopre solo al termine della ricerca), oppure compare inaspettatamente all’interno
della torrenziale articolazione del periodo, riecheggiando il sopraggiungere improvviso
della memoria. La lingua è il veicolo attraverso cui si esprime l’indagine intimistica. Sul
piano prettamente tecnico, la metafora è lo strumento più efficace per tradurre questa
ricerca, in quanto consente di trasmettere la corrispondenza tra la dimensione inafferrabi-
le ed evanescente del ricordo e quella presente e tangibile della realtà.
Proust In ambito critico fioriscono prevalentemente gli studi sullo stile di Proust, la cui eleganza fa
e la critica sì che l’aggettivo “proustiano” entri nell’uso comune ad indicare una scrittura raffinata e
malinconicamente ispirata a languide atmosfere decadenti. La fortuna di Proust presso la cri-
tica conosce una battuta d’arresto con l’interpretazione marxista di Jean-Paul Sartre (capo-
scuola dell’Esistenzialismo francese), che contesta a Proust di rappresentare l’ideologia e il
costume borghesi in contrapposizione con quelli del proletariato, e di essere dunque estra-
neo alle tematiche ed alle urgenze sociali del nuovo secolo. L’analisi di Sartre ha il merito di
introdurre nello studio dell’opera proustiana l’analisi del profilo ideologico e poetico. Scrittori

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e commentatori dell’opera di Proust sono infatti stati attratti più dalla struttura e dallo stile
della Recherche che dal suo percorso poetico. Solo i critici più attenti hanno colto il legame
profondo tra lo stile e la visione della realtà dell’autore. In particolare, Leo Spitzer è il primo
a sottolineare il legame intenzionale tra il periodare ostico della Recherche e il lavorio spiri-
tuale dell’autore, elevando Proust al ruolo di modello di teoria letteraria.
L’influsso L’esordio della Recherche è estremamente difficoltoso. Diversi grandi editori rifiutano il
della Recherche manoscritto come si è visto, e, anche quando Proust riesce a pubblicarne a proprie spese
sugli scrittori la prima parte, l’accoglienza del pubblico è piuttosto fredda. Diverso è l’esito dei succes-
del Novecento sivi episodi, che valgono all’autore i primi riconoscimenti anche presso il mondo lettera-
rio. Il successo, anche di critica, di All’ombra delle fanciulle in fiore agevola l’uscita degli
altri volumi del romanzo. Tutto questo consente alla fama dello scrittore di oltrepassare i
confini della Francia, come testimonia, ad esempio, l’interesse del drammaturgo irlande-
se Samuel Beckett (1906-1989), espresso nel celebre saggio Proust (pubblicato nel 1931).
Acclamato dai propri contemporanei, Proust esercita un’influenza assai rilevante anche
sulle successive generazioni di scrittori. Tracce della sua personalità si scorgono nell’ope-
ra di diversi autori della prima parte del XX secolo, come l’inglese Virginia Woolf (1882-
1941) e l’americano Henry Miller (1891-1980). Questi tendono però a recuperare di
Proust l’aspetto meno originale, quello del “romanzo di formazione”, e ad assimilarne la
tecnica narrativa piuttosto che le tematiche.

Un ricordo costruito a tavolino


da Alla ricerca del tempo perduto, vol. I Marcel Proust
(La strada di Swann), parte II

La melodia dell’esistenza
Il brano descrive una serata trascorsa da Marcel nel salotto dei Verdurin, famiglia di ricchi borghesi. Nel corso
della serata è prevista l’esibizione di un pianista, la cui performance diventa per Swann il pretesto per un tuffo
nella memoria. Le note della composizione, infatti, gli rievocano un brano per pianoforte e violino ascoltato
qualche tempo prima. La melodia che ha aperto l’anima di Swann in quell’occasione ritorna ora, dapprima
non completamente distinguibile, nei contorni imprecisi del ricordo, poi via via più chiara. Il modo in cui
opera la memoria involontaria è evidente. La frase musicale è inizialmente irriconoscibile, ma attraverso il
confronto col resto della sonata si distingue e si rende visibile. Lo stesso accade alla coscienza del protagoni-
sta, che nel corso del romanzo, tramite continue digressioni nella memoria, può osservare separatamente le
evoluzioni della propria personalità e poi, confrontandole, individuare la propria natura originaria.
Un concerto in casa Proust
Questo episodio, a differenza di altri nel corso della Recherche, non è autobiografico. Non avendo vissuto
personalmente una simile esperienza di ricordo, Proust la ricrea artificialmente nel proprio appartamento pari-
gino. Qui, nell’acustica perfetta di una stanza completamente foderata di sughero, lo scrittore assiste a diver-
se esibizioni del Quartetto Poulet, specializzato in musica da camera e da lui pagato perché esegua a domi-
cilio celebri componimenti di Mozart, Schumann, Ravel, Fauré. L’autore ha voluto inserire questo episodio per
meglio chiarire il meccanismo della memoria sotto l’influsso delle sensazioni fisiche, già descritto nell’episo-
dio della madeleine.

L’anno precedente, a una serata, aveva ascoltato un pezzo di musica eseguito dal
pianoforte e dal violino. Dapprima non aveva goduto che della qualità materia-
le dei suoni secreti1 dagli strumenti. Ed era stato già un grande piacere quando,
sotto l’esile linea2 del violino, tenue, resistente, densa e direttiva3, d’un tratto
5 aveva veduto cercare di elevarsi uno sciagottio liquido, la massa della parte per
pianoforte, multiforme, indivisa, piana e contrastante come il tumulto viola dei
flutti che incanta e bemolizza la luna4. Ma, in un certo momento, senza poter

1. secreti: emessi. Il termine attribuisce una qualità quasi 3. direttiva: si fa riferimento alla linea melodica del violino
liquida al suono, iniziando la sequenza di sinestesie con le e alla sua funzione di guida nell’ambito del brano.
quali Proust descrive la sonata; si vedano, poco dopo, le 4. bemollizza la luna: il bemolle è un’alterazione della nota
espressioni densa, sciagottio (ondeggiare) liquido, tumulto che si ha quando questa diminuisce di mezzo tono, gene-
viola dei flutti. rando un suono intermedio e “triste”, sospeso, “pallido”
2. linea: melodia come il chiaro di luna.

