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Misure meccaniche: introduzione

October 3, 2010

1 Introduzione alle misura


1.1 Procedimenti conoscitivi.
Misurare signica conoscere e conoscere signica misurare: in che stato si trova,
come evolve e quanto bene sta procedendo un processo tecnologico.
La logica di un processo conoscitivo si fonda su tre passi:

ˆ Classicazione: individuazione delle caratteristiche o delle proprietà


salienti di un oggetto o di un fenomeno sico; raggruppamento degli ogget-
ti o dei fenomeni in classi ove le proprietà individuate siano omogenee
(metodo conoscitivo qualitativo).

ˆ Ordinamento: considerazione delle proprietà che possano essere ordi-


nate secondo una scala (forma di quanticazione delle proprietà, basata
sull'intensità della proprietà selezionata).

ˆ Misurazione: associazione alla proprietà considerata in modo univoco di


un numero che la rappresenta ogni volta che tale proprietà si manifesta
eguale a se stessa. Si instaura così una scala di misura (si stabilisce
una corrispondenza biunivoca tra le proprietà siche degli oggetti o dei
fenomeni, ed i numeri reali.

Una operazione di misura è costituita da un insieme di regole e/o conven-


zioni, o anche da un procedimento sperimentale, per mezzo dei quali alla propi-
età sica sotto osservazione viene associato un numero . Il numero è la misura
della grandezza considerata!
Non si potrà mai conoscere il valore reale di una grandezza perchè il processo
di misuraperturba la grandezza da misurare. C'è quindi una certa approssi-
mazione , denita impropriamente errore il quale può essere reso piccolo, ma
mai nullo!

1.2 Concetto di misura.


A
ˆ = α misura di A (grandezza sica) rispetto a B (grandezza omoge-
B
nea con A). α esiste sempre ed è un numero reale.

1
A
ˆ = a misura di A, dove U è una grandezza campione o unità .
U
A B
ˆ Esempio: lunghezze = a metri, temperature = b gradi centigradi
m °C
ˆ Per le misure a e b valgono le proprietà che valgono per i numeri reali:
A B
somma, dierenza, prodotto ecc.. Esempio: A + B ⇐⇒ + = a + b.
U U
ˆ Si instaura una corrispondenza biunivoca tra le grandezze omogenee
e i numeri reali ⇒ associare un numero ad una grandezza sica consiste
nell'individuare una unità U !

1.2.1 Cambiamento dell'unità di misura.


A
ˆ Se scelgo una nuova unità U' omogenea con A sarà: = a0 6= a.
U0
A A U
ˆ Per passare da a ad a' sarà suciente eseguire il calcolo:
0
= · =
U U U0
A U
· τ =⇒ a0 = a · τ con τ= fattore di ragguaglio .
U U0
ˆ Esempi:

U 1mm
 voglio passare da mm a km - U=mm, U '=km τ = = 6 =
U0 10 mm
10−6 km
= 10−6 =⇒ 2000mm · 10−6 = 2 · 10−3 km = 0, 002km
1km
1kg 103 g
 voglio passare da kg a g - U=kg, U '=g τ = −3 = = 103
10 kg 1g
1s
 voglio passare da secondi a giorni - U=s, U '=giorni τ = =
12 · 60 · 60giorni
−1
(12 · 60 · 60) s 1
= = 2, 3148·10−5 =⇒ 56000s·2, 3148·10−5 ≈
1giorni 43200
1, 296giorni

ˆ E' possibile mettere in relazione le misure di grandezze diverse?

1.2.2 Grandezze di misura fondamentali e derivate


ˆ Grandezze geometriche

Lunghezza [L] grandezza fondamentale UL = m


 2

Area [A] = [L × L] = L

2
1.3 Sistema Tecnico (S.T.) e Sistema Internazionale (S.I.)
Gli ingegneri usavano (e usano) il Sistema Tecnico (o pratico) per il quale le unità
fondamentali sono: Lunghezza (metro), Tempo (secondo) e Forza (kilogrammo-
forza kgf ). Nel Sistema Internazionale metro e secondo sono uguali mentre la
terza unità fondamentale è la massa (kilogrammo-massa kgm ). Che relazione
c'è tra kgf e kgm ?

1kgf = 1kgm · 9, 81ms−2 = 9, 81N


1kgf
Quindi = 9, 81 cioè il kgf è circa 10 volte più grande dell'unità di forza
1N
del S.I..

E come è denita la massa nel S.T.?


1kgf 1kgm · 9, 81ms−2
1mp = −2
= = 9, 81kgm
1ms 1ms−2
1mp
Quindi = 9, 81 cioè l'unità di massa pratica è circa 10 volte più grande
1kgm
dell'unità di massa del S.I..

Come si passa da un sistema ad un altro usando i fattori di ragguaglio?


Bisogna comunque conoscere preventivamente le relazioni sopra riportate.

L'unità di misura della massa pratica è quindi derivata e la sua equazione


[M ] = F · L−1 · t2
 
dimensionale è:

Esempio 3kgm nel S.I. a quanta massa pratica equivalgono? Cioè 3kgm =
(?)mp . Oppure: mST = mSI · τ , quanto vale τ ?
Um(SI) 1kgm
Sappiamo che 1mp = 9, 81kgm quindi τ = = = 0, 102.
Um(ST ) 9, 81kgm
kgf s2
Sarà quindi mST = 3kgm · 0, 102 = 0, 306 .
m
UF (SI)
Lo stesso vale per le forze in quanto FST = FSI · τ , dove τ = =
UF (ST )
1N
= 0, 102.
9, 81N

 Ora possiamo
 per esempio calcolare il peso specico dell'aria nel S.T.: [γ] =
Fp kgf
= 3
V m
Legge dei gas perfetti: pV = RT .
Siamo in condizioni standard:

kgf ∼ kgf
ˆ p = 1Atm = 10333 =1 2
m2 cm
ˆ T = 25°C = 298K
kgf m
ˆ R = 29, 27
K

3
RT 29, 27 · 298 3 1kgf
quindi V = = m = 0, 844m3 ; in denitiva: γST = =
p 10333 0, 844m3
kgf
1, 19
m3
Per passare al S.I. bisogna trasformare i kgf in Newton moltiplicando per
N N
9,81: γSI = 1, 19 · 9, 81 3 = 11, 67 3 .
m m
Ora per calcolare la massa specica sia nel S.T. che nel S.I. si può procedere
come segue:
 
M kgm
ˆ [ρ] = e questa equivale alla ρSI = 1, 19 . Per trasformarla e
V m3
scriverla nel S.T. devo trasformare la massa in massa pratica e quindi:
1, 19 mp kgf s2
ρST = = 0, 121 .
9, 81 m3 m4

1.4 Misurazione
Lo strumento di misura eettua il rapporto tra la grandezza da misurare A e
A
l'unità di misura U scelta per quella grandezza: = a. Il risultato di questa
U
operazione è il numero a che quantica in modo oggettivo l'ampiezza o l'inensità
della grandezza in esame. Siamo in grado di distinguere tra:

ˆ Misure dirette, eseguite con strumenti che operano il confronto diretto


tra A ed U. Sono semplici, piuttosto precise ma relativamente rare.

ˆ Misure indirette, ottenute applicando una legge sica. Se voglio la


x
velocità, misuro spazio e tempo e poi applico la: v = . Sono misure
t
relativamente diuse ma soggette a incertezze maggiori (propagazione degli
errori )

ˆ Misure con strumenti tarati, eseguite mediante strumenti che hanno


memorizzato al loro interno una volta per tutte il campione U della
grandezza A da misurare. Sono le più diuse in campo scientico e tecnico.

Altra possibile classicazione:

ˆ Strumenti diretti: senza trasformazione della grandezza sica.

ˆ Strumenti indiretti: con trasformazione della grandezza sica:

 Analogici: Strumenti a deessione (con quadrante graduato),


Strumenti di zero ( con indice muto), Strumenti registratori
(memorizzano la funzione y = f (t))
 Numerici: a memoria, a microprocessore, digitali.

4
1.5 La catena di misura
Schema generale di uno strumento di misura:

A → Sensore o trasduttore → M odif icatore del segnale → Strumento terminale → a

Questo schema rappresenta una catena di misura (ad anello aperto). Cias-
cuno stadio può essere suddiviso in uno o più sottostadi a seconda della comp-
lessità dello strumento.

1.6 Le qualità metrologiche degli strumenti


La prima domanda che ci si deve porre è: che cosa si vuole misurare e perchè?

1. Si vuole avere un controllo di massima di una grandezza sica?

2. Si desidera fare una misura scientica rigorosa?

3. Si desisera utilizzare il valore della misura per un controllo automatico?

4. Si vuole conoscere entro quali limiti può variare una grandezza per im-
postare un segnale di allarme?

In ogni caso va sempre denita a priori la qualità che la misura deve possedere
per rispondere alle attese di chi compie la misura. Qualità elevata signica
ottenere misure meno ambigue possibili, con bassa incertezza e costo elevato.
Le caratteristiche o qualità metrologiche esprimono quantitativamente
le prestazioni di uno strumento o di un metodo di misura.
Schema del procedimento logico che orienta una misura:

grandezza A → ST RU M EN T O → misura a

1. Si sceglie lo strumento in base al campo di estensione della grandezza da


misurare, in base all'entità delle variazioni che si prevede la grandezza
possa avere e alla velocità di variazione che la grandezza può manifestare.

2. Sul dispositivo di uscita dello strumento si legge il dato numerico a.

3. Per mezzo della graduazione dello strumento al dato numerico si associa


l'unità di misura U eseguendo di fatto l'operazione di misura: a · U = A.
4. Si è ottenuta la misura bruta della grandezza sica A. Bisogna individ-
uare le incertezze associate alla misura bruta, corregere il dato ottenuto e
passare alla misura corretta.

5. Con gli strumenti digitali è possibile eseguire molte misure a1 , a2 , ..., an


e procedere ad un'analisi statistica dei dati.

5
Le caratteristiche metrologiche sono cinque, deniscono in modo quanti-
tativo le prestazioni dello strumento e sono la misura della qualità dello
strumento .

1. CAMPO DI MISURA

2. SENSIBILITÀ

3. PRECISIONE

4. FINEZZA

5. RAPIDITÀ

1.6.1 Campo di misura


Il campo di misura è l'intervallo compreso tra i valori minimo e massimo della
grandezza misurabili dallo strumento e, all'interno del quale, sono valide tutte
le altre qualità metrologiche (nessuno strumento può misurare una grandezza
sica da 0 a ∞).
Denizioni:

ˆ Portata minima. Valore al di sotto del quale la accuratezza dello


strumento non è garantita.

ˆ Portata massima. Valore al di sopra del quale la accuratezza dello


strumento non è garantita.

ˆ Sovraccarico nominale. Valore superiore alla portata massima oltre il


quale lo strumento non sopporta più la grandezza in ingresso e si danneg-
gia.

Come sono distribuite le tacche della numerazione sul quadrante dello stru-
mento? Sono equidistribuite o si addensano verso una delle due zone estreme?
La legge di distribuzione spaziale delle divisioni che costituiscono la scala
dello strumento prende il nome di curva di graduazione .
Essendo una legge (sica) essa può essere rappresentata in forma matematica
da un'equazione. Schema:

i → ST RU M EN T O → u u = f (i)

ˆ se l'equazione è di 1° grado (retta) lo strumento si dice lineare!

ˆ se l'equazione è di 2° grado (quadratica) lo strumento si dice quadratico!

Esempio. Il termometro a liquido a (mercurio o alcool). La legge con cui varia il


volume al variare della temperatura è: V = V0 (1 + α · ∆T ) che, dopo semplici
passaggi diventa: ∆V = V0 α · ∆T . Ma ∆V = S · ∆h. Combinando le due si
α · V0 α · V0
ottiene: ∆h = ∆T che, considerando = tan φ costante, rappresenta
S S
una legge di variazione l'ingresso i = ∆T e l'uscita u = ∆h.

6
La curva di taratura è un procedimento sperimentale che non conosce
nulla sul principio di funzionamento dello strumento.
Costruzione della curva di taratura come dierenza tra i campioni della
grandezza d'ingresso ub e i campioni di riferimento u la cui precisione è di
almeno un ordine di grandezza superiore ai primi. La u − ub = f (ub ) è la curva
di taratura, cioè la curva degli scarti tra la lettura del valore ub e il valore di
riferimento u, per ogni uscita ub .
ˆ Se u−ub > 0 → u > ub lo strumento della serie sottostima la grandezza
ub si deve aggiungere lo scarto indicato.
in ingresso, quindi a

ˆ Se u−ub < 0 → u < ub lo strumento della serie sovrastima la grandezza


ub si deve sottrarre lo scarto indicato.
in ingresso, quindi a

1.6.2 Sensibilità
La sensibilità è l'attitudine dello strumento a rilevare piccole variazioni della
grandezza in ingresso; è il più piccolo ingresso ∆i capace di provocare l'uscita
∆u
∆u. Si può denire come S= e, al limite per ∆i → 0 si può scrivere:
∆i
∆u du
S = lim =
∆i→0 ∆i di
du
Se u = f (i) è la curva di graduazione,S = è la sua derivata. La sensibilità
di
diventa così il coeciente angolare della curva di graduazione punto per punto.
Se:

ˆ u = ki + a → S = k strumento lineare → sensibilità costante.

ˆ u = ki + ai + b → S = 2ki + a
2
strumento quadratico → sensibilità
lineare, quindi crescente con i. Ciò signica che lo strumento è più sensibile
a fondo scala.

k
ˆ u = k log i → S = strumento logaritmico → sensibilità iperbolica,
i
calante con i. Ciò signica che la sensibilità è alta nella zona iniziale della
k
scala e poi decresce come .
i

N.B. La sensibilità S non può essere denita semplicemente come  la più


piccola variazione ∆i della grandezza in ingresso che lo strumento riesce a rile-
vare . Essa infatti può variare dipendentemente dall'intensità della grandezza in
ingresso. Si potrebbe chiamare risoluzione , ma anche questa non è del tutto
precisa essendo usata per gli strumenti digitali.

du
In denitiva essendo la sensibilità S= essa è una qualità intrinseca dello
di
strumento che dipende dalla legge sica sulla quale è basato il suo funziona-
mento.

