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incertezza tra la battaglia di Filippi nel 42 a.C. e lo scontro decisivo tra Ottaviano ed Antonio ad
Azio nel 31 a.C., iniziarono a diffondersi credenze messianiche per cui sarebbe giunto un salvatore
a rinnovare la società. Queste aspettative ebbero una profonda influenza sui grandi poeti che in quel
periodo si formarono per poi unirsi al circolo di Mecenate, ovvero Virgilio ed Orazio. Nelle loro
opere, ciò si incarnò nella ripresa del mito dell’età dell’oro. Ne abbiamo la prima menzione in Le
Opere ed i Giorni di Esiodo (Grecia, VIII secolo a.C.), in cui distingueva nella storia dell’umanità
cinque epoche caratterizzate da una progressiva degenerazione: all’inizio vi fu l’età dell’oro,
corrispondente al regno di Crono o Saturno, in cui gli uomini godevano di pace, abbondanza ed
assenza di malattie, poi si susseguirono le età dell’argento, del bronzo, degli eroi ed infine quella
del ferro, ovvero l’età contemporanea. Queste epoche si riteneva avessero un carattere ciclico,
dunque non era escluso un eventuale ritorno all’età dell’oro, la cui idea iniziò a farsi strada in età
Augustea.
[TESI] In Orazio pervade principalmente l’epodo 16, ma in Virgilio assume un grandissimo rilievo,
sia nell’Ecloga IV delle Bucoliche sia nelle Georgiche. Qui il tòpos dell’età dell’oro è utilizzato in
una maniera molto sfaccettata e con maestria: veicola nella prima opera un significato politico e
nella seconda un significato morale, non scadendo mai però in un mero motivo adulatorio nei
confronti di Augusto mediante l’ossequio degli ideali da lui portati avanti, poiché all’entusiasmo
con cui il poeta li canta corrisponde una sincera credenza.
[CONCLUSIONE] Così, abbiamo potuto vedere che il tòpos dell’età dell’oro è utilizzato da
Virgilio per dare consistenza, per incarnare le sue prospettive politiche – immanenti alla situazione
contingente attuale – e morali – trascendenti ed universali –, che si intrecciano l’una con l’altra.
Nelle Bucoliche fornisce le immagini per esaltare il tanto auspicato rinnovamento sociale e politico
che si profila all’orizzonte; nelle Georgiche per fornire i simboli con cui delineare una teodicea del
lavoro. Tutto questo è animato dagli stessi fili conduttori che innervano la propaganda Augustea, ma
in ciò è assolutamente sbagliato leggere un tentativo di adulazione del princeps, poiché, quando
arrivò a Roma e chiuse le porte del Tempio di Giano, promettendo la fine delle guerre ad un popolo
estenuato da decenni di spargimenti di sangue, il suo progetto politico e morale fu veramente visto
come provvidenziale.