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1.

Le basi fisiche
dell’Idraulica

1.1. Sistemi e unità di misura


La misura di una grandezza fisica è l’operazione con la quale questa viene confrontata con una
grandezza della stessa specie assunta come unità di misura: per misurare una lunghezza si adopera
una unità di lunghezza, per misurare un peso si adopera un’unità di peso etc. Le grandezze con cui
si ha a che fare nella meccanica sono molte, e, benché esistano unità specifiche per ciascuna di esse,
per poter eseguire i necessari confronti risulta necessario esprimerle tutte con riferimento a poche
grandezze prescelte, tenendo presenti le leggi fisiche che tra queste intercorrono.
Si pensi per esempio alla velocità di una barca: l’unità di misura propria della velocità dei natanti è
il nodo; questa unità va benissimo quando si vogliano confrontare tra di loro le velocità di due
barche. Ma, per conoscere qual è lo spazio coperto in un determinato tempo da una barca che
viaggia a una data velocità in nodi, è necessario sapere che un nodo equivale a un miglio nautico
all’ora = 1,852 km/ora.
Ciò mostra anche che noi siamo perfettamente abituati ad esprimere la velocità tramite due altre
grandezze, di cui l’una è misura di una lunghezza, e l’altra misura di un tempo: sicché senza
problemi parliamo di metri al secondo o di km all’ora. Nel fare ciò, implicitamente facciamo uso
della legge fisica che definisce la velocità come rapporto tra spazio e tempo, e consideriamo la
velocità una grandezza non fondamentale ma derivata.
Una volta scelte alcune grandezze come fondamentali, e fissate le loro dimensioni [D1], [D2], etc., le
dimensioni delle grandezze derivate, che cioè risultano funzioni delle fondamentali attraverso leggi
meccaniche, sono delle combinazioni delle dimensioni delle grandezze fondamentali.
Ad esempio, la velocità v è una funzione del tempo t e dello spazio s:
s
v
t
se scegliamo lunghezza e tempo come grandezze fondamentali, e poniamo [L] e [T] le rispettive
dimensioni, le dimensioni di v risultano:
V   LT 1 
In generale, se G è una funzione delle grandezze fondamentali D1, D2, D3, ...con dimensioni [D1] ,
n
 n n

[D2], [D3] le dimensioni di G, [G], verranno espresse come D 11 D2  2 D3  3 , dove n1, n2, n3, ...
sono dei numeri puri. Possiamo quindi fissare il principio di omogeneità dimensionale per
controllare se una legge fisica, in cui compaiono grandezze di cui conosciamo le dimensioni, è
scritta correttamente: l’esponente di ogni grandezza fondamentale al primo membro della legge
deve risultare uguale alla somma degli esponenti delle stesse grandezze scritte al secondo membro.
Per esempio, nella legge del moto uniformemente accelerato con velocità iniziale nulla,
1 2
s at
2
scelte come fondamentali lunghezza e tempo, risulta:
L  LT 2T 2 
4
A seconda della scelta delle grandezze fondamentali, si possono stabilire diversi sistemi di misura;
unica condizione è che le grandezze scelte come fondamentali siano tra di loro meccanicamente
indipendenti; ciò significa che non deve esistere un legame fisico tra dette grandezze tale che le
dimensioni dell’una risultino pari al prodotto delle dimensioni delle altre elevate ad esponenti
numerici.
Per esempio, non si possono scegliere come dimensioni fondamentali lo spazio, la velocità e il
tempo, perché risulta:
s
v
t

V   LT 1 
ugualmente non si possono scegliere forza, massa, lunghezza e tempo perché essendo
F  ma
risulta:
F   ML T 2 
Il Sistema Internazionale (SI) ha come grandezze fondamentali la lunghezza, la massa ed il tempo:
L, M, T.
Il Sistema Tecnico (ST) ha come grandezze fondamentali la lunghezza, la forza ed il tempo: L, F, T.
È facile verificare che dette grandezze rispondono al requisito di essere dimensionalmente
indipendenti.
Il Sistema Internazionale ed il Sistema Tecnico hanno le stesse unità di misura per lunghezze e
tempi. L’unità di misura della lunghezza è il metro (m); esso fu originariamente definito come una
frazione della lunghezza del meridiano terrestre: esattamente il meridiano misura 40 106 m.
Tale definizione fu assunta nel 1791 da una commissione costituita in Francia su incarico
dell’assemblea costituente, e di cui facevano parte Borda, Condorcet, Lagrange, Laplace, Monge.
Nel 1960, l’XI Conferenza internazionale dei pesi e misure adottò una diversa definizione del
metro, basata sulla lunghezza d’onda della radiazione emessa in certe condizioni dall’isotopo 86 del
Kripton.
L’unità di misura del tempo è il secondo (s), che è una frazione del giorno solare: esattamente un
giorno è lungo 86400 s; più recentemente si è adottata per il secondo una definizione fisica, basata
sul periodo di oscillazione dell’isotopo 133 del Cesio.
Per quanto riguarda il SI, la massa è una grandezza fondamentale, e la sua unità di misura è il
chilogrammo (kg), che è praticamente uguale alla massa di un dm3 d’acqua distillata alla tem-
peratura di 4°C.
Tutte le altre grandezze sono derivate. Tra queste, la forza è una grandezza derivata, e la sua unità
di misura è il newton (N), che è la forza necessaria a far acquistare alla massa di 1 kg
l’accelerazione di 1 m/s2.
Per quanto riguarda il ST, è la forza la terza grandezza fondamentale, e la sua unità è il
chilogrammo peso (kg), che è il peso di un dm³ di acqua distillata alla temperatura di 4°C.
Tutte le altre grandezze sono derivate; tra esse, la massa la cui unità di misura è il kg s2 / m.
La figura 1.1 riassume la definizione di chilogrammo sia nel S.T. che nel S.I..

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ST: Se teniamo conto
L, F, T della legge
F=P=1 kg meccanica che
M=0,102 kg s 2/m definisce il peso di
un corpo
M=[FL-1T2]
10 c m

Pmg
4°C SI: dove g è
L, M, T l’accelerazione di
M=1 kg gravità, potremo
P=9,806 N vedere come facil-
c m F=[LMT-2] mente si possono
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ricavare le misure
Figura 1.1 della massa nel ST,
10 c m e dei pesi nel SI.
Un m3 di acqua
distillata a 4°C, che nel ST pesa 1000 kg, avrà la massa di 1000/9,806  102 kg s2 / m. Lo stesso m3,
nel SI avrà la massa di 1000 kg, e il suo peso sarà di 9806 N.
Non sarà male, per fissare visivamente le idee, fare riferimento alla seguente tabella:

M P
SI 1000 kg 9806 N
ST 102 kg s2/m 1000 kg
Tab. 1.1 Volume di 1 m3 d’acqua a 4 °C

Una bottiglia d’acqua che pesa 1


kg, avrà la massa di 0,102 kg
s2/m. Un bicchiere d’acqua, che
pesa 100 g, avrà la massa di 0,01
kg s2/m.
Nel SI, la stessa bottiglia d’acqua
avrà la massa di 1 kg e il peso di
9,8 N., lo stesso bicchiere d’acqua
avrà la massa di 0,1 kg e il peso
di circa 1 N. (figura 1.2)
Tutte le unità di misura delle altre
grandezze meccaniche possono
essere ricavate in base alle
grandezze fondamentali; in
genere si stabiliranno, per
comodità, delle unità di misura Figura 1.2
derivate: per esempio l’unità di misura delle forze nel SI è il newton, l’unità di misura del lavoro il
joule, etc.
Assunti i concetti fondamentali di cui sopra, le unità di misura delle grandezze fisiche saranno
definite di volta in volta nel seguito.

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1.2 I fluidi come sistemi continui
La distinzione tra solidi, liquidi ed aeriformi è nota a tutti dalla fisica elementare:
– si dice solido un corpo che ha volume e forma propri
– si dice liquido un corpo che ha proprio volume, ma non ha propria forma
– si dice aeriforme un corpo che non ha né volume né forma propri.
I liquidi e gli aeriformi si dicono fluidi. Un fluido, a differenza di un solido, subisce forti
deformazioni anche sotto l’azione di forze molto piccole: questa proprietà può essere addirittura
assunta come definizione di fluido. La proprietà dei solidi e dei liquidi di avere un proprio volume
si esprime in termini più corretti dicendo che per variarne il volume occorre esercitare sforzi
notevoli; in particolare un liquido, se posto in un recipiente, in condizioni normali non ne occuperà
tutto il volume disponibile, e sarà separato da una superficie libera dal fluido circostante (per
esempio l’aria); inoltre il liquido assume la forma della parte di recipiente che va ad occupare.
Un aeriforme, al contrario, subisce facilmente variazioni di volume, e, se posto in un recipiente
(chiuso), occupa tutto lo spazio a disposizione. Tale diversità di comportamento è dovuta alla
distanza relativa tra le molecole che compongono solidi, liquidi, aeriformi. Tanto maggiore è questa
distanza, tanto minori sono le forze di mutua attrazione e tanto meno il corpo si oppone alle
deformazioni. Si può fare riferimento, in sintesi, alla tabella seguente.

Solido Liquido Aeriforme


Volume proprio Si Si No
Forma propria Si No No
Resistenza alla deformazione Si No No
Superficie libera Si Si No

Tab. 1.2 Caratteristiche di solidi, liquidi e aeriformi

Pur sapendo che ogni corpo è composto da molecole (e queste a loro volta da atomi, e così via), e
che queste sono in continua agitazione nello spazio, la meccanica dei sistemi continui si fonda sulla
possibilità di trattare i corpi come sistemi rigorosamente continui, cosa che rende possibile la
formulazione analitica di molti problemi.
Le ipotesi di base della meccanica dei sistemi continui sono dovute a Leonhard Euler (1707-1783),
svizzero, matematico e fisico, uno dei fondatori dell’idrodinamica, col cui nome si indicano le
equazioni che reggono il moto dei fluidi (equazioni di Eulero).
Un fluido può essere considerato un sistema continuo se, anziché riferirsi alle molecole come
particelle elementari, si prende in considerazione una particella del corpo in esame abbastanza
grande perché il suo volume non abbia influenza; si tiene conto di un intervallo di tempo abbastanza
lungo perché si possano considerare le caratteristiche medie temporali del fenomeno in esame; e si
assegnano al punto dello spazio al centro di questa particella e all’istante centrale dell’intervallo
considerato le caratteristiche fisiche medie della particella nell’intervallo assunto.
La possibilità di adottare una simile procedura potrà essere chiarita con un esempio.
Si assuma un volume V1 all’interno del fluido, e al tempo t, istante centrale di un intervallo dt, si
valuti la massa M1 in esso contenuta e si valuti il rapporto tra massa e volume:
M1
1 
V1
si assuma ora un volume V2 più piccolo di V1, e si valuti allo stesso modo
M2
2 
V2

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si otterrà sempre lo stesso valore finché, per aver ridotto troppo il volume, non si troverà un valore
diverso dei rapporto. Ciò vuol dire che si è finito per escludere qualche molecola, e che l’ultima
dimensione utile della particella è quella del passo precedente. La stessa cosa si potrà poi fare
riducendo l’intervallo di tempo dt, finché non si ottengano valori molto diversi dalla serie
precedente.
Poiché il volume della particella elementare e l’intervallo dt sono molto piccoli rispetto alle
dimensioni dei fenomeni in esame nella meccanica dei fluidi ed ai tempi in cui essi si svolgono, è
corretto considerare i fluidi come sistemi rigorosamente continui.

1.3 Concetto di sforzo in un sistema continuo e di spinta su una superficie.


Quando si prende in esame un sistema continuo, occorre considerare anzitutto le forze esterne che
su di esso possono agire.
Esse sono:
– le forze di massa
– le forze di superficie.
Le forze di massa sono quelle forze che agiscono ugualmente su tutte le particelle, e risultano
proporzionali alla massa delle particelle stesse. Le forze di gravità, per esempio, sono forze di
massa.
Le forze di superficie sono quelle forze che si esercitano sulla superficie esterna del corpo. Le forze
esercitate su di un fluido dalle pareti del recipiente che lo contiene sono forze di superficie.
Nella meccanica dei
sistemi continui hanno
importanza non solo le
forze esterne, ma anche le
sollecitazioni interne: per
capire come queste
R A R
sollecitazioni si generano,
A
consideriamo un solido cui
sia applicato, sulla
superficie esterna, un
sistema di forze a risultante
Figura 1.3 nulla.
Questo solido si può
immaginare come una noce stretta in un pugno, o come un mattone schiacciato da una pressa
(figura 1.3). Se si aumenta la stretta del pugno o della pressa, il solido finisce per rompersi; tuttavia
la rottura si presenta in modo diverso a seconda di come il mattone viene collocato nella pressa. Per
caratterizzare lo stato della sollecitazione che ha dato luogo alla rottura, è necessario far riferimento
ad una particolare grandezza qual è la forza per unità di superficie. È necessario quindi introdurne il
concetto.
Se consideriamo il solido diviso in due da una superficie A ed assumiamo pari a R la risultante delle
forze agenti dall’esterno sulla parte di sinistra, il rapporto R/A dà un’idea dello stato di
sollecitazione cui internamente è sottoposto il corpo.
Quando si voglia conoscere lo stato di sollecitazione punto per punto è necessario riferirsi ad un
punto preciso M della
Figura 1.4
superficie A; individuato un
elemento superficiale
infinitesimo dA intorno al
punto, ed essendo n la normale
rivolta verso l’interno di dA,
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chiamata dR la risultante delle forze agente su tale elemento, si definisce come sforzo nel punto M
dell’elemento dA di normale n il rapporto n = dR/dA (figura 1.4). n è un vettore e le sue
dimensioni sono quelle di una forza su una superficie: quindi
 
   MLT  ML
2
1

T 2 ;
n
L 
2

la sua unità di misura nel S.I. è il pascal (Pa), pari ad 1 N/m2, mentre nel S.T. è il kg/m2.
L’importanza di definire la giacitura dell’elemento di superficie dA attraverso la sua normale si può
dedurre da quanto segue: consideriamo un liquido all’interno di un recipiente (figura1.5), ed
attraverso un punto M al suo interno facciamo passare una superficie A’, che lo divida in due parti S
e D. Immaginiamo di togliere la parte D e di sostituirla con il sistema di forze necessario a
mantenere l’equilibrio. Nel punto M agisce la forza elementare diretta come in figura, da destra
verso sinistra.
Immaginiamo ora di far passare per
lo stesso punto M una diversa
superficie A, che divida il liquido
nelle due parti S ‘ e D’; asportiamo
S’ e sostituiamola con un sistema di
forze che eserciti un’azione
equivalente; nel punto M agisce
stavolta la forza elementare diretta
come in figura, da sinistra verso
destra. Si può concludere che per
definire lo sforzo n è essenziale fare
riferimento alla superficie su cui tale
sforzo agisce.
La spinta su una superficie A è la
risultante degli sforzi elementari
agenti sulla superficie stessa, e può
essere definita come
Figura 1.5

    n dA ;
A

essa. ovviamente, ha le dimensioni di una forza.


Altri importanti concetti come quello di densità e di pressione e di comprimibilità saranno esposti
più avanti.

1.4 Distribuzione degli sforzi intorno ad un punto.

Si studieranno adesso le condizioni che permettono di individuare lo sforzo su un elemento di


superficie di normale n.
Questa importante relazione è dovuta a Louis Augustin Cauchy, francese, 1789-1857, ingegnere,
matematico e fisico. Essa permette di valutare lo sforzo agente su una qualsiasi superficie di
normale n una volta che siano noti gli sforzi agenti su tre elementi definiti dall’intersezione della
superficie con gli assi coordinati passanti per M. Si consideri infatti il tetraedro di figura1.6, e siano
n lo sforzo agente sulla faccia A di normale n
(attenzione: n non è necessariamente orientato secondo n!), e x, y e z gli sforzi agenti sulle facce
Ax, Ay e Az di normale x, y e z rispettivamente.

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z



n
 y
x

M
A
x

y
 z

Figura 1.6

La faccia su cui agisce n è individuata dalla normale n; questa ha verso positivo "entrante" nella
faccia: si considerano cioè positivi gli sforzi che tendono a comprimere la faccia A.
La normale n è definita quando si conoscano i coseni direttori cos nx, cos ny, cos nz.
Si può ora dimostrare che la relazione intercorrente tra lo sforzo che agisce sulla faccia di normale n
e quelli che agiscono sulle facce che stanno sui piani coordinati è la seguente :
n = x cos nx + y cos ny + z cos nz.

Questa relazione permette, una volta noti x, y, z, e noti pure i coseni direttori dell’elemento di
normale n, di calcolare n. Essa può essere proiettata sui tre assi ricavando tre equazioni scalari:
nx = xx cos nx + yx cos ny + zx cos nz

ny = xy cos nx + yy cos ny + zy cos nz

nz = xz cos nx + yz cos ny + zz cos nz,


in cui al primo membro compaiono le componenti del vettore n, al secondo membro le componenti
dei vettori x, y, z. Il primo indice individua la normale alla faccia su cui agisce lo sforzo, il
secondo individua la direzione dello sforzo.

Approfondimenti
Per dimostrare la formula di Cauchy, si consideri che le spinte sulle facce Ax, Ay e Az ed A
risultano rispettivamente:
 x Ax; y Ay; z Az; n A
Sul tetraedro, oltre alle suddette forze di superficie, agiscono anche delle forze di massa e delle
forze di inerzia. Esse però risultano proporzionali ad elementi di volume dx dy dz, quindi ad
infinitesimi di ordine superiore rispetto alle forze di superficie, che sono proporzionali ad elementi
di superficie dx dy, dx dz, dy dz. Pertanto per l’equilibrio, trascurando gli infinitesimi di ordine
superiore, si può scrivere:
 x Ax+ y Ay+ z Az+ n A =0

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Ora, si può vedere facilmente (figura 1.7) che risulta Ax= A cos; d’altra parte, sarà cos = -cos
nx, poiché l’angolo  e l’angolo nx sono supplementari (essendo nx l’angolo ottuso). Risulta
dunque
Ax = - A cos nx.

Analogamente si trova
Ay= - A cos ny, e Az = - A cos n̂ z.
Risulta quindi infine:
n = x cos nx + y cos ny + z cos nz.

M  
nx
 x

A x
n
A

y
Figura 1.7
Si dimostra inoltre che
 xy   yx
 xz   zx
 yz   zy
A questo scopo si scrive l’equazione di equilibrio attorno all’asse b-b passante per il baricentro di
ABC e parallelo ad x (figura 1.8).
n è incidente su b-b e non dà momento
x è incidente su b-b e non dà momento

Delle componenti di y:


yy è incidente su b-b e non dà momento
yx è parallela ad x e non dà momento
yz dà un momento pari a
1 1
 yz  dx dz  dy -
2 3
Analogamente delle componenti di z la sola zy dà un momento pari a
1 1
 zy  dx dy  dz -
2 3

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Per l’equilibrio deve essere
 yz   zy -
In modo analogo si dimostra
 xy   yx
-
 xz   zx

z
C

 x

n

b b
M
x
A
y B
 (1/2 dx dz)
y z

b
dy
3
1/
1/3 dz

b
 (1/2 dx dy)
z y

Figura 1.8

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2.
Statica dei fluidi

2.1 Pressione
In un fluido in quiete, non esistendo la possibilità di spostamenti fra una particella e l’altra della
massa considerata, tutte le componenti tangenziali degli sforzi
dovranno essere nulle: esisteranno pertanto soltanto componenti
normali, cioè tutti gli sforzi sono diretti perpendicolarmente alle
superfici su cui agiscono (figura 2.1)
Assumeremo positivi gli sforzi diretti secondo la normale
entrante, negativi quelli diretti nel verso opposto. Se prendiamo in
esame la formulazione del teorema del tetraedro, dovremo
considerare il vettore n diretto proprio secondo la normale alla
superficie An; quanto ai vettori x, y e z, essi avranno le
direzioni degli assi x, y e z rispettivamente. Del vettore x sarà
Figura 2.1 non nulla solo la componente xx, del vettore y solo la
componente yy, del vettore z solo la componente zz.
La componente del vettore n secondo l’asse x, essendo n diretto secondo n, diventa:
 nx   n cos nx -
Pertanto la prima delle equazioni di equilibrio del tetraedro
trovata nel precedente capitolo diventa:
 n cos nx   xx cos nx -
Analogamente si ottiene:
 n cos ny   yy cos ny -
 n cos nz   zz cos nz -
e quindi:
 n   xx   yy   zz -

la quale indica che, in un fluido in quiete, dove esistono solo


sforzi normali agli elementi di superficie passanti per il punto
M, questi sforzi risultano uguali fra loro indipendentemente
dalla giacitura della superficie su cui agiscono. Porremo il
modulo di questi sforzi pari a p ed indicheremo come Figura 2.2
pressione in un punto tale valore. È ovvio che la pressione ha
 
le stesse dimensioni ML1T 2 dello sforzo e quindi la stesse unità di misura, il pascal.
Simon Stevin (olandese, matematico, fisico, ingegnere, 1548-1620) fu il primo ad enunciare il prin-
cipio sperimentale secondo il quale, all’interno di un fluido in quiete, la pressione in un punto si
esercita in modo uguale in tutte le direzioni (figura 2.2). Se si agisce con la forza F su un pistone
collegato a un palloncino rigido pieno di liquido, sugli altri pistoni di diametro uguale al primo
disposti in varie direzioni si troverà la stessa forza P.

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2.2 Densità, peso specifico.
La densità di un fluido è il rapporto tra una massa M del fluido e il volume V occupato dalla stessa:
M

V
 
Nel SI le sue dimensioni sono M L3 , e la sua unità di misura il kg/m3. La densità dell’acqua a 4°C
 
è di 1000 kg/m3. Nel ST le dimensioni della densità risultano F L4 T 2 e la sua unità di misura il
kg s2 / m4. La densità dell’acqua a 4°C risulta 102 kg s2 / m4.
Il peso specifico  di un fluido è il rapporto tra un peso P del fluido ed il volume V occupato dallo
stesso:
P

V
Confrontando la precedente con la definizione di densità, si ricava:
 P
 g
 M
ovvero
g 
dove g è l’accelerazione di gravità, per la quale si può assumere il valore di 9.806 m/s².
Nel SI il peso specifico dell’acqua a 4°C risulta 9806 N/m3; nel ST risulta 1000 kg /m3.
La densità di un fluido varia in funzione della temperatura e delle sollecitazioni cui esso è sottopo-
sto. I gas presentano una densità fortemente variabile con la temperatura e la pressione: si ricordi
l’equazione di stato p V  R T dove p è la pressione ed R la costante universale dei gas perfetti. Se
poniamo il volume V pari a M/, risulta
M RT

 p
e quindi,
pM

RT
p
La densità dei gas, dunque, se consideriamo la massa costante, risulta proporzionale al rapporto .
T
I liquidi, al contrario, presentano una modesta variazione di densità con la temperatura ed una
ancora più modesta variazione di densità con le sollecitazioni esterne.
La densità, per i liquidi come per i gas, generalmente diminuisce all’aumentare della temperatura.
L’acqua ha un comportamento diverso, poiché presenta un massimo di densità alla temperatura di
4°C. I manuali riportano le tabelle che danno la densità dell’acqua alle varie temperature. Si può os-
servare per esempio che a 0°C la densità vale 101.96 kg m-4s2, a 15°C vale 101.88, a 25°C vale
101.67, a 50°C vale 100.75, a 100°C vale 97.73. Nel campo delle applicazioni più frequenti, che
sono quelle alla temperatura ambiente, si può assumere  = 102 kg m-4s2.

2.3 Comprimibilità
Come si è detto, la densità, in un liquido, può variare anche con la pressione. Per definire tale pro-
prietà, si assume un modulo di comprimibilità
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dp
 -
d

Esso indica la variazione di pressione necessaria per ottenere una variazione relativa di densità pari
a 1. Notiamo anzitutto che  ha le dimensioni di una pressione (infatti d/ è un rapporto adimen-
sionale). Si ricordi poi che la definizione è valida solo per processi isotermici.
Il valore di  è usualmente
molto grande: per l’acqua
esso vale 2 x 109 Pa, cioè 2 x
108 kg/m2, ovvero 2 x 104
kg/cm2; per avere un’idea di
tale pressione, occorre
pensare che è come caricare
una superpetroliera (200.000
t) su un metro quadrato,
oppure un tir (20 t) su un
centimetro quadrato. (figura
2.3).
È possibile inoltre calcolare la
variazione di densità come
Figura 2.3
dp
d  

Per i liquidi, dato l’elevato
valore di ε, risulta in pratica
dρ = 0, quindi si può
considerare ρ = costante.

Approfondimenti
dp
La d   è un’equazione differenziale che si può risolvere separando le variabili, ottenendo:

d
dp   -

e integrando:
p   ln   cost -
Se per
p  p0 è   0 -
si ottiene
cost  p 0   ln  0 -
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dunque :
p   ln   p 0   ln  0 -


p  p 0   ln -
0

p-p 0

e 
0

p-p 0

  0 e 

Ricordando lo sviluppo in serie della funzione esponenziale


x x2
ex 1   .....
1! 2!
potremo scrivere, trascurando i termini di secondo grado

 p  p0 
   0 1 
  
Ora, nei casi in cui la variazione di pressione rimane piccola, il termine p – p0 è infinitesimo rispetto
a , dunque il rapporto dp/ può essere trascurato. Ne risulta l’equazione di stato dei liquidi in con-
dizioni isotermiche per variazioni di pressione piccole rispetto a :
 cost.

Applicazioni
Definita la comprimibilità di un liquido, passiamo a vederne l’applicazione ad alcuni casi pratici.
Il primo è il caso in cui varia il volume di una massa fluida, ma non la massa stessa.
Ciò accade se, per esempio, prendiamo un comune fiasco pieno di un volume V d’acqua, munito di
un tappo scorrevole a tenuta, e cerchiamo di spingere il tappo all’interno del fiasco. Poiché è
M = V, sarà pure
dM   dV  Vd -
da cui , essendo dM = 0, perché nel caso in esame la massa non varia, si ottiene:
d dV

 V
e infine
dp
 
dV
V
Possiamo così calcolare la variazione di volume dV conseguente a una variazione di pressione dp.
Se il fiasco contiene inizialmente 2 l d’acqua, e il tappo ha una sezione di 2 cm2, applicando al
tappo una forza di 20 kg si ottiene una variazione di pressione dp = 20 /2 = 10 kg/cm2 = 106 Pa.
La conseguente variazione di volume è
16
dp
dV  V

10 6 Pa
dV  2 l  1 10 3 l  1 cm 3
2  10 Pa
9

La variazione di densità si ottiene dalla


dp

d

e risulta paria a 0,5 kg/m3.

Il secondo caso è quello in cui varia la massa, ma non il volume.


Ciò accade se nel fiasco, chiuso da un tappo fisso a tenuta, e contenente una massa M d’acqua,
introduciamo una ulteriore massa d’acqua dM. Essendo
M
V -

Risulta :
dM M
 d  0 -
 2
Dunque :
dM d
 -
M 
e quindi :
dp dp
  -
dM d
M 
Possiamo così calcolare qual è la massa che bisogna introdurre nel fiasco dell’esempio precedente
per ottenere una variazione di pressione di 1 atm. Si ricordi che 1 atm = 104 kg/m2= 105 Pa.
Risulta
dp
dM  M

10 5 Pa
dM  2 kg  10  4 kg
2  10 Pa
9

cioè 0,1 g d’acqua.


La variazione di densità si ottiene dalla
dp

d

17
2.4 Equazione di stato
L’equazione di stato per un fluido definisce il legame tra densità, pressione, temperatura e modulo
di elasticità. Per un gas perfetto, com’è noto, l’equazione di stato è
pV  nRT
dove p la pressione, V il volume, n il numero di kilomoli, R la costante universale dei gas, T la tem-
peratura assoluta. Si ricordi che una kilomole è la massa di un numero di molecole di gas pari al
numero di atomi di carbonio 12 necessari a formare una massa di 12 kg. L’equazione di stato si può
scrivere:
pMg M
 RT
 N
dove N è la massa di una kilomole; quindi risulta
p 1
 RT
 gN
gN è il peso di una kilomole di gas o peso molecolare del gas; per la costante si assume R = 848
kg m/°K, in unità del ST.
Se, come di solito si usa, si pone R’ = 848/(g N) m/K, l’equazione di stato dei gas diventa
p
(gas)  R T

Per i liquidi, come già visto, l’equazione di stato può essere definita dalla
d dp
(liquidi) 
 
Interessandoci solo a processi isotermici, che sono i più comuni nella pratica, e per variazioni limi-
tate di pressione, diventa
  cost

2.5 Equazione indefinita ed equazione fondamentale


Si consideri un cubetto di fluido di volume W elementare della figura.2.4, con i lati disposti
secondo gli assi coordinati e con un veritice nell’origine O degli assi. Siano i, j e k i versori diretti
rispettivamente secondo x, y e z. Se nel punto O agisce la pressione p, si possono valutare le spinte
sulle tre facce elementari passanti per il punto stesso come:
p dx dy k; p dy dz i; p dx dz j.
Sulle tre facce opposte, la pressione vale rispettivamente:
p p p
(p  dz ); (p  dx); ( p  dy ) -
z x y

18
Le spinte quindi valgono
z rispettivamente:
p
 (p  dz ) dxdyk -
z

p
 (p  dx) dydzi -
x
-op+cp/cx dxpdydzi
pdydzi p
dz  (p  dy ) dxdzj -
y
A
dx Oltre alle forze di
dy O x superficie, sopra
specificate, sul cubetto
elementare agiscono
Figura 2.4
y

L’equilibrio del cubetto risulta funzione della risultante delle forze di massa e delle forze di
superficie agenti sullo stesso. In particolare, se indichiamo con F la forza di massa per unità di
massa, la forza di massa complessiva agente sull’elemento di volume sarà:
-  dx dy dz F - sostituita da  W F
Per l’equilibrio del cubetto risulta:

p p p
F  i j k .-
x y z
A questa equazione si dà il nome di equazione indefinita della statica dei fluidi.

Se l’unica forza di massa è la gravità, risulta


F = -g k
e quindi

p
  gk  k-
z
ovvero, in forma scalare, è valida la seguente equazione detta equazione fondamentale della statica
dei fluidi pesanti:
dp    g dz ,

Questa semplice equazione differenziale dice che la pressione varia con la quota e con il peso
specifico, e vale sia per i fluidi comprimibili che per quelli incomprimibili.
In una massa fluida collocata nello spazio x, y, z, troveremo pressioni diverse a quote diverse
(figura2.5).

Figura 2.5
Possiamo concludere inoltre che, nella statica dei
fluidi pesanti, la pressione rimane la stessa tra due punti di
un fluido aventi la stessa quota. Tale principio fu enunciato
da Blaise Pascal (francese, 1623-1662 filosofo, matematico
e fisico), che lo applicò alla costruzione del torchio
19
idraulico. Questo semplice dispositivo si ottiene collegando con una canna due recipienti di diversa
superficie, dotati di stantuffi a tenuta (figura 2.6).
Una forza di soli 50 kg che si esercita su uno stantuffo di 0,1 m2 di superficie equilibra una forza di
5000 kg che si esercita su un altro stantuffo, posto alla stessa quota, di 10 m2 di superficie.

Figura 2.6

Approfondimenti
Riprendiamo l’equazione

p p p
F  i j k-
x y z

Per ricordare che, mentre p è uno scalare, l’espressione al secondo membro, che è un vettore, si
indica in fisica con grad p.
Si scriverà dunque:
F  grad p -
Si ricordi ora la definizione di potenziale di una forza: esso è una funzione U tale che risulti
F  grad U -
Si può quindi dire che:

20
 grad U  grad p
Da quest’ultima equazione si trae un’importante proprietà della statica dei fluidi: la pressione è co-
stante (grad p = 0) nei punti dove U è costante (grad U = 0): nella statica dei fluidi, le superfici
equipotenziali sono anche superfici isobare.
Nel campo della gravità, risulta, com’è noto,
U  g z -
Tutti i punti ad uguale quota z hanno lo stesso potenziale, e stanno quindi su una superficie equipo-
tenziale.
Abbiamo visto che quando la forza F ammette un potenziale U, l’equazione indefinita diventa
 grad U  grad p
Poiché nel campo della gravità U risulta uguale a - g z dove z è un asse coordinato orientato verso
l’alto, l’equazione precedente si scrive:
p
 g k  k-
z

ovvero, in forma scalare:

dp  g dz .

