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GRUPPI

Non è sufficiente che si rispetti il setting affinché si crei un gruppo, ovvero che ci si ritrovi a una certa ora in
un certo luogo. Deve avvenire un tempo di fondazione del gruppo stesso, che è un tempo logico e non
cronologico. Il tempo affinché un gruppo si riconosca come un nuovo soggetto che è il soggetto gruppo e
questo è un evento che fa parte di un processo articolato che non si compie mai una volta per tutte ma che
è necessario rinnovare. Quella che è la costruzione di un gruppo nascente deve sfociare in due cose: da un
lato la costruzione di una memoria storica del gruppo stesso e dall’altra nella modalità di funzionamento
propria di quel gruppo. Questo non funziona se la fondazione non si compie si resta nel limbo del non nato
del gruppo non gruppo. Più è articolata la fondazione, maggiore è l’effetto terapeutico del gruppo. Gruppo
che non evolve naturalmente ma che necessita di una serie di atti. Questo soprattutto per quanto riguarda i
gruppi monosintomatici perché tendono a causa della loro omogenità immaginaria a fare massa. Grazie al
processo di fondazione si rende possibile l’emergenza della particolarità soggettiva come irriducibile.
Quindi il processo di fondazione ha come suo effetto strutturato gruppo, gruppo che si fa causa
strutturante dei successivi atti di fondazione. Il gruppo non può presupporsi come già formato ma necessita
di una fondazione che è plurima, altrimenti rischia di consolidarsi nel dogma, in quello che bion chiama
gruppo in assunto di base che ha una tendenza conformistico socialistica che liquida l’inedito in nome
dell’identificazione. Il gruppo non ha fondamento ma lo produce di continuo. Fondamenta che ha che fare
sia con la costruzione di un mito fantasmatico del gruppo (comune) che con la selezione di significante
matrice propri di quel gruppo, che funzionano per quel gruppo li. (anche i gr amicali “perché siamo amici? E
parole segrete”) e questo consente al gruppo di riconsocersi come tale. La fondazione va rinnovata in due
casi: sia quando ci sono modificazioni nella composizione (nuovi ingressi, abbandoni) sia in momenti di stasi
– in cui non sta succedendo niente. I gruppi anoressico-bulimici hanno una particolare difficoltà di
fondazione perché nel momento in cui si costituisco perché ci sono persone che non vengono all’inizio, e il
confrontarsi con l’assenza evoca il fantasma fondamentale dell’anoressia che è quello dello SPARIRE.
Sparire su lato nevrotico per mettere alla prova all’Altro, ti accorgi se non ci sono?, oppure sparisco sul lato
psicotico perché rischio di essere divorato dall’Altro. In una dialettica che è quella della presenza assenza,
della vita e della morte che è precedente a quella della differenza sessuale. Questo tempo di fondazione si
può articolare in tre momenti, l’istante per vedere, il tempo per comprendere e il momento di concludere.
L’istante del vedere nel gruppo anoressico bulimico è quello dove circola lo sguardo per reperire nell’altro
l’identità del proprio segreto quindi l’altro che è un rimando alla mia stessità immaginaria, altro grande che
viene ridotto ad altro simile e c’è una omogeinità immaginaria che spinge il legame alla massa. Poi c’è il
tempo per comprendere in cui viene messa in luce l’assimetria dell’altro simbolico che in questo caso è
l’analista che sbarra l’altro speculare. Come fa? Attraverso l’interpretazione che può essere dell’analista ma
molto spesso è del gruppo stesso che simbolizza l’immaginario in una doppia storicizzazione che è sia quella
del gruppo, di una ricostruzione dei passaggi simbolici che ha fatto il gruppo che quella di ciascun soggetto
rispetto a quel soggetto li che si annodano in un andirivieni tra l’omogeneità immaginaria e l’emergenza
della differenza soggetiva che è simbolica. Il momento di concludere è un momento di torsione dello spazio
immaginario che è bucata dalla differenza soggettiva. Questi momenti si avviluppano in un movimento che
recalcati chiama spiraliforme, nel senso che appunto si ripete, poi parte da un punto leggermente diverso
ogni volta. Anche questo non è dato una volta per tutte. A cosa serve il gruppo? Bion dice che è utile a
difenderci dall’angoscia di frammentazione e il gruppo in assunto di base, compattato immaginariamente,
difende dall’angoscia. Gruppo che però può divenire esso stesso oggetto di angoscia e qui non siamo a
livello di omogeneità immaginaria ma a livello del fantasma anoressico-bulimico, nel momento in cui il
gruppo è ciò che angoscia. Le determinanti di questo sono soggettive ma vengono riprese e drammatizzate
dal gruppo. Se non c’è questa simbolizzazione dell’angoscia si ritorna all’omogeneità immaginaria, cosa che
funziona particolarmente nell’anoressia perché c’è una tendenza a simmetrizzare l’altro grande come
difesa dall’angoscia di divoramento che è il fantasma fondamentale. Quindi abbiamo due gruppi nello
stesso gruppo: abbiamo il gruppo visibile e invisibile. Gruppo visibile in cui la logica dominante è quella
della relazione tra individualità e il gruppo invisibile che funziona come una gestalt animata dall’inconscio e
dove conta il comportamento del gruppo e non il comportamento del singolo. Nel momento in cui le
logiche proiettive-immaginarie del gruppo visibile soverchiano il gruppo invisibile il fantasma non viene
simbolizzato e ci sono quelle dinamiche di odio-amorazione speculare che vengono in primo piano. Cosa
bisogna fare? Punto interessante. Paul gennie lemoine identificazione per analogia. In gruppo ogni soggetto
può riconoscere un proprio aspetto pulsionale che stride con l’Ideale nel confronto con l’Altro. E questo va
sottolineata e sostenuta. Abbiamo due assi del transfert, immaginario e simbolico. Immaginario funziona
nel gruppo visibile, simbolico nel gruppo invisibile. Il conduttore deve arginare la tendenza a fare massa
cercando di evitare sia lo spontaneismo intuitivo del “si fa così” sia il sentimentalismo ispirato del
“poverine” dove però l’analista deve stare attento a non essere il leader del gruppo, in modo che il gruppo
possa esistere come soggetto. il nodo borromeo rispetto al funzionamento del gruppo. Il reale riguarda
l’importo pulsionale che attraversa il gruppo, per quanto riguarda la declinazione rispetto al soggetto ha a
che fare nella clinica dell’anoressia e bulimia con l’investimento di godimento sull’immagine del corpo
mentre per quanto riguarda il gruppo con l’imposizione della pulsione orale come passaggio all’atto, il
cerchio dell’immaginario con il gioco delle identificazioni e il cerchio simbolico con la centralità della parola.
Nelle intersezione tra i registri si verificano i possibili movimenti del soggetto e del gruppo. I-R a livello del
soggetto tutti i fenomeni che hanno a che fare con le relazioni speculari con l’altro simile, le identificazioni
immaginario versante del godimento di queste identificazioni – reale, e rispetto al gruppo con l’omogenità
del gruppo che va smossa va rovesciata per estrarre la particolarità soggettiva che ha che fare anche qui
con il godimento perché è la specificità di (a) di ciascuno. Nell’intersezione tra Immaginario e Simbolico
abbiamo il punto topologico in cui l’identificazione speculare può essere simbolizzata quindi il passaggio dal
gruppo visibile al gruppo invisibile tramite l’identificazione analogica favorendo una ripetizione simbolica.
Nell’incrocio tra simbolico e reale c’è l’efficacia della parola come possibilità di incidere sul pulsionale,
regolando il godimento attraverso un possibile accesso dalla castrazione data dall’accesso al simbolico.
Gruppo monosintomatico che, nel momento in cui arriva un intruso nelle vesti di un nuovo ingresso si
compatta immaginariamente escludendolo perché pone proiettivamente l’oggetto cattivo, il kakon, fuori da
sé. Vissuto come minaccia e che riattivano il complesso di intrusione, il senso di spossessamento e una
ripetizione sintomatica che diviene difesa identitaria attraverso l’espulsione dell’intruso, che fessura la
compattezza immaginaria. Fessurando l’uguaglianza immaginaria (a) torna in primo piano e quindi angoscia
perché rompe la simmetria speculare. Questo può essere elaborata simbolicamente dal gruppo, anche
l’intrusione. È utile che questo accada.

