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Le basi fisiche
dell’Idraulica
V LT 1
ugualmente non si possono scegliere forza, massa, lunghezza e tempo perché essendo
F ma
risulta:
F ML T 2
Il Sistema Internazionale (SI) ha come grandezze fondamentali la lunghezza, la massa ed il tempo:
L, M, T.
Il Sistema Tecnico (ST) ha come grandezze fondamentali la lunghezza, la forza ed il tempo: L, F, T.
È facile verificare che dette grandezze rispondono al requisito di essere dimensionalmente
indipendenti.
Il Sistema Internazionale ed il Sistema Tecnico hanno le stesse unità di misura per lunghezze e
tempi. L’unità di misura della lunghezza è il metro (m); esso fu originariamente definito come una
frazione della lunghezza del meridiano terrestre: esattamente il meridiano misura 40 106 m.
Tale definizione fu assunta nel 1791 da una commissione costituita in Francia su incarico
dell’assemblea costituente, e di cui facevano parte Borda, Condorcet, Lagrange, Laplace, Monge.
Nel 1960, l’XI Conferenza internazionale dei pesi e misure adottò una diversa definizione del
metro, basata sulla lunghezza d’onda della radiazione emessa in certe condizioni dall’isotopo 86 del
Kripton.
L’unità di misura del tempo è il secondo (s), che è una frazione del giorno solare: esattamente un
giorno è lungo 86400 s; più recentemente si è adottata per il secondo una definizione fisica, basata
sul periodo di oscillazione dell’isotopo 133 del Cesio.
Per quanto riguarda il SI, la massa è una grandezza fondamentale, e la sua unità di misura è il
chilogrammo (kg), che è praticamente uguale alla massa di un dm3 d’acqua distillata alla tem-
peratura di 4°C.
Tutte le altre grandezze sono derivate. Tra queste, la forza è una grandezza derivata, e la sua unità
di misura è il newton (N), che è la forza necessaria a far acquistare alla massa di 1 kg
l’accelerazione di 1 m/s2.
Per quanto riguarda il ST, è la forza la terza grandezza fondamentale, e la sua unità è il
chilogrammo peso (kg), che è il peso di un dm³ di acqua distillata alla temperatura di 4°C.
Tutte le altre grandezze sono derivate; tra esse, la massa la cui unità di misura è il kg s2 / m.
La figura 1.1 riassume la definizione di chilogrammo sia nel S.T. che nel S.I..
5
ST: Se teniamo conto
L, F, T della legge
F=P=1 kg meccanica che
M=0,102 kg s 2/m definisce il peso di
un corpo
M=[FL-1T2]
10 c m
Pmg
4°C SI: dove g è
L, M, T l’accelerazione di
M=1 kg gravità, potremo
P=9,806 N vedere come facil-
c m F=[LMT-2] mente si possono
10
ricavare le misure
Figura 1.1 della massa nel ST,
10 c m e dei pesi nel SI.
Un m3 di acqua
distillata a 4°C, che nel ST pesa 1000 kg, avrà la massa di 1000/9,806 102 kg s2 / m. Lo stesso m3,
nel SI avrà la massa di 1000 kg, e il suo peso sarà di 9806 N.
Non sarà male, per fissare visivamente le idee, fare riferimento alla seguente tabella:
M P
SI 1000 kg 9806 N
ST 102 kg s2/m 1000 kg
Tab. 1.1 Volume di 1 m3 d’acqua a 4 °C
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1.2 I fluidi come sistemi continui
La distinzione tra solidi, liquidi ed aeriformi è nota a tutti dalla fisica elementare:
– si dice solido un corpo che ha volume e forma propri
– si dice liquido un corpo che ha proprio volume, ma non ha propria forma
– si dice aeriforme un corpo che non ha né volume né forma propri.
I liquidi e gli aeriformi si dicono fluidi. Un fluido, a differenza di un solido, subisce forti
deformazioni anche sotto l’azione di forze molto piccole: questa proprietà può essere addirittura
assunta come definizione di fluido. La proprietà dei solidi e dei liquidi di avere un proprio volume
si esprime in termini più corretti dicendo che per variarne il volume occorre esercitare sforzi
notevoli; in particolare un liquido, se posto in un recipiente, in condizioni normali non ne occuperà
tutto il volume disponibile, e sarà separato da una superficie libera dal fluido circostante (per
esempio l’aria); inoltre il liquido assume la forma della parte di recipiente che va ad occupare.
Un aeriforme, al contrario, subisce facilmente variazioni di volume, e, se posto in un recipiente
(chiuso), occupa tutto lo spazio a disposizione. Tale diversità di comportamento è dovuta alla
distanza relativa tra le molecole che compongono solidi, liquidi, aeriformi. Tanto maggiore è questa
distanza, tanto minori sono le forze di mutua attrazione e tanto meno il corpo si oppone alle
deformazioni. Si può fare riferimento, in sintesi, alla tabella seguente.
Pur sapendo che ogni corpo è composto da molecole (e queste a loro volta da atomi, e così via), e
che queste sono in continua agitazione nello spazio, la meccanica dei sistemi continui si fonda sulla
possibilità di trattare i corpi come sistemi rigorosamente continui, cosa che rende possibile la
formulazione analitica di molti problemi.
Le ipotesi di base della meccanica dei sistemi continui sono dovute a Leonhard Euler (1707-1783),
svizzero, matematico e fisico, uno dei fondatori dell’idrodinamica, col cui nome si indicano le
equazioni che reggono il moto dei fluidi (equazioni di Eulero).
Un fluido può essere considerato un sistema continuo se, anziché riferirsi alle molecole come
particelle elementari, si prende in considerazione una particella del corpo in esame abbastanza
grande perché il suo volume non abbia influenza; si tiene conto di un intervallo di tempo abbastanza
lungo perché si possano considerare le caratteristiche medie temporali del fenomeno in esame; e si
assegnano al punto dello spazio al centro di questa particella e all’istante centrale dell’intervallo
considerato le caratteristiche fisiche medie della particella nell’intervallo assunto.
La possibilità di adottare una simile procedura potrà essere chiarita con un esempio.
Si assuma un volume V1 all’interno del fluido, e al tempo t, istante centrale di un intervallo dt, si
valuti la massa M1 in esso contenuta e si valuti il rapporto tra massa e volume:
M1
1
V1
si assuma ora un volume V2 più piccolo di V1, e si valuti allo stesso modo
M2
2
V2
7
si otterrà sempre lo stesso valore finché, per aver ridotto troppo il volume, non si troverà un valore
diverso dei rapporto. Ciò vuol dire che si è finito per escludere qualche molecola, e che l’ultima
dimensione utile della particella è quella del passo precedente. La stessa cosa si potrà poi fare
riducendo l’intervallo di tempo dt, finché non si ottengano valori molto diversi dalla serie
precedente.
Poiché il volume della particella elementare e l’intervallo dt sono molto piccoli rispetto alle
dimensioni dei fenomeni in esame nella meccanica dei fluidi ed ai tempi in cui essi si svolgono, è
corretto considerare i fluidi come sistemi rigorosamente continui.
la sua unità di misura nel S.I. è il pascal (Pa), pari ad 1 N/m2, mentre nel S.T. è il kg/m2.
L’importanza di definire la giacitura dell’elemento di superficie dA attraverso la sua normale si può
dedurre da quanto segue: consideriamo un liquido all’interno di un recipiente (figura1.5), ed
attraverso un punto M al suo interno facciamo passare una superficie A’, che lo divida in due parti S
e D. Immaginiamo di togliere la parte D e di sostituirla con il sistema di forze necessario a
mantenere l’equilibrio. Nel punto M agisce la forza elementare diretta come in figura, da destra
verso sinistra.
Immaginiamo ora di far passare per
lo stesso punto M una diversa
superficie A, che divida il liquido
nelle due parti S ‘ e D’; asportiamo
S’ e sostituiamola con un sistema di
forze che eserciti un’azione
equivalente; nel punto M agisce
stavolta la forza elementare diretta
come in figura, da sinistra verso
destra. Si può concludere che per
definire lo sforzo n è essenziale fare
riferimento alla superficie su cui tale
sforzo agisce.
La spinta su una superficie A è la
risultante degli sforzi elementari
agenti sulla superficie stessa, e può
essere definita come
Figura 1.5
n dA ;
A
9
z
n
y
x
M
A
x
y
z
Figura 1.6
La faccia su cui agisce n è individuata dalla normale n; questa ha verso positivo "entrante" nella
faccia: si considerano cioè positivi gli sforzi che tendono a comprimere la faccia A.
La normale n è definita quando si conoscano i coseni direttori cos nx, cos ny, cos nz.
Si può ora dimostrare che la relazione intercorrente tra lo sforzo che agisce sulla faccia di normale n
e quelli che agiscono sulle facce che stanno sui piani coordinati è la seguente :
n = x cos nx + y cos ny + z cos nz.
Questa relazione permette, una volta noti x, y, z, e noti pure i coseni direttori dell’elemento di
normale n, di calcolare n. Essa può essere proiettata sui tre assi ricavando tre equazioni scalari:
nx = xx cos nx + yx cos ny + zx cos nz
Approfondimenti
Per dimostrare la formula di Cauchy, si consideri che le spinte sulle facce Ax, Ay e Az ed A
risultano rispettivamente:
x Ax; y Ay; z Az; n A
Sul tetraedro, oltre alle suddette forze di superficie, agiscono anche delle forze di massa e delle
forze di inerzia. Esse però risultano proporzionali ad elementi di volume dx dy dz, quindi ad
infinitesimi di ordine superiore rispetto alle forze di superficie, che sono proporzionali ad elementi
di superficie dx dy, dx dz, dy dz. Pertanto per l’equilibrio, trascurando gli infinitesimi di ordine
superiore, si può scrivere:
x Ax+ y Ay+ z Az+ n A =0
10
Ora, si può vedere facilmente (figura 1.7) che risulta Ax= A cos; d’altra parte, sarà cos = -cos
nx, poiché l’angolo e l’angolo nx sono supplementari (essendo nx l’angolo ottuso). Risulta
dunque
Ax = - A cos nx.
Analogamente si trova
Ay= - A cos ny, e Az = - A cos n̂ z.
Risulta quindi infine:
n = x cos nx + y cos ny + z cos nz.
M
nx
x
A x
n
A
y
Figura 1.7
Si dimostra inoltre che
xy yx
xz zx
yz zy
A questo scopo si scrive l’equazione di equilibrio attorno all’asse b-b passante per il baricentro di
ABC e parallelo ad x (figura 1.8).
n è incidente su b-b e non dà momento
x è incidente su b-b e non dà momento
11
Per l’equilibrio deve essere
yz zy -
In modo analogo si dimostra
xy yx
-
xz zx
z
C
x
n
b b
M
x
A
y B
(1/2 dx dz)
y z
b
dy
3
1/
1/3 dz
b
(1/2 dx dy)
z y
Figura 1.8
12
2.
Statica dei fluidi
2.1 Pressione
In un fluido in quiete, non esistendo la possibilità di spostamenti fra una particella e l’altra della
massa considerata, tutte le componenti tangenziali degli sforzi
dovranno essere nulle: esisteranno pertanto soltanto componenti
normali, cioè tutti gli sforzi sono diretti perpendicolarmente alle
superfici su cui agiscono (figura 2.1)
Assumeremo positivi gli sforzi diretti secondo la normale
entrante, negativi quelli diretti nel verso opposto. Se prendiamo in
esame la formulazione del teorema del tetraedro, dovremo
considerare il vettore n diretto proprio secondo la normale alla
superficie An; quanto ai vettori x, y e z, essi avranno le
direzioni degli assi x, y e z rispettivamente. Del vettore x sarà
Figura 2.1 non nulla solo la componente xx, del vettore y solo la
componente yy, del vettore z solo la componente zz.
La componente del vettore n secondo l’asse x, essendo n diretto secondo n, diventa:
nx n cos nx -
Pertanto la prima delle equazioni di equilibrio del tetraedro
trovata nel precedente capitolo diventa:
n cos nx xx cos nx -
Analogamente si ottiene:
n cos ny yy cos ny -
n cos nz zz cos nz -
e quindi:
n xx yy zz -
13
2.2 Densità, peso specifico.
La densità di un fluido è il rapporto tra una massa M del fluido e il volume V occupato dalla stessa:
M
V
Nel SI le sue dimensioni sono M L3 , e la sua unità di misura il kg/m3. La densità dell’acqua a 4°C
è di 1000 kg/m3. Nel ST le dimensioni della densità risultano F L4 T 2 e la sua unità di misura il
kg s2 / m4. La densità dell’acqua a 4°C risulta 102 kg s2 / m4.
Il peso specifico di un fluido è il rapporto tra un peso P del fluido ed il volume V occupato dallo
stesso:
P
V
Confrontando la precedente con la definizione di densità, si ricava:
P
g
M
ovvero
g
dove g è l’accelerazione di gravità, per la quale si può assumere il valore di 9.806 m/s².
Nel SI il peso specifico dell’acqua a 4°C risulta 9806 N/m3; nel ST risulta 1000 kg /m3.
La densità di un fluido varia in funzione della temperatura e delle sollecitazioni cui esso è sottopo-
sto. I gas presentano una densità fortemente variabile con la temperatura e la pressione: si ricordi
l’equazione di stato p V R T dove p è la pressione ed R la costante universale dei gas perfetti. Se
poniamo il volume V pari a M/, risulta
M RT
p
e quindi,
pM
RT
p
La densità dei gas, dunque, se consideriamo la massa costante, risulta proporzionale al rapporto .
T
I liquidi, al contrario, presentano una modesta variazione di densità con la temperatura ed una
ancora più modesta variazione di densità con le sollecitazioni esterne.
La densità, per i liquidi come per i gas, generalmente diminuisce all’aumentare della temperatura.
L’acqua ha un comportamento diverso, poiché presenta un massimo di densità alla temperatura di
4°C. I manuali riportano le tabelle che danno la densità dell’acqua alle varie temperature. Si può os-
servare per esempio che a 0°C la densità vale 101.96 kg m-4s2, a 15°C vale 101.88, a 25°C vale
101.67, a 50°C vale 100.75, a 100°C vale 97.73. Nel campo delle applicazioni più frequenti, che
sono quelle alla temperatura ambiente, si può assumere = 102 kg m-4s2.
2.3 Comprimibilità
Come si è detto, la densità, in un liquido, può variare anche con la pressione. Per definire tale pro-
prietà, si assume un modulo di comprimibilità
14
dp
-
d
Esso indica la variazione di pressione necessaria per ottenere una variazione relativa di densità pari
a 1. Notiamo anzitutto che ha le dimensioni di una pressione (infatti d/ è un rapporto adimen-
sionale). Si ricordi poi che la definizione è valida solo per processi isotermici.
Il valore di è usualmente
molto grande: per l’acqua
esso vale 2 x 109 Pa, cioè 2 x
108 kg/m2, ovvero 2 x 104
kg/cm2; per avere un’idea di
tale pressione, occorre
pensare che è come caricare
una superpetroliera (200.000
t) su un metro quadrato,
oppure un tir (20 t) su un
centimetro quadrato. (figura
2.3).
È possibile inoltre calcolare la
variazione di densità come
Figura 2.3
dp
d
Per i liquidi, dato l’elevato
valore di ε, risulta in pratica
dρ = 0, quindi si può
considerare ρ = costante.
Approfondimenti
dp
La d è un’equazione differenziale che si può risolvere separando le variabili, ottenendo:
d
dp -
e integrando:
p ln cost -
Se per
p p0 è 0 -
si ottiene
cost p 0 ln 0 -
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dunque :
p ln p 0 ln 0 -
p p 0 ln -
0
p-p 0
e
0
p-p 0
0 e
p p0
0 1
Ora, nei casi in cui la variazione di pressione rimane piccola, il termine p – p0 è infinitesimo rispetto
a , dunque il rapporto dp/ può essere trascurato. Ne risulta l’equazione di stato dei liquidi in con-
dizioni isotermiche per variazioni di pressione piccole rispetto a :
cost.
Applicazioni
Definita la comprimibilità di un liquido, passiamo a vederne l’applicazione ad alcuni casi pratici.
Il primo è il caso in cui varia il volume di una massa fluida, ma non la massa stessa.
Ciò accade se, per esempio, prendiamo un comune fiasco pieno di un volume V d’acqua, munito di
un tappo scorrevole a tenuta, e cerchiamo di spingere il tappo all’interno del fiasco. Poiché è
M = V, sarà pure
dM dV Vd -
da cui , essendo dM = 0, perché nel caso in esame la massa non varia, si ottiene:
d dV
V
e infine
dp
dV
V
Possiamo così calcolare la variazione di volume dV conseguente a una variazione di pressione dp.
Se il fiasco contiene inizialmente 2 l d’acqua, e il tappo ha una sezione di 2 cm2, applicando al
tappo una forza di 20 kg si ottiene una variazione di pressione dp = 20 /2 = 10 kg/cm2 = 106 Pa.
La conseguente variazione di volume è
16
dp
dV V
10 6 Pa
dV 2 l 1 10 3 l 1 cm 3
2 10 Pa
9
10 5 Pa
dM 2 kg 10 4 kg
2 10 Pa
9
17
2.4 Equazione di stato
L’equazione di stato per un fluido definisce il legame tra densità, pressione, temperatura e modulo
di elasticità. Per un gas perfetto, com’è noto, l’equazione di stato è
pV nRT
dove p la pressione, V il volume, n il numero di kilomoli, R la costante universale dei gas, T la tem-
peratura assoluta. Si ricordi che una kilomole è la massa di un numero di molecole di gas pari al
numero di atomi di carbonio 12 necessari a formare una massa di 12 kg. L’equazione di stato si può
scrivere:
pMg M
RT
N
dove N è la massa di una kilomole; quindi risulta
p 1
RT
gN
gN è il peso di una kilomole di gas o peso molecolare del gas; per la costante si assume R = 848
kg m/°K, in unità del ST.
Se, come di solito si usa, si pone R’ = 848/(g N) m/K, l’equazione di stato dei gas diventa
p
(gas) R T
Per i liquidi, come già visto, l’equazione di stato può essere definita dalla
d dp
(liquidi)
Interessandoci solo a processi isotermici, che sono i più comuni nella pratica, e per variazioni limi-
tate di pressione, diventa
cost
18
Le spinte quindi valgono
z rispettivamente:
p
(p dz ) dxdyk -
z
p
(p dx) dydzi -
x
-op+cp/cx dxpdydzi
pdydzi p
dz (p dy ) dxdzj -
y
A
dx Oltre alle forze di
dy O x superficie, sopra
specificate, sul cubetto
elementare agiscono
Figura 2.4
y
L’equilibrio del cubetto risulta funzione della risultante delle forze di massa e delle forze di
superficie agenti sullo stesso. In particolare, se indichiamo con F la forza di massa per unità di
massa, la forza di massa complessiva agente sull’elemento di volume sarà:
- dx dy dz F - sostituita da W F
Per l’equilibrio del cubetto risulta:
p p p
F i j k .-
x y z
A questa equazione si dà il nome di equazione indefinita della statica dei fluidi.
p
gk k-
z
ovvero, in forma scalare, è valida la seguente equazione detta equazione fondamentale della statica
dei fluidi pesanti:
dp g dz ,
Questa semplice equazione differenziale dice che la pressione varia con la quota e con il peso
specifico, e vale sia per i fluidi comprimibili che per quelli incomprimibili.
In una massa fluida collocata nello spazio x, y, z, troveremo pressioni diverse a quote diverse
(figura2.5).
Figura 2.5
Possiamo concludere inoltre che, nella statica dei
fluidi pesanti, la pressione rimane la stessa tra due punti di
un fluido aventi la stessa quota. Tale principio fu enunciato
da Blaise Pascal (francese, 1623-1662 filosofo, matematico
e fisico), che lo applicò alla costruzione del torchio
19
idraulico. Questo semplice dispositivo si ottiene collegando con una canna due recipienti di diversa
superficie, dotati di stantuffi a tenuta (figura 2.6).
Una forza di soli 50 kg che si esercita su uno stantuffo di 0,1 m2 di superficie equilibra una forza di
5000 kg che si esercita su un altro stantuffo, posto alla stessa quota, di 10 m2 di superficie.
Figura 2.6
Approfondimenti
Riprendiamo l’equazione
p p p
F i j k-
x y z
Per ricordare che, mentre p è uno scalare, l’espressione al secondo membro, che è un vettore, si
indica in fisica con grad p.
Si scriverà dunque:
F grad p -
Si ricordi ora la definizione di potenziale di una forza: esso è una funzione U tale che risulti
F grad U -
Si può quindi dire che:
20
grad U grad p
Da quest’ultima equazione si trae un’importante proprietà della statica dei fluidi: la pressione è co-
stante (grad p = 0) nei punti dove U è costante (grad U = 0): nella statica dei fluidi, le superfici
equipotenziali sono anche superfici isobare.
Nel campo della gravità, risulta, com’è noto,
U g z -
Tutti i punti ad uguale quota z hanno lo stesso potenziale, e stanno quindi su una superficie equipo-
tenziale.
Abbiamo visto che quando la forza F ammette un potenziale U, l’equazione indefinita diventa
grad U grad p
Poiché nel campo della gravità U risulta uguale a - g z dove z è un asse coordinato orientato verso
l’alto, l’equazione precedente si scrive:
p
g k k-
z
dp g dz .
21
dp
0 g dz
p p0
La costante può evidentemente essere ricavata quando si conoscano pressione e densità ad una de-
terminata quota; si può porre
p p 0 e 0 per z z 0
L’equazione differenziale si scrive quindi:
p 0 dp
dz
0 g p
Integrando si ottiene:
z p0 p dp
z0
dz
0 g
p0 p
da cui
g z z 0
p p 0 exp 0
p0
L’aria è il più comune fluido comprimibile, ed anzi essa circonda tutti i sistemi che si studieranno: è
importante perciò avere un’idea del valore della pressione dell’aria o pressione atmosferica.
Dall’equazione scritta sopra, si vede che essa varia con la quota; ora, la pressione dell’aria alla
quota z0=0 è dell’ordine di 104 kg/m2; tenendo conto del peso specifico dell’aria alla quota z0 =0,
che è dell’ordine di 1 Kg/m3, si vede che la variazione è sensibile per differenze di quota di migliaia
di metri, ma può essere del tutto trascurata nei casi comuni. Di conseguenza si potrà trascurare
anche la variazione di densità. Si assumerà pertanto una pressione atmosferica costante, e pari al
valore che questa assume al livello del mare: tale valore si indica con 1 atm (1 atmosfera), ed è pari
a 1,033 kg/cm2.