2.6.1. Fluidi comprimibili


Teniamo conto dell’equazione di stato
p
 R T

e consideriamo dapprima il caso di temperatura costante; potremo scrivere
p p
 cost  0
 0
Da quest’ultima ricaviamo
p p
 
cost p 0
0
e sostituendo nell’equazione
dp  g dz
si ottiene:
p
dp   g dz
p0
0
ed infine

21
dp 
  0 g dz
p p0
La costante può evidentemente essere ricavata quando si conoscano pressione e densità ad una de-
terminata quota; si può porre
p  p 0 e    0 per z  z 0
L’equazione differenziale si scrive quindi:
p 0 dp
  dz
0 g p
Integrando si ottiene:
z p0 p dp
z0
dz  
0 g 
p0 p
da cui
   g z  z 0 
p  p 0 exp  0 
 p0 
L’aria è il più comune fluido comprimibile, ed anzi essa circonda tutti i sistemi che si studieranno: è
importante perciò avere un’idea del valore della pressione dell’aria o pressione atmosferica.
Dall’equazione scritta sopra, si vede che essa varia con la quota; ora, la pressione dell’aria alla
quota z0=0 è dell’ordine di 104 kg/m2; tenendo conto del peso specifico dell’aria alla quota z0 =0,
che è dell’ordine di 1 Kg/m3, si vede che la variazione è sensibile per differenze di quota di migliaia
di metri, ma può essere del tutto trascurata nei casi comuni. Di conseguenza si potrà trascurare
anche la variazione di densità. Si assumerà pertanto una pressione atmosferica costante, e pari al
valore che questa assume al livello del mare: tale valore si indica con 1 atm (1 atmosfera), ed è pari
a 1,033 kg/cm2.
Nei problemi relativi alla stabilità di grandi masse d’aria, occorre considerare anche la variazione di
temperatura
p
 R T

introducendo in essa la legge di variazione della temperatura con la quota z (gradiente termico):
questo problema peraltro esula dai contenuti del corso.

2.6.2. Fluidi incomprimibili


Per i liquidi, posto
  cost
dalla
dp  g dz
integrando la semplice equazione differenziale a variabili separabili si ottiene:
p
z  cost

22
È questa l’equazione fondamentale dell’idrostatica. L’equazione fondamentale indica che la somma
della quota z di un punto rispetto ad un riferimento orizzontale e del rapporto p/ rimane costante
all’interno di un fluido in quiete.
Il rapporto p/ ha le dimensioni di una lunghezza:
FL 2
F 1 L3 
esso prende il nome di altezza piezometrica, ovvero altezza misuratrice della pressione, e viene di
solito indicato con h.
La somma z + p/ si chiama invece quota piezometrica: in un fluido in quiete la quota piezometrica
è costante; per conoscerla, basta conoscere la quota del punto e la pressione nello stesso.
Come varia la pressione all’interno del fluido?
Sappiamo già che sui piani orizzontali essa si mantiene costante; per ottenere l’andamento della
pressione rispetto alla quota di un punto della massa fluida, basta scrivere
p   z  cos t  

p  cost - z  

Figura 2.7 z=z 0 p.c.i.a.


p /
a

z=z S
p.c.i.r.
p a


h

z=0
p=p + h
a
p-p = h
a

È questa l’equazione di una retta di coefficiente angolare -Dunque, la pressione varia linearmente
con la quota all’interno della massa fluida e diminuisce con essa, poiché il coefficiente angolare è
negativo.

Per tracciare il diagramma, notiamo che alla quota zS della superficie libera la pressione è pari alla
pressione atmosferica pa; quindi
p a   z S  cos t  
p
cos t  a  z S

p   z  p a   z S
p  p a   z S  z 
e posto h=zS – z
p  pa   h
il diagramma delle pressioni è una retta inclinata di arctan sull’asse z (figura 2.7).
Detta ora z0 la quota dove è p=0, si trova

23
0  p a   z S  z 0 
pa
da cui z 0  z S  .

I punti per i quali è p=0 stanno su un piano che viene chiamato piano dei carichi idrostatici assoluti
(p.c.i.a.).
Si noti ora che la pressione può essere intesa come pressione assoluta, e cioè definita con
riferimento soltanto allo sforzo normale agente su un elemento di superficie, oppure come pressione
relativa, definita come differenza tra la pressione assoluta e la pressione atmosferica:
pr  p  pa
dove pr è la pressione relativa e pa è la pressione atmosferica. Ricordando che
p  p a   z S  z  ,

si ottiene

pr   h

La pressione relativa è nulla sulla superficie libera; si può perciò dire che i punti della superficie
libera appartengono ad un piano che viene chiamato piano dei carichi idrostatici relativi (p.c.i.r.).
Comunque il p.c.i.a. ed il p.c.i.r. sono posti ad una distanza pari a pa/; per l’acqua, tale distanza
risulta di 1,033 104/1000 = 10,33 m; per il mercurio, essa risulta di 1,033 104/13560 = 0.76 m, e così
via. È importante notare quindi che la distanza tra il p.c.i.a. ed il p.c.i.r. dipende dal peso specifico
del fluido. Se si fa riferimento alle pressioni assolute, i fluidi non possono sopportare pressioni
negative, che darebbero luogo a trazione, ma solo pressioni positive, che sono per definizione quelle
di compressione. Il valore della costante z0 dev’essere sempre maggiore di z: il piano dei carichi
idrostatici riferito alle pressioni assolute o piano dei carichi idrostatici assoluto si trova sempre al
disopra del punto di quota z; l’altezza piezometrica assoluta è una quantità positiva. Se invece si fa
riferimento alla pressione relativa, questa, a norma della sua definizione, risulta negativa se la
pressione assoluta è inferiore alla pressione atmosferica. In questo caso il piano dei carichi
idrostatici relativo si trova al di sotto della quota del punto in questione e l’altezza piezometrica re-
lativa è una quantità negativa.

Nelle applicazioni, risulta più comodo fa riferimento alla pressione relativa, che viene di solito
chiamata semplicemente “pressione” e indicata con la lettera p; allo stesso modo, si chiama
semplicemente “piano dei carichi idrostatici” il piano dei carichi idrostatici relativo, indicandolo cn
le lettere p.c.i. .
Una volta individuato il piano dei carichi idrostatici (assoluto o relativo), il diagramma delle pres-
sioni si ottiene tracciando una retta di coefficiente angolare arctan  per l’intersezione della traccia
del p.c.i. con l’asse z interessato, e la pressione in un qualsiasi punto si calcola dunque come
prodotto della distanza del punto dal p.c.i. per :
p  h
con l’accortezza di considerare h positiva se il punto è al disotto del p.c.i., negativa se il punto è al
di sopra.

24
2.7 Fluidi non miscibili
Fluidi di diverso peso specifico e non miscibili tra di loro, come per esempio l’acqua ( = 1000
kg/m3), la benzina (=750 kg/m3 a 20°), l’olio lubrificante (= 900 kg/m3), la glicerina ( = 1260
kg/m3), il mercurio ( = 13546 kg/m3), quando siano posti in quiete nello stesso recipiente, si
dispongono a strati orizzontali ; in altri termini, non si verifica mai una disposizione come quella in
figura 2.8.

Questa è infatti una conseguenza dell’equazione indefinita della statica dei


fluidi, scritta nella forma:
 grad U  grad p

 dU  dp

da cui
Figura 2.8
dp
 -
dU
per quanto abbiamo visto, p è una funzione della quota del punto e quindi del potenziale:
p  f U  -
risulterà quindi
  U  -
la quale indica che la densità è funzione del potenziale: le superfici equipotenziali sono anche su-
perfici isocore (di ugual densità); e queste superfici, in idrostatica, sono orizzontali. Non può esi-
stere quindi una disposizione dei diversi fluidi "a scalini" (figura 2.8), ma solo quella a strati.
Per la stabilità, si troveranno più in basso i liquidi di peso specifico maggiore.
Nel caso di più fluidi sovrapposti, come calcolare la pressione in qualsiasi punto? Facciamo riferi-
mento alla figura 2.9.

Cominciamo dal fluido più in alto, am-


mettendo che sulla superficie vi sia la pres-
sione atmosferica. Da un punto della super-
ficie libera di  tracciamo il diagramma
delle pressioni, con inclinazione arctan ,
fino a raggiungere la superficie di
separazione con . Conosceremo così
l’andamento delle pressioni in tutto il
Figura 2.10
fluido , ed inoltre il valore della pressione
sulla superficie di separazione con : essa
è pari a 1 h1. Si può dunque individuare il

Figura 2.9

25
p.c.i. di 2, che risulterà posto ad una distanza  h1/2 al disopra della superficie di separazione. Si
noti che esso si trova al di sotto della superficie libera di . Procedendo in tal modo si traccia il
diagramma completo delle pressioni, come in figura 2.9.

26
Applicazioni
Consideriamo il caso di un tubo ad U contenente liquidi di peso specifico diverso, γa e γ . I due
liquidi si disporranno nei due rami mostrando due superfici libere, come in figura 2.10. Preso un
piano di riferimento passante per la superficie di separazione tra i due liquidi, e dette ha e hb le
altezze delle superfici libere rispetto a tale piano, dall’uguaglianza delle pressioni sul piano di
riferimento si può scrivere la relazione che intercorre tra i pesi specifici e le altezze :

hb
a 
ha

p=p A B

p = h
A a a

h p = h arctan
arctan B b

h
 = h /h
a
a

A B
b

a b a

Figura 2.10

Si noti che il dispositivo può essere utilizzato per la determinazione del peso specifico di un liquido,
noto quello di un altro liquido non miscibile.

2.8 Gas sovrapposto ad un liquido

Il caso di gas sovrapposto ad un liquido si può trattare


in modo analogo al precedente: infatti, per altezze
contenute, la densità all’interno della massa del gas si
può ritenere costante. Inoltre il peso specifico di un
gas è circa 1/1000 del peso specifico dell’acqua: l’aria Figura 2.11
a 20°C e alla pressione atmosferica pesa 1,205 kg/m3,
il metano a 20° pesa 0,668 kg/m3, etc..

Figura 2.11

Consideriamo ora un recipiente chiuso, al cui interno vi sia un liquido, per esempio dell’acqua, e al
liquido sia sovrapposto un gas (figura 2.11).

27
Per tracciare il diagramma delle pressioni occorre conoscere la pressione in uno dei fluidi;
ammettiamo che si conosca la pressione nel gas, pg.
Questa si mantiene costante in tutta la massa del gas, quindi anche sulla superficie di separazione
gas-liquido, e sarà perciò uguale alla pressione che si
esercita sulle particelle del liquido a tale quota. Nota la
Figura 2.12 a pressione nel punto suddetto della massa liquida, si
determina il p.c.i. con la solita regola h = pg/, quindi si
traccia il diagramma delle pressioni, con la sola
attenzione che esso vale a partire dalla superficie di
separazione: al di sopra di essa infatti la pressione è
costante.

2.9 Fluido a pressione maggiore o minore di pa.


Consideriamo il recipiente in figura 2.12 a, dotato di una
valvola da camera d’aria. Esso è parzialmente riempito
d’acqua, in comunicazione con l’atmosfera, e sulla

Figura 2.12 b

superficie libera dell’acqua si stabilisce


dunque la pressione atmosferica. Possiamo
notare che nel tubo collegato al recipiente, e
che chiameremo tubo piezometrico o
piezometro, l’acqua arriva al medesimo
livello che nel recipiente: considerazione
banale, nota nell’antichità come “principio
dei vasi comunicanti”, e di cui si è trovata
nei precedenti paragrafi la giustificazione
fisica col fatto che le superfici isobare sono
orizzontali. Attraverso la valvola, con una
semplice siringa, introduciamo nel
recipiente dell’aria, sicchè, a parità di
volume, aumenta la massa d’aria che sta al
di sopra dell’acqua, ed aumenta di conseguenza la pressione dell’aria stessa.
Possiamo osservare che il livello nel piezometro è leggermente salito: tale livello indica la nuova
posizione del piano dei carichi idrostatici relativo (figura 2.12 b). Da qui si traccia il diagramma
delle pressioni e si determina la pressione sulla superficie di separazione aria-acqua. Tale pressione
è proprio quella che si stabilisce nell’aria al di sopra del liquido. Si deve osservare che il diagramma
delle pressioni è variabile per l’acqua, mentre per l’aria al di sopra della superficie di separazione la
pressione rimane costante.
Vale la pena di notare come il p.c.i. dell’acqua, in questo caso, non coincide con la superficie della
stessa all’interno del recipiente: cosa messa in evidenza dalla posizione del livello liquido nel
piezometro.
Ora, per mezzo della siringa, si estragga una certa quantità di aria dalla parte superiore del
recipiente. Poiché in questo caso la massa dell’aria diminuisce, diminuisce anche la pressione.
Osservando il livello all’interno del piezometro, si noterà che questo è sceso al disotto della
superficie di separazione aria-acqua (figura 2.12 c). Poiché il livello nel piezometro, dove la
28
pressione è quella atmosferica, indica la
posizione del p.c.i., si potrà concludere che un
volume di liquido si trova a pressioni (relative)
negative. Il diagramma delle pressioni si traccia
come nel caso precedente, avendo l’accortezza
di portare le pressioni negative da banda op-
posta a quelle positive rispetto all’asse z. Le
pressioni assolute risultano comunque sempre
positive, anche se nella zona "in depressione" il
loro valore è inferiore al quello della pressione
atmosferica.

Figura 2.12c

2.10 Misura della pressione


Come sappiamo, la pressione è una forza per unità di superficie, e le sue dimensioni sono [F L-2] nel
Sistema Tecnico e [M T-2 L-1] nel Sistema Internazionale. Le unità di misura sono rispettivamente il
Kg/m2 ed il pascal, quest’ultimo pari a 1 N/m2. 1 Pa vale dunque 1/9,806 Kg/m2 = 0,102 Kg/m2.
Altre unità di misura frequentemente usate sono:
– il Kg/cm2, pari a 104 Kg/m2 (se su un cm2 c’è 1 Kg, su 10.000 cm2 ci sono 10.000 Kg).
– il bar, pari a 105 Pa, e quindi pari a 1,0197*104 Kg/m2 praticamente uguale a 1 Kg/cm2.
– l’atmosfera tecnica, pari alla pressione atmosferica al livello del mare: poiché il rapporto tra
pressione atmosferica e peso specifico dell’acqua (patm/) è uguale a 10,33 m, risulta patm=
10,331.000 = 10.330 Kg/m2 = 1,033 Kg/cm2.
– il Torr, pari alla pressione esercitata da 1 mm di mercurio: poiché il mercurio ha peso specifico
13.590 Kg/m3, risulta: 1 torr = 13.590 Kg/m3 10-3 m = 13,59 Kg/m2.

La pressione di una atm vale quindi:


1 atm = 1,033 Kg/cm2 = 1,033104 Kg/m2;
1,033  10 4
poiché è 1 mmHg = 13,59 Kg/m2 risulta pure 1 atm =  760,12 mmHg ; quindi 1 atm =
13,59
760,12 mmHg

La tabella seguente riassume quanto detto e permette le conversioni tra unità di misura.

Valore in
Unità Kg/m 2
Pa Kg/cm2 bar atm Torr
Kg/m2 1 9,806 10-4 0,9810-4 0,9710-4 0,0736
Pa 0,102 1 1,0210-5 10-5 0,9810-5 7,510-3
Kg/cm2 104 9,8104 1 0,98 0,97 735,56

29
bar 1,02104 105 1,02 1 0,99 750,06
5
atm 10.330 1,01310 1,033 1,013 1 760
Torr 13,59 133,3 0,13610-4 1,33310-3 1,31610-3 1

Tabella 2.1 : Conversione delle unità di pressione

2.10.1 Manometro metallico


La misura immediata della pressione si esegue con un “manometro metallico” o “manometro Bour-
don” (figura 2.14). Esso è costituito da un tubicino appiattito, avvolto a spirale, la cui estremità
viene collegata attraverso un tubicino col fluido di cui va misurata la pressione (acqua, aria etc...). Il
tubicino a spirale si deforma diversamente a seconda della pressione esercitata dal fluido al suo
interno e sposta una lancetta su un quadrante.
Solitamente la misura è
espressa in Kg/cm2; se la
lettura è n, la pressione in
Kg/m2 vale dunque 104 n.
Lo strumento è tarato in
modo tale che la lettura
indichi la pressione nel
baricentro dello strumento
stesso e non nel punto cui è
collegato. Apparecchi che
Figura 2.13 misurano pressioni
inferiori alla pressione
atmosferica sono detti “vacuometri”. Se la misura riguarda un liquido, manometri metallici collegati
in punti diversi e posti alla stessa quota danno lo stesso valore n, mentre manometri metallici
collegati allo stesso punto, ma posti a quote diverse, danno valori diversi (figura 2.13). Se la misura
riguarda un gas, per il quale la pressione è costante, manometri metallici collegati a punti di quota
diversa e posti a quota diversa forniscono sempre la stessa indicazione.

2.10.2 Piezometro
Si tratta di un tubo trasparente collegato al recipiente che contiene il liquido. Il liquido risale,
all’interno del piezometro, fino al
piano dei carichi idrostatici (figura
2.14 a). Tale indicazione consente di
individuare la pressione in qualsiasi
punto. Se il liquido è in depressione, il
tubo ha la forma di una U. (figura
2.14 b). Nei casi in figura, la pressione
nei punti A e B vale rispettivamente
pa= h’ e pb=-h”. Un piezometro non
indica la pressione del punto in cui è
collegato, ma solo il p.c.i.. Figura 2.14 a Figura 2.14 b
Occorre adesso tener presente che

30
esiste un fenomeno, detto capillarità, che riguarda i tubi di diametro molto piccolo, nei quali il
livello piezometrico può presentarsi più alto o più basso del p.c.i..
Si tratta del fenomeno che consente in gran parte la circolazione della linfa nelle piante, o la risalita
dell’acqua di falda fino agli strati superiori del terreno.
Per spiegarlo occorre introdurre un’altra caratteristica dei fluidi, la tensione superficiale.

2.10.3 Tensione superficiale


Se poniamo sulla superficie di un recipiente contenente dell’acqua in quiete un ago sottilissimo, ve-
dremo che esso, nonostante abbia peso specifico superiore all’ acqua, rimane a galla, come se sulla
superficie dell’ acqua in quiete si formasse uno strato sottilissimo in tensione.
Se infatti consideriamo una particella all’interno della massa fluida, essa sarà sottoposta da parte
delle particelle circostanti a forze di attrazione molecolare che formano un sistema equilibrato
(Figura 2.15 a)
Sulla particella in superficie (figura 2.15 b) mancano le forze di attrazione esercitate dalle particelle
sovrastanti: la particella si trova in equilibrio solo se prevalgono le forze orizzontali.
Il fenomeno si chiama “tensione superficiale”. In particolare, se isoliamo un disco sulla superficie
liquida, questo risulterà sottoposto ad un insieme di forze che hanno l’effetto di tenerlo in tensione.

Figura 2.15 a Figura 2.15 b


dove l è la lunghezza del taglio (Figura 2.16). Per l’acqua  vale 0,073 N/m ovvero 0,0075 kg/m.
Per il mercurio  vale 0,559 N/m.
È questo fenomeno che spiega il fatto che, se si lascia cadere una goccia d’acqua su un piano oriz-
zontale, questa non si appiattisce su di esso, ma assume una forma semisferica: è come se l’acqua
all’interno della goccia fosse trattenuta dalla pellicola o film superficiale. La distribuzione delle
pressioni all’interno della goccia, quindi, non è più quella idrostatica con valore nullo in corrispon-
denza della superficie a contatto con l’aria.

F F
l

Figura 2.16
31
Se tagliamo il disco a metà, occorrerà esercitare una forza F su ciascun lato del taglio perché questi
si mantengano in contatto; la tensione superficiale si misura col rapporto:
F
 -
l
Prendiamo in esame un elemento emisferico di superficie della goccia (Figura 2.17) e valutiamo la
risultante delle forze di tensione superficiale che agiscano sul bordo della goccia; essa vale:
2 r 

 r 

Figura 2.17

La risultante delle pressioni sul piano orizzontale che delimita l’elemento, è:


p r 2
Infine:
2
p
r
che esprime la pressione interna in funzione della tensione superficiale e del raggio della goccia.

2.10.4 Contatto liquido-gas-solido


Alla parete di un recipiente contenente un liquido, in corrispondenza della superficie libera, agi-
scono delle forze di attrazione molecolare tra parete e liquido, dette forze di adesione; esse entrano
in contrasto con le forze di coesione interne al liquido. Come risultato, la superficie di separazione
liquido-gas, in vicinanza della parete, non è orizzontale, ma forma con la parete stessa un angolo .

Le molecole interne “attirano” il


liquido.
La parete “attira” il liquido. Il liquido non bagna la parete.
Il liquido bagna la parete.

Figura 2.18 a Figura 2.18 b


32
Se prevalgono le forze di adesione risulta <90°: in questo caso si dice che il liquido bagna la pa-
rete (Figura 2.18 a).
Se prevalgono le forze
di coesione, risulta
>90°: in questo caso si
dice che il liquido non
bagna la parete. (Figura
2.18 b).

Prendiamo in esame il
caso che la parete sia di
vetro ed il gas sia l’aria.
Si può osservare che
Figura 2.19 a per l’acqua è 0°, cioé
la superficie liquida è
praticamente parallela alla parete in prossimità di questa, col liquido che bagna la parete; per il
mercurio invece è 135°, quindi col liquido che non bagna la parete.
La superficie in prossimità della parete si dice menisco. Quale posizione assume la superficie li-
quida all’interno di un tubo piezometrico?
Immaginiamo di immergere un tubicino di vetro in un recipiente che contiene mercurio (Figura
2.19 a):
nel punto più alto del menisco, che ammetteremo di forma emisferica (Figura 2.19 b) con raggio
d
R
2 cos   
la pressione vale, per la regola vista al paragrafo precedente,
4
p  cos   
d
d’altra parte, se h è la distanza dal p.c.i., (figura 2.19 a) essa vale
p   Hg h -

risulta dunque Figura 2.19 b

4 cos   
h -
 Hg d
l’equazione è detta legge di Jurin-Borelli.
Giovanni Alfonso Borelli, napoletano,
1608-1679, medico, fisico, matematico fu
condiscepolo di E. Torricelli, insegnò a
Messina, Pisa, Roma; si occupò di iatro-
meccanica e di termologia.
James Jurin, inglese, 1684-1750, fu me-
dico e fisico; si occupò principalmente di capillarità.

Il valore
4 cos    4  0,56  0,7
  11,52 10  6 m 2
 Hg 136.000

33
è una costante per il mercurio. In un tubicino di diametro 1 cm=0,01 m l’abbassamento capillare per
il mercurio è
h=11,510-4 m  1,15 mm
Per l’acqua, è 0° e la costante vale 3010-6 m2.
Con lo stesso ragionamento si ottiene:
3010-4 m 3 mm
Si deve notare che per l’acqua si avrà un innalzamento capillare (ri-
sulta infatti cos(-) -1) (Figura 2.20).
Più semplicemente si possono ricordare le formule manometriche:

h d = -30 (acqua)
h d = +10 (mercurio)
con h e d espresse in mm.
Figura 2.20 Nel caso dell’acqua, un tubo piezometrico di diametro d=1 cm darà
quindi un innalzamento capillare di h=3 mm; per d=10 cm, sarà
h = 0,3 mm, apprezzabile con un apposito idrometro con punta ad ago e lettura con nonio decimale.

2.10.5 Manometro semplice


È costituito da un tubo trasparente (vetro o plexiglas), ricurvo ad U e contenente un liquido mano-
metrico di peso specifico diverso del liquido di cui si vuol trovare il p.c.i. (Figura 2.21a). Il ma-
nometro semplice, infatti, non indica la pressione del punto cui è collegato, ma consente di indivi-
duare il p.c.i. La misura si basa sulla semplice equazione che esprime l’uguaglianza delle pressioni
sulla orizzontale passante per il menisco
inferiore; detta  l’altezza della colonna di
liquido manometrico sopra tale
orizzontale, si ha:
p A   h   man 
L’equazione permette di individuare il
p.c.i.
Si può notare che, essendo:

h
 man
Figura 2.21 a

l’indicazione  del manometro è minore di h se  Figura 2.21 b


è minore di man.
Ciò è utile per misurare altezze piezometriche
grandi, cosa che sarebbe difficile fare con un
piezometro. Se per esempio il liquido è acqua e
il liquido manometrico è mercurio, risulta:

h = 13,6 

cioè l’indicazione manometrica è 13,6 volte più


piccola dell’altezza piezometrica.

34
Nel caso in cui il recipiente è a pressione inferiore a quella atmosferica, l’equilibrio sul menisco
inferiore del mercurio dà :
0 = - Δ man + pa ;
pertanto
pa = Δ man .
Detta h la distanza del piano dei carichi idrostatici dal punto A, risulta

pa = γ h
e infine
 man
h    ,

dalla quale si può vedere che, poiché h negativo, il p.c.i. si trova più in basso rispetto al punto A,

alla distanza   man .

Un barometro a mercurio è un particolare manometro atto a misurare la pressione atmosferica. Un


tubicino pieno di mercurio e chiuso all’estremità
superiore viene posto in un recipiente contenente pure
del mercurio.
L’equilibrio nel punto A, in termini di pressioni as-
solute, si scrive patm = hHg; in condizioni normali ed
al livello del mare risulta h=760 mm.

Figura 2.22

2.10.6 Manometro differenziale


È un apparecchio che misura la differenza di pressione tra due punti di fluidi diversi o la differenza
di quota piezometrica
tra due punti di fluidi
uguali.
Si tratta di un tubo a
forma di U o di U ca-
povolta, a seconda che
il fluido manometrico
sia più pesante o più
leggero dei fluidi tra
cui si vuole conoscere
la differenza di pres-
sione. Nel primo caso,
con riferimento alla
figura 2.23, per
l’egua-glianza delle
Figura 2.23 pressioni sul piano
orizzontale passante
per A, preso sul menisco più basso, risulta
p B   1 h1  p C   2 h2   m 
35
da cui
p B  p C   2 h2   1 h1   m 
Se è 1 = 2 =  risulta:
p B  p C   h2  h1    m 
D’altra parte:
 pB  p 
  h1    C  h2     
     
dove con  si è indicata la distanza tra i due p.c.i.

Quindi:
p B  h1  p C  h2    

p B  p C     h2    h1 
e quindi:
 m    
e infine:
m 
 

Se il liquido contenuto nei due recipienti è acqua mentre il liquido manometrico è mercurio, risulta:
 m 
 12,6

cioè la differenza  tra i p.c.i. viene ridotta di 12,6 volte nell’indicazione .

Quando il liquido manometrico è più


leggero, si ottiene analogamente, per
l’equilibrio nel punto A, questa volta
preso sul menisco più alto (figura
2.24).
p A  h1  h2   m 
h2    h1  
h1   h1        m 
     m   0
da cui:
 m
 

Figura 2.24

36
2.10.7 Manometro ad aria
È uno strumento che permette di misurare una differenza modesta tra due p.c.i. di quota molto ele-
vata.
L’apparecchio ha la forma di una U Figura 2.25
capovolta (figura 2.24). Dopo aver in-
trodotto una certa quantità di aria dalla
parte superiore del tubicino, si potrà
scrivere:
p A  p aria  
p B  p aria -
p A  h1 ; p B  h2
da cui:
h1    h2
-
  h1  h2
Come si vede,  non dipende da pA; invece h1 e h2 dipendono da pA per cui aumentando la pressione
dell’aria si riesce ad abbassare la colonna liquida nei due rami del manometro.

37
3.
Le forze nella statica dei fluidi

3.1 Equazione globale


All’interno della massa fluida isoliamo un qualsiasi volume V, racchiuso da una superficie S e
prendiamo in considerazione le forze che su esso agiscono
(Figura 3.1).
Queste sono le forze di massa e le forze esterne o di superficie.
La risultante delle forze di massa è il peso G; chiamata  la
risultante delle forze di superficie (si tratta delle forze che la
superficie S esercita sul fluido), per l’equilibrio dovrà essere
G + =0
Questa equazione prende il nome di “equazione globale della
statica dei fluidi”.
Esaminiamo adesso l’equilibrio di un corpo immerso in un
Figura 3.1
fluido.
Su di esso agiscono il peso proprio P e la risultante delle forze
esercitate dal fluido sulla sua superficie. Questa è data, per
l’equazione globale, da una forza pari al peso di un volume
d’acqua uguale a quello del corpo in considerazione, ma diretta
verso l’alto (Figura 3.2).
Non è detto che vi debba
essere equilibrio, e cioè che
sia P = G.
Se é PG, il corpo va a
fondo, dove P-G è
equilibrato dalla reazione
Figura 3.2 del fondo stesso (Figura
3.3).
Si noti che la spinta  non dipende dalla profondità di
immersione.

Se é PG il corpo risale in


superficie, emergendo
parzialmente: a questo Figura 3.3
punto la parte immersa
diminuisce, quindi diminuisce il peso del liquido occupato dal
volume immerso, che diremo G’; questo risulta pari alla spinta
che riceve la nuova superficie immersa, ’, e si crea una
situazione di equilibrio (Figura 3.4) tra P e una spinta ’.
L’equilibrio dei corpi immersi era noto fin dall’antichità con la
legge di Archimede (siracusano, II sec. A. C.): “un corpo
immerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso l’alto
Figura 3.4 pari al peso del fluido spostato”.
Il metodo della “pesata in acqua” consente di determinare il
peso specifico di un corpo solido.
37
Applicazioni
Un pezzo d’oro del peso di 7 Kg è stato pesato immerso in acqua ottenendo 6.636 Kg. Se ne
determini il peso specifico.
P = 7 Kg; Pi = 6.636 Kg
risulta:
P = o V

Pi = P   V
e sostituendo in quest’ultima l’espressione di V:
P 
Pi  P    
 o 


P  Pi  P
o

P
o   19.231 kg m 3 .
P  Pi
Si noti che non è stato necessario determinare il volume del pezzo d’oro.

Con questo principio Archimede poté risolvere il problema della corona. Il tiranno di Siracusa,
Ierone, aveva consegnato a un orafo un peso Po di oro e un peso Pa di argento, per farsi fare una
corona. L’orafo riportò una corona che pesava Pc=Po+Pa; ma come stabilire che fosse veramente
stato impiegato il peso Po di oro e il peso Pa di argento?
Archimede risolse il problema, determinando prima i pesi specifici o e a. Quindi, pesando in acqua
la corona, ottenne il suo peso immerso Pci, che doveva risultare
Pci  Pc   Vo  Va 
essendo Vo e Va i volumi d’oro e d’argento impiegati.
Poiché d’altra parte era
Pc   oVo   aVa
si ottenevano due equazioni nelle due incognite Vo e Va .
Ricavando dalla seconda Vo
Pc   aVa
Vo 
o
dalla prima si ottiene

Pci  Pc  Pc   aVa   Va
o
da cui
   
Pci  Pc  Pc      a Va
o  o 
che permetteva di ricavare Va e poi Pa.

38
Per determinare il peso specifico dei liquidi si impiega un densimetro, formato da un corpo di peso
noto P, con un lungo collo di sezione nota a. Immerso il densimetro in acqua distillata, di peso
specifico  = 1.000 Kg/m3, si ha l’equilibrio nella posizione in
cui P =  V, dove V è il volume immerso (Figura 3.5). Si
segnerà col valore 1.00 la posizione del collo.
Immerso il densimetro in un altro liquido di peso specifico ’,
l’equilibrio si ottiene in un’altra posizione, nella quale il volume
immerso è:
V  V
L’equazione di equilibrio è allora:
V  V    P
Figura 3.5
Posto V=a h si ottiene:
V  a h   P
da cui, noto h, si calcola ’.
Poiché risulta:
P   V P    P  P   
h   
a  a  a 
Assegnato ’ si può segnare il valore h sul collo del densimetro e quindi definire sullo stesso una
scala di pesi specifici. Si noti che la scala h=f(’) è non lineare.
Se è P = 30 g; a = 1 cm2; ’=800 kg/m3; =1000 kg/m3, risulta:
0,030  200
h   0,02 m  2 cm
0,0001  800  1000
Con ’  il volume immerso è maggiore di V (V  0), e risulta h  0.
Applicazioni
Attraverso l’equazione globale si possono calcolare, in alcuni casi, le spinte sulle superfici.
1) Quale spinta esercita il fluido contenuto nella bottiglia sulla superficie laterale (Figura 3.6)?
3

h
2
G

Figura 3.6

39
Per l’equazione globale, dev’essere
G + =0
 è la forza esercitata dalla parete sul fluido. Scomponendo la nella 1, esercitata dal fondo, 2,
esercitata dalla superficie laterale, e 3, esercitata dalla superficie libera,
        

ed, essendo 3=0, dall’equazione globale risulta:


G       0
Figura 3.6

Stiamo cercando la 2, quindi S = 2 = G + 1. Ma 1 è la spinta sul fondo, data da
1   h 
Pertanto la spinta sulla superficie laterale ha modulo uguale al peso del volume tratteggiato, ed è
rivolta verso l’alto.

2) Quale forza si deve applicare sul tappo per farlo rientrare (Figura 3.7)?

Figura 3.7

Il tappo abbia peso trascurabile e se ne consideri solo la parte immersa. Si applichi l’equazione
globale al volume d’acqua occupato dalla parte del tappo immersa, considerato pieno d’acqua; si
ottiene:
G + =0
Divisa la superficie del tappo nelle due parti 1 e 2, risulta:
G       0
S = 2 = G + 1
G è rivolta verso il basso mentre 1 è rivolta verso l’alto ed ha modulo hA, essendo A l’area della
superficie 1. La forza S in modulo è pari a hA, meno la spinta di galleggiamento.

40
3) Quale pressione si esercita sul tappo della bottiglia rovesciata (Figura 3.8)?

Figura 3.8

Cerchiamo la forza che il fluido esercita sul tappo della bottiglia rovesciata. La bottiglia abbia peso
P. La massa d’acqua in essa contenuta abbia peso G.

Applichiamo l’equazione globale al volume d’acqua:


G + =0

G       0
Poiché sia G che 1 hanno la direzione verticale, anche 2 deve avere tale direzione. In effetti la
forza esercitata dall’esterno sulla superficie della bottiglia, P, è proprio pari a 2, che è quella
esercitata dalla parete sul liquido.

