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Psicoanalisi nel carcere: una esperienza di libertà.

1. Ringraziamenti Ordine dei Psicologi e al suo presidente Roberto Calvani, all’Università di


Giurisprudenza di Ferrara e della mia amica Stefania Carnevale e a Francesca Valencak
2. Aver vissuto in dittatura mi ha insegnato l’alto valore della libertà.
3. Siccome la dittatura toglie i diritti delle persone e instaura un clima di controllo, terrore e di sospetto,
la parola diventa pericolosa. Si impara a stare zitto o a parlare solo con persone fidate.
4. Pochi luoghi garantivano la piena libertà di parola: la propria casa, gli amici e uno spazio particolare:
lo studio del analista.
5. La psicoanalisi ha una regola fondamentale che l’analista recita come inizio del rito: lei puo dire quello
che vuole. Non accaso il nostro lavoro si basa sulla libera associazione del paziente.
Ma in dittatura non si puo mai parlare di ciò che uno vuole perché le conseguenze potrebbero essere
tragiche.
6. Ecco l’importanza di questo territorio liberato, di questo spazio emancipato: si poteva finalmente
dire ciò che si voleva. Che includeva puntualmente una imprecazione contro i militari.
7. Il dispositivo analitico libera un territorio simbolico perchè è privo di giudizio e di condanna: colloca
al soggetto davanti a se stesso, solo, anche se si trova in compagnia.
8. Cosi, il soggetto si interroga, si domanda, si studia.
9. Anche il sistema giudiziario interroga, domanda, studia al soggetto. Vuole giudicare attraverso la
ragione, vuole sapere del soggetto. Soprattutto I moventi, per quale ragione hai fatto ciò che hai
fatto. La giustizia tenta de restituire al imputato il proprio delitto, cercando la ragione.
10. Il desiderio del giurista è il sapere. Per questo uno dei fantasmi temuti del sistema giuridico è trovarsi
davanti al delitto senza una ragione: la formula futili motivi accomuna una serie di reati che non
trovano comprensione.
11. Nel caso che vi racconterò, sono stato contattato da un avvocato perchè si trovava davanti a un
mistero, a un enigma che non riusciva a decifrare.
12. L’enigma si chiamava Mirko, un ragazzo serbo di 21 anni arrestato in flagranza di reato mentre
tentava di commettere una rapina in un supermercato.
13. Mirko era autore de altre sei rapine commesse negli ultimo 15 giorni, tutte con le stesse modalità: si
presentava nei negozi a volto scoperto e intimava alle commesse sempre con grande correttezza di
dargli l’incasso. Solo davanti al loro rifiuto lasciava intravvedere la pistola. Pistola giocattolo come
dopo si è scoperto.
Tutto il suo agire evocava improvvisazione e ingenuità secondo il GIP. Aveva ripetuto la rapina due
volte nello stesso negozio e agiva sempre a volto scoperto. Trattandosi di un ragazzo di 2 metri di
altezza, capllei neri e occhi chiari, la sua identificazione è stata immediata.
I giornali lo avevano nominato Faccia d’angelo. Ma il movente delle rapine era un mistero. Mirko era
chiuso nel mutismo.
14. Sembrava opportuno per il suo avvocato ottenere qualche chiarimento sulla sua personalità per
costruire una linea difensiva poiché mentre Mirko si chiudeva nel silenzio, i giornali parlavano
costruendo il personaggio: Faccia d’angelo, un ragazzo dell’Est che per pagare una macchina di grossa
cilindrata rapinava a mano armata. Tra le righe si leggevano vecchie pregiudizi e ferite storiche e
politiche della città: ecco lo sciavo (letteralmente schiavo) che arriva a rubare i nostri soldi. Il futile
motivo, la banalità del male. Il pericolo che viene da oltre il confine.
15. Visito quindi Mirko in carcere. Un bel ragazzo che mi saluta con la premura de un soldato. Non capisce
bene cosa faccio lì ma si fida del suo avvocato e mi racconta le sei rapine, una ad una, come se stesse
ancora confessando, come se avesse l’urgente bisogno di confessare.
16. Gli rispondo che a me piacerebbe sapere di lui.
17. Mirko è nato 21 anni fa, figlio dei genitori che si sposano giovanissimi, una famiglia modesta.
Racconta infanzia solitaria, allevato dei nonni materni e la paura della guerra in Jugoslavia.