Nei problemi relativi alla stabilità di grandi masse d’aria, occorre considerare anche la variazione di
temperatura
p
R T
introducendo in essa la legge di variazione della temperatura con la quota z (gradiente termico):
questo problema peraltro esula dai contenuti del corso.
22
È questa l’equazione fondamentale dell’idrostatica. L’equazione fondamentale indica che la somma
della quota z di un punto rispetto ad un riferimento orizzontale e del rapporto p/ rimane costante
all’interno di un fluido in quiete.
Il rapporto p/ ha le dimensioni di una lunghezza:
FL 2
F 1 L3
esso prende il nome di altezza piezometrica, ovvero altezza misuratrice della pressione, e viene di
solito indicato con h.
La somma z + p/ si chiama invece quota piezometrica: in un fluido in quiete la quota piezometrica
è costante; per conoscerla, basta conoscere la quota del punto e la pressione nello stesso.
Come varia la pressione all’interno del fluido?
Sappiamo già che sui piani orizzontali essa si mantiene costante; per ottenere l’andamento della
pressione rispetto alla quota di un punto della massa fluida, basta scrivere
p z cos t
p cost - z
z=z S
p.c.i.r.
p a
h
z=0
p=p + h
a
p-p = h
a
È questa l’equazione di una retta di coefficiente angolare -Dunque, la pressione varia linearmente
con la quota all’interno della massa fluida e diminuisce con essa, poiché il coefficiente angolare è
negativo.
Per tracciare il diagramma, notiamo che alla quota zS della superficie libera la pressione è pari alla
pressione atmosferica pa; quindi
p a z S cos t
p
cos t a z S
p z p a z S
p p a z S z
e posto h=zS – z
p pa h
il diagramma delle pressioni è una retta inclinata di arctan sull’asse z (figura 2.7).
Detta ora z0 la quota dove è p=0, si trova
23
0 p a z S z 0
pa
da cui z 0 z S .
I punti per i quali è p=0 stanno su un piano che viene chiamato piano dei carichi idrostatici assoluti
(p.c.i.a.).
Si noti ora che la pressione può essere intesa come pressione assoluta, e cioè definita con
riferimento soltanto allo sforzo normale agente su un elemento di superficie, oppure come pressione
relativa, definita come differenza tra la pressione assoluta e la pressione atmosferica:
pr p pa
dove pr è la pressione relativa e pa è la pressione atmosferica. Ricordando che
p p a z S z ,
si ottiene
pr h
La pressione relativa è nulla sulla superficie libera; si può perciò dire che i punti della superficie
libera appartengono ad un piano che viene chiamato piano dei carichi idrostatici relativi (p.c.i.r.).
Comunque il p.c.i.a. ed il p.c.i.r. sono posti ad una distanza pari a pa/; per l’acqua, tale distanza
risulta di 1,033 104/1000 = 10,33 m; per il mercurio, essa risulta di 1,033 104/13560 = 0.76 m, e così
via. È importante notare quindi che la distanza tra il p.c.i.a. ed il p.c.i.r. dipende dal peso specifico
del fluido. Se si fa riferimento alle pressioni assolute, i fluidi non possono sopportare pressioni
negative, che darebbero luogo a trazione, ma solo pressioni positive, che sono per definizione quelle
di compressione. Il valore della costante z0 dev’essere sempre maggiore di z: il piano dei carichi
idrostatici riferito alle pressioni assolute o piano dei carichi idrostatici assoluto si trova sempre al
disopra del punto di quota z; l’altezza piezometrica assoluta è una quantità positiva. Se invece si fa
riferimento alla pressione relativa, questa, a norma della sua definizione, risulta negativa se la
pressione assoluta è inferiore alla pressione atmosferica. In questo caso il piano dei carichi
idrostatici relativo si trova al di sotto della quota del punto in questione e l’altezza piezometrica re-
lativa è una quantità negativa.
Nelle applicazioni, risulta più comodo fa riferimento alla pressione relativa, che viene di solito
chiamata semplicemente “pressione” e indicata con la lettera p; allo stesso modo, si chiama
semplicemente “piano dei carichi idrostatici” il piano dei carichi idrostatici relativo, indicandolo cn
le lettere p.c.i. .
Una volta individuato il piano dei carichi idrostatici (assoluto o relativo), il diagramma delle pres-
sioni si ottiene tracciando una retta di coefficiente angolare arctan per l’intersezione della traccia
del p.c.i. con l’asse z interessato, e la pressione in un qualsiasi punto si calcola dunque come
prodotto della distanza del punto dal p.c.i. per :
p h
con l’accortezza di considerare h positiva se il punto è al disotto del p.c.i., negativa se il punto è al
di sopra.
24
2.7 Fluidi non miscibili
Fluidi di diverso peso specifico e non miscibili tra di loro, come per esempio l’acqua ( = 1000
kg/m3), la benzina (=750 kg/m3 a 20°), l’olio lubrificante (= 900 kg/m3), la glicerina ( = 1260
kg/m3), il mercurio ( = 13546 kg/m3), quando siano posti in quiete nello stesso recipiente, si
dispongono a strati orizzontali ; in altri termini, non si verifica mai una disposizione come quella in
figura 2.8.
dU dp
da cui
Figura 2.8
dp
-
dU
per quanto abbiamo visto, p è una funzione della quota del punto e quindi del potenziale:
p f U -
risulterà quindi
U -
la quale indica che la densità è funzione del potenziale: le superfici equipotenziali sono anche su-
perfici isocore (di ugual densità); e queste superfici, in idrostatica, sono orizzontali. Non può esi-
stere quindi una disposizione dei diversi fluidi "a scalini" (figura 2.8), ma solo quella a strati.
Per la stabilità, si troveranno più in basso i liquidi di peso specifico maggiore.
Nel caso di più fluidi sovrapposti, come calcolare la pressione in qualsiasi punto? Facciamo riferi-
mento alla figura 2.9.
Figura 2.9
25
p.c.i. di 2, che risulterà posto ad una distanza h1/2 al disopra della superficie di separazione. Si
noti che esso si trova al di sotto della superficie libera di . Procedendo in tal modo si traccia il
diagramma completo delle pressioni, come in figura 2.9.
26
Applicazioni
Consideriamo il caso di un tubo ad U contenente liquidi di peso specifico diverso, γa e γ . I due
liquidi si disporranno nei due rami mostrando due superfici libere, come in figura 2.10. Preso un
piano di riferimento passante per la superficie di separazione tra i due liquidi, e dette ha e hb le
altezze delle superfici libere rispetto a tale piano, dall’uguaglianza delle pressioni sul piano di
riferimento si può scrivere la relazione che intercorre tra i pesi specifici e le altezze :
hb
a
ha
p=p A B
p = h
A a a
h p = h arctan
arctan B b
h
= h /h
a
a
A B
b
a b a
Figura 2.10
Si noti che il dispositivo può essere utilizzato per la determinazione del peso specifico di un liquido,
noto quello di un altro liquido non miscibile.
Figura 2.11
Consideriamo ora un recipiente chiuso, al cui interno vi sia un liquido, per esempio dell’acqua, e al
liquido sia sovrapposto un gas (figura 2.11).
27
Per tracciare il diagramma delle pressioni occorre conoscere la pressione in uno dei fluidi;
ammettiamo che si conosca la pressione nel gas, pg.
Questa si mantiene costante in tutta la massa del gas, quindi anche sulla superficie di separazione
gas-liquido, e sarà perciò uguale alla pressione che si
esercita sulle particelle del liquido a tale quota. Nota la
Figura 2.12 a pressione nel punto suddetto della massa liquida, si
determina il p.c.i. con la solita regola h = pg/, quindi si
traccia il diagramma delle pressioni, con la sola
attenzione che esso vale a partire dalla superficie di
separazione: al di sopra di essa infatti la pressione è
costante.
Figura 2.12 b
Figura 2.12c
La tabella seguente riassume quanto detto e permette le conversioni tra unità di misura.
Valore in
Unità Kg/m 2
Pa Kg/cm2 bar atm Torr
Kg/m2 1 9,806 10-4 0,9810-4 0,9710-4 0,0736
Pa 0,102 1 1,0210-5 10-5 0,9810-5 7,510-3
Kg/cm2 104 9,8104 1 0,98 0,97 735,56
29
bar 1,02104 105 1,02 1 0,99 750,06
5
atm 10.330 1,01310 1,033 1,013 1 760
Torr 13,59 133,3 0,13610-4 1,33310-3 1,31610-3 1
2.10.2 Piezometro
Si tratta di un tubo trasparente collegato al recipiente che contiene il liquido. Il liquido risale,
all’interno del piezometro, fino al
piano dei carichi idrostatici (figura
2.14 a). Tale indicazione consente di
individuare la pressione in qualsiasi
punto. Se il liquido è in depressione, il
tubo ha la forma di una U. (figura
2.14 b). Nei casi in figura, la pressione
nei punti A e B vale rispettivamente
pa= h’ e pb=-h”. Un piezometro non
indica la pressione del punto in cui è
collegato, ma solo il p.c.i.. Figura 2.14 a Figura 2.14 b
Occorre adesso tener presente che
30
esiste un fenomeno, detto capillarità, che riguarda i tubi di diametro molto piccolo, nei quali il
livello piezometrico può presentarsi più alto o più basso del p.c.i..
Si tratta del fenomeno che consente in gran parte la circolazione della linfa nelle piante, o la risalita
dell’acqua di falda fino agli strati superiori del terreno.
Per spiegarlo occorre introdurre un’altra caratteristica dei fluidi, la tensione superficiale.
F F
l
Figura 2.16
31
Se tagliamo il disco a metà, occorrerà esercitare una forza F su ciascun lato del taglio perché questi
si mantengano in contatto; la tensione superficiale si misura col rapporto:
F
-
l
Prendiamo in esame un elemento emisferico di superficie della goccia (Figura 2.17) e valutiamo la
risultante delle forze di tensione superficiale che agiscano sul bordo della goccia; essa vale:
2 r
r
Figura 2.17
Prendiamo in esame il
caso che la parete sia di
vetro ed il gas sia l’aria.
Si può osservare che
Figura 2.19 a per l’acqua è 0°, cioé
la superficie liquida è
praticamente parallela alla parete in prossimità di questa, col liquido che bagna la parete; per il
mercurio invece è 135°, quindi col liquido che non bagna la parete.
La superficie in prossimità della parete si dice menisco. Quale posizione assume la superficie li-
quida all’interno di un tubo piezometrico?
Immaginiamo di immergere un tubicino di vetro in un recipiente che contiene mercurio (Figura
2.19 a):
nel punto più alto del menisco, che ammetteremo di forma emisferica (Figura 2.19 b) con raggio
d
R
2 cos
la pressione vale, per la regola vista al paragrafo precedente,
4
p cos
d
d’altra parte, se h è la distanza dal p.c.i., (figura 2.19 a) essa vale
p Hg h -
4 cos
h -
Hg d
l’equazione è detta legge di Jurin-Borelli.
Giovanni Alfonso Borelli, napoletano,
1608-1679, medico, fisico, matematico fu
condiscepolo di E. Torricelli, insegnò a
Messina, Pisa, Roma; si occupò di iatro-
meccanica e di termologia.
James Jurin, inglese, 1684-1750, fu me-
dico e fisico; si occupò principalmente di capillarità.
Il valore
4 cos 4 0,56 0,7
11,52 10 6 m 2
Hg 136.000
33
è una costante per il mercurio. In un tubicino di diametro 1 cm=0,01 m l’abbassamento capillare per
il mercurio è
h=11,510-4 m 1,15 mm
Per l’acqua, è 0° e la costante vale 3010-6 m2.
Con lo stesso ragionamento si ottiene:
3010-4 m 3 mm
Si deve notare che per l’acqua si avrà un innalzamento capillare (ri-
sulta infatti cos(-) -1) (Figura 2.20).
Più semplicemente si possono ricordare le formule manometriche:
h d = -30 (acqua)
h d = +10 (mercurio)
con h e d espresse in mm.
Figura 2.20 Nel caso dell’acqua, un tubo piezometrico di diametro d=1 cm darà
quindi un innalzamento capillare di h=3 mm; per d=10 cm, sarà
h = 0,3 mm, apprezzabile con un apposito idrometro con punta ad ago e lettura con nonio decimale.
h = 13,6
34
Nel caso in cui il recipiente è a pressione inferiore a quella atmosferica, l’equilibrio sul menisco
inferiore del mercurio dà :
0 = - Δ man + pa ;
pertanto
pa = Δ man .
Detta h la distanza del piano dei carichi idrostatici dal punto A, risulta
pa = γ h
e infine
man
h ,
dalla quale si può vedere che, poiché h negativo, il p.c.i. si trova più in basso rispetto al punto A,
alla distanza man .
Figura 2.22
Quindi:
p B h1 p C h2
p B p C h2 h1
e quindi:
m
e infine:
m
Se il liquido contenuto nei due recipienti è acqua mentre il liquido manometrico è mercurio, risulta:
m
12,6
cioè la differenza tra i p.c.i. viene ridotta di 12,6 volte nell’indicazione .
36
2.10.7 Manometro ad aria
È uno strumento che permette di misurare una differenza modesta tra due p.c.i. di quota molto ele-
vata.
L’apparecchio ha la forma di una U Figura 2.25
capovolta (figura 2.24). Dopo aver in-
trodotto una certa quantità di aria dalla
parte superiore del tubicino, si potrà
scrivere:
p A p aria
p B p aria -
p A h1 ; p B h2
da cui:
h1 h2
-
h1 h2
Come si vede, non dipende da pA; invece h1 e h2 dipendono da pA per cui aumentando la pressione
dell’aria si riesce ad abbassare la colonna liquida nei due rami del manometro.
37
3.
Le forze nella statica dei fluidi
Pi = P V
e sostituendo in quest’ultima l’espressione di V:
P
Pi P
o
P Pi P
o
P
o 19.231 kg m 3 .
P Pi
Si noti che non è stato necessario determinare il volume del pezzo d’oro.
Con questo principio Archimede poté risolvere il problema della corona. Il tiranno di Siracusa,
Ierone, aveva consegnato a un orafo un peso Po di oro e un peso Pa di argento, per farsi fare una
corona. L’orafo riportò una corona che pesava Pc=Po+Pa; ma come stabilire che fosse veramente
stato impiegato il peso Po di oro e il peso Pa di argento?
Archimede risolse il problema, determinando prima i pesi specifici o e a. Quindi, pesando in acqua
la corona, ottenne il suo peso immerso Pci, che doveva risultare
Pci Pc Vo Va
essendo Vo e Va i volumi d’oro e d’argento impiegati.
Poiché d’altra parte era
Pc oVo aVa
si ottenevano due equazioni nelle due incognite Vo e Va .
Ricavando dalla seconda Vo
Pc aVa
Vo
o
dalla prima si ottiene
Pci Pc Pc aVa Va
o
da cui
Pci Pc Pc a Va
o o
che permetteva di ricavare Va e poi Pa.
38
Per determinare il peso specifico dei liquidi si impiega un densimetro, formato da un corpo di peso
noto P, con un lungo collo di sezione nota a. Immerso il densimetro in acqua distillata, di peso
specifico = 1.000 Kg/m3, si ha l’equilibrio nella posizione in
cui P = V, dove V è il volume immerso (Figura 3.5). Si
segnerà col valore 1.00 la posizione del collo.
Immerso il densimetro in un altro liquido di peso specifico ’,
l’equilibrio si ottiene in un’altra posizione, nella quale il volume
immerso è:
V V
L’equazione di equilibrio è allora:
V V P
Figura 3.5
Posto V=a h si ottiene:
V a h P
da cui, noto h, si calcola ’.
Poiché risulta:
P V P P P
h
a a a
Assegnato ’ si può segnare il valore h sul collo del densimetro e quindi definire sullo stesso una
scala di pesi specifici. Si noti che la scala h=f(’) è non lineare.
Se è P = 30 g; a = 1 cm2; ’=800 kg/m3; =1000 kg/m3, risulta:
0,030 200
h 0,02 m 2 cm
0,0001 800 1000
Con ’ il volume immerso è maggiore di V (V 0), e risulta h 0.
Applicazioni
Attraverso l’equazione globale si possono calcolare, in alcuni casi, le spinte sulle superfici.
1) Quale spinta esercita il fluido contenuto nella bottiglia sulla superficie laterale (Figura 3.6)?
3
h
2
G
Figura 3.6
39
Per l’equazione globale, dev’essere
G + =0
è la forza esercitata dalla parete sul fluido. Scomponendo la nella 1, esercitata dal fondo, 2,
esercitata dalla superficie laterale, e 3, esercitata dalla superficie libera,
Stiamo cercando la 2, quindi S = 2 = G + 1. Ma 1 è la spinta sul fondo, data da
1 h
Pertanto la spinta sulla superficie laterale ha modulo uguale al peso del volume tratteggiato, ed è
rivolta verso l’alto.
2) Quale forza si deve applicare sul tappo per farlo rientrare (Figura 3.7)?
Figura 3.7
Il tappo abbia peso trascurabile e se ne consideri solo la parte immersa. Si applichi l’equazione
globale al volume d’acqua occupato dalla parte del tappo immersa, considerato pieno d’acqua; si
ottiene:
G + =0
Divisa la superficie del tappo nelle due parti 1 e 2, risulta:
G 0
S = 2 = G + 1
G è rivolta verso il basso mentre 1 è rivolta verso l’alto ed ha modulo hA, essendo A l’area della
superficie 1. La forza S in modulo è pari a hA, meno la spinta di galleggiamento.
40
3) Quale pressione si esercita sul tappo della bottiglia rovesciata (Figura 3.8)?
Figura 3.8
Cerchiamo la forza che il fluido esercita sul tappo della bottiglia rovesciata. La bottiglia abbia peso
P. La massa d’acqua in essa contenuta abbia peso G.
G 0
Poiché sia G che 1 hanno la direzione verticale, anche 2 deve avere tale direzione. In effetti la
forza esercitata dall’esterno sulla superficie della bottiglia, P, è proprio pari a 2, che è quella
esercitata dalla parete sul liquido.
Quindi:
S = 1 = G + 2 = G + P
p1 =(G+P)/A
4)In quale rapporto stanno il volume immerso ed il volume totale di un iceberg (Figura 3.9)?
g=900 kg/m3
Deto V il volume dell’iceberg, il suo peso è dato da:
41
P = g V
Detto Vi il volume immerso, la spinta sulla parte dell’iceberg immersa risulta:
Vi
Figura 3.9
5) Una petroliera da 400.000 t può imbarcare 300.000 t di petrolio. Qual è la differenza tra i volumi
fuori acqua a vuoto e a pieno carico (Figura 3.10)?
Ve
Vi
Figura 3.10
Sia V il volume totale del natante, Vi il volume immerso, Ve il volume emerso, e gli indici v e p si
riferiscono alla petroliera vuota e a pieno carico rispettivamente. Risulta:
P(v) =Vi(v)
P(p) =Vi(p)
Vi(v)= P(v)/
V-Ve(v)= P(v)/
Ve(v)=V-P(v)/
42
Ve(p)=V-P(p)/
Ve(v)-Ve(p)=(P(p)-P(v))/
Si può concludere quindi che la petroliera s’immerge dello stesso volume che occuperebbe un peso
d’acqua uguale al carico imbarcato.
M y x dA
A -
Figura3.12),
Il momento statico attorno a una retta parallela all’asse y, di equazione x=K (Figura 3.11 si calcola
come
M K x K dA
A -
cioè:
MK My K A
-
La retta parallela all’asse y per cui risulta MK=0 è detta
baricentrica e detta x0 tale ascissa, poiché dev’essere
M y x 0 A 0 , risulta:
My 1
A A
x0 x dA ;
A
in modo analogo si determina
Figura 3.12
M 1
y 0 x y dA
A AA -
Il punto di intersezione delle due rette, di coordinate x 0 , y 0 , è il baricentro dell’area. Se una
superficie ha un asse di simmetria, questo è baricentrico.
43
Momento del secondo ordine o momento di inerzia
Si definisce momento d’inerzia di una superficie attorno all’asse y l’integrale
I y x 2 dA
A -
analogamente
I x y 2 dA
A -
Il momento di inerzia attorno all’asse baricentrico parallelo all’asse y, di equazione x x 0 , si scrive
I c x x 0 dA x 2 dA 2 x x 0 dA x 02 dA I y 2 x 0 x dA x 02 dA
2
A A A A A A
I y 2 x0 x0 A x A I y x A
2 2
0 0
-
quindi
I y I c x 02 A
-
Il momento di inerzia rispetto ad un asse è dato dal momento centrale più il prodotto dell’area per il
quadrato della distanza del baricentro dall’asse.
I momenti di inerzia centrali di alcune figure (rettangolo, triangolo rettangolo, cerchio) sono
riportati in figura 3.13.
I xy x x 0 y y 0 dA x y dA x 0 y dA y 0 xd A x 0 y 0 A
A A A A
I xy A x 0 y 0 A x 0 y 0 x 0 y 0 A I xy x 0 y 0 A -
I xy I xy x 0 y 0 A
a/2
h/3
b b
I = r /4
3 3 4
I =1/12 ba
c
I =1/36 bh
c c
44
Figura 3.13
In figura 3.13 si riportano i valori dei momenti d’inerzia centrali di alcune figure geometriche :
Infine, si può notare che il prodotto d’inerzia rispetto ad un asse di simmetria è nullo.
pertanto
S sen A x 0 h0 A p 0 A
dove con p0 si è indicata la pressione nel baricentro: il modulo della spinta è quindi uguale alla
pressione nel baricentro moltiplicata per l’area della superficie piana.
La spinta è un vettore normale alla superficie; per calcolare le coordinate del suo punto di
applicazione o centro di spinta, , , scriviamo le equazioni di uguaglianza dei momenti attorno
agli assi y ed x.
Rispetto all’asse y si ottiene:
45
S p x dA h x dA x sen x dA sen x 2 dA
A A A A
ponendo
S sen A x 0
e poiché è:
x dA I y -
2
A
risulta
A x0 I y -
ma essendo
A x0 M y -
risulta infine
Iy
-
My
cioè l’ascissa del centro di spinta è data dal rapporto tra momento d’inerzia e momento statico della
superficie su cui si esercita la spinta, entrambi calcolati rispetto alla retta di sponda.