Quindi:
S = 1 = G + 2 = G + P

ed, essendo A l’area della superficie 1, la pressione su di essa è:

p1 =(G+P)/A

4)In quale rapporto stanno il volume immerso ed il volume totale di un iceberg (Figura 3.9)?

I pesi specifici dell’acqua e del ghiaccio valgono, rispettivamente:


. kg/m3

g=900 kg/m3
Deto V il volume dell’iceberg, il suo peso è dato da:

41
P = g V
Detto Vi il volume immerso, la spinta sulla parte dell’iceberg immersa risulta:
   Vi

Figura 3.9

Applicando l’equazione globale si ha:


g V =  Vi
Quindi, detto Ve il volume emerso:
 g Ve  Vi   Vi
Ve 
1
Vi g
Ve 1.000 1
 1
Vi 900 9

5) Una petroliera da 400.000 t può imbarcare 300.000 t di petrolio. Qual è la differenza tra i volumi
fuori acqua a vuoto e a pieno carico (Figura 3.10)?

Ve

Vi

Figura 3.10

Sia V il volume totale del natante, Vi il volume immerso, Ve il volume emerso, e gli indici v e p si
riferiscono alla petroliera vuota e a pieno carico rispettivamente. Risulta:
P(v) =Vi(v)
P(p) =Vi(p)
Vi(v)= P(v)/
V-Ve(v)= P(v)/
Ve(v)=V-P(v)/

42
Ve(p)=V-P(p)/
Ve(v)-Ve(p)=(P(p)-P(v))/
Si può concludere quindi che la petroliera s’immerge dello stesso volume che occuperebbe un peso
d’acqua uguale al carico imbarcato.

3.2 Spinta su una superficie piana

3.2.1 Elementi di statica delle superfici piane


Momento del primo ordine o momento statico.

Il momento statico di un’area A (Figura 3.11) attorno


all’asse x, Mx, è dato da:
M X   y dA
A -
il momento statico attorno all’asse y My, è dato da:

M y   x dA
A -
Figura3.12),
Il momento statico attorno a una retta parallela all’asse y, di equazione x=K (Figura 3.11 si calcola
come
M K    x  K  dA
A -
cioè:
MK  My  K A
-
La retta parallela all’asse y per cui risulta MK=0 è detta
baricentrica e detta x0 tale ascissa, poiché dev’essere
M y  x 0 A  0 , risulta:

My 1
A A
x0   x dA ;
A
in modo analogo si determina
Figura 3.12
M 1
y 0  x   y dA
A AA -
Il punto di intersezione delle due rette, di coordinate  x 0 , y 0  , è il baricentro dell’area. Se una
superficie ha un asse di simmetria, questo è baricentrico.

43
Momento del secondo ordine o momento di inerzia
Si definisce momento d’inerzia di una superficie attorno all’asse y l’integrale
I y   x 2 dA
A -
analogamente
I x   y 2 dA
A -
Il momento di inerzia attorno all’asse baricentrico parallelo all’asse y, di equazione x  x 0 , si scrive

I c   x  x 0  dA   x 2 dA   2 x x 0 dA   x 02 dA  I y  2 x 0  x dA  x 02  dA 
2

A A A A A A

 I y  2 x0 x0 A  x A  I y  x A
2 2
0 0
-
quindi
I y  I c  x 02 A
-
Il momento di inerzia rispetto ad un asse è dato dal momento centrale più il prodotto dell’area per il
quadrato della distanza del baricentro dall’asse.
I momenti di inerzia centrali di alcune figure (rettangolo, triangolo rettangolo, cerchio) sono
riportati in figura 3.13.

Si definisce infine prodotto di inerzia o momento centrifugo Ixy l’integrale


I xy   x y dA -
A

Il prodotto d’inerzia rispetto agli assi baricentrici x 0 , y 0 , risulta.

I xy   x  x 0    y  y 0  dA   x y dA  x 0  y dA  y 0  xd A  x 0 y 0 A 
A A A A

 I xy  A x 0 y 0  A x 0 y 0  x 0 y 0 A  I xy  x 0 y 0 A -
I xy  I xy  x 0 y 0 A

a/2
h/3

b b
I = r /4
3 3 4

I =1/12 ba
c
I =1/36 bh
c c

44
Figura 3.13

In figura 3.13 si riportano i valori dei momenti d’inerzia centrali di alcune figure geometriche :

Infine, si può notare che il prodotto d’inerzia rispetto ad un asse di simmetria è nullo.

3.2.2 Determinazione della spinta su una superficie piana


Sia A una superficie immersa in un liquido, e giacente su un piano che forma un angolo  con
l’orizzontale. Sul piano su cui
giace la superficie, individuiamo
la retta intersezione col p.c.i.
(retta di sponda) e assumiamola
come asse y; assumiamo inoltre
la normale a questa sul piano
della superficie A come asse x
(figura 3.14)
Su una superficie elementare dA
agisce lo sforzo n, in direzione
normale al piano xy e di modulo
p   h   x sen  .
La spinta su A risulta

S   p n dA 
A
Figura 3.14 
  x sen  ndA 
A

  sen   n  x dA
A

Detta x0 la distanza del baricentro dall’asse y, risulta


1
A A
x0  x dA

pertanto
S   sen  A x 0   h0 A  p 0 A
dove con p0 si è indicata la pressione nel baricentro: il modulo della spinta è quindi uguale alla
pressione nel baricentro moltiplicata per l’area della superficie piana.
La spinta è un vettore normale alla superficie; per calcolare le coordinate del suo punto di
applicazione o centro di spinta,  ,  , scriviamo le equazioni di uguaglianza dei momenti attorno
agli assi y ed x.
Rispetto all’asse y si ottiene:

45
S     p x dA    h x dA    x sen  x dA   sen   x 2 dA
A A A A

ponendo
S   sen  A x 0
e poiché è:

x dA  I y -
2
A

risulta
A x0   I y -
ma essendo
A x0  M y -

risulta infine
Iy
 -
My
cioè l’ascissa del centro di spinta è data dal rapporto tra momento d’inerzia e momento statico della
superficie su cui si esercita la spinta, entrambi calcolati rispetto alla retta di sponda.
Poiché
2
I y  I 0  A x0

risulta
I0
  x0  x0 per x 0  0
My
I
  0  x0  x0 per x 0  0
My

cioè il centro di spinta sta più in basso del baricentro, se x0 è positivo; sta più in alto, se x0 è
negativo (figura 3.15).

A p.c.i.
x
 0

Figura 3.15a

46
p.c.i.

x 0

 A

Figura 3.15b

Per la rotazione attorno all’asse x si ottiene:


S     p y dA    h y dA    x sen  y dA   sen   x y dA
A A A A

A x 0   I xy -

I xy
 -
My
cioè l’ordinata del centro di spinta è data dal rapporto tra il prodotto d’inerzia e il momento statico
rispetto alla retta di sponda.

Prisma delle pressioni


Quando una superficie ha una forma semplice, per calcolare la spinta conviene ricorrere al prisma
p.c.i. delle pressioni. Si consideri la superficie
rettangolare con due lati orizzontali ABCD (Figura
B 3.16):

La risultante delle spinte elementari corrisponde al


volume del prisma delle pressioni, ottenuto
D tracciando il diagramma tridimensionale delle
A' pressioni, nella direzione normale alla superficie:
C'
pA
Dette pA e pC le pressioni in A e C, risulta:
A pp
C
 p  pC 
S  A   AC  CD -
C

 2 
Figura 3.16 C Il punto d’applicazione della spinta è il baricentro
del prisma delle pressioni.

Applicazioni
Superficie al di sopra del p.c.i
Quando la superficie è al di sopra del p.c.i. come in figura 3.15a l’unica differenza sta nel fatto che
le pressioni esercitate dal fluido su di essa sono negative (inferiori alla pressione atmosferica).

47
La spinta è comunque pari alla pressione nel baricentro per l’area; il centro di spinta è posto al di
sopra del baricentro.

Superficie tagliata dal p.c.i. ( comunque immersa nel liquido, figura 3.17)

p.c.i.

Figura 3.17

Valgono ancora le stesse relazioni


S  p0 A -

Iy I0
   x0 -
My My

Si può peraltro procedere determinando separatamente le spinte ed i centri di spinta delle due
semiaree al di sopra e al di sotto della retta di sponda (Figura 3.18). La risultante è pari in modulo a
S1 -S2. La sua distanza dalla retta di sponda si può ricavare dall’equazione di uguaglianza dei
momenti rispetto alla retta di sponda:
S 2   2  S1   1  S   -

 

p.c.i. S 1

S 2
S
 1

Figura 3.18

È possibile quindi che il centro di spinta si trovi al di fuori della superficie. In particolare, se la retta
di sponda è baricentrica, la risultante è nulla e il centro di spinta va all’infinito; in questo caso è
infatti M=0; I0>0.

Sia ABCD la traccia di una superficie rettangolare di larghezza b (Figura 3.19). Determinare la
forza che agisce su di essa.

48
D

Aria
C
p a tm

B h 0 p.c.i.

Figura 3.19

Sulla parte AB la spinta esercitata dall’interno è uguale a quella esercitata dall’esterno.


Sulla parte BCD la spinta esercitata dall’esterno è nulla (p=patm=0)
Sulla parte BC la spinta è negativa e vale
S BC   h0 BC b
ed è applicata al centro di spinta, che si trova sul segmento BC alla distanza 2/3 BC dal p.c.i.
(Figura 3.20).
S DC D

S B C
C Aria

h
B 0

A
Figura 3.20

Ciò vuol dire che la parte BC è sottoposta a una forza interna minore di quella esterna: essa tende ad
essere schiacciata verso l’interno della campana.
Sulla parte CD infine agisce dall’interno una pressione negativa pari a pC, la spinta è data da
S CD  p C CD b ; essa è applicata al baricentro della parte CD.

3.3 Spinta su una superficie curva.


La spinta S su una superficie curva A e’ data in genere da

S   p n dA 
A

dove dA è l’elemento di superficie di normale n e p è la pressione agente sullo stesso. L’operazione


di integrazione sulla superficie curva, tuttavia, non è in generale semplice. Per determinare la spinta
con metodi più semplici distinguiamo due casi.
1) la superficie curva può essere chiusa da una superficie piana: in tal caso basta ricorrere
all’equazione globale.
49
2) la superficie curva non può essere chiusa da una superficie piana: in tal caso si ricorre alla
determinazione delle componenti orizzontale e verticale della spinta; la determinazione della
spinta tramite le componenti può essere comunque eseguita anche nel primo caso.

3.3.1 Calcolo delle spinte attraverso l’equazione globale.


Abbiamo già visto un esempio riguardante questa procedura (nel caso del tappo di forma qualsiasi
inserito in un foro aperto su una superficie piana).
In generale, sia ABC una superficie curva suscettibile di
essere chiusa da una superficie piana AC: sia per
esempio ABC una semisfera e AC un cerchio. Si voglia
conoscere la spinta S esercitata dal fluido su ABC
(Figura 3.21).
L’equazione globale applicata al volume di liquido
contenuto in ABC dà
G + =0
dove  è la spinta che la superficie esterna chiusa
ABCA applica al volume della semisfera. Figura 3.21
Scomponiamo  nella spinta ABC applicata da ABC e nella spinta AC applicata da AC:
 = ABC + AC
sarà
G + ABC + AC = 0;
la spinta esercitata dal fluido su ABC è pari a - ABC; risulta quindi
S=- ABC = G + AC
e per determinarla basta sommare i vettori G e AC; quest’ultimo è
pari in modulo alla spinta sulla superficie AC, e passa per il centro di
spinta della stessa.
Figura 3.22 Il risultato si può ottenere per via grafica (Figura 3.22):

Consideriamo ora lo stesso recipiente,


ma chiuso e con fluido in depressione
(Figura 3.23).
Si voglia ancora conoscere la spinta S
esercitata dal fluido su ABC.
Risulta:
G + ABC + AC = 0;

S=- ABC = G + AC ;


si deve notare in questo caso che AC e’
negativa: infatti essa e’ generata da
pressioni negative. Il risultato dimostra
che ABC è premuta dall’esterno verso
Figura 3.23
l’interno (Figura 3.24).

50
Consideriamo infine il caso che il fluido sia un gas. Il suo peso specifico e’ molto piccolo in
confronto alla spinta, e si può quindi porre
G = 0.
L’equazione globale in questo caso diventa
=0
Consideriamo il recipiente del caso precedente, stavolta pieno di gas. il
raggio della semisfera sia di 1m. Il volume vale V = 4/6r3=2 m3 e il
suo peso vale G=2 kg. All’interno del recipiente sia mantenuta una
pressione pari a 1,5 kg/cm2.
La spinta AC, esercitata dal gas sulla parte AC della superficie di
Figura 3.24 contorno del volume semisferico, vale
AC =1,5 104 A (kg)
dove A e’ l’area di AC, data da A=r2=3,14 m2. Risulta quindi
AC =50.000 kg.

n=1,5
C

Figura 3.25

D’altra parte, procedendo come nei casi precedenti e considerando G = 0, si ottiene:


-ABC = AC.
La spinta esercitata dal gas sulla superficie ABC è pari a quella esercitata sulla superficie AC. Essa
passa per il baricentro di AC (Figura 3.26); si può notare infine che nel caso dei gas il peso e’
veramente trascurabile in confronto alle forze in gioco.
C

 A B C

A C

A
Figura 3.26

51
Applicazioni
Attorno al 1650 Otto Von Guericke, fisico tedesco (1602-1686, Experimenta nova, ut vocantur,
magdeburgica de vacuo spatio) eseguì in pubblico l’esperimento detto "degli emisferi di
Magdeburgo" (Figura 3.27).

Figura 3.27

Due emisferi metallici di raggio 1 m, muniti di guarnizioni a tenuta lungo il bordo circolare,
vennero accostati e quindi fu estratta l’aria dall’interno della sfera cava da essi formata. Due coppie
di possenti cavalli da tiro non riuscirono a staccare i due emisferi; appena rimessa l’aria all’interno,
essi si aprirono invece senza alcuno sforzo.
Infatti, valutiamo la forza agente su uno dei due emisferi tramite l’equazione globale, immaginando
l’emisfero aperto e posto in aria (Figura 3.28).
C


B
A C

A
Figura 3.28
ABC + AC = 0

ABC = AC = patm A = 104 kg/m2 3,14 m2 = 31.400 kg  31 t


Lo stesso ragionamento si può fare per l’altro emisfero. Quando all’interno della sfera viene fatto il
vuoto, i cavalli non riescono a staccare i due emisferi (Figura 3.29).

52
A

31 t 31 t
B D

C
Figura 3.29

Con lo stesso principio lavora una ventosa (Figura 3.30a).


12 cm
A C

B b)

100 A  A C C
kg
B
a)  A B C
c)
Figura 3.30

Una ventosa di superficie 100 cm2 potrebbe (in teoria) sopportare un peso di 100kg. Infatti (figura
3.30)
ABC + AC = 0

ABC = AC

AC = 1 kg/cm2  100 cm2 = 100 kg

Tutto ciò vale anche per un recipiente contenete un liquido o un gas a pressione inferiore a pa ,
chiuso inferiormente da un piatto di area A cui e’ appeso un peso P (figura 3.31); detta S la spinta
esercitata dall’interno sul piatto, e pc la pressione interna, risulta :
PS 0
S  pC A
P  pC A
se consideriamo le pressioni assolute p*, risulta:
P  p C* A  p atm A  0

53
P<0

S
C

P
Figura 3.31
poiché dal basso si esercita sul piatto la pressione atmosferica, patm.

È possibile anche che il recipiente contenga acqua (Figura 3.32); in questo caso
p C  p B  h

S  p C A (diretta verso l’alto);

per l’equilibrio del piatto sarà:

SP0

P <0
B

p B

B
S
C p C

P
Figura 3.32

Se si considerano le pressioni assolute, risulta sempre


P  p C* A  p atm A  0

54
3.3.2 Metodo delle componenti
La spinta agente su una qualunque superficie curva è nota se si conoscono le sue componenti
secondo un piano
orizzontale e secondo un
asse verticale. In questo
caso la spinta è data
dalla somma vettoriale
delle due componenti.
Sia A una superficie
curva e per semplicità
ammettiamo che essa
abbia per generatrice una
retta verticale
perpendicolare all’asse x
e dA un elemento di
superficie di normale n. Figura 3.33
La normale formi con l’asse x un angolo  (Figura 3.33).
La componente orizzontale della spinta elementare agente su dA è:
dS x  p dA n cos  .
Ma si deve osservare che dA cos è esattamente la proiezione
di dA su un piano verticale (Figura 3.34); quindi, dSx è la
spinta sulla proiezione di dA su un piano verticale.
La componente orizzontale della spinta su A, Sx, è a sua volta
data da
S x   p n cos  dA
A

Pertanto si può dire che Sx è la somma vettoriale delle spinte


agenti sugli elementi di superficie dA cos, proiezione degli
elementi dA su un piano verticale. Infine, la componente
orizzontale della spinta è data dalla spinta agente sulla
superficie ottenuta proiettando la superficie A su un piano
Figura 3.34 verticale. La sua retta di applicazione passa per il centro di
spinta determinato su detta proiezione.
Se la superficie è chiusa (in tutto o in parte), la sua proiezione su un piano verticale è nulla (in tutto
o in parte ); pertanto la componente orizzontale della spinta relativa alla superficie chiusa è nulla.

Consideriamo il sottomarino e isoliamo le superfici dAB e dAC attraversate da un cilindretto ideale


orizzontale. La proiezione di dAB e dAC su
un piano verticale risultano uguali e
contrarie:
dAB cosB = - dAC cosC
perché uno dei due coseni è negativo.
Le componenti orizzontali delle spinte su
Figura 3.35 dAB e dAC pertanto risultano uguali e
contrarie. La stessa cosa si può dire per
tutti gli altri elementi di superficie.
In definitiva, la componente orizzontale della spinta sul sottomarino è nulla. Se così non fosse, il
sottomarino navigherebbe senza bisogno di motori.
55
La componente verticale della spinta sulla superficie A si ottiene considerando che su un elemento
di superficie dA, la spinta elementare dS è pari a p dA n =  h dA n (Figura 3.36). Detto  l’angolo
formato da n con la verticale, la componente verticale della forza elementare risulta dSV =  h cos
dA.

p.c.i.

dA cos
h
n

dA
n  n 

dA A

Figura 3.36

Si può notare ora, che dA cos è la proiezione della superficie dA su un piano orizzontale. Quindi,
dA cos h è il volume del prisma elementare di base dA cos (sul piano dei carichi idrostatici) e
altezza h. La componente verticale della spinta su A è data dall’integrale delle componenti delle
forze elementari.
S V    h cos  dA
A

ed è quindi pari al peso del volume liquido compreso tra la superficie ed il piano dei carichi
idrostatici.
La spinta così valutata agisce su A dall’alto verso il basso, poiché essa é la spinta sulla superficie A
con normale rivolta verso il basso; la spinta sull’altra faccia é uguale e contraria e, così agisce dal
basso verso l’alto.

56
Si valuti la componente verticale della spinta su AB (Figura 3.37).
Si ha:
S V  G
Tale risultato é del resto suggerito dall’applicazione dell’equazione globale al volume ABCD:
D p.c.i. C
A G

S V

Figura 3.37

G+=0

G + AB + BC + CD + DA = 0,


proiettando sulla verticale
G + AB,V + CD = 0;
notando che dev’essere CD = 0 perchè CD sta sul piano dei carichi idrostatici.
G + AB,V = 0;

SV = AB,V = -G.

Si valuti la componente verticale nel caso che il p.c.i. stia sotto AB (Figura 3.38).

A
S V

G B

C D p.c.i.

Figura 3.38

57
Applicando l’equazione globale al volume ABCD e proiettando lungo la verticale, si ottiene:
G + AB,V = 0;
La spinta cercata è
SV = AB,V = G.

Applicazioni

Una campana di forma tronco-conica, che considereremo di spessore trascurabile, ma di un certo


peso P, viene immersa in acqua. Poiché la campana è aperta inferiormente, una volta immersa, l’aria
contenuta al suo interno viene compressa e l’acqua sale fino a un certo livello (Figura 3.39 a). Per
valutare l’equilibrio della campana, dovremo considerare che, oltre al peso proprio P, essa subisce
una spinta dall’esterno, esercitata dall’acqua in cui è immersa, ed una spinta dall’interno, esercitata
dall’acqua e dall’aria che si vengono a trovare all’interno. Poiché la spinta esterna e quella interna
fino al livello raggiunto dall’acqua nella campana, che indicheremo col punto B (Figura 39 b),
sono uguali e opposte, si possono considerare solo le forze al di sopra di tale punto.
L'aria viene
compressa
p.c.i.
1

2 B

a) b)
Figura 3.39

La spinta esterna si può calcolare col metodo


delle componenti, tenendo conto che la componente orizzontale è nulla poiché si tratta di una
superficie di rotazione; la spinta esterna è dunque pari alla componente verticale, che è uguale al
peso del liquido compreso tra la superficie della campana al di sopra del punto B e il piano dei
carichi idrostatici (Figura 3.40); si avrà dunque :
Se = G1
La spinta interna si può calcolare applicando l’equazione globale al volume delimitato dalle
superfici 1 e 2 e considerato pieno d’aria (poiché è l’aria che esercita la spinta):

B p.c.i.
G
h
1

p >p
a r ia a tm
A
B

Figura 3.40

Applicando l’equazione globale, si ottiene :


58
1 + 2 + Ga = 0

la spinta che si vuole calcolare è la 1 risulta :

Si = 1 = Ga + 2

e poiché il peso Ga dell’aria è nullo, Si = 2 .

Si consideri ora che è : 2 = paria A n.

Si trova quindi

Si = paria A = pB A =  h A
La risultante si ottiene considerando :
Si  Se =  h AG1= G ;

essa risulta quindi pari al peso del liquido spostato ed è diretta verso l’alto. La campana rimane in
equilibrio sul fondo se il suo peso P è maggiore di G.

Procedendo allo stesso modo si può valutare l’equilibrio di una campana tenuta parzialmente fuori
dall’acqua (Figura 3.41); in questo caso la spinta esterna è nulla, poiché applicata dall’aria a
pressione atmosferica, ed esiste solo una spinta interna; per determinarla si applica l’equazione
globale al volume delimitato dalle superfici 1,2 e 3 , pieno d’acqua, e al volume delimitato dalle
superfici 3 e 4, pieno d’aria. Si ottiene per il primo volume :

1 +  2 + 3 + G = 0

1 = 0

2 = 3 + G;

Si consideri ora che risulta :

3 =  paria A n ;
p <p
a ria a tm 4
A
3
2 p.c.i. h
1

Figura 3.41
Si applichi ora l’equazione globale al volume delimitato dalle superfici 3 e 4; risulta :

59
Ga + 3 +  4 = 0 ;

essendo Ga nullo si trova

4 = 3 = paria A n
Infine
S = 2 4 = - paria A n + G + paria A n = G.
Come nel caso precedente, la spinta é pari in modulo al peso del volume fluido spostato, ma
stavolta è diretta verso il basso. Per tenere la campana sollevata occorre applicarle una forza pari a
G + P diretta verso l’alto.

60
4.
Principi di cinematica dei fluidi

4.1 Punto di vista Euleriano e punto di vista Lagrangiano

Nella visione classica del fenomeno di moto, i fluidi sono visti come un insieme di particelle. Il
moto di una particella è caratterizzata dalla velocità V che è funzione del punto in cui la particella si
trova e del tempo.
Consideriamo un gruppo di palline di ping-pong trasportate dalla corrente di un fiume.
Fissiamo l’attenzione su una di esse, che indichiamo con A, e scattiamo delle foto in successivi

Figura 4.3

istanti 1,2,3,4, rilevando le sue posizioni e velocità (figura 4.3). Un esempio potrà meglio chiarire i
caratteri delle componenti della velocità nel moto dei fluidi.
Il luogo dei punti occupati dalla pallina nei successivi istanti è detto traiettoria (figura4.4). Se
facciamo lo stesso per tutte le palline, avremo una visione d’insieme del fenomeno. Questo modo di
rappresentare il moto è noto come “punto di vista Lagrangiano” da Giuseppe Luigi LAGRANGE
(1736-1813), matematico e meccanico celeste, nato a
Torino, dove cominciò ad insegnare prima d’essere
chiamato a Berlino e Parigi.

Figura 4.4
Ora, invece che seguire una
singola pallina fermiamoci in
un punto di coordinate X0, Y0,
Z0, e scattiamo delle foto ad
intervalli di tempo t (figura
4.5).
Il vettore velocità apparirà
diverso da istante a istante.
Se facciamo lo stesso in più
punti avremo una visione di
insieme del fenomeno; solo
che le particelle che cogliamo
saranno diverse da istante a
istante (figura 4.6) Figura 4.5
61
Questo modo di rappresentare il moto è
il “Punto di vista Euleriano”, ed è
quello generalmente seguito
nell’Idraulica.
Leonhard Euler (pronunciato Oiler),
1707-1783 svizzero di Basilea, allievo
di Jean Bernoulli poi collega di Daniel
Bernoulli (pron. Bernullì), uno dei padri
Figura 4.6 della meccanica dei fluidi.

4.3 Traiettorie e linee di corrente


Ricordiamo che è stata definita la traiettoria, che potremmo vedere con una foto della stessa pallina
colorata in rosso, ottenuta con lungo tempo di esposizione (figura 4.7);

A A A A

x ,y ,z ,t
1 1 1 1
x ,y ,z ,t
2 2 2 2
x ,y ,z ,t
3 3 3 3
x ,y ,z ,t
4 4 4 4

Figura 4.7
Se invece prendiamo in considerazione il moto d’insieme (Figura 4.8a), in ciascun istante si

a)
C D
A B v(x ,y ,z ,t )
v(x ,y ,z ,t )
C C C 1
D D D 1

v(x ,y ,z ,t )
A A A 1 v(x ,y ,z ,t )
B B B 1

b)
Figura 4.8
potranno osservare delle linee di corrente: sono le linee tangenti al vettore velocità; le linee di
corrente si potrebbero vedere come una foto di tutte le palline con breve tempo di
esposizione(figura 4.8b).

Approfondimenti
Consideriamo nuovamente una traiettoria; le equazioni che la descrivono sono:
dx = u dt
dy = v dt
dz = w dt

62
perché dx, dy e dz sono le proiezioni del tratto ds percorso in dt. Possiamo osservare che si tratta di
equazioni differenziali; per integrarle dovremo conoscere le funzioni u, v, w e le condizioni iniziali.
Sia per esempio v = w = 0.
L’equazione della traiettoria è:
dx  u dt
;
x   u dt  cost

sia per esempio u=u0 costante nel tempo; risulta:


x  u 0 t  cost -
per ricavare la costante dovremo sapere che, per esempio, è x=x0 per t= t0;
in tal caso
cost  x 0  u 0 t 0 -
e
x  u 0 t  x0  u 0 t 0 -

x  u 0 t  t 0   x 0 -
nella quale è nota x in ogni istante t.

Le equazioni delle linee di corrente invece si possono ricavare osservando che deve essere (figura
4.9)
y

v
dx
dy
u x
Figura 4.9
v dy

u dx
-
w dz

u dx

Risulta dunque
dx dy dz
  t  t1  -
u v w
Anche queste sono equazioni differenziali e per integrarle dovremo conoscere le condizioni iniziali;
infatti

63
dx dy
 u

v
-

se è per esempio u=u0; v=v0, costanti nel tempo,


1 1
u0  dx   dy  cost -
v0
x y
  cost -
u 0 v0
per conoscere la costante dovremo sapere che, per esempio, per x=x0 è y=y0.
Pertanto
x y
cost  0  0 -
u 0 v0
quindi
 y x y 
x  u 0   0  0  -
 v0 u 0 v0 
u0 u
x y  x0  y 0 0 -
v0 v0
u
x  0  y  y 0   x0 -
v0

64
4.4 Moto permanente e moto vario.
z
B A
t1 D C

x Figura 4.10a
y
z
E
t B A
2

D C

x
y Figura 4.10b

Dopo aver fatto le precedenti considerazioni, possiamo distinguere due diversi tipi di moto. Se la
velocità è effettivamente funzione del tempo, e cioè se
V = V (x, y, z, t)
il moto si dice vario; se invece la velocità non è funzione del tempo, e cioè se
V = V (x, y, z),
il moto si dice permanente.
Per comprendere i caratteri del moto vario, immaginiamo le palline trasportate in superficie dalla
corrente di un fiume, e fotografiamole all’istante t1 e poi all’istante t2; il moto è vario poiché la
velocità cambia da punto a punto e da istante ad istante (Figura 4.10 a e b).
Nel moto vario la pallina A si trova nell’istante t1 (Figura 4.10 a) nella posizione x(A), y(A), z(A) e
ha velocità v(A1); la pallina B si trova, nell’istante t1, nella posizione x(B), y(B), z(B) e ha velocità
v(B1); nell’istante t2 (Figura 4.10 a), la pallina B passa dalla posizione prima occupata dalla pallina
A, ma con velocità diversa da quella che nello stesso punto aveva A.
Per comprendere i caratteri del moto permanente immaginiamo ora le stesse palline trasportate dalla
corrente di un canale che passa su uno scivolo (Figura 4.11) senza variazione delle caratteristiche
del moto nel tempo; la velocità cambia da punto a punto, ma, in istanti diversi, è uguale nello stesso
punto. La pallina A percorre lo
scivolo, e, arrivata nel punto x1,
y1, z1, ha velocità v1 all’istante t1.
All’istante t2, guardando il punto
Figura 4.11 x1, y1, z1, vi si troverà la pallina
B, che però ha la stessa velocità
v1. Se ricordiamo l’espressione
della accelerazione secondo la
regola di derivazione euleriana, e
consideriamo il moto permanente
nel piano x, y, sarà
V V
au v -
x y

65
Nel moto permanente, V x e V y possono avere valori non nulli, come nel caso dello scivolo,
dove è evidente l’esistenza di una variazione della velocità secondo gli assi x e y.

4.5 Osservazioni sul moto permanente e sul moto vario.


Nel moto vario le traiettorie non coincidono con le linee di corrente. Fotografiamo la pallina A con
lungo tempo di
esposizione per
fissarne la posizione
negli istanti t1, tn, e
Figura 4.12 ottenere la traiettoria
(figura 4.12).
Fotografiamo tutte le palline nello stesso istante per ottenere la linea di corrente (figura 4.12) e ci
rendiamo conto che le linee sono diverse. Nel moto permanente invece le traiettorie coincidono con
le linee di corrente.
Sullo scivolo dell’esempio precedente, fotografare la pallina A con lunga esposizione, o fotografare
tutte le palline con breve esposizione dà lo stesso risultato.
Se torniamo a considerare l’accelerazione secondo la regola di derivazione euleriana
V V V V
a u v w  -
x y z t
ci rendiamo conto che è possibile che non esistano variazioni di velocità in uno stesso punto da un
istante all’altro ( V t  0 ), pur esistendo variazioni di velocità da un punto all’altro
V V V
 0;  0;  0. _
x y z
Ciò accade nel caso dello scivolo, in moto
permanente.
È un po’ più difficile comprendere cosa avviene
invece se, in presenza di una variazione di velocità
nel tempo ( V t  0 ), la variazione di velocità
nello spazio è invece nulla.
Figura 4.13 Facciamo in modo che la nostra pallina venga
trasportata da un’onda che provochiamo in un breve canale, sicché essa vada ad occupare le
posizioni x1, x2, x3 negli istanti t1, t2, t3 (figura 4.13).
La variazione di velocità nel tempo è non nulla; per esempio nel punto x2 prima del passaggio
dell’onda la velocità era nulla , mentre è diversa da zero al passaggio della pallina.
La variazione di velocità nello spazio, però, può essere nulla: infatti possiamo immaginare che la
pallina viaggi lungo l’asse x senza variazioni di velocità, quindi V x  0 , ovvero è nulla
l’accelerazione convettiva. Il moto è vario, con accelerazione convettiva nulla.
Se invece la velocità della pallina trasportata dall’onda varia da punto a punto, il moto è vario con
accelerazione convettiva non nulla.

66
4.6 Portata e velocità media
Consideriamo una linea chiusa  che non sia una linea di corrente, e osserviamo le linee di corrente
che passano per tale linea chiusa in un certo istante t1.
L’insieme delle linee di corrente forma un “tubo di flusso” (Figura 4.14).