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distinguere nettamente un contorno, senza poter dare un nome a quello che gli
piaceva, improvvisamente affascinato, aveva cercato di raccogliere la frase o l’ar-
10 monia – lui stesso non sapeva – che passava e che gli aveva aperto l’anima più
largamente, come certi odori di rose5, vagando nell’aria umida della sera, hanno
la virtù di dilatare le nostre narici. Forse perché non conosceva la musica, aveva
potuto provare un’impressione così confusa, una di quelle impressioni che pure
son forse le sole puramente musicali, inestese, affatto originali, irriducibili a qual-
15 siasi altro ordine d’impressioni6. Un’impressione di questo genere per un attimo
è per così dire sine materia7. Senza dubbio, le note che udiamo allora tendono
già, a seconda della loro altezza e quantità8, a coprire dinanzi ai nostri occhi
delle superfici di dimensioni varie9, a tracciare arabeschi, a darci sensazioni di
vastità, di tenuità, di stabilità, di capriccio. Ma le note sono svanite prima che
20 queste sensazioni siano abbastanza formate in noi da non essere sommerse da
quelle che già risvegliano le note seguenti o anche simultanee. E quell’indeter-
minatezza seguiterebbe ad avvolgere con la sua liquidità e il suo “fluido”10 i
motivi che ne emergono a tratti, appena discernibili, per rituffarsi subito e spari-
re, noti soltanto al piacere particolare che risvegliano, impossibili a descrivere, a
25 ricordare, a nominare, ineffabili, se la memoria, come un muratore che lavori a
costruire delle fondamenta durevoli in mezzo alle onde, creando per noi dei fac-
simili11 di quelle frasi12 fuggitive, non ci permettesse di confrontarle a quelle suc-
cessive e a differenziarle. Così, appena la sensazione deliziosa che Swann aveva
provato fu svanita, la sua memoria gliene aveva offerta seduta stante una trascri-
30 zione sommaria e provvisoria13, ma su cui egli aveva gettato gli occhi mentre il
pezzo continuava, tanto che, quando la stessa impressione era d’improvviso tor-
nata, non era già più inafferrabile. Se ne rappresentava l’estensione, gli aggrup-
pamenti simmetrici, la grafia, il valore espressivo, aveva dinanzi a sé quella cosa
che non è più musica pura, disegno, architettura, pensiero, e che permette di
35 ricordare la musica14. Questa volta aveva distinto con nettezza una frase che per
qualche secondo si alzava sopra le onde sonore. Essa gli aveva immediatamen-
te suggerito voluttà particolari, che mai aveva immaginate prima di udirla, che
sentiva che soltanto lei avrebbe potuto fargli conoscere; e aveva provato per lei
come un amore ignoto.
40 Con un ritmo lento, essa lo dirigeva ora qui, ora là, poi altrove, verso una gioia
nobile, inintelligibile e precisa15. E, d’un tratto, al punto cui era arrivata e dov’egli
si apprestava a seguirla, dopo una pausa d’un attimo, bruscamente mutava dire-
zione e con un movimento nuovo, più rapido, animato, malinconico, incessante
e dolce, lo traeva con sé verso prospettive ignote. Poi disparve. Egli desiderò con
45 passione di rivederla una terza volta. Essa riapparve difatti, ma senza parlargli più
chiaramente, causandogli anzi una voluttà16 meno profonda. Ma, ritornato a casa,
egli sentì il bisogno di lei, era come un uomo nella cui vita una passante scorta
un attimo abbia introdotto l’immagine d’una bellezza nuova, che dia maggior
valore alla sua sensibilità, senza ch’egli sappia se soltanto potrà mai rivedere
50 colei di cui è già innamorato, e di cui gli è ignoto fin il nome.

5. odori di rose: sinestesia che lega il suono della musica ne tra la musica e una sensazione tattile, in questo caso
alla scia incerta di profumo lasciata dalle rose. quella propria di un liquido.
6. ordine d’impressioni: le diverse sensazioni provate dal 11. facsimili: copie simili all’originale.
protagonista all’ascolto della melodia. Questa non stimola 12. frasi: passaggi musicali.
solo il suo udito, ma ne coinvolge ogni capacità di percezio- 13. sommaria e provvisoria: approssimativa. Il ricordo vo-
ne, così che ogni singolo senso rielabora la musica in base lontario non riesce a fissare e richiamare a comando la sen-
alla propria funzione, generando le immagini (sinestesie) con sazione del ricordo spontaneo.
cui Marcel descrive la melodia: cfr. note 1, 5, 7, 9, 10. 14. aggruppamenti… grafia… valore espressivo… ricorda-
7. sine materia: dal latino, “senza materia”, in riferimento re la musica: riferimenti alla scrittura musicale, ai gruppi di
alla natura impalpabile del suono. note ed ai segni grafici che suggeriscono e fissano l’inter-
8. altezza e quantità: tono e volume di una nota. pretazione del brano.
9. superfici di dimensioni varie: immagini fisiche, ricondu- 15. inintelligibile e precisa: non spiegabile dalla ragione,
cibili al tatto, che esprimono la melodia udita dal protago- eppure capace di raggiungere e sorprendere l’animo del
nista. protagonista.
10. la sua liquidità ed il suo “fluido”: ennesima associazio- 16. voluttà: piacere.