Poiché
2
I y I 0 A x0
risulta
I0
x0 x0 per x 0 0
My
I
0 x0 x0 per x 0 0
My
cioè il centro di spinta sta più in basso del baricentro, se x0 è positivo; sta più in alto, se x0 è
negativo (figura 3.15).
A p.c.i.
x
0
Figura 3.15a
46
p.c.i.
x 0
A
Figura 3.15b
A x 0 I xy -
I xy
-
My
cioè l’ordinata del centro di spinta è data dal rapporto tra il prodotto d’inerzia e il momento statico
rispetto alla retta di sponda.
2
Figura 3.16 C Il punto d’applicazione della spinta è il baricentro
del prisma delle pressioni.
Applicazioni
Superficie al di sopra del p.c.i
Quando la superficie è al di sopra del p.c.i. come in figura 3.15a l’unica differenza sta nel fatto che
le pressioni esercitate dal fluido su di essa sono negative (inferiori alla pressione atmosferica).
47
La spinta è comunque pari alla pressione nel baricentro per l’area; il centro di spinta è posto al di
sopra del baricentro.
Superficie tagliata dal p.c.i. ( comunque immersa nel liquido, figura 3.17)
p.c.i.
Figura 3.17
Iy I0
x0 -
My My
Si può peraltro procedere determinando separatamente le spinte ed i centri di spinta delle due
semiaree al di sopra e al di sotto della retta di sponda (Figura 3.18). La risultante è pari in modulo a
S1 -S2. La sua distanza dalla retta di sponda si può ricavare dall’equazione di uguaglianza dei
momenti rispetto alla retta di sponda:
S 2 2 S1 1 S -
p.c.i. S 1
S 2
S
1
Figura 3.18
È possibile quindi che il centro di spinta si trovi al di fuori della superficie. In particolare, se la retta
di sponda è baricentrica, la risultante è nulla e il centro di spinta va all’infinito; in questo caso è
infatti M=0; I0>0.
Sia ABCD la traccia di una superficie rettangolare di larghezza b (Figura 3.19). Determinare la
forza che agisce su di essa.
48
D
Aria
C
p a tm
B h 0 p.c.i.
Figura 3.19
S B C
C Aria
h
B 0
A
Figura 3.20
Ciò vuol dire che la parte BC è sottoposta a una forza interna minore di quella esterna: essa tende ad
essere schiacciata verso l’interno della campana.
Sulla parte CD infine agisce dall’interno una pressione negativa pari a pC, la spinta è data da
S CD p C CD b ; essa è applicata al baricentro della parte CD.
50
Consideriamo infine il caso che il fluido sia un gas. Il suo peso specifico e’ molto piccolo in
confronto alla spinta, e si può quindi porre
G = 0.
L’equazione globale in questo caso diventa
=0
Consideriamo il recipiente del caso precedente, stavolta pieno di gas. il
raggio della semisfera sia di 1m. Il volume vale V = 4/6r3=2 m3 e il
suo peso vale G=2 kg. All’interno del recipiente sia mantenuta una
pressione pari a 1,5 kg/cm2.
La spinta AC, esercitata dal gas sulla parte AC della superficie di
Figura 3.24 contorno del volume semisferico, vale
AC =1,5 104 A (kg)
dove A e’ l’area di AC, data da A=r2=3,14 m2. Risulta quindi
AC =50.000 kg.
n=1,5
C
Figura 3.25
A B C
A C
A
Figura 3.26
51
Applicazioni
Attorno al 1650 Otto Von Guericke, fisico tedesco (1602-1686, Experimenta nova, ut vocantur,
magdeburgica de vacuo spatio) eseguì in pubblico l’esperimento detto "degli emisferi di
Magdeburgo" (Figura 3.27).
Figura 3.27
Due emisferi metallici di raggio 1 m, muniti di guarnizioni a tenuta lungo il bordo circolare,
vennero accostati e quindi fu estratta l’aria dall’interno della sfera cava da essi formata. Due coppie
di possenti cavalli da tiro non riuscirono a staccare i due emisferi; appena rimessa l’aria all’interno,
essi si aprirono invece senza alcuno sforzo.
Infatti, valutiamo la forza agente su uno dei due emisferi tramite l’equazione globale, immaginando
l’emisfero aperto e posto in aria (Figura 3.28).
C
B
A C
A
Figura 3.28
ABC + AC = 0
52
A
31 t 31 t
B D
C
Figura 3.29
B b)
100 A A C C
kg
B
a) A B C
c)
Figura 3.30
Una ventosa di superficie 100 cm2 potrebbe (in teoria) sopportare un peso di 100kg. Infatti (figura
3.30)
ABC + AC = 0
ABC = AC
Tutto ciò vale anche per un recipiente contenete un liquido o un gas a pressione inferiore a pa ,
chiuso inferiormente da un piatto di area A cui e’ appeso un peso P (figura 3.31); detta S la spinta
esercitata dall’interno sul piatto, e pc la pressione interna, risulta :
PS 0
S pC A
P pC A
se consideriamo le pressioni assolute p*, risulta:
P p C* A p atm A 0
53
P<0
S
C
P
Figura 3.31
poiché dal basso si esercita sul piatto la pressione atmosferica, patm.
È possibile anche che il recipiente contenga acqua (Figura 3.32); in questo caso
p C p B h
SP0
P <0
B
p B
B
S
C p C
P
Figura 3.32
54
3.3.2 Metodo delle componenti
La spinta agente su una qualunque superficie curva è nota se si conoscono le sue componenti
secondo un piano
orizzontale e secondo un
asse verticale. In questo
caso la spinta è data
dalla somma vettoriale
delle due componenti.
Sia A una superficie
curva e per semplicità
ammettiamo che essa
abbia per generatrice una
retta verticale
perpendicolare all’asse x
e dA un elemento di
superficie di normale n. Figura 3.33
La normale formi con l’asse x un angolo (Figura 3.33).
La componente orizzontale della spinta elementare agente su dA è:
dS x p dA n cos .
Ma si deve osservare che dA cos è esattamente la proiezione
di dA su un piano verticale (Figura 3.34); quindi, dSx è la
spinta sulla proiezione di dA su un piano verticale.
La componente orizzontale della spinta su A, Sx, è a sua volta
data da
S x p n cos dA
A
p.c.i.
dA cos
h
n
dA
n n
dA A
Figura 3.36
Si può notare ora, che dA cos è la proiezione della superficie dA su un piano orizzontale. Quindi,
dA cos h è il volume del prisma elementare di base dA cos (sul piano dei carichi idrostatici) e
altezza h. La componente verticale della spinta su A è data dall’integrale delle componenti delle
forze elementari.
S V h cos dA
A
ed è quindi pari al peso del volume liquido compreso tra la superficie ed il piano dei carichi
idrostatici.
La spinta così valutata agisce su A dall’alto verso il basso, poiché essa é la spinta sulla superficie A
con normale rivolta verso il basso; la spinta sull’altra faccia é uguale e contraria e, così agisce dal
basso verso l’alto.
56
Si valuti la componente verticale della spinta su AB (Figura 3.37).
Si ha:
S V G
Tale risultato é del resto suggerito dall’applicazione dell’equazione globale al volume ABCD:
D p.c.i. C
A G
S V
Figura 3.37
G+=0
SV = AB,V = -G.
Si valuti la componente verticale nel caso che il p.c.i. stia sotto AB (Figura 3.38).
A
S V
G B
C D p.c.i.
Figura 3.38
57
Applicando l’equazione globale al volume ABCD e proiettando lungo la verticale, si ottiene:
G + AB,V = 0;
La spinta cercata è
SV = AB,V = G.
Applicazioni
2 B
a) b)
Figura 3.39
B p.c.i.
G
h
1
p >p
a r ia a tm
A
B
Figura 3.40
Si = 1 = Ga + 2
Si trova quindi
Si = paria A = pB A = h A
La risultante si ottiene considerando :
Si Se = h AG1= G ;
essa risulta quindi pari al peso del liquido spostato ed è diretta verso l’alto. La campana rimane in
equilibrio sul fondo se il suo peso P è maggiore di G.
Procedendo allo stesso modo si può valutare l’equilibrio di una campana tenuta parzialmente fuori
dall’acqua (Figura 3.41); in questo caso la spinta esterna è nulla, poiché applicata dall’aria a
pressione atmosferica, ed esiste solo una spinta interna; per determinarla si applica l’equazione
globale al volume delimitato dalle superfici 1,2 e 3 , pieno d’acqua, e al volume delimitato dalle
superfici 3 e 4, pieno d’aria. Si ottiene per il primo volume :
1 + 2 + 3 + G = 0
1 = 0
2 = 3 + G;
3 = paria A n ;
p <p
a ria a tm 4
A
3
2 p.c.i. h
1
Figura 3.41
Si applichi ora l’equazione globale al volume delimitato dalle superfici 3 e 4; risulta :
59
Ga + 3 + 4 = 0 ;
4 = 3 = paria A n
Infine
S = 2 4 = - paria A n + G + paria A n = G.
Come nel caso precedente, la spinta é pari in modulo al peso del volume fluido spostato, ma
stavolta è diretta verso il basso. Per tenere la campana sollevata occorre applicarle una forza pari a
G + P diretta verso l’alto.
60
4.
Principi di cinematica dei fluidi
Nella visione classica del fenomeno di moto, i fluidi sono visti come un insieme di particelle. Il
moto di una particella è caratterizzata dalla velocità V che è funzione del punto in cui la particella si
trova e del tempo.
Consideriamo un gruppo di palline di ping-pong trasportate dalla corrente di un fiume.
Fissiamo l’attenzione su una di esse, che indichiamo con A, e scattiamo delle foto in successivi
Figura 4.3
istanti 1,2,3,4, rilevando le sue posizioni e velocità (figura 4.3). Un esempio potrà meglio chiarire i
caratteri delle componenti della velocità nel moto dei fluidi.
Il luogo dei punti occupati dalla pallina nei successivi istanti è detto traiettoria (figura4.4). Se
facciamo lo stesso per tutte le palline, avremo una visione d’insieme del fenomeno. Questo modo di
rappresentare il moto è noto come “punto di vista Lagrangiano” da Giuseppe Luigi LAGRANGE
(1736-1813), matematico e meccanico celeste, nato a
Torino, dove cominciò ad insegnare prima d’essere
chiamato a Berlino e Parigi.
Figura 4.4
Ora, invece che seguire una
singola pallina fermiamoci in
un punto di coordinate X0, Y0,
Z0, e scattiamo delle foto ad
intervalli di tempo t (figura
4.5).
Il vettore velocità apparirà
diverso da istante a istante.
Se facciamo lo stesso in più
punti avremo una visione di
insieme del fenomeno; solo
che le particelle che cogliamo
saranno diverse da istante a
istante (figura 4.6) Figura 4.5
61
Questo modo di rappresentare il moto è
il “Punto di vista Euleriano”, ed è
quello generalmente seguito
nell’Idraulica.
Leonhard Euler (pronunciato Oiler),
1707-1783 svizzero di Basilea, allievo
di Jean Bernoulli poi collega di Daniel
Bernoulli (pron. Bernullì), uno dei padri
Figura 4.6 della meccanica dei fluidi.
A A A A
x ,y ,z ,t
1 1 1 1
x ,y ,z ,t
2 2 2 2
x ,y ,z ,t
3 3 3 3
x ,y ,z ,t
4 4 4 4
Figura 4.7
Se invece prendiamo in considerazione il moto d’insieme (Figura 4.8a), in ciascun istante si
a)
C D
A B v(x ,y ,z ,t )
v(x ,y ,z ,t )
C C C 1
D D D 1
v(x ,y ,z ,t )
A A A 1 v(x ,y ,z ,t )
B B B 1
b)
Figura 4.8
potranno osservare delle linee di corrente: sono le linee tangenti al vettore velocità; le linee di
corrente si potrebbero vedere come una foto di tutte le palline con breve tempo di
esposizione(figura 4.8b).
Approfondimenti
Consideriamo nuovamente una traiettoria; le equazioni che la descrivono sono:
dx = u dt
dy = v dt
dz = w dt
62
perché dx, dy e dz sono le proiezioni del tratto ds percorso in dt. Possiamo osservare che si tratta di
equazioni differenziali; per integrarle dovremo conoscere le funzioni u, v, w e le condizioni iniziali.
Sia per esempio v = w = 0.
L’equazione della traiettoria è:
dx u dt
;
x u dt cost
x u 0 t t 0 x 0 -
nella quale è nota x in ogni istante t.
Le equazioni delle linee di corrente invece si possono ricavare osservando che deve essere (figura
4.9)
y
v
dx
dy
u x
Figura 4.9
v dy
u dx
-
w dz
u dx
Risulta dunque
dx dy dz
t t1 -
u v w
Anche queste sono equazioni differenziali e per integrarle dovremo conoscere le condizioni iniziali;
infatti
63
dx dy
u
v
-
64
4.4 Moto permanente e moto vario.
z
B A
t1 D C
x Figura 4.10a
y
z
E
t B A
2
D C
x
y Figura 4.10b
Dopo aver fatto le precedenti considerazioni, possiamo distinguere due diversi tipi di moto. Se la
velocità è effettivamente funzione del tempo, e cioè se
V = V (x, y, z, t)
il moto si dice vario; se invece la velocità non è funzione del tempo, e cioè se
V = V (x, y, z),
il moto si dice permanente.
Per comprendere i caratteri del moto vario, immaginiamo le palline trasportate in superficie dalla
corrente di un fiume, e fotografiamole all’istante t1 e poi all’istante t2; il moto è vario poiché la
velocità cambia da punto a punto e da istante ad istante (Figura 4.10 a e b).
Nel moto vario la pallina A si trova nell’istante t1 (Figura 4.10 a) nella posizione x(A), y(A), z(A) e
ha velocità v(A1); la pallina B si trova, nell’istante t1, nella posizione x(B), y(B), z(B) e ha velocità
v(B1); nell’istante t2 (Figura 4.10 a), la pallina B passa dalla posizione prima occupata dalla pallina
A, ma con velocità diversa da quella che nello stesso punto aveva A.
Per comprendere i caratteri del moto permanente immaginiamo ora le stesse palline trasportate dalla
corrente di un canale che passa su uno scivolo (Figura 4.11) senza variazione delle caratteristiche
del moto nel tempo; la velocità cambia da punto a punto, ma, in istanti diversi, è uguale nello stesso
punto. La pallina A percorre lo
scivolo, e, arrivata nel punto x1,
y1, z1, ha velocità v1 all’istante t1.
All’istante t2, guardando il punto
Figura 4.11 x1, y1, z1, vi si troverà la pallina
B, che però ha la stessa velocità
v1. Se ricordiamo l’espressione
della accelerazione secondo la
regola di derivazione euleriana, e
consideriamo il moto permanente
nel piano x, y, sarà
V V
au v -
x y
65
Nel moto permanente, V x e V y possono avere valori non nulli, come nel caso dello scivolo,
dove è evidente l’esistenza di una variazione della velocità secondo gli assi x e y.
66
4.6 Portata e velocità media
Consideriamo una linea chiusa che non sia una linea di corrente, e osserviamo le linee di corrente
che passano per tale linea chiusa in un certo istante t1.
L’insieme delle linee di corrente forma un “tubo di flusso” (Figura 4.14).
Figura 4.14
In un diverso istante t2, il tubo di flusso avrà cambiato forma, se il moto è vario.
Se la linea racchiude una superficie elementare d, che possiamo immaginare come la sezione di
una sola particella, il tubo di flusso elementare è un filetto fluido (Figura 4.15)
d
Figura 4.15
Sulla superficie elementare d, il vettore V relativo alla superficie stessa ha una componente
normale Vn e una componente tangenziale Vt (Figura 4.16)
Il prodotto
Vn d = dQ
tra Vn e l’area d è detto portata elementare.
Integrando sulla superficie finita , di cui d è parte, si ottiene:
Q V n d
67
ds
dQ d ;
dt
d ds = d è il volume che attraversa d nell’intervallo di tempo dt (Figura 4.17).
Occorre sottolineare che la portata è una grandezza
scalare. È infatti definita come integrale di uno scalare (il
modulo della componente normale della velocità, Vn) su
d una superficie.
Le dimensioni di Q sono quelle di un volume su un
d tempo, e cioè [L3 T-1].
Si definisce velocità media Vm il rapporto
Q
Vm
[L3 T-1][L-2]=[LT-1]
Esso dà la massa che attraversa nell’unità di tempo. La massa che attraversa in un tempo
elementare dt è
dM V d dt _
n
Vn
n
V>0
n
V<0
Vn
n
n
n
Figura 4.18
Per convenzione, assunto un tubo di flusso e tagliato lo stesso con due sezioni, in modo da definire
un volume , assumiamo positiva la normale entrante n.
La Vn sarà positiva se attraverso la superficie che si considera entra una massa fluida nel volume
definito; sarà negativa se esce una massa fluida (Figura 4.18).
68
Approfondimenti
4.7 Equazione di continuità forma locale
Consideriamo un volume , fisso nello spazio, e racchiuso da una superficie (Figura 4.19).
Indichiamo con e la superficie da cui entra fluido; u quella da cui esce fluido; x quella da cui non
entra né esce fluido.
Con riferimento alla figura 4.19, la massa entrata nell’intervallo di tempo dt è
dM e Vn d dt con e = 1 + 3
e
La massa uscita in dt è
dM u V n d dt
u
con u = 2 + 4
V n 2
2
V n 4
5
4
1
V n 1
V n 3
3 -
Figura 4.19
z
V n
Vnn
x
y -
Figura 4.20
t d u cos nx v cos ny w cos nz d -
u v w
x
y
z
d 0 -
t
Poiché può essere scritta per qualsiasi , l’equazione è sempre vera solo se
u v w
0-
x y z t
o anche
divV ;
t
che è l’equazione di continuità in forma locale; per fluidi incomprimibili, per cui non varia nel
tempo e nello spazio
70
0-
t
u v w
0 -
x y z
e infine
u v w
0-
x y z
o anche
divV 0 -
che è l’equazione di continuità in forma locale per i fluidi incomprimibili.
v/y<0
v
x
u
v
u/x>0
y v/y<0
Figura 4.21a
v/y>0
v
x
u
y u/x<0
v
v/y>0
Figura 4.21b
ds
d
dM = Q dt
e
Figura 4.22
72
Q
dM ds dt .
s
D’altra parte, all’interno del volume d la variazione di massa in dt è:
dM ds dt ;
t
poiché è dM = dMedMu risulta
Q
ds ds
s t
Q
0
s t
che è l’equazione di continuità in forma globale.
Per fluidi incomprimibili, essa diventa:
Q
0
s t
e per moto permanente:
Q
0
s
cioè Q costante lungo s.
Ricordiamo l’esempio dello scivolo: il fatto stesso che le sezioni non variano nel tempo ( t 0 )
mostra che la portata è costante lungo lo scivolo.
Ricordiamo l’esempio dell’onda che percorre il canale; il fatto stesso che le sezioni idriche variano
nel tempo ( t 0 ) mostra che anche la portata dovrà variare nello spazio ( Q s 0 ), oltre che
nel tempo.
Consideriamo infine il caso del moto all’interno di una tubazione; se supponiamo la densità
costante, poiché la sezione non varia nel tempo, non vi potrà essere una variazione di portata nello
spazio: la portata rimane costante da un punto all’altro anche nei transitori. Un tronco fluido
contenuto nella tubazione si può arrestare o mettere in movimento solo comportandosi come un
cilindro rigido, e cioè variando la sua velocità in ugual modo in tutti i punti istantaneamente. Con
questo schema, detto della colonna rigida, è possibile studiare il fenomeno del moto vario di un
liquido incomprimibile in una condotta indeformabile.
73
5.
L’energia nel moto dei fluidi
75
Se non vi sono perdite di energia (per attrito o per urto) questa rimane costante lungo la traiettoria
p 1
P z m v 2 cost
2
e dividendo per il peso
p v2
z cost
2g
Il trinomio, z + p/+ v2/2g rappresenta l’energia dell’unità di peso. I tre termini hanno le dimensioni
di una lunghezza. Infatti
z [L]
p/ [M L-2 T-2] / [M L T-2 L-3] = [L]
2
v /2g [L2 T-2] / [L T-2] = [L]
Sarà bene avere subito un’idea quantitativa delle grandezze in gioco.
z è la quota, che può al più essere di migliaia di metri;
p/ è l’altezza piezometrica, che può variare da pochi metri fino a centinaia di metri;
v2/2g è l’altezza cinetica, che
per velocità da 1 a 10 m/s varia
da 0,05 a 5 m.
x y z
F dx dy dz dx dy dz dx dy dz A ,-
x y z
Facciamo l’ipotesi che esistano solo sforzi normali, come in idrostatica. In questo caso le particelle
non subiscono azioni tangenziali. Un fluido che si comporta così, come già si è detto, è un fluido
perfetto.
In tal caso
F - A grad p -
poiché è
xx yy zz p -
con
p p p
grad p i j k-
x y z
Nel campo di gravità F = g; inoltre notiamo che si può scrivere
g g grad z -
g grad z grad p A -
e se si considera il fluido incomprimibile, dividendo per g,
p 1 dv -
grad z
g dt
Approfondimenti
v s
Figura 5.3
v v s, t -
Derivando con la regola di derivazione euleriana lungo s, si ottiene
dv v ds v
-
dt s dt t
ds
ma v
dt
e osservando che:
77
v 2 v
2v
s s
-
v 1 v 2
s 2 v s
risulta
dv 1 v 2 v
v -
dt 2 v s t
proiettando sulla tangente l’equazione indefinita nella forma :
p 1 dv
grad z -
g dt
si ottiene l’equazione scalare:
p 1 1 v 2 v
z -
s g 2 s t
cioè
p v2 1 v
z ,
s 2g g t
p v2
e, nell’ipotesi di moto permanente, z cost lungo la traiettoria .
2g
78
H=cost Linea dei carichi totali
2
v /2g 2
v /2g
1
2
2
v /2g
3
p / Piezometrica
p /
1
p /
2
Traiettoria
z 1
z z 3
2
z=0
Figura 5.4
In conseguenza del fatto che i termini del trinomio di Bernoulli hanno le dimensioni di una
lunghezza, é consuetudine rappresentarne graficamente i valori, in ogni punto lungo la traiettoria.