Figura 4.14

In un diverso istante t2, il tubo di flusso avrà cambiato forma, se il moto è vario.
Se la linea racchiude una superficie elementare d, che possiamo immaginare come la sezione di
una sola particella, il tubo di flusso elementare è un filetto fluido (Figura 4.15)

d

Figura 4.15

Sulla superficie elementare d, il vettore V relativo alla superficie stessa ha una componente
normale Vn e una componente tangenziale Vt (Figura 4.16)
Il prodotto
Vn d = dQ
tra Vn e l’area d è detto portata elementare.
Integrando sulla superficie finita , di cui d è parte, si ottiene:
Q   V n d

detta “portata del tubo di flusso” o semplicemente “portata”


(Figura 4.17).
Figura 4.16 La portata è il volume di fluido che attraversa  nell’unità di
tempo.
Infatti, se ds è lo spazio percorso da una particella che attraversa d nel tempo infinitesimo dt,
risulta
Vn = ds/dt
e

67
ds
dQ  d ;
dt
d ds = d è il volume che attraversa d nell’intervallo di tempo dt (Figura 4.17).
Occorre sottolineare che la portata è una grandezza
scalare. È infatti definita come integrale di uno scalare (il
modulo della componente normale della velocità, Vn) su
d una superficie.
Le dimensioni di Q sono quelle di un volume su un
d tempo, e cioè [L3 T-1].
Si definisce velocità media Vm il rapporto
Q
Vm 


[L3 T-1][L-2]=[LT-1]

Figura 4.17 Si definisce portata in massa l’integrale


Q M    V n d _

Esso dà la massa che attraversa  nell’unità di tempo. La massa che attraversa  in un tempo
elementare dt è
dM    V d dt _

n

Vn
n


V>0
n

V<0
Vn
n

n
n

Figura 4.18

Per convenzione, assunto un tubo di flusso e tagliato lo stesso con due sezioni, in modo da definire
un volume , assumiamo positiva la normale entrante n.
La Vn sarà positiva se attraverso la superficie che si considera entra una massa fluida nel volume
definito; sarà negativa se esce una massa fluida (Figura 4.18).

68
Approfondimenti
4.7 Equazione di continuità forma locale
Consideriamo un volume , fisso nello spazio, e racchiuso da una superficie  (Figura 4.19).
Indichiamo con e la superficie da cui entra fluido; u quella da cui esce fluido; x quella da cui non
entra né esce fluido.
Con riferimento alla figura 4.19, la massa entrata nell’intervallo di tempo dt è
dM e    Vn d dt con e = 1 + 3
e

La massa uscita in dt è
dM u     V n d dt
u
con u = 2 + 4

V n 2
 2

 V n 4

 5


4


1

V n 1

 V n 3
3 -
Figura 4.19

La variazioni di massa all’interno di , nell’intervallo dt, è:



t 
dM   d dt -

Per la conservazione della massa, deve risultare:


dM  dM e  dM u ,
quindi

 t d   
 Vn d -
69
infatti
dM e  dM u    V n d dt per-ché sulle superfici 3 e 4 la Vn è negativa; inoltre

 
dM  
t  e
 d dt  
t
d dt per la derivazione sotto segno di integrale, essendo  fisso.

Ricordiamo ora che i coseni direttori della normale n sono:


cos (nx), cos (ny), cos (nz);

z
V n
Vnn

x
y -
Figura 4.20

se u, v e w sono le componenti di V risulterà (Figura 4.20):


V n  u cos nx  v cos ny  w cos nz -


 t d    u cos nx  v cos ny  w cos nz  d -

per il II lemma di Green:


 f f y f z 
 f

x cos nx  f y cos ny  f z cos nz d     x 
 x
  y

z
 d ,


quindi
   u  v  w 
 t d      x  y  z d -

  u  v  w  
 x

y

z
 d  0 -
t 

Poiché può essere scritta per qualsiasi , l’equazione è sempre vera solo se
 u  v  w 
    0-
x y z t
o anche

divV    ;
t
che è l’equazione di continuità in forma locale; per fluidi incomprimibili, per cui  non varia nel
tempo e nello spazio
70

0-
t

 u v w 
      0 -
 x y z 
e infine
u v w
  0-
x y z
o anche
divV  0 -
che è l’equazione di continuità in forma locale per i fluidi incomprimibili.

Attraverso il principio di conservazione della massa, si è arrivati a formulare l’equazione di


continuità per i fluidi incomprimibili, che lega tra loro le componenti della velocità in un punto.
u v w
   0-
x y z

L’equazione di continuità in forma locale mette in evidenza, attraverso le componenti


dell’accelerazione convettiva, il comportamento di una massa liquida in moto: facciamo per
esempio il caso del moto nel piano x, y, all’interno di un condotto convergente o divergente; nel
convergente (figura 4.21 a) la massa accelera secondo la direzione x, ed, essendo
u v
 0 -
x y

v/y<0
v
x
u
v
u/x>0
y v/y<0
Figura 4.21a

se è u x  0 , dev’essere v y  0 : poiché la componente v aumenta dalla periferia verso l’asse


del convergente, l’accelerazione lungo l’asse y è negativa, quindi i filetti devono convergere; al
contrario, nel divergente (Figura 4.21 b), dove la massa rallenta secondo x ed è è u x  0 , la
componente v aumenta dall’asse verso la periferia e i filetti devono divergere, verificandosi una
variazione positiva della velocità lungo l’asse y ( v y  0 ).
71
z

v/y>0
v
x
u

y u/x<0
v
v/y>0
Figura 4.21b

4.8 Equazione di continuità per le correnti


Definiamo “corrente” una massa fluida in moto con una direzione privilegiata (una corrente d’aria;
una corrente marina; ecc.) in cui quindi tutte le particelle passanti per una sezione hanno una
direzione preferenziale. Si può fare riferimento perciò, in una data sezione, ad un’unica velocità.
Consideriamo una corrente che, in un istante t, attraversa una superficie ; spostandoci di una
distanza ds nella direzione della corrente, definiremo un volume d dato da  ds (Figura 4.22).
All’interno di questo volume, dalla superficie , nell’intervallo dt, entra la massa
dM e   Q dt ;
nello stesso intervallo, dalla superficie a distanza ds da , esce la massa
 Q 
dM u    Q  ds  dt ;
 s 
la differenza dMedMu è data da

dM =( Q+ Q/s ds)dt


u

ds

d

dM =  Q dt
 e

Figura 4.22

72
Q
dM   ds dt .
s
D’altra parte, all’interno del volume d la variazione di massa in dt è:

dM    ds  dt ;
t
poiché è dM = dMedMu risulta
Q 
 ds     ds 
s t

Q  
 0
s t
che è l’equazione di continuità in forma globale.
Per fluidi incomprimibili, essa diventa:
Q  
 0
s t
e per moto permanente:
Q
0
s
cioè Q costante lungo s.
Ricordiamo l’esempio dello scivolo: il fatto stesso che le sezioni non variano nel tempo (  t  0 )
mostra che la portata è costante lungo lo scivolo.
Ricordiamo l’esempio dell’onda che percorre il canale; il fatto stesso che le sezioni idriche variano
nel tempo (  t  0 ) mostra che anche la portata dovrà variare nello spazio ( Q s  0 ), oltre che
nel tempo.
Consideriamo infine il caso del moto all’interno di una tubazione; se supponiamo la densità
costante, poiché la sezione non varia nel tempo, non vi potrà essere una variazione di portata nello
spazio: la portata rimane costante da un punto all’altro anche nei transitori. Un tronco fluido
contenuto nella tubazione si può arrestare o mettere in movimento solo comportandosi come un
cilindro rigido, e cioè variando la sua velocità in ugual modo in tutti i punti istantaneamente. Con
questo schema, detto della colonna rigida, è possibile studiare il fenomeno del moto vario di un
liquido incomprimibile in una condotta indeformabile.

73
5.
L’energia nel moto dei fluidi

5.1 Teorema di Bernoulli


Le considerazioni che seguono sono valide per un fluido ideale, tale che il moto delle sue particelle
non comporti perdite di energia; un tale fluido si dice fluido perfetto. Si può dimostrare in tal caso
che, lungo la traiettoria di una particella, in moto permanente la somma
p V2
z 
 2g
rimane costante.
Questo principio fu
applicato per primo da
Daniel Bernoulli,
matematico e fisico,
appartenente a un’intera
famiglia di matematici e
fisici di Basilea
(Svizzera) e vissuto dal
1700 al 1782. Bernoulli
è considerato, a
ragione, uno dei
fondatori dell’idraulica.
Immaginiamo una
particella, appartenente
a una corrente a
Figura 5.1 superficie libera, come
una bottiglia, di massa propria trascurabile e contenente una massa m di acqua (Figura 5.1).
Il peso della massa contenuta nella bottiglia è P = m g; se z è la quota del baricentro, l’energia
potenziale posseduta dalla bottiglia e associata alla quota z è Ep = P (z + p/).
Infatti la bottiglia non è isolata, ma immersa nello stesso fluido e riceve una spinta dal basso verso
l’alto pari al peso del liquido spostato. È possibile dunque spostare la bottiglia verticalmente senza
compiere lavoro. Portata la bottiglia sulla superficie libera, la sua energia potenziale sarà P z1
Se la distribuzione della pressione è idrostatica, sarà
p
z1  z 

lungo la verticale.
Consideriamo ora la velocità v della bottiglia; l’energia cinetica sarà
1
EC  m v2
2
L’energia complessiva posseduta dalla massa di fluido in moto è
 p 1
E t  P  z    m v 2
  2

75
Se non vi sono perdite di energia (per attrito o per urto) questa rimane costante lungo la traiettoria
 p 1
P  z    m v 2  cost
  2
e dividendo per il peso
p v2
z   cost
 2g
Il trinomio, z + p/+ v2/2g rappresenta l’energia dell’unità di peso. I tre termini hanno le dimensioni
di una lunghezza. Infatti
z [L]
p/ [M L-2 T-2] / [M L T-2 L-3] = [L]
2
v /2g [L2 T-2] / [L T-2] = [L]
Sarà bene avere subito un’idea quantitativa delle grandezze in gioco.
 z è la quota, che può al più essere di migliaia di metri;
 p/ è l’altezza piezometrica, che può variare da pochi metri fino a centinaia di metri;
 v2/2g è l’altezza cinetica, che
per velocità da 1 a 10 m/s varia
da 0,05 a 5 m.

5.2 Equazione indefinita


dell’equilibrio idrodinamico
Come per l’idrostatica, anche per
l’idrodinamica si può scrivere
un’equazione indefinita
dell’equilibrio idrodinamico o
equazione di Eulero
Φ x Φ y Φ z
 F  A     -
x y z
Per ricavare tale equazione, basta
fare riferimento alle forze che Figura 5.2
agiscono sul fluido racchiuso in un cubetto elementare (figura 5.2). Detta R la risultante delle forze,
m la massa e A l’accelerazione, per la prima equazione cardinale della dinamica dovrà dunque
risultare
R  mA-
La risultante delle forze di massa e delle forze di superficie si ottiene con lo stesso ragionamento del
per. 2.5, sostituendo alle pressioni p gli sforzi . Si consideri che lo sforzo x agisce sulla faccia di
normale x, ma ha direzione generica, e analogamente y e z agiscono sulle facce di normale
rispettivamente y e z, ma hanno direzioni generiche. Detta F la forza di massa per unità di massa,
risulterà:

  x  y  z 
 F dx dy dz      dx dy dz   dx dy dz A ,-

 x y z 

e semplificando il prodotto dxdydz si ottiene l’equazione di Eulero


76
Φ x Φ y Φ z
 F  A     .-
x y z

Facciamo l’ipotesi che esistano solo sforzi normali, come in idrostatica. In questo caso le particelle
non subiscono azioni tangenziali. Un fluido che si comporta così, come già si è detto, è un fluido
perfetto.
In tal caso
 F - A   grad p -
poiché è
 xx   yy   zz  p -
con
p p p
grad p  i j k-
x y z
Nel campo di gravità F = g; inoltre notiamo che si può scrivere
g   g grad z -

  g grad z  grad p   A -
e se si considera il fluido incomprimibile, dividendo per  g,
 p 1 dv -
grad  z    
  g dt

Approfondimenti

5.3 Il Teorema di Bernoulli attraverso l’equazione indefinita

Consideriamo il moto lungo una traiettoria di ascissa s; sarà (Figura 5.3)

v s

Figura 5.3
v  v s, t  -
Derivando con la regola di derivazione euleriana lungo s, si ottiene
dv v ds v
  -
dt s dt t
ds
ma v
dt
e osservando che:

77
v 2 v
 2v
s s
-
v 1 v 2

s 2 v s
risulta
dv 1 v 2 v
v  -
dt 2 v s t
proiettando sulla tangente l’equazione indefinita nella forma :
 p  1 dv
 grad  z    -
   g dt
si ottiene l’equazione scalare:
  p  1  1 v 2 v 
  z      -
s    g  2 s t 
cioè
  p v2  1 v
 z      ,
s   2g  g t

p v2
e, nell’ipotesi di moto permanente, z    cost lungo la traiettoria .
 2g

5.4 Significato dei termini nel trinomio di Bernoulli


p v2
Il termine H  z   viene detto “carico totale”, e, come già visto, rappresenta l’energia per
 2g
unità di peso della particella.
Si può notare che l’equazione
  p v 2  1 v
 z    0-
s   2 g  g t
è stata ottenuta da considerazioni sull’equilibrio delle forze nel caso di un fluido perfetto.
Essa mostra come variano, lungo la traiettoria, la quota, la pressione e la velocità, quando vi è una
variazione di velocità nel tempo.

78
H=cost Linea dei carichi totali
2

v /2g 2

v /2g
1
2
2
v /2g
3

p / Piezometrica
p /
1

p /
2

Traiettoria
z 1
z z 3
2

z=0
Figura 5.4

In conseguenza del fatto che i termini del trinomio di Bernoulli hanno le dimensioni di una
lunghezza, é consuetudine rappresentarne graficamente i valori, in ogni punto lungo la traiettoria.
Nel caso del moto permanente, assunto un riferimento z = 0, si potrà dunque tracciare una linea che
rappresenta la somma z + p/ + v2/2g = H; essa é detta linea dei carichi totali, e sarà orizzontale
(figura 5.4).

Dalla linea dei carichi totali, portando verso il basso un segmento pari a v2/2g, si può ottenere in
ogni punto il valore della quota piezometrica.
La linea che raccorda le quote piezometriche di tutti i punti si chiama linea piezometrica; la
distanza della piezometrica dalla traiettoria, presa sulla verticale, indica l’altezza piezometrica:
basterà moltiplicare tale valore per  per ottenere la pressione nel punto della traiettoria.

Linea dei carichi totali


2

v /2g
1
2

2
v /2g
3

v /2g
2

p / 1 Piezometrica
p /3

p / 2

Traiettoria
z z
1

z 2
3

z=0
Figura 5.5

È il caso di notare che, come accade in figura 5.5, l’altezza cinetica può essere tale da portare la
quota piezometrica al di sotto delle traiettoria; quando ciò accade, l’altezza piezometrica va
considerata negativa; infatti, sommando successivamente i segmenti z, p/ e v2/2g si deve comunque
arrivare ad H.
Si deve infine ricordare che deve anche risultare: p   10,33m .

79
Questa disuguaglianza stabilisce un limite fisico che occorrerà verificare in ogni caso.

Approfondimenti
5.5 Teorema di Bernoulli per le correnti lineari
Riprendiamo l’espressione ottenuta dall’equazione di equilibrio:
 p 1 dv
grad  z     -
  g dt
Proiettando sulla tangente si ha, come già visto:
  p 1 v 2 1 v
 z      -
s   2 g s g t

  p v2 
e per moto permanente:   z    0.
s   2 g 
Proiettando sulla normale, sempre per moto permanente (figura 5.6):
  p 1 v dn
 z     ;-
n   g n dt

b s

Figura 5.6
v dn v2
ora,   , che é l’accelerazione centripeta, dove r é il raggio di curvatura; quindi:
n dt r
  p 1 v2
 z     -
n    g r
ed inoltre proiettando sulla binormale, se il moto è piano (r=∞):
  p
z   = 0
b   
Ora una corrente si dice lineare o gradualmente variata quando i filetti sono rettilinei e paralleli.

80
p /0

z 0

z=0
Figura 5.7
  p   p
In tal caso r  , v 2 r  0;  z    0 ; d’altra parte  z   = 0 e quindi la quota
n   b   
piezometrica (z + p/) non varia né secondo n, né secondo b, e perciò rimane costante sulla sezione
della corrente.
Su una sezione verticale, si ha lo stesso risultato che in idrostatica; se la sezione è inclinata e i filetti
sono rettilinei e paralleli, si potrà tenere conto ancora di una quota piezometrica unica (figura 5.7).
Essa si potrà individuare con riferimento alla quota z0 del baricentro e alla pressione p0 nello stesso
punto.
È ovvio che, essendo
p
z  cost -

nella sezione le pressioni variano linearmente (figura 5.8).
Abbiamo visto che nel moto permanente di un fluido perfetto, pesante e incomprimibile, lungo ogni
traiettoria risulta:
p v2
H  z   cos t ;
 2g

p /1

p /
2

z 1

z 2

z=0
Figura 5.8

siamo poi pervenuti alla conclusione che, per le correnti lineari, z + p/ é da considerare costante
sulla sezione. Di solito interessa poter trattare il moto di un fluido non per singole traiettorie, ma
globalmente; infatti, si ricorderà che per le correnti si é ricavata l’equazione di continuità in forma
globale, che permette di conoscere la variazione di grandezze complessive per la sezione, come
portata e area della sezione stessa.
E’ opportuno pertanto trovare il modo di estendere il teorema di Bernoulli a una corrente. A tal fine
81
definiamo la potenza dP di un filetto fluido di portata dQ come
dP   dQ H -
Si può verificare facilmente che si tratta di una potenza: infatti, dP =
Peso volume Energia Energia
   .
volume tempo Peso tempo
Integrando per tutta la portata Q, si ottiene la potenza della corrente:
P    dQ H -

Se non vi sono dissipazioni di energia lungo la direzione della corrente, P rimane costante:
P  cost
Scriviamo ora dQ = v d, per trasformare l’integrale sulla portata in integrale sulla sezione 
P    H v d  cost -

 p v2 
P     z    v d  cost -
 
 2 g 
Sarà anche:

 p v3
P     z    v d    d  cost -

   2g

v3
dove   d rappresenta la potenza cinetica della corrente.

2g
Nelle correnti lineari, z + p/ é costante nella sezione, quindi:
 p v3
P    z    vd    d  cost .
   
2g

vm3
Consideriamo il termine relativo alla potenza cinetica; dividendo e moltiplicando per , dove vm =

Q/ segue:
v 3 vm3  1 2 v 3 d  2
 d   vm Q   3  vm Q ;
 2 g  vm 2g  2g
3
 vm

v 3 d
con    vm3  si è indicato il rapporto tra la potenza cinetica effettiva della corrente e la potenza
cinetica di una corrente con la stessa portata e con velocità costante sulla sezione e pari alla
velocità media. È infatti, anche

 v d
3

 
.
vm3 
Il coefficiente  prende il nome di “ di Coriolis”, il quale per primo ne propose la valutazione.

82
Risulta dunque, per una corrente lineare:
 p 1
P   Q  z      v m2 Q  cost -
  2g
Pertanto
p v m2
Q( z   )  cost -
 2g

e quindi

p vm2
z   cost -
 2g

é l’espressione del teorema di Bernoulli applicato alle correnti lineari.


I valori di  nella pratica sono dell’ordine di 1,1, salvo casi particolari che si valuteranno nel
seguito. Spesso, poiché l’errore indotto é modesto, se l’altezza cinetica é piccola si può porre  = 1.
Anche per le correnti lineari la rappresentazione comunemente adottata consiste nel tracciare la
linea dei carichi totali, con un’orizzontale; di rappresentare con z la quota del baricentro della
sezione; z + p/ sarà la quota piezometrica e  v m2 2 g l’altezza cinetica della corrente (figura 5.9).
v /2g
2

v /2g
2

1
2

p /
2

p /
1

z 2

z 1

z=0
Figura 5.9

5.6 Misure di velocità e di portata.

5.6.1 Tubo di Pitot

E’ un semplice strumento inventato nel 1732 da Henry de Pitot, che lo adoperò per misurare la
velocità della corrente della Senna a Parigi. Esso era in origine costituito da un tubicino di vetro
piegato ad angolo retto (figura 5.10). Un’estremità veniva immersa nell’acqua, contro corrente,
mentre l’altra veniva tenuta in posizione verticale. All’interno del tubicino si poteva osservare la
risalita dell’acqua fino a un livello che risultava proporzionale al quadrato della velocità.

83
2

v /2g
A

p /0

p / A

A
o
z A
z 0

Figura 5.10

Si osservi infatti il moto di una particella A, che partendo da una posizione vicinissima alla punta
del tubicino immersa nell’acqua, viene a contatto con il liquido contenuto all’interno del tubicino
nel punto O, all’imbocco del tubicino stesso, detto “punto di ristagno”. Applichiamo il teorema di
Bernoulli tra i punti A e O. Risulta.:
pA v2 A  z pO v 2O
zA 
 
2g O 
 
2g
pO pA
Ora si noti che vO è nulla e che, posto   z O 
 z
( A 
 ) , si trova :
v A  2 g 
La quota del livello liquido all’interno del tubicino è pari al carico totale della traiettoria; ecco
perché si dice pure che lo strumento segnala un carico totale.
Successivamente, lo strumento fu modificato da Prandtl, un fisico tedesco che intorno agli anni
trenta fu a capo di una famosa scuola di meccanica dei fluidi a Gottinga. Il tubicino che misura il
carico totale fu ridotto a dimensioni molto piccole, e fu collocato all’interno di un altro tubicino,
con la punta chiusa e ben rastremata, e sui lati del quale si aprono delle piccole aperture (figura
5.11). L’apertura del tubicino centrale si dice presa dinamica, quelle laterali si dicono prese statiche
o prese piezometriche. Collegando un piezometro a ciascuno dei due tubicini, è possibile
visualizzare sia il carico totale che la quota piezometrica, per misurarne la differenza.
L’apparecchio può essere introdotto all’interno di condotti chiusi per misurare la velocità.
2

v /2g
A

A
v A
o

Figura 5.11

Si noti che per v=1 m/s, risulta v2/2g = 5 cm circa. Se l’errore sul livello dei piezometri è di 1 mm
ciascuno, ne deriva un errore massimo di 2 mm, che, rapportato ai 50 mm della misura, rappresenta
il 4%; per determinare l’errore che si commette sulla velocità, si ricordi che è

v  2 g -

L’errore su v è rappresentato dal suo differenziale dv :


84
1 2g
dv  d -
2 
e l’errore relativo è :

dv 1 2 g d
 -
v 2  2 g
cioè

dv 1 d
 -
v 2 

che, nel caso in questione, risulta pari a 0,02, cioè al 2%.

5.6.2 Tubo di Venturi


È costituito da un convergente (breve) seguito da un tratto a sezione ristretta e da un divergente
piuttosto lungo (figura
5.12).
La lettura al manometro
differenziale  permette di
conoscere la portata.
Infatti la differenza tra le
quote piezometriche dei
punti A e B è
m 
 

 p   p 
   z A  A    z B  B 
     
Figura 5.12
Il teorema di Bernoulli tra le
sezioni A e B dà

pA v A2 pB v B2
zA    zB  
 2g  2g
cioè
 v B2 v A2 
     

 2 g 2 g 

e poiché Q  v A  A  v B  B si avrà

Q 2  1 1 
   2  2 
2g   B  A 

se poniamo m   B  A
85
Q 2  2A   2B Q 2  2A   2B Q 2  1  Q 1  m
2 2
     1 
2g  2A  2B 2 g  2A  2B 2 g  2A  m 2  2g  A m
2 2

m  Q 2 1  m 2
 
 2 g  2A m 2

 A 2g m m 
Q   cost 
 1  m2 

 A 2g m  m  
cost 
 1  m2 

L’errore nella misura di Q è rappresentato dal suo differenziale dQ. Ammettendo che l’errore
commesso nella stima della costante sia trascurabile, risulta in valore assoluto
d
dQ  cos t

e l’errore relativo sarà
dQ 1 d

Q 2 

5.7 L’efflusso dei liquidi.

5.7.1 Luci - Coefficiente di contrazione - Ugelli

In Idraulica si dice “Luce” un’apertura praticata sulla parete o sul fondo di un serbatoio e dalla
quale fuoriesce una corrente liquida, detta “vena effluente”. Una luce è detta “in parete sottile” se
presenta uno “spigolo vivo” come in figura 5.13.

Spigolo vivo

Figura 5.13

La luce si dice “a battente” se tutto il suo contorno è al di sotto della superficie libera del serbatoio,
si dice “a stramazzo” se invece la superficie libera passa attraverso la luce. Tratteremo le luci a
stramazzo nel capitolo dedicato alle correnti a superficie libera. In una luce a battente (figura 5.14)
si distinguono
le seguenti grandezze:
b = battente
 = area della luce
86
h = carico sulla luce

carico sulla luce h


battente b
Area della luce 
Figura 5.14

Si deve precisare che, nel suo percorso dall’interno verso l’esterno, una particella non può trovarsi
su una traiettoria parallela alla parete e quindi improvvisamente distaccarsi da questa con un brusco
cambio di direzione. Se così fosse, al cambio di direzione, sarebbe r = 0, quindi v2/r = .
Poiché dev’essere
  p 1 v2
 z     ,-
n   g r

con r=0 si troverebbe

  p
 z     ,-
n  
quindi ci sarebbe lungo la normale una variazione di quota piezometrica : e poiché la quota ha una
variazione finita, la pressione passerebbe da un valore finito ad un valore infinito, ciò che è
impossibile.
Al contrario, la traiettoria presenterà un graduale cambio di direzione. Se la bocca a battente ha uno
spigolo vivo, le traiettorie più esterne si presentano come in figura 5.15.
I filetti fluidi, in altri termini, convergono
verso la luce e proseguono con traiettorie
convergenti anche all’esterno di questa. Si
dice sezione contratta, di area c, la prima
sezione dopo la luce in cui i filetti si
presentano rettilinei e paralleli. Tuttavia, in
questa sezione non si ha una distribuzione
idrostatica delle pressioni, quindi non si può
ritenere z+p/ = cost. Infatti sul contorno é
sempre p = 0, mentre z varia.
Si definisce “coefficiente di contrazione “ Cc
il rapporto tra la sezione contratta e la
sezione della luce (figura 5.15) :

Figura 5.15 c Figura 5.16


Cc  .

87
Kirchoff diede, per via teorica, la seguente espressione del coefficiente di contrazione:


Cc   0,611 .
 2

Una luce può presentare uno spigolo arrotondato, come in figura 5.16. In questo caso la traiettoria
può seguire il contorno della luce, non vi sarà una sezione contratta e risulta Cc = 1.
Un ugello è un dispositivo di cui sono generalmente dotate le tubazioni da cui effluisce liquido.
Esso consiste in un graduale restringimento della sezione della tubazione, fino alla sezione di
efflusso. Anche gli ugelli presentano una sezione contratta e un coefficiente di contrazione di solito
superiore a 0,6. (figura 5.17). Se l’ugello è accuratamente conformato, il coefficiente di contrazione
può arrivare a 1 (figura 5.18).

0,6 < Cc < 1 Cc = 1

Figura 5.17 Figura 5.18

Un diaframma (figura 5.19) è costituito da un piatto, inserito all’interno della tubazione e nel quale
è praticato un orifizio a spigolo vivo. Anche in questo caso si stabilirà un coefficiente di
contrazione.

Se risulta :


0,25  1

   c
con / = rapporto di strozzamento ,

si troverà :
0,6  CC  1

Figura 5.19

Come per il tubo Venturi, applicando il teorema di Bernoulli, si ottiene

Q 2  1 1 
  2
2 g   c  
2

e poiché è c = Cc = Cc m ,
88
Q 2  1  Cc2 m 2 
  
2 g  Cc2 m 2 
risulta
Q  f ( m, C c )  2 g  .

Applicazioni

5.7.2 Efflusso da luce in parete sottile

a. Luce aperta sul fondo

Sul fondo di un recipiente sia aperta una luce di diametro D (figura 5.20). L’esperienza mostra che
alla distanza  pari a D/2 si forma una sezione contratta. Si ricorda che in genere nella sezione
contratta le traiettorie si possono considerare sensibilmente rettilinee e parallele. Nel caso in esame,
la sezione contratta è orizzontale, cioè la superficie è equipotenziale ed isobara, e poiché la
pressione è nulla sul contorno, dovrà esservi pressione nulla anche in tutti i punti interni. Nella
sezione in corrispondenza della luce, a causa della curvatura delle traiettorie, le pressioni sono
crescenti dal contorno verso il centro, dove raggiungono un massimo pari all’incirca a 0,6 h.
Applichiamo il teorema di Bernoulli tra un punto A all’interno del recipiente e un punto B sulla
sezione contratta; risulta:
pA v A2 p v2
zA    zB  B  B
 2g  2g

p /A

z A


B
z B

z=0

Figura 5.20
Si tenga presente ora che vA è trascurabile e che inoltre è pB=0. Si troverà pertanto

89
vB2 p
 z A  A  zB  h  
2g 
Si potrà notare che alla diminuzione di energia potenziale per unità di peso h+ corrisponde un
incremento di energia cinetica v2B/2g, sempre per unità di peso. Essendo  molto più piccolo di h, si
può porre v B  2 gh . Evangelista Torricelli (1608-1647), allievo di Galileo, trovò per primo
che la velocità d’efflusso è proporzionale alla radice quadrata del carico h, e perciò la formula
v B  2 gh è detta “velocità torricelliana”.
In realtà, poiché l’ipotesi di liquido perfetto non è completamente rispettata, si riscontra nella
sezione contratta una velocità vc leggermente inferiore alla velocità torricelliana:
v c  CV 2 gh

con Cv = coefficiente di velocità = 0,98  0,99 .


Per valutare la portata, detta  la sezione della luce, si può scrivere
Q  CC CV  2 gh     2 gh

dove appunto  è detto “coefficiente d’efflusso”.


Tra il carico nel punto A e quello nel punto B si riscontra una leggera differenza; si parla in questo
caso di “perdita di carico”:

 h  0,98 2 h  h1  0,98 2   h1  1  0,02    h1  1  2  0,02   0,042 h  0,042 c


vc2 v2
h
2

2g 2g
ma, detta v la velocità media nella sezione della luce, risulta v c C c   v  , quindi
vc2 0,04 v 2 v2
0,04  2  0,112
2g Cc 2 g 2g
Pertanto la perdita di carico nell’efflusso da bocca a battente a spigolo vivo é dell’ordine di 0,1
v2/2g.

b. Luce aperta sulla parete


Consideriamo la traiettoria A-B da un punto all’interno del serbatoio a un qualsiasi punto della
sezione contratta (figura 5.21) e scriviamo il Teorema di Bernoulli :
pA v A2 p v2
zA    zB  B  B
 2g  2g

Si deve osservare che sulla sezione contratta non vale la legge di variazione idrostatica delle
pressioni. In realtà le particelle in caduta libera non interagiscono l’una sull’altra proprio perché,
mancando delle pareti che contengono la vena liquida, non si sviluppano spinte sul contorno della
stessa, dove la pressione è quella atmosferica. La pressione rimane nulla in tutta la sezione, ed è
quindi nulla anche nel punto B.

90
A
d=1/100 h
h

z A d B c

z
B

z=0

Figura 5.21

Posto inoltre, come al solito, v A  0 e (zA+ pA/)-zB=h, si ottiene :

v B2
h , da cui v B  2 gh
2g
La velocità d’efflusso varia quindi con la quota del punto B. Tuttavia, se la sezione contratta ha
diametro dell’ordine di 1/100h, la variazione sarà molto piccola, e si potrà considerare la velocità
costante.
In realtà, poiché l’ipotesi di liquido perfetto non è completamente rispettata, si riscontra una
velocità leggermente inferiore alla velocità torricelliana:
v  CV 2 gh

con Cv = coefficiente di velocità = 0,98  0,99

Per la portata sarà:


Q  CC CV  2 gh     2 gh

con  = coefficiente d’efflusso; generalmente si pone  = f (h/d) e risulta


= 0,6 per h/d = 100
 > 0,6 per h/d < 100

c. Luce rigurgitata

La luce si dice rigurgitata quando essa è aperta in un setto posto tra due serbatoi. Nel caso della
figura 5.22, la luce sta su un piano verticale, e la sezione contratta si forma all’interno del serbatoio
avente superficie libera più bassa.; i punti del contorno della sezione contratta sono in equilibrio
con il liquido in quiete all’interno del serbatoio dove la vena sbocca, perciò su tutta la sezione la
distribuzione delle pressioni è idrostatica con quota piezometrica individuata dalla superficie libera.

91
p /
A

A h

p /B

H z A
B

z B

z=0

Figura 5.22

Applicando il teorema di Bernoulli, si ottiene come al solito

pA v A2 p B v B2
zA    zB  
 2g  2g

da cui v B  2 gh , dove h è il dislivello tra le superfici libere dei due serbatoi.


Se la vena sbocca in un recipiente chiuso contenente un gas a pressione p (figura 5.23), in questo
caso nella sezione contratta la pressione è costante e pari a p. Dal teorema di Bernoulli si ottiene :

pA p
vB  2g ( z A   zB  )-
 

p /
A

A
2

v /2g
B

h
p / B

z A B

z B

z=0
Figura 5.23
La velocità d’efflusso varia quindi con la pressione p e con la quota del punto che si considera.

92
Detto hB il carico sul baricentro della luce, con le stesse considerazioni fatte per la vena sboccante
p
in atmosfera, si ottiene Q   2 g (hB  ) .