7
1.6.3 Precisione
La precisione è l'attitudine dello strumento a fornire il valore vero (che non è
conoscibile in quanto si dovrebbe acquisire una quantità di informazioni innita )
della grandezza misurata.
Per quanticare la precisione si cominciare con il denire l'errore come la
distanza tra il valore della misura ed il valore vero: | amisurato − avero |.
Più che di errore si parla di incertezza in quanto l'errore è involontario e
non immediatamente quanticabile. Per esprimere l'incertezza si usa l'errore
relativo :
a − av
ε(%) = · 100
a
Denizione operativa della misurazione:
La misura è un procedimento conoscitivo che tende ad avvicinarsi quanto
più possibile alla realtà, riducendo al minimo possibile l'incertezza. Schematiz-
zazione degli errori:

ˆ Errori sistematici : tutti quegli errori per i quali si riesce ad identi-


care una causa. Malfunzionamento dello strumento, cattive condizioni di
utilizzo, forti disturbi esterni, strumento fuori calibrazione. Questi errori
devono essere eliminati. Se le condizioni di misura non variano, gli errori
sistematici hanno la caratteristica di essere polarizzati, ovvero lo scarto
amisurato − avero (bias ) si presenta sempre con lo stesso segno (dalla
stessa parte di avero ). Gli errori sistematici vengono eliminati con una
taratura (ricalibrazione ) dello strumento e dedicando la giusta attenzione
alle modalità di misura con le quali si eseguono le misure.

ˆ Errori casuali : tutti quegli errori per i quali non si riesce ad identicare
la causa. La somma di tutti questi errori è detto errore residuo (una volta
eliminati tutti gli errori sistematici).

Per la valutazione dell'errore residuo si può procedere in due modi:

ˆ Metodo a priori: con il quale si cerca di valutare il contributo delle


varie cause di errore, una per una, incontrando però la dicoltà di dover
annullare (o almeno minimizzare) l'eetto di tutte quelle cause che non
sono in esame al momento.

 Errori di lettura : per gli strumenti analogici con indicatore ad ago


o simili, dovuti al limitato potere risolutivo dell'occhio (1/1000 della
distanza da cui si guarda), all'incertezza di interpolazione (per stru-
menti lineari un 10% della distanza tra le tacche, di più per strumenti
non lineari), al rumore meccanico di fondo, all'errore di parallasse
(posizionamento dell'occhio non perpendicolare rispetto al quadrante
εp = d tan ϕ con d distanza tra l'indice e la scala).

8
 Errori di mobilità : dovuti ad attriti e recupero di giochi nei movi-
menti delle parti meccaniche degli strumenti (denito come εmob =
ε+ − ε−
). Per strumenti non meccanici si parla di errori di soglia .
2
 Errori di isteresi : dovuti alla elasticità e visco-elasticità dei ma-
teriali che costiutiscono le parti sotto sforzo degli strumenti: εist =
ε+ − ε−
.
2
 Errori di fedeltà : quantica l'insensibilità dello strumento ai dis-
turbi (grandezze d'inuenza ) esterni (temperatura, umidità, campi
elettromagnetici, vibrazioni meccaniche, pressione atmosferica, sis-
temi di riferimento non inerziali...). La valutazione avviene attraverso
misurazioni ripetute con la grandezza d'ingresso mantenuta rigorosa-
mente costante. Se lo strumento non si spegne e si eseguono misure
ripetute e brevi si parla di ripetibilità . Se lo strumento è soggetto
a degli spegnimenti e lunghi intervalli si parla di stabilità .
 Errore di zero : dovuto alla perdita di calibrazione dei componenti
meccanici (molle di registrazione) o elettrici (trimmer) o all'invecchiamento
dei componenti elettronici. Si dice che lo strumento va in deriva. Il
primo grave eetto della deriva è la perdita dello zero che non viene
recuperato resettando lo strumento.

 Errori di taratura o delle grandezze di riferimento : dovuti


a problemi al momento dell'operazione p
di taratura e alle incertezze
sulle grandezze di riferimento A: εt = α2 + β 2 dove ±α sono gli
errori delle grandezze di riferimento e ±β sono gli errori dovuti al
sullo stru-
tracciamento della scala sullo strumento della serie; errori p
mento ( tipo y) : y − yb . Il totale è: εT OT = y − yb ± α2 + β 2 .
Se è il costruttore
p che fornisce il dato si parla di errore di giustezza
εG = y−yb ± α2 + β 2 e rappresenta il massimo scostamento rilevato
sull'intero campo di misura durante la taratura stessa. In denitiva
si indica con ±εG .

La somma in quadratura di tutti gli errori individuati denisce la classe


pP !
2
i εi
di precisione di uno strumento C.P. = e si esprime
portata massima
quindi in % del Fondo Scala.

Esempio: un dinamometro con C.P.=0,5 e portata massima di 100 N quando


misura 100 N commette un errore percentuale di 0,5% cioè 0,5 N. Ma anche
quando misura 5 N commette un errore assoluto pari allo 0,5% di 100 N ovvero
0, 5 N
0,5 N che ora risulta essere un errore percentuale del = 0, 1 = 10%.
5N
Quindi gli strumenti per cui è dichiarata una C.P. è bene usarli con ingressi
vicini al fondo scala, pena un aumento dell'errore percentuale.

9
ˆ Metodo a posteriori: si disinteressa completamente di individuare cias-
cuna causa d'errore, richiede l'acquisizione di un numero n signicativo
di misure, tutte della stessa grandezza mantenuta rigorosamente costante.
Si tratta di un tipico approccio di post-elaborazione. Postulato: il valore
vero è ignoto e non può essere conosciuto! Bisognere avere innite mis-
ure ed elaborarle cosa non possibile. La conoscenza esatta non costituisce
neppure l'obiettivo nale del metodo a posteriori.

Segnata su un'ascissa orientata la misura x di X (valore vero) si può cer-


care di determinare almeno un  intorno di x  dove potrebbe essere incluso
X. La zona di incertezza sarà x = xb ± δx dove xb è la migliore rappre-
sentazione (x best) del valore vero xv e δx è il parametro di larghezza
della fascia di incertezza.

Per quanticare i parametri sopra esposti si eettuano una serie di n mis-


ure: x1 , x2 , ..., xn che non siano aetti da errori sistematici ma solo da
errori casuali. E' ragionevole scrivere:

n
1X
xb = x = xi
n i=1

cioè si è quanticata xb . Ora si può quanticare il parametro di larghezza


mediante il valor medio delle deviazioni o scarti :

di = xi − x
deviazione o scarto ... in genere piccolo e maggiore o minore di zero.
Ma:
n n n n
1X 1X 1X 1X 1
d= di = (xi − x) = xi − x=x− ·n·x=0
n i=1 n i=1 n i=1 n i=1 n

quindi non è un parametro utile, infatti gli scarti sono per denizione
mediamente equispaziati dal valor medio x. Bisogna elaborare una nuova
denizione per il parametro di larghezza. Elevando al quadrato tutti gli
scarti si ottiene lo scarto quadratico medio che elimina il problema
dell'alternanza dei segni ma sovrastima il parametro di larghezza. Si estrae
quindi la radice dello scarto quadratico medio e si ottiene:
v
u n
u1 X 2
σx = t (xi − x)
n i=1

la deviazione standard !
Se n ≤ 10 la σx sottostima l'ampiezza della fascia di incertezza. In questi
casi conviene prendere in considerazione la:
v
u n
u1 X 2
σx = t (xi − x)
n i=1

10
la deviazione standard del campione! Per n ≥ 100 la dierenza tra le
due denizioni risulta praticamente trascurabile. La deviazione standard,
nelle due denizioni sopra riportate, quantica ecacemente la larghezza
della zona di incertezza intorno al valor medio: xi = xn+1 = x+σx . Esiste
la garanzia che ogni misura xi del campione, o anche che ogni misura
successiva xn+1 , cada sicuramente all'interno della zona di incertezza così
individuata? Non si dispone ancora di alcuna giusticazione teorica e
logica per aermare tale garanzia! Occorre stimare in qualche modo la
ducia che si ripone nella fascia di incertezza la cui ampiezza è determinata
dalla deviazione standard.

Si consideri l'intorno delle n misure e si istituiscano un certo numero


di intervallini ∆k di ampiezza tale che ogni intervallino contenga almeno
una misura (così il numero dei ∆k è direttamente proporzionale al numero
delle n misure). Più dati si hanno e più ∆k si possono ssare e la loro
ampiezza diventa sempre minore. Ora su ogni intervallino si può elevare
un rettangolo con altezza proporzionale al numero di misure che cadono
nell'intervallino stesso. Se le misure sono aette solo da errori casuali si
ottiene una gura detta istogramma delle frequenze di misura. La
curva a gradini che delimita l'altezza massima dei rettangoli prende il
nome di curva di distirbuzione delle frequenze .
Si indica con:

 nk il numero di misure (osservazioni ) che cadono entro ∆k ;


n
 fk = k frequenza delle osservazioni (misure) che cadono entro
n
∆k ;
P P
Ovviamente: k nk = n e k fk = 1
L'istogramma delle frequenze è normalizzato per denizione! L'area fk ·∆k
rappresenta la frazione di P
misure 0,xy<1
P che cadono in ∆k . A questo

i xi k xk nk P
punto si può scrivere: x= = = k xk fk dove con xk si è
n n
indicato il miglior rappresentante (il valor medio) delle misure entro ∆k .

Se si porta n → ∞ (siamo in condizioni ideali ed è un ragionamento


matematico, abbandoniamo il mondo sperimentale), il numero dei∆k può
essere aumentato a dismisura e la loro ampiezza diminuita no a farli
diventare innitesimi la curva di distribuzione delle frequenze diventerà (i
gradini si smussano) una curva di distribuzione limite .

n → ∞

∆k → dx

fk → f (x) è la f unzione rappresentativa della curva di distribuzione limite.

11
 f (x)dx rappresenta la frazione di misure che cadono entro l'intervallino
innitesimo dx
´b
 a
f (x)dx rappresenta la frazione di misure <1 che cadono entro
l'intervallo nito (b-a)
´ +∞
 −∞
f (x)dx =1 è la curva di distribuzione limite è anch'essa nor-
malizzata.

In questo modo la curva di distribuzione delle frequenze, che era un risul-


tato sperimentale a posteriori, è diventata una curva di distribuzione lim-
ite e rappresenta ora una probabilità ovvero un modello matematico che
può essere denito e utilizzato a priori. Solo per n → ∞ si può porre:
f (x) ≡ p(x) cioè la frequenza (risultato sperimentale) equivalente alla
probabilità (modello teorico).

Ora ci si chiede quale funzione rappresenta al meglio la curva di dis-


tribuzione limite a campana? La funzione di distribuzione normale
o di Gauss .
2
(x − X)
f (x) = e 2σ 2
dove X è il valore vero (per il modello matematico si può disporre di
innite misure) e σ è il parametro di larghezza. Applicando la condizione
di normalizzazione ˆ +∞
f (x)dx = 1
−∞

si ottiene:
2
(x − X)
1
fX,σ (x) = √ e 2σ 2
σ 2π
Questa non è l'unica curva di distribuzione limite possibile ma, per misure
soggette a soli errori casuali la curva limite assume sempre la forma della
fX,σ (x) centrata su X. Il suo valor medio è la media :
ˆ +∞
x= x · fX,σ (x)dx = X
−∞

E lo scarto quadratico medio è la varianza :


ˆ +∞
2
σx2 = (x − x) fX,σ (x)dx = σ 2
−∞

ovvero la deviazione standard al quadrato. Quando ci si riferisce al


modello matematico fX,σ (x) si può aermare che la misura di x vale:
x = X ± σ!
E per quanto riguarda la ducia che viene riconosciuta al parametro di
larghezza σ?

12
Sul modello matematico è possibile calcolare i seguenti integrali:

ˆ +σ
p (x ± σ) = fX,σ (x)dx = 68, 27%
−σ
ˆ +2σ
p (x ± 2σ) = fX,σ (x)dx = 95, 45%
−2σ
ˆ +3σ
p (x ± 3σ) = fX,σ (x)dx = 99, 73%
−3σ

che rappresentano la probabilità che una misura (delle innite virtual-


mente disponibili) cada, rispettivamente, nell'intervallo ±σ , ±2σ oppure
±3σ attorno al valore vero X.

Scrivere che x = X±σ (oppure x = X ± nσ con n = 2, 3, ...) signica


aermare che esiste una probabilità del 68,27% (95,45%, 99,73%,...) che
la misura i-esima cada entro l'intervallo di incertezza denito da x−σ e
x + σ (x − nσ e x + nσ con n = 2, 3, ...). In altre parole si assegna una
ducia del 68,27% al fatto di trovare la i-esima misura dentro l'intervallo
di incertezza denito da x−σ e x+σ e così via. Ricordiamo ancora una
volta che:

 x = X ±σ è una probabilità (un modello matematico utilizzabile a


priori )

 x = x ± σx è una statistica (un modello sperimentale calcolato a


posteriori )

Bisogna avere l'accortezza di usare una certa cautela nell'estrapolare i


valori teorici di probabilità ai casi reali dove si dispone sempre solo di
un numero n nito di misure. La situazione è delicata quando con le
n misure a disposizione non si raggiunge una ragionevole condenza che
la distribuzione dei dati sia eettivamante gaussiana. Anche quando la
distribuzione dovesse avere un buon accordo con la distribuzione limite
(gaussiana), i valori numerici x e σx calcolati a partire da n misure possono
dierire dalla media X e dalla deviazione standard σ della corrispondente
gaussiana. Se così fosse esistono altre curve di distribuzione da esaminare.

Si può valutare la precisione di due strumenti confrontando la forma della


gaussiana; lo strumento più reciso ha la curva più stretta ed alta.

Essendo x 6= X si cerca di capire se è possibile stimare quanto bene il


valor medio x calcolato dai x1 , x2 , ..., xn rappresenta il valore vero
dati
X ovvero se è possibile estrarre dal gruppo delle n misure informazioni a
proposito della precisione della misura.