Nel caso del moto permanente, assunto un riferimento z = 0, si potrà dunque tracciare una linea che
rappresenta la somma z + p/ + v2/2g = H; essa é detta linea dei carichi totali, e sarà orizzontale
(figura 5.4).
Dalla linea dei carichi totali, portando verso il basso un segmento pari a v2/2g, si può ottenere in
ogni punto il valore della quota piezometrica.
La linea che raccorda le quote piezometriche di tutti i punti si chiama linea piezometrica; la
distanza della piezometrica dalla traiettoria, presa sulla verticale, indica l’altezza piezometrica:
basterà moltiplicare tale valore per per ottenere la pressione nel punto della traiettoria.
v /2g
1
2
2
v /2g
3
v /2g
2
p / 1 Piezometrica
p /3
p / 2
Traiettoria
z z
1
z 2
3
z=0
Figura 5.5
È il caso di notare che, come accade in figura 5.5, l’altezza cinetica può essere tale da portare la
quota piezometrica al di sotto delle traiettoria; quando ciò accade, l’altezza piezometrica va
considerata negativa; infatti, sommando successivamente i segmenti z, p/ e v2/2g si deve comunque
arrivare ad H.
Si deve infine ricordare che deve anche risultare: p 10,33m .
79
Questa disuguaglianza stabilisce un limite fisico che occorrerà verificare in ogni caso.
Approfondimenti
5.5 Teorema di Bernoulli per le correnti lineari
Riprendiamo l’espressione ottenuta dall’equazione di equilibrio:
p 1 dv
grad z -
g dt
Proiettando sulla tangente si ha, come già visto:
p 1 v 2 1 v
z -
s 2 g s g t
p v2
e per moto permanente: z 0.
s 2 g
Proiettando sulla normale, sempre per moto permanente (figura 5.6):
p 1 v dn
z ;-
n g n dt
b s
Figura 5.6
v dn v2
ora, , che é l’accelerazione centripeta, dove r é il raggio di curvatura; quindi:
n dt r
p 1 v2
z -
n g r
ed inoltre proiettando sulla binormale, se il moto è piano (r=∞):
p
z = 0
b
Ora una corrente si dice lineare o gradualmente variata quando i filetti sono rettilinei e paralleli.
80
p /0
z 0
z=0
Figura 5.7
p p
In tal caso r , v 2 r 0; z 0 ; d’altra parte z = 0 e quindi la quota
n b
piezometrica (z + p/) non varia né secondo n, né secondo b, e perciò rimane costante sulla sezione
della corrente.
Su una sezione verticale, si ha lo stesso risultato che in idrostatica; se la sezione è inclinata e i filetti
sono rettilinei e paralleli, si potrà tenere conto ancora di una quota piezometrica unica (figura 5.7).
Essa si potrà individuare con riferimento alla quota z0 del baricentro e alla pressione p0 nello stesso
punto.
È ovvio che, essendo
p
z cost -
nella sezione le pressioni variano linearmente (figura 5.8).
Abbiamo visto che nel moto permanente di un fluido perfetto, pesante e incomprimibile, lungo ogni
traiettoria risulta:
p v2
H z cos t ;
2g
p /1
p /
2
z 1
z 2
z=0
Figura 5.8
siamo poi pervenuti alla conclusione che, per le correnti lineari, z + p/ é da considerare costante
sulla sezione. Di solito interessa poter trattare il moto di un fluido non per singole traiettorie, ma
globalmente; infatti, si ricorderà che per le correnti si é ricavata l’equazione di continuità in forma
globale, che permette di conoscere la variazione di grandezze complessive per la sezione, come
portata e area della sezione stessa.
E’ opportuno pertanto trovare il modo di estendere il teorema di Bernoulli a una corrente. A tal fine
81
definiamo la potenza dP di un filetto fluido di portata dQ come
dP dQ H -
Si può verificare facilmente che si tratta di una potenza: infatti, dP =
Peso volume Energia Energia
.
volume tempo Peso tempo
Integrando per tutta la portata Q, si ottiene la potenza della corrente:
P dQ H -
Se non vi sono dissipazioni di energia lungo la direzione della corrente, P rimane costante:
P cost
Scriviamo ora dQ = v d, per trasformare l’integrale sulla portata in integrale sulla sezione
P H v d cost -
p v2
P z v d cost -
2 g
Sarà anche:
p v3
P z v d d cost -
2g
v3
dove d rappresenta la potenza cinetica della corrente.
2g
Nelle correnti lineari, z + p/ é costante nella sezione, quindi:
p v3
P z vd d cost .
2g
vm3
Consideriamo il termine relativo alla potenza cinetica; dividendo e moltiplicando per , dove vm =
Q/ segue:
v 3 vm3 1 2 v 3 d 2
d vm Q 3 vm Q ;
2 g vm 2g 2g
3
vm
v 3 d
con vm3 si è indicato il rapporto tra la potenza cinetica effettiva della corrente e la potenza
cinetica di una corrente con la stessa portata e con velocità costante sulla sezione e pari alla
velocità media. È infatti, anche
v d
3
.
vm3
Il coefficiente prende il nome di “ di Coriolis”, il quale per primo ne propose la valutazione.
82
Risulta dunque, per una corrente lineare:
p 1
P Q z v m2 Q cost -
2g
Pertanto
p v m2
Q( z ) cost -
2g
e quindi
p vm2
z cost -
2g
v /2g
2
1
2
p /
2
p /
1
z 2
z 1
z=0
Figura 5.9
E’ un semplice strumento inventato nel 1732 da Henry de Pitot, che lo adoperò per misurare la
velocità della corrente della Senna a Parigi. Esso era in origine costituito da un tubicino di vetro
piegato ad angolo retto (figura 5.10). Un’estremità veniva immersa nell’acqua, contro corrente,
mentre l’altra veniva tenuta in posizione verticale. All’interno del tubicino si poteva osservare la
risalita dell’acqua fino a un livello che risultava proporzionale al quadrato della velocità.
83
2
v /2g
A
p /0
p / A
A
o
z A
z 0
Figura 5.10
Si osservi infatti il moto di una particella A, che partendo da una posizione vicinissima alla punta
del tubicino immersa nell’acqua, viene a contatto con il liquido contenuto all’interno del tubicino
nel punto O, all’imbocco del tubicino stesso, detto “punto di ristagno”. Applichiamo il teorema di
Bernoulli tra i punti A e O. Risulta.:
pA v2 A z pO v 2O
zA
2g O
2g
pO pA
Ora si noti che vO è nulla e che, posto z O
z
( A
) , si trova :
v A 2 g
La quota del livello liquido all’interno del tubicino è pari al carico totale della traiettoria; ecco
perché si dice pure che lo strumento segnala un carico totale.
Successivamente, lo strumento fu modificato da Prandtl, un fisico tedesco che intorno agli anni
trenta fu a capo di una famosa scuola di meccanica dei fluidi a Gottinga. Il tubicino che misura il
carico totale fu ridotto a dimensioni molto piccole, e fu collocato all’interno di un altro tubicino,
con la punta chiusa e ben rastremata, e sui lati del quale si aprono delle piccole aperture (figura
5.11). L’apertura del tubicino centrale si dice presa dinamica, quelle laterali si dicono prese statiche
o prese piezometriche. Collegando un piezometro a ciascuno dei due tubicini, è possibile
visualizzare sia il carico totale che la quota piezometrica, per misurarne la differenza.
L’apparecchio può essere introdotto all’interno di condotti chiusi per misurare la velocità.
2
v /2g
A
A
v A
o
Figura 5.11
Si noti che per v=1 m/s, risulta v2/2g = 5 cm circa. Se l’errore sul livello dei piezometri è di 1 mm
ciascuno, ne deriva un errore massimo di 2 mm, che, rapportato ai 50 mm della misura, rappresenta
il 4%; per determinare l’errore che si commette sulla velocità, si ricordi che è
v 2 g -
dv 1 2 g d
-
v 2 2 g
cioè
dv 1 d
-
v 2
p p
z A A z B B
Figura 5.12
Il teorema di Bernoulli tra le
sezioni A e B dà
pA v A2 pB v B2
zA zB
2g 2g
cioè
v B2 v A2
2 g 2 g
e poiché Q v A A v B B si avrà
Q 2 1 1
2 2
2g B A
se poniamo m B A
85
Q 2 2A 2B Q 2 2A 2B Q 2 1 Q 1 m
2 2
1
2g 2A 2B 2 g 2A 2B 2 g 2A m 2 2g A m
2 2
m Q 2 1 m 2
2 g 2A m 2
A 2g m m
Q cost
1 m2
A 2g m m
cost
1 m2
L’errore nella misura di Q è rappresentato dal suo differenziale dQ. Ammettendo che l’errore
commesso nella stima della costante sia trascurabile, risulta in valore assoluto
d
dQ cos t
e l’errore relativo sarà
dQ 1 d
Q 2
In Idraulica si dice “Luce” un’apertura praticata sulla parete o sul fondo di un serbatoio e dalla
quale fuoriesce una corrente liquida, detta “vena effluente”. Una luce è detta “in parete sottile” se
presenta uno “spigolo vivo” come in figura 5.13.
Spigolo vivo
Figura 5.13
La luce si dice “a battente” se tutto il suo contorno è al di sotto della superficie libera del serbatoio,
si dice “a stramazzo” se invece la superficie libera passa attraverso la luce. Tratteremo le luci a
stramazzo nel capitolo dedicato alle correnti a superficie libera. In una luce a battente (figura 5.14)
si distinguono
le seguenti grandezze:
b = battente
= area della luce
86
h = carico sulla luce
Si deve precisare che, nel suo percorso dall’interno verso l’esterno, una particella non può trovarsi
su una traiettoria parallela alla parete e quindi improvvisamente distaccarsi da questa con un brusco
cambio di direzione. Se così fosse, al cambio di direzione, sarebbe r = 0, quindi v2/r = .
Poiché dev’essere
p 1 v2
z ,-
n g r
p
z ,-
n
quindi ci sarebbe lungo la normale una variazione di quota piezometrica : e poiché la quota ha una
variazione finita, la pressione passerebbe da un valore finito ad un valore infinito, ciò che è
impossibile.
Al contrario, la traiettoria presenterà un graduale cambio di direzione. Se la bocca a battente ha uno
spigolo vivo, le traiettorie più esterne si presentano come in figura 5.15.
I filetti fluidi, in altri termini, convergono
verso la luce e proseguono con traiettorie
convergenti anche all’esterno di questa. Si
dice sezione contratta, di area c, la prima
sezione dopo la luce in cui i filetti si
presentano rettilinei e paralleli. Tuttavia, in
questa sezione non si ha una distribuzione
idrostatica delle pressioni, quindi non si può
ritenere z+p/ = cost. Infatti sul contorno é
sempre p = 0, mentre z varia.
Si definisce “coefficiente di contrazione “ Cc
il rapporto tra la sezione contratta e la
sezione della luce (figura 5.15) :
87
Kirchoff diede, per via teorica, la seguente espressione del coefficiente di contrazione:
Cc 0,611 .
2
Una luce può presentare uno spigolo arrotondato, come in figura 5.16. In questo caso la traiettoria
può seguire il contorno della luce, non vi sarà una sezione contratta e risulta Cc = 1.
Un ugello è un dispositivo di cui sono generalmente dotate le tubazioni da cui effluisce liquido.
Esso consiste in un graduale restringimento della sezione della tubazione, fino alla sezione di
efflusso. Anche gli ugelli presentano una sezione contratta e un coefficiente di contrazione di solito
superiore a 0,6. (figura 5.17). Se l’ugello è accuratamente conformato, il coefficiente di contrazione
può arrivare a 1 (figura 5.18).
Un diaframma (figura 5.19) è costituito da un piatto, inserito all’interno della tubazione e nel quale
è praticato un orifizio a spigolo vivo. Anche in questo caso si stabilirà un coefficiente di
contrazione.
Se risulta :
0,25 1
c
con / = rapporto di strozzamento ,
si troverà :
0,6 CC 1
Figura 5.19
Q 2 1 1
2
2 g c
2
e poiché è c = Cc = Cc m ,
88
Q 2 1 Cc2 m 2
2 g Cc2 m 2
risulta
Q f ( m, C c ) 2 g .
Applicazioni
Sul fondo di un recipiente sia aperta una luce di diametro D (figura 5.20). L’esperienza mostra che
alla distanza pari a D/2 si forma una sezione contratta. Si ricorda che in genere nella sezione
contratta le traiettorie si possono considerare sensibilmente rettilinee e parallele. Nel caso in esame,
la sezione contratta è orizzontale, cioè la superficie è equipotenziale ed isobara, e poiché la
pressione è nulla sul contorno, dovrà esservi pressione nulla anche in tutti i punti interni. Nella
sezione in corrispondenza della luce, a causa della curvatura delle traiettorie, le pressioni sono
crescenti dal contorno verso il centro, dove raggiungono un massimo pari all’incirca a 0,6 h.
Applichiamo il teorema di Bernoulli tra un punto A all’interno del recipiente e un punto B sulla
sezione contratta; risulta:
pA v A2 p v2
zA zB B B
2g 2g
p /A
z A
B
z B
z=0
Figura 5.20
Si tenga presente ora che vA è trascurabile e che inoltre è pB=0. Si troverà pertanto
89
vB2 p
z A A zB h
2g
Si potrà notare che alla diminuzione di energia potenziale per unità di peso h+ corrisponde un
incremento di energia cinetica v2B/2g, sempre per unità di peso. Essendo molto più piccolo di h, si
può porre v B 2 gh . Evangelista Torricelli (1608-1647), allievo di Galileo, trovò per primo
che la velocità d’efflusso è proporzionale alla radice quadrata del carico h, e perciò la formula
v B 2 gh è detta “velocità torricelliana”.
In realtà, poiché l’ipotesi di liquido perfetto non è completamente rispettata, si riscontra nella
sezione contratta una velocità vc leggermente inferiore alla velocità torricelliana:
v c CV 2 gh
2g 2g
ma, detta v la velocità media nella sezione della luce, risulta v c C c v , quindi
vc2 0,04 v 2 v2
0,04 2 0,112
2g Cc 2 g 2g
Pertanto la perdita di carico nell’efflusso da bocca a battente a spigolo vivo é dell’ordine di 0,1
v2/2g.
Si deve osservare che sulla sezione contratta non vale la legge di variazione idrostatica delle
pressioni. In realtà le particelle in caduta libera non interagiscono l’una sull’altra proprio perché,
mancando delle pareti che contengono la vena liquida, non si sviluppano spinte sul contorno della
stessa, dove la pressione è quella atmosferica. La pressione rimane nulla in tutta la sezione, ed è
quindi nulla anche nel punto B.
90
A
d=1/100 h
h
z A d B c
z
B
z=0
Figura 5.21
v B2
h , da cui v B 2 gh
2g
La velocità d’efflusso varia quindi con la quota del punto B. Tuttavia, se la sezione contratta ha
diametro dell’ordine di 1/100h, la variazione sarà molto piccola, e si potrà considerare la velocità
costante.
In realtà, poiché l’ipotesi di liquido perfetto non è completamente rispettata, si riscontra una
velocità leggermente inferiore alla velocità torricelliana:
v CV 2 gh
c. Luce rigurgitata
La luce si dice rigurgitata quando essa è aperta in un setto posto tra due serbatoi. Nel caso della
figura 5.22, la luce sta su un piano verticale, e la sezione contratta si forma all’interno del serbatoio
avente superficie libera più bassa.; i punti del contorno della sezione contratta sono in equilibrio
con il liquido in quiete all’interno del serbatoio dove la vena sbocca, perciò su tutta la sezione la
distribuzione delle pressioni è idrostatica con quota piezometrica individuata dalla superficie libera.
91
p /
A
A h
p /B
H z A
B
z B
z=0
Figura 5.22
pA v A2 p B v B2
zA zB
2g 2g
pA p
vB 2g ( z A zB )-
p /
A
A
2
v /2g
B
h
p / B
z A B
z B
z=0
Figura 5.23
La velocità d’efflusso varia quindi con la pressione p e con la quota del punto che si considera.
92
Detto hB il carico sul baricentro della luce, con le stesse considerazioni fatte per la vena sboccante
p
in atmosfera, si ottiene Q 2 g (hB ) .
Q 2 g (hB 10,33) .
Una luce si dice a contrazione parziale se la vena non è libera di contrarsi su tutto il contorno della
luce, ma è in qualche modo avviata verso una parte di esso. Ciò avviene, per esempio, nell’efflusso
al di sotto di una paratoia piana da un serbatoio verso un canale . La paratoia, che altro non è se non
una lama verticale che scorre se guide solidali alla parete del serbatoio, abbia larghezza b e la luce
abbia altezza a (figura 5.24).
p /
A
H
z
A
a p /
z
B
B B
z=0
Figura 5.24
A valle della luce si formerà la sezione contratta, che, in questo caso, apparterrà a un piano verticale
appoggiato sul fondo del canale. Avremo pertanto sulla sezione contratta una distribuzione
idrostatica delle pressioni, con valore nullo in corrispondenza della superficie libera della vena
effluente. Poiché nella sezione contratta la quota piezometrica è costante, sarà cosante nche la
velocità.
Applicando al solito il teorema di Bernoulli tra un punto A e un qualsiasi punto B della sezione
contratta, si ottiene
pA v A2 p v2
zA zB B B ;
2g 2g
pA
considerando vA=0, e posto z A H ,
si trova
pB
vB 2g (H z B )
per quanto detto, vB è costante sulla sezione contratta. Si può d’altra parte porre
93
pB
Cc a z B ,
e quindi ricavare
v B 2 g ( H Cc a ) .
Il coefficiente di contrazione e uguale a 0,61 per H>>a e b>>a, ma può assumere valori maggiori
negli altri casi. La portata è data da
Q C c C v ab 2 g ( H C c a )
Bocca
addizionale
esterna
Figura 5.25
Infatti, nella sezione contratta, dove aumenta l’energia cinetica, si forma una depressione pari a ¾ h.
Ciò fu mostrato sperimentalmente dall’idraulico italiano Giambattista Venturi , nato nel 1746 e
morto nel 1822, applicando un piezometro al tubo, come in figura 5.26, dalla quale è possibile
rilevare anche l’andamento della piezometrica .
94
A
h
C B
3/4 h
Figura 5.26
È importante notare che non può mai risultare ¾ h > 10,33, altrimenti si avrebbero pressioni
assolute negative.
Applicando il teorema di Bernoulli da un punto A nel serbatoio ad un punto C nella sezione
contratta, risulta:
pA pC vC2
zA zC -
2g
pA
zA zC h -
pC 3
h-
4
vC2 3
h h;
2g 4
da cui
3
vC 2 gh 1 1,32 2 gh -
4
Si è quindi ottenuto:
Q 0,61 v C 0,8 2 gh -
mentre si ricorda che nell’efflusso da bocca a spigolo vivo risultava:
Q 0,6 2 gh -
Si osservi che per h > 13,75 m, risulta vC 2 g h 10,33 ., che è il massimo valore possibile della
velocità nell’efflusso con bocca addizionale esterna.
Come per la bocca a spigolo vivo, anche in questo caso si può valutare una perdita di carico.
Nella sezione terminale, la velocità risulta infatti :
95
Q
vB 0,8 2 gh -
e il carico sarà:
v B2
0,64 h -
2g
v B2
La perdita di carico è dunque pari a 0,36 h, ovvero a 0,56 .
2g
A
h
C =D/2
2.5 D
D
Figura 5.27
Nel caso di bocca addizionale interna con tubo orizzontale (figura 5.28), si otterrà ancora :
96
h
Figura 5.28
vC 2 g h -
In questo caso, come per lo sbocco in atmosfera, si deve ritenere che la velocità vari da punto a
punto della sezione d'efflusso.
97
6.
Il moto in condotta dei liquidi perfetti
Abbiamo inteso per liquido perfetto un liquido in cui non ci sono azioni tangenziali tra le particelle;
il carico è quindi costante lungo le traiettorie.
Possiamo ora trarre conclusioni per il moto dei fluidi perfetti in una condotta.
I due serbatoi A e B siano tali da presentare livello della superficie libera costante nel tempo;
l’imbocco della tubazione sia ben raccordato (figura6.1).
Carichi totali 2
v /2g
p /
1
A Piezometrica 2
1
B
H p /
2
z h
1
2
z 2
z=0
Figura 6.1
Nella sezione di sbocco i filetti sono rettilinei e paralleli quindi la distribuzione delle pressioni è
idrostatica. D’altra parte la pressione che agisce sul bordo della corrente all’uscita è in equilibrio
con quella agente sul liquido in quiete nel serbatoio, pertanto la distribuzione idrostatica della
pressione nella corrente è uguale a quella del serbatoio e la quota piezometrica della sezione di
sbocco coincide con il livello del pelo libero.
Quindi posto
p p
z1 1 z 2 2 H h
risulta
98
v 2 2 g H h
e per la portata si ha
Q v2
Se nella sezione finale è z p cost , v2 risulta costante nella sezione; infatti è possibile ottenere
lo stesso risultato per qualsiasi punto della sezione stessa; sarà quindi v2= vm ed il coefficiente di
Coriolis risulta pari a 1.
v 3 d
1
v 3
m
Ora, facendo riferimento alla procedura seguita, ci si rende conto che il carico totale H è stato otte-
nuto considerando z1 e p1/ pertanto la linea dei carichi totali si traccia da monte ed è l’orizzontale
passante per la superficie libera del serbatoio di monte. Nella sezione di sbocco la quota
piezometrica è rappresentata dalla superficie libera del liquido presente nel serbatoio. La distanza da
esso dalla linea dei carichi totali è l’altezza cinetica.
Poiché la condotta è a diametro costante, ed è costante lungo di essa la portata, anche l’altezza ci-
netica è costante; pertanto la linea piezometrica si può tracciare da valle, ed essa è l’orizzontale pas-
sante per la quota z2 + p2/
Anche in questo caso i livelli dei serbatoi A e B siano fissi nel tempo e l’imbocco sia ben raccor-
dato.