A parità di hB e di , la massima portata si ottiene quando la pressione assoluta all’interno del


recipiente è nulla, cioè , se il liquido è acqua, p/=-10,33, e vale

Q   2 g (hB  10,33) .

d. Luce a contrazione parziale

Una luce si dice a contrazione parziale se la vena non è libera di contrarsi su tutto il contorno della
luce, ma è in qualche modo avviata verso una parte di esso. Ciò avviene, per esempio, nell’efflusso
al di sotto di una paratoia piana da un serbatoio verso un canale . La paratoia, che altro non è se non
una lama verticale che scorre se guide solidali alla parete del serbatoio, abbia larghezza b e la luce
abbia altezza a (figura 5.24).

p /
A

H
z
A

a p /
z
B

B B
z=0

Figura 5.24

A valle della luce si formerà la sezione contratta, che, in questo caso, apparterrà a un piano verticale
appoggiato sul fondo del canale. Avremo pertanto sulla sezione contratta una distribuzione
idrostatica delle pressioni, con valore nullo in corrispondenza della superficie libera della vena
effluente. Poiché nella sezione contratta la quota piezometrica è costante, sarà cosante nche la
velocità.
Applicando al solito il teorema di Bernoulli tra un punto A e un qualsiasi punto B della sezione
contratta, si ottiene

pA v A2 p v2
zA    zB  B  B ;
 2g  2g
pA
considerando vA=0, e posto z A  H ,

si trova

pB
vB  2g (H  z B  )

per quanto detto, vB è costante sulla sezione contratta. Si può d’altra parte porre
93
pB
Cc a  z B  ,

e quindi ricavare

v B  2 g ( H  Cc a ) .

Il coefficiente di contrazione e uguale a 0,61 per H>>a e b>>a, ma può assumere valori maggiori
negli altri casi. La portata è data da

Q  C c C v ab 2 g ( H  C c a )

5.7.3 Bocca addizionale esterna.


Aggiungendo un tubo esterno di lunghezza 22,5d a una bocca a spigolo vivo di diametro d (figura
5.25), si riesce a incrementare la portata da
Q  0,6  2 gh -
a
Q  0,8  2 gh -
2-2,5 d

Bocca
addizionale
esterna

Figura 5.25

Infatti, nella sezione contratta, dove aumenta l’energia cinetica, si forma una depressione pari a ¾ h.
Ciò fu mostrato sperimentalmente dall’idraulico italiano Giambattista Venturi , nato nel 1746 e
morto nel 1822, applicando un piezometro al tubo, come in figura 5.26, dalla quale è possibile
rilevare anche l’andamento della piezometrica .

94
A
h

C B

3/4 h

Figura 5.26

È importante notare che non può mai risultare ¾ h > 10,33, altrimenti si avrebbero pressioni
assolute negative.
Applicando il teorema di Bernoulli da un punto A nel serbatoio ad un punto C nella sezione
contratta, risulta:
pA pC vC2
zA   zC   -
  2g

pA
zA   zC  h -

pC 3
  h-
 4

vC2 3
 h  h;
2g 4
da cui

 3
vC  2 gh 1    1,32 2 gh -
 4
Si è quindi ottenuto:
Q  0,61 v C  0,8  2 gh -
mentre si ricorda che nell’efflusso da bocca a spigolo vivo risultava:
Q  0,6  2 gh -

Si osservi che per h > 13,75 m, risulta vC  2 g h  10,33 ., che è il massimo valore possibile della
velocità nell’efflusso con bocca addizionale esterna.
Come per la bocca a spigolo vivo, anche in questo caso si può valutare una perdita di carico.
Nella sezione terminale, la velocità risulta infatti :

95
Q
vB   0,8 2 gh -

e il carico sarà:
v B2
 0,64 h -
2g

v B2
La perdita di carico è dunque pari a 0,36 h, ovvero a 0,56 .
2g

5.7.4 Bocca addizionale interna.


Nel caso di una bocca addizionale interna realizzata con tubo verticale (figura 5.27), si scrive il
Teorema di Bernoulli tra i punti A e C (sezione contratta) :
pA vC2 pC
zA   zC   -
  2g

A
h

C =D/2
2.5 D

D
Figura 5.27

trascurando  ed essendo pC = 0, risulta


vC  2 g h -
La velocità è costante nella sezione.
La portata è
Q  C C CV  2 g h ,-

con il coefficiente di contrazione CC = 0,5.

Nel caso di bocca addizionale interna con tubo orizzontale (figura 5.28), si otterrà ancora :

96
h

Figura 5.28

vC  2 g h -
In questo caso, come per lo sbocco in atmosfera, si deve ritenere che la velocità vari da punto a
punto della sezione d'efflusso.

97
6.
Il moto in condotta dei liquidi perfetti

Abbiamo inteso per liquido perfetto un liquido in cui non ci sono azioni tangenziali tra le particelle;
il carico è quindi costante lungo le traiettorie.
Possiamo ora trarre conclusioni per il moto dei fluidi perfetti in una condotta.

6.1. Condotta a diametro costante collegante due serbatoi

I due serbatoi A e B siano tali da presentare livello della superficie libera costante nel tempo;
l’imbocco della tubazione sia ben raccordato (figura6.1).

Carichi totali 2

v /2g
p /
1
A Piezometrica 2

1
B

H p /
2

z h
1

2
z 2

z=0

Figura 6.1

Per il teorema di Bernoulli, per i punti 1 e 2 sarà:


p1 v12 p 2 v 22
H  z1    z2  
 2g  2g
Nel punto 1, tenuto conto delle basse velocità che si riscontra in corrispondenza dello stesso, il li-
quido si considera in quiete; quindi
v1  0; z1  p1   H

Nella sezione di sbocco i filetti sono rettilinei e paralleli quindi la distribuzione delle pressioni è
idrostatica. D’altra parte la pressione che agisce sul bordo della corrente all’uscita è in equilibrio
con quella agente sul liquido in quiete nel serbatoio, pertanto la distribuzione idrostatica della
pressione nella corrente è uguale a quella del serbatoio e la quota piezometrica della sezione di
sbocco coincide con il livello del pelo libero.
Quindi posto
 p   p 
 z1  1    z 2  2   H  h
     
risulta

98
v 2  2 g H  h 
e per la portata si ha
Q  v2 
Se nella sezione finale è z  p   cost , v2 risulta costante nella sezione; infatti è possibile ottenere
lo stesso risultato per qualsiasi punto della sezione stessa; sarà quindi v2= vm ed il coefficiente di
Coriolis risulta pari a 1.
v 3 d
  1
 v 3
m 

Ora, facendo riferimento alla procedura seguita, ci si rende conto che il carico totale H è stato otte-
nuto considerando z1 e p1/ pertanto la linea dei carichi totali si traccia da monte ed è l’orizzontale
passante per la superficie libera del serbatoio di monte. Nella sezione di sbocco la quota
piezometrica è rappresentata dalla superficie libera del liquido presente nel serbatoio. La distanza da
esso dalla linea dei carichi totali è l’altezza cinetica.
Poiché la condotta è a diametro costante, ed è costante lungo di essa la portata, anche l’altezza ci-
netica è costante; pertanto la linea piezometrica si può tracciare da valle, ed essa è l’orizzontale pas-
sante per la quota z2 + p2/

6.2. Condotta a diametro variabile collegante due serbatoi

Anche in questo caso i livelli dei serbatoi A e B siano fissi nel tempo e l’imbocco sia ben raccor-
dato.
Carichi totali
2

v /2g
A 1

v /2g
2

1 Piezometrica 2

H B
D D
1
2 h
2

z=0
Figura 6.2

Applicando il teorema di Bernoulli tra i punti 1 e 2 risulta ancora:


v 2  2 g H  h 
e la portata
Q  v2 

(la linea dei carichi totali si traccia da monte; la piezometrica da valle).

Poiché la portata è costante lungo la tubazione risulta

99
4Q 4Q
v1  ; v2 
 D12
 d 22

e quindi il rapporto tra le altezze cinetiche risulta uguale a


2 2 4
 v2 2g  v  D4  D 
    2   14   1 
 2 g v1   v1  d2  d2 
cioè le altezze cinetiche stanno tra loro come l’inverso del rapporto dei relativi diametri alla quarta
potenza.
Se per esempio è
D1= 1,00 m =0,785 m2 v1= 1 m/s v12/2g= 0,05 m
D2= 0,50 m =0,196 m2 v2= 4 m/s v22/2g= 0,81 m
allora
(D1/D2)4 = (v2/v1)2 = 16

Approfondimenti
Si voglia ora studiare l’andamento della piezometrica nel convergente. A tal fine si ricorda che, nel
moto permanente
  p v v
 z     -
s   g s

e, nel caso in esame, v>0; poiché nel convergente v s  0 la derivata di z  p  è negativa,


quindi la piezometrica diminuisce nel senso del moto; anche la derivata seconda è negativa, infatti
risulta
2  p 1  v v  2v 
 z      v 2  -
s 2   g  s s s 
con
2
 v 
   0-
 s 
2
Relativamente a  2 v s se si pone
Q 4Q
v  -
 D 2
essendo, sempre nel convergente, D variabile con s linearmente , risulta
D  as  b -
con a e b costanti opportune; pertanto
 2 v 4Q  2  1  4Q   1  8aQ 3a
  2  2a  3   0-
s 2
 s  D  
2
s  D   D4
Quindi in definitiva

100
2  p
 z    0 -
s 2  
e la concavità è verso il basso.

6.3. Condotta a diametro variabile  condotta in depressione


Si considerino i due serbatoi rappresentati in figura 6.3, e collegati da una condotta a diametro
variabile.
Carichi totali
A
v /2g

v /2g
2
2

Piezometrica
d B
H d
1

d2 h

z=0

Figura 6.3

L’imbocco è ben raccordato e il divergente ha diametro gradualmente variabile da d1 a d2. Come al


solito, la linea dei carichi totali si traccia dal serbatoio A; la piezometrica si traccia da valle con la
convenzione che il punto rappresentativo della quota piezometrica in una sezione è riportato sulla
verticale passante per il baricentro della sezione stessa.
La velocità nel tratto a diametro d2 è
v 2  2 g H  h 
La portata è
Q  v2  2
A partire dall’equazione di continuità Q=v22=v11 si può ricavare v1.
Dal piano dei carichi totali, si portano in basso i segmenti v 12 2 g e v 22 2 g

In particolare
4
v 22  d 1  v12
 
2 g  d 2  2g
v12 v2
(se d 2  1,5 d 1 ,  5,06 2 )
2g 2g
Il tratto in cui la piezometrica è al di sotto dell’asse della condotta è in depressione; in nessun punto
p
però dovrà risultare  10,33 m

101
6.4. Sbocco in atmosfera
Consideriamo il serbatoio in figura 6.4, con tubazione che sbocca in atmosfera a quota zs; anche in
questo caso
v  2 g H  z s 

Si traccia la linea dei carichi totali da


monte e la piezometrica da valle. La
soluzione è corretta se in tutti i punti
p
risulta  10,33 m .

Se invece da un certo punto a monte
dello sbocco si trova p   10,33 m
bisogna procedere diversamente. Sia z1 Figura 6.4
la quota del punto
in cui la piezome-
trica si trova a
10,33 m al di sotto
dell’asse; z1-10,33
m è la quota
piezometrica in
quel punto (figura
6.5).
La piezometrica si
mantiene parallela
Figura 6.5 alla condotta.
All’imbocco sarà
v i  2 g h  10,33
La portata è quindi
Q  vi 

allo sbocco la velocità è


v s  vi
e il carico totale è
H s  z s  h  10,33
p
Dallo sbocco si può tracciare la linea dei carichi totali fino alla sezione in cui  10,33 m .

Dall’imbocco, essendo il fluido perfetto, vale la linea dei carichi iniziali fino a detta sezione. Nel
tratto in depressione le altezze cinetiche vanno progressivamente aumentando e quindi, poiché la
portata è costante, ne deriva che l’area della corrente va progressivamente diminuendo cioè che la
corrente si stacca dalla generatrice superiore del tubo. In questo caso il moto si dice canaletta.
Nella sezione a quota z1 si ha una perdita di carico H = H  Hs pari a
H  z i  h   z s  h  10,33  z i  z s  10,33

102
In realtà, nel passaggio dal moto a canaletta al moto a sezione piena, nella sezione di quota z1 ven-
gono a mancare le condizioni per l’applicazione del teorema di Bernoulli alla corrente: infatti i
filetti liquidi non sono affatto rettilinei e paralleli, ma subiscono una brusca deviazione.
In questo caso non ha più senso ritenere che l’energia si conservi; anche se il liquido è perfetto,
nella sezione 1 esiste una perdita di carico dovuta alla brusca deviazione dei filetti liquidi.
Nel caso mostrato, esiste una massima portata scaricabile:
Qmax   2 g h  10,33
In altri termini, dato il carico sull’imbocco, non si può aumentare a piacere la portata abbassando
semplicemente la quota dello sbocco.

6.5. Sbocco con ugello


Si consideri il serbatoio in figura6.6. Da esso si avvia una condotta di diametro D con sbocco in at-
mosfera; al termine della
condotta è posto un ugello. Sia
 la sezione dell’ugello, CC il
coefficiente di contrazione e zC
la quota della sezione contratta.
Applicando il teorema di
Bernoulli dal serbatoio A alla
sezione contratta si ottiene:
vC  2 g z A  z C 

Q  vC C C 

La velocità in condotta è:

Figura 6.6 Q
vB 

Ad esempio se d = 0.5D

  0,5 D 2
  0,25
  D2
e con CC = 0,8, risulta
v B  C C 0,25 v C  0,2 v C

v B2 v2 v2
 0,2 2 C  0,04 C
2g 2g 2g

Approfondimenti

Si noti che con una riduzione di diametro nel rapporto di 0,5 si ha una riduzione di altezza cinetica
nel rapporto 0,04 e una riduzione di velocità nel rapporto 0,2.
Nel caso senza ugello la massima portata è
103
Q   2 g h  10,33
nel caso con ugello la portata è
Qu   C C 2 g  z A  z C   0,25  C C 2 g  z A  z C   0,2  2 g  z A  z C 

possiamo avere Qu > Q se è


0,2 2 g  z A  z C   2 g h  10,33
0,2 z A  z C  h  10,33
z A  z C  5 h  10,33

sempre nel caso di d = 0,5 D

In generale è Qu>Q se
 CC 2 g  z A  zC    2 g h  10,33

e con

m

1
2 g z A  zC   2 g h  10,33
mCC
ovvero
1
z A  zC  h  10,33
m CC2
2

6.6. Sifoni
Si chiama “sifone” una tubazione che collega due serbatoi passando al di sopra del piano dei carichi
iniziali di quello posto a quota maggiore. Se osserviamo la condotta rappresentata in figura 6.7 si
ha:

  p 
v B  2 g  z A   z B  B   2 gH
   

Q  vB 
La piezometrica, come sempre, è parallela alla linea dei carichi totali, e dista da essa v2/2g.
Tracciata la piezometrica, si nota che ci sono punti della condotta a quota superiore alla linea dei ca-
richi totali. Per fare arrivare l’acqua in tali punti, è necessario creare una depressione nella condotta,
che in questo caso si chiama sifone.
Possiamo creare all’interno del tubo pressioni inferiori alla pressione atmosferica molto facilmente:
basta riempire d’acqua un tubo curvo, tenerne chiuse le due estremità e immergerle poi ciascuna in
un serbatoio.
Operando in altro modo, è possibile creare una depressione all’interno del sifone attraverso
un’apposita pompa che aspira l’aria, creandovi il vuoto e facendovi risalire l’acqua.

104
Sarà bene notare che “aspira” è un modo di dire: in realtà la pompa espelle aria dall’interno del
tubo; l’aria rimasta diminuisce di densità, a parità di volume; si genera perciò una pressione infe-
riore a quella atmosferica, poiché per la legge dei gas è p/ = cost e per effetto della pressione
atmosferica agente sulla superficie libera dei serbatoi Ae B il liquido sale nel sifone. E’ evidente
che l’altezza massima sul pelo libero a cui il liquido può giungere per effetto della diminuzione di
pressione nel sifone è quella che si ottiene per una pressione nulla all’interno del sifone cioè 10.33
m.
Quando apriamo l’estremità posta nel serbatoio con livello più basso, si produce il moto. Perché?
È facile notare che l’acqua contenuta nella parte di tubo che si trova al di sopra della superficie
libera si trova a pressione inferiore a quella atmosferica: essa infatti non è a contatto con
l’atmosfera, e la pressione assoluta è in tutti i punti inferiore alla pressione atmosferica.
Quando apriamo l’estremità in B del tubo, nella massa d’acqua continua contenuta nel recipiente A,
nel tubo e nel recipiente B non possono esistere due livelli a quota differente; il liquido tenderà a
passare dal recipiente A, dove ha maggiore energia, al recipiente B, come del resto suggerisce il
teorema di Bernoulli.

A Carichi totali

p /
C
v /2g

v /2g
H
2

2
C

B
z C

Piezometrica
p /
B

B
z B

z=0

Figura 6.7

Tuttavia la portata scaricata dal sifone, una volta innescato il moto, dipende dal dislivello fra i peli
liberi nei due serbatoi. Ma, in ogni caso, vi è un limite alla portata scaricata, perché in nessun punto
la piezometrica potrà trovarsi a 10,33 m dalla quota geometrica della particella.

Nel caso rappresentato in figura 6.8, e cioè se la piezometrica tracciata da valle arriva a -10,33 m
dalla tubazione, da tale punto a monte la piezometrica simanterrà parallela ala tubazione stessa;
essa quindi passerà dal punto M’ a distanza di -10,33 m dal punto M più alto del sifone; da qui a
monte sarà rettilinea ed orizzontale (liquido perfetto); questa posizione determina la velocità, perché
il segmento v2/2g è la distanza dalla linea dei carichi totali, orizzontale per il livello di A; dal livello
di B si traccia la linea piezometrica verso monte seguendo l’orizzontale finché la distanza dalla
generatrice superiore del tubo non tocca i -10,33 m (figura6.8).

105
M
H

10,33
A
Carichi totali H

10,33
v /2g
2

v /2g
2
A Piezometrica M'

Figura 6.8

Da qui fino al punto M’ essa rimane parallela alla generatrice superiore del tubo.
Nel tratto in depressione il moto è anche in questo caso a canaletta. La velocità fino al punto M
risulta:
v  2 g  z A  z M  10,33

e la portata sarà vM


La perdita di carico risulta:
 v2 
H  z A   z B    z A  z B  z A  z M  10,33  z M  z B  10,33
 2 g 

Inoltre, essendo
v2
z A  H  z B  ,
2g
sarà

v2
H  z A  z B  ;
2g
pertanto

v2
zA  zB   z M  z B  10,33 ;
2g

v2
zA   z M  10,33
2g
Si deve notare però che nel tratto in depressione la corrente è accelerata, e che nella zona di ritorno
a corrente in pressione si abbandona evidentemente l’ipotesi di corrente lineare (filetti rettilinei e
paralleli, quota piezometrica unica) per la quale è valido il teorema di Bernoulli per le correnti.

106
Si consideri infine che, nei casi esaminati, è spesso utile tracciare la linea dei carichi totali assoluta
e la piezometrica assoluta: esse non sono altro che le linee più alte di 10,33 m rispetto alla
corrispondente linea dei carichi totali e linea piezometrica relative, e fanno quindi riferimento alle
pressioni assolute (figura6.9).

Carichi totali assoluti

p /
a tm

Carichi totali

A B

Figura 6.9

Nel caso a, il punto più alto M del sifone rimane al di sopra della linea dei carichi totali assoluta:
non vi può essere nessuna particella liquida nel punto M, quindi non si verifica il moto.

Nel caso b il punto M si trova al di sotto della linea dei carichi totali assoluta e si può verificare il
moto.
Si traccia la piezometrica assoluta partendo da 10,33 m dal livello B, proseguendo in orizzontale
fino alla superficie superiore del tubo, poi seguendo questa fino al punto M e da qui a monte oriz-
zontalmente.

Carichi totali assoluti

Piezometrica
assoluta M
p /
a tm
10,33

10,33

Carichi totali
v /2g
2

v /2g
2

Piezometrica M'

A B

Figura 6.9b

107
La distanza dalla linea dei carichi totali assoluta determina la velocità, poiché rimane vero che è
pa v2
z   cost
 2g
anche quando le pressioni sono considerate pressioni assolute.

108
7.
Equazione globale dell’idrodinamica

7.1 L’equazione globale in moto permanente

Consideriamo una massa fluida in moto, che in un certo istante t1 occupi il volume 1 ds1 (figura
7.1).
Sia v1 la velocità
all’istante t1;
immaginiamo ora che,
all’istante t2 = t1+dt, la
massa considerata vada
ad occupare il volume
2ds2 e possegga la
velocità v2.
Ricordando che nella
Meccanica la quantità
di moto di un corpo è
un vettore dato dal
prodotto della massa
del corpo per la sua
velocità, poichè 1
Figura 7.1 ds1 è la massa fluida
interessata, potremo
dire che la quantità di
moto iniziale è
1 ds1 v1 .
La quantità di moto finale è, allo stesso modo
2 ds2 v2.
Le forze che agiscono sono le forze di massa, G, e quelle di superficie . La risultante è G + .
L’impulso della forza risultante nell’intervallo dt è
(G+) dt .
Per il teorema dell’impulso, l’impulso di una forza che durante un intervallo dt agisce su un corpo è
uguale alla variazione della quantita di moto del corpo stesso ; pertanto :
(G+) dt = 2 ds2 v2 - 1 ds1 v1 ;
dividendo per dt :
G+ = 2 v2 v2 - 1 v1 v1;

ricordando la definizione di portata si ottiene :

G+ = Qv2 - Qv1;

109
L’uguaglianza dei vettori G+ e Q(v2 - v1) è mostrata dalla figura 7.1. Poniamo :
Qv1 = M1

Qv2 = M2.
Pertanto risulta
G+ + M1- M2 = 0
detta equazione globale dell’idrodinamica.

Si noti che M1 e M2 , che in idraulica chiamiamo “quantità di moto”, hanno le dimensioni di una
forza ; esse sono in effetti una quantità di moto nell’unità di tempo :
ds
M =  v.
dt
 è la risultante delle forze di superficie, quindi tiene conto sia di quelle che agiscono sulla
superficie solida , sia di quelle che agiscono sulle superfici liquide 1 e 2 da cui il fluido
rispettivamente entra ed esce.

Come esempio, consideriamo ora un tratto di tubazione curva in un piano orizzontale (figura 7.2), in
cui defluisca, in moto permanente, un liquido incomprimibile, e proponiamoci di determinare la
spinta che il liquido esercita sulla parete della curva stessa. Applichiamo l’equazione globale al
volume contenuto nella curva. Risulta :

G+ + M1- M2 = 0 ;
la spinta  che la superficie di contorno
esercita sul fluido all’interno della curva si
può scomporre come segue :
 = 1 + 2 +L

dove 1 è la spinta applicata dalla superficie


1 , 2 quella applicata dalla superficie 2, L
Figura 7.2 quella applicata dalla superficie laterale.

L’equazione globale si scrive quindi come :

G + 1 + 2 + L + M1- M2 = 0 .

La spinta S che si vuole determinare è uguale e contraria a quella esercitata dalla parete della curva ,
quindi

S = - L = G + 1 + 2 + M1- M2.

Consideriamo le forze che agiscono sul piano orizzontale; l’equazione precedente diventa :

S o= 1 + 2 + M1- M2.

110
I moduli dei vettori che compaiono
nella precedente equazione risultano
:

Qv1 = M1 ; Qv2 = M2 ;1 = p 1 ;


2 = p 2

Effettuando la composizione dei


vettori come in figura 7.3, si vede
che la componente orizzontale della
spinta esercitata dal fluido sulla
superficie del tubo, So, è diretta verso
l’esterno della curva.
Per tale motivo, nelle condotte in
pressione, si dispongono dei blocchi
d’ancoraggio all’esterno delle curve.
Figura 7.3

Approfondimenti
7.2 L’equazione globale nel moto vario
Per una dimostrazione più completa, consideriamo un volume  isolato nella spazio, racchiuso da
una superficie , attraverso la quale passa una massa fluida. Tale volume viene detto “volume di
controllo” (figura 7.4).


Figura 7.4

Ricordiamo l’equazione indefinita d’equilibrio


  x  y  z -
 (F - A)     
 x y z 
Si tratta di un’equazione differenziale che esprime un legame tra proprietà locali della massa fluida
in un certo istante t : forza di massa per unità di massa, accelerazione e sforzi; queste grandezze

111
sono funzioni delle coordinate del punto della massa fluida che si considera, oltre che del tempo ,
cioè :
F = F (x,y,z,t)

A = A (x,y,z,t)

 =  (x,y,z,t).
Integrando l’equazione indefinita sul volume  si ottiene :
  x  y  z 
  (F - A) d    x

y

z
 d .

Ricordiamo che è :
v v v v
A= u v w
x y z t
E notiamo che risulta
 (u v)  u v
 v u -
x x x
quindi
v  u v   u
u  v-
x x x
e allo stesso modo :
v  v v   v
v  v-
y y y

v  w v   w
w  v .
z z z
Perciò si trova, considerando il fluido incomprimibile, :
  u v   v v   w v    u v w  v
  F d -   
   x

 y

 z
 d  

 v  x  y   z  d - 
 t
d =

  x  y  z 
=   x
 i 
y
j k  d
z 

Ricordiamo l’equazione di continuità in forma locale


u v w
  0 ;
x y z
ricordiamo inoltre che, per il lemma di Green, se fx, fy, fz, sono le componenti di una funzione f,
risulta

112
 f x f y f z 
  x    d     f x cos nx  f y cos ny  f z cos nz  d ;
y z 
 

applicando quest’ultima formula

 u v v v w v 
     d     v u cos nx  v v cos ny  v w cos nz  d    v v n d ;
x y z   

inoltre
  x  y  z 
     d     x cos nx   y cos ny   z cos nz  d -
x y z 
  

e per il teorema di Cauchy


 n   x cos nx   y cos ny   z cos nz -
infine

  F d  G -

-M 2

n

v

 


 

n
v
M 1

Figura 7.5

Quindi l’equazione indefinita, integrata sul volume  diventa :


v
G    n d     v v n d    d  0 -
  
t

ovvero -

G    M  I  0 .--
Se dividiamo la superficie  in 0, 1, 2 (figura 7.5), dove 1 è la superficie in cui il fluido entra,
2 quella da cui il fluido esce, 0 quella da cui non entra e non esce fluido, potremo porre

113
  v v n d  M 1 -
1

  v v n d   M 2 -
2

Questo secondo vettore risulta negativo perché la normale è per convenzione entrante nella
superficie; la vn risulta quindi negativa. Pertanto
G    M1  M 2  I  0 -
Si noti che  M 2 è sempre rivolto “contro” la superficie 2, dall’esterno verso l’interno.
Infine
v 
I    d     v d -

t t 
I è la risultante delle inerzie locali, e rappresenta la variazione nell’unità di tempo della quantità di
moto della massa fluida contenuta in .
Per le correnti lineari, essendo la direzione di v coincidente con quella di vn,
v2
M  n  v 2 d  n vm2   d ;
 v
 m
2

si pone
v2
  d -
 vm 
2

(coefficiente di ragguaglio della quantità di moto); per cui risulta


M    Q vm n -
Si può dimostrare che esiste una relazione tra il coefficiente di Coriolis  e il coefficiente ,
  1  3   1 -

7.3.1 Efflusso da un ugello

Come ulteriore esempio, consideriamo un ugello con CC=1 (figura 7.6) e determiniamo la
componente orizzontale della spinta che la corrente esercita sullo stesso.

Applicando il teorema di Bernoulli tra


le sezioni 1 e 2 risulta
p1 v12 p v2
z1    z2  2  2
 2g  2g
avendo posto 1 = 2 = 1.
Considerando z1 = z2 ed essendo
p2 = 0, si trova Figura 7.6
p1 v12 v 22
 
 2g 2g
114

p1 
2
v 2
2  v12 

Per l’equazione globale


G    M1  M 2  0 ;

scomponendo la  in

 = L + 1 + 2,

dove L è la spinta applicata dalla superficie laterale dell’ugello, 1 e 2 sono le spinte esercitate
rispettivamente dalle superfici 1 e 2, si trova :

G   L  1   2  M1  M 2  0 ;
Proiettanto sull’orizzontale
 Lo   1   2  M 1  M 2  0 ;
 Lo è per definizione la spinta della parete sul fluido; noi stiamo cercando la componente
orizzontale della spinta del fluido sulla parete, So , data da
S o   Lo   1   2  M 1  M 2 .

Ora, risulta

 1  p1 A1

2  0

M 1   A1 v12

M 2   A2 v 22

quindi

S0   Lo  p1 A1   A1 v12   A2 v22


S0  p1 A1   A1 v12  A2 v22 
ma

v1 A1  v 2 A2

quindi

v12 A22
 ;
v 22 A12

poniamo

115
A22
2
 m2 ;
A1
moltiplicando e dividendo il secondo termine per A1 otteniamo
 v12 A2 2 

S 0  p1 A1   A1 A1  v2 ;
 A1 A1 
 


S 0  p1 A1   A1 v12  m v 22  


2
 
A1 v 22  v12   A1 v12  m v 22   


2
  
A1 v 22  m 2 v 22   A1 m 2 v 22  m v 22  

 A1 v 22 1  m 2    A1 m v 22 m  1 
2
  A1 v 22  1  m 2   m 2  m  
1 
2 

 1 m2 
  A1 v 22    m 2  m  
2 2 
1 m 2

  A1 v 22    m  
2 2 

1  m2  2 m 
  A1 v 22   
 2 

  A1 v 2 1  m 2
2
2

Essendo manifestamente

 A1 v22
1  m 2 0
2
S0 risulta positiva, cioè diretta come v1 e v 2 .

7.3.2 Reazione d’efflusso

Consideriamo un efflusso da un piccolo serbatoio con condotta cilindrica e imbocco ben raccordato,
come in figura 7.7.

116
h

Figura 7.7

Immaginando di poter individuare due superfici orizzontali AB e EF su cui si possano trascurare le


componenti orizzontali della velocità, applichiamo l’equazione globale al volume ABCDEF,
ottenendo :

G +  + M1 – M2 = 0,
ovvero

G + AF + AB + BC + CD + ED + EF + M1 – M2 = 0 .

Poiché lo sbocco avviene in atmosfera, risulta CD=0. D’altra parte sarà M2=Qv2 .
Proiettando l’equazione precedente sulla direzione orizzontale, e posto

o = AFo + BCo + Edo

si ottiene
 o – M2 = 0 .

La componente orizzontale della spinta sull’intera parete solida, formata dal tratto verticale AF e
dalle pareti della condotta BC e ED, è dunque data da :
S = - o ,
per cui

S = - M2 .
Si manifesta dunque la cosiddetta reazione d’efflusso, essendo la spinta S diretta in verso opposto
alla velocità di efflusso.
Se il serbatoio fosse montato su ruote, come in figura 7.8, esso si muoverebbe in direzione opposta
a quella della vena effluente.
Su questo stesso principio sono basati tra l’altro gli aerei a reazione.

117
Figura 7.8

7.4 Perdite localizzate


Quando nelle tubazioni si verificano dei cambiamenti di sezione o di direzione la corrente non può
essere considerata come gradualmente variata e si verificano delle perdite di carico localizzate.
Nella figura 7.9 sono schematizzate le regioni sede dei moti vorticosi nel caso di un brusco allarga-
mento, di un brusco restringimento, di una curva e di una saracinesca.

b) Brusco restringimento

c) curva d) saracinesca

Figura 7.9
Bisogna considerare che in presenza di uno spigolo o di una curvatura accentuata si ha il distacco
della corrente dalla parete con la formazione di zone che sono sede di una intensa agitazione
vorticosa. Questa agitazione vorticosa, che si esplica sia con azioni normali che con azioni
tangenziali, è mantenuta a spesa dell’energia meccanica della corrente. Il liquido non si può quindi
neanche considerare perfetto, e tuttavia l’applicazione dell’equazione globale rende possibile la
valutazione delle perdite di carico che si verificano, tenendo conto del fatto che le azioni normali,
nei casi considerati, sono prevalenti rispetto a quelle tangenziali. La valutazione delle azioni

118
tangenziali è complessa, ma si può tener conto anche di queste nel caso delle perdite localizzate,
come si mostrerà, tornando sull’argomento, nel capitolo 8.