13
ˆ Propagazione degli errori (cenni)

Una misura indiretta viene eseguita componendo i dati provenienti dalle


misure delle grandezze primarie.

Se una grandezza è esprimibile come: q = x+y allora se si misura x=


xb ± δx e y = yb ± δy , si è interessati a trovare q = qb ± δq . Come si
procede?

Si potrebbe scegliere:
(
xb + yb + (δx + δy) limite superiore
qb = xb + yb
xb + yb − (δx + δy) limite inf eriore

e quindi un δq = δx + δy (se le cause d'errore sono indipendenti) sarebbe


una sovrastima per l'ampiezza della fascia d'incertezza. E' molto più logico
porre:
p
δq = δx2 + δy 2 < δx + δy
Per misure che provengono da prodotti o quozienti q = x·y si considerano
gli errori relativi:
s 2  2
δq δx δy
= +
q x y
In generale, per funzioni ad una variabile q = q(x) è possibile misurare
x = xb ± δx e calcolare qb = q (xb ), e per δq ?
Se δx è piccolo qmin e qmax sono praticamente equispaziati di un piccolo
δq e quindi posso scrivere:

δq q (xb + δx) − q (x) dq


lim = lim =
δx→0 δx δx→0 δx dx
che è la derivata della funzione q (x) calcolata in xb . Quindi vale la re-
dq
lazione δq = · δx. In generale (potendo essere q(x) crescente e decres-
dx
cente) sarà:

dq
δq = · δx
dx
Se la funzione è a due variabili q = q (x, y) e si misurano le grandezze
primarie x e y si misurano x = xb ± δx e y = yb ± δy dalle quali si ricava
qb = qb (xb , yb ), mentre per δq si potrebbe pensare a:

dq dq
δq = · δx + · δy

dx dy
ma è più corretto considerare anche qui la somma in quadratura:
s 2  2 s 2  2
∂q ∂q ∂q ∂q
δq = δx + δy = σx + σy
∂x ∂y ∂x ∂y

14
relazione generale della propagazione degli errori (incertezze) .

Per stimare l'incertezza di x nel rappresentare X (valore vero) suddivido


le misure in m gruppi di n misure ciascuno, e calcolo gli m valori medi:

→ x0
 0 0

 x1 , x2 , ..., x0n
x00 , x00 , ..., x00 → x00

1 2 n

 .................. ......

 (m) (m) (m)
x1 , x2 , ..., xn → x(m)

Ora calcolo il valor medio delle medie:

m
1 X j
x= x
m j=1

dove:
n
1X j
xj = x
n i=1 i

Se il valor medio delle m xn misure xji è X anche il valor medio delle m


j
medie x è X dato che esse provengono dalle stesse misure.

Se le m xn misure xji sono aette solo da errori casuali, ciascuna delle curve
di distribuzione per gli m gruppi di n misure sarà una curva normale
Gauss. Quindi, anche le m medie xj saranno distribuite normalmente
attorno alla media delle medie x, perchè le:

n
1X j  
xj = xi = f xji
n i=1

sono funzioni esse stesse delle m xn misure xji .


Ma allora il parametro di larghezza per la distribuzione delle m medie xj
sarà:
s 2  2  2
∂x ∂x ∂x
δx = σx = δx1 + δx2 + ... + δxn
∂x1 ∂x2 ∂xn

che è la deviazione standard della media ! In questa relazione i parametri di


(j)
larghezza δxi sono la deviazione standard σx . Al crescere delle n misure
(1) (2) (n)
sarà σx = σx = ... = σx = σx .
Dalla relazione:
n
1X
x= xi
n i=1
si ricava che:
∂x ∂x ∂x 1
= = ... = =
∂x1 ∂x2 ∂xn n

15
Queste, inserite nella relazione della deviazione standard della media por-
tano a:
s 2 2 2 r
σx2
 
1 1 1 σx
σx = σx + σx + ... + σx = n· =√
n n n n2 n

che è l'errore standard (che può essere anche calcolato con i dati prove-
nienti da un solo gruppo di n misure). Esso è una stima dell'incertezza
con la quale il valor medio rappresenta il valore vero.

Se con lo stesso strumento di misura si aumentano le n misure le deviazione


standard rimane pressochè invariata mentre l'errore standard diminuisce!
Acquisire un quantitativo maggiore di informazione migliora la misura ma
non lo sturmento.

In conclusione si distingue:

 xi o xn+1 = x ± σx la deviazione standard esprime la precisione


dello strumento
 x = x ± σx l'errore standard esprime la precisione della misura

Ricapitolando: la misura non è più un numero ma un intervallo in cui si


situa l'informazione sulla grandezza che stiamo analizzando. I parametri
che scaturiscono da questa analisi sono:

1 Pn
 La media delle n misure: x= xi ;
n i=1
r
1 Pn
 La deviazione standard del campione: σx =
2
(xi − x) ;
n − 1 i=1
σx
 La deviazione standard della media o errore standard: σx = √ .
n
* Esempio:
Nella tabella sono riportate le misure ottenute con un palmer
del diametro di un pistone per motore a combusiotne interna
per autotrazione il cui diametro nominale è 80 mm. Calcolare la
media, la deviazione standard e l'errore standard.

Mis. mm Mis. mm Mis. mm


1 79,996 11 79,993 21 79,994
2 79,998 12 79,987 22 79,987
3 79,972 13 79,991 23 79,992
4 79,989 14 79,995 24 79,998
5 79,979 15 79,989 25 79,992
6 80,002 16 79,993 26 79,999
7 79,977 17 79,998 27 80,001
8 79,992 18 80,002 28 79,993
9 79,995 19 79,986 29 79,990
10 79,998 20 79,992 30 79,992

16
2399, 764
La media è: x= = 79, 992 mm
30
r
1
La deviazione standard è: σx = [(0, 001) + (0, 000218) + (0, 000219)] =
√ 29
0, 000049552 = 0, 00704
0, 00704
La deviazione della media è: σx = √ = 0, 00128
30
La norma prescrive le due seguenti indicazioni: D = (79, 992±0, 00704)mm
oppure D = 79, 99200(00704)mm

ˆ Regressioni lineare (cenni)

Si supponga di voler misurare due grandezze X e Y simultaneamente e di


cercare una qualche relazione tra di esse, ed in particolare se è possibile
determinare la misura di Y in funzione della misura della X. Eettuate le
misurazioni simultanee si riportano le coppie di valori (x;y) su un graco
cartesiano ottenendo quello che si chiama il diagramma di dispersione
(scatter-plot) . Si possono avere varie situazioni tra le quali:

1. punti dispersi in modo casuale per i quali non si può individuare


alcuna relazione;

2. punti per i quali si può individuare una qualche relazione, magari


una curva di 2° grado concava o concessa;

3. punti che formano una gura allungata che indica una tendenza,
ovvero una relazione lineare tra le grandezze X e Y.

Relativamente al punto 3. (che è quello più fortunato e quello più fre-


quente) ci si chiede quale sia la retta che meglio modella i punti rapp-
resentati sul graco. Spetta allo sperimentatore determinare questa retta
detta retta di best t . Il metodo analitico adatto a ricavare la miglior
linea retta che interpola una serie di punti sperimentali è chiamato re-
gressione lineare .
Ipotesi semplicative:

 incertezza solo sulla grandezza in ordinata (y );

 tutte le incertezze sulle misure y possano essere considerate uguali;

 ogni misura in y sia governata dalla distribuzione di Gauss, con lo


stesso parametro di larghezza σy per tutte le misure.

Quello che si vuole determinare sono le due costanti A e B che determinano


la migliore retta di interpolazione avente l'equazione: y = Ax + B .
Se si conoscono le costanti A e B allora per ogni singolo valore xi si può
calcolare il corrispondente valore nominale di yi come: yi = Axi + B .
Poichè la misura yi è governata da una distribuzione normale centrata
sul valore vero (nominale) con parametro σy , la probabilità di ottenere il

17
valore osservato yi è:

2
(yi − Axi − B)
1 2σy2
PA,B (yi ) ∝ ·e
σy
dove i pedici A e B indicano che questa probabilità dipende dai loro valori,
che sono incogniti. La probabilità di ottenere l'insieme completo dei valori
osservati y1 , y2 , ..., yn è:

χ2
1
PA,B (y1 , y2 , ..., yn ) = PA,B (y1 ) · PA,B (y2 ) · ... · PA,B (yn ) ∝ n · e 2
σy

dove l'esponente è dato da:

n 2
X (yi − Axi − B)
χ2 =
i=1
σy2

Gli yi sono i valori eettivamente osservati con le misure, quindi le migliori


stime per le costanti A e B si ottengono imponendo che la probabilità
PA,B (y1 , y2 , ..., yn ) sia massima; questo equivale ad imporre che la somma
dei quadrati nell'esponente sia minima. Per trovare tali valori si dierenzia
χ2 rispetto ad A e B e si impongono le derivate uguali a zero:

n
∂χ2
 X
2
= − 2 xi (yi − Axi − B) = 0
∂A σy i=1

e
 n
∂χ2

2 X
= − 2 (yi − Axi − B) = 0
∂B σy i=1
Queste due equazioni possono essere riscritte come:

n
X n
X n
X
A x2i + B xi = xi yi
i=1 i=1 i=1

e
n
X n
X
A xi + Bn = yi
i=1 i=1

Tali equazioni, note come equazioni normali, una volta risolte, forniscono
la migliore stima delle costanti A e B :
Pn Pn Pn Pn Pn Pn Pn
n xi yi − i=1 xi i=1 yi
i=1 n i=1 x2i i=1 yi − i=1 xi i=1 xi yi
A= Pn Pn 2 B= Pn Pn 2
n i=1 x2i − ( i=1 xi ) n i=1 x2i − ( i=1 xi )
Il metodo esposto è una semplice estensione del ben noto metodo dei
minimi quadrati .

18
Quali sono le incertezze sulle stime di A e B. Ley1 , y2 , ..., yn non sono
n misure della stessa grandezza Y mantenuta costante; non è quindi possi-
bile farsi un'idea della loro adabilità solamente esaminando lo sparpaglia-
mento dei loro valori. E' possibile stimare l'incertezza σy nel modo
seguente. Partendo dall'assunto che ogni misura yi è normalmente dis-
tribuita attorno al suo valore nominaleAxi +B , anche le singole deviazioni
d = yi −(Axi + B) sono normalmente distribuite, con lo stesso valor medio
0 e la stessa larghezza σy . Questa circostanza suggerisce che una buona
stima per σy dovrebbe essere data dalla somma del quadrato degli scarti
nella forma:
n
1X 2
σy2 = (yi − Axi − B)
n i=1
Tale stima, però, necessita di essere ulteriormente ranata; infatti i valori
veri delle costanti A e B non si conoscono ed essi vengono rimpiazzati
con le migliori stime. Questa sostituzione riduce leggermente il valore
precedente denito di σy . Si ouò dimostrare che è possibile compensare
tale riduzione sostituendo il fattore n del denominatore con il nuovo fattore
n − 2, ottenendo così il risultato nale per σy :
n
1 X 2
σy2 = (yi − Axi − B)
n − 2 i=1

A questo punto si può passare al calcolo vero e proprio delle incertezze sulle
costanti A e B. Essendo le stime di A e B funzioni ben denite dei valori
misurati y1 , y2 , ..., yn , le inceretzze su tali stime si calcolano applicando
la propagazione degli errori in termini di quelli per y1 , y2 , ..., yn , quindi
si ottiene:
Pn
2
nσy2 2
σy2 x2i
i=1
σA = Pn Pn 2 σB = Pn n 2
2 2
P
n i=1 xi − ( i=1 xi ) n i=1 xi − ( i=1 xi )

Esempio:

La tabella sotto riporta una serie di punti misurati, per i quali si cerca la
retta best t .

Punto Coppia Punto Coppia

1 (0,3) 5 (13,10)
2 (3,6) 6 (20,17)
3 (7,6) 7 (26,21)
4 (8,8) 8 (35,23)

Con i dati riportati si ricava:

8 (1945) − (10527)
 A= 2 = 0, 61438
8 (2592) − (112)

19
 B = 3, 1504
La retta ha equazione: y = 0, 61438x+3, 1504 ed è la migliore che interpola
gli otto punti provenienti dai dati sperimentali. Bisogna poi calcolare
l'incertezza sulle stime dei valori A e B come mostrato sopra.

1.6.4 Finezza
Attraverso la denizione di campo di misura, sensibilità e precisione non si
riesce ad esprimere l'azione, talvolta preponderante, che lo strumento esercita
sulla grandezza sica oggetto della misurazione (il misurando ).

ˆ Denizione: la nezza è l'attitudine dello strumento a non perturbare la


grandezza oggetto della misura. Essa è quanticata mediante l'errore di
insersione . Relazione:

ap − a ∼ a − ap
εins = =
ap a
dove ap è la grandezza prima dell'insersione e a il valore misurato. L'errore
di insersione dipende dalla quota parte di energia che il sensore preleva
dalla grandezza sica che sta misurando. Questa quantità è ardua da
misurare.

Quando un trasduttore rileva l'intensità di una grandezza sica, tra-


duce l'informazione in un'altra grandezza sica, intellegibile allo stadio
di elaborazione che segue nella catena di misura. Nella stragrande maggio-
ranza dei casi tale grandezza è una dierenza di potenziale V, mV o µV ,
oppure è un'intensità di corrente elettrica A o mA. Tale situazione può
essere schematizzata attraverso un accopiamento generatore di tensione
(o di corrente) e un misuratore di tensione (o di corrente). L'errore di
insersione non è un problema collegato solo ai trasduttori, ma può presen-
tarsi anche all'interfacciamento tra due stadi qualsiasi di uno strumento
di misura.

ˆ 1° esempio importante: accoppiamento generatore di tensione-voltmetro .