La pulsione ha due volti, il volto della domanda e il volto del godimento. Domanda che si rivolge all’altro nel
transfert primario per trovare ciò che il soggetto non ha. Il problema è che il vettore della domanda che
primariamente punta all’oggetto orale è anche reversibile quindi il dammi da mangiare diventa anche
mangiami. Sul versante del godimento, godimento che non è dell’oggetto cibo ma soddisfazione pulsionale
che deriva dall’attività del mangiare, cioè da un giro che è sempre incompiuto attorno all’oggetto cibo.

L’ogg cibo è in primo piano sulla scena, a cui viene attribuito il rango di causa efficiente della sofferenza, io
soffro sto male a causa dell’ogg cibo, e quindi la parola viene surclassata dal peso pulsionale dell’ogg. Di
godimento e dalle pratiche di consumo. Quindi quello che è necessario è simbolizzare questo oggetto e per
fare questo ci sono due operazioni possibili: da un lato l’epoché quindi una storicizzazione che allontana il
soggetto dall’insegna del disturbo alimentare (che la mette tra parentesi) e poi l’estrazione di (a) che è un
oggetto proprio di ciascuno, che è la differenza soggettiva che permette l’attraversamento dell’Ideale
anoressico anche perché il rapporto con il proprio oggetto di godimento è irriducibile al “Noi” dell’insegna
del disturbo alimentare. Anche perché lavorare su (a) è lavorare sul rifiuto della castrazione. Castrazione
che è aggirata assimilando a all’ogg. Di consumo. L’assimilazione di a all’ogg. Cibo è un modo di aggirare la
castrazione (che è uguale per tutti – tutte noi abbiamo lo stesso a che è il cibo; per ognuna di voi è una cosa
specifica diversa per ciascuna). Cosa difficile perché i gruppi anoressico bulimici hanno una tendenza
antidialettica, e il momento in cui il transfert funziona ed è potente è insopportabile, viene ad essere
terribilmente angosciante, riattiva il fantasma di divorazione ecc. quando il transfert funziona molto bene è
il momento per interrompere la cura. Io penso perché non si possa…si rischia un troppo. ò

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