Carichi totali
2
v /2g
A 1
v /2g
2
1 Piezometrica 2
H B
D D
1
2 h
2
z=0
Figura 6.2
99
4Q 4Q
v1 ; v2
D12
d 22
Approfondimenti
Si voglia ora studiare l’andamento della piezometrica nel convergente. A tal fine si ricorda che, nel
moto permanente
p v v
z -
s g s
100
2 p
z 0 -
s 2
e la concavità è verso il basso.
v /2g
2
2
Piezometrica
d B
H d
1
d2 h
z=0
Figura 6.3
In particolare
4
v 22 d 1 v12
2 g d 2 2g
v12 v2
(se d 2 1,5 d 1 , 5,06 2 )
2g 2g
Il tratto in cui la piezometrica è al di sotto dell’asse della condotta è in depressione; in nessun punto
p
però dovrà risultare 10,33 m
101
6.4. Sbocco in atmosfera
Consideriamo il serbatoio in figura 6.4, con tubazione che sbocca in atmosfera a quota zs; anche in
questo caso
v 2 g H z s
102
In realtà, nel passaggio dal moto a canaletta al moto a sezione piena, nella sezione di quota z1 ven-
gono a mancare le condizioni per l’applicazione del teorema di Bernoulli alla corrente: infatti i
filetti liquidi non sono affatto rettilinei e paralleli, ma subiscono una brusca deviazione.
In questo caso non ha più senso ritenere che l’energia si conservi; anche se il liquido è perfetto,
nella sezione 1 esiste una perdita di carico dovuta alla brusca deviazione dei filetti liquidi.
Nel caso mostrato, esiste una massima portata scaricabile:
Qmax 2 g h 10,33
In altri termini, dato il carico sull’imbocco, non si può aumentare a piacere la portata abbassando
semplicemente la quota dello sbocco.
Q vC C C
La velocità in condotta è:
Figura 6.6 Q
vB
Ad esempio se d = 0.5D
0,5 D 2
0,25
D2
e con CC = 0,8, risulta
v B C C 0,25 v C 0,2 v C
v B2 v2 v2
0,2 2 C 0,04 C
2g 2g 2g
Approfondimenti
Si noti che con una riduzione di diametro nel rapporto di 0,5 si ha una riduzione di altezza cinetica
nel rapporto 0,04 e una riduzione di velocità nel rapporto 0,2.
Nel caso senza ugello la massima portata è
103
Q 2 g h 10,33
nel caso con ugello la portata è
Qu C C 2 g z A z C 0,25 C C 2 g z A z C 0,2 2 g z A z C
In generale è Qu>Q se
CC 2 g z A zC 2 g h 10,33
e con
m
1
2 g z A zC 2 g h 10,33
mCC
ovvero
1
z A zC h 10,33
m CC2
2
6.6. Sifoni
Si chiama “sifone” una tubazione che collega due serbatoi passando al di sopra del piano dei carichi
iniziali di quello posto a quota maggiore. Se osserviamo la condotta rappresentata in figura 6.7 si
ha:
p
v B 2 g z A z B B 2 gH
Q vB
La piezometrica, come sempre, è parallela alla linea dei carichi totali, e dista da essa v2/2g.
Tracciata la piezometrica, si nota che ci sono punti della condotta a quota superiore alla linea dei ca-
richi totali. Per fare arrivare l’acqua in tali punti, è necessario creare una depressione nella condotta,
che in questo caso si chiama sifone.
Possiamo creare all’interno del tubo pressioni inferiori alla pressione atmosferica molto facilmente:
basta riempire d’acqua un tubo curvo, tenerne chiuse le due estremità e immergerle poi ciascuna in
un serbatoio.
Operando in altro modo, è possibile creare una depressione all’interno del sifone attraverso
un’apposita pompa che aspira l’aria, creandovi il vuoto e facendovi risalire l’acqua.
104
Sarà bene notare che “aspira” è un modo di dire: in realtà la pompa espelle aria dall’interno del
tubo; l’aria rimasta diminuisce di densità, a parità di volume; si genera perciò una pressione infe-
riore a quella atmosferica, poiché per la legge dei gas è p/ = cost e per effetto della pressione
atmosferica agente sulla superficie libera dei serbatoi Ae B il liquido sale nel sifone. E’ evidente
che l’altezza massima sul pelo libero a cui il liquido può giungere per effetto della diminuzione di
pressione nel sifone è quella che si ottiene per una pressione nulla all’interno del sifone cioè 10.33
m.
Quando apriamo l’estremità posta nel serbatoio con livello più basso, si produce il moto. Perché?
È facile notare che l’acqua contenuta nella parte di tubo che si trova al di sopra della superficie
libera si trova a pressione inferiore a quella atmosferica: essa infatti non è a contatto con
l’atmosfera, e la pressione assoluta è in tutti i punti inferiore alla pressione atmosferica.
Quando apriamo l’estremità in B del tubo, nella massa d’acqua continua contenuta nel recipiente A,
nel tubo e nel recipiente B non possono esistere due livelli a quota differente; il liquido tenderà a
passare dal recipiente A, dove ha maggiore energia, al recipiente B, come del resto suggerisce il
teorema di Bernoulli.
A Carichi totali
p /
C
v /2g
v /2g
H
2
2
C
B
z C
Piezometrica
p /
B
B
z B
z=0
Figura 6.7
Tuttavia la portata scaricata dal sifone, una volta innescato il moto, dipende dal dislivello fra i peli
liberi nei due serbatoi. Ma, in ogni caso, vi è un limite alla portata scaricata, perché in nessun punto
la piezometrica potrà trovarsi a 10,33 m dalla quota geometrica della particella.
Nel caso rappresentato in figura 6.8, e cioè se la piezometrica tracciata da valle arriva a -10,33 m
dalla tubazione, da tale punto a monte la piezometrica simanterrà parallela ala tubazione stessa;
essa quindi passerà dal punto M’ a distanza di -10,33 m dal punto M più alto del sifone; da qui a
monte sarà rettilinea ed orizzontale (liquido perfetto); questa posizione determina la velocità, perché
il segmento v2/2g è la distanza dalla linea dei carichi totali, orizzontale per il livello di A; dal livello
di B si traccia la linea piezometrica verso monte seguendo l’orizzontale finché la distanza dalla
generatrice superiore del tubo non tocca i -10,33 m (figura6.8).
105
M
H
10,33
A
Carichi totali H
10,33
v /2g
2
v /2g
2
A Piezometrica M'
Figura 6.8
Da qui fino al punto M’ essa rimane parallela alla generatrice superiore del tubo.
Nel tratto in depressione il moto è anche in questo caso a canaletta. La velocità fino al punto M
risulta:
v 2 g z A z M 10,33
Inoltre, essendo
v2
z A H z B ,
2g
sarà
v2
H z A z B ;
2g
pertanto
v2
zA zB z M z B 10,33 ;
2g
v2
zA z M 10,33
2g
Si deve notare però che nel tratto in depressione la corrente è accelerata, e che nella zona di ritorno
a corrente in pressione si abbandona evidentemente l’ipotesi di corrente lineare (filetti rettilinei e
paralleli, quota piezometrica unica) per la quale è valido il teorema di Bernoulli per le correnti.
106
Si consideri infine che, nei casi esaminati, è spesso utile tracciare la linea dei carichi totali assoluta
e la piezometrica assoluta: esse non sono altro che le linee più alte di 10,33 m rispetto alla
corrispondente linea dei carichi totali e linea piezometrica relative, e fanno quindi riferimento alle
pressioni assolute (figura6.9).
p /
a tm
Carichi totali
A B
Figura 6.9
Nel caso a, il punto più alto M del sifone rimane al di sopra della linea dei carichi totali assoluta:
non vi può essere nessuna particella liquida nel punto M, quindi non si verifica il moto.
Nel caso b il punto M si trova al di sotto della linea dei carichi totali assoluta e si può verificare il
moto.
Si traccia la piezometrica assoluta partendo da 10,33 m dal livello B, proseguendo in orizzontale
fino alla superficie superiore del tubo, poi seguendo questa fino al punto M e da qui a monte oriz-
zontalmente.
Piezometrica
assoluta M
p /
a tm
10,33
10,33
Carichi totali
v /2g
2
v /2g
2
Piezometrica M'
A B
Figura 6.9b
107
La distanza dalla linea dei carichi totali assoluta determina la velocità, poiché rimane vero che è
pa v2
z cost
2g
anche quando le pressioni sono considerate pressioni assolute.
108
7.
Equazione globale dell’idrodinamica
Consideriamo una massa fluida in moto, che in un certo istante t1 occupi il volume 1 ds1 (figura
7.1).
Sia v1 la velocità
all’istante t1;
immaginiamo ora che,
all’istante t2 = t1+dt, la
massa considerata vada
ad occupare il volume
2ds2 e possegga la
velocità v2.
Ricordando che nella
Meccanica la quantità
di moto di un corpo è
un vettore dato dal
prodotto della massa
del corpo per la sua
velocità, poichè 1
Figura 7.1 ds1 è la massa fluida
interessata, potremo
dire che la quantità di
moto iniziale è
1 ds1 v1 .
La quantità di moto finale è, allo stesso modo
2 ds2 v2.
Le forze che agiscono sono le forze di massa, G, e quelle di superficie . La risultante è G + .
L’impulso della forza risultante nell’intervallo dt è
(G+) dt .
Per il teorema dell’impulso, l’impulso di una forza che durante un intervallo dt agisce su un corpo è
uguale alla variazione della quantita di moto del corpo stesso ; pertanto :
(G+) dt = 2 ds2 v2 - 1 ds1 v1 ;
dividendo per dt :
G+ = 2 v2 v2 - 1 v1 v1;
109
L’uguaglianza dei vettori G+ e Q(v2 - v1) è mostrata dalla figura 7.1. Poniamo :
Qv1 = M1
Qv2 = M2.
Pertanto risulta
G+ + M1- M2 = 0
detta equazione globale dell’idrodinamica.
Si noti che M1 e M2 , che in idraulica chiamiamo “quantità di moto”, hanno le dimensioni di una
forza ; esse sono in effetti una quantità di moto nell’unità di tempo :
ds
M = v.
dt
è la risultante delle forze di superficie, quindi tiene conto sia di quelle che agiscono sulla
superficie solida , sia di quelle che agiscono sulle superfici liquide 1 e 2 da cui il fluido
rispettivamente entra ed esce.
Come esempio, consideriamo ora un tratto di tubazione curva in un piano orizzontale (figura 7.2), in
cui defluisca, in moto permanente, un liquido incomprimibile, e proponiamoci di determinare la
spinta che il liquido esercita sulla parete della curva stessa. Applichiamo l’equazione globale al
volume contenuto nella curva. Risulta :
G+ + M1- M2 = 0 ;
la spinta che la superficie di contorno
esercita sul fluido all’interno della curva si
può scomporre come segue :
= 1 + 2 +L
G + 1 + 2 + L + M1- M2 = 0 .
La spinta S che si vuole determinare è uguale e contraria a quella esercitata dalla parete della curva ,
quindi
S = - L = G + 1 + 2 + M1- M2.
Consideriamo le forze che agiscono sul piano orizzontale; l’equazione precedente diventa :
S o= 1 + 2 + M1- M2.
110
I moduli dei vettori che compaiono
nella precedente equazione risultano
:
Approfondimenti
7.2 L’equazione globale nel moto vario
Per una dimostrazione più completa, consideriamo un volume isolato nella spazio, racchiuso da
una superficie , attraverso la quale passa una massa fluida. Tale volume viene detto “volume di
controllo” (figura 7.4).
Figura 7.4
111
sono funzioni delle coordinate del punto della massa fluida che si considera, oltre che del tempo ,
cioè :
F = F (x,y,z,t)
A = A (x,y,z,t)
= (x,y,z,t).
Integrando l’equazione indefinita sul volume si ottiene :
x y z
(F - A) d x
y
z
d .
Ricordiamo che è :
v v v v
A= u v w
x y z t
E notiamo che risulta
(u v) u v
v u -
x x x
quindi
v u v u
u v-
x x x
e allo stesso modo :
v v v v
v v-
y y y
v w v w
w v .
z z z
Perciò si trova, considerando il fluido incomprimibile, :
u v v v w v u v w v
F d -
x
y
z
d
v x y z d -
t
d =
x y z
= x
i
y
j k d
z
112
f x f y f z
x d f x cos nx f y cos ny f z cos nz d ;
y z
u v v v w v
d v u cos nx v v cos ny v w cos nz d v v n d ;
x y z
inoltre
x y z
d x cos nx y cos ny z cos nz d -
x y z
F d G -
-M 2
n
v
n
v
M 1
Figura 7.5
ovvero -
G M I 0 .--
Se dividiamo la superficie in 0, 1, 2 (figura 7.5), dove 1 è la superficie in cui il fluido entra,
2 quella da cui il fluido esce, 0 quella da cui non entra e non esce fluido, potremo porre
113
v v n d M 1 -
1
v v n d M 2 -
2
Questo secondo vettore risulta negativo perché la normale è per convenzione entrante nella
superficie; la vn risulta quindi negativa. Pertanto
G M1 M 2 I 0 -
Si noti che M 2 è sempre rivolto “contro” la superficie 2, dall’esterno verso l’interno.
Infine
v
I d v d -
t t
I è la risultante delle inerzie locali, e rappresenta la variazione nell’unità di tempo della quantità di
moto della massa fluida contenuta in .
Per le correnti lineari, essendo la direzione di v coincidente con quella di vn,
v2
M n v 2 d n vm2 d ;
v
m
2
si pone
v2
d -
vm
2
Come ulteriore esempio, consideriamo un ugello con CC=1 (figura 7.6) e determiniamo la
componente orizzontale della spinta che la corrente esercita sullo stesso.
scomponendo la in
= L + 1 + 2,
dove L è la spinta applicata dalla superficie laterale dell’ugello, 1 e 2 sono le spinte esercitate
rispettivamente dalle superfici 1 e 2, si trova :
G L 1 2 M1 M 2 0 ;
Proiettanto sull’orizzontale
Lo 1 2 M 1 M 2 0 ;
Lo è per definizione la spinta della parete sul fluido; noi stiamo cercando la componente
orizzontale della spinta del fluido sulla parete, So , data da
S o Lo 1 2 M 1 M 2 .
Ora, risulta
1 p1 A1
2 0
M 1 A1 v12
M 2 A2 v 22
quindi
S0 Lo p1 A1 A1 v12 A2 v22
S0 p1 A1 A1 v12 A2 v22
ma
v1 A1 v 2 A2
quindi
v12 A22
;
v 22 A12
poniamo
115
A22
2
m2 ;
A1
moltiplicando e dividendo il secondo termine per A1 otteniamo
v12 A2 2
S 0 p1 A1 A1 A1 v2 ;
A1 A1
S 0 p1 A1 A1 v12 m v 22
2
A1 v 22 v12 A1 v12 m v 22
2
A1 v 22 m 2 v 22 A1 m 2 v 22 m v 22
A1 v 22 1 m 2 A1 m v 22 m 1
2
A1 v 22 1 m 2 m 2 m
1
2
1 m2
A1 v 22 m 2 m
2 2
1 m 2
A1 v 22 m
2 2
1 m2 2 m
A1 v 22
2
A1 v 2 1 m 2
2
2
Essendo manifestamente
A1 v22
1 m 2 0
2
S0 risulta positiva, cioè diretta come v1 e v 2 .
Consideriamo un efflusso da un piccolo serbatoio con condotta cilindrica e imbocco ben raccordato,
come in figura 7.7.
116
h
Figura 7.7
G + + M1 – M2 = 0,
ovvero
Poiché lo sbocco avviene in atmosfera, risulta CD=0. D’altra parte sarà M2=Qv2 .
Proiettando l’equazione precedente sulla direzione orizzontale, e posto
si ottiene
o – M2 = 0 .
La componente orizzontale della spinta sull’intera parete solida, formata dal tratto verticale AF e
dalle pareti della condotta BC e ED, è dunque data da :
S = - o ,
per cui
S = - M2 .
Si manifesta dunque la cosiddetta reazione d’efflusso, essendo la spinta S diretta in verso opposto
alla velocità di efflusso.
Se il serbatoio fosse montato su ruote, come in figura 7.8, esso si muoverebbe in direzione opposta
a quella della vena effluente.
Su questo stesso principio sono basati tra l’altro gli aerei a reazione.
117
Figura 7.8
b) Brusco restringimento
c) curva d) saracinesca
Figura 7.9
Bisogna considerare che in presenza di uno spigolo o di una curvatura accentuata si ha il distacco
della corrente dalla parete con la formazione di zone che sono sede di una intensa agitazione
vorticosa. Questa agitazione vorticosa, che si esplica sia con azioni normali che con azioni
tangenziali, è mantenuta a spesa dell’energia meccanica della corrente. Il liquido non si può quindi
neanche considerare perfetto, e tuttavia l’applicazione dell’equazione globale rende possibile la
valutazione delle perdite di carico che si verificano, tenendo conto del fatto che le azioni normali,
nei casi considerati, sono prevalenti rispetto a quelle tangenziali. La valutazione delle azioni
118
tangenziali è complessa, ma si può tener conto anche di queste nel caso delle perdite localizzate,
come si mostrerà, tornando sull’argomento, nel capitolo 8.
H
1
( p1 p 2 )
1
2g
V12 V 22
Per giungere ad una espressione più pratica per le applicazioni è opportuno individuare il legame fra
la variazione di pressione e le velocità. A tal fine è possibile impiegare l’equazione globale
dell’equilibrio idrodinamico in condizioni di moto permanente applicata al volume fluido compreso
fra le sezioni fra le quali è stato applicato il teorema di Bernoulli.
Essa fornisce
G Π M1 M 2 0
e scomponendo nelle varie aliquote
G Π1 cc 2 0 M 1 M 2 0
dove con 1 si è indicata l’azione che
la superficie 1, appartenente alla
tubazione con diametro D1, esercita
sul volume fluido, con cc quella
esercitata dalla corona circolare, con
Figura 7.11 2 quella esercitata dalla sezione 2
ed, infine, con0 quella esercitata
119
dalla superficie di contorno. Questa 0 , poichè si è visto che non si può considerare il liquido
perfetto, avrà anche una componente tangenziale. Proiettando l’ultima equazione sull’orizzontale,
possiamo trascurare la componente orizzontale di 0 , ottenendo:
1 cc M 1 2 M 2 0 -
con i vettori orientati come in figura 7.11.
Le quantità di moto M1 ed -M2 sono applicate nei baricentri delle relative sezioni; le spinte 1, cc e
2 sono applicate, a rigore, nei centri di spinta, ma, nei casi pratici, a causa delle piccole distanze
fra essi e i corrispondenti baricentri non si commette sensibile errore considerandole applicate in
questi ultimi.
I moduli valgono :
1=p1A1, 2=p2A2,cc=p1(A1-A2), 1=QV1 e 2=QV2.
Nel calcolare il modulo di cc si è ipotizzato che la distribuzione delle pressioni sulla corona
circolare sia idrostatica e con valori uguali a quelli che competono alla sezione 1. Relativamente
alle quantità di moto sono stati posti pari a 1 i corrispondenti coefficienti di ragguaglio.
Effettuando le sostituzioni si ottiene l’equazione scalare :
p1 A1 p1 ( A2 A1 ) QV1 p2 A2 QV2 -
da cui considerando Q=A2V2 , dopo aver semplificato risulta
p2 p1 V2 V1 V2 -
Questa espressione fornisce il legame cercato fra la variazione di pressione e le velocità; inoltre essa
permette di evidenziare che la pressione p2 è maggiore di p1 dal momento che V1>V2. Pertanto, in
corrispondenza di un brusco allargamento si ha un abbassamento della linea dei carichi totali e un
aumento della quota piezometrica, come mostrato in figura 7.8. Dal momento che la corrente non è
gradualmente variata il tracciamento di linea dei carichi totali e piezometrica non ha un preciso
significato fisico, ma ha essenzialmente il valore di raccordo delle corrispondenti linee relative ai
tratti con moto uniforme.
Sostituendo nell’espressione ottenuta dal teorema di Bernoulli il valore delle differenze di pressioni
ottenuto dall’applicazione dell’equazione globale, risulta in definitiva
H
V1 V2 2 -
2g
che permette di dire che la perdita di carico per brusco allargamento è pari all’altezza cinetica della
velocità perduta, che è la conclusione a cui pervenne Borda.
Jean Charles Borda, 1733- 1799 , ingegnere militare francese, autore di molti lavori di carattere
fisico e geografico, e tra gli altri un importante studio “Sull’efflusso dei fluidi da vasche attraverso
orifizi”.
120
2
0,5 v /2g
2
p / A 2
h
1
1 v /2g
2
B
p /
z
2
2
z
z=0
2
-
Figura 7.12
Nella condotta collegante due serbatoi, la linea dei carichi totali si dovrà condurre da monte, a di-
stanza 0,5 v2/2g rispetto all’orizzontale passante per la superficie libera del serbatoio A.
Si potrà ancora scrivere, per estensione, il teorema di Bernoulli tra i punti 1 e 2, ma si dovrà tener
v2
conto della perdita di imbocco, pari a 0,5 .
2g
Con riferimento alla figura 7.12, risulta
p1 v12 p v2
z1 h z 2 2 2 ;
2g 2g
p p v2
z1 1 z 2 2 1,5 2 ,
2g
da cui
v 22 h
0,67 h -
2 g 1,5
v22 2 gh
h 1,5 e v2 0,82 2 gh -
2g 1,5
121
2
V
H 2 -
2g
dove V2 è la velocità di sbocco ed tiene conto della sua non uniforme distribuzione.
Applicazioni
7.5 Efflusso da condotta con ugello
Lo stesso risultato si ha nel caso di sbocco in atmosfera, sempre che siano rispettate le condizioni
per le quali la piezometrica non scenda al di sotto di 10,33 m dalla condotta (figura 7.13):
v2 0,82 2 gh -
0,5 v /2g
2
h
2
v /2g
2
--
Figura 7.13
Aggiungendo un ugello all’estremità della condotta, come in figura 7.14, con m = , e con CC
noto, si avrà :
v B2 vC2
0,5 h-
2g 2g
ma
v B C C vC ; vB CC vC -
2
0,5 v C2
C C vC h-
2g 2g
122
2
0,5 v /2g B
v /2g
B
2 h
v /2g
C
Figura 7.14
C 2 2 v2
0,5 C 2 1 C h -
2g
1
vc 2 gh -
0,5 C m 2 1
2
C
Poichè è
0,5 C C2 m 2 1 1,5 -
all’uscita si avrà sempre un guadagno di velocità rispetto alla condotta senza ugello.