Situazione prima dell'insersione: V0 = V , I = 0.
Situazione dopo l'insersione: V0 = (Ri + Rv ) · I ed anche V = Rv · I 6= V0 .
Applicando la denizione di errore di insersione si ha:

V0 − V (Ri + Rv ) · I − Rv · I 1
εins = = =
V0 (Ri + Rv ) · I Rv
1+
Ri
Quindi per avere un errore più piccolo possibile εins → 0 bisogna che
siaRv → ∞ oppure che sia Ri → 0. Dicile agire su Ri più facile fare
grande Rv (1-100 MΩ) in modo da impedire la circolazione delle pur piccole
correnti elettriche provenienti dal trasduttore, essendo questo generatore
di corrente causa la presenza di Ri .

20
ˆ 2° esempio importante: accoppiamento generatore di corrente-amperometro .
Situazione prima dell'insersione: I0 = Ii , I = 0.
V
Situazione dopo l'insersione: I0 = Ii + I con I = . Le due resistenze
Ra
Ri Ra V Ri
sono in parallelo quindi V = I0 · → = I0 · . Quindi
Ri + Ra Ra Ri + Ra
Ri
I = I0 ·
Ri + Ra
Applicando la denizione di errore di insersione si ha:

Ri
I0 ·
I0 − I I Ri + Ra Ri 1 1
εins = = 1− = 1− = 1− = =
I0 I0 I0 Ri + Ra Ri + Ra Ri
1+
Ra Ra
Per avere εins → 0 deve essere Ri → ∞ oppure Ra → 0. E' quindi
opportuno fare Ra più piccola possibile in modo che l'informazione legata
al segnale in corrente sia degradato il meno possibile.

1.6.5 Rapidità
La rapidità è la qualità metrologica che esprime la capacità degli strumenti
nel rispondere a grandezze in ingresso che variano durante il tempo di misura.
Oppure è l'attitudine degli strumenti a seguire le variazioni nel tempo della
grandezza da misurare. Si tratterà quindi di grandezze dinamiche. Quindi
i = i (t) e u = u (t).
ˆ La rapidità di uno strumento meccanico è sempre limitata dall'inerzia
delle parti mobili e dallo smorzamento a cui esse sono sottoposte.

ˆ La rapidità degli strumenti elettrici ed elettronici è sempre limitata dalla


combinazione delle reattanze capacitive ed induttive, presenti nei circuiti
che li costituiscono.

Uno strumento che abbia una rapidità insuciente nel seguire una grandezza
variabile in ingresso, fornisce in uscita la grandezza con ampiezza attenuata e con
un certo ritardo (sfasamento) rispetto al vero (esempio dell'onda sinusoidale).

Ci si può ricondurre a tre schemi per studiare la rapidità di uno strumento:

1. Per grandezze costanti, soggette a repentine variazioni in un tempo molto


piccolo, il parametro signicativo è il tempo di risposta . Il tipico caso
è la risposta al gradino ; il tempo di risposta tr = t1 − t0 individua
il tempo impiegato dallo strumento a fornire un'indicazione u in uscita
compresa entro una pressata fascia di errore ±εdin intorno al nuovo valore
nominale u1 . Il parametro εdin è l'errore dinamico che si accetta e deve
essere pressato a priori. In genere si accetta εdin entro alcuni punti % del
valore u1 . Più piccolo si pressa εdin e più lungo è il tempo di risposta tr .

21
Per gli strumenti elettronici viene indicato il tempo di salita (slew rate ),
il tempo impiegato a raggiungere il picco della prima sovraelongazione
tslew = tsr − t0 .
2. Per grandezze in ingresso lentamente variabili nel tempo, il parametro
signicativo è rappresentato dal tempo di ritardo . Il segnale in ingresso
è costante no al tempo t0 quando inizia una variazione d'intensità che
prosegue costante nel tempo. Dopo un transitorio iniziale lo strumento
risponde alla variazione con un andamento a ginocchio arrotondato la cui
curvatura dipende dalle caratteristiche interne dello strumento, esso si
predispone a seguire parallelamente la variazione dell'ingresso. Il tempo
di ritardo non è una costante dello strumento ma dipende dalla velocità
di variazione della grandezza in ingresso.

3. Per grandezze in ingresso rapidamente variabili nel tempo (i più frequenti)


la rapidità dello strumento viene studiata per mezzo dei diagrammi di
risposta in frequenza e fase delle armoniche che compongono il segnale
in ingresso. Caso di onda di tipo sinusoidale e quindi funzione periodica.
Ogni segnale periodico può essere scomposto in serie di Fourier e quindi
può essere studiato per mezzo delle sue componenti armoniche.

ˆ ingresso: i (t) = I0 sin ωt


ˆ uscita: u (t) = U0 sin (ωt + ϕ)

con ω = 2πf pulsazione e ϕ sfasamento . Le curve di risposta in


U0
frequenza ideale e risposta in fase ideale sono: = cost. e ϕ = 0.
I0
ϕ ϕ
Per la fase sarebbe accettabile anche ϕ = ωt → tr = = ovvero uno
ω 2πf
sfasamento in anticipo e proporzionale alla frequenza, e quindi un tempo
di ritardo costante per tutte le frequenze di cui è composto il segnale in
ingresso (una retta inclinata sull'asse delle ascisse = asse delle frequenze).

La tipica risposta in frequenza reale ha ampiezza dell'uscita tendente


a zero per f → ∞. Gli strumenti meccanici con parti in movimento
che hanno un'inerzia non possono avere accelerazioni ∞ e quelli elettrici
non possono avere reattanza induttive XL = jωL = ∞ oppure reattanza
1
capacitiva XC = = 0.
jωC
L'estensione della risposta in frequenza dipende dalle caratteristiche di-
namiche dello strumento e dall'errore dinamico che si accetta. Cioè se si
accetta un errore del 3% la frequenza sarà, ad esempio, f2 , se l'errore che
si accetta è del 25% la frequenza sarà f1 e sarà f2 < f1 . Queste sono
dette frequenze di taglio . Tutte le frequenze comprese tra zero e quella
massima individuata costituiscono la banda passante dello strumento.

Per una denizione più generale della frequenza di taglio (e della banda
passante), si accetta spesso convenzionalmente una attenuazione massima

22
del segnale in uscita del 30% circa e si dice che la banda passante è estesa
no ad una certa frequenza (la ft di taglio) a -3dB .
1
In taluni casi particolari, come per gli strumenti RC e gli amplicatori
in banda audio, lo strumento non risponde a frequenza nulla ovvero elab-
ora solo il contenuto dinamico della grandezza sica in ingresso e non le
componenti costanti (quale ad esempio il valor medio). Per tali strumenti
rimane individuata anche una frequenza di taglio inferiore fti . La banda
passante è compresa tra le due frequenze di taglio: B = fts − fti .
Per specicare in modo sistematico da quali elementi dello strumento
dipende la forma della banda passante, e quindi le carattersistiche di-
namiche dello strumento, occorre impostare una classicazione dinamica
degli strumenti.

1.7 Classicazione dinamica degli strumenti di misura.


1.7.1 Generalità
Uno strumento si dice dinamicamente lineare se è possibile descrivere il moto
del suo equipaggio mobile (uscita dello strumento) mediante un'equazione dif-
ferenziale lineare a coecienti costanti.
Per esempio: y (t) → STRUMENTO → x (t)
d2 x (t) dx (t)
a +b + cx (t) = y (t)
dt dt
ˆ y (t) → grandezza in ingresso (misurando )

ˆ x (t) → grandezza in uscita (deessione o risposta dello strumento )

ˆ Soluzione dell'equazione dierenziale: x (t) = xtr (t) + xrg (t). La prima è


la soluzione dell'omogenea associata (rappresenta il transitorio dello
strumento), la seconda è l'integrale particolare (descrive la risposta a
regime per il particolare ingresso in esame).

ˆ risposta al gradino per il transitorio


Ingressi di prova tipici per lo studi:
e risposta in frequenza per il regime.

1.7.2 Strumenti di ordine zero


In questo tipo di strumenti l'equazione dierenziale che li governa manca dei
termini con le derivate e quindi sarà:
b
a·x=b·y → x= ·y il segnale in uscita è direttamente proporzionale
a
alla grandezza in ingresso! Il comportamento dinamico è ideale e solo pochi
strumenti riescono ad approssimarlo.

1 La scala decibel è una scala logaritmica e dire a meno 3 decibel signica dire −3dB =
20 log10 0, 707 ovvero, lo strumento fornisce un segnale in uscita con un ampiezza che è il
70,7% di quello in ingresso, cioè attenuato del 30% circa. Si dice anche convenzionalmente
che lo strumento è dinamicamente lineare a -3dB no alla frequenza di taglio ft

23
Esempio: il potenziometro come trasduttore di spostamento y (t)
L'equazione della maglia del circuito è: E = R ·I. La spazzola che si trova in
posizione y (t) fornisce in uscita una dierenza di potenziale e (t) proporzionale
alla resistenza r(t) che è una partizione di R. Per la resistenza si ha

Y y (t)
R=ρ r (t) = ρ
S S
quindi sarà:

E ρy (t) SE y (t)
e (t) = r (t) · I = r (t) · = = E
R ρY S Y
E
siccome il tempo t non compare implicitamente: e = · y; questa è anche
Y
la curva di graduazione del potenziometro impiegato come tradsuttore di po-
 
de E V
sizione; per la sensibilità si ha: S= = .
dy Y m
ˆ Solo per strumenti di ordine zero l'equazione dinamica coincide con la
curva di graduazione.

ˆ Uno strumento di ordine zero risponde istantaneamente alle variazioni


dell'ingresso perchè al suo interno non vi sono luoghi o elementi dove
l'energia in transito può essere immagazzinata.

1.7.3 Strumenti del 1° ordine


Uno strumento capace di immagazzinare energia (meccanica, termica, elettrica,
...) in una sola forma, in uno dei suoi elementi costitutivi interni (molla, massa,
condensatore, induttore, ...) è uno strumento del 1° ordine.
Esempio meccanico: elemento elastico di costante k in parallelo ad uno
smorzatore viscoso di costante c e virtualmente privo di massa collegato ad
un telaio e con un indicatore di posizione S dalla parte opposta.

ˆ Si perturbi l'equilibrio del sistema portando l'indicatore in una posizione


x0 6= 0 (l'elemento elastico immagazzina energia).

ˆ Se ora, all'istante t = 0 si lascia l'indicatore, l'energia immagazzinata nella


molla k tende a riportare l'indicatore nella posizione d'equilibrio x = 0.
ˆ Lo smorzatore esercita una forza che si oppone al moto stesso. Vale
l'equazione dierenziale del 1° ordine omogenea: kx + cẋ = 0.
k
ˆ In tutta la fase del moto l'indicatore S ha velocità: ẋ = − x proporzionale
c
k
alla posizione raggiunta. Siccome [x] = [L] il termine − deve avere le
hci c
c
t−1 .
 
dimensioni Per cui = [t]. = λ è la costante di tempo dello
k k
strumento del primo ordine.

24
ˆ La soluzione generale dell'equazione dierenziale è un esponenziale decres-
cente
2 del tipo:
k
− t
x (t) = x0 e c
- Per t = 0 → x (0) = x0 si ha la condizione iniziale
k x0
- ẋ (0) = − x0 = − c è la tangente alla curva dello spostamento in
c
k
x0 = x (0).
c
-λ = è la sottotangente alla curva in x0 ed in ogni altro punto x (t) alla
k
−1
traiettoria. Per t = λ si ha: x (λ) = x0 e = 0, 37 · x0 , l'indicatore S ha
viaggiato circa il 63% della traiettoria che deve percorrere per tornare alla
posizione di equilibrio x = 0.

ˆ Risposta al gradino . Si simula così lo studio dei transitori di insersione.

Se all'istante t = 0 viene applicata istantaneamente una forza F0 l'equazione


dierenziale diventa:
cẋ + kx = F0
e alla soluzione generale dell'omogenea associata (per il transitorio) bisogna
aggiungere la soluzione particolare (per il regime). A tal proposito per
t→∞ la velocità dell'indicatore è necessariamente nulla (ẋ
= 0) e quindi
k
F0 − t F0
sarà: xrg = . Si avrà quindi che x (t) = Ce c + che (con la
k k
F0
condizione iniziale x (0) = x0 → C = − ) diventa:
k
k k
 
F0 − t F0 F0  − t
x (t) = − e c + = 1−e c 
k k k

c
Signicato geometrico della costante di tempo λ= come sottotangente
k
alla curva nel punto x (0) infatti:

F0
tan α = k = ẋ (0)
λ
2 Per un'equazione omogenea del primo ordine cẋ (t) + kx = 0 (1), si ha che la soluzione è
del tipo x (t) = Ceαt (2). Derivando e sostituendo in (1) cCαeαt + kCeαt = 0 → cα + k = 0
k
k − t
→α=− . Quindi x (t) = Ce c con C costante da determinare con condizioni iniziali o al
c
k
− t
contorno. Se fosse x (0) = x0 sarebbe x0 = Ce0 → C = x0 e in denitiva: x (t) = x0 e c .

25
Per t=λ vale:
F0 F0
1 − e−1 = 0.63

x (λ) =
k k
ovvero l'indicatore S ha percorso il 63% della sua strada per raggiungere
F0
la posizione d'equilibrio nale xrg = .
k

ˆ Risposta in frequenza , quando si è interessati a studiare la rapidità


dello strumento in condizioni di regime.

L'ingresso è del tipo: F (t) = F0 sin ωt. In notazione fasoriale: F (t) =


F0 ejωt . In questo caso l'uscita a regime (il transitorio è già stato determi-
3
nato ) sarà del tipo: x (t) = X0 sin (ωt + ϕ) = X0 ejωt · ejϕ . L'equazione
dierenziale è del tipo:
cẋ + kx = F0 ejωt
Derivando e sostituendo la x (t) nella precedente:

jωcX0 ejωt · ejϕ + kX0 ejωt · ejϕ = F0 ejωt


X0 ejϕ (jωc + k) = F0
F0
jϕ F0 k
X0 e = = c
jωc + k jω + 1
k
c F0
dove =λ è la costante di tempo e è lo spostamento massimo. Razz-
k k
ionalizzando e calcolando il modulo
4 si ha:

F0
k X0 1
X0 = q =G= q
2 F0 2
(ωλ) + 1 (ωλ) + 1
k
la prima è l'ampiezza della risposta, la seconda il rapporto tra l'ampiezza
dell'indicazione e lo spostamento massimo dell'equipaggio mobile dello
strumento. G è detto amplicazione o guadagno .
 