7.4.1 Brusco allargamento


Questa perdita, detta anche perdita di Borda dal nome dello studioso che per primo si occupò di
essa, è da un punto di vista concettuale particolarmente importante dal momento che essa è presente
in tutte le altre perdite di carico localizzate.
Consideriamo (figura 7.10) il caso di una
H Carichi totali tubazione ad asse orizzontale che passi
2
2 v /2g bruscamente dal diametro D1 al diametro D2. La
Piezometrica corrente che esce dalla tubazione con diametro
p /
1
2 p /  inferiore subisce una progressiva espansione con le
D D
caratteristiche precedentemente evidenziate che la
porta, dopo un breve tratto, a rioccupare l’intera
1 2

sezione della tubazione con diametro D2. Per


1 2 calcolare la perdita di carico localizzata
Figura 7.10 applichiamo il teorema di Bernoulli fra l’ultima
sezione del tratto a diametro D1 (sezione 1) e la
prima sezione del tratto a diametro D2 (sezione 2) in cui la corrente si può ritenere gradualmente
variata. Risulta
p1 V12 p2 V22
z1   1  H  z 2   2
 2g  2g
Considerando come asse di riferimento l’orizzontale passante per il baricentro di una generica
sezione e considerando pari a 1 il coefficiente di Coriolis si ottiene

H 
1

( p1  p 2 ) 
1
2g

V12  V 22 
Per giungere ad una espressione più pratica per le applicazioni è opportuno individuare il legame fra
la variazione di pressione e le velocità. A tal fine è possibile impiegare l’equazione globale
dell’equilibrio idrodinamico in condizioni di moto permanente applicata al volume fluido compreso
fra le sezioni fra le quali è stato applicato il teorema di Bernoulli.
Essa fornisce
G Π  M1  M 2  0
e scomponendo  nelle varie aliquote
G  Π1   cc   2   0  M 1  M 2  0
dove con 1 si è indicata l’azione che
la superficie 1, appartenente alla
tubazione con diametro D1, esercita
sul volume fluido, con cc quella
esercitata dalla corona circolare, con
Figura 7.11 2 quella esercitata dalla sezione 2
ed, infine, con0 quella esercitata

119
dalla superficie di contorno. Questa 0 , poichè si è visto che non si può considerare il liquido
perfetto, avrà anche una componente tangenziale. Proiettando l’ultima equazione sull’orizzontale,
possiamo trascurare la componente orizzontale di 0 , ottenendo:
1   cc  M 1   2  M 2  0 -
con i vettori orientati come in figura 7.11.
Le quantità di moto M1 ed -M2 sono applicate nei baricentri delle relative sezioni; le spinte 1, cc e
2 sono applicate, a rigore, nei centri di spinta, ma, nei casi pratici, a causa delle piccole distanze
fra essi e i corrispondenti baricentri non si commette sensibile errore considerandole applicate in
questi ultimi.
I moduli valgono :
1=p1A1, 2=p2A2,cc=p1(A1-A2), 1=QV1 e 2=QV2.
Nel calcolare il modulo di cc si è ipotizzato che la distribuzione delle pressioni sulla corona
circolare sia idrostatica e con valori uguali a quelli che competono alla sezione 1. Relativamente
alle quantità di moto sono stati posti pari a 1 i corrispondenti coefficienti di ragguaglio.
Effettuando le sostituzioni si ottiene l’equazione scalare :
p1 A1  p1 ( A2  A1 )  QV1  p2 A2  QV2 -
da cui considerando Q=A2V2 , dopo aver semplificato risulta
p2  p1  V2 V1  V2  -
Questa espressione fornisce il legame cercato fra la variazione di pressione e le velocità; inoltre essa
permette di evidenziare che la pressione p2 è maggiore di p1 dal momento che V1>V2. Pertanto, in
corrispondenza di un brusco allargamento si ha un abbassamento della linea dei carichi totali e un
aumento della quota piezometrica, come mostrato in figura 7.8. Dal momento che la corrente non è
gradualmente variata il tracciamento di linea dei carichi totali e piezometrica non ha un preciso
significato fisico, ma ha essenzialmente il valore di raccordo delle corrispondenti linee relative ai
tratti con moto uniforme.
Sostituendo nell’espressione ottenuta dal teorema di Bernoulli il valore delle differenze di pressioni
ottenuto dall’applicazione dell’equazione globale, risulta in definitiva

H 
V1  V2 2 -
2g
che permette di dire che la perdita di carico per brusco allargamento è pari all’altezza cinetica della
velocità perduta, che è la conclusione a cui pervenne Borda.
Jean Charles Borda, 1733- 1799 , ingegnere militare francese, autore di molti lavori di carattere
fisico e geografico, e tra gli altri un importante studio “Sull’efflusso dei fluidi da vasche attraverso
orifizi”.

7.4.2 Perdita d’imbocco


Si é visto che, nel caso di efflusso con bocca addizionale esterna, si viene a creare una perdita di ca-
v2
rico pari a 0,5 ; lo stesso fenomeno avviene all’imbocco di una tubazione che parte da un serba-
2g
toio, quando l’imbocco stesso non é ben raccordato.

120
2

0,5 v /2g
2

p / A 2
h
1

1 v /2g
2

B
p /
z
2

2
z
z=0
2

-
Figura 7.12

Nella condotta collegante due serbatoi, la linea dei carichi totali si dovrà condurre da monte, a di-
stanza 0,5 v2/2g rispetto all’orizzontale passante per la superficie libera del serbatoio A.
Si potrà ancora scrivere, per estensione, il teorema di Bernoulli tra i punti 1 e 2, ma si dovrà tener
v2
conto della perdita di imbocco, pari a 0,5 .
2g
Con riferimento alla figura 7.12, risulta
p1 v12 p v2
z1    h  z 2  2  2 ;
 2g  2g

posto al solito v1 = 0, risulta

 p   p  v2
 z1  1    z 2  2   1,5 2 ,
      2g

da cui

v 22 h
  0,67 h -
2 g 1,5

v22 2 gh
h  1,5 e v2   0,82 2 gh -
2g 1,5

7.4.3 Perdita di sbocco


Come caso particolare della perdita per brusco allargamento si può considerare la perdita di sbocco.
Si tenga presente che, sempre con riferimento alla figura 7.10, se si applica il teorema di Bernoulli a
una traiettoria che va dal punto 1 al punto 2, si può mettere in evidenza l’altezza cinetica della
sezione 2, conoscendo nella stessa la quota piezometrica. Tuttavia, se si applica il teorema di
Bernoulli dal punto 2 ad un punto all’interno del serbatoio di valle, dove la velocità è nulla, ci si
trova a dover considerare una perdita di carico pari proprio all’altezza cinetica. Questa perdita di
carico è detta perdita di sbocco, e si può vedere come un caso della perdita di brusco allargamento.
Infatti in questo caso si può considerare il serbatoio come la tubazione a diametro più grande e si
può ritenere trascurabile la velocità ad essa relativa. Di conseguenza la perdita di energia è pari
all’energia cinetica all’uscita cioè

121
2
V
H   2 -
2g
dove V2 è la velocità di sbocco ed  tiene conto della sua non uniforme distribuzione.

Applicazioni
7.5 Efflusso da condotta con ugello
Lo stesso risultato si ha nel caso di sbocco in atmosfera, sempre che siano rispettate le condizioni
per le quali la piezometrica non scenda al di sotto di 10,33 m dalla condotta (figura 7.13):
v2  0,82 2 gh -

0,5 v /2g
2

h
2

v /2g
2

--

Figura 7.13

Aggiungendo un ugello all’estremità della condotta, come in figura 7.14, con m = , e con CC
noto, si avrà :
v B2 vC2
0,5  h-
2g 2g
ma


 v B  C C  vC ; vB  CC vC -

2
0,5    v C2
 C C vC    h-
2g    2g

122
2

0,5 v /2g B

v /2g
B
2 h
v /2g
C

Figura 7.14

 C 2 2  v2
 0,5 C 2  1 C  h -
   2g
 

1
vc  2 gh  -
0,5 C m 2  1
2
C

Poichè è
0,5 C C2 m 2  1  1,5 -
all’uscita si avrà sempre un guadagno di velocità rispetto alla condotta senza ugello.
Per esempio, per m= 0,25 e CC= 0,8 risulta:
vc  2 gh  0,99 -
mentre per m= 0,10 e CC = 0,61 risulta:
vc  2 gh  0,999 .

Si può osservare infine che con l’ugello vi è sempre una riduzione di portata . Dette Qu e Q le
portate rispettivamente con e senza l’ugello, risulta infatti :

1
Qu   vB  CC  vC  CC  2 gh 
0,5 C m 2  1
2
C
-

mentre è

2gh
Q
1,5 -

Risulta Qu < Q poichè è

123
1 2 gh
CC  2 gh  
0,5 C m  1
2
2
C 1,5
-

Risulta infatti

0,5 CC2 m 2  1
CC   
1,5 -

essendo

2 0,5 CC2 m 2  1
CC    2 2

1,5 -

poichè è
2
CC m 2  1
-
2
1,5CC m 2  0,5 CC2 m 2  1
-

124
8.
Moto dei fluidi reali. Principi

8.1 Regimi di moto


Nei fluidi reali, il moto comporta lo sviluppo di azioni mutue tra le particelle, a differenza di quanto
supposto nei fluidi perfetti. Tali azioni derivano dal fatto che, nel moto di un fluido reale,
intervengono due caratteristiche: la viscosità e l’agitazione turbolenta. La prima dà luogo ad azioni
tangenziali tra le particelle; la seconda dà luogo ad urti e a scambio di quantità di moto: entrambe
provocano perdita di energia meccanica.
Il moto si può svolgere in presenza delle sole azioni viscose: in tal caso si parla di moto in regime
laminare, o moto viscoso o anche moto regolare.
Quando è presente l’agitazione turbolenta si parla di moto turbolento; nel moto turbolento possono
coesistere le azioni viscose e l’agitazione turbolenta, ovvero, quest’ultima può prevalere sulle azioni
viscose.
In ogni caso saremo in presenza di perdita di
carico. Reynolds mostrò che (fig. 8.1),
Figura 8.1 introducendo un filetto colorato in una
tubazione in cui l’acqua è in moto, fino a una
certa velocità V1 il filetto si mantiene
rettilineo, mentre per velocità V2>V1 esso si
disperde nella massa fluida . Nel primo caso il
moto è laminare; nel secondo è turbolento.
Osborne Reynolds (1842-1912), insegnò a
Manchester, e fu autore di studi sperimentali
sulla resistenza al moto sulla turbolenza. Egli per primo mostrò la dipendenza della nascita dei
vortici turbolenti dal numero adimensionale  v d  che fu poi detto numero di Reynolds.

8.2 Sforzo tangenziale e perdita di carico


Consideriamo un tratto di una corrente
lineare in moto uniforme all’interno di una
condotta cilindrica (fig. 8.2), e
proponiamoci di determinare l’azione che la
corrente esercita sulla superficie del tubo. A
tale scopo applichiamo l’equazione globale
al volume in figura , considerando il moto
permanente :

G    M1  M 2  0 ;
potremo porre

Figura 8.2
125
G    s
M1  M 2  0
  p1  n 1  p 2  n 2   0
dove 0 è l’azione esercitata sul fluido dalla superficie cilindrica.
L’azione esercitata dal liquido sulla superficie, R , è detta azione di trascinamento; ovviamente
risulta
R= 
proiettando sull’asse l’equazione globale si ottiene
  ds sen   p1  p2   R

ed essendo

z1  z 2
sen 
ds

si ottiene anche

 p1 p2 
   z1  z 2        R
  
Posto z + p/ = h , e detta dh la differenza tra le quote piezometriche nelle sezioni 1 e 2 è
 p   p  R
dh   z1  1    z 2  2  
      

Si può osservare che il rapporto al secondo membro ha le dimensioni di una lunghezza, essendo
F 
F L L   L
R
 3 2

La formula evidenzia che esiste una differenza dh tra le quote piezometriche se esiste una forza
tangenziale o azione di trascinamento.
Posto J = dh/ds
risulta
 p   p 
R     z1  1    z 2  2     ds J .
     
J è la pendenza della piezometrica, cioè la tangente dell’angolo compreso tra l’orizzontale e la linea
piezometrica (assumendo che il tratto ds si possa confondere con la sua proiezione sull’orizzontale).
Teniamo presente che, trattandosi di un fluido reale e non di un fluido perfetto, tra le sezioni 1 e 2
vi sarà una certa perdita di carico totale, dH, che si potrà esprimere come
p1v12 p2 v22
dH  ( z1    )  ( z2   )
 2g  2g
e poichè il moto è uniforme (v1 = v2)

126
 p   p 
dH   z1  1    z 2  2   dh
     
Quindi
R    dH

e anche

R ds
dH 
  ds
Al numeratore si trova il lavoro svolto dalla forza R per lo spostamento s; al denominatore si trova
il peso dell’elemento fluido considerato. H, quindi, rappresenta l’energia perduta per unità di peso.
Come si può notare, essa è proporzionale alla lunghezza considerata, ds, e all’azione di
trascinamento R. L’energia perduta per unità di peso e per unità di lunghezza, o perdita unitaria,è, in
valore assoluto,
dh
J
ds
Possiamo facilmente esprimere lo sforzo tangenziale unitario alla parete, 0, dividendo per C ds,
dove C è il contorno del prisma di sezione  e lunghezza ds, trovando
  ds J
0 
C ds
posto /C = Ri (raggio idraulico), è 0=  Ri J . Si potrà facilmente verificare che le dimensioni del
raggio idraulico sono quelle di una lunghezza , mentre quelle di 0 sono quelle di uno sforzo,
risultando pari a [L-1 M T-2].
Si noti che spesso si pone, in termini differenziali
dh
J 
ds
dove il differenziale di h è, secondo l’analisi matematica, dh = h2-h1.
Infatti, avendo definito
 p   p 
dh   z1  1    z 2  2  ,
     
in tal modo si ottiene un valore di J positivo, essendo ds positivo.
Il segno negativo indica che la quota piezometrica diminuisce nel senso del moto. Ciò può essere
facilmente verificato osservando il moto uniforme all’interno di una tubazione munita di
piezometri. La linea che congiunge i livelli nei piezometri (piezometrica) è una retta; inoltre la sua
pendenza J risulta decrescere col raggio idraulico:
0
J
 Ri
Possiamo inoltre considerare che 0 risulterà funzione della velocità, in base alla sua definizione;
sarà quindi,
J  f v 

127
Non conosciamo ancora razionalmente, a questo punto, la funzione 0 = 0 (v); è però evidente che
0 cresce con la velocità del fluido.
Nel caso di una condotta a diametro costante che collega due serbatoi di quota zA e zB, risulta (fig.
8.3),
v2 v2 v2 v2
z A  z B  H   C  JL   C
2g 2g 2g 2g

dove con

v2
C
2g
si è indicata la somma
delle perdite concentrate
(per esempio di imbocco e
di brusco allargamento)
eventualmente presenti.
Figura 8.3
Se si tiene conto che è
0
J
 Ri
si vede che, per una tubazione di data lunghezza e sezione, J è funzione di 0 e quindi di v. Basterà
dunque, conoscere 0 = 0 (v), per conoscere anche J = J (v) e poter porre:
v2
z A  z B  J v  L  k
2g
e risolvere il problema del moto rispetto alla sola incognita v.

8.3 Formule pratiche di moto uniforme.


Ci occuperemo più in là, dopo aver posto le dovute basi teoriche, della struttura delle formule di
moto uniforme.Tutte le formule pratiche della forma
J  J v 
hanno origine sperimentale e per il momento ci limiteremo a considerare solo tale aspetto, che del
resto è sufficiente a risolvere il problema del moto come sopra definito.
Facciamo riferimento, anzitutto, a una formula del tutto generale, detta formula di Darcy-Weisbach,
che pone
v2
J f
2 gD
e nella quale il coefficiente f, detto indice di resistenza, è adimensionale. Tale formulazione è utile
perchè sarà
v2 v2
z A  z B  JL   C
2g 2g

128
f v2 v2 v2
zA  zB  L   C
D 2g 2g 2g

2
f v
z A  zB   L  1  C 
D  2g
È il caso di precisare subito che il campo di variazione di f usualmente è compreso tra 0,01 e 0,1.

Henry Philibert G. Darcy (1803-1858), nato a Dijon, ingegnere dei Ponts et Chaussèes (il Genio
Civile francese); condusse esperienze sul moto di tubazioni e sul moto in filtrazione. “Les fontaines
publiques de la ville de Dijon” è un suo trattato del 1856, nel quale dava il risultato dei suoi studi
sul moto di filtrazione.
Julius Weisbach (1806-1871), professore di fisica matematica alla scuola mineraria di Friburgo,
autore di esperienze sul moto dei fluidi; egli per primo espresse la legge di resistenza al moto nella
forma oggi nota come formula di Darcy-Weisbach.

8.4 Formule per il moto laminare

Come si è detto, si possono distinguere due regimi di moto, quello laminare e quello turbolento. Nel
primo, esistono solo le azioni tangenziali determinate da un’importante proprietà dei fluidi, la
viscosità.
La viscosità è definita, attraverso un semplice schema, dalla formula di Newton .
Consideriamo due strati di fluido di area A, a distanza infinitesima dn, e in moto l’uno con velocità
v e l’altro con velocità v+dv. La forza F che si esercita tra i due strati è data da

dv
F  A ,
dn
dove  è un coefficiente detto appunto “viscosità”. Poichè è  = F/A, risulta

dv
  e dunque
dn


 ;
dv
dn

da qui si possono ricavare le


dimensioni di  , che risultano

Figura 8.4    M L1T 2 T   M L1T 1 


nel Sistema Internazionale,
oppure

   F L2 T  nel Sistema Tecnico.


Per l’acqua a 10 °C,   10-4 kg s/m2.
129
Per il moto laminare, fin dal 1800, attraverso separate indagini, un ricercatore tedesco, Hagen e un
medico francese, Poiseuille, trovarono, per la sezione circolare, una formula che fa dipendere la
perdita di carico unitaria J dalla viscosità, dalla velocità, dal diametro D della tubazione e dal peso
specifico del fluido, formula detta appunto di Hagen e Poiseuille:
32  v
J
 D2

Gottehif Heinrich Ludwig Hagen (1797-1884), ingegnere tedesco, nato a Koningsberg, eseguì
prove sperimentali su tubi di rame di diametro da 2,5 a 6 mm, con acqua a diversa temperatura per
variare la viscosità. Egli per primo rilevò l’esistenza di due diversi tipi di moto.
Louis Pouiseuille (1799-1869) era un medico francese, interessato al moto del sangue nelle vene.
Condusse esperienze con tubi di diametro molto piccolo( 3/10 mm a 0,14 mm ), pervenendo a una
formula empirica del moto regolare.
Dal confronto con la formula di DarcyWeisbach, risulta
f v 2 32 v

2g D  D 2


f  64
vD

0.1
vD Figura 8.5
f Re 

0.01
100 1000 Re 10000

Converrà qui notare che il fattore vD/ è anch’esso adimensionale. Solitamente si pone
vD
Re  ;

tale gruppo adimensionale viene denominato “numero di Reynolds ”; pertanto
f=64/Re .
Passando ai logaritmi, si ottiene
log f = log 64 – log Re
È possibile riportare in un grafico la variazione di log f con logRe; si otterrà una retta a pendenza
pari a –1; si deve notare che il moto laminare è stabile per Re = 8002000. Si avrà quindi,
f = 0,080,03 (fig. 8.5).

Possiamo in definitiva dire che f è crescente con  e decrescente con , V e D.


130
Se invece ci riferiamo a J, questa è crescente con  e v e decrescente con D2 e .

La formula di Hagen e Poiseuille è valida solo per tubazioni a sezione circolare; nel moto laminare
infatti la forma della sezione ha importanza nel determinare le resistenze al moto.

8.5 Formule per il moto turbolento

Al contrario di quanto accade per il moto laminare, le formule di moto uniforme per regime
turbolento sono valide sia per le condotte che per i canali, dipendendo poco dalla forma della
sezione. Si usa pertanto esprimere tali formule in funzione di una grandezza geometrica della
generica sezione. Tale grandezza è il cosiddetto raggio idraulico Ri, pari al rapporto tra area e
contorno bagnato (fig. 8.6):
A
Ri 
C
Si è d’altra parte visto che lo sforzo tangenziale
unitario è proporzionale al raggio idraulico
 0   Ri J
Nella sezione circolare, risulta
D2 D
A , C   D, Ri 
Figura 8.6 4 4
con ciò la formula di DarcyWeisbach diventa:
f v2
J
8 g Ri

Approfondimenti

Nelle applicazioni pratiche alle tubazioni e ai canali, dalla fine dell’800 è in uso la formula
v   Ri J (Chèzy)

Antoine Chèzy (1718-1798), ingegnere, docente dell’Ecole des Ponts et Chaussèes, autore di studi
sulla resistenza al moto, in particolare in connessione con l’utilizzazione dell’acqua dell’Yvette per
un acquedotto di Parigi.Le formule da lui suggerite furono pubblicate da un suo allievo dopo la sua
morte ed ebbero successo solo all’inizio del 1800.
Le dimensioni di  sono
   L T 1 L1 2   L1 2 T 1 -
cioè il quadrato di  ha le dimensioni di un’accelerazione:
   L T -
2 2

 è un coefficiente di velocità: maggiore è , maggiore è v, a parità di altre condizioni.


Nella formula di Chèzy,  è a sua volta dipendente da Ri e da un coefficiente che indica la natura
della parete, e che fu espresso da Bazin come
87 Ri

Ri  

131
e da Kutter come
100 Ri

Ri  m
Henri Emile Bazin (1829-1917), nato a Nancy, fu assistente di Darcy durante gli esperimenti
condotti da quest’ultimo sulla resistenza al moto. Autore di un trattato sui canali e di esperienze
sugli stramazzi, che diedero luogo alla nota formula per lo stramazzo rettangolare senza
contrazioni sui lati.
Wilheem Rudolf Kutter (1818-1888), ingegnere svizzero, insieme a Emile Oscar Ganguillet (1818 -
1894) condusse esperienze sul moto a superficie libera, che diedero luogo ai valori dei coefficienti
oggi noti come  di Kutter.

Possiamo mostrare che  è crescente con Ri (a pari m e ) e decrescente con m e  (a pari Ri)
100

m
1
Ri

m e  sono, dunque, coefficienti di scabrezza.


Consideriamo la formula di Chèzy scritta come
v2
J -
 2 Ri
Possiamo notare che, essendo 2 è crescente con Ri , a parità di scabrezza, di conseguenza J è
crescente con v2 (a pari Ri), e decrescente con Ri (a pari v).
Per confronto con la formula di Darcy-Weisbach,
f v2 v2
 2 -
8 g Ri  Ri

8g
f  -
2
Dunque, l’indice di resistenza in regime turbolento è decrescente con R (a parità di altre condizioni)
e crescente con la scabrezza, indicata da m o . Esso però, al contrario di quanto accade nel moto
laminare, è indipendente da v.
Una formula nota fin dall’800, e applicata al moto turbolento sia in canali che in condotte, è quella
detta di GaucklerStrickler
v  K Ri2 3 J 1 2
o quella, più nota nel mondo anglosassone, di Manning :
1 23 12
v Ri J
n
dove il coefficiente K che compare nella prima è un coefficiente di velocità, con dimensioni [L1/3
T-1], mentre il coefficiente n che compare nella seconda, essendo n = 1/K, è un coefficiente di
scabrezza, con dimensioni [L-1/3 T].
Philippe Gaspard Gauckler (1826-1905) era ingegnere dei Ponts et Chaussèes. Robert Manning,
irlandese (1816-1897), pervenne ad una formula in tutto simile a quella di Gauckler.
132
Approfondimenti
Queste due formule, per la loro struttura algebrica, sono dette formule monomie; in esse infatti, K o
n sono indipendenti da Ri; risulta
v2
J -
K 2 Ri4 3
con considerazioni analoge a quelle fatte per la formula di Chèzy. Del resto, per confronto con
quest’ultima, risulta
 Ri J  K Ri2 3 J
 Ri1 2  K Ri2 3 -
1 16
  K Ri2 31 2   K Ri1 6  Ri
n
che dà  crescente con Ri; e per confronto con la formula di Darcy-Weisbach risulta:
8g n2 8 g
f   -
K 2 Ri1 3 Ri1 3
con considerazioni del tutto analoghe a quelle fatte, e cioè che l’indice di resistenza decresce con la
dimensione caratteristica della corrente e cresce con la scabrezza, mentre è indipendente da v. Si
noti che K ha le dimensioni di [L1/3 T-1] e i suoi valori sono espressi in m1/3 s-1; mentre le dimensioni
di n sono [T L-1/3].
Per le condotte metalliche degli acquedotti, una classica formula in uso fin dal 1800, per 175
mm<D<400 mm, è quella di Darcy
Q2
J  -
D5
dove è
0,000042
  0,00164  -
D
Si osservi che  = [L5] [L-6 T2] = [L-1 T2], cioè 1/ = [L T-2] ( ha le dimensioni dell’inverso di
una accelerazione).

Per confrontare  e f poniamo

f v2


 v2  D2 4
-

2

2g D D5

f 2
 -
2 g D 16 D

1
f  g  2-
8
Anche qui f è indipendente da v e decrescente con il diametro.
Se si volesse rappresentare la variazione di f sullo stesso grafico adottato per il moto laminare (log f,
log Re), dovremmo ricordare che, a seconda della formula che si vuole impiegare, si trova

133
8g
f  (Chèzy)
2

n2 8 g
f  (Manning)
Ri1 3

0.1

f D1<D2<D3 Figura 8.7


D1

D2

D3

0.01
1.E+02 1.E+03 1.E+04 1.E+05 1.E+06 1.E+07 Re 1.E+08

2  g
f  (Darcy)
8
Una più recente formula è quella di Prandtl
1
f  2
  1  
  2 log  
  3,715 D  
Dove D è il diametro della tubazione e  una variabile che ne caratterizza la scabrezza.
Pertanto, f non dipende dal numero di Reynolds, ma è sempre decrescente col diametro e crescente
con la scabrezza. Sul diagramma avremo per esempio, a parità di scabrezza, una rappresentazione
come quella in fig. 8.7, nella quale f appare costante al variare di Re, pur variando con D.
Si noterà inoltre che, in tutte le formule del moto turbolento finora esposte, si trova J  v 2 .
Pur restando nel campo del moto turbolento, sono note alcune altre formule, per esempio quella di
Von Kàrman

1  2,51 
 2 log -
 Re f 
f  
o quella di Colebrook e White

1  1  2,51 
 2 log   ,-
 3,715 D Re f 
f  
nelle quali J è proporzionale a v elevato a un esponente diverso da 2. L’analisi dimensionale, nel
successivo paragrafo, aiuta a riconoscere le ragioni di questa diversità.
134
8.6 Le formule di moto attraverso l’analisi adimensionale.
Si è finora visto che, nel moto laminare, risulta J proporzionale a v (J  v), mentre nel moto
turbolento, secondo le formule classiche, è J  v2; inoltre, per alcune tubazioni in uso attualmente, è
J  v1,75.
Cercheremo di capire quali ragioni siano alla base di ciò attraverso l’analisi dimensionale delle
grandezze in gioco. Possiamo,allo scopo, utilizzare il metodo di Buckingham, detto anche teorema
.
Edgar Buckingham, fisico-matematico americano, morto nel 1940, autore di ricerche in teoria dei
modelli e analisi dimensionale, in particolare di un teorema fondamentale per la teoria della
similitudine meccanica .
Sia F
F a1 , a 2 , ..., a m   0 -
una funzione di m variabili a1,a2, a3.... contenenti n (n  3) grandezze fondamentali (si ricorda che
nella meccanica le grandezze fondamentali sono lunghezza, massa, tempo nel SI; lunghezza, forza e
tempo nel ST).

Scelte n delle variabili a1, a2, ..., am per esprimere le altre, è possibile trasformare la funzione F in
una funzione  di m-n parametri adimensionali:
  1 ,  2 , ...,  m n   0 -
Per poter fare ciò, le n variabili utilizzate devono contenere tutte le grandezze fondamentali che
compaiono in F, e devono inoltre risultare meccanicamente indipendenti (non deve essere cioè
possibile ottenere un parametro adimensionale semplicemente moltiplicando tra di loro tali variabili
elevate a qualsiasi potenza).
In altri termini, non deve essere
a1 a 2 a 3   -
con  adimensionale; ovvero, se le dimensioni di a1, a2, a3 sono
 a1   Lx M y T z
1 1 1
-

a2   Lx M y T z
2 2 2
-

a3   Lx M y T z
3 3 3
-
non deve essere:
Lx1  x 2 x3 M y1  y 2 y3 T z1  z 2  z 3  L0 M 0T 0 -
e quindi non deve esistere una soluzione non nulla del sistema
x1  x2  x3  0

y1  y2  y3  0 -
z  z  z  0
 1 2 3

per cui deve essere

135
x1 x2 x3
y1 y2 y3  0 _
z1 z2 z3

È il caso di precisare che sia la funzione F che la funzione  sono incognite a priori; il teorema 
facilita lo studio del fenomeno per via sperimentale, poiche riduce il numero di variabili
indipendenti da considerare.

8.6.1 Moto laminare


Mostriamo ora i risultati cui si perviene nel caso di moto laminare.
Nel moto laminare, l’esperienza mostra che la perdita di carico unitaria J, facilmente misurabile, per
un dato liquido è funzione di , v, Ri
J  J  , v, Ri  _
Ricordando che si è trovato 0=  Ri J, risulta, sempre per lo stesso liquido ( = cost),
 0   0  , v, Ri  _
e per la sezione circolare
 0   0  , v , D  _
La struttura dimensionale delle variabili , v e D e 0 è la seguente:
   [M L-1 T-1]
v [L T-1]
D [L]
 0  [M L T ]
-1 -2

Si possono scegliere , v e D come variabili che ci permettano di esprimere anche . Le tre
variabili saranno dette variabili fondamentali del problema.

Potremo facilmente verificare che esse sono dimensionalmente indipendenti, in quanto risulta
1 0 0
1 1 1 1_
1 1 0

In pratica dovremmo trovare


0   v D 
1 1 1
      ,    ,    _

 v D  v D
2 2 2
 3v 3D3  4v 4D 4 
in cui i rapporti scritti sono adimensionali.
0
Pertanto, per il rapporto , sarà:
 v  D
1 1 1

M L 1

T 2  M L1 T 1 
1
L T  L 
1 1 1
_
da cui, per il principio di omogeneità dimensionale, si ricavano tre equazioni:
per M: 1  1
136
per L:  1   1   1   1
per T:  2   1   1
e quindi risulta: 1 = 1; 1 = 1; 1 = -1 e il parametro adimensionale è
0 D
_
v
per gli altri rapporti si troverà, analogamente
 2 = 1, 2= 0, 2= 0
 3 = 0, 3= 1, 3= 0
 4 = 0, 4= 0, 4 =1
per cui infine
0 D
  1, 1, 1  cost _
v

v
 0  cost _
D
Ricordiamo ora che è
2g DJ
f  _
v2
e poiché
D
0  J_
4
risulta
2 g D  0 8 0
f   _
 v
D 2  v2
4
_Ponendo
0
 _
 v2
sarà f = 8 , ma abbiamo ottenuto
v
 0  cost _
D

quindi
v
 cost _
D  v2

137
cost
 _
vD

Il parametro adimensionale vD/ = Re è il numero di Reynolds.
Basta ora riprendere in esame la
v
 0  cost _
D
e scrivere
D v
 J cost _
4 D
per rendersi conto che nel moto laminare risulta
J v_
Riprendiamo in esame la
cost
 _
Re
è evidente che basterà ottenere da un solo esperimento il valore di Re = vD/ e il valore di
 D 4J
 per calcolare la costante. L’esperimento si può condurre molto facilmente con un
 v2
piccolo tubo di diametro D, misurando la portata e ricavando quindi la velocità e il numero di
Reynolds; misurando la cadente J, si potrà quindi ricavare . Il prodotto  Re dà la costante cercata.
Dalle esperienze condotte da vari ricercatori, tale costante risulta pari a 8. Si otterrà infine  = 8/Re
e quindi f = 64/Re.

8.6.2 Moto puramente turbolento


Nel campo di applicabilità delle formule di moto turbolento con J proporzionale a v2, l’esperienza
mostra che è
 0   0  , Ri , v,   _
dove con  si è indicata la scabrezza della parete, rappresentata da una dimensione lineare. Per una
sezione circolare è
 0   0  , D, v,   _
Assumeremo , v e D come variabili fondamentali. La loro struttura dimensionale è la seguente :

 = M L-3
v = L T-1
D = L .

138
Risulta
1 0 0
 3 1 1  1_
0 1 0

pertanto le tre grandezze sono meccanicamente indipendenti. Dal teorema , otterremo


0  
   ,
v 2
D

 
cioè anche      ;
D

0.1

f /D=0,05
Figura 8.8

/D=0,01

/D=0,001

0.01
1.E+02 1.E+03 1.E+04 1.E+05 1.E+06 1.E+07 Re 1.E+08

dunque
D  
 J   v 2   _
4 D
e
4 v 2   
J   _
 D D
cioè
J  v2 _
Inoltre J risulta funzione del rapporto /D.
Ricordando che è f = 8, risulta
 
f   _
D
Per interpretare tale andamento, sulla base di elaborazioni teoriche e risultati sperimentali, Prandtl
diede all’indice di resistenza la forma

139
2
 
 
 1 
f  _
 1  
  2 log  

  3,715 D  
dove  (dimensionalmente L) è la scabrezza. f non dipende da v, ed è crescente con /D. Sul
grafico in fig. 8.8, troveremo delle rette orizzontali a pari /D, con gli /D più piccoli in basso. Si
noti che il moto puramente turbolento è caratterizzato da valori del numero di Reynolds molto
elevati, dell’ordine di 105 o 106.
Il calcolo di f permette di valutare subito la pendenza piezometrica
f v2
J _
2g D

Ludwig Prandtl, 1875-1953, ingegnere tedesco, insegnò prima al politecnico di Hannover, poi fu
chiamato dal fisico Klein all’Università di Gottinga, dove fondò una grande scuola di Meccanica
dei fluidi.