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS MARCEL PROUST 11


PERCORSO MONOGRAFICO

Quell’amore per una frase musicale parve per un momento suscitare in Swann
la possibilità d’una specie di ringiovanimento.
Ora, dalla signora Verdurin, qualche minuto appena dopo che il piccolo pianista
aveva cominciato a suonare, d’un tratto, dopo una nota alta tenuta a lungo per
55 due battute17, vide avvicinarsi, sfuggendo di sotto a quella sonorità prolungata e
tesa come una cortina sonora per celare il mistero della sua incubazione18, e
riconobbe, segreta, sussurrante e distaccata, la frase aerea e odorosa19 che egli
amava. Essa era così singolare, aveva un incanto così individuale e a cui nessun
altro avrebbe potuto supplire20, che per Swann fu come avesse incontrato in un
60 salotto amico una persona che avesse ammirata per via e disperasse di ritrovar
mai. Alla fine, essa s’allontanò, indicatrice, diligente, tra le ramificazioni del suo
profumo, lasciando sul volto di Swann il riflesso del suo sorriso. Ma ora egli
poteva domandare il nome della incognita (gli dissero che era l’andante21 della
Sonata per pianoforte e violino di Vinteuil), la possedeva, l’avrebbe potuta avere
65 presso di sé così spesso come avesse voluto, e tentare di apprendere il suo lin-
guaggio e il suo segreto.
da Alla ricerca del tempo perduto, trad. a cura di N. Ginzburg, Einaudi, Torino, 1961

17. battute: la battuta è l’unità di misura nella partitura mu- 20. supplire: sostituire.
sicale. 21. andante: movimento o parte di un componimento mu-
18. incubazione: periodo di sviluppo pre-natale. sicale, caratterizzato da un ritmo moderatamente sostenuto.
19. aerea e odorosa: inafferrabile e profumata (cfr. nota 5).

L inee di analisi testuale

La Sonata di Vinteuil
La Sonata di Vinteuil, citata nell’episodio, è frutto della fantasia dello scrittore, ispirata da diversi modelli.
Su tutti sembrano dominare le atmosfere crepuscolari e marine di Claude Debussy (1862-1918), che nel
primo movimento del poema sinfonico La mer propone un “canto” di sette note affatto simile alla frase del
fantomatico Vintueil, che tanto incanta Swann. Una fonte più remota si può inoltre trovare nelle frasi deli-
cate del Quintetto per pianoforte di César-Auguste Franck (1822-1890), richiesto da Proust proprio in occa-
sione dei concerti a domicilio.

Le parole dell’estasi
A differenza di quello che accade in altri episodi generati dal ricordo, in quello della Sonata di Vinteuil
non v’è traccia di dolore o angoscia esistenziale. Prevale anzi un sentimento di pace interiore, quasi di
estasi. Il piacere grande procurato dall’ascolto si amplifica e si allarga agli altri sensi. Si generano sineste-
sie: l’armonia diviene, nelle parole dell’autore, come certi odori di rose, vagando nell’aria umida della
sera. Il suono assume quasi un carattere fisico, dilatandosi fino a coprire... superfici di dimensioni varie, a
tracciare arabeschi, dando sensazioni di vastità, di tenuità. La musica assume la qualità dell’acqua, quan-
do il suono del violino cerca di emergere e si solleva in uno sciagottio liquido. Diventa colore quando
ricorda il tumulto viola dei flutti, o quando i suoi toni “bemollizzano” la luna. Il ritmo lento della prosa si
fonde con quello del brano musicale, esprimendo un languido e piacevole abbandono, dolcemente malin-
colico, incessante e dolce.

12 MARCEL PROUST © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


L

PERCORSO MONOGRAFICO
avoro sul testo
Analisi testuale
1. Come dimostra questo brano, Proust richiama alla mente sensazioni uditive, olfattive, visive, ricorren-
do spesso alla figura retorica della sinestesia;
a. annota di seguito le sensazioni rievocate nel brano:
…………………………………………………………………………………………………………………….……………….....………
b. commenta per iscritto (max. 15-20 righe di foglio protocollo) l’effetto che esse producono.

2. Sottolinea gli aggettivi presenti nel brano; distingui quelli con funzione attributiva da quelli con fun-
zione predicativa e inseriscili opportunamente nella seguente tabella:

Funzione attributiva Funzione predicativa


…………………………………………….. ……………………………………………..
…………………………………………….. ……………………………………………..
…………………………………………….. ……………………………………………..
…………………………………………….. ……………………………………………..

3. Rispondi oralmente alle seguenti domande.


a. In quali luoghi è ambientato l’episodio?
b. Essi sono indicati esplicitamente o si possono ricavare in modo indiretto da altri elementi?
c. In che modo essi sono legati alle sensazioni percepite dal protagonista?

Ultimo ricevimento in casa Guermantes


da Alla ricerca del tempo perduto, vol. VII Marcel Proust
(Il tempo ritrovato)

L’epilogo della Recherche


Dopo anni di assenza, Marcel torna a Parigi e partecipa ad un ricevimento dove incontra le persone che ha
conosciuto in gioventù. Ciò che maggiormente lo colpisce è il profondo cambiamento di ciascuno di loro, che
Marcel riconosce anche in se stesso. La sua esistenza volge al termine ed egli si ripropone di darle forma in
un’opera letteraria. L’opera che Marcel medita di scrivere altro non è che la stessa Recherche, la rappresenta-
zione letteraria del cammino attraverso il quale Proust, complice la memoria, riscopre e ricompone gradual-
mente i frammenti del suo passato.

L’ideologia svelata
La vicenda di Marcel e quella del suo creatore, simmetriche e speculari, infine si incontrano. Parlando del pro-
tagonista del proprio romanzo, l’autore spiega se stesso, nonché l’origine ed il significato della sua creazione.
Celato per tutta la narrazione, esso può ora esprimersi appieno. Il protagonista-autore ha trovato il suo “tempo
perduto” e ne afferra la reale importanza. Il ricordo non gli appare più come una nostalgica fuga nel passato,
bensì come l’unico mezzo per comprendere il proprio percorso esistenziale e i propri cambiamenti nel tempo.
In tale crescita, e solo in essa, consiste tutto il possibile significato dell’esistenza.