ωλ
ϕ = arctan
1
k
− t
3 x (t) = Ce c con C da determinare con le condizioni iniziali
4 Per razionalizzare un 1
numero complesso del tipo si prosegue nel modo seguente:
a + jb
1 a − jb a − jb a b
· = 2 = 2 −j 2
a + jb a + jb a + b2 a + b2 a + b2
Per calcolare il modulo:
s 2  2
a b a b 1

a2 + b2 − j 2 2
=
2 2
+ 2 2
= √
a +b a +b a +b a2 + b2

26
l'arco tangente del rapporto tra la parte immaginaria e la parte reale
della risposta complessa rappresenta l'angolo di ritardo dell'uscita o
sfasamento tra ingresso e uscita dello strumento!

G e ϕ vengono riportati in funzione della frequenza ridotta ωλ su dia-


grammi cartesiani. In funzione di λ si individua la frequenza caratter-
1
istica ωc = . Questa è la frequenza di taglio ed esprime l'estensione
λ
della banda passante a -3dB.
1 ωc
Seωλ = 1 → G = √ ∼ = 0, 707, e praticamente ωc = 2πfc → fc = =
2 2π
1 ∼
= 0, 16 Hz è la ft a -3dB.
2πλ

Importanza f ondamentale del parametro λ

Esempio: dinamica del termometro a liquido 5 .

 Quantità di calore ricevuta dal uido termotecnico dall'ambiente nel


tempo dt → dQ = kA (Ta − T ) dt
 Calore acquistato dal uido → dQ = mc · dT
 Uguagliando le espressioni ho:

mc · dT = kA (Ta − T ) dt
dT
mc · = kATa − kAT
dt
mc dT
· + T = Ta
kA dt
λṪ + T = Ta
Questa è l'equazione dierenziale rappresentativa della dinamica con
cui un termometro a liquido risponde ad un gradino di temperatura
mc
in ingresso. λ= è la costante di tempo del termometro. L'uscita
kA
6
è sempre del tipo :

kA
−t
T (t) = (Ti − Ta ) e mc + Ta
5 In questo esempio:

 T è la variabile in uscita che eventualmente compare derivata.

 m è la massa del uido.

 c è il calore specico del uido.

 k è il coeciente di scambio termico.

 A è la supercie di scambio termico.

6 Ipotizzando che T (0) = Ti si ha Ti = C + Ta → C = Ti − Ta

27
ˆ Fatti fondamentali per gli strumenti del 1° ordine:

 la soluzione dell'omogenea associata non dipende mai dalla natura


della forzante in ingresso;

 è possibile calcolare un integrale particolare anche per un ingresso a


gradino;

 la costante di tempo per strumenti del primo ordine è dell'ordine


dei secondi e in genere la frequenza di taglio reale è piuttosto bassa;
questi strumenti sono poco adatti all'impiego con grandezze in in-
gresso rapidamente variabili.

1.7.4 Strumenti del 2° ordine


In questo tipo di strumenti (continuando con l'esempio meccanico) la massa
dell'indicatore non è trascurabile e quindi abbiamo un secondo elemento dove
può essere immagazzinata energia.
L'equazione che governa il sistema è dierenziale del secondo ordine:

d2 x dx
m +c + kx = 0
dt dt
Se fosse possibile trascurare lo smorzamento viscoso (c = 0) allora avremmo
l'equazione delle onde libere:

d2 x k k
+ x = 0 con = ωn2
dt m m
La ωn rappresenta la pulsazione naturale dello strumento. Questa situazione
ideale (c non è mai nullo; se così fosse ci sarebbe una trasformazione continua
e perpetua di energia cinetica posseduta da m in energia potenziale elastica
r
k
immagazzinata in k ) ha permesso di introdurre il parametro ωn = fonda-
m
mentale per i strumenti del 2° ordine.

ˆ Nel caso generale l'equazione si presenta nella forma sopra scritta. Anal-
izzando la rapidità di risposta al gradino si ha:

mẍ + cẋ + kx = F0

F0
A regime (t → ∞) sarà ẍ = ẋ = 0 e quindi xrg = . Questo valore
k
è uguale a quello ottenuto per strumenti del primo ordine e viene detto
freccia statica (se la forza è applicata molto lentamente in maniera quasi
statica). Risolvendo l'omogenea associata
7
7 Per x (t) = C1 eα1 t + C2 eα2 t .
la teoria delle equazioni dierenziali la soluzione è del tipo:

√ r mα2 +cα+k =
Dierenziando, sostituendo e semplicando si ottiene l'equazione caratteristica:
−c ± c2 − 4mk c c2 k c √
0. Questa risolta dà: α1,2 = =− ± − =− ± ∆.
2m 2m 4m2 m 2m

28
ho: √
c
α1,2 = − ± ∆
2m
A seconda del valore di ∆ lo strumento del 2° ordine ha modalità di
risposta diverse. Piuttosto che riferirsi al ∆ si denisce il fattore di
smorzamento ξ :
v
u c2
u r
u
4m 2 c2 c c
ξ=t u = = √ che si può porre ξ =
k 4km 2 km ccr
m

dove: ccr = 2 km è il coeciente di smorzamento critico .
Con queste posizioni si hanno tre casi

1. ξ > 1 (∆ > 0) → c > ccr


F0
Lo strumento è sovrasmorzato e raggiunge la posizione nale con
k
un moto aperiodico esponenziale. Questi sono gli strumenti più lenti.

2. ξ = 0 (∆ = 0) → c = ccr
Siamo in corrispondenza dello smorzamento critico e la traiettoria
esponenziale aperiodica è quella più rapida possibile a raggiungere la
posizione nale.

3. ξ < 1 (∆ = 0) → c < ccr


Lo strumento è sottosmorzato e reagisce rapidamente al gradino ma,
a seconda del valore di ξ esso può oscillare più volte attorno alla
F0
posizione di equilibrio . Questi sono gli strumenti più rapidi.
k
Per quest'ultimo caso bisogna ssare l'ampiezza della fascia di errore di-
namico che si è disposti ad accettare ed attendere che l'indicatore sia
denitivamente entrato nei limiti dell'errore pressato (ovvero che lo stru-
mento abbia smorzato le eventuali sovra-oscillazioni).

Si progettano strumenti con ξ = 0, 7±0, 8 in modo che l'equipaggio mobile


F0
scavalchi almeno una volta la posizione , eliminando così il dubbio che
k
l'indicatore possa essersi arrestato per cause varie prima di raggiungere
F0
l'indicazione .
k
La determinazione dei coecienti m, c e k (per il calcolo di ωn e ξ) non
è facile e quindi si procede sperimentalmente attraverso la misura di un
parametro con il quale si può ricavare ξ. Questo parametro è il decre-
mento logaritmico δ . Si allontana l'equipaggio mobile dalla posizione
F0
di equilibrio e se questo scavalca almeno una volta la posizione al-
k
lora sarà ξ < 1, moto oscillatorio smorzato. Se ξ oppure T0 (il periodo
dell'oscillazione) sono troppo piccoli per apprezzare il decremento tra due

29
picchi consecutivi, è possibile scegliere due picchi alla distanza di k periodi
e scrivere:
xm 1 xm
δ = ln = ln
xm+1 k xm+k
Si dimostra che:
An ξ
δ = ln = 2π p
An+1 1 − ξ2

Nel caso ξ <1 la pulsazione propria (caso smorzato)
non ω0 = è
T0
uguale alla pulsazione naturale (caso privo di smorzamento) ωn ma è
legata ad essa attraverso il fattore di smorzamento ξ :

p
ω0 = ωn 1 − ξ 2

Nei casi in cui ξ < 0, 1 → ω0 ∼


= ωn .

ˆ Nel caso della risposta dinamica si determina la risposta in frequenza


utilizzando un ingresso sinusoidale con frequenza ω variabile:

mẍ + cẋ + kx = F0 ejωt

La risposta sarà anch'essa di tipo sinusoidale: x (t) = X0 sin (ωt + ϕ) =


X0 ejωt ejϕ con frequenza ω ma in ritardo di ϕ (da determinare) rispetto
all'ingresso. Occorre calcolare anche l'ampiezza X0 . Derivando e sos-
tituendo la x (t) nell'equazione dierenziale si ha:

m −ω 2 X0 ejωt ejϕ + c (jω) X0 ejωt ejϕ + kX0 ejωt ejϕ = F0 ejωt




X0 ejϕ −mω 2 + jcω + k = F0




F0
jω F0 k
X0 e = = m c
−mω 2 + jωc + k 2
− ω +j ω+1
k k
ricordando che:
√ r
k 2 c ξccr ξ2 km m ω
= ωn e j ω = j ω=j ω = j2ξ ω = j2ξ
m k k k k ωn
si ha:
F0 F0
X0 ejϕ = k = k
ω2 ω ω2 ω
− 2
+ j2ξ +1 1− 2
+ j2ξ 2
ωn ωn ωn ωn

30
il modulo della funzione razzionalizzata rappresenta l'ampiezza della
risposta in frequenza:

F0
X0 = s k
2 2
  2
ω 2
ω
1− 2 + 4ξ
ωn ωn

mentre l'arco tangente del rapporto tra la parte immaginaria e la parte


reale da lo sfasamento :
ω
−2ξ
ωn
ϕ = arctan
ω2
1− 2
ωn

X0 ω
I precedenti valori di e ϕ vengono gracati rispetto a ottenendo
F0 ωn
k
i due graci caratteristici per gli strumenti del 2° ordine. Il rapporto
X0
G= è chiamato amplicazione o guadagno e può essere maggiore
F0
k
o minore dell'unità. Si ottengono una serie di curve parametrizzate in ξ.

Valori particolari.
ω
 Per = 0 tutte le curve partono da G = 1 cioè a frequenza nulla la
ωn
F0
deessione dell'equipaggio mobile X0 = è pari alla freccia statica.
k
ω 1
 Per = 1 si è in risonanza e il guadagno risulta essere G = .
ωn 2ξ
Se lo smorzamento è troppo basso si possono avere oscillazioni che
danneggiano lo strumento.

 A partire da fattori di smorzamento bassi, la prima curva che non


presenta amplicazione signicativa dovuta a risonanza è quella con
ξ = 0, 7. Essa inoltre è la curva che, garantendo una buona linearità
in frequenza, fornisce la massima estensione della banda passante.
ω
 Per lo sfasamento tutte le curve passano per il punto = 1, ϕ =
ωn
π
. Questa circostanza può essere utilizzata sperimentalmente per
2
determinare ωn senza la necessita di conoscere a priori ξ.
F0
 L'indicazione a regime dello strumento è xrg (t) = quindi la sensi-
k
du dx 1 1
bilità risulterà S= = = = dalla quale si riconosce un
di dF k mωn2

31
fatto fondamentale: la sensibilità e la pulsazione naturale sono inver-
samente proporzionali. Poichè l'estensione eettiva della risposta in
frequenza di ogni strumento del 2° ordine è indicata dal valore di ωn si
può aermare che: la sensibilità e la rapidità sono caratteris-
tiche metrologiche inversamente proporzionali (antitetiche)
tra loro . Nella progettazione bisogna sempre scegliere a priori quale
delle due qualità si vuole privilegiare. Questa caratteristica fonda-
mentale si dimostra essere vera anche per strumenti di ordine diverso
dal 2°.

Esempio: il galvanometro
Dispositivo elettromeccanico alla base degli strumenti indicatori ad indice
mobile.

 Quando in ciascuna delle n spire immerse nel campo magnetico di




costante B circola la corrente i i tratti di lo verticali sono soggetti

− →
− →−
ad una forza F =il ×B di modulo |F | = ilB .
 La bobina è soggetta quindi ad una coppia motrice totale Cm =
nF · b = nilB · b bilanciata in ogni posizione dalla coppia resistente
della molla elastica Cr = k · θ .
 L'equazione di equilibrio statico è: Cm = Cr → nilB · b = k · θ. Per
cui la deessione statica è:

nlBb
θ= ·i
k
che è la curva di graduazione dello strumento. Il galvanometro è uno
strumento lineare!
dθ nlBb nlBb
La sensibilità risulta essere costante: S= = = ed in-
di k Jωn2
versamente proporzionale alla ωn . Anche in questo caso la sensibilità
è inversamente proporzionale alla estensione della banda passante,
quindi alla rapidità dello strumento .
8
 L'equazione di equilibrio dinamico risulta invece essere:

d2 θ dθ
J + c + kθ = C (t)
dt2 dt
formalmente identica a quella appena studiata, con J momento d'inerzia
dell'equipaggio mobile. Gli schemi per lo studio della rapidità del gal-
vanometro sono i soliti due:

C (t) = C0 (t > 0) nel caso di risposta al gradino

C (t) = C0 ejωt ejϕ nel caso di risposta in frequenza


r
8 Per k
il galvanometro la grandezza in uscita è una rotazione θ per cui si ha ωn =
J

32
1.8 Parti di uno strumento di misura
Schema di uno strumento di misura:

Lo studio partirà dallo strumento terminale che può essere rappresentato da


un semplice indicatore ad ago ai strumenti terminali elettronici. Oggi la catena
di misura è quasi sempre elettrica. Già a livello di trasduttore si ottiene in uscita
una tensione od una corrente elettrica da inviare per l'elaborazione negli stadi
successivi.
Motivi tecnici per la schiacciante superiorità dei strumenti elettrici ed elet-
tronici:

1. miniaturizzazione dei trasduttori;

2. eliminazione degli eetti delle masse in movimento per il trasferimento


dell'informazione;

3. facilità di manipolazione del segnale elettrico; esso può essere: amplicato,


ltrato, sommato, sottratto, integrato, derivato ecc.;

4. il segnale elettrico che trasporta l'informazione può essere trasportato an-


che a distanze ragguardevoli;

5. il segnale elettrico può essere usato per un controllo automatico dei pro-
cessi di produzione.