8.6.3 Moto turbolento in tubi lisci


Per alcune tubazioni in uso attualmente, in materiale plastico, si può impiegare, tra le altre, una
classica formula, proposta da Blasius per tubazioni in ottone, e che dà
f  0,316 Re 0, 25
Si noterà che, anche qui, f decresce con D (anche se non molto); inoltre f decresce con v.
Si tratta quindi, di una formula di struttura diversa da quelle viste nel paragrafo precedente, nelle
quali non c’è dipendenza da v.
Se vogliamo far riferimento a J, otteniamo
0 , 25
2g DJ   
 0,316   _
 vD
2
v
cioè

0.1

f /D=0,05

/D=0,01

/D=0,001

0.01
1.E+02 1.E+03 1.E+04 1.E+05 1.E+06 1.E+07 Re 1.E+08

Figura 8.9
140
0 , 25
0,316   
J   v1,75 _
2 g D   D 
nella quale J dipende da v1,75, e non da v2 come nelle formule precedenti.
Se supponiamo che esista una condizione di moto turbolento per la quale sia

 0   0   , v, D,   _
scelte , v e D per rappresentare le altre variabili, otterremo dal teorema 
0   
    _
 v2   v D 
cioè
   Re  _
ed anche
f   Re  _
Un’altra classica formula per il regime di tubi lisci: è quella di Prandtl-Von Kármán
1  2,51 
 2,03 log 
 
f  Re f 
che, come si vede, è una forma implicita.
Si noti, infine, che è possibile riportare sullo stesso grafico le leggi ottenute per il moto laminare
(fig. 8.9).
64
f  _
vD

e per il moto turbolento in tubi lisci
0 , 25
 vD
f  0,316   _
  
Sul diagramma logaritmico la legge dei tubi lisci, come si può dedurre dalla formula di Blasius, è
rappresentata da una retta.

Paul Richard Heinrich Blasius, fisico, nato a Berlino nel 1883, insegnò al Politecnico di Amburgo.

Theodor Von Kármán, ingegnere, nato a Budapest nel 1881, morto nel 1963, professore
all’Università di Gottinga, successivamente fondatore dell’Istituto Aeronautico dell’Università di
Aquisgrana, emigrato negli Stati Uniti, diresse dal 1930 il Laboratorio Aeronautico del Politecnico
di Pasadena.

8.6.4 Moto turbolento di transizione


Per alcune tubazioni metalliche rivestite internamente con uno strato di bitume e per D  400mm,
due idraulici italiani, Scimemi e Veronese, proposero la formula :
Q 1,82
J  0,001456 4, 71 _
D
Risulta
141
1,82
 D2 
 v  
 4 
J  0,001456 _
D 4,71
1,82
v 1,82  
J  0,001456 1,07   _
D 4
cioè, nella formula vista sopra, la J risulta proporzionale a v1,82.
D’altra parte, l’indice di resistenza
2g DJ
f  _
v2
risulta
2g D v1,82   1,82 
f   0, 001456 _
v 2  D1, 07  41,82 
cioè
1,82
  0,001456
f  2g  _
4 D 0,07 v 0,18
la quale mostra che f è dipendente da v, da D ; per tubazioni diverse da quelle alle quali si applica
la formula, dovrà entrare in gioco anche la scabrezza. Si può pensare, perciò, a un regime
intermedio tra quello puramente turbolento e quello turbolento in tubi lisci. Se infatti si suppone
 0   0   , v, D ,  ,   _
con la solita procedura si ottiene
0  
   Re,  __
v 2
 D
Una formula molto usata per il
regime di moto turbolento di
transizione, caratterizzato
dall’influenza sia del numero di
Reynolds che dalla scabrezza, è
quella ottenuta dagli americani
Colebrook e White, nella quale
vengono semplicemente sommati
gli argomenti del logaritmo che
compare nella formula di Prandtl
Figura 8.10 e in quella di Prandtl -Von
Kármán

1  2,51  
 2,03 log  .
 Re f 3,715D 
f  
Sul grafico logf, log Re, tale legge è rappresentata da una serie di curve che si staccano dalla curva
dei tubi lisci (fig. 8.10).

142
Una completa rappresentazione delle diverse leggi di moto, che mostra la variazione dell’indice di
resistenza con il numero di Reynolds, è il cosiddetto “abaco di Moody”, che risulta spesso utile
nelle applicazioni, e che si riporta di seguito (fig. 8.11).

143
0.1

M o to T u rb o len to
M o to la m in a re d i tra n sizio n e
M oto ass olutam ente
Turb olento

T u b o liscio

0.01
1.E + 02 1.E + 03 1.E + 04 1.E + 05 1.E + 06 1.E + 07 1.E + 08
Re

Figura 8.11. Abaco di Moody

144
8.7 Perdite di carico localizzate come fenomeni turbolenti

Poichè le perdita di carico localizzate sono associate ad agitazione turbolenta, esse sono espresse
come
V2
H   _
2g
dove V è la velocità che si stabilisce in una sezione caratteristica e  è un coefficiente che dipende
dalla geometria.

8.7.1 Perdita nei divergenti


Se il passaggio dalla tubazione a diametro D1 a quella a diametro D2 non avviene in maniera brusca
ma graduale, per esempio mediante un divergente o, nel caso di sbocco in un serbatoio, mediante
un diffusore, la perdita di carico che si realizza in essi è dovuta sia alla separazione della corrente
che alle perdite di carico continue. L’importanza delle due aliquote dipende dalla geometria del
sistema : infatti la perdita di carico oltre ad essere funzione del rapporto fra i due diametri come nel
caso del brusco allargamento è funzione soprattutto dell’angolo di apertura, ma anche del profilo
secondo cui essi sono realizzati e dalla distribuzione delle velocità in ingresso e in uscita. Per
piccoli angoli di apertura, inferiori a quelli del cono di diffusione non si ha la separazione della
corrente e la perdita di carico è dovuta solo allo sforzo tangenziale. Essa allora si può calcolare
considerando costante l’indice di resistenza, considerando valida la relazione di Darcy-Weisbach
per ogni elemento infinitesimo del divergente ed integrando fra le sezioni iniziali e finali.
Le perdite di carico dovute alla separazione sono state calcolate per via sperimentale da Gibson. Per
angoli di apertura elevati 30° - 40° le perdite dovute
allo sforzo tangenziale si sommano a quelle dovute
alla separazione della corrente in modo tale da dar
luogo ad una perdita di carico complessiva superiore a
quella di Borda. L’angolo a cui corrisponde la minima
perdita di carico complessiva è, per un diffusore
tronco-conico, pari circa a 6°.
Da un punto di vista costruttivo per ridurre la perdita
di carico è conveniente rastremare i diffusori nella
parte iniziale come indicato qualitativamente nella
figura 8.12a o realizzare un primo tratto tronco conico
con angolo di apertura minore e successivamente un Figura 8.12
brusco allargamento come in fig. 8.12b. In entrambi i casi infatti la separazione della corrente
avviene più a valle, quando la vena liquida ha già subito un primo rallentamento.

8.7.2 Perdita d’imbocco


L’imbocco di una condotta da un serbatoio può essere realizzato secondo due diverse modalità: con
uno spigolo vivo oppure ben raccordato. Mentre in quest’ultimo caso non si hanno apprezzabili
perdite di carico nel primo caso esse sono presenti e per le brevi condotte hanno valore tutt’altro che
trascurabile. Nel caso dell’imbocco a spigolo vivo l’efflusso fino alla sezione contratta non
differisce da quello libero; a valle di essa si ha la brusca espansione della vena liquida secondo le
modalità illustrate per l’appunto nel caso di brusco allargamento.

145
La perdita d’imbocco si può quindi considerare come la somma di due diverse aliquote: la prima,
H1, è quella che si ha fino alla sezione contratta ed è dovuta principalmente alla viscosità, la
seconda, H2, è quella che si ha per il brusco allargamento ed è dovuta all’agitazione turbolenta.
Per quanto concerne la prima aliquota sappiamo che, nel caso di sbocco libero e di fluido perfetto,
nella sezione contratta si ha la velocità torricelliana, Vt, cui corrisponde un’energia pari a Vt2/2g.
Nel caso di fluido reale, a causa delle dissipazioni di energia fino alla sezione contratta, le quali
sono essenzialmente di tipo viscoso viste le piccole velocità all’interno del serbatoio, si avrà una
velocità effettiva pari a CvVt dove Cv è il coefficiente di velocità (Cv=0.98-0.99) cui corrisponde
un’energia cinetica pari a Cv2Vt2/2g.
E’ evidente pertanto che l’energia che viene dissipata dalla corrente fino alla sezione contratta è pari
a
Vt 2 Cv2Vt 2
H 1   _
2g 2g
Se poniamo CvVt=Vc dove Vc è la velocità nella sezione contratta risulta
1  Vc2  V2  1  V2
H 1   2  Vc2   c  2  1  0.04 c _
2 g  Cv  2 g  Cv  2g
oppure tenendo conto che AcVc=CcAVc=AV esprimendo la perdita in funzione della velocità media
a tubo pieno e nell’ipotesi che il coefficiente di contrazione sia paria 0.61 si ha
2
1 V V2
H1  0.04  0.1 _
Cc2 2 g 2g
La seconda aliquota, cioè quella per il brusco allargamento dalla sezione contratta a quella a tubo
pieno è pari a

H 2 
Vc  V 2 _
2g
che, espressa in funzione di Vc o di V, tenendo conto dell’equazione di continuità risulta pari a
2
V2  1  V 2 Vc2 2
H 2    1  0.4  1  Cc 2  0.15 Vc _
2 g  Cc  2g 2g 2g
La perdita d’imbocco, pari alla somma delle due aliquote, risulta quindi
Vc2 V2
H  H1  H 2  0.19  0 .5 _
2g 2g
La corrente nella regione interessata dalla perdita di carico localizzata non è lineare e, pertanto, la
linea dei carichi totali e la piezometrica non sono, anche in questo caso, a rigore tracciabili. Tuttavia
da un punto di vista qualitativo si può evidenziare che fino alla sezione contratta il moto è
accelerato e quindi la distanza fra la linea dei carichi totali e la piezometrica andrebbe
progressivamente crescendo nel senso del moto, raggiungendo il valore massimo nella sezione
contratta.
A valle di essa il moto è ritardato e le due linee si avvicinerebbero progressivamente fino ad
arrivare ad una distanza pari a V2/2g quando la corrente occupa l’intera sezione (V è appunto la
velocità media in questa sezione). Quindi tracciando in maniera qualitativa la linea dei carichi totali
e la linea piezometrica si avrebbe per quest’ultima il caratteristico andamento “ad uncino”. Si può
facilmente calcolare la distanza, rispetto al pelo libero nel serbatoio, della piezometrica nella
sezione contratta. Esso è pari alla somma della perdita di carico fino alla sezione contratta

146
H1=0.1V2/2g=0.04Vc2/2g e dell’altezza cinetica nella stessa sezione Vc2/2g
=V2/2g(1/Cc2)=2.7V2/2g e risulta quindi uguale a 2.8V2/2g o 1.04Vc2/2g esprimendolo,
rispettivamente, in funzione della velocità media a tubo pieno o della velocità media nella sezione
contratta.
Per effetto di questo abbassamento della piezometrica la condotta può risultare in depressione. Il
valore massimo che tale depressione può raggiungere non può essere maggiore, in valore assoluto
ed in termini di altezza piezometrica, di patm/ cioè 10.33 m nel caso dell’acqua. In questo caso la
sezione contratta diventa una sezione di controllo, ed i valori massimi della velocità e della portata
si ottengono imponendo in essa pressione assoluta nulla.

8.7.3 Perdita d’imbocco nel caso di tubazione ben immersa nel serbatoio.
Quanto detto nel caso di imbocco a spigolo vivo continua a valere da un punto di vista concettuale
anche nel caso dell’imbocco di una tubazione ben immersa in un serbatoio. Le espressioni
analitiche delle perdite di carico che si ottengono sono esattamente quelle ottenute nel caso
dell’imbocco a spigolo vivo. Il più piccolo valore assunto dal coefficiente di contrazione dà luogo
però a delle perdite di carico localizzate di entità più rilevanti.
In particolare con Cc=0.5 si ottiene
Vc2 1 V2 V2
H1  0.04  0.04 2  0.16 _
2g Cc 2 g 2g

2
V2 V2 V2  1  V2
H 2  c 1  Cc   0.25 c    1 
2
_
2g 2 g 2 g  Cc  2g
L’abbassamento della piezometrica sotto il pelo libero nella sezione contratta risulta invece pari a
Vc2 V2
H  0.29  1.16 _
2g 2g

Vc2 V2 V2 V2 V2 1 V2 V2
h*  H1   0.04 c  c  1.04 c  0.16  2  4.16 _
2g 2g 2g 2g 2 g Cc 2 g 2g
Applicazioni
8.8 Tubazione con perdite distribuite munita di ugello.

Consideriamo lo schema già visto nel par. 7.3, ma stavolta teniamo conto anche delle perdite di
carico distribuite.

Sia il diametro del tubo D pari ad 1 cm, la lunghezza L sia di 10 m, il carico disponibile h sia di 30
m. Risulta
v2 v2 v2 v2 v2 L
h  0,5   JL  0,5  
2g 2g 2g 2g 2g D

147
 L  v2
h  1,5   
 D  2g

Figura 8.13

ammesso il tubo scabro con /D = 0,001, si ottiene = 0,02; quindi


v2 v2
h  1,5  0,02  1000  21,5
2g 2g

Figura 8.14

2 gh
v  5,2 m s
21,5
e la portata è 0,41 l/s.
Aggiungiamo l’ugello con m = , e sia noto CC; risulta:
v B2 v B2 L v C2
h  0,5  
2g 2g D 2g

v B  C C m vC   vC

148
2
 2 L  vC
 0,5     1 h
2

 D  2g

v C2
0,5   20   1
2

2g
2
h 

v C2
20,5   12

2g
h
ed essendo 2 = CC22/2 = 0,04,
v2
h  1,8
2g

2 gh
vC   0,74 2 gh
1,8
contro
2 gh
vC   0,21 2 gh
21,5
cosìcchè con l’ugello la velocità si triplica. La velocità in condotta, però, e vB=0,2 vC=3,6 m/s e la
portata si riduce a 2,8 l/s.

8.9 Sbocco con diffusore


Consideriamo il caso di una condotta a diametro costante collegante due serbatoi (fig. 8.15)
Detta h la differenza di livello, risulta
v12
h  J v1  
2g
Se alla fine della condotta aggiungiamo un diffusore (fig. 8.16), che considereremo di breve
sviluppo sì da trascurare in esso le perdite distribuite, risulta :

h  J v1  L 
v1  v2 2  v22
2g 2g
;

si può ora notare che è :

v1  v 2 2 v 22 v12
 
2g 2g 2g
La perdita di sbocco è
minore se si impiega il
Figura 8.15 diffusore: é possibile,
quindi, con lo stesso
carico h, avere maggiori

149
perdite continue LJ(v1), e quindi maggiore v1: in definitiva, col diffusore si riesce ad aumentare la
portata.

Figura 8.16

150
9.
Pompe ed impianti di sollevamento

Lo schema più semplice di impianto di sollevamento è tipicamente quello in figura 9.1.

Figura 9.1

La condotta 1 a monte della pompa è detta condotta di aspirazione. Preso un piano di riferimento
z=0, si può scrivere il teorema di Bernoulli applicato alla corrente tra un punto nel serbatoio A e la
sezione M a monte della pompa. Posto =1, si ha:
pA pM v12 v2
zA   zM    0,5 1  J 1 L1 ;
  2g 2g
poniamo pari ad HM il valore del carico nel punto M.
pM v12
H M  zM  
 2g
La condotta 2 a valle della pompa è detta condotta premente. Tra la sezione V immediatamente a
valle della pompa e la sezione terminale della condotta premente, B, risulta:
pV v 22 v2
zV    J 2 L2  z B  2
 2g 2g
Si deve notare che, nel caso in figura, esiste un tratto di condotta premente in depressione. Anche
qui non può in nessun caso risultare una depressione maggiore di 10,33 m.
Poniamo pari ad HV il carico nella sezione a valle della pompa.
v 22
pV
H V  zV  
 2g

151
La differenza H=HV-HM è detta prevalenza totale. Essa è pari all’energia per unità di peso che la
macchina fornisce alla corrente.
Se la portata che attraversa la pompa è Q, in un intervallo di tempo dt il volume che ha attraversato
la pompa è
W  Q dt
e il peso di tale volume ovviamente è
G   Q dt
Il volume considerato ha avuto un incremento di energia pari a
E   Q dt H
per ottenere detto aumento di energia, è necessario che la corrente abbia la potenza
E
P   Q H
t
Per poter trasferire la potenza P alla corrente, è necessario che la pompa abbia una potenza mag-
giore, per tenere conto del rendimento (elettrico, meccanico, idraulico) complessivo, che sarà mi-
nore di uno.
Posto  il rendimento, si consideri che di solito esso varia tra 0,65 e 0,85, a seconda del tipo e delle
dimensioni della pompa, ma è anche, per una data pompa variabile con la portata. La potenza della
pompa risulta quindi
 Q H
P

Nel sistema internazionale,  = 9800 N/m3 e la potenza si misura in Watt; risulta allora
Q H
P  9800 W 

e, più comunemente
Q H
P  9,8 kW 

La differenza
 p   p 
Figura 9.2 a H m   zV  V    z M  M 
     
si chiama prevalenza manometrica.
Essa è uguale a H solo se vm = vv, cioè se le
condotte di aspirazione e di mandata hanno
identico diametro.
La differenza zA  zB=Y si chiama prevalenza
geodetica.
Risulta sempre
v12 v2
H  0,5  J 1 L1  Y  J 2 L2  2
2g 2g
Fissate le caratteristiche dell’impianto, e cioè Y, i diametri e le scabrezze delle condotte, risulta

152
H  f Q 
Si vede facilmente che per Q = 0 si ha H = Y, e che d’altra parte H è crescente con Q; si può
quindi rappresentare la curva H, Q su un grafico (fig. 9.2 a).
Tale curva si chiama “curva caratteristica
dell’impianto”. Per quanto riguarda la pompa,
si osservi che, nei casi reali, è =(Q); se
supponiamo costante, e supponiamo pure che
P rimanga costante, risulta
P
H    Q  -
9,8 Q
funzione che si può rappresentare sullo stesso
grafico e si chiama “curva caratteristica della
pompa”. Si tratta in teoria di un ramo di
Figura 9.2 b iperbole, ma in realtà, poiché  è variabile con
Q, la curva H , Q assume andamento
completamente diverso, il più delle volte con la concavità verso il basso (fig 9.2 b).
L’intersezione rappresenta il punto di funzionamento effettivo. Nella pratica, dovendo progettare un
impianto, si sceglierà una coppia di valori Q, H, cui corrisponde una portata Qt leggermente supe-
riore a quella richiesta Qr, ed un carico Ht, leggermente superiore a quello strettamente misurato
sulla curva caratteristica dell’impianto.
Ci si riporta al valore di portata voluto introducendo una perdita di carico localizzata sulla condotta
premente, il che si può facilmente ottenere con una valvola parzialmente aperta. Si ha quindi
v12 v 22
H t  0,5  J 1 L1  Y  J 2 L2   H  -
2g 2g
Anche H’ è
funzione di v2;
la curva ca-
ratteristica del-
l’impianto in
sostanza risulta
un po’ più ele-
vata della pri-
ma, continuan-
do a partire dal
punto H = Y.
Osserviamo la
nuova piezome-
trica, nel caso
che sia v1 = v2
(fig.9.3); in tal
caso risulta an-
Figura 9.3 che Hm = H.
Poiché Ht >
H, ma v12/2g è minore del caso senza valvola, come pure J1L1, J2L2 e 0,5 v12/2g, la quota
piezometrica hm a valle della valvola risulta superiore a quella precedente.
Per verificarlo, basta scrivere che è, senza valvola

153
v12
hV  hM  H m  z A  1,5  J 1 L1  H -
2g
mentre è, con la valvola
v12
hV  hM  H m  z A  1,5  J1 L1  H t -
2g
e tenere presente che è Ht >H, mentre è v’< v.
Vi sono altri possibili schemi di impianti di sollevamento, che qui di seguito si indicano:
 pompaggio con con-
dotta di aspirazione
in depressione; in
questo caso (fig. 9.4)
la pompa è al di so-
pra del livello del
serbatoio A; il
dislivello tra l’asse
della pompa ed il
serbatoio non può
superare i 10,33 m.

 Pompaggio con pom-


pa sommersa.
Figura 9.4 In questo caso la pompa
è alloggiata direttamente
all’interno del serbatoio A (fig. 9.5).

 Pompaggio con arrivo sotto battente. La condotta premente termina ben al di sotto della quota
del pelo libero sul serbatoio B. In questo caso (fig. 9.6) si deve assumere, al termine della
condotta premente, z2
+ p2/= zB
I quattro casi mostrati
possono essere fra loro
combinati, ottenendo in
definitiva i seguenti casi:
1-Pompa sotto battente,
arrivo libero
2-Pompa sotto battente,
arrivo sotto battente
3-Pompa in aspirazione,
arrivo libero
4-Pompa in aspirazione,
arrivo sotto battente
Figura 9.5 5-Pompa sommersa,
arrivo libero
6-Pompa sommersa,
arrivo sotto battente

154
Figura 9.6

155
10.
Le lunghe condotte

In molti casi dell’idraulica pratica, le perdite di carico localizzate sono complessivamente molto più
piccole delle perdite continue. Ciò avviene negli acquedotti, negli oleodotti, ed in genere quando il
rapporto L/D tra la lunghezza ed il diametro è maggiore di un certo valore.
Per trovare tale limite, poniamo:
v2 f v2 v2
Y  JL     L  
2g 2 g D 2g

v2  f 
Y  L    
2g  D 
si tenga presente che a comporre  vanno il coefficiente della perdita di sbocco (pari ad 1), il co-
efficiente della perdita d’imbocco (pari a 0,5) ed i coefficienti  relativi a cambiamenti di diametro
e curve brusche; in totale si potrà ammettere

  3
Se si trascura  rispetto a f L/D si commette un errore percentuale pari a:

e

f L
 
D
Di solito si accetta e  5 %; tale è infatti l’ordine di grandezza dell’incertezza su f e quindi su fL/D;

e
  5 %
f L
 
D
cioè
1 f L
 1  20
e D 

e quindi
f L
 19
D 

f L
 57
D

L 57

D f

156
Se per esempio f vale 0,05 dovrà essere
L
 1140
D
Tenuto conto dei valori pratici di f, compresi tra 0,01 e 0,06, si potrà concludere che sarà
L
 6000  1000
D
Se così è, anche l’altezza cinetica risulta trascurabile rispetto ad Y; pertanto linea dei carichi totali e
linea piezometrica coincidono.
Le lunghe condotte si rappresentano graficamente con una linea (non si vede il diametro della
tubazione, contrariamente a quanto si fa nelle brevi condotte). La lunghezza effettiva L si assume
pari alla sua proiezione orizzontale.
I problemi pratici relativi alle lunghe condotte possono essere considerati come:
a) problema di progetto
b) problema di verifica.

10.1 Problema di progetto.


Nel problema di progetto, sono note le quote dei serbatoi A e B, considerate invariabili, e la lun-
ghezza L
(fig.10.1).
Si deve determi-
nare il diametro,
noto che sia il re-
gime di moto e
data la scabrezza
relativa (m, , ,
/D); se
supponiamo che
il moto sia pura-
mente turbolento
Figura 10.1 risulta quindi
f = f (D).
È nota inoltre la portata q che si vuole addurre da A a B.
La soluzione consiste nel tracciare la piezometrica come congiungente di A e B;
risulta
Y
J ;
L
supposto il moto puramente turbolento,
 2g DJ
 f D   v 2
 4q
v 
  D 2

e quindi

157
v2 8q2
f D   f D 
Y

L 2g D g  2 D5
equazione nella sola incognita D.
Il valore di D che risolve l’equazione non può  a meno di casi fortunatissimi  essere accettato,
poiché non corrisponde ad un diametro in produzione (diametro commerciale).
Si tratterà quindi di scegliere un diametro D1>D ed un diametro D2<D; L1 ed L2 saranno le rispettive
lunghezze;
si porrà dunque
 L1  L2  L

 J 1 L1  J 2 L2  Y
In pratica noti D1 e D2 sarà facile calcolare f1 ed f2; v1 e v2 risultano dati da q/( D2/4); quindi si va-
lutano J1 e J2 ed
infine si risolve il
sistema per L1 ed
L2.
È buona norma
disporre le tuba-
zioni in modo da
avere la piezo-
metrica più
bassa: ciò con-
sente di avere
minori pressioni
di esercizio e di
limitare le perdite Figura 10.2
(fig.10.2).
La soluzione che comporta maggiori pressioni è d’altra parte possibile (linea tratteggiata in figura).
La soluzione così trovata è comunque poco cautelativa: l’ingegnere deve tenere conto di una possi-
bile sottostima della scabrezza, o di una variazione di questa col tempo a causa del deterioramento
della parete della tubazione.
La soluzione classica consiste nel considerare, quando si determina il diametro teorico, un coeffi-
ciente di scabrezza pari al doppio, se si impiega la formula di Darcy, ovvero un indice di resistenza
pari al doppio se si adoperano altre formule.
Di fatto, la pie-
zometrica trac-
ciata sarà quella
“a tubi usati”.
Quando la tuba-
zione è all’inizio
dell’esercizio, la
scabrezza è mi-
nore di quella di
progetto. Con lo
stesso carico Y
disponibile, la tu-
bazione adduce
una portata q+q
Figura 10.3
maggiore, se essa

158
è disponibile al serbatoio A.
Ma, se la portata differenziale q non è disponibile, occorre tracciare la piezometrica, partendo da
valle, per la portata q, esattamente valutando J 2  f v 22 2 g D2 e J 1  f v12 2 g D1 ( fig. 10.3).
La piezometrica dunque taglia la condotta; in realtà, dal punto di intersezione e fino al serbatoio A il
moto si svolge a canaletta a pressione atmosferica. Si deve supporre infatti che, poiche le tubazioni
possono addurre la portata q+q, il serbatoio A si svuoti e quindi la condotta possa in parte ri-
succhiare aria.
Questo funzionamento non è ritenuto igienicamente sicuro. Si ricorre perciò ad una “valvola ridut-
trice” che introduce una perdita di carico H. Risulterà
Y  J 1 L1  J 2 L2  H
La valvola può essere man mano aperta col progredire dell’invecchiamento della condotta, fino a ri-
stabilire la situa-
zione di progetto.
La soluzione che
spesso viene
adottata consiste
nell’evitare di di-
videre in due il
tratto, conser-
vando il diametro
maggiore unico;
o nell’impiegare
una lunghezza Figura 10.4
del tratto a dia-
metro maggiore
conveniente-
mente più grande di quella calcolata. Ovviamente, occorre disporre una valvola regolatrice (fig.
10.4).
Quando si traccia la piezometrica teorica, e cioè la retta che unisce i due livelli dei serbatoi A e B,
non si tiene conto
dell’andamento
della tubazione.
Se l’asse della tu-
bazione è in qual-
che punto al di
sopra della pie-
zometrica di una
distanza maggiore
di 10,33 m, il
moto non può av-
venire. Occorre
Figura 10.5 dunque trovare
una soluzione
conveniente.
Nel caso di progetto, si prescrive che la piezometrica non sia mai a meno di 5 m al di sopra della
condotta:in altri termini, si vuole essere sicuri di evitare il funzionamento in depressione (fig.10.5).
Dal punto A si traccia perciò la piezometrica in modo da avere sempre almeno 5 m di altezza pie-
zometrica in ogni punto della condotta.

159
Dal punto della piezometrica a distanza minima dalla condotta, si traccia la congiungente col ser-
batoio B. Le due linee AM ed MB formano la piezometrica teorica; esse saranno sostituite da due
tratti corrispondenti ai diametri effettivi.

10.2 Problema di verifica


Nel problema di verifica sono assegnati lunghezza L, diametro D e scabrezza. Si tratta di determi-
nare la portata e
la piezometrica
(fig. 10.6).
Tracciata la pie-
zometrica AB
sarà:
2g DJ
v
f
e quindi

Figura 10.6  D2
qv
4
Anche qui, se
esiste un punto
della condotta al
di sopra di 10,33
m della piezo-
metrica, il moto
non può avve-
nire.
Dal punto M più
alto della con-
dotta si scenderà Figura 10.7
di 10,33 m, indi-
viduando il punto N fisicamente più alto possibile sulla verticale per M (fig. 10.7).
Si traccia quindi la AN, che è la piezometrica vera. Da B si traccia la piezometrica verso monte, con
la stessa inclinazione di AN, arrestandosi quando la distanza al di sotto della condotta supera i 10,33
m, nel punto P. Da P ad N la piezometrica si traccia parallela alla
condotta. Il punto M è quindi la sezione di controllo del moto. La
portata q è quella che corrisponde alla piezometrica AN (o PB).
Esiste ancora un caso pratico di verifica, quello che si presenta
quando si tratta di accertare il funzionamento di un acquedotto. In
questo caso si può misurare la portata, per esempio alla sorgente
A. Chiamiamo qm il valore della portata misurata. Se è qm > q, una
Figura 10.8 parte della portata disponibile sarà sfiorata alla sorgente, e
l’acquedotto adduce la portata q (fig. 10.8).
Se è qm <q, in condotta potrà passare solo la portata disponibile qm e non di più.

160
Pertanto la piezometrica si traccerà da valle, per la portata qm; essa toccherà la condotta in un punto
P e da qui prose-
guirà a monte
lungo la con-
dotta, con un
tratto di moto a
canaletta a pres-
sione atmosferica
(fig. 10.9).
Nel caso che vi
sia un punto alto,
esso andrà as- Figura 10.9
sunto come se-
zione di controllo
(fig. 10.10).
Dal punto N si
traccia verso
monte la piezo-
metrica corri-
spondente a qm.
Da B si traccia
verso monte la
stessa piezome-
trica fino al punto
P.

Figura 10.10

161
11.
Correnti a superficie libera

11.1 Generalità
Una corrente a supeficie libera (o a pelo libero) presenta una superficie a contatto con l’atmosfera, e
sullla quale pertanto la pressione relativa è nulla.
Se facciamo riferimento a una sezione trasversale,
distingueremo facilmente in essa l’area A, la
larghezza in superficie L, la profondità h e il
contorno bagnato C (fig. 11.1)
Se facciamo riferimento a una sezione
longitudinale, potremo distinguere la linea del
fondo e la linea della superficie libera: la
profondità h è normale al fondo (fig. 11.2).
Sarà bene individuare alcuni modi di vedere le
correnti a superficie libera, che saranno ricorrenti
nella trattazione:
1) corrente a superficie libera lineare:
Figura 11.1 le traiettorie sono sensibilmente rettilinee e
parallele, come in fig. 11.3
2) Moto con piccola pendenza del fondo:
la profondità della corrente - normale alla linea di fondo - si può confondere con la verticale (fig.
11.4).
Si può vedere per =5°10°
risulta cos  1 (e d’altra parte
sen   tan ). Si noti che =10°

Figura 11.2
corrisponde a i = tan =0.17, che nella pratica è una pendenza molto forte.
Se sono vere le ipotesi 1 e 2, potremo considerare le
pressioni variabili come in idrostatica lungo la normale
alla linea di fondo: preso un riferimento coincidente
col fondo di una sezione, risulterà, come in fig. 11.5
p
z h

Figura 11.3
Si tenga presente che altri casi, che pure si presentano
nel moto a superficie libera, di
correnti con traiettorie
sensibilmente curve o con forti
pendenze del fondo, vanno
trattati in modo diverso.

Figura 11.4

162
Figura 11.5

11.2 Espressione dell'energia specifica


Consideriamo ora, in una data sezione, il carico totale H dato da
p v2
H z 
 2g
È generalmente più comodo, in una data sezione, considerare il carico E riferito al fondo della
stessa. Esso sarà:
V2
Eh
2g
Se consideriamo la portata Q, risulta:
Q2
Eh
2g A2
Quest’equazione mostra come, a parità di portata, sono legati carico E e altezza h in una sezione.
È sufficiente uno studio qualitativo della funzione E = f(h);
per h  0, A  0; quindi E  ;
per h  , Q 2 2 g A 2  0 ; quindi E  h  .
Il grafico della funzione E in fig.11.6, avrà quindi un asintoto verticale (asse delle E) e un asintoto a
45°, passante per l’origine (retta E = h).
Esso presenterà dunque un minimo Ec, per un
valore di h che diremo hc.
Questo minimo corrisponde alla minima energia
rispetto al fondo con cui una portata Q può
transitare in una data sezione; esso si chiama
“energia critica”, la corrispondente altezza
“altezza critica” e la corrispondente velocità
“velocità critica”.
Le correnti con h>hc si dicono correnti “lente”;
esse avranno infatti V<Vc; le correnti con h<hc si
dicono “correnti veloci”; esse hanno infatti
V>Vc.
Una data portata può transitare in una sezione
come corrente lenta o come corrente veloce:
dipenderà dalle condizioni di moto che
governano la corrente stessa. Figura 11.6

163
Possiamo d’altra parte, fissata una sezione,
ricavare l’altezza h in funzione di E e Q ; risulta:
Q2
hE 
2g A2
Da quest’equazione si può vedere come, a parità
di carico E, sono legate h e Q:
per h = 0, Q = 0;
2g A2 2g A2
e poiché è Q 2  E h ,
 
risulterà Q = 0 per E = h.
Il grafico, in fig. 11.7, avrà pertanto un massimo
di Q per h compreso tra 0 e E: chiameremo

Figura 11.7
questo valore “portata critica”: si tratta della massima portata che può transitare in una sezione con
una data energia. La corrispondente altezza è l’altezza ”critica” hc, la corrispondente velocità è la
“velocità critica” Vc.
Anche qui le correnti con h > hc si dicono lente, e quelle con h<hc si dicono veloci.
Con una data energia, una generica portata può transitare in corrente lenta o in corrente veloce.