E io potei vedermi negli occhi dei vecchi, che, secondo loro, erano rimasti giova-
ni, così come credevo d’esser rimasto tale anch’io, e che, quando mi dichiaravo
vecchio davanti a loro (per riceverne una smentita), non avevano nei loro sguar-
di, con i quali mi vedevano come non vedevan se stessi, e come io vedevo loro,
5 il minimo segno di protesta1. Ché ognuno di noi non vede la propria immagine,
la propria età, ma, come uno specchio contrapposto, quella degli altri. [...]

1. il minimo segno di protesta: l’obiezione che Marcel vor- re invecchiato, per sentirsi in realtà dire il contrario (per
rebbe avere dagli altri, quando egli stesso ammette di esse- riceverne una smentita).

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS MARCEL PROUST 13


PERCORSO MONOGRAFICO

Certamente, la crudele scoperta da me fatta or ora sarebbe potuta solo essermi


utile, per quanto concerneva2 la materia stessa del mio libro. Non mi sarei curato
soltanto di far posto alle alterazioni3 che subisce l’aspetto esteriore degli esseri, e
10 di cui avevo nuovi esempi ogni minuto, poiché, – pur seguitando a pensare alla
mia opera, ormai avviata in modo abbastanza definitivo da non lasciarsi fermare
da distrazioni passeggere, – continuavo a salutare le persone da me conosciute e
a conversare con loro. Del resto, l’invecchiamento non si notava in tutte in modo
analogo. Scorsi uno che stava chiedendo il mio nome; mi fu detto che era il signor
15 di Cambremer. [...] Gli parlavo senza staccare gli occhi da due o tre tra i suoi linea-
menti ch’io potevo far rientrare mentalmente in quella sintesi di ricordi, per il resto
del tutto differente, ch’io chiamavo la sua “persona”. Ma egli volse un attimo a
metà il capo. E allora vidi ch’era reso irriconoscibile dall’aggiunta di enormi borse
rosse alle gote, che gli impedivano d’aprire totalmente la bocca e gli occhi, tanto
20 che io rimasi interdetto4 non osando guardare quella sorta d’antrace5 di cui mi
pareva più conveniente lasciarlo parlare per primo. [...]
Altri invitati, il cui viso era intatto, sembravan solo dimostrare un certo impaccio
quando si mettevano a camminare; lì per lì si pensava che avessero dei dolori
alle gambe, e soltanto più tardi ci si accorgeva che la vecchiaia aveva attaccato
25 ai loro piedi le sue suole di piombo6. [...]
Confrontando tali immagini con quelle che avevo sotto gli occhi della memoria,
preferivo quelle che mi s’erano mostrate per prime. Come spesso si trova meno
riuscita, e si rifiuta, una delle fotografie tra cui un amico ci ha pregato di sceglie-
re, ad ogni persona, e di fronte all’immagine che essa mi mostrava di sé, avrei
30 voluto dire: – No, questa no, non siete riuscito bene, non siete voi7 –. Non avrei
osato aggiungere: – Invece del vostro bel naso diritto vi hanno fatto quello adun-
co8 di vostro padre, che in voi non avevo mai veduto [...]
Alcuni uomini zoppicavano, e si capiva che ciò non era dovuto a qualche inci-
dente, ma a un primo attacco9, al fatto che avevano già, come si suol dire, un
35 piede nella tomba. Nello spiraglio di questa, alcune donne, semiparalizzate,
pareva non riuscissero a liberare completamente il loro vestito rimasto impiglia-
to nella pietra tombale né esse potevano raddrizzarsi, piegate com’erano a capo
chino; in una curva simile a quella che ormai occupavano tra la vita e la morte10,
prima della caduta finale. Nulla poteva opporsi al moto di quella parabola che
40 le trascinava con sé; e, appena tentavano di alzarsi, essi cominciavano a trema-
re, e le loro dita non riuscivano a ritenere11 nulla. […]
Il pensiero della morte s’insediò definitivamente in me, a guisa di un amore12.
[…] Ero colto da vertigine nel vedere sotto di me, e tuttavia in me, quasi io aves-
si molte miglia di profondità, tanti anni [...]. Mi sgomentava il pensiero che i miei
45 fossero già così alti13 sotto i miei passi, mi sembrava che non avrei avuto la forza
di tenere ancora a lungo avvinto14 a me quel passato che discendeva già così
lontano. Se almeno essa mi fosse stata lasciata abbastanza a lungo da poter con-
durre a compimento la mia opera, non avrei mancato anzitutto di descrivervi gli
uomini, anche se questo avrebbe potuto farli somigliare ad esseri mostruosi15,
50 come occupanti un posto ben altrimenti considerevole, accanto a quello così
angusto riservato loro nello spazio: un posto, al contrario, prolungato a dismisu-

2. concerneva: riguardava. 8. adunco: ricurvo, “a becco”.


3. alterazioni: mutazioni, cambiamenti. Marcel si ripropone di 9. attacco: decadimento fisico, avvisaglia della fine.
descrivere nella propria opera non solo gli effetti fisici del pas- 10. in una curva… la morte: la postura china delle anziane
sare del tempo, ma anche l’incapacità degli uomini di rendersi dame suggerisce a Marcel la fine della parabola della loro
conto dei propri mutamenti, soprattutto di quelli interiori. esistenza.
4. interdetto: incapace d’agire. 11. ritenere: trattenere, afferrare.
5. antrace: viso foruncoloso; letteralmente, infezione cuta- 12. a guisa di un amore: profondamente, come le frecce di
nea caratterizzata da foruncoli di colore scuro (dal greco Eros, rapide a penetrare l’animo.
ántraks, “carbone”). 13. alti: stratificati, l’uno sopra l’altro.
6. suole di piombo: metafora per indicare l’incedere pesan- 14. avvinto: stretto.
te e rallentato degli anziani. 15. mostruosi: stravolti rispetto alla loro presunta natura,
7. No… non siete voi: l’autore paragona i volti segnati dal alla loro apparente immagine di esseri che consistono uni-
tempo a fotografie infedeli, che non rendono il vero aspet- camente nel loro stato presente.
to di un volto.