Gli strumenti terminali elettrici industriali possono essere tutti ricondotti a


tre sole classi, rappresentate dagli strumenti seguenti:

ˆ il galvanometro a bobina mobile

ˆ l'oscilloscopio (analogico)

ˆ il voltmetro digitale (cui appartiene anche l'oscilloscopio digitale)

Del galvanometro già si è detto. Si può aggiungere che aumentando la re-


sistenza della bobina si può usare come misuratore di tensione.

L'oscilloscopio analogico è uno strumento terminale che permette di visu-


alizzare in tempo reale la forma dell'onda che costituisce il segnale della misura.
Più che strumento terminale è uno strumento a se stante.
L'equipaggio mobile è costituito da un fascetto collimato di elettroni
generato all'interno del tubo a raggi catodici (Cathode Ray Tube, CRT).
Il CRT è un tubo di vetro a simmetria cilindrica all'interno del quale è fatto il
vuoto. Il lamento f, alimentato a Vf è riscaldato no a Tf = 900°C e racchiuso
nel catodo K che è un cilindretto di nichel il cui fondo è ricoperto di metalli

33
Figure 1:
Rappresentazione dell'oscilloscopio analogico.

alcalino-terrosi che, portati ad una certa temperatura, emettono facilmente elet-


troni. La temperatura del catodo è regolata dall'intensità di corrente che scorre
nel lamento f. Gli elettroni sono attirati dagli anodi A1 e A2 i quali si trovano
a potenziale più alto (positivo) rispetto al catodo K. Prima di giungere agli
anodi gli elettroni devono superare l'ostacolo posto dalla griglia G a potenziale
più basso del catodo (negativo). La regolazione di R1 permette il passaggio
solamente di una parte del usso di elettroni prodotto dal catodo K e, in ultima
analisi controlla la quantità di elettroni che andranno a formare il fascetto e che
una volta focalizzato, riuscirà ad impattare sullo schermo S cosparso di fosfori.
Al limite R1 può interdire del tutto il passaggio degli elettroni.
Gli anodi A1 e A2 hanno il compito di accelerare e focalizzare gli elettroni
per la formazione del fascetto collimato.
A causa del potenziale ad essi applicato (buona parte della VCRT ), gli anodi
A1 e A2 formano al loro interno delle superci equipotenziali (V e V+90 ) a
simmetria cilindrica. Essendo tali superci a potenziali sempre più alti (positivi)
il loro primo eetto è certamente quello di attivare verso destra gli elettroni e−
quindi di accelerare il moto del fascetto stesso verso lo schermo.
Ma anche la focalizzazione degli elettroni avviene in virtù della simmetria
delle linee equipotenziali del campo elettrico interno agli anodi. In ogni punto di
attraversamento di due superci simmetriche l'azione attrattiva del campo sugli
elettroni si esplica lungo le direzioni perpendicolari alle superci. Per due punti
di attraversamento, come quelli indicati in gura, che siano alla stessa distanza
dall'asse del tubo CRT si riconosce come, a causa dell'eetto del campo, le
componenti radiali della velocità r1 ed r2 impresse all'elettrone siano uguali
ed opposte. Nel passaggio da I ad U è però aumentata la componente assiale
della velocità da u1 ad u2 . Ne consegue che la divergenza impressa all'elettrone
in corrispondenza della supercie U è minore della convergenza impressa in
corrispondenza della supercie I.
Una attenta progettazione della geometria degli anodi e delle superci eqi-
upotenziali ad essi interne consente di ottenere in uscita un fascetto collimato

34
Figure 2:
Campo di forze generato negli anodi del CRT.

35
Figure 3:
Schema dell'oscilloscopio analogico.

composto da un treno continuo di elettroni. Una volta usciti dagli anodi gli
elettroni non subiscono più accelerazioni assiali, e se non ci fosse nessun'altra
causa di disturbo andrebbero a concludere la sua corsa esattamente nel punto
centrale dello schermo.

Due coppie di placchette deettrici hanno il compito nale di deviare in


maniera coordinata il fascetto di elettroni dalla traiettoria assiale secondo le
direzioni x ed y. Il segnale Vy in ingresso allo strumento viene inviato alle
placchette orizzontali per ottenere la deessione verticale. Per la deessione
orizzontale sono presenti le placchette verticali. Se si desidera visualizzare il
segnale esterno in funzione del tempo, alle placchette verticali viene applicato
un segnale generato internamente all'oscilloscopio da un circuito elettornico ap-
posito: il generatore del gente di sega. Se invece si desidera visualizzare due
segnali uno in funzione dell'altro y = f (x) è possibile escludere il circuito in-
etrno del dente di sega, inviare alle placchette verticali il segnale x = x (t) ed alle
placchette orizzontali il segnale y = y (t). Questa tecnica produce la modalità
di visualizzazione così detta  xy .
Le placchette deettrici operano una deessione elettrostatica degli elettroni
che transitano al loro interno. Esiste anche la deessione elettrodinamica dovuta
al campo elettromagnetico generato da due coppie di bobine. Lo sviluppo dei
concetti fondamentali è del tutto analogo per ambedue i casi e conduce alla
valutazione della sensibilità intrinseca e della rapidità dello strumento vi-
sualizzatore oscilloscopio analogico.

Ora bisogna capire cosa accade ad ogni singolo elettrone una volta che esso
ha abbandonato gli anodi che lo hanno accelerato verso lo schermo uorescente
e focalizzato entro un fascetto ben collimato.

ˆ L'elettrone e− all'ingresso O ha velocità assiale u ed è soggetto ad un



− Vy

campo elettrico d'intensità E =
h

− →

ˆ Appena e− supera O è sottoposto ad un campo di forze: F = e− · E

36

− Vy
diretto come E e di intensità F = e− · E = e− · . Questo campo di
h
forze agisce per tutto il tempo che l'elettrone impiega ad attraversare lo
l
spazio ON=l compreso tra le placchette: t= .
u

ˆ L'elettrone subisce un'accelerazione verticale :
9 av = F = e · Vy , ed
m e− m e− · h

e · Vy · l
acquista una velocità verticale pari a v =a·t=
me− · h · u
ˆ Non appena abbandona la zona ON cessa l'azione del campo di forze e
l'elettrone continua la sua corsa indisturbato no ad impattare contro lo
schermo uorescente in un punto distante Y dall'asse CRT. Lo schema
dello strumento è:
Vy → CRT → y
du dy
quindi la sensibilità dello strumento è: S= = .
di dVy
Per un segnale non innitesimo Vy , la deessione totale vale Y = L · tan θ
v
essendo anche tan θ = risulta:
u
v Le− Vy l
Y = L · tan θ = L · =
u me− hu2
e per la sensibilità:
dY Le− l
S= =
dVy me− hu2
che non dipende da Vy e quindi, questo fatto, denuncia che l'oscilloscopio
è uno strumento lineare.

Se ora si scrive l'equazione della conservazionedell'energia in senso longi-


tudinale:
1 2e− · VCRT
mu2e− = e− · VCRT u2 =
2 me−
e si sostituisce in S si ottiene:

Le− l Ll
S= =
2e− · VCRT 2hVCRT
me− h
me−
cioè la sensibilità è funzione dei parametri geometrici del tubo catodico e
della tensione di accelerazione VCRT .

Esempio: valutare la sensibilità di un'oscilloscopio che ha i seguenti


dati costruttivi:
9 Si indica con m e− la massa dell'elettrone.

37
 l = 1cm
 h = 0, 2cm
 L = 20cm
 VCRT = 5kV
20cm × 1cm cm mm
S= = 0, 01 = 0, 1
2 × 0, 2cm × 5000V V V
Essendo la sensibilità dell'oscilloscopio così bassa la tensione Vy deve essere
amplicata prima di essere inviata alle placchette deettrici.

Per studiare la rapidità è poassibile fare riferimento al tempo netto che


l'elettrone impiega per transitare attraverso le placchette, ovvero al tempo
in cui l'elettrone è soggetto al campo delle forze deettrici.

r
1 2e− VCRT
Dalla m − u2 = e− VCRT si ricava: u= . Quindi il tempo di
2 e m
transito risulta: r
l m
t= =l·
u 2e− V CRT

Esempio: valutare il tempo di transito per l'oscilloscopio precedente sapendo


che

 e− = 1, 6 · 10−19 C
 me− = 9, 1 · 10−31 kg
s
9, 1 · 10−31 kg ∼
t = 1cm · = 10−10 s = 0, 1ns
2 × 1, 6 · 10−19 C × 5000V
Il tempo di un decimo di nanosecondo è piccolissimo. Se il segnale Vy
ha il periodo della propria frequenza massima uguale a 10 volte t questo
garantisce che l'elettrone durante il transito tra le placchette sia esposto
ad un campo di forze originato da un segnale di tensione praticamente
costante. Ciò signica che la deessione Y è direttamente proporzionale
a Vy , senza distorsione di forma. Questo porta al fatto che la frequnza
ammissibile per Vy è dell'ordine:

1 1 1 1
fmax = = = = −9 = 1GHz
Tmin 10t 10 · 0, 1ns 10 s
L'oscilloscopio è uno dei strumenti più rapidi esistenti. C'è inoltre pro-
porzionalità inversa tra sensibilità e banda passante. Con frequenza di
taglio così elevate l'oscilloscopio deve essere equipaggiato con amplica-
tori velocissimi, che abbiano uno slew rate (tempo di salita) dell'ordine di
10−10 secondi.

38
Figure 4:
Graco del dente di sega.

Un circuito interno produce un segnale Vx da applicare alle placchette


verticali se si vuole avere sullo schermo una rappresentazione di Vy in
funzione del tempo, il generatore di denti di sega : vx (t) = Kt −
Vx , cioè una serie di rampe di tensione di periodo T regolabile, che si
estendono da −Vx a +Vx . Con tr si indica il tempo di ritorno necessario
a riportare il segnale vx al punto di partenza (tr è trascurabile).

Tx
 Per t = risulta vx (t) = 0 → il pennello elettronico si trova al
2
x).
centro dello schermo (asse

Tx
 Essendo K · − Vx = 0 esso vi transita con una velocità pro-
2  
2Vx V
porzionale a K =
Tx s
 Il coeciente K rappresenta la velocità di variazione della tensione
vx applicata alle placchette verticali.

 Passare da K1 a K2 > K1 signica diminuire il periodo da Tx1 a


Tx2 < Tx1 .
 Sullo schermo dello strumento compare però direttamente la lettura
ms µs
del tempo in o anche in . Più è alto il valore di K è più
div div
piccolo è l'intervallo di tempo assegnato alla divisione orizzontale
dello schermo.

La composizione del segnale avviene applicando direttamente il dente di


sega alle placchette verticali (asse x ) ed il segnale periodico Vy alle plac-
chette orizzontali (asse y ).

Condizione necessaria per visualizzare una forma d'onda intera e ferma


sullo schermo è avere il periodo del dente di sega Tx coincidente con il
periodo Ty di Vy .
Se i due segnali non avessero il periodo coincidente e fosse, ad esempio,
3
Tx = t1 − t0 = Ty , un apposito circuito elettornico dell'oscilloscopio è
4

39
in grado di sincronizzare la partenza di ogni rampa con un punto preciso
del segnale periodico (ad es. Vy = 0) ovvero di mettere in attesa la rampa
successiva per il tempo che il segnale in ingresso impiega per concludere
T
ciò che rimane del periodo dell'onda, nell'esempio.
4
In questo modo è possibile visualizzare ferme sullo schermo frazioni di
forme d'onda o anche multipli non interi di onde periodiche.

Per la visualizzazione in modalità xy il segnale vx (t) del generatore di


denti di sega viene scollegato per mezzo di un selettore dalle placchette
verticali e ad esse viene inviato dall'esterno un secondo segnale in tensione
Vx in modo da ottenere una deessione combinata del fascetto secondo
la legge Y = f (X). Con la modalità di funzionamento xy è possibile
visualizzare sullo schermo di uscita l'evoluzione nel tempo di esperimenti
nei quali esiste una dipendenza funzionale tra due grandezze misurate (ad
esempio un ciclo di isteresi B = f (H) o legge di Hook σ = E · ε)

Per l'oscilloscopio digitale la forma dell'onda viene ricostruita per mezzo


di campioni digitalizzati. Lo schermo è più simile ad un monitor di com-
puter che non ad un CRT con placchette deettrici, ed il segnale deve es-
sere convertito da analogico a digitale (A/D). L'oscilloscopio digitale è con-
cettualmente più simile ad un voltmetro digitale che non all'oscilloscopio
analogico.

1.9 Manipolazione del segnale


La parte della manipolazione del segnale rappresenta la parte centrale dello
strumento di misura. Essa, oltre trasferire il segnale dal trasduttore allo stru-
mento terminale può eseguire delle operazioni sul segnale stesso (amplicazione,
derivazione, integrazione, somma, dierenza, conversione A/D, ecc.)
Quando il mezzo che trasferisce l'informazione x è un segnale elettrico, vuol
dire che il valore numero x può essere associato o alla tensione v o alla corrente
i che viaggiano sui cavi di collegamento. Anche se le due grandezze sono legate
dalla legge di Ohm v = R · i, i costruttori di strumentazione specicano sempre
se il segnale in uscita o in ingresso ad uno stadio o ad uno strumento è in tensione
oppure in corrente.
Un segnale uscente da un trasduttore richiede necessità opposte (in fatto
di resistenza del componente che segue) a seconda che si tratti di un segnale
in tensione o in corrente. E' sempre possibile misurare una tensione con un
amperometro e una corrente con un voltmetro (vedi gura 5).
Spesso per la corrente i si richiede il valore ecace ief f , occorre quindi
raddrizzare il segnale per mezzo:

1. di un diodo SCR → raddrizzamento ad una semi-onda ;

2. del ponte di Graetz → raddrizzamento a doppia semi-onda ;

40
Figure 5:
Misura di tensione con un amperometro (a sinistra: v = Ri, con Ra  R) e di
v
corrente con un voltmetro (a destra i= , con Rv  R)
R

Ciò può essere pensato già come una manipolazione del segnale. La tensione
risultante vu = R · iu viene misurata con un galvanometro lento in modo da
ltrare automaticamente l'ondulazione residua. Per una corrente puramente
sinusoidale i (t) = I0 sin ωt si ha:

1 ´T 2
ˆ valor medio: Im = I0 sin ωt · dt → Im = I0
T 0 π
1 ´T
r
I0
ˆ valore ecace: Ief f = sin2 ωt · dt → Ief f = √
T 0 2
I
√0
Ief f 2 π
ˆ fattore di forma: Kf = = = √ ∼= 1, 11
Im 2I0 2 2
π

1.9.1 L'amplicatore operazionale


L'elemento di gran lunga più usato negli strumenti di misura è l'amplicatore
A. In particolare si illustra l'amplicatore operazionale AO .
L'AO ha due ingressi: non invertente V+ , invertente V− , ed una uscita V0 .
Esso quindi accetta in ingresso una dierenza di potenziali e che l'uscita è un
potenziale riferito alla massa dello strumento.