Per esempio, per m= 0,25 e CC= 0,8 risulta:
vc 2 gh 0,99 -
mentre per m= 0,10 e CC = 0,61 risulta:
vc 2 gh 0,999 .
Si può osservare infine che con l’ugello vi è sempre una riduzione di portata . Dette Qu e Q le
portate rispettivamente con e senza l’ugello, risulta infatti :
1
Qu vB CC vC CC 2 gh
0,5 C m 2 1
2
C
-
mentre è
2gh
Q
1,5 -
123
1 2 gh
CC 2 gh
0,5 C m 1
2
2
C 1,5
-
Risulta infatti
0,5 CC2 m 2 1
CC
1,5 -
essendo
2 0,5 CC2 m 2 1
CC 2 2
1,5 -
poichè è
2
CC m 2 1
-
2
1,5CC m 2 0,5 CC2 m 2 1
-
124
8.
Moto dei fluidi reali. Principi
G M1 M 2 0 ;
potremo porre
Figura 8.2
125
G s
M1 M 2 0
p1 n 1 p 2 n 2 0
dove 0 è l’azione esercitata sul fluido dalla superficie cilindrica.
L’azione esercitata dal liquido sulla superficie, R , è detta azione di trascinamento; ovviamente
risulta
R=
proiettando sull’asse l’equazione globale si ottiene
ds sen p1 p2 R
ed essendo
z1 z 2
sen
ds
si ottiene anche
p1 p2
z1 z 2 R
Posto z + p/ = h , e detta dh la differenza tra le quote piezometriche nelle sezioni 1 e 2 è
p p R
dh z1 1 z 2 2
Si può osservare che il rapporto al secondo membro ha le dimensioni di una lunghezza, essendo
F
F L L L
R
3 2
La formula evidenzia che esiste una differenza dh tra le quote piezometriche se esiste una forza
tangenziale o azione di trascinamento.
Posto J = dh/ds
risulta
p p
R z1 1 z 2 2 ds J .
J è la pendenza della piezometrica, cioè la tangente dell’angolo compreso tra l’orizzontale e la linea
piezometrica (assumendo che il tratto ds si possa confondere con la sua proiezione sull’orizzontale).
Teniamo presente che, trattandosi di un fluido reale e non di un fluido perfetto, tra le sezioni 1 e 2
vi sarà una certa perdita di carico totale, dH, che si potrà esprimere come
p1v12 p2 v22
dH ( z1 ) ( z2 )
2g 2g
e poichè il moto è uniforme (v1 = v2)
126
p p
dH z1 1 z 2 2 dh
Quindi
R dH
e anche
R ds
dH
ds
Al numeratore si trova il lavoro svolto dalla forza R per lo spostamento s; al denominatore si trova
il peso dell’elemento fluido considerato. H, quindi, rappresenta l’energia perduta per unità di peso.
Come si può notare, essa è proporzionale alla lunghezza considerata, ds, e all’azione di
trascinamento R. L’energia perduta per unità di peso e per unità di lunghezza, o perdita unitaria,è, in
valore assoluto,
dh
J
ds
Possiamo facilmente esprimere lo sforzo tangenziale unitario alla parete, 0, dividendo per C ds,
dove C è il contorno del prisma di sezione e lunghezza ds, trovando
ds J
0
C ds
posto /C = Ri (raggio idraulico), è 0= Ri J . Si potrà facilmente verificare che le dimensioni del
raggio idraulico sono quelle di una lunghezza , mentre quelle di 0 sono quelle di uno sforzo,
risultando pari a [L-1 M T-2].
Si noti che spesso si pone, in termini differenziali
dh
J
ds
dove il differenziale di h è, secondo l’analisi matematica, dh = h2-h1.
Infatti, avendo definito
p p
dh z1 1 z 2 2 ,
in tal modo si ottiene un valore di J positivo, essendo ds positivo.
Il segno negativo indica che la quota piezometrica diminuisce nel senso del moto. Ciò può essere
facilmente verificato osservando il moto uniforme all’interno di una tubazione munita di
piezometri. La linea che congiunge i livelli nei piezometri (piezometrica) è una retta; inoltre la sua
pendenza J risulta decrescere col raggio idraulico:
0
J
Ri
Possiamo inoltre considerare che 0 risulterà funzione della velocità, in base alla sua definizione;
sarà quindi,
J f v
127
Non conosciamo ancora razionalmente, a questo punto, la funzione 0 = 0 (v); è però evidente che
0 cresce con la velocità del fluido.
Nel caso di una condotta a diametro costante che collega due serbatoi di quota zA e zB, risulta (fig.
8.3),
v2 v2 v2 v2
z A z B H C JL C
2g 2g 2g 2g
dove con
v2
C
2g
si è indicata la somma
delle perdite concentrate
(per esempio di imbocco e
di brusco allargamento)
eventualmente presenti.
Figura 8.3
Se si tiene conto che è
0
J
Ri
si vede che, per una tubazione di data lunghezza e sezione, J è funzione di 0 e quindi di v. Basterà
dunque, conoscere 0 = 0 (v), per conoscere anche J = J (v) e poter porre:
v2
z A z B J v L k
2g
e risolvere il problema del moto rispetto alla sola incognita v.
128
f v2 v2 v2
zA zB L C
D 2g 2g 2g
2
f v
z A zB L 1 C
D 2g
È il caso di precisare subito che il campo di variazione di f usualmente è compreso tra 0,01 e 0,1.
Henry Philibert G. Darcy (1803-1858), nato a Dijon, ingegnere dei Ponts et Chaussèes (il Genio
Civile francese); condusse esperienze sul moto di tubazioni e sul moto in filtrazione. “Les fontaines
publiques de la ville de Dijon” è un suo trattato del 1856, nel quale dava il risultato dei suoi studi
sul moto di filtrazione.
Julius Weisbach (1806-1871), professore di fisica matematica alla scuola mineraria di Friburgo,
autore di esperienze sul moto dei fluidi; egli per primo espresse la legge di resistenza al moto nella
forma oggi nota come formula di Darcy-Weisbach.
Come si è detto, si possono distinguere due regimi di moto, quello laminare e quello turbolento. Nel
primo, esistono solo le azioni tangenziali determinate da un’importante proprietà dei fluidi, la
viscosità.
La viscosità è definita, attraverso un semplice schema, dalla formula di Newton .
Consideriamo due strati di fluido di area A, a distanza infinitesima dn, e in moto l’uno con velocità
v e l’altro con velocità v+dv. La forza F che si esercita tra i due strati è data da
dv
F A ,
dn
dove è un coefficiente detto appunto “viscosità”. Poichè è = F/A, risulta
dv
e dunque
dn
;
dv
dn
Gottehif Heinrich Ludwig Hagen (1797-1884), ingegnere tedesco, nato a Koningsberg, eseguì
prove sperimentali su tubi di rame di diametro da 2,5 a 6 mm, con acqua a diversa temperatura per
variare la viscosità. Egli per primo rilevò l’esistenza di due diversi tipi di moto.
Louis Pouiseuille (1799-1869) era un medico francese, interessato al moto del sangue nelle vene.
Condusse esperienze con tubi di diametro molto piccolo( 3/10 mm a 0,14 mm ), pervenendo a una
formula empirica del moto regolare.
Dal confronto con la formula di DarcyWeisbach, risulta
f v 2 32 v
2g D D 2
f 64
vD
0.1
vD Figura 8.5
f Re
0.01
100 1000 Re 10000
Converrà qui notare che il fattore vD/ è anch’esso adimensionale. Solitamente si pone
vD
Re ;
tale gruppo adimensionale viene denominato “numero di Reynolds ”; pertanto
f=64/Re .
Passando ai logaritmi, si ottiene
log f = log 64 – log Re
È possibile riportare in un grafico la variazione di log f con logRe; si otterrà una retta a pendenza
pari a –1; si deve notare che il moto laminare è stabile per Re = 8002000. Si avrà quindi,
f = 0,080,03 (fig. 8.5).
La formula di Hagen e Poiseuille è valida solo per tubazioni a sezione circolare; nel moto laminare
infatti la forma della sezione ha importanza nel determinare le resistenze al moto.
Al contrario di quanto accade per il moto laminare, le formule di moto uniforme per regime
turbolento sono valide sia per le condotte che per i canali, dipendendo poco dalla forma della
sezione. Si usa pertanto esprimere tali formule in funzione di una grandezza geometrica della
generica sezione. Tale grandezza è il cosiddetto raggio idraulico Ri, pari al rapporto tra area e
contorno bagnato (fig. 8.6):
A
Ri
C
Si è d’altra parte visto che lo sforzo tangenziale
unitario è proporzionale al raggio idraulico
0 Ri J
Nella sezione circolare, risulta
D2 D
A , C D, Ri
Figura 8.6 4 4
con ciò la formula di DarcyWeisbach diventa:
f v2
J
8 g Ri
Approfondimenti
Nelle applicazioni pratiche alle tubazioni e ai canali, dalla fine dell’800 è in uso la formula
v Ri J (Chèzy)
Antoine Chèzy (1718-1798), ingegnere, docente dell’Ecole des Ponts et Chaussèes, autore di studi
sulla resistenza al moto, in particolare in connessione con l’utilizzazione dell’acqua dell’Yvette per
un acquedotto di Parigi.Le formule da lui suggerite furono pubblicate da un suo allievo dopo la sua
morte ed ebbero successo solo all’inizio del 1800.
Le dimensioni di sono
L T 1 L1 2 L1 2 T 1 -
cioè il quadrato di ha le dimensioni di un’accelerazione:
L T -
2 2
131
e da Kutter come
100 Ri
Ri m
Henri Emile Bazin (1829-1917), nato a Nancy, fu assistente di Darcy durante gli esperimenti
condotti da quest’ultimo sulla resistenza al moto. Autore di un trattato sui canali e di esperienze
sugli stramazzi, che diedero luogo alla nota formula per lo stramazzo rettangolare senza
contrazioni sui lati.
Wilheem Rudolf Kutter (1818-1888), ingegnere svizzero, insieme a Emile Oscar Ganguillet (1818 -
1894) condusse esperienze sul moto a superficie libera, che diedero luogo ai valori dei coefficienti
oggi noti come di Kutter.
Possiamo mostrare che è crescente con Ri (a pari m e ) e decrescente con m e (a pari Ri)
100
m
1
Ri
8g
f -
2
Dunque, l’indice di resistenza in regime turbolento è decrescente con R (a parità di altre condizioni)
e crescente con la scabrezza, indicata da m o . Esso però, al contrario di quanto accade nel moto
laminare, è indipendente da v.
Una formula nota fin dall’800, e applicata al moto turbolento sia in canali che in condotte, è quella
detta di GaucklerStrickler
v K Ri2 3 J 1 2
o quella, più nota nel mondo anglosassone, di Manning :
1 23 12
v Ri J
n
dove il coefficiente K che compare nella prima è un coefficiente di velocità, con dimensioni [L1/3
T-1], mentre il coefficiente n che compare nella seconda, essendo n = 1/K, è un coefficiente di
scabrezza, con dimensioni [L-1/3 T].
Philippe Gaspard Gauckler (1826-1905) era ingegnere dei Ponts et Chaussèes. Robert Manning,
irlandese (1816-1897), pervenne ad una formula in tutto simile a quella di Gauckler.
132
Approfondimenti
Queste due formule, per la loro struttura algebrica, sono dette formule monomie; in esse infatti, K o
n sono indipendenti da Ri; risulta
v2
J -
K 2 Ri4 3
con considerazioni analoge a quelle fatte per la formula di Chèzy. Del resto, per confronto con
quest’ultima, risulta
Ri J K Ri2 3 J
Ri1 2 K Ri2 3 -
1 16
K Ri2 31 2 K Ri1 6 Ri
n
che dà crescente con Ri; e per confronto con la formula di Darcy-Weisbach risulta:
8g n2 8 g
f -
K 2 Ri1 3 Ri1 3
con considerazioni del tutto analoghe a quelle fatte, e cioè che l’indice di resistenza decresce con la
dimensione caratteristica della corrente e cresce con la scabrezza, mentre è indipendente da v. Si
noti che K ha le dimensioni di [L1/3 T-1] e i suoi valori sono espressi in m1/3 s-1; mentre le dimensioni
di n sono [T L-1/3].
Per le condotte metalliche degli acquedotti, una classica formula in uso fin dal 1800, per 175
mm<D<400 mm, è quella di Darcy
Q2
J -
D5
dove è
0,000042
0,00164 -
D
Si osservi che = [L5] [L-6 T2] = [L-1 T2], cioè 1/ = [L T-2] ( ha le dimensioni dell’inverso di
una accelerazione).
f v2
v2 D2 4
-
2
2g D D5
f 2
-
2 g D 16 D
1
f g 2-
8
Anche qui f è indipendente da v e decrescente con il diametro.
Se si volesse rappresentare la variazione di f sullo stesso grafico adottato per il moto laminare (log f,
log Re), dovremmo ricordare che, a seconda della formula che si vuole impiegare, si trova
133
8g
f (Chèzy)
2
n2 8 g
f (Manning)
Ri1 3
0.1
D2
D3
0.01
1.E+02 1.E+03 1.E+04 1.E+05 1.E+06 1.E+07 Re 1.E+08
2 g
f (Darcy)
8
Una più recente formula è quella di Prandtl
1
f 2
1
2 log
3,715 D
Dove D è il diametro della tubazione e una variabile che ne caratterizza la scabrezza.
Pertanto, f non dipende dal numero di Reynolds, ma è sempre decrescente col diametro e crescente
con la scabrezza. Sul diagramma avremo per esempio, a parità di scabrezza, una rappresentazione
come quella in fig. 8.7, nella quale f appare costante al variare di Re, pur variando con D.
Si noterà inoltre che, in tutte le formule del moto turbolento finora esposte, si trova J v 2 .
Pur restando nel campo del moto turbolento, sono note alcune altre formule, per esempio quella di
Von Kàrman
1 2,51
2 log -
Re f
f
o quella di Colebrook e White
1 1 2,51
2 log ,-
3,715 D Re f
f
nelle quali J è proporzionale a v elevato a un esponente diverso da 2. L’analisi dimensionale, nel
successivo paragrafo, aiuta a riconoscere le ragioni di questa diversità.
134
8.6 Le formule di moto attraverso l’analisi adimensionale.
Si è finora visto che, nel moto laminare, risulta J proporzionale a v (J v), mentre nel moto
turbolento, secondo le formule classiche, è J v2; inoltre, per alcune tubazioni in uso attualmente, è
J v1,75.
Cercheremo di capire quali ragioni siano alla base di ciò attraverso l’analisi dimensionale delle
grandezze in gioco. Possiamo,allo scopo, utilizzare il metodo di Buckingham, detto anche teorema
.
Edgar Buckingham, fisico-matematico americano, morto nel 1940, autore di ricerche in teoria dei
modelli e analisi dimensionale, in particolare di un teorema fondamentale per la teoria della
similitudine meccanica .
Sia F
F a1 , a 2 , ..., a m 0 -
una funzione di m variabili a1,a2, a3.... contenenti n (n 3) grandezze fondamentali (si ricorda che
nella meccanica le grandezze fondamentali sono lunghezza, massa, tempo nel SI; lunghezza, forza e
tempo nel ST).
Scelte n delle variabili a1, a2, ..., am per esprimere le altre, è possibile trasformare la funzione F in
una funzione di m-n parametri adimensionali:
1 , 2 , ..., m n 0 -
Per poter fare ciò, le n variabili utilizzate devono contenere tutte le grandezze fondamentali che
compaiono in F, e devono inoltre risultare meccanicamente indipendenti (non deve essere cioè
possibile ottenere un parametro adimensionale semplicemente moltiplicando tra di loro tali variabili
elevate a qualsiasi potenza).
In altri termini, non deve essere
a1 a 2 a 3 -
con adimensionale; ovvero, se le dimensioni di a1, a2, a3 sono
a1 Lx M y T z
1 1 1
-
a2 Lx M y T z
2 2 2
-
a3 Lx M y T z
3 3 3
-
non deve essere:
Lx1 x 2 x3 M y1 y 2 y3 T z1 z 2 z 3 L0 M 0T 0 -
e quindi non deve esistere una soluzione non nulla del sistema
x1 x2 x3 0
y1 y2 y3 0 -
z z z 0
1 2 3
135
x1 x2 x3
y1 y2 y3 0 _
z1 z2 z3
È il caso di precisare che sia la funzione F che la funzione sono incognite a priori; il teorema
facilita lo studio del fenomeno per via sperimentale, poiche riduce il numero di variabili
indipendenti da considerare.
Si possono scegliere , v e D come variabili che ci permettano di esprimere anche . Le tre
variabili saranno dette variabili fondamentali del problema.
Potremo facilmente verificare che esse sono dimensionalmente indipendenti, in quanto risulta
1 0 0
1 1 1 1_
1 1 0
M L 1
T 2 M L1 T 1
1
L T L
1 1 1
_
da cui, per il principio di omogeneità dimensionale, si ricavano tre equazioni:
per M: 1 1
136
per L: 1 1 1 1
per T: 2 1 1
e quindi risulta: 1 = 1; 1 = 1; 1 = -1 e il parametro adimensionale è
0 D
_
v
per gli altri rapporti si troverà, analogamente
2 = 1, 2= 0, 2= 0
3 = 0, 3= 1, 3= 0
4 = 0, 4= 0, 4 =1
per cui infine
0 D
1, 1, 1 cost _
v
v
0 cost _
D
Ricordiamo ora che è
2g DJ
f _
v2
e poiché
D
0 J_
4
risulta
2 g D 0 8 0
f _
v
D 2 v2
4
_Ponendo
0
_
v2
sarà f = 8 , ma abbiamo ottenuto
v
0 cost _
D
quindi
v
cost _
D v2
137
cost
_
vD
Il parametro adimensionale vD/ = Re è il numero di Reynolds.
Basta ora riprendere in esame la
v
0 cost _
D
e scrivere
D v
J cost _
4 D
per rendersi conto che nel moto laminare risulta
J v_
Riprendiamo in esame la
cost
_
Re
è evidente che basterà ottenere da un solo esperimento il valore di Re = vD/ e il valore di
D 4J
per calcolare la costante. L’esperimento si può condurre molto facilmente con un
v2
piccolo tubo di diametro D, misurando la portata e ricavando quindi la velocità e il numero di
Reynolds; misurando la cadente J, si potrà quindi ricavare . Il prodotto Re dà la costante cercata.
Dalle esperienze condotte da vari ricercatori, tale costante risulta pari a 8. Si otterrà infine = 8/Re
e quindi f = 64/Re.
= M L-3
v = L T-1
D = L .
138
Risulta
1 0 0
3 1 1 1_
0 1 0
cioè anche ;
D
0.1
f /D=0,05
Figura 8.8
/D=0,01
/D=0,001
0.01
1.E+02 1.E+03 1.E+04 1.E+05 1.E+06 1.E+07 Re 1.E+08
dunque
D
J v 2 _
4 D
e
4 v 2
J _
D D
cioè
J v2 _
Inoltre J risulta funzione del rapporto /D.
Ricordando che è f = 8, risulta
f _
D
Per interpretare tale andamento, sulla base di elaborazioni teoriche e risultati sperimentali, Prandtl
diede all’indice di resistenza la forma
139
2
1
f _
1
2 log
3,715 D
dove (dimensionalmente L) è la scabrezza. f non dipende da v, ed è crescente con /D. Sul
grafico in fig. 8.8, troveremo delle rette orizzontali a pari /D, con gli /D più piccoli in basso. Si
noti che il moto puramente turbolento è caratterizzato da valori del numero di Reynolds molto
elevati, dell’ordine di 105 o 106.
Il calcolo di f permette di valutare subito la pendenza piezometrica
f v2
J _
2g D
Ludwig Prandtl, 1875-1953, ingegnere tedesco, insegnò prima al politecnico di Hannover, poi fu
chiamato dal fisico Klein all’Università di Gottinga, dove fondò una grande scuola di Meccanica
dei fluidi.
0.1
f /D=0,05
/D=0,01
/D=0,001
0.01
1.E+02 1.E+03 1.E+04 1.E+05 1.E+06 1.E+07 Re 1.E+08
Figura 8.9
140
0 , 25
0,316
J v1,75 _
2 g D D
nella quale J dipende da v1,75, e non da v2 come nelle formule precedenti.
Se supponiamo che esista una condizione di moto turbolento per la quale sia
0 0 , v, D, _
scelte , v e D per rappresentare le altre variabili, otterremo dal teorema
0
_
v2 v D
cioè
Re _
ed anche
f Re _
Un’altra classica formula per il regime di tubi lisci: è quella di Prandtl-Von Kármán
1 2,51
2,03 log
f Re f
che, come si vede, è una forma implicita.
Si noti, infine, che è possibile riportare sullo stesso grafico le leggi ottenute per il moto laminare
(fig. 8.9).
64
f _
vD
e per il moto turbolento in tubi lisci
0 , 25
vD
f 0,316 _
Sul diagramma logaritmico la legge dei tubi lisci, come si può dedurre dalla formula di Blasius, è
rappresentata da una retta.
Paul Richard Heinrich Blasius, fisico, nato a Berlino nel 1883, insegnò al Politecnico di Amburgo.
Theodor Von Kármán, ingegnere, nato a Budapest nel 1881, morto nel 1963, professore
all’Università di Gottinga, successivamente fondatore dell’Istituto Aeronautico dell’Università di
Aquisgrana, emigrato negli Stati Uniti, diresse dal 1930 il Laboratorio Aeronautico del Politecnico
di Pasadena.
1 2,51
2,03 log .
Re f 3,715D
f
Sul grafico logf, log Re, tale legge è rappresentata da una serie di curve che si staccano dalla curva
dei tubi lisci (fig. 8.10).
142
Una completa rappresentazione delle diverse leggi di moto, che mostra la variazione dell’indice di
resistenza con il numero di Reynolds, è il cosiddetto “abaco di Moody”, che risulta spesso utile
nelle applicazioni, e che si riporta di seguito (fig. 8.11).
143
0.1
M o to T u rb o len to
M o to la m in a re d i tra n sizio n e
M oto ass olutam ente
Turb olento
T u b o liscio
0.01
1.E + 02 1.E + 03 1.E + 04 1.E + 05 1.E + 06 1.E + 07 1.E + 08
Re
144
8.7 Perdite di carico localizzate come fenomeni turbolenti
Poichè le perdita di carico localizzate sono associate ad agitazione turbolenta, esse sono espresse
come
V2
H _
2g
dove V è la velocità che si stabilisce in una sezione caratteristica e è un coefficiente che dipende
dalla geometria.