14 MARCEL PROUST © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


PERCORSO MONOGRAFICO
ra16, – poiché essi toccano simultaneamente, giganti immersi negli anni, età così
lontane l’una dall’altra, tra le quali tanti giorni sono venuti a interporsi, – nel
Tempo.

da Alla ricerca del tempo perduto, trad. a cura di G. Caproni, Einaudi, Torino, 1961

16. un posto… prolungato a dismisura: l’autore svela infi- ze e in esse ritrovare l’unico elemento costante della vita,
ne la vera natura dell’uomo e spiega la finalità del ricorda- la propria vera identità.
re: riconoscersi come il risultato di tutte le proprie esperien-

L inee di analisi testuale

Le parole del tramonto e quelle della speranza


Gli antichi conoscenti appaiono a Marcel irrimediabilmente segnati dal tempo. Le pagine conclusive della
Recherche sono punteggiate da un lessico che richiama continuamente la morte, riflesso del sentimento
di declino provato dall’autore stesso. Così, ai moderati e quasi pietosi riferimenti alle alterazioni che subi-
sce l’aspetto esteriore degli esseri, all’invecchiamento mostrato dagli ospiti dei Guermantes, si alterna una
descrizione spietata dei personaggi. Il primo fra questi, il signor di Cambremer, è addirittura irriconoscibi-
le, con enormi borse rosse alle gote. Altri si mostrano come fotografie mal riuscite di se stessi, oppure si
trascinano con fatica, zoppicano. Alcune donne appaiono semiparalizzate, … piegate, … tra la vita e la
morte. Anche il protagonista sente su di sé il peso di tutti gli anni già così alti sotto i suoi passi. Lo confor-
ta tuttavia la gioia di scoprire la propria vera natura. Si vede come un essere tra giganti immersi negli anni,
di cui il Tempo ha celato la vera essenza e che infine si scopre non espressione limitata del presente, bensì
creatura capace di sopravvivere e conservarsi attraverso età così lontane l’una dall’altra.

Gli ultimi passi della vicenda


Pur conservando periodi di ampio respiro, la sintassi delle ultime pagine della Recherche sembra riserva-
re una relativa e inaspettata semplificazione. Si ha l’impressione che le immagini di morte annunciata che
Marcel ha sotto gli occhi, riflesso del sentimento dell’autore stesso, forse presago della propria fine, doni-
no alla frase una maggiore nitidezza. È come se Proust sentisse la necessità di affrettare le conclusioni, di
tirare le somme del proprio romanzo e della propria vita. Le proposizioni secondarie e le parentetiche,
invece di confondersi e incastrarsi come nel resto dell’opera, ora appaiono spesso ordinate in sequenza (si
veda ad esempio il capoverso finale, in particolare da Se almeno essa mi fosse stata lasciata…: righe 47-
54). Proust sembra voler guidare il lettore nell’ultimo tratto della vicenda. Le frasi sono semplici gradini da
scendere per giungere all’esito finale del romanzo. Solo nelle ultime righe, come a trattenere il più possi-
bile l’ultimo respiro, una lunga parentetica (– poiché essi … sono venuti a interporsi, –: righe 52-53) pre-
lude alla sintesi estrema dell’opera, ciò che l’autore, dopo una lunga ricerca, ha riscoperto e afferrato per
sempre: il Tempo.

L avoro sul testo


Analisi e comprensione del contenuto
1. Rispondi per iscritto alle seguenti domande (max. 5 righe di foglio protocollo per ogni risposta).
a. Da che cosa maggiormente è colpito Marcel durante il ricevimento?
b. A che cosa intende riferirsi Proust parlando di “tempo perduto”?
c. Qual è l’opera che il protagonista pensa di portare a compimento?

Contestualizzazione e rielaborazione critica


2. Nel brano proposto vengono sviluppate considerazioni filosofiche e riflessioni sulla condizione esi-
stenziale dell’uomo. Analizza attentamente il passo e, riferendoti anche ad altri teesti di proust che hai
letto, esponi in un saggio breve le tematiche e i caratteri stilistici salienti della narrativa proustiana (il
saggio è destinato ad una dispensa scolastica e non deve superare le 50 righe).
3. Verifica se e dove, nei brani della Recherche qui proposti, siano presenti esempi di:
– discorso indiretto – flusso di coscienza
– discorso diretto – soliloquio
– discorso indiretto libero – monologo interiore.

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS MARCEL PROUST 15


L interpretazione critica

PERCORSO MONOGRAFICO

La crisi del romanzo di


formazione in Jean Santeuil Mariolina Bongiovanni Bertini

Jean Santeuil rappresenta il primo tentativo di Proust di scrivere un grande romanzo autobiografico. L’opera
descrive le varie fasi della crescita del protagonista, dal rifiuto adolescenziale delle origini borghesi, motivato
dall’attrazione per il mondo aristocratico, fino al graduale riavvicinamento ai genitori e al mondo da cui pro-
viene. Jean Santeuil rimane incompiuto (sarà pubblicato postumo), ma fornisce il materiale per i primi volu-
mi della Recherche.
Per la sua trama – il percorso di maturazione personale e sociale del protagonista – il romanzo sembrerebbe
un tipico esempio di Bildungsroman (romanzo di formazione). Tuttavia, l’eccessiva frammentarietà della nar-
razione e la mancanza di un legame solido tra la vicenda personale di Jean e la contestualizzazione storica
impediscono una completa collocazione di Jean Santeuil nell’ambito di questo genere.