41
Figure 6:
Amplicatore operazionale.

Caratteristiche ideali dell'AO :

ˆ

Amplicazione A → ∞ 106 ;

ˆ

Impedenza in ingresso Zi → ∞ 109 Ω ;

ˆ Impedenza in uscita Z0 → 0 (1Ω);


ˆ Banda Passante BW → ∞;

L'AO approssima tali valori nel funzionamento ad anello aperto, in quella


zona della curva caratteristica di funzionamento rappresentata a destra della
rampa crescente. Un qualunque amplicatore non può amplicare una tensione
in ingresso producendo tensioni in uscita superiori alla propria tensione di al-
imentazione (mediamente ±10V ); con una A∼
= 106 l'intervallo utile dei valori
della dierenza di potenziale in ingresso coperto dalla rampa di amplicazione
si estende solamente per alcune decine di µV . Quando la tensione in ingresso
supera questi µV l'AO va in saturazione ed emette in uscita una delle tensioni
continue di alimentazione (±Vcc ), positiva o negativa a seconda del segno di
Vi = V+ − V− . In questa congurazione l'AO può essere usato come compara-
tore.

ˆ Esempio: se Vcc = ±10V e A = 106 si ha

20V
 ±10V = 106 · (V+ − V− )M AX da cui (V+ − V− )M AX = = 20µV
106
Per |Vi | = |V+ − V− | > 20µV l'operazionale va in sturazione!

Per questo motivo per amplicare un segnale di misura l'AO viene utilizzato
sempre ad anello chiuso.
A causa dei disturbi che possono colpire l'AO i costruttori limitano la banda
passante a pochi Hz. Questi disturbi, con le elevate amplicazioni disponibili,

42
Figure 7:
Amplicatore operazionale in congurazione invertente.

potrebbero portare l'amplicazione ad oscillare tra ±Vcc rendendo impossibile


anche il funzionamento da comparatore.
In gura 7 è riportata la disposizione circuitale dell'AO in congurazione
invertente . Essendo la Zin ∼
= 109 Ω le poche cariche elettriche che riescono ad
entrare per pilotare il dispositivo sono una corrente trascurabile rispetto ad ii .
La caduta di potenziale tra i due morsetti (−) e (+) è anch'essa trascurabile.
Essendo il morsetto non invertente (+) collegato a massa risulta che anche il
morsetto invertente (−) si troverà all'incirca al potenziale di riferimento: ovvero
a massa virtuale. Si possono scrivere le seguenti equazioni:

ˆ Massa virtuale V− ∼
= V+ = 0; Vi = Ri · ii , Vo = Rf · if
ˆ Al nodo ii + if = 0 → ii = −if
Vi
ˆ Vo = −Rf · ii = −Rf · che rappresenta la curva di graduazione dell'AO
Ri
Vo Rf
e che fornisce: =− = G che rappresenta il guadagno .
Vi Ri
Questo non è elevato come nella congurazione ad anello aperto , ma dipende
unicamente dal rapporto tra la resistenza di controreazione
Rf e quella di in-
Rf
gresso Ri , ed è
R i  A. Il segnale in uscita risulta inoltre invertito di segno

rispetto all'ingresso.

Per ovviare al cambio di segno si collega l'AO ad anello chiuso in congu-


razione non invertente .
In questa congurazione:

ˆ Non si ha più la massa virtuale: V− ∼


= V+ = Vi .

43
Figure 8:
Amplicatore operazionale in congurazione non invertente

ˆ Tutta la corrente che scorre nel ramo di controreazione a causa della Zin ∼
=
109 Ω non riesce ad entrare nell'ingresso invertente (−) e se ne va verso
massa attraverso la Ri .
Vi
ˆ Si ha: if = i; Vo = Vf + Vi = Rf · if + Vi = Rf · ii + Vi = Rf · + Vi =
  Ri
Rf
Vi +1 .
Ri
Vo Rf
ˆ Il guadagno è: G= = + 1.
Vi Ri

Gli AO in uscita sono considerati dei generatori di tensione, e quindi non


sono in grado di pilotare in corrente un carico connesso a valle di Vo . Per ap-
prezzare il guadagno sul segnale il dispositivo a valle di V0 deve avere impedenza
elevata.

L'AO si chiama così perchè, oltre ad amplicare segnali in tensione, è in


grado di eseguire operazioni matematiche sui segnali:

Esempio: sommatore di tensione .


Scrittura equazioni:

ˆ Riprendo la relazione scritta nel caso dell'AO in congurazione invertente:


Rf Vi Va Vb
Vo = − · Vi = −Rf ii , dove ii = = ia + ib = + .
Ri Ri Ra Rb

44
Figure 9:
Amplicatore operazionale sommatore di tensioni

 
Va Vb
ˆ Ora: Vo = −Rf + . Se si progetta l'ingresso del circuito con:
Ra Rb
Rf
Ra = Rb = R , si ottiene → V0 = − (Va + Vb ), la somma delle due
R
tensioni in ingresso!

1.9.2 Filtro RC e CR
Il ltro RC è una semplice rete bipolare composta da una resistenza e da un
condensatore. Equazioni:

ˆ Per le due maglie posso scrivere: vi = (R + XC ) i v = XC i


vo XC 1 1
ˆ Combinando le equazioni ho: = = =
vi R + XC R jωRC + 1
+1
XC
1 1 vo 1
ˆ Se si pone: ωc = = si ottiene = dove λ è la costante
RC λ vi jωλ + 1
di tempo del sistema. Il ltro è un sistema elettrico del 1° ordine con
1
guadagno: G = s  e sfasamento: ϕ = arctan (−ωλ).
2
ω
+1
ωc

ˆ Esso è un ltro passa basso con:

 per ω=0 G=1


 per ω→∞ G=0

45
1
 per ω=1 G= √
2
1
La fc = è la frequenza di taglio del ltro (a -3dB)
2πRC
1 vo ∼ 1 1
ˆ Particolarità: per |jωRC|  1 → ω  = ωc e vale G= = · ,
RC vi jω λ
1 1
ovvero vo (t) = · · vi (t). Il segnale in uscita è l'integrale del segnale
jω λ
in ingresso
10 . Il ltro è un integratore analogico del segnale in tensione.
L'integrazione avviene però per quel campo di frequenze dove il segnale
in uscita è fortemente attenuato.

Il ltro CR è una rete bipolare composta da un condensatore e da una


resistenza. Equazioni:

ˆ Per le due maglie posso scirvere: vi = (XC + R) i vo = Ri


R
vo R XC jωRC
ˆ Combinando le equazioni ho: = = =
vi XC + R R jωRC + 1
+1
XC
1 1 vo jωλ
ˆ Se si pone: ωc = = si ottiene = dove λ è la costante
RC λ vi jωλ + 1
di tempo del sistema. Il ltro è un sistema elettrico del 1° ordine con
ω  
ωc 1
guadagno: G = s  e sfasamento: ϕ = arctan .
ω
2 ωλ
+1
ωc

ˆ Esso è un ltro passa alto con:

 per ω=0 G=0


 per ω→∞ G=1
1
 per ω=1 G= √
2
1
La fc = è la frequenza di taglio del ltro (a -3dB)
2πRC
10 Se si ha un segnale del tipo vi (t) = V sin ωt = V ejωt e si calcola l'integrale si ottiene:
ˆ ˆ    
V jωt 1 1 1
vi (t) dt = V ejωt dt = e = V ejωt = ·vi (t) → operatore di integrazione
jω jω jω jω

46
1 vo ∼
ˆ Particolarità: per |jωRC|  1 → ω  = ωc e vale G= = λ · jω ,
RC vi
ovvero vo (t) = λ · jω · vi (t). Il segnale in uscita è la derivata del segnale
in ingresso
11 . Il ltro è un derivatore analogico del segnale in tensione.
La derivazione avviene però per quel campo di frequenze dove il segnale
in uscita è fortemente attenuato.

1.9.3 L'amplicatore operazionale integratore


La congurazione è quella invertente ma al posto della resistenza di controre-
azione presenta il condensatore Cf .

Zf 1
ˆ Per il guadagno vale: vo = − vi con Z i = Ri e Zf = XCf = .
Zi jωCf
1 1
ˆ Quindi: vo = − · vi = − · ωc · vi . Si riconosce come il circuito
jωRi Cf jω
eettua un'operazione di integrazione sul segnale.

ˆ Se si desidera amplicare il segnale va posta, in parallelo a Cf , una oppor-


Rf
tuna resistenza Rf per ottenere un guadagno G = che si sovrappone
Ri
all'integrazione.

1.9.4 L'amplicatore operazionale derivatore


La congurazione è quella invertente ma al posto della resistenza di ingresso
presenta il condensatore Ci .
11 Se si ha un segnale del tipo vi (t) = V sin ωt = V ejωt e si calcola la derivata si ottiene:

dvi (t) dV ejωt


= = jωV ejωt = (jω) · vi (t) (jω) → operatore di derivazione
dt dt

47
Zf 1
ˆ Per il guadagno vale: vo = − vi con Zi = XCi = e Z f = Rf .
Zi jωCi
1
ˆ Quindi: vo = −jωCi Rf · vi = −jω · · vi . Si riconosce come il circuito
ωc
eettua un'operazione di derivazione sul segnale.

ˆ Se si desidera amplicare il segnale va posta, in serie a Ci , una opportuna


Rf
resistenza Ri per ottenere un guadagno G= che si sovrappone alla
Ri
derivazione.

Per tutte e due i tipi di schemi l'integrazione e la derivazione avviene per


frequenze alle quali il guadagno è considerevolmente < 1.
Porre una resistenza in serie al condensatore d'ingresso sposta il valore della
1
frequanza caratteristica ωc = .
Rf Ci

1.9.5 Rapporto di reiezione in modo comune: CMRR


Negli AO reali viene amplicata la dierenza dei potenziali entranti V1 e V2
(riferiti a massa). Quindi più che la Vo = A (V2 − V1 ) vale la Vo = A2 V2 − A1 V1 .
Con riferimento alla gura sotto si deniscono le seguenti relazioni:

ˆ L'ingresso dierenza Vd = V2 − V1 .
V1 + V2
ˆ L'ingresso di modo comune Vc = .
2
A1 + A2
ˆ L'amplifcazione dierenziale Ad = .
2
ˆ L'amplicazione di modo comune Ac = A2 − A1 .

48
Figure 10:

Se l'amplicatore fosse ideale (A1 = A2 = A) amplicherebbe solo l'ingresso dif-


ferenza Vd . Nella realtà invece Ad agisce su Vd e Ac sulla tensione indesiderata
Vc . Il rapporto tra Ad e Ac (cercando di fare quanto più possibile A1 = A2 e
quindi Ad elevate e Ac molto basse) è un parametro di qualità molto importante
per gli AO e prende il nome di:

A2
Rapporto di Reiezione di M odo Comune =
A1
A2
CM RR =
A1
di solito dell'ordine di 105 . E' conveniente esprimerlo in scala logaritmica:
Ad
CM RR = 20 log con valori che possono andare da 60dB a 120dB .
Ac
Nella gura sotto è schematizzato l'amplicatore per strumentazione
(instrumentation amplier).

49
I trasduttori non sono buoni generatori di tensione in quanto non sono in
grado di inviare correnti signicative ad un carico collegato a valle. Questo
9
dispositivo ha un impedenza molto elevata (10 Ω) su ambedue i terminali di
ingresso ed ha intrinsecamente una alta reiezione del segnale di modo comune Vc .
E' usato nelle misure perchè è ottimo per amplicare segnali ottanti (V2 − V1 ),
ovvero non riferiti alla massa dello strumento. Per il guadagno (direnziale) si
ha:  
vo R4 2R2
G= = 1+
vi R3 R1

Per trasduttori che producono un segnale periodico sovrapposto ad una forte


componente continua, oppure un segnale che deriva nel tempo, o anche per tras-
duttori che presentano essi stessi in uscita un segnale modulato ... è sconsigli-
abile amplicare il segnale in continua. In questi casi si utilizza l'amplicatore
in alternata (AC) o Carrier .
Si tratta di un dispositivo capace di modulare in ampiezza il segnale (del
trasduttore o dello stadio che precede)
12 . Il segnale con frequenza fs viene mod-
ulato con un'onda portante a frequenza fc  fs . La portante viene amplicata,
quindi demodulata. Un circuito discriminatore di fase riconosce se la portante
trasporta una semi-onda positiva o negative e utilizza questa informazione nello
stadio di demodulazione. Il segnale amplicato viene quindi ricostruito nella
sua frequenza originale attraverso un ltro passa-basso.

1.9.6 Il ponte di Wheatstone


Se si schematizza la rete elettrica con le seguenti caratteristiche:

ˆ Disposizione di 4 resistenze a rombo, con R1 in alto a sx, R2 in alto a dx,


R3 in basso a dx, R4 in basso a sx; C nodo in alto, D nodo in basso, A
spigolo sx, B spigolo dx; un galvanometro che unisce A a B ; un generatore
di tensione tra C e D.

ˆ Se il ponte è in equilibrio il galvanometro segna zero cioè VA − VB = 0


(non c'è passaggio di corrente).