11.3 Espressione dell'energia critica in sezione rettangolare


Se ci riferiamo alla sezione rettangolare, di larghezza L, posto
Q
P
L
risulta, con 1:
Q2 P2
Eh  h 
2 g L2 h 2 2g h 2
La minima energia Ec si trova per
E
0
h
risulta:
  P2 
 h    0
h  2g h 2 

P2
1 2 0
2g h3
Posto hc il valore di h per cui l’equazione è vera, e Pc la corrispondente portata,

Pc2
hc  3
g

164
D’altra parte
Pc2  g hc3
Pc g hc3
Vc    g hc
hc hc
Infine
Vc2 1 3
E c  hc   hc  hc  hc
2g 2 2
cioè a dire che, in una corrente a superficie libera in sezione rettangolare, l'energia critica è pari ai
3/2 dell'altezza critica.

Approfondimenti
11.4 Comportamento fisico delle correnti lente o veloci
Il concetto di corrente lenta e di corrente veloce è stato introdotto con considerazioni di carattere
energetico.
È possibile però comprendere il diverso comportamento dei due tipi di corrente solo se si prende in
esame come esse reagiscono a una perturbazione. Una perturbazione è una qualsiasi causa che vada
a variare lo stato della corrente. Si può pensare alla perturbazione come un'onda che percorre il
canale; diremo positiva l'onda che fa aumentare l'altezza della corrente, negativa quella che la fa
diminuire. Per fissare le idee, pensiamo a un canale munito a monte di paratoia: una manovra della
paratoia provoca una perturbazione che percepiamo come un’onda che si propaga nell’alveo verso
valle. Se si apre la paratoia si ha un’onda positiva, se la si chiude si ha un’onda negativa.
Con un canale munito invece di una paratoia a valle, possiamo provocare un’onda che si propaga
verso monte, negativa se apriamo la paratoia, positiva se la chiudiamo.
Ora, chiamiamo a la velocità assoluta con cui l’onda si sposta nel canale; e poiché si tratta di una
perturbazione, diremo a la sua “celerità” assoluta.
Un osservatore esterno al canale vede l’onda
Figura 11.8 spostarsi con velocità (celerità) a (fig. 11.8)
Se la velocità in un punto del canale è V, un
osservatore interno al canale e che si muove con la
velocità V della corrente, vedrà l’onda spostarsi con
celerità
c  a V ;
c sarà detta celerità relativa (fig.11.9).
Si dimostra che, se l’altezza della perturbazione è
infinitesima (come avviene per una perturbazione Figura 11.9
elementare), e se h è l’altezza della corrente
indisturbata, in alveo rettangolare, si ha
c gh ( formula di Lagrange )
dove il segno + vale per le perturbazioni che
viaggiano verso valle.
Ma abbiamo visto che g h è la velocità critica;
allora, se la corrente è veloce, sarà
V c

165
la perturbazione si propaga verso valle con celerità assoluta
a V  g h ;
verso monte, la celerità sarebbe
a V  g h

ma poiché è V  g h , risulta ancora a > 0, quindi la perturbazione non può propagarsi verso
monte.
Se la corrente è lenta, risulta
V c

la celerità assoluta verso valle è ancora


a V  g h  0 ;
e verso monte
a V  g h  0
Un facile modo per capire se una corrente è lenta o veloce è guardare come si propaga la
perturbazione provocata da un bastoncino verticale immerso nella corrente: in acqua ferma,
vediamo dei cerchi concentrici che si allontanano man mano dal bastoncino.
Se il bastoncino è immerso in una corrente, i cerchi si sposteranno verso valle ed eventualmente
verso monte.
Nella corrente lenta, vedremo i cerchi propagarsi verso valle e verso monte, deformandosi perchè la
celerità è maggiore verso valle; nella corrente veloce i cerchi si propagano solo verso valle, e
vedremo la classica forma di due linee divergenti dal bastoncino, inviluppo delle successive
posizioni dell’onda circolare.
Il rapporto
V
F
gh
tra velocità della corrente e celerità delle perturbazioni elementari è detto “numero di Froude”; se
risulta F > 1 la corrente è veloce, se risulta F < 1 la corrente è lenta; per F = 1 la corrente è in stato
critico.

11.5 Espressione dell'energia critica in sezione generica


Ritornando alla definizione di energia critica,
per una sezione generica sarà
dE
0-
dh

d  Q2 
 h     0 -
dh  2g A2 

Figura 11.10
166
Q 2 dA
1  2 0-
2 g A 3 dh
Se esaminiamo una generica sezione (fig. 11.10) ci rendiamo conto che, all’altezza h generica,
dA/dh è proprio la larghezza della superficie libera per quell’altezza, essendo dA=L dh
Dunque, sarà
dA
L -
dh

Q2 L
  1-
g A3
Per dH/dh = 0 porremo
H = Hc; h = hc; V = Vc; Q = Qc; A = Ac
Pertanto sarà
g Ac
Qc  Ac -
L
e in particolare, per la sezione rettangolare con  = 1, come già visto, risulta
Qc  hc L g hc -

Pc  hc g hc -

11. 6 Il moto uniforme di una corrente a superficie libera


Il moto uniforme di una corrente a superficie libera si verifica in quei tratti d’alveo che non
risentono di perturbazioni. Il moto è caratterizzato dal fatto che la corrente presenta in tutte le
sezioni la stessa velocità, la stessa altezza e la stessa area.
Richiamiamo brevemente le caratteristiche del moto uniforme, con riferimento a quanto si è detto
nel capitolo delle resistenze al moto, con l’avvertenza che nel moto uniforme di una corrente a
superficie libera la pendenza piezometrica coincide con la pendenza del fondo, cioè

iJ;
infatti la superficie piezometrica coincide con la superficie libera e poiché l’altezza rimane costante
in tutte le sezioni, la linea piezometrica risulterà parallela al fondo (fig. 11.11), come del resto sarà
parallela al fondo la linea dei carichi totali.

Figura 11.11

167
Per quanto riguarda le caratteristiche del moto uniforme, esse si calcolano con riferimento alle
formule già viste nel capitolo che tratta le resistenze al moto. Detto f l’indice di resistenza, sarà

v2
J  f
2 gD
secondo la formula di Darcy-Weisbach; l’indice di resistenza si potrà calcolare nella maggior parte
dei casi con la formula di Prandlt per tubi scabri
2
 
 
 1 
f 
1  
  2 log  
 3,715
  D 
sostituendo in essa l’espressione 4Ri al posto di D, dove Ri è il raggio idraulico.
Si possono anche usare formule classiche, come quella di Chèzy

V   Ri J -

o quella di Gauckler-Strickler

V  K Ri2 3 J 1 2
cercando nei manuali gli opportuni valori degli indici di velocità (spesso impropriamente detti
coefficienti di scabrezza) .
Scelta una formula di moto uniforme, ed utilizzando la definizione di portata

Q  VA
si è in grado di scrivere un’equazione nella quale compaiono come incognite la Q e l’altezza del
moto uniforme, ho.
Per esempio, se si sceglie la formula di Gauckler-Strickler, per la sezione rettangolare, si ha
(fig. 11.12):

Q  kRi 2 / 3 i A
ed essendo

A=Lh0

Lh0
Ri  A / C 
Figura 11.12 L  2 h0
si può scrivere
2/3
 Lh0 
Q  k   i Lh0 ,
 L  2 h0 
equazione che permette di calcolare Q data h0, o di calcolare h0 data Q.

168
In modo analogo si procede per sezioni in cui il raggio idraulico sia rappresentabile da
un’espressione algebrica in funzione dell’altezza. Se ciò non accade, si può procedere graficamente
per incrementi di altezza dh, valutando di volta in volta l’area della sezione e il contorno bagnato e
calcolando quindi il raggio idraulico, la velocità e la portata, fino a costruire per punti la funzione
Q(h0), che si usa chiamare “scala” del moto uniforme.
Data la portata, e individuata l’altezza di moto uniforme h0, se risulta

h0  hc
si dice che il moto uniforme è in corrente lenta; se invece risulta

h0  hc
si dice che il moto uniforme è in corrente veloce.

In modo analogo, sempre per una data Q, si può valutare la pendenza che, nel moto uniforme,
corrisponde all’altezza critica hc: detta ic tale pendenza, se risulta

i  ic
si dice che l’alveo è a debole pendenza e il moto uniforme si svolge in corrente lenta, mentre se
risulta

i  ic
si dice che l’alveo è a forte pendenza e il moto uniforme si svolge in corrente veloce.
Va da sè che si troverà sempre

h0  hc quando è i  i c ,
e
h0  hc quando è i  i c .

11.7 Il moto permanente in correnti a superficie libera (non è stato spiegato nulla di ciò che si
trova avanti)
Il moto permanente di una corrente a superficie libera è caratterizzato dal fatto che, non variando
con il tempo le sezioni idriche, la portata deve restare costante in tutte le sezioni, secondo
l’equazione di
continuità

Q A
 0
s t
Restando costante
Figura 11.13 la portata, lungo
l'ascissa s può
tuttavia variare
l’area, e con essa la velocità e l’altezza; la superficie libera della corrente, in una sezione
longitudinale, presenterà quindi un profilo non parallelo al fondo, detto appunto profilo di moto
permanente , come in fig. 11.13
169
Tra due sezioni 1 e 2 a distanza s (fig. 11.14), facendo riferimento al moto permanente, potremo
scrivere l’equazione dell’energia come :

v12 v 22
z1  h1   z 2  h2   H
2g 2g

Figura 11.14

dove H è la perdita di carico totale; se chiamiamo J la pendenza della linea dei carichi totali,
potremo porre

H  J s
cioè J s è la perdita di carico dovuta alle resistenze al moto nel tratto di lunghezza s.
L’equazione precedente si può scrivere

z1  E1  z 2  E 2  Js
ed essendo (si veda la figura)
z 2  z1  is
risulta
E 2  E1  i  J  s
e per una distanza infinitesima ds
dE
i J .
ds
Converrà ora notare che l’energia specifica E dipende da h, e che h varia lungo l’alveo con l’ascissa
s; in termini analitici E = f ( h(s)). Pertanto sarà

dE E dh
 .
ds h ds

Le due equazioni ora scritte permettono di studiare la variazione dell’energia e dell’altezza di una
corrente a superficie libera in moto permanente.

170
11. 8 Profili di moto permanente in alveo prismatico
Le equazioni studiate per la variazione dell’energia specifica lungo l’alveo, quelle del moto
uniforme e quelle dell’energia con l’altezza in una sezione permettono di studiare i profili delle
correnti in moto permanente, o profili di moto permanente o profili di rigurgito.
In definitiva l’equazione che dà la variazione dell’altezza della corrente si può porre nella forma

dE
dh ds

ds dE
dh
e infine

dh i  J

ds dE
dh

11.8.1 Profili di corrente in alveo a debole pendenza


In un alveo a debole pendenza l’altezza di moto uniforme è superiore all’altezza critica (fig. 11.15).

Figura 11.15

Distingueremo perciò tre possibili zone nelle quali può trovarsi il profilo della corrente :
1. Profilo al di sopra dell’altezza di moto uniforme.
2. Profilo compreso tra l’altezza critica e l’altezza di moto uniforme
3. Profilo compreso tra il fondo e l’altezza critica

Nella prima zona, essendo l’altezza della corrente superiore all’altezza critica, risulta

E
 0;
h
d’altra parte, essendo h>h0, sarà

J<i,
dh i  J dh
quindi i-J >0 e, poiché è  , risulta 0,
ds dE ds
dh
cioè le altezze crescono con l’ascissa s e si trova un profilo di corrente “lenta ritardata”, denominato
usualmente con la sigla D1 (fig. 11.16).

171
Per s  , h  h 0 , J  i , e il moto uniforme viene raggiunto all’infinito a monte; per s
dE dh
crescenti, tende a uno, mentre J  0 ; pertanto  i , cioè a dire il profilo tende
dh ds
all’orizzontale.

Figura 11.16

Nella seconda zona, essendo h0>hc , la corrente è ancora lenta, per cui risulta

E
0
h
D’altra parte, essendo h<h0, dev’essere

i-J <0.
Pertanto sarà

dh
0.
ds
Il profilo, denominato D2, avrà altezze decrescenti con l’ascissa s, e quindi sarà un profilo di
“corrente lenta accelerata”; si può vedere che all’infinito a monte h  h0 , mentre per h  hc

dE
0
dh
dh
Restando i-J un valore finito,   , e quindi il profilo si dispone con tangente verticale (fig.
ds
11.17).

Figura 11.17

Nella terza zona, essendo h<hc, la corrente è veloce, per cui risulta

E
0
h
D’altra parte, poiché l’altezza della corrente è inferiore a quella di moto uniforme, risulterà

J>i .
172
Pertanto sarà

dh
0
ds

Figura 11.18
e si avrà un profilo di corrente veloce ritardata detto D3 (fig. 11.18).

Per h crescenti e tendenti a hc, il profilo avrà tangente verticale. Si può dimostrare che anche per h
tendenti a zero si trova un profilo con tangente verticale. In realtà la parte del profilo con altezze più
basse non può iniziare dal fondo alveo, ma da una altezza alquanto superiore a questo.

11.8.2 Profili di corrente in alveo a forte pendenza


In un alveo a forte pendenza l’altezza di moto uniforme è inferiore a quella critica (fig. 11.19).

Figura 11.19

Anche qui si distinguono tre zone :


1. Profilo al di sopra dell’altezza critica
2. Profilo compreso tra l’altezza critica e l’altezza di moto uniforme
3. Profilo compreso tra il fondo e l’altezza di moto uniforme.

Nella prima zona, essendo h>hc, la corrente è lenta, quindi

E
0
h
Inoltre è J<i , poiché le altezze sono superiori a quelle di moto uniforme; quindi si avrà

dh
0
ds
cioè un profilo crescente.
Al crescere di h, il denominatore tende ad 1, mentre il numeratore tende a i. Quindi

173
h
i
s
cioè il profilo tende a disporsi orizzontale (con inclinazione i rispetto al fondo, che è il nostro
riferimento); d’altra parte, per h  hc , il profilo ha tangente verticale. Si ha così il profilo di
corrente lenta ritardata in alveo a forte pendenza, detto F1, riportato nella fig. 11.20.

Figura 11.20

Nella seconda zona si ha h<hc e la corrente è veloce. Si trova

E
0
h
ed, essendo J<i, si avrà un profilo decrescente, che si chiama F2 ed è rappresentato in fig. 11.21.

Figura 11.21

Per h che tende a h0 , il denominatore tende a un valore finito, mentre il numeratore tende a zero.
Pertanto il profilo tende a raggiungere la pendenza i, cioè l’altezza di moto uniforme, all’infinito a
valle. Per h=hc il denominatore tende a zero, mentre il numeratore ha un valore finito. Pertanto

h

s
cioè il profilo si dispone con tangente verticale.
Nella terza zona, infine, è

E
0
h
e i-J <0; quindi si avrà un profilo con h crescenti, e cioè un profilo di corrente veloce ritardata,
detto F3. Per h che tende ad h0, ovviamente, si avrà

h
0
s
mentre per h=0 il profilo avrà tangente verticale.

174
La fig. 11.22 mostra il profilo di corrente veloce ritardata in alveo a forte pendenza.

Figura 11.22

Le fig. 11.23 e 11.24 riassumono i possibili profili in alveo a debole e a forte pendenza; sarà bene
sottolineare che, data la portata e la sezione, si può valutare l’altezza critica ; date inoltre la
pendenza e la scabrezza dell’alveo, si può valutare l’altezza di moto uniforme. Si potrà stabilire
quindi se l’alveo è a debole o a forte pendenza; nel primo caso i profili di moto permanente della
corrente non possono essere diversi da quelli in fig. 11.23 e nel secondo da quelli di fig. 11.24.
Si noterà che i profili di corrente lenta devono essere tracciati da valle verso monte, e che il moto
uniforme viene raggiunto all’infinito a monte, nell’alveo a debole pendenza; mentre i profili di
corrente veloce vengono tracciati da monte verso valle, e il moto uniforme viene raggiunto
all’infinito a valle nell’alveo a forte pendenza.

Figura 11.23

Figura 11.24

11. 9 Trasformazione di una corrente lenta in una corrente veloce e viceversa


Una corrente lenta può trasformarsi in veloce senza discontinuità, passando per lo stato critico.
Infatti una corrente lenta per diventare veloce deve aumentare la sua velocità: ciò che avviene per
l’unico profilo di corrente lenta accelerata che esista, il profilo D2. Questo profilo termina con lo
stato critico; l’unico profilo di corrente veloce che parte proprio dallo stato critico è il profilo F2.
Perchè si verifichino le condizioni descritte, deve esserci una causa perturbatrice che faccia
localizzare lo stato critico in una determinata sezione; sicché tale causa perturbatrice in sostanza

175
consenta di individuare la sezione a valle del tratto di corrente lenta da cui si traccia il profilo della
stessa; e la sezione a monte del tratto di corrente veloce da cui si traccia il profilo di quest’ultima.
Ciò si verifica in corrispondenza di un cambio di pendenza dell’alveo, come in fig. 11.25, o di
scabrezza, come in fig. 11.26, in modo da trovare a monte un alveo a debole pendenza e a valle un
alveo a forte pendenza.

Figura 11.25

Figura 11.26

Ragionando in modo analogo, si può immaginare che la trasformazione senza discontinuità di una
corrente veloce in una corrente lenta si possa verificare con un profilo D3 che termini con lo stato
critico e sia seguito da un profilo F1. Anche qui è necessario un cambio di pendenza o di scabrezza
in corrispondenza della sezione dove si è supposto lo stato critico, perché il profilo D3 appartiene
agli alvei a debole pendenza mentre il profilo F1 agli alvei a forte pendenza (fig. 11.27).
Ma, a differenza del caso precedente, il profilo D3, che è di corrente veloce, dev’essere causato da
una perturbazione a monte; mentre il profilo F1, che è di corrente lenta, dev’essere causato da una
perturbazione a valle.

Figura 11.27

Non si verifica mai, in pratica, che possano esistere insieme un cambio di pendenza e due cause
perturbatrici poste nella esatta posizione per cui lo stato critico si trovi esattamente nella sezione in
cui cambia la pendenza.

176
La trasformazione di una corrente veloce in corrente lenta non avviene mai, dunque, con continuità,
con un passaggio per lo stato critico.

11.10 Il risalto idraulico


La trasformazione di una corrente veloce in corrente lenta avviene attraverso un fenomeno noto
come “risalto idraulico” o “salto di Bidone”, da Giorgio Bidone, idraulico italiano (1781-1839), che
insegnò a Torino e condusse degli studi sperimentali sulle correnti a superficie libera (Expériences
sur la propagation des remous – 1826).
Il fenomeno si presenta come un vortice ad asse orizzontale, con dissipazione di energia, che si
sviluppa in un tronco d’alveo a monte del quale si trova un profilo di corrente veloce (D3 se è i<ic, o
F2, F3 se è i>ic ) e a valle del quale un profilo di corrente lenta (D1 o D2 se è i<ic, F1 se è i>ic ).
Se si considera l’equilibrio del tronco compreso tra le due sezioni 1 e 2, la prima di corrente veloce
e la seconda di corrente lenta , come in fig. 11.28, attraverso l’equazione globale

M1
1 G -M2
G sen 2
 Figura 11.28

G +  + M1 – M 2 = 0
e se ne considera la proiezione nella direzione del moto
Gsen + 1 - 2 – R + M1 – M2 = 0
dove 1 e 2 sono le spinte sulle sezioni 1 e 2 rispettivamente, e R è la risultante delle azioni
tangenziali sulla parete e sul fondo, trascurando la differenza Gsen– R si ottiene
1 - 2 + M1 – M2 = 0
ovvero
 1 + M1 =  2 + M2 .
Le 1 e 2 sono le spinte idrostatiche che agiscono sulle sezioni 1 e 2, mentre le M1 e M2 sono le
spinte idrodinamiche o quantità di moto. La somma
S =  1 + M1 =  2 + M2
è detta “spinta totale della corrente”.
Risulta, per una generica sezione,
 = p0 A,
dove p0 è la pressione nel baricentro e A è l’area della sezione; e
M =  Q v =  A v2,
dove Q è la portata e v è la velocità.

Volendo studiare la variazione di S con l’altezza h, si può vedere facilmente che la spinta idrostatica
è zero per h=0, e che essa è crescente con h; mentre la spinta idrodinamica tende a zero per h che
177
tende all’infinito, poichè in questo caso la velocità tende a zero; e tende ad infinito per h tendente a
zero, perchè in questo caso la velocità tende all’infinito.
La funzione S(h) avrà allora un minimo, come in fig. 11.29, e si può dimostrare che esso si verifica
per h=hc .

La dimostrazione è immediata per la sezione rettangolare, nella quale è


1 2 Q 2
S  h L  ;
2 Lh
derivando rispetto a h si ottiene
dS Q 2
 Lh  ;
dh Lh 2
e posto
dS
0
dh
si ottiene

Q2
h 3
gL2
che è proprio l’espressione dell’altezza
critica in sezione rettangolare.

La curva delle S viene perciò divisa in


due rami, quello delle correnti lente
(h>hc) e quello delle correnti veloci (h <
hc). Esistono sempre due altezze, una di
corrente lenta h1, e una di corrente
veloce h2, che presentano la stessa spinta
totale; esse si dicono “altezze coniugate
del risalto”.

La nozione di spinta totale permette


anche di localizzare la posizione del
risalto in un alveo in cui si verifichi un
passaggio da corrente veloce a corrente
Figura 11.29 lenta.
Si procede tracciando il profilo della corrente veloce, partendo da monte, e valutando per ognuna
delle altezze la corrispondente spinta S(h1). Da valle si traccia poi il profilo di corrente lenta,
valutando allo stesso modo per ogni altezza la corrispondente spinta S(h2).
Il risalto si localizza dove è soddisfatta l’equazione
globale dell’idrodinamica, cioè dove è S(h1) = S(h2),
come in fig. 11.30. In questo caso le altezze h1 e h2 si
attribuiscono alla stessa sezione, trascurando la
lunghezza del risalto.
Figura 11.30

178
Applicazioni
11.11 Casi particolari
Passaggio al di sotto di una paratoia
Si consideri un canale alimentato da un serbatoio munito di una paratoia. Manovrandola, si possono
presentare nel canale diversi profili di moto permanente.
Quello che differenzia i profili, sostanzialmente è la condizione di alveo a debole o a forte
pendenza.
Esaminiamo
dapprima la condi-
zione di debole pen-
denza. Allo scopo
basta che il fondo del
canale sia
orizzontale.
Allo sbocco si forma
l’altezza critica

P2
Figura 11.31 hc  3 ;
g
dallo sbocco a monte si trova un profilo di corrente lenta accelerata, che tende a raggiungere il moto
uniforme all’infinito a monte.
Ammettiamo dunque di trovarci in questa situazione, e abbassiamo la paratoia (fig. 11.31).
A valle della paratoia osserviamo un profilo di
Figura 11.32 corrente veloce ritardata, che si raccorda con un
risalto al profilo di corrente lenta. L’effetto può
essere variato regolando l’altezza della corrente
da valle.
Ci sono tre modi per verificare che si tratta di una
corrente veloce.
Il primo modo consiste semplicemente
nell’osservare l’andamento delle perturbazioni.
In secondo luogo, possiamo anche osservare che il
profilo di corrente è determinato dalla apertura
della paratoia, che si trova a monte; pertanto la
corrente è veloce.
Possiamo infine osservare che a monte della

paratoia la corrente ha un’altezza superiore a Figura 11.33


quella effluente: ci troviamo dunque in presenza
di una corrente che, con la stessa energia H
(ammesso che non vi siano perdite importanti
nel passaggio sotto la paratoia) presenta due
differenti altezze: (fig. 11.32), pertanto l’altezza
maggiore, h1, apparterrà alle correnti lente, e
quella minore, hv, apparterrà alle correnti veloci.
Per fissare le idee, poniamo nota la portata Q e
l'apertura a della paratoia. Immediatamente a
valle di questa si trova una sezione contratta, la
cui area sarà a b Cc; poiché la sezione è
rettangolare, si potrà determinare hv = a Cc.
179
D’altra parte, la velocità è nota, essendo
Q
VV 
CC a b
(Si può, se necessario, introdurre un coefficiente di velocità Cv; in questo caso si riscontrerà una
perdita di carico).
Quindi a valle della paratoia avremo
VV2
Eh
2g
Note le caratteristiche del canale, si potrà tracciare il profilo della corrente veloce ritardata a partire
dall'altezza della sezione contratta.
Il risalto si posiziona valutando le spinte.
A monte della paratoia, ci si trova con
un’altezza di corrente superiore a quella del
moto uniforme. Tale condizione sarà raggiunta
all’infinito a monte, con un profilo di corrente
lenta ritardata in alveo a debole pendenza. Tale
profilo, data la brevità della parte a monte del
Figura 11.34 canale, non si può vedere, ma si riesce
facilmente ad immaginare.
Si può ora osservare che, alzando gradualmente la paratoia, il risalto tende a spostarsi verso monte.
Ciò avviene perché, osservando la curva delle spinte (fig. 11.33), si vede che, aumentando l’altezza
della corrente veloce, la spinta diminuisce; nessuno intanto ha toccato la corrente lenta; perciò,
diventando superiore la spinta da valle, il risalto tende ad avvicinarsi alla paratoia. Alla fine esso
sarà “annegato” e successivamente scomparirà ogni forma di perturbazione superficiale.
Si creino ora le condizioni di corrente veloce.
Allo scopo basta inclinare il canale
fino a verificare che le
perturbazioni non si propagano a
monte. Basterà introdurre una
matita e verificare che i due fronti
d’onda si presentino con la classica
forma (fig. 11.34).
Se abbassiamo la paratoia (fig.
11.35), essa avrà effetto sulla
corrente a monte solo quando si
saranno create le condizioni per le
Figura 11.35
quali la stessa corrente a monte sarà
diventata lenta.
In questo caso, a monte si forma un profilo di corrente lenta in alveo a forte pendenza, di cui
possiamo vedere solo la prima parte, che terminerebbe a monte con un risalto (fig. 11.36).

A valle, si troverà un profilo di


corrente veloce, ritardata o accelerata
a seconda che l’apertura a risulti
minore o maggiore di h0 (fig. 11.37):
Nel caso in esame, infatti, data la
brevità del tronco a monte, è possibile
che originalmente in esso non vi siano
Figura 11.36 180
le condizioni di moto uniforme, ma un profilo di corrente veloce accelerata (fig. 11.38), dentro il
quale si introduce la paratoia. Se il tronco a monte fosse abbastanza lungo, questa condizione non si
verificherebbe, poichè, quando la paratoia tocca la corrente, essa si trova già all’altezza del moto
uniforme.

Figura 11.37

Figura 11.38

Passaggio su una soglia.


Consideriamo ora il caso di una corrente che passa su una soglia di fondo, di altezza a.
La corrente sia lineare in una
sezione 1 a monte della soglia e
in una sezione 2 sulla soglia.
Inoltre considereremo nulla la
perdita di energia nell’intorno
della soglia (fig. 11.39).
Per il teorema di Bernoulli tra le
sezioni 1 e 2, avremo
Figura 11.39
Figura 11.40
V12 V22
h1   a  h2 
2g 2g

E1  a  E 2
Nella sezione 2 si ha comunque un’energia
rispetto al fondo minore che nella sezione 1.
Osserviamo ora la curva dell’energia rispetto
al fondo (fig. 11.40):
È evidente che, se la corrente a monte è
veloce, l’altezza sulla soglia, h2, è maggiore
dell’altezza a monte h1. Se invece la corrente
è lenta, l’altezza sulla soglia h2 è minore dell’

181
altezza h1. Si dice perciò che la corrente lenta si deprime, e che la corrente veloce si innalza.
Questo fenomeno si può osservare creando nel canale una corrente lenta o veloce, agendo come nel
caso precedente, e introducendovi una soglia bassa.
Se però la soglia è abbastanza alta, quando ci si abbassa di a dal punto (E, h) relativo alla corrente a
monte della soglia, è possibile che risulti E - a < Ec.
In questo caso la corrente non passa sulla
Figura 11.41 soglia nelle condizioni previste. Essa
infatti non possiede l’energia minima
necessaria.
Pertanto la corrente dovrà guadagnare
l’energia minima necessaria, aumentando
il suo livello a monte. Poiché la soglia in
questo caso agisce controllando la
corrente, essa, a monte della soglia, non
potrà che essere lenta.
Fissata dunque sulla soglia l’energia
minima, la corrente si troverà allo stato
critico sulla soglia stessa, con energia

3 3 P2
E c  hc  3
2 2 g

Figura 11.42

rispetto alla soglia, e con energia E = a + Ec immediatamente a monte di essa (fig. 11.41).
Ora distinguiamo il caso che la corrente indisturbata nell’alveo sia lenta o veloce.
Se la corrente è lenta, avremo a monte un profilo di corrente lenta ritardata in alveo a debole
pendenza, D1, che si raccorda al moto uniforme all’infinito a monte; e, a valle, avremo un tratto di
corrente veloce ritardata, D3, che termina con un risalto. Ciò è vero perché risulta hv < h0 (fig.
11.42).
Le altezze della corrente a monte e a valle della soglia, hm e hv, si possono facilmente valutare
supponendo costante l’energia rispetto al fondo nel breve tratto interessato dalla soglia, e ponendo

Figura 11.43

Vm2
a  E c  hm 
2g
e
182
Vv2
a  E c  hv 
2g
Se si inclina il canale, si creano le condizioni per cui, invece, la corrente indisturbata è veloce.
Ora, supponendo condizioni di moto uniforme con i > ic, si troverà a monte della soglia un profilo
di corrente lenta ritardata in alveo a forte pendenza, F1, che termina verso monte con un risalto, e a
valle un profilo un profilo di corrente veloce ritardata, che tende al moto uniforme (fig. 11.43).

Passaggio attraverso una sezione ristretta:


Con diverso criterio esamineremo il passaggio attraverso un restringimento di sezione del canale,
quale può essere un ponte con grosse
pile in alveo, o un tombino realizzato
con uno scatolare o con un tubo (fig.
11.44).
Continuiamo, per semplicità, a
considerare la sezione rettangolare.
Faremo inoltre l’ipotesi che l’energia
della corrente rispetto al fondo non
vari a causa della strozzatura nella
sezione.
Il caso si studierà quindi
considerando la curva p, h a energia
costante (fig. 11.45).
Risulta evidente che, aumentando la
portata per unità di larghezza, la
corrente lenta subisce un
abbassamento, mentre la corrente
veloce subisce un innalzamento di
Figura 11.44 livello; la sezione singolare ha
dunque lo stesso effetto del passaggio
su una soglia.
Il calcolo dell’altezza nella sezione ristretta, hr, è immediato. Basta infatti porre
Vr2
E  hr 
2g
Figura 11.45
e, ovviamente, scegliere la soluzione che conviene
al caso in esame.
Anche qui è però possibile che, messa di fronte a
un restringimento eccessivo, la corrente non riesca
a passare come si era previsto. Ciò accade quando
la portata per unità di larghezza va a finire fuori
dalla curva tracciata: se fissiamo una larghezza b
tale che Q/B > pc ricadiamo in questo caso (fig.
11.46).
Tuttavia, poiché si è supposto che la portata a
monte rimanga costante, a meno che questa non
venga a ridursi, la corrente passerà variando la sua
energia rispetto al fondo, assumendo il valore
minimo che le permette di transitare dalla sezione ristretta.

183
Si porrà dunque
Q
p C' 
b
e dovrà essere
Figura 11.46 Pc 2
hc 3 
g
e
3
E C'  hc
2
La corrente pertanto passa dalla sezione ristretta
con energia maggiore rispetto alla curva della
corrente indisturbata (fig. 11.47).

Figura 11.47

Poiché il restringimento ha influenza a monte, la


corrente a monte di esso non può che essere
lenta.
Ci troveremo dunque in due casi, analoghi al
passaggio sulla soglia.
Nel primo, la corrente indisturbata è lenta. Si ha
un profilo di corrente lenta ritardata nel tratto a
monte, a debole pendenza. Nella sezione ristretta
si ha lo stato critico. A valle la corrente diventa
veloce, come sempre dopo il passaggio per lo
stato critico. Si traccia dunque, dal
restringimento verso valle un profilo di corrente
veloce. Esso sarà interrotto dal risalto quando le
spinte da valle e da monte si uguagliano (fig.
11.48).

Figura 11.48

Nel secondo caso, la corrente indisturbata è veloce. Si ha, a monte, un tratto di corrente lenta in
alveo a forte pendenza, interrotto a monte dal risalto; la corrente passa per lo stato critico nella
sezione ristretta, e va a raggiungere il moto uniforme all’infinito a valle con un profilo di corrente
veloce ritardata. (fig. 11.49).

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Il fatto che a valle si trovi un profilo di corrente veloce ritardata (hv < h0) si può dedurre dall’esame
della curva H, P (fig. 11.50).

Figura 11.49

Passato il restringimento, con la nuova energia la stessa portata unitaria P, si trova ad un’altezza hv
inferiore a quella del moto uniforme.

Figura 11.50

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