Il romanzo si apre con un’ampia introduzione, redatta nel marzo 1896, che
dovrebbe fornire all’opera una sorta di cornice. Vi figura un giovane narratore
anonimo che, nel corso di una vacanza a Beg-Meil, in compagnia di un amico,
incontra un romanziere, indicato a volte come C., a volte come B., e osserva con
5 curiosità l’alternarsi in lui di felici momenti di ispirazione e di paralizzanti acces-
si di snobismo. Qualche anno più tardi, il romanziere gravemente ammalato
manda a chiamare i due giovani conosciuti in Bretagna e affida loro il manoscrit-
to della sua ultima opera, presumibilmente in gran parte autobiografica, benché
narrata in terza persona da un narratore esterno: la storia di Jean Santeuil.
10 Alla cornice introduttiva succede la narrazione dell’infanzia e dell’adolescenza di
Jean […], illuminata dall’amicizia di un compagno di scuola, Henri de Réveillon.
Aristocratico, sportivo, più amante della botanica che della letteratura, Henri sem-
bra offrire a Jean, di cui riconosce la superiorità intellettuale, il solido appoggio
di una serenità e di un equilibrio senza inquietudini e cedimenti. […]
15 Nel mondo dei Réveillon Jean compie il suo apprendistato mondano; conosce
umiliazioni e trionfi, impara a decifrare le leggi non scritte che regolano l’ascesa
degli snob, le finzioni universalmente accettate, i rapporti di forza tra individui e
tra gruppi. La sua “educazione” si completa attraverso diverse esperienze amoro-
se: le cieche ossessioni della gelosia lo riportano all’angoscia infantile della tene-
20 rezza negata, all’impossibilità di un amore che sia quieta beatitudine, certezza
senza ombre.
Nel frattempo, i suoi genitori sono invecchiati: il padre ha deposto le orgogliose cer-
tezze del suo “positivismo irragionato”, la madre il moralismo suscettibile di un
ambiente dagli orizzonti ristretti. Entrambi, non più sostenuti dalla rigidità dei pregiu-
25 dizi che per tanto tempo hanno opposto all’irrequietezza del figlio, perdono terreno
davanti al mondo che si trasforma, davanti all’incalzare del tempo e della morte, men-
tre Jean, lungi dal godere del proprio trionfo, soffre del tramonto di quegli ideali e di
quei valori che pure hanno pesato in modo soffocante sulla sua giovinezza.
Nelle pagine sulla vecchiaia dei genitori – che segnano la punta estrema, il
30 momento più avanzato della cronologia del racconto – non si parla della voca-
zione di scrittore di Jean; anzi, si dice che Jean è così assorbito dalla vita monda-
na da non trovar più, come in passato, il tempo di scrivere. Noi sappiamo tutta-
via dall’introduzione che Jean diverrà il romanziere C.; il romanzo però si inter-
rompe senza che la maturazione affettiva di Jean, che lo porta a riconciliarsi con
35 i genitori, si saldi in qualche modo con la sua maturazione artistica, che si profi-
la nel momento in cui, davanti al riemergere del ricordo involontario, egli impa-
ra ad ascoltare la voce dell’“ispirazione”, dell’“immaginazione”.
Benché critici e commentatori abbiano insistito da sempre sul carattere informe e
magmatico di questo primo tentativo romanzesco proustiano – contrapponendo-

16 MARCEL PROUST © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


PERCORSO MONOGRAFICO
40 lo da un lato all’edificio simmetrico e un po’ artificioso di Les plaisirs et les jours,
dall’altro all’architettura rigorosa della Recherche –, in realtà la massa degli episo-
di disparati che lo compongono è attraversata da un motivo dominante e centra-
le: il motivo della lenta maturazione di Jean, del processo attraverso il quale la
sua sensibilità eccessiva e precoce cessa di contrapporsi rigidamente alla prosai-
45 ca e modesta realtà della famiglia borghese in cui è nato, per comprenderne la
sotterranea poesia, il dimesso eroismo, il nucleo segreto e inespresso di indistrut-
tibile amore.
È quanto ha ben visto Germaine Brée quando ha scritto che in Jean Santeuil
Proust stava lavorando nella tradizione del Bildungsroman, del romanzo di for-
50 mazione intellettuale e sentimentale rappresentato dal Wilhelm Meister di Goethe,
da Infanzia, Adolescenza e Giovinezza di Tolstoj, dall’Educazione sentimentale di
Flaubert.1 […]
A questa maturazione affettiva e sociale non è estranea la vocazione artistica di
Jean. Contrariamente a quanto avveniva nel “romanzo dell’artista” di tipo roman-
55 tico, in Jean Santeuil la vocazione artistica non si risolve in una condanna del-
l’eroe all’isolamento, all’estraneità, a una perenne e inappagata nostalgia; fonda
invece l’aprirsi dell’individuo all’alterità e la sua fertile fiducia nell’immaginazione
che sola, attraverso le vie della memoria involontaria, può riscattare il vissuto
dalla caducità.
60 La vocazione di Jean si manifesta sostanzialmente in tre esperienze che, prepa-
rando l’Io all’irrompere di forze benefiche e sconosciute, lo emancipano dall’egoi-
smo autoconservativo: il contatto vivificante con la natura, l’ebbrezza dell’ispira-
zione poetica, la vertigine del tempo abolito dalla resurrezione di un ricordo inat-
teso. In Jean Santeuil queste tre esperienze si fondono in un’unica costellazione:
65 spesso trapassano l’una nell’altra e si sovrappongono ma, anche quando questo
non avviene, sono accomunate da uno stesso potere, il potere di sottrarre il sog-
getto al mondo irrigidito delle convenzioni per rituffarlo in quella mobile fluidità
della vita che Bergson proprio allora – l’Essai sur le données immédiates de la
conscience è del 1889, Matière et mémoire del ’96 – andava descrivendo in ter-
70 mini straordinariamente nuovi ed efficaci.
Se la Recherce, dominata dalla presenza della morte e del mistero della profana-
zione, non sarà affatto un romanzo bergsoniano, è invece impressionante quan-
to il destino di Jean Santeuil sia prossimo al cammino additato dalle pagine
dell’Essai (capitolo III) sulla libertà: lo slancio dell’io profondo che, secondo le
75 parole di Bergson, nell’atto libero risale alla superficie spezzando con la sua spin-
ta irresistibile la crosta dell’io esteriore, è lo stesso slancio che, attraverso la con-
templazione della bellezza o il ricordo involontario, libera Jean Santeuil dai
“ghiacci della vita mondana”, lo strappa alla schiavitù del presente sommergen-
dolo nel “sentiment d’une vie permanente”2. […]
80 È proprio questo ricongiungimento tra il tempo della formazione individuale e il
tempo della storia che si rivela impossibile in Jean Santeuil, benché Proust tenti
a più riprese di attuarlo. Non sono poche le pagine di Jean Santeuil che recano
traccia dei suoi sforzi in questo senso: dai ricordi di incontri con personaggi sto-
rici (Chateaubriand, Madame Récamier) che affiorano nella conversazione del
85 nonno di Jean, al graduale adattarsi della madre di Jean […] a una morale più
spregiudicata e mondana.