Il racconto è secco, scarno, freddo, sempre condito del significante “normale”. Famiglia normale,
infanzia solitaria normale come era normale crescere dai nonni perché i genitori lavoravano.
18. Già a 8 anni manifesta il suo precoce talento per la pallavolo. Ero veloce ed ero furbo. Era una giovane
promessa e quindi è stato allevato con una solida base tecnica.
Spariscono altre immagine della sua infanzia solitaria quando appare la pallavolo. Tutto appare
illuminato e concentrato in questo sport che sembra averle dato un senso alla sua vita.
19. Il salto del suo racconto lo porta direttamente in Francia, con un contratto per giocare in serie A2.
20. Si sente orgoglioso de essere stato il primo giocatore della sua regione a giocare professionalmente
in Francia.
21. Domando che cosa abbia significato per lui lasciare la sua famiglia e la sua città. Risponde con il
consueto Normale, sapevo che ero forte e che prima o pio dovevo andare via della Serbia.
22. Il primo anno sportivamente è stato molto positivo, giocava sempre da titolare, si parlava di un futuro
contratto in A1 e inizia la convivenza con una ragazza.
23. Nel secondo anno però le cose cambiano, ecco il racconto “Ho avuto un infortunio, ma non è stato
solo questo, ho capito che non riuscivo a essere un giocatore professionale di A1. L’allenatore me lo
ha fatto capire che io, con la mia intelligenza per la pallavolo, la mia tecnica, la mia tattica, non ero
un giocatore di A1. Mi sono detto meglio smettere che giocare sempre in A2 e sono ripartito per la
Serbia”
24. La squadra voleva tenerlo sotto contratto, la ragazza voleva vivere con lui, ma lui se ne è andato
senza ascoltare ragioni.
25. Domando cosa abbia significato per lui smettere di giocare a pallavolo, finire la carriera e i suoi sogni:
Stavo male, me la prendevo con me stesso per non essere riuscito a diventare il giocatore de A1 che
volevo
26. Aveva guadagnato un po di soldi e al ritorno nella sua città decide di aprire un bar. Il bar si chiamerà
A1 Quando lo descrive li si illuminano gli occhi, c’erano degli schermi con partite di pallavolo in
diverse parti dal mondo, più di 600 clienti al giorno, musica dal vivo nei fine di settimana. La nuova
ragazza era incinta. Ma c’era anche la invidia: gli altri proprietari del bar facevano continue denunce
per ogni cosa e complice funzionari corrotti ì, è stato costretto a chiudere per un mese.
27. La notizia della chiusura del bar sui giornali locali ha fatto cadere il bar come un castello di carte. Si
accumulavano i debiti, nella apertura c’erano pochi clienti.
28. Ed ecco il discorso sui passaggi al atto: Dovevo pagare i debiti, potevo chiede soldi ma mi è scattato
lo istinto sportivo: dovevo farcela da solo. In una partita quando devi fare canestro non puoi chiedere
aiuto a nessuno, devi farlo e basta. E cos’ ho fatto io. So quello che ho fatto ma non so perché lo ho
fatto.
29. Quando siamo arrivati a questo punto del nostro lavoro si è alzato un muro più alto del carcere: il
muro che separava Mirko dal suo atto. Perché lo ho fatto insisteva la domanda senza risposta nella
piccola cella mentale dove girava come una tigre in gabbia senza trovare la via d’uscita. Era solo, solo
come nella sua infanzia, solo come nella sua intera vita, con una domanda più grande di lui.
30. E nell’etica del analista non fornire una risposta perché da analisti non c’è la abbiamo, perché le
uniche parole che fanno uscire della prigione sono le proprie parole.
31. Comunque mi portavo fuori dal carcere la domanda senza risposta di Mirko. Soprattutto il dolore di
chi non ha capito. Fuori dal carcere mi sono fermato nella vetrina de una libreria, una immagine mi
ha guardato, un libro mi ha letto come direbbe Massimo Recalcati. Il titolo Passare all’atto di Bernard
Stiegler.
32. Questo breve saggio prende le mosse da una conferenza tenuta dal autore nel 2003 nel centro
pompidou sul tema come si diventa filosofo. Stiegler confessò di essersi avvicinato alla filosofia in cui
scontò la pena per rapina a mano armata. E ancora negli appunti biografici: Stiegler ha svolto i lavori
più disparati, tra cui fattorino, manovale, trattorista in Tolosa città in cui gestisce un bar che offre
musica dal vivo. Pieno di debiti, decide di rapinare la banca presso chi ha un conto: ha successo
E ripete l’impresa tre volte, prima d’essere catturato dalla polizia”.