145
La perdita d’imbocco si può quindi considerare come la somma di due diverse aliquote: la prima,
H1, è quella che si ha fino alla sezione contratta ed è dovuta principalmente alla viscosità, la
seconda, H2, è quella che si ha per il brusco allargamento ed è dovuta all’agitazione turbolenta.
Per quanto concerne la prima aliquota sappiamo che, nel caso di sbocco libero e di fluido perfetto,
nella sezione contratta si ha la velocità torricelliana, Vt, cui corrisponde un’energia pari a Vt2/2g.
Nel caso di fluido reale, a causa delle dissipazioni di energia fino alla sezione contratta, le quali
sono essenzialmente di tipo viscoso viste le piccole velocità all’interno del serbatoio, si avrà una
velocità effettiva pari a CvVt dove Cv è il coefficiente di velocità (Cv=0.98-0.99) cui corrisponde
un’energia cinetica pari a Cv2Vt2/2g.
E’ evidente pertanto che l’energia che viene dissipata dalla corrente fino alla sezione contratta è pari
a
Vt 2 Cv2Vt 2
H 1 _
2g 2g
Se poniamo CvVt=Vc dove Vc è la velocità nella sezione contratta risulta
1 Vc2 V2 1 V2
H 1 2 Vc2 c 2 1 0.04 c _
2 g Cv 2 g Cv 2g
oppure tenendo conto che AcVc=CcAVc=AV esprimendo la perdita in funzione della velocità media
a tubo pieno e nell’ipotesi che il coefficiente di contrazione sia paria 0.61 si ha
2
1 V V2
H1 0.04 0.1 _
Cc2 2 g 2g
La seconda aliquota, cioè quella per il brusco allargamento dalla sezione contratta a quella a tubo
pieno è pari a
H 2
Vc V 2 _
2g
che, espressa in funzione di Vc o di V, tenendo conto dell’equazione di continuità risulta pari a
2
V2 1 V 2 Vc2 2
H 2 1 0.4 1 Cc 2 0.15 Vc _
2 g Cc 2g 2g 2g
La perdita d’imbocco, pari alla somma delle due aliquote, risulta quindi
Vc2 V2
H H1 H 2 0.19 0 .5 _
2g 2g
La corrente nella regione interessata dalla perdita di carico localizzata non è lineare e, pertanto, la
linea dei carichi totali e la piezometrica non sono, anche in questo caso, a rigore tracciabili. Tuttavia
da un punto di vista qualitativo si può evidenziare che fino alla sezione contratta il moto è
accelerato e quindi la distanza fra la linea dei carichi totali e la piezometrica andrebbe
progressivamente crescendo nel senso del moto, raggiungendo il valore massimo nella sezione
contratta.
A valle di essa il moto è ritardato e le due linee si avvicinerebbero progressivamente fino ad
arrivare ad una distanza pari a V2/2g quando la corrente occupa l’intera sezione (V è appunto la
velocità media in questa sezione). Quindi tracciando in maniera qualitativa la linea dei carichi totali
e la linea piezometrica si avrebbe per quest’ultima il caratteristico andamento “ad uncino”. Si può
facilmente calcolare la distanza, rispetto al pelo libero nel serbatoio, della piezometrica nella
sezione contratta. Esso è pari alla somma della perdita di carico fino alla sezione contratta
146
H1=0.1V2/2g=0.04Vc2/2g e dell’altezza cinetica nella stessa sezione Vc2/2g
=V2/2g(1/Cc2)=2.7V2/2g e risulta quindi uguale a 2.8V2/2g o 1.04Vc2/2g esprimendolo,
rispettivamente, in funzione della velocità media a tubo pieno o della velocità media nella sezione
contratta.
Per effetto di questo abbassamento della piezometrica la condotta può risultare in depressione. Il
valore massimo che tale depressione può raggiungere non può essere maggiore, in valore assoluto
ed in termini di altezza piezometrica, di patm/ cioè 10.33 m nel caso dell’acqua. In questo caso la
sezione contratta diventa una sezione di controllo, ed i valori massimi della velocità e della portata
si ottengono imponendo in essa pressione assoluta nulla.
8.7.3 Perdita d’imbocco nel caso di tubazione ben immersa nel serbatoio.
Quanto detto nel caso di imbocco a spigolo vivo continua a valere da un punto di vista concettuale
anche nel caso dell’imbocco di una tubazione ben immersa in un serbatoio. Le espressioni
analitiche delle perdite di carico che si ottengono sono esattamente quelle ottenute nel caso
dell’imbocco a spigolo vivo. Il più piccolo valore assunto dal coefficiente di contrazione dà luogo
però a delle perdite di carico localizzate di entità più rilevanti.
In particolare con Cc=0.5 si ottiene
Vc2 1 V2 V2
H1 0.04 0.04 2 0.16 _
2g Cc 2 g 2g
2
V2 V2 V2 1 V2
H 2 c 1 Cc 0.25 c 1
2
_
2g 2 g 2 g Cc 2g
L’abbassamento della piezometrica sotto il pelo libero nella sezione contratta risulta invece pari a
Vc2 V2
H 0.29 1.16 _
2g 2g
Vc2 V2 V2 V2 V2 1 V2 V2
h* H1 0.04 c c 1.04 c 0.16 2 4.16 _
2g 2g 2g 2g 2 g Cc 2 g 2g
Applicazioni
8.8 Tubazione con perdite distribuite munita di ugello.
Consideriamo lo schema già visto nel par. 7.3, ma stavolta teniamo conto anche delle perdite di
carico distribuite.
Sia il diametro del tubo D pari ad 1 cm, la lunghezza L sia di 10 m, il carico disponibile h sia di 30
m. Risulta
v2 v2 v2 v2 v2 L
h 0,5 JL 0,5
2g 2g 2g 2g 2g D
147
L v2
h 1,5
D 2g
Figura 8.13
Figura 8.14
2 gh
v 5,2 m s
21,5
e la portata è 0,41 l/s.
Aggiungiamo l’ugello con m = , e sia noto CC; risulta:
v B2 v B2 L v C2
h 0,5
2g 2g D 2g
v B C C m vC vC
148
2
2 L vC
0,5 1 h
2
D 2g
v C2
0,5 20 1
2
2g
2
h
v C2
20,5 12
2g
h
ed essendo 2 = CC22/2 = 0,04,
v2
h 1,8
2g
2 gh
vC 0,74 2 gh
1,8
contro
2 gh
vC 0,21 2 gh
21,5
cosìcchè con l’ugello la velocità si triplica. La velocità in condotta, però, e vB=0,2 vC=3,6 m/s e la
portata si riduce a 2,8 l/s.
h J v1 L
v1 v2 2 v22
2g 2g
;
v1 v 2 2 v 22 v12
2g 2g 2g
La perdita di sbocco è
minore se si impiega il
Figura 8.15 diffusore: é possibile,
quindi, con lo stesso
carico h, avere maggiori
149
perdite continue LJ(v1), e quindi maggiore v1: in definitiva, col diffusore si riesce ad aumentare la
portata.
Figura 8.16
150
9.
Pompe ed impianti di sollevamento
Figura 9.1
La condotta 1 a monte della pompa è detta condotta di aspirazione. Preso un piano di riferimento
z=0, si può scrivere il teorema di Bernoulli applicato alla corrente tra un punto nel serbatoio A e la
sezione M a monte della pompa. Posto =1, si ha:
pA pM v12 v2
zA zM 0,5 1 J 1 L1 ;
2g 2g
poniamo pari ad HM il valore del carico nel punto M.
pM v12
H M zM
2g
La condotta 2 a valle della pompa è detta condotta premente. Tra la sezione V immediatamente a
valle della pompa e la sezione terminale della condotta premente, B, risulta:
pV v 22 v2
zV J 2 L2 z B 2
2g 2g
Si deve notare che, nel caso in figura, esiste un tratto di condotta premente in depressione. Anche
qui non può in nessun caso risultare una depressione maggiore di 10,33 m.
Poniamo pari ad HV il carico nella sezione a valle della pompa.
v 22
pV
H V zV
2g
151
La differenza H=HV-HM è detta prevalenza totale. Essa è pari all’energia per unità di peso che la
macchina fornisce alla corrente.
Se la portata che attraversa la pompa è Q, in un intervallo di tempo dt il volume che ha attraversato
la pompa è
W Q dt
e il peso di tale volume ovviamente è
G Q dt
Il volume considerato ha avuto un incremento di energia pari a
E Q dt H
per ottenere detto aumento di energia, è necessario che la corrente abbia la potenza
E
P Q H
t
Per poter trasferire la potenza P alla corrente, è necessario che la pompa abbia una potenza mag-
giore, per tenere conto del rendimento (elettrico, meccanico, idraulico) complessivo, che sarà mi-
nore di uno.
Posto il rendimento, si consideri che di solito esso varia tra 0,65 e 0,85, a seconda del tipo e delle
dimensioni della pompa, ma è anche, per una data pompa variabile con la portata. La potenza della
pompa risulta quindi
Q H
P
Nel sistema internazionale, = 9800 N/m3 e la potenza si misura in Watt; risulta allora
Q H
P 9800 W
e, più comunemente
Q H
P 9,8 kW
La differenza
p p
Figura 9.2 a H m zV V z M M
si chiama prevalenza manometrica.
Essa è uguale a H solo se vm = vv, cioè se le
condotte di aspirazione e di mandata hanno
identico diametro.
La differenza zA zB=Y si chiama prevalenza
geodetica.
Risulta sempre
v12 v2
H 0,5 J 1 L1 Y J 2 L2 2
2g 2g
Fissate le caratteristiche dell’impianto, e cioè Y, i diametri e le scabrezze delle condotte, risulta
152
H f Q
Si vede facilmente che per Q = 0 si ha H = Y, e che d’altra parte H è crescente con Q; si può
quindi rappresentare la curva H, Q su un grafico (fig. 9.2 a).
Tale curva si chiama “curva caratteristica
dell’impianto”. Per quanto riguarda la pompa,
si osservi che, nei casi reali, è =(Q); se
supponiamo costante, e supponiamo pure che
P rimanga costante, risulta
P
H Q -
9,8 Q
funzione che si può rappresentare sullo stesso
grafico e si chiama “curva caratteristica della
pompa”. Si tratta in teoria di un ramo di
Figura 9.2 b iperbole, ma in realtà, poiché è variabile con
Q, la curva H , Q assume andamento
completamente diverso, il più delle volte con la concavità verso il basso (fig 9.2 b).
L’intersezione rappresenta il punto di funzionamento effettivo. Nella pratica, dovendo progettare un
impianto, si sceglierà una coppia di valori Q, H, cui corrisponde una portata Qt leggermente supe-
riore a quella richiesta Qr, ed un carico Ht, leggermente superiore a quello strettamente misurato
sulla curva caratteristica dell’impianto.
Ci si riporta al valore di portata voluto introducendo una perdita di carico localizzata sulla condotta
premente, il che si può facilmente ottenere con una valvola parzialmente aperta. Si ha quindi
v12 v 22
H t 0,5 J 1 L1 Y J 2 L2 H -
2g 2g
Anche H’ è
funzione di v2;
la curva ca-
ratteristica del-
l’impianto in
sostanza risulta
un po’ più ele-
vata della pri-
ma, continuan-
do a partire dal
punto H = Y.
Osserviamo la
nuova piezome-
trica, nel caso
che sia v1 = v2
(fig.9.3); in tal
caso risulta an-
Figura 9.3 che Hm = H.
Poiché Ht >
H, ma v12/2g è minore del caso senza valvola, come pure J1L1, J2L2 e 0,5 v12/2g, la quota
piezometrica hm a valle della valvola risulta superiore a quella precedente.
Per verificarlo, basta scrivere che è, senza valvola
153
v12
hV hM H m z A 1,5 J 1 L1 H -
2g
mentre è, con la valvola
v12
hV hM H m z A 1,5 J1 L1 H t -
2g
e tenere presente che è Ht >H, mentre è v’< v.
Vi sono altri possibili schemi di impianti di sollevamento, che qui di seguito si indicano:
pompaggio con con-
dotta di aspirazione
in depressione; in
questo caso (fig. 9.4)
la pompa è al di so-
pra del livello del
serbatoio A; il
dislivello tra l’asse
della pompa ed il
serbatoio non può
superare i 10,33 m.
Pompaggio con arrivo sotto battente. La condotta premente termina ben al di sotto della quota
del pelo libero sul serbatoio B. In questo caso (fig. 9.6) si deve assumere, al termine della
condotta premente, z2
+ p2/= zB
I quattro casi mostrati
possono essere fra loro
combinati, ottenendo in
definitiva i seguenti casi:
1-Pompa sotto battente,
arrivo libero
2-Pompa sotto battente,
arrivo sotto battente
3-Pompa in aspirazione,
arrivo libero
4-Pompa in aspirazione,
arrivo sotto battente
Figura 9.5 5-Pompa sommersa,
arrivo libero
6-Pompa sommersa,
arrivo sotto battente
154
Figura 9.6
155
10.
Le lunghe condotte
In molti casi dell’idraulica pratica, le perdite di carico localizzate sono complessivamente molto più
piccole delle perdite continue. Ciò avviene negli acquedotti, negli oleodotti, ed in genere quando il
rapporto L/D tra la lunghezza ed il diametro è maggiore di un certo valore.
Per trovare tale limite, poniamo:
v2 f v2 v2
Y JL L
2g 2 g D 2g
v2 f
Y L
2g D
si tenga presente che a comporre vanno il coefficiente della perdita di sbocco (pari ad 1), il co-
efficiente della perdita d’imbocco (pari a 0,5) ed i coefficienti relativi a cambiamenti di diametro
e curve brusche; in totale si potrà ammettere
3
Se si trascura rispetto a f L/D si commette un errore percentuale pari a:
e
f L
D
Di solito si accetta e 5 %; tale è infatti l’ordine di grandezza dell’incertezza su f e quindi su fL/D;
e
5 %
f L
D
cioè
1 f L
1 20
e D
e quindi
f L
19
D
f L
57
D
L 57
D f
156
Se per esempio f vale 0,05 dovrà essere
L
1140
D
Tenuto conto dei valori pratici di f, compresi tra 0,01 e 0,06, si potrà concludere che sarà
L
6000 1000
D
Se così è, anche l’altezza cinetica risulta trascurabile rispetto ad Y; pertanto linea dei carichi totali e
linea piezometrica coincidono.
Le lunghe condotte si rappresentano graficamente con una linea (non si vede il diametro della
tubazione, contrariamente a quanto si fa nelle brevi condotte). La lunghezza effettiva L si assume
pari alla sua proiezione orizzontale.
I problemi pratici relativi alle lunghe condotte possono essere considerati come:
a) problema di progetto
b) problema di verifica.
e quindi
157
v2 8q2
f D f D
Y
L 2g D g 2 D5
equazione nella sola incognita D.
Il valore di D che risolve l’equazione non può a meno di casi fortunatissimi essere accettato,
poiché non corrisponde ad un diametro in produzione (diametro commerciale).
Si tratterà quindi di scegliere un diametro D1>D ed un diametro D2<D; L1 ed L2 saranno le rispettive
lunghezze;
si porrà dunque
L1 L2 L
J 1 L1 J 2 L2 Y
In pratica noti D1 e D2 sarà facile calcolare f1 ed f2; v1 e v2 risultano dati da q/( D2/4); quindi si va-
lutano J1 e J2 ed
infine si risolve il
sistema per L1 ed
L2.
È buona norma
disporre le tuba-
zioni in modo da
avere la piezo-
metrica più
bassa: ciò con-
sente di avere
minori pressioni
di esercizio e di
limitare le perdite Figura 10.2
(fig.10.2).
La soluzione che comporta maggiori pressioni è d’altra parte possibile (linea tratteggiata in figura).
La soluzione così trovata è comunque poco cautelativa: l’ingegnere deve tenere conto di una possi-
bile sottostima della scabrezza, o di una variazione di questa col tempo a causa del deterioramento
della parete della tubazione.
La soluzione classica consiste nel considerare, quando si determina il diametro teorico, un coeffi-
ciente di scabrezza pari al doppio, se si impiega la formula di Darcy, ovvero un indice di resistenza
pari al doppio se si adoperano altre formule.
Di fatto, la pie-
zometrica trac-
ciata sarà quella
“a tubi usati”.
Quando la tuba-
zione è all’inizio
dell’esercizio, la
scabrezza è mi-
nore di quella di
progetto. Con lo
stesso carico Y
disponibile, la tu-
bazione adduce
una portata q+q
Figura 10.3
maggiore, se essa
158
è disponibile al serbatoio A.
Ma, se la portata differenziale q non è disponibile, occorre tracciare la piezometrica, partendo da
valle, per la portata q, esattamente valutando J 2 f v 22 2 g D2 e J 1 f v12 2 g D1 ( fig. 10.3).
La piezometrica dunque taglia la condotta; in realtà, dal punto di intersezione e fino al serbatoio A il
moto si svolge a canaletta a pressione atmosferica. Si deve supporre infatti che, poiche le tubazioni
possono addurre la portata q+q, il serbatoio A si svuoti e quindi la condotta possa in parte ri-
succhiare aria.
Questo funzionamento non è ritenuto igienicamente sicuro. Si ricorre perciò ad una “valvola ridut-
trice” che introduce una perdita di carico H. Risulterà
Y J 1 L1 J 2 L2 H
La valvola può essere man mano aperta col progredire dell’invecchiamento della condotta, fino a ri-
stabilire la situa-
zione di progetto.
La soluzione che
spesso viene
adottata consiste
nell’evitare di di-
videre in due il
tratto, conser-
vando il diametro
maggiore unico;
o nell’impiegare
una lunghezza Figura 10.4
del tratto a dia-
metro maggiore
conveniente-
mente più grande di quella calcolata. Ovviamente, occorre disporre una valvola regolatrice (fig.
10.4).
Quando si traccia la piezometrica teorica, e cioè la retta che unisce i due livelli dei serbatoi A e B,
non si tiene conto
dell’andamento
della tubazione.
Se l’asse della tu-
bazione è in qual-
che punto al di
sopra della pie-
zometrica di una
distanza maggiore
di 10,33 m, il
moto non può av-
venire. Occorre
Figura 10.5 dunque trovare
una soluzione
conveniente.
Nel caso di progetto, si prescrive che la piezometrica non sia mai a meno di 5 m al di sopra della
condotta:in altri termini, si vuole essere sicuri di evitare il funzionamento in depressione (fig.10.5).
Dal punto A si traccia perciò la piezometrica in modo da avere sempre almeno 5 m di altezza pie-
zometrica in ogni punto della condotta.
159
Dal punto della piezometrica a distanza minima dalla condotta, si traccia la congiungente col ser-
batoio B. Le due linee AM ed MB formano la piezometrica teorica; esse saranno sostituite da due
tratti corrispondenti ai diametri effettivi.
Figura 10.6 D2
qv
4
Anche qui, se
esiste un punto
della condotta al
di sopra di 10,33
m della piezo-
metrica, il moto
non può avve-
nire.
Dal punto M più
alto della con-
dotta si scenderà Figura 10.7
di 10,33 m, indi-
viduando il punto N fisicamente più alto possibile sulla verticale per M (fig. 10.7).
Si traccia quindi la AN, che è la piezometrica vera. Da B si traccia la piezometrica verso monte, con
la stessa inclinazione di AN, arrestandosi quando la distanza al di sotto della condotta supera i 10,33
m, nel punto P. Da P ad N la piezometrica si traccia parallela alla
condotta. Il punto M è quindi la sezione di controllo del moto. La
portata q è quella che corrisponde alla piezometrica AN (o PB).
Esiste ancora un caso pratico di verifica, quello che si presenta
quando si tratta di accertare il funzionamento di un acquedotto. In
questo caso si può misurare la portata, per esempio alla sorgente
A. Chiamiamo qm il valore della portata misurata. Se è qm > q, una
Figura 10.8 parte della portata disponibile sarà sfiorata alla sorgente, e
l’acquedotto adduce la portata q (fig. 10.8).
Se è qm <q, in condotta potrà passare solo la portata disponibile qm e non di più.
160
Pertanto la piezometrica si traccerà da valle, per la portata qm; essa toccherà la condotta in un punto
P e da qui prose-
guirà a monte
lungo la con-
dotta, con un
tratto di moto a
canaletta a pres-
sione atmosferica
(fig. 10.9).
Nel caso che vi
sia un punto alto,
esso andrà as- Figura 10.9
sunto come se-
zione di controllo
(fig. 10.10).
Dal punto N si
traccia verso
monte la piezo-
metrica corri-
spondente a qm.
Da B si traccia
verso monte la
stessa piezome-
trica fino al punto
P.
Figura 10.10
161
11.
Correnti a superficie libera
11.1 Generalità
Una corrente a supeficie libera (o a pelo libero) presenta una superficie a contatto con l’atmosfera, e
sullla quale pertanto la pressione relativa è nulla.
Se facciamo riferimento a una sezione trasversale,
distingueremo facilmente in essa l’area A, la
larghezza in superficie L, la profondità h e il
contorno bagnato C (fig. 11.1)
Se facciamo riferimento a una sezione
longitudinale, potremo distinguere la linea del
fondo e la linea della superficie libera: la
profondità h è normale al fondo (fig. 11.2).
Sarà bene individuare alcuni modi di vedere le
correnti a superficie libera, che saranno ricorrenti
nella trattazione:
1) corrente a superficie libera lineare:
Figura 11.1 le traiettorie sono sensibilmente rettilinee e
parallele, come in fig. 11.3
2) Moto con piccola pendenza del fondo:
la profondità della corrente - normale alla linea di fondo - si può confondere con la verticale (fig.
11.4).
Si può vedere per =5°10°
risulta cos 1 (e d’altra parte
sen tan ). Si noti che =10°
Figura 11.2
corrisponde a i = tan =0.17, che nella pratica è una pendenza molto forte.
Se sono vere le ipotesi 1 e 2, potremo considerare le
pressioni variabili come in idrostatica lungo la normale
alla linea di fondo: preso un riferimento coincidente
col fondo di una sezione, risulterà, come in fig. 11.5
p
z h
Figura 11.3
Si tenga presente che altri casi, che pure si presentano
nel moto a superficie libera, di
correnti con traiettorie
sensibilmente curve o con forti
pendenze del fondo, vanno
trattati in modo diverso.