da Proust e la teoria del romanzo, Bollati Boringhieri, Torino, 1996

1. Johann Wolfgang Von Goethe (1749-1832), poeta e romanziere tedesco, scrisse L’apprendistato di Wilhelm Meister tra
il 1795 ed il 1829. Infanzia (1851), Adolescenza (1852-1854) e Giovinezza (1855-1856) sono romanzi autobiografici dello
scrittore russo Lev Nicolaevic Tolstoj (1828-1910). L’Educazione sentimentale (1843-1845) è una delle opere più note dello
scrittore francese Gustave Flaubert (1821-1880). I libri citati rientrano nel genere del “romanzo di formazione”, così defi-
nito in quanto incentrato sulle fasi di maturazione (sociale, ideologica, ecc.) del protagonista.
2. Letteralmente: “sentimento di una vita continua”. L’espressione fa riferimento alla concezione proustiana della memoria,
secondo la quale la personalità e la coscienza dell’individuo non sono il riflesso della sola realtà presente, bensì sono deter-
minate dallo stratificarsi nel tempo delle esperienze vissute. Così l’identità di un individuo non è determinata soltanto dalle
condizioni contingenti, ma è la risultante del recupero del passato attraverso la memoria involontaria. La vita è “continua”,
dunque, in quanto passato e presente vivono nella coscienza come due piani coincidenti e simultanei.

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS MARCEL PROUST 17


PERCORSO MONOGRAFICO

Proust e Ruskin Carlo Lauro

Il saggio John Ruskin (1900) testimonia l’ammirazione di Proust nei confronti della dottrina del critico d’arte
inglese. La sua idea dell’artista come tramite neutro fra la realtà e la sua percezione da parte degli uomini rap-
presenta il nucleo centrale della prima poetica proustiana. Tuttavia, col passare del tempo e con la propria
maturazione, l’autore della Recherche si allontana dalle idee di Ruskin (è questo uno problemi più dibattuti
dalla critica proustiana).
La principale differenza tra Ruskin e Proust sembra consistere nel contrasto tra l’ideale di contemplazione este-
tizzante, passiva e languida del primo, e l’ideale della ricerca attiva e tormentata del secondo. Proust, nono-
stante la grande raffinatezza stilistica che lo caratterizza, rifiuta l’approccio estetico e compiaciuto alla scrit-
tura. Solo il sentimento creativo e sofferto che muove l’indagine attraverso l’animo umano è degno di riempi-
re le pagine di un’opera letteraria. Non la fuga nella “bella malinconia” del ricordo.

Il più evidente anello di congiunzione tra Proust e la cultura anglosassone è rap-


presentato dall’opera di John Ruskin studiata, recensita, tradotta negli anni crucia-
li di formazione compresi tra Jean Santeuil e la Recherche. Proprio dal Santeuil
era partito l’auspicio (quasi un grido di dolore) di voler apprendere la lingua ingle-
5 se per rintracciare certi giudizi di Ruskin su Rembrandt: auspicio che poi sarebbe
maturato nello sforzo effettivo di tradurre, e prefare, due testi basilari come The
Bible of Amiens e Sesame and Lilies. Ma non per ciò, Ruskin ha significato quella
stabile nourriture1 di cui parlarono i primi studi su Proust. Col tempo, anzi, la cri-
tica è andata via via delineando una sorta di rovinoso diagramma discendente: i
10 quattro entusiastici articoli scritti sull’emozione della morte di Ruskin nel 1900, tro-
verebbero un primo intoppo in quel rilievo sul peccato di “idolatria”2 rinfacciato
da Proust al Maestro nella prefazione alla Bible d’Amiens (1904). […]
Insomma il cliché di Proust discepolo di Ruskin non regge, in realtà, la soglia dei
primissimi anni del secolo; e proprio le due impegnative traduzioni – che dovreb-
15 bero a ragione significare il momento di massima adesione – iniziano curiosa-
mente con l’incrinare il mito ruskiniano: una incrinatura mai abbastanza netta e
anzi formalmente ambigua perché ambigua è la fusione inestricabile di esegesi e
obiezioni in cui Proust avvolge l’operazione. Donde le divergenze interpretative,
anche marcate, sul reale atteggiamento proustiano e che talvolta rasentano il pro-
20 cesso alle intenzioni. […]
Ma allora perché, e da quale momento, questa iniziale idealizzazione di Ruskin
subisce in Proust un contraccolpo? Si sarebbe tentati di rispondere che tale fortis-
sima idealizzazione (così accuratamente difesa da possibili visioni restrittive,
come s’è visto) tende a cedere e in qualche modo a corrompersi man mano che
25 il vaglio proustiano si sviluppa nella duplice direzione di una consistente cono-
scenza dell’opera omnia ruskiniana e, soprattutto, di un minuzioso, diretto lavo-
ro sulle due traduzioni.
Non è un caso che, ultimata la Bible d’Amiens, Proust non si accontenti affatto di
scrivere un breve Avant-propos3 e di utilizzare come prefazione i due più lunghi
30 e interessanti suoi articoli su Ruskin (Ruskin à Notre-Dame d’Amiens e John
Ruskin). Ai vecchi materiali (più che sufficienti per il compito di un curatore)
affianca un nuovissimo Post-scriptum (giugno 1903) nel quale rinfaccia al Maestro
certe tentazioni volgarmente estetizzanti, definibili col termine “idolatria”. Il vizio
maggiore di Ruskin sarebbe quello frequentissimo (Proust parla di “base” della
35 sua opera, di “radice” del suo talento) di impegnarsi in trattazioni di dottrine
morali adottando maniere estetizzanti: in un modo, cioè, per cui l’impiego delle
dottrine sembra in realtà strumentalizzato a un semplice e compiaciuto uso della
loro “bellezza”. Il fascino di certi stilemi o di certi atteggiamenti anteposto alla
ricerca della verità. […]

1. “Nutrimento”, qui col significato di “influsso”.