33. Ero felice, le avevo trovato un fratello! Avevo trovato un discorso simile, una coincidenza, una
simmetria. Vincenzo Barone fisico teorico che ha scritto il libro L’ordine del mondo che ovunque c’è
la simmetria, in un volto, un fiore, una farfalla, una stella marina. La simmetria si rivela al occhio
attento che la trova.
34. Ho portato a Mirko questo libro come regalo del suo 22 compleanno.
Mirko era un pallavolista, uno sportivo cresciuto nel rigore dell allenamento. Primato del corpo,
niente filosofia. Ma perché non avrebbe dovuto leggerlo? Non poteva capirlo? E che cosa vuol dire
capire?
35. Gli ho portato il libro e una settimana dopo Mirko mi riceve entusiasta mi dice che è incredibile,
sembra che lo abbia scritto io, ma no, perche non capisco molte cose, ma mi serve lo leggo e lo
rileggo. Ho scritto alcune riflessioni: non potevo accettare che il bar fallisse, avevo investito troppo e
non parlo di soldi. Questo sto capendo
36. Le riflessioni mi hanno suggerito di fare ancora un altro passo. Parlare direttamente con Stiegler,
raccontarle quello che stava succedendo. Quindi ho telefonato al Pompidou. Ma io non parlo il
francese e quindi il dialogo con Stiegler è stato assurdo:
Le ho domandato se parlava spagnolo o italiano
Mi ha risposto francese o inglese. Non fa niente le ho detto e le ho raccontato la storia.
Merde con le langues è tutto quello che sono riuscito a capire e che le scrivesse.
37. La lettera di risposta di Stiegler indirizzata a Mirko lo esortava ad avere coraggio e tenacia.
38. Gli effetti di questa lettera su Mirko sono stati significativi alla gioia del riconoscimento è seguito i
ricordi di cosa succedeva prima delle rapine: c’era un impulso che lo faceva partire a Trieste, una
forza ceca. Infine ha ricordato l’evento che lo ha fatto scattare per la prima volta: si prsenta al bar un
creditore e Mirko gli da i pochi soldi che ha in cassa. Il creditore guarda i soldi e poi guarda Mirko
“come se fossi un povero, ma non di soldi, un povero di mente”
39. Questo sguardo insopportabile, sentirsi povero di mente è scaturito un impulso che lo ha portato a
le rapine. Doveva trovare i soldi, pagare i debiti, mettere a tacere quello sguardo. Il creditore, come
l’allenatore stavano dicendo lo stesso: “Non c’è la fai”
40. Il lutto non elaborato della fine della carriera era stato coperto dal Bar. La chiusura del Bar lo portava
al baratro, stava difendendo la sua stabilità psichica.
41. Un anno dopo il giornale della città scrisse Mirko S ventitré anni, il cittadino serbo noto con
l’appellativo faccia d’angelo condannato a 2 anni e 4 mesi per aver messo a segno 6 rapine in 15
giorni non ha di fatto più debiti con la giustizia italiana ed è tornato libero”
42. Se ne è andato di Trieste a ventitré anni, senza debiti, a giocarsi nuovamente le carte della sua
giovane vita.
43. Il caso mostra il fatto che un carcere ferma il passaggio all’atto, immobilizza il corpo del soggetto e
quindi ferma l’automatismo dei reati. Ma non può spiegare le cause di queste trasgressioni e quindi
fa il lavoro a metà. Poiché come insegna Freud quello che non si elabora si ripete. E quindi c’è la
recidiva. La psicoanalisi potrebbe avere questo ruolo in carcere, uno spazio dove vivere la esperienza
di libertà del proprio discorso, per pensare a se stesso e capire le proprie ragioni. Così come ogni
paese offre un proprio spazio ad altri paesi per costruire le proprie ambasciate, nello stesso modo la
psicoanalisi potrebbe aprire nel carcere la propria ambasciata: un territorio simbolico libero, dove il
soggetto incontra se stesso e riflette sulla sua vita. Senza obbligo di riferire a nessuna, aggiungendo
alla nostra regola fondamentale Lei qui puo dire ciò che vuole, che non verrà riferito a nessuno.

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