ˆ Se al posto della R1 si pone una restistenza incognita Rx , si sostituisce a


R2 un reostato variabile, agendo su R2 no ad equilibrare il ponte, dalla

relazione
13 Rx = R2 R4 si ottiene il valore di Rx .
R3
12 Segnale portante: è il segnale che porta, detto anche canale.
Segnale modulante: è l'informazione che si vuole trasportare con il segnale portante.
Modulare in ampiezza vuol dire far variare l'ampiezza di una portante a radiofrequenza
secondo l'ampiezza di una modulante a bassa frequenza; consiste nel modulare l'ampiezza
del segnale radio che si intende utilizzare per la trasmissione (detto portante) in maniera
proporzionale all'ampiezza del segnale che si intende trasmettere (modulante). Il segnale
modulato ha la stessa frequenza della portante.
13 Se nel tratto CAD scorre la corrente I1 e nel tratto CBD scorre la corrente I2 si può
scrivere (all'equilibrio VA = VB ) R1 I1 = R2 I2 e R4 I1 = R3 I2 . Dividendo membro a membro
R1 R2 R4 R2
si ha = dalla quale ottengo: R1 = .
R4 R3 R3

50
L'altro utilizzo del ponte di Wheatstone è quello per cui non si è interessati al
valore di R1 ma ad una sua variazione ∆R1 che può essere letta sul quadrante
dello strumento. Si sostituisce il galvanometro con un millivoltmetro . Occorre
conoscere la curva di graduazione del ponte : VAB = f (∆R1 ). Se si pone R1 =
R2 = R3 = R4 = R e si considera la variazione della sola ∆R1 si ha:

1 ∆R1
∆e ·
= 4 R
E 1 ∆R1
1+ ·
2 R
che risulta non lineare! Se però si considera che di solito ∆R1  R la precedente
diventa:
∆e 1 ∆R1
= ·
E 4 R
che rappresenta la curva di graduazione del ponte di Wheatstone linaerizzato !
Se avessimo avuto una variazione ∆R2 dai segni della relazione di equilibrio
del ponte R1 R3 − R2 R4 = 0 avremmo ottenuto:

∆e 1 ∆R2
=− ·
E 4 R
curva di graduazione ribaltata rispetto alla precedente.
Se variassero tutte e quattro le resistenze avremmo:
 
∆e 1 ∆R1 ∆R2 ∆R3 ∆R4
= · − + −
E 4 R R R R
curva di graduazione linearizzata completa del ponte di Wheatstone .
Questa relazione descrive uno degli stadi di manipolazione del segnale per la
variazione di resistenza più utili in assoluto nel campo della misura di grandezze
meccaniche.

1.10 Strumenti terminali numerici


I visualizzatori a led sono stati usati in passato. Per il fatto che riscaldano, che
consumano energia (soprattutto se lo strumento è alimentato a batterie) si sono
diusi oggi i visualizzatori LCD (Liquid Crystal Display) a cristalli nematici.
Gli LCD necessitano di una fonte di illuminazione esterna.
Il liquido nematico ad eetto rotazionale è interposto tra due lastrine di vetro
ricoperte interamente da uno strato di ossido metallico trasparente (una com-
pletamente e l'altra ad isole elettricamente separate così da formare i segmenti
dell'indicatore). Il liquido nematico scarico si dispone con tutte le molecole
parallele alle lastrine di vetro. Quando al liquido viene applicato un campo
elettrico, le sue molecole ruotano di 90° e si dispongono concordemente con la
polarizzazione dei ltri. La luce polarizzata dai ltri passa attraverso i segmenti
cui è applicato il campo elettrico.
L'illuminazione può essere quella ambientale oppure il visore può essere retro-
illuminato.

51
Il principio di funzionamento degli strumenti numerici è fondato sul conteggio
numerico su base non decadica.

2 La misura della lunghezza


2.1 Metrologia d'ocina
2.1.1 Calibri
Il calibro a nonio è uno strumento di misura composto da una parte ssa ed
una mobile che vi scorre assialmente grazie ad una rotaia a coda di rondine.
Sulla parte superiore (ssa) è incisa una scala di 20cm con l'approssimazione di
un millimetro mentre su quella inferiore (mobile) è incisa una scala muta (senza
numeri) che può essere lunga:

ˆ 9 mm ed essere divisa in 10 parti (calibri decimali );

ˆ 19 mm ed essere divisa in 20 parti (calibri venetsimali );

ˆ 49 mm ed essere divisa in 50 parti (calibri cinquantesimali );

Per valutare la frazione di millimetro di un segmanto A occorrerà osservare


qual'è la prima delle tacche mobili che coincide con una qualunque delle tacche
sse. Per un calibro decimale, ad esempio, se osserviamo la tacca n si può
aermare che il pezzo misura  x millimetri e n decimi perchè ogni tacca mobile
rimane indietro di 0,1 mm rispetto alle tacche sse e la tacca n-esima individua
proprio di quanti decimi di mm è costituito il segmento A.

2.1.2 Palmer
Per misure per cui è richiesta un'approssimazione maggiore si usa il palmer
anch'esso uno strumento manuale. E' costituito da un telaio ad arco e da una
coppia vite (mobile, sulla quale è incisa la scala ssa graduata in 0,5 mm ) e
madrevite (solidale al telaio, sulla quale è incisa radialmente la scala mobile
suddivisa, ad esempio, in 50 parti). Sul telaio è riportato il campo di misura in
millimetri e la temperatura di esercizio consigliata in gradi centigradi.
Per eettuare la misura si pone il pezzo tra l'incudine e la vite micromet-
rica aperta, si serra e poi si continua il serraggio agendo su una frizione che
impedisce di stringere il pezzo con forze superiori a 10 N, onde deformarlo. Per
ottenere la misura basta leggere sulla madrevite quante tacche da 1/2 millimetro
corrispondono ed aggiungere ad essa tanti centesimi di millimetro quanti se ne
leggono sulla scala mobile. Infatti se la vite in un giro avanza di mezzo mil-
limetro (passo) e la scala è suddivisa in 50 parti signica far corrispondere alla
frazione di giro equivalente ad una tacca mobile un avanzamento della vite di
1 1 1
· = di millimetro.
2 50 100
Data la precisione spinta prima della misura è consigliabile chiudere il palmer
e vericare che dia zero in lettura, e utilizzarlo alla temperatura prescritta.

52
2.1.3 Comparatori centesimali e millesimali
Il comparatore è uno strumento di misura utilizzato per misure di spostamento
lineare. Lo strumento basa il suo funzionamento sulla lettura dello sposta-
mento di un'asta cilindrica mobile che scorre all'interno di una guida tubo-
lare. L'estremità dell'asta (chiamata tastatore o palpatore) è a contatto della
supercie dell'oggetto sottoposto a misura. Una molla spinge costantemente
l'asta verso l'esterno del corpo del comparatore, assicurando cosi' che il tasta-
tore sia perennemente in contatto con l'oggetto di misura. Quando la supercie
si sposta nella direzione dell'asse dell'asta (avvicinandosi o allontanandosi), an-
che quest'ultima si muove. Un sistema di lettura amplica e visualizza questo
spostamento rendendo disponibile la misura.
I comparatori normalmente vengono realizzati con corse utili comprese tra
1 e 100 mm, mentre la risoluzione è normalmente centesimale (0,01 mm), anche
se vengono realizzati comparatori di precisione bimillesimali (risoluzione 0,002
mm).

2.1.4 Blocchetti pian-paralleli


Il blocchetto pian-parallelo , anche detto blocchetto di riscontro, è un calibro
sso costituito da un parallelepipedo lavorato in modo da ottenere due facce
contrapposte perfettamente parallele, distanziate tra loro di una quota precisa
(spessore nominale).
Raramente i blocchetti vengono usati singolarmente, è invece normale ac-
quistarli e usarli in serie più o meno numerose. Le serie hanno blocchetti di
dimensioni dierenti, con progressioni aritmetiche che permettono, combinando
pochi elementi, di poter creare molti altri calibri. La combinazione avviene at-
taccando due o più blocchetti sui piani lavorati. L'adesione si genera per azione
delle forze molecolari tra le due superci piane nemente lavorate.
I blocchetti possono essere utilizzati:

ˆ come dima, per vericare la rispondenza dimensionale di un oggetto (con-


trolli passa/non passa);

ˆ come strumento di misura, per eettuare rilievi dimensionali (no alla


risoluzione di 0,001mm);

ˆ come strumento di riferimento, per controllare la precisione di misura di


altri strumenti (utilizzazione come campione).

I blocchetti vengono costruiti con gradi di precisione dierente, a seconda delle


esigenze dell'utilizzatore. Infatti, malgrado l'apparente semplicità, le dicoltà
pratiche di realizzazione possono far lievitare molto il costo delle serie di preci-
sione.
A seconda degli errori massimi di spessore nominale e di variazione di lunghezza,
i blocchetti vengono classicati classi di precisione, deniti grado . Nelle serie
destinate alle ocine:

ˆ grado 3 , piuttosto imprecise (praticamente inutilizzati);

53
ˆ grado 2 , destinate all'uso generico;

ˆ grado 1 , destinate ad usi di precisione.

In commercio esistono anche le serie d'alta precisione, denite di grado 0 e


grado 00 , destinate prevalentemente ai laboratori metrologici (le caratteris-
tiche di precisione sono denite a 20°C).

2.1.5 Comparatori elettrici e trasduttori di spostamento


Il comparatore digitale funziona sullo stesso principio del comparatore a quad-
rante, con la dierenza che gli ingranaggi movimentano un piccolo encoder col-
legato ad un contatore elettronico. Minimi spostamenti dell'asta si traducono
così in impulsi elettrici conteggiabili da un indicatore elettronico.
L'evoluzione dell'elettronica ha permesso la realizzazione di indicatori minia-
turizzati e dal consumo molto basso, tanto da poter essere facilmente alimentati
da una comune batteria a bottone. I display dei comparatori sono normalmente
realizzati con una risoluzione 0,01 mm.

2.2 Trasduttori di spostamento


Per i trasduttori di questo tipo l'ingresso è uno spostamento (lunghezza) e
l'uscita è una tensione o una corrente. Il loro funzionamento si basa sulla vari-
azione della resistenza , dell' induttanza , o della capacità degli elementi
elettrici passivi al loro interno. Dalla legge di Ohm si ha: V = Z·I dove il
modulo dell'impedenza Z ha la forma generale:

s  2
1
|Z| = R2 + ωL −
ωC

2.2.1 Dispositivi resistivi: potenziometro


Se la pulsazione ω della tensione è nulla la legge di Ohm diventa: V = R·I e
siamo in presenza del potenziometro resistivo. Se si indica con:

ˆ Vi la tensione di ingresso e Vo la tensione di uscita;

l x
ˆ Rl = ρ la resistenza totale e Rx = ρ la resistenza da un estremo al
S S
corsore;

si può scrivere la seguenta relzione:

x
Vo ρ ·I x Vi
= S = cioè Vo = ·x
Vi l l l
ρ ·I
S

54
che rappresenta la curva di graduazione . Ricordando poi la denizione di
sensibilità (variazione dell'uscita in rapporto alla variazione dell'ingresso) si ha
 
dVo Vi V
S= = costante .
dx l m
Per il potenziometro angolare si ha:

ϑr
Vo ρ ·I ϑ Vi
= S = cioè Vo = ·ϑ
Vi 2πr r 2π
ρ ·I
S
Per i potenziometri costituiti con lo avvolto a spire giustapposte per l'avanzamento
del cursore pari ad un diametro del lo si ha un salto di un pezzo di conduttore
pari alla lunghezza di una spira completa. La curva di graduazione assume la
forma tipica a gradini.

2.2.2 Dispositivi induttivi: trasformatori dierenziali e trasduttori


senza contatto
N 2S
I trasduttori induttivi sono basati sulla legge: L = µ0 µr . Un trasdut-
l
tore passivo è il sensore di prossimità a riluttanza variabile. Per un circuito
magnetico il cui usso Φ è indotto da una bobina di N spire con induttanza L
vale la relazione:

N2 l
L= dove < = è la riluttanza
< µ0 µr S
Di solito i circuiti magnetici si sviluppano per la maggior parte nel ferro che ha
una permeabilità magnetica relativa µf ≥ 1000, mentre il breve tratto in aria
(traferro) ha µa ∼
= 1 e costituisce la parte variabile del circuito magnetico (per le
lunghezze si ha lf > la ). Lo spostamento x dell'ancoretta (A) rispetto al pacco
di lamierini (C) rappresenta l'ingresso al trasduttore. Visto che < = <f + <a e
N2
che µf > 1000µa l'induttanza della bobina sarà praticamente L = anche se
<a
lf > la dovuta tutta al traferro.
Per il circuito sarà:

ˆ Tensione di alimentazione: V = V0 sin ωt.

ˆ Legge di Ohm V = Z·I Z = R + jωL. Se si realizza la bobina con


con
XL
un elevato fattore di merito Q = si può approssimare la legge di Ohm
R
2 2
N N S
V ∼
= jωL · I = jω · I = jωµ0 µr · I.
<a l
la
ˆ Se si considerano i valori ecaci di tensione e di corrente, si pone x= e
2
si esplicita la corrente in funzione dello spostamento x si ottiene la curva

55
di graduazione del trasduttore di prossimità a riluttanza variabile :

2Vef f
Ief f = ·x
ωN 2 µ0 µr S
dI 2Vef f
Per la sensibilità si ha: S= = costante .
dx ωN 2 µ0 µr S

2.2.3 Dispositivi capacitivi


S
I trasduttori capacitivi sono basati sulla legge: C = ε0 εr . Quindi per
d
realizzare un trasduttore capacitivo si può pensare di far variare:

ˆ d la distanza tra le armature; si otterebbe così la sensibilità non lineare :


dC S
S= = −ε0 εr 2 .
dd d
ˆ S la supercie del condensatore; si ottiene una sensibilità costante : S =
dC 1
= ε0 εr ; un tale trasduttore risulterebbe lineare.
dS d
ˆ εr la costante dielettrica del condenstatore; anche qui la sensibilità risulta
dC S
costante : S= = ε0 e la curva di graduazione lineare.
dεr d

2.2.4 Sistemi ottici: interferometri; encoder

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