2. S’intende il prevalere del sentimento estetizzante in ogni riflessione, anche in quelle inerenti la vita e la morale degli
uomini.
3. Prefazione nella quale l’autore espone, in vario modo, i significati e gli intenti della sua opera.

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PERCORSO MONOGRAFICO
40 Talmente oscillante e variamente interpretabile è dunque il sismografo proustia-
no su Ruskin (l’epistolario non è meno ambivalente delle traduzioni) che la rico-
struzione del rapporto potrebbe trovare […] ulteriori e sempre diverse illumina-
zioni. Di fronte a tanti materiali, sforzi e ripensamenti proustiani negli anni di for-
mazione, è allora assai curioso il poverissimo riscontro del nome di Ruskin
45 nell’Opera: la Recherche, nella sua forma definitiva (o per lo meno in quella che
eufemisticamente e rassegnatamente si intende per tale) nomina esplicitamente
Ruskin soltanto quattro volte. Ossia una frequenza seccamente inferiore a quella
di qualsiasi nome più o meno caro alla sensibilità di Proust (sia esso Chopin o
Watteau, Stendhal o Debussy, Dostoevskij o Whistler, Fortuny o Wagner). […]
50 Ruskin allora tende silenziosamente a frantumarsi in una serie di incarnazioni
tutte legate al processo di formazione del Narratore: in altri termini, gli aspetti di
quella decisiva esperienza si trasfigurano in forma e contesti diversi ora in Swann,
ora in Bergotte o in Elstir4. Ruskin, cioè, rivive in Swann per la coincidenza dei
gusti artistici e per la comune capacità di “comunicarli”, ma rivive ancor più in
55 Bergotte – come è stato ampiamente dimostrato – in quanto entrambi oggetti
(rispettivamente nel vissuto e nella Recherche) di una scoperta ai limiti dello choc:
sono convincentissime al riguardo le comparazioni proposte da Painter5 tra i toni
usati da Proust che scopre Ruskin […] e gli equivalenti del Narratore che scopre
Bergotte: e la prosa stessa di Bergotte scrittore – incalza lo studioso inglese, for-
60 nendo numerosi esempi – sembra quasi ricavata da un pastiche6 semiserio tratto
da opere di Ruskin. A parte, naturalmente, certe altre cifrate coincidenze che
Proust non manca di disseminare qua e là (anche Bergotte, come Ruskin, visita
antiche cattedrali; è in una citazione di un suo libro che il Narratore, secondo una
esquisse7, si imbatteva per la prima volta nel titolo de The Bible of Amiens, etc.
65 etc.). Quello con Elstir, infine, è un rapporto meno immediato, nel senso che
Proust muta l’estro creativo del suo personaggio non dalla personalità di Ruskin,
ma da una preziosa intuizione critica direttamente tratta dal suo studio su Turner8:
è sempre Painter a notare che le estremistiche “metafore” di Elstir che tendono a
confondere reciprocamente, sino allo scambio, i vari elementi di un quadro (ossia
70 ciò che rende inconfondibile la fisionomia di Elstir rispetto a Whistler9 o agli
impressionisti) sono le stesse che Ruskin osservava a proposito di Turner.
Trasversalmente, dunque, Ruskin (in quanto guida imprescindibile, per Proust, nel
proprio rifarsi a Turner) “rientra” anche in Elstir.
Ma […] gli elementi dell’iniziazione e della formazione sono semplicemente pro-
75 pedeutici a quelli, in qualche modo decisivi, della delusione e del distacco: alcu-
ni dei significati più congrui dell’intera Recherche si costruiranno proprio nel
superamento [del] retaggio ruskiniano di Proust. In altri termini, il Narratore potrà
finalmente cominciare il proprio romanzo solo dopo aver constatato la sterilità di
un certo tipo di esperienza e l’antica pericolosità del suo ascendente: non è anzi
80 esagerato affermare che quel punto zero10 in cui fatalmente finiranno col comba-
ciare la fine del romanzo di Marcel Proust e l’avvio di quello del Narratore, non
sarebbe possibile senza l’avvenuta eclissi di personaggi quali Swann – col suo
omologo Charlus – e Begotte.

da Proust e la cultura anglosassone, Bulzoni, Roma, 1995

4. Swann, Bergotte ed Elstir sono personaggi della Recherche. In particolare, gli ultimi due rappresentano figure di pittori
nei quali si riflette la personalità del critico John Ruskin.
5. George D. Painter, traduttore e responsabile della sezione libri a stampa del British Museum di Londra, è autore della
biografia Marcel Proust, edita in Italia da Feltrinelli nel 1966.
6. Opera letteraria che combina temi, linguaggi e stili differenti.
7. Parola francese che significa “schizzo”, “bozzetto”. Ricorda l’abitudine di Ruskin, e dunque del suo alter-ego letterario
Bergotte, di chiosare i suoi libri con schizzi che raffigurano opere d’arte.
8. Joseph Mallord William Turner (1775-1851), pittore paesaggista inglese.
9. James Abbott McNeill Whistler (1834-1903), pittore americano.
10. L’espressione punto zero indica il proposito del protagonista-narratore di scrivere un resoconto della propria esisten-
za, realizzando di fatto un romanzo strutturato come la stessa Recherche. In questo modo il narratore si identifica con l’au-
tore, nel momento in cui questo inizia la stesura del proprio monumentale lavoro.

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