Figura 11.4
162
Figura 11.5
163
Possiamo d’altra parte, fissata una sezione,
ricavare l’altezza h in funzione di E e Q ; risulta:
Q2
hE
2g A2
Da quest’equazione si può vedere come, a parità
di carico E, sono legate h e Q:
per h = 0, Q = 0;
2g A2 2g A2
e poiché è Q 2 E h ,
risulterà Q = 0 per E = h.
Il grafico, in fig. 11.7, avrà pertanto un massimo
di Q per h compreso tra 0 e E: chiameremo
Figura 11.7
questo valore “portata critica”: si tratta della massima portata che può transitare in una sezione con
una data energia. La corrispondente altezza è l’altezza ”critica” hc, la corrispondente velocità è la
“velocità critica” Vc.
Anche qui le correnti con h > hc si dicono lente, e quelle con h<hc si dicono veloci.
Con una data energia, una generica portata può transitare in corrente lenta o in corrente veloce.
P2
1 2 0
2g h3
Posto hc il valore di h per cui l’equazione è vera, e Pc la corrispondente portata,
Pc2
hc 3
g
164
D’altra parte
Pc2 g hc3
Pc g hc3
Vc g hc
hc hc
Infine
Vc2 1 3
E c hc hc hc hc
2g 2 2
cioè a dire che, in una corrente a superficie libera in sezione rettangolare, l'energia critica è pari ai
3/2 dell'altezza critica.
Approfondimenti
11.4 Comportamento fisico delle correnti lente o veloci
Il concetto di corrente lenta e di corrente veloce è stato introdotto con considerazioni di carattere
energetico.
È possibile però comprendere il diverso comportamento dei due tipi di corrente solo se si prende in
esame come esse reagiscono a una perturbazione. Una perturbazione è una qualsiasi causa che vada
a variare lo stato della corrente. Si può pensare alla perturbazione come un'onda che percorre il
canale; diremo positiva l'onda che fa aumentare l'altezza della corrente, negativa quella che la fa
diminuire. Per fissare le idee, pensiamo a un canale munito a monte di paratoia: una manovra della
paratoia provoca una perturbazione che percepiamo come un’onda che si propaga nell’alveo verso
valle. Se si apre la paratoia si ha un’onda positiva, se la si chiude si ha un’onda negativa.
Con un canale munito invece di una paratoia a valle, possiamo provocare un’onda che si propaga
verso monte, negativa se apriamo la paratoia, positiva se la chiudiamo.
Ora, chiamiamo a la velocità assoluta con cui l’onda si sposta nel canale; e poiché si tratta di una
perturbazione, diremo a la sua “celerità” assoluta.
Un osservatore esterno al canale vede l’onda
Figura 11.8 spostarsi con velocità (celerità) a (fig. 11.8)
Se la velocità in un punto del canale è V, un
osservatore interno al canale e che si muove con la
velocità V della corrente, vedrà l’onda spostarsi con
celerità
c a V ;
c sarà detta celerità relativa (fig.11.9).
Si dimostra che, se l’altezza della perturbazione è
infinitesima (come avviene per una perturbazione Figura 11.9
elementare), e se h è l’altezza della corrente
indisturbata, in alveo rettangolare, si ha
c gh ( formula di Lagrange )
dove il segno + vale per le perturbazioni che
viaggiano verso valle.
Ma abbiamo visto che g h è la velocità critica;
allora, se la corrente è veloce, sarà
V c
165
la perturbazione si propaga verso valle con celerità assoluta
a V g h ;
verso monte, la celerità sarebbe
a V g h
ma poiché è V g h , risulta ancora a > 0, quindi la perturbazione non può propagarsi verso
monte.
Se la corrente è lenta, risulta
V c
d Q2
h 0 -
dh 2g A2
Figura 11.10
166
Q 2 dA
1 2 0-
2 g A 3 dh
Se esaminiamo una generica sezione (fig. 11.10) ci rendiamo conto che, all’altezza h generica,
dA/dh è proprio la larghezza della superficie libera per quell’altezza, essendo dA=L dh
Dunque, sarà
dA
L -
dh
Q2 L
1-
g A3
Per dH/dh = 0 porremo
H = Hc; h = hc; V = Vc; Q = Qc; A = Ac
Pertanto sarà
g Ac
Qc Ac -
L
e in particolare, per la sezione rettangolare con = 1, come già visto, risulta
Qc hc L g hc -
Pc hc g hc -
iJ;
infatti la superficie piezometrica coincide con la superficie libera e poiché l’altezza rimane costante
in tutte le sezioni, la linea piezometrica risulterà parallela al fondo (fig. 11.11), come del resto sarà
parallela al fondo la linea dei carichi totali.
Figura 11.11
167
Per quanto riguarda le caratteristiche del moto uniforme, esse si calcolano con riferimento alle
formule già viste nel capitolo che tratta le resistenze al moto. Detto f l’indice di resistenza, sarà
v2
J f
2 gD
secondo la formula di Darcy-Weisbach; l’indice di resistenza si potrà calcolare nella maggior parte
dei casi con la formula di Prandlt per tubi scabri
2
1
f
1
2 log
3,715
D
sostituendo in essa l’espressione 4Ri al posto di D, dove Ri è il raggio idraulico.
Si possono anche usare formule classiche, come quella di Chèzy
V Ri J -
o quella di Gauckler-Strickler
V K Ri2 3 J 1 2
cercando nei manuali gli opportuni valori degli indici di velocità (spesso impropriamente detti
coefficienti di scabrezza) .
Scelta una formula di moto uniforme, ed utilizzando la definizione di portata
Q VA
si è in grado di scrivere un’equazione nella quale compaiono come incognite la Q e l’altezza del
moto uniforme, ho.
Per esempio, se si sceglie la formula di Gauckler-Strickler, per la sezione rettangolare, si ha
(fig. 11.12):
Q kRi 2 / 3 i A
ed essendo
A=Lh0
Lh0
Ri A / C
Figura 11.12 L 2 h0
si può scrivere
2/3
Lh0
Q k i Lh0 ,
L 2 h0
equazione che permette di calcolare Q data h0, o di calcolare h0 data Q.
168
In modo analogo si procede per sezioni in cui il raggio idraulico sia rappresentabile da
un’espressione algebrica in funzione dell’altezza. Se ciò non accade, si può procedere graficamente
per incrementi di altezza dh, valutando di volta in volta l’area della sezione e il contorno bagnato e
calcolando quindi il raggio idraulico, la velocità e la portata, fino a costruire per punti la funzione
Q(h0), che si usa chiamare “scala” del moto uniforme.
Data la portata, e individuata l’altezza di moto uniforme h0, se risulta
h0 hc
si dice che il moto uniforme è in corrente lenta; se invece risulta
h0 hc
si dice che il moto uniforme è in corrente veloce.
In modo analogo, sempre per una data Q, si può valutare la pendenza che, nel moto uniforme,
corrisponde all’altezza critica hc: detta ic tale pendenza, se risulta
i ic
si dice che l’alveo è a debole pendenza e il moto uniforme si svolge in corrente lenta, mentre se
risulta
i ic
si dice che l’alveo è a forte pendenza e il moto uniforme si svolge in corrente veloce.
Va da sè che si troverà sempre
h0 hc quando è i i c ,
e
h0 hc quando è i i c .
11.7 Il moto permanente in correnti a superficie libera (non è stato spiegato nulla di ciò che si
trova avanti)
Il moto permanente di una corrente a superficie libera è caratterizzato dal fatto che, non variando
con il tempo le sezioni idriche, la portata deve restare costante in tutte le sezioni, secondo
l’equazione di
continuità
Q A
0
s t
Restando costante
Figura 11.13 la portata, lungo
l'ascissa s può
tuttavia variare
l’area, e con essa la velocità e l’altezza; la superficie libera della corrente, in una sezione
longitudinale, presenterà quindi un profilo non parallelo al fondo, detto appunto profilo di moto
permanente , come in fig. 11.13
169
Tra due sezioni 1 e 2 a distanza s (fig. 11.14), facendo riferimento al moto permanente, potremo
scrivere l’equazione dell’energia come :
v12 v 22
z1 h1 z 2 h2 H
2g 2g
Figura 11.14
dove H è la perdita di carico totale; se chiamiamo J la pendenza della linea dei carichi totali,
potremo porre
H J s
cioè J s è la perdita di carico dovuta alle resistenze al moto nel tratto di lunghezza s.
L’equazione precedente si può scrivere
z1 E1 z 2 E 2 Js
ed essendo (si veda la figura)
z 2 z1 is
risulta
E 2 E1 i J s
e per una distanza infinitesima ds
dE
i J .
ds
Converrà ora notare che l’energia specifica E dipende da h, e che h varia lungo l’alveo con l’ascissa
s; in termini analitici E = f ( h(s)). Pertanto sarà
dE E dh
.
ds h ds
Le due equazioni ora scritte permettono di studiare la variazione dell’energia e dell’altezza di una
corrente a superficie libera in moto permanente.
170
11. 8 Profili di moto permanente in alveo prismatico
Le equazioni studiate per la variazione dell’energia specifica lungo l’alveo, quelle del moto
uniforme e quelle dell’energia con l’altezza in una sezione permettono di studiare i profili delle
correnti in moto permanente, o profili di moto permanente o profili di rigurgito.
In definitiva l’equazione che dà la variazione dell’altezza della corrente si può porre nella forma
dE
dh ds
ds dE
dh
e infine
dh i J
ds dE
dh
Figura 11.15
Distingueremo perciò tre possibili zone nelle quali può trovarsi il profilo della corrente :
1. Profilo al di sopra dell’altezza di moto uniforme.
2. Profilo compreso tra l’altezza critica e l’altezza di moto uniforme
3. Profilo compreso tra il fondo e l’altezza critica
Nella prima zona, essendo l’altezza della corrente superiore all’altezza critica, risulta
E
0;
h
d’altra parte, essendo h>h0, sarà
J<i,
dh i J dh
quindi i-J >0 e, poiché è , risulta 0,
ds dE ds
dh
cioè le altezze crescono con l’ascissa s e si trova un profilo di corrente “lenta ritardata”, denominato
usualmente con la sigla D1 (fig. 11.16).
171
Per s , h h 0 , J i , e il moto uniforme viene raggiunto all’infinito a monte; per s
dE dh
crescenti, tende a uno, mentre J 0 ; pertanto i , cioè a dire il profilo tende
dh ds
all’orizzontale.
Figura 11.16
Nella seconda zona, essendo h0>hc , la corrente è ancora lenta, per cui risulta
E
0
h
D’altra parte, essendo h<h0, dev’essere
i-J <0.
Pertanto sarà
dh
0.
ds
Il profilo, denominato D2, avrà altezze decrescenti con l’ascissa s, e quindi sarà un profilo di
“corrente lenta accelerata”; si può vedere che all’infinito a monte h h0 , mentre per h hc
dE
0
dh
dh
Restando i-J un valore finito, , e quindi il profilo si dispone con tangente verticale (fig.
ds
11.17).
Figura 11.17
Nella terza zona, essendo h<hc, la corrente è veloce, per cui risulta
E
0
h
D’altra parte, poiché l’altezza della corrente è inferiore a quella di moto uniforme, risulterà
J>i .
172
Pertanto sarà
dh
0
ds
Figura 11.18
e si avrà un profilo di corrente veloce ritardata detto D3 (fig. 11.18).
Per h crescenti e tendenti a hc, il profilo avrà tangente verticale. Si può dimostrare che anche per h
tendenti a zero si trova un profilo con tangente verticale. In realtà la parte del profilo con altezze più
basse non può iniziare dal fondo alveo, ma da una altezza alquanto superiore a questo.
Figura 11.19
E
0
h
Inoltre è J<i , poiché le altezze sono superiori a quelle di moto uniforme; quindi si avrà
dh
0
ds
cioè un profilo crescente.
Al crescere di h, il denominatore tende ad 1, mentre il numeratore tende a i. Quindi
173
h
i
s
cioè il profilo tende a disporsi orizzontale (con inclinazione i rispetto al fondo, che è il nostro
riferimento); d’altra parte, per h hc , il profilo ha tangente verticale. Si ha così il profilo di
corrente lenta ritardata in alveo a forte pendenza, detto F1, riportato nella fig. 11.20.
Figura 11.20
E
0
h
ed, essendo J<i, si avrà un profilo decrescente, che si chiama F2 ed è rappresentato in fig. 11.21.
Figura 11.21
Per h che tende a h0 , il denominatore tende a un valore finito, mentre il numeratore tende a zero.
Pertanto il profilo tende a raggiungere la pendenza i, cioè l’altezza di moto uniforme, all’infinito a
valle. Per h=hc il denominatore tende a zero, mentre il numeratore ha un valore finito. Pertanto
h
s
cioè il profilo si dispone con tangente verticale.
Nella terza zona, infine, è
E
0
h
e i-J <0; quindi si avrà un profilo con h crescenti, e cioè un profilo di corrente veloce ritardata,
detto F3. Per h che tende ad h0, ovviamente, si avrà
h
0
s
mentre per h=0 il profilo avrà tangente verticale.
174
La fig. 11.22 mostra il profilo di corrente veloce ritardata in alveo a forte pendenza.
Figura 11.22
Le fig. 11.23 e 11.24 riassumono i possibili profili in alveo a debole e a forte pendenza; sarà bene
sottolineare che, data la portata e la sezione, si può valutare l’altezza critica ; date inoltre la
pendenza e la scabrezza dell’alveo, si può valutare l’altezza di moto uniforme. Si potrà stabilire
quindi se l’alveo è a debole o a forte pendenza; nel primo caso i profili di moto permanente della
corrente non possono essere diversi da quelli in fig. 11.23 e nel secondo da quelli di fig. 11.24.
Si noterà che i profili di corrente lenta devono essere tracciati da valle verso monte, e che il moto
uniforme viene raggiunto all’infinito a monte, nell’alveo a debole pendenza; mentre i profili di
corrente veloce vengono tracciati da monte verso valle, e il moto uniforme viene raggiunto
all’infinito a valle nell’alveo a forte pendenza.
Figura 11.23
Figura 11.24
175
consenta di individuare la sezione a valle del tratto di corrente lenta da cui si traccia il profilo della
stessa; e la sezione a monte del tratto di corrente veloce da cui si traccia il profilo di quest’ultima.
Ciò si verifica in corrispondenza di un cambio di pendenza dell’alveo, come in fig. 11.25, o di
scabrezza, come in fig. 11.26, in modo da trovare a monte un alveo a debole pendenza e a valle un
alveo a forte pendenza.
Figura 11.25
Figura 11.26
Ragionando in modo analogo, si può immaginare che la trasformazione senza discontinuità di una
corrente veloce in una corrente lenta si possa verificare con un profilo D3 che termini con lo stato
critico e sia seguito da un profilo F1. Anche qui è necessario un cambio di pendenza o di scabrezza
in corrispondenza della sezione dove si è supposto lo stato critico, perché il profilo D3 appartiene
agli alvei a debole pendenza mentre il profilo F1 agli alvei a forte pendenza (fig. 11.27).
Ma, a differenza del caso precedente, il profilo D3, che è di corrente veloce, dev’essere causato da
una perturbazione a monte; mentre il profilo F1, che è di corrente lenta, dev’essere causato da una
perturbazione a valle.
Figura 11.27
Non si verifica mai, in pratica, che possano esistere insieme un cambio di pendenza e due cause
perturbatrici poste nella esatta posizione per cui lo stato critico si trovi esattamente nella sezione in
cui cambia la pendenza.
176
La trasformazione di una corrente veloce in corrente lenta non avviene mai, dunque, con continuità,
con un passaggio per lo stato critico.
M1
1 G -M2
G sen 2
Figura 11.28
G + + M1 – M 2 = 0
e se ne considera la proiezione nella direzione del moto
Gsen + 1 - 2 – R + M1 – M2 = 0
dove 1 e 2 sono le spinte sulle sezioni 1 e 2 rispettivamente, e R è la risultante delle azioni
tangenziali sulla parete e sul fondo, trascurando la differenza Gsen– R si ottiene
1 - 2 + M1 – M2 = 0
ovvero
1 + M1 = 2 + M2 .
Le 1 e 2 sono le spinte idrostatiche che agiscono sulle sezioni 1 e 2, mentre le M1 e M2 sono le
spinte idrodinamiche o quantità di moto. La somma
S = 1 + M1 = 2 + M2
è detta “spinta totale della corrente”.
Risulta, per una generica sezione,
= p0 A,
dove p0 è la pressione nel baricentro e A è l’area della sezione; e
M = Q v = A v2,
dove Q è la portata e v è la velocità.
Volendo studiare la variazione di S con l’altezza h, si può vedere facilmente che la spinta idrostatica
è zero per h=0, e che essa è crescente con h; mentre la spinta idrodinamica tende a zero per h che
177
tende all’infinito, poichè in questo caso la velocità tende a zero; e tende ad infinito per h tendente a
zero, perchè in questo caso la velocità tende all’infinito.
La funzione S(h) avrà allora un minimo, come in fig. 11.29, e si può dimostrare che esso si verifica
per h=hc .
Q2
h 3
gL2
che è proprio l’espressione dell’altezza
critica in sezione rettangolare.
178
Applicazioni
11.11 Casi particolari
Passaggio al di sotto di una paratoia
Si consideri un canale alimentato da un serbatoio munito di una paratoia. Manovrandola, si possono
presentare nel canale diversi profili di moto permanente.
Quello che differenzia i profili, sostanzialmente è la condizione di alveo a debole o a forte
pendenza.
Esaminiamo
dapprima la condi-
zione di debole pen-
denza. Allo scopo
basta che il fondo del
canale sia
orizzontale.
Allo sbocco si forma
l’altezza critica
P2
Figura 11.31 hc 3 ;
g
dallo sbocco a monte si trova un profilo di corrente lenta accelerata, che tende a raggiungere il moto
uniforme all’infinito a monte.
Ammettiamo dunque di trovarci in questa situazione, e abbassiamo la paratoia (fig. 11.31).
A valle della paratoia osserviamo un profilo di
Figura 11.32 corrente veloce ritardata, che si raccorda con un
risalto al profilo di corrente lenta. L’effetto può
essere variato regolando l’altezza della corrente
da valle.
Ci sono tre modi per verificare che si tratta di una
corrente veloce.
Il primo modo consiste semplicemente
nell’osservare l’andamento delle perturbazioni.
In secondo luogo, possiamo anche osservare che il
profilo di corrente è determinato dalla apertura
della paratoia, che si trova a monte; pertanto la
corrente è veloce.
Possiamo infine osservare che a monte della
Figura 11.37
Figura 11.38
E1 a E 2
Nella sezione 2 si ha comunque un’energia
rispetto al fondo minore che nella sezione 1.
Osserviamo ora la curva dell’energia rispetto
al fondo (fig. 11.40):
È evidente che, se la corrente a monte è
veloce, l’altezza sulla soglia, h2, è maggiore
dell’altezza a monte h1. Se invece la corrente
è lenta, l’altezza sulla soglia h2 è minore dell’
181
altezza h1. Si dice perciò che la corrente lenta si deprime, e che la corrente veloce si innalza.
Questo fenomeno si può osservare creando nel canale una corrente lenta o veloce, agendo come nel
caso precedente, e introducendovi una soglia bassa.
Se però la soglia è abbastanza alta, quando ci si abbassa di a dal punto (E, h) relativo alla corrente a
monte della soglia, è possibile che risulti E - a < Ec.
In questo caso la corrente non passa sulla
Figura 11.41 soglia nelle condizioni previste. Essa
infatti non possiede l’energia minima
necessaria.
Pertanto la corrente dovrà guadagnare
l’energia minima necessaria, aumentando
il suo livello a monte. Poiché la soglia in
questo caso agisce controllando la
corrente, essa, a monte della soglia, non
potrà che essere lenta.
Fissata dunque sulla soglia l’energia
minima, la corrente si troverà allo stato
critico sulla soglia stessa, con energia
3 3 P2
E c hc 3
2 2 g
Figura 11.42
rispetto alla soglia, e con energia E = a + Ec immediatamente a monte di essa (fig. 11.41).
Ora distinguiamo il caso che la corrente indisturbata nell’alveo sia lenta o veloce.
Se la corrente è lenta, avremo a monte un profilo di corrente lenta ritardata in alveo a debole
pendenza, D1, che si raccorda al moto uniforme all’infinito a monte; e, a valle, avremo un tratto di
corrente veloce ritardata, D3, che termina con un risalto. Ciò è vero perché risulta hv < h0 (fig.
11.42).
Le altezze della corrente a monte e a valle della soglia, hm e hv, si possono facilmente valutare
supponendo costante l’energia rispetto al fondo nel breve tratto interessato dalla soglia, e ponendo
Figura 11.43
Vm2
a E c hm
2g
e
182
Vv2
a E c hv
2g
Se si inclina il canale, si creano le condizioni per cui, invece, la corrente indisturbata è veloce.
Ora, supponendo condizioni di moto uniforme con i > ic, si troverà a monte della soglia un profilo
di corrente lenta ritardata in alveo a forte pendenza, F1, che termina verso monte con un risalto, e a
valle un profilo un profilo di corrente veloce ritardata, che tende al moto uniforme (fig. 11.43).
183
Si porrà dunque
Q
p C'
b
e dovrà essere
Figura 11.46 Pc 2
hc 3
g
e
3
E C' hc
2
La corrente pertanto passa dalla sezione ristretta
con energia maggiore rispetto alla curva della
corrente indisturbata (fig. 11.47).
Figura 11.47
Figura 11.48
Nel secondo caso, la corrente indisturbata è veloce. Si ha, a monte, un tratto di corrente lenta in
alveo a forte pendenza, interrotto a monte dal risalto; la corrente passa per lo stato critico nella
sezione ristretta, e va a raggiungere il moto uniforme all’infinito a valle con un profilo di corrente
veloce ritardata. (fig. 11.49).
184
Il fatto che a valle si trovi un profilo di corrente veloce ritardata (hv < h0) si può dedurre dall’esame
della curva H, P (fig. 11.50).
Figura 11.49
Passato il restringimento, con la nuova energia la stessa portata unitaria P, si trova ad un’altezza hv
inferiore a quella del moto uniforme.
Figura 11.50
185