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La crisi di Rimini aveva trovato una soluzione nel dicembre del 1470 con la
conclusione di una lega generale tra gli Stati italiani, allarmati dalla conquista di
Negroponte da parte dei Turchi. Il 26 luglio 1471 mor Paolo II e il 9 agosto il
cardinale Francesco Della Rovere un suddito e cliente del duca di Milano che aveva
sostenuto la sua carriera fu eletto papa Sisto IV. Anche la filiale del banco Medici a
Roma si era adoperata per Della Rovere; il M. poteva quindi sperare con buone
ragioni nella benevolenza del nuovo pontefice, al quale nellautunno successivo port
le congratulazioni con lambasceria fiorentina. SistoIV accolse il M. con molta
cordialit e concesse a lui e al fratello la Depositeria pontificia, lufficio che aveva
fatto ricchi i Medici, ma che Paolo II aveva invece concesso a un parente. Gli regal
inoltre due teste antiche e gli permise di acquistare, a un prezzo di favore, alcune
preziose gemme e medaglie del tesoro di Paolo II.
La Depositeria non era pi cos redditizia come una volta: il titolare aveva il diritto di
ricevere e amministrare le entrate, ma doveva anticipare denaro quando le entrate
arrivavano in ritardo o, peggio ancora, quando le spese superavano le entrate. Questo
fu spesso il caso durante il pontificato di Sisto IV, pressato da una torma di parenti e
soprattutto dai nipoti che spendevano a piene mani.
Il banco dei Medici, a corto di capitali, si trov spesso in una situazione difficile. Nel
luglio 1472 i prestiti alla Camera apostolica ammontavano, secondo i calcoli ufficiali,
a ben 107.000 fiorini di Camera.
Il M. approfitt del soggiorno romano per visitare le antichit sotto la sapiente guida
di Leon Battista Alberti, ma pens anche a come trarre altro vantaggio dalla buona
disposizione del papa nei suoi confronti.
Si trattava di convincere Sisto IV a nominare un cardinale fiorentino che avrebbe
dovuto rappresentare gli interessi della citt e dei Medici in Curia. Il M. fece
presente al papa questo antico desiderio dei Fiorentini ed ebbe ampie promesse. Non
si fecero nomi, ma a sorpresa, nellautunno del 1472, il M. avanz la candidatura del
fratello Giuliano. Questi non aveva n la preparazione n la voglia di intraprendere la
carriera ecclesiastica, ma il M. non si cur delle sue proteste, mettendo avanti
linteresse della famiglia. Un fratello cardinale non solo avrebbe dato lustro alla
famiglia e rafforzato la sua posizione a Firenze, ma avrebbe rappresentato anche una
garanzia per gli ingenti prestiti fatti alla Curia. Il papa non aveva niente da obiettare e
si rallegr della scelta, poi mise la questione nelle mani del nipote, il cardinale Pietro
Riario. Tra i cardinali nominati nel maggio del 1473 il nome di Giuliano non
figurava, ma il M. sperava ancora e continu le trattative fino allautunno, quando si
dovette rendere conto che un conflitto dinteressi rendeva impossibile ogni accordo.
Questo conflitto si accese intorno alla citt di Imola che faceva parte dello Stato della
Chiesa, ma era confinante con il territorio fiorentino. Perci Firenze aveva concluso
con Taddeo Manfredi, che teneva la citt a titolo di vicario pontificio, un accordo di
accomandigia che lo legava alla Repubblica. Ma nonostante questi accordi, alla fine
del 1471 il figlio di Taddeo Manfredi, Guidaccio, aveva ceduto di fatto la citt al duca
di Milano proprio mentre il padre era deciso a venderla a Venezia, nonostante Firenze
avesse su Imola il diritto di prelazione. Sisto IV, che vantava crediti da Taddeo
personalmente a Firenze, insieme con la moglie e con i fratelli, e aveva alloggiato nel
palazzo Medici, addobbato per loccasione con grande sfarzo da Andrea di Michele
(Andrea del Verrocchio). Persino Sisto IV alla fine aveva dato un segno di
benevolenza, nominando Gentile Becchi vescovo di Arezzo nellottobre del 1473. La
splendida giostra del 27 genn. 1475, di cui fu protagonista il fratello Giuliano, dette al
M. loccasione di presentarsi alla citt, insieme con il figlioletto Piero di appena tre
anni, come lindiscusso capo dello stato mediceo. Era convinto di avere il controllo
della situazione politica, bench ci fossero evidenti segnali contrari. Cullandosi in
questa sicurezza si dedic di nuovo assiduamente ai suoi interessi letterari e culturali.
In quegli anni mise mano alle sue poesie amorose, raccolse le vecchie e ne scrisse
delle nuove, con lintenzione di creare un Canzoniere organico. Compose anche canti
carnascialeschi e canzoni a ballo. Nel 1473 videro la luce un poemetto in ottave,
Uccellagione di starne, racconto satirico e scanzonato di una caccia in compagnia
degli amici nello spirito di Pulci, e un altro poemetto tramandato con il titolo De
summo bono, di carattere totalmente diverso, visto che trattava il tema filosofico della
felicit. Il cambiamento di registro aveva ragioni concrete e si collegava con il suo
avvicinamento a Marsilio Ficino, le cui teorie sullamore esposte nel Commentarium
in convivium de amore aveva ferocemente parodiato solo pochi anni prima in un altro
poemetto dal titolo Simposio. Ficino era stato protetto da Cosimo, che amava
discutere con lui di questioni filosofiche, e gli aveva donato alcune propriet, tra cui
una casa nei pressi della villa medicea di Careggi, dove si collocava la famosa quanto
fumosa Accademia Platonica. Il M. pens di seguire lesempio del nonno e legare a
s questo filosofo ormai ben noto che per lo pi frequentava ambienti non proprio
filomedicei. Nellestate del 1473 lo invit a Careggi; dalle loro discussioni scatur il
De summo bono, una parafrasi in volgare di due testi latini di Ficino: una lettera al M.
sulla vera felicit e lOratio ad Deum theologica. Tuttavia, il rapporto con il filosofo
si raffredd presto di nuovo.
Carattere di politica culturale ebbe invece unaltra iniziativa. Nel 1476 il M. incontr
a Pisa Federico dAragona, figlio minore del re di Napoli, che vi era di passaggio.
Durante le conversazioni, che vertevano anche su questioni letterarie, il principe
espresse il desiderio di conoscere meglio i tanti poeti toscani che il M. gli aveva
lodato. Cos almeno si afferma nella lettera dedicatoria preposta alla raccolta di testi
poetici approntata per Federico dAragona con laiuto di Angelo Poliziano
(Ambrogini), che il M. nel 1471 aveva accolto in casa affidandogli leducazione del
figlio maggiore Piero. La cosiddetta Raccolta aragonese riunisce le pi importanti
testimonianze poetiche in lingua toscana dal Duecento in poi, molte famose, ma
anche altre ormai dimenticate e riesumate con acribia filologica dai manoscritti. Il
codice, il cui originale si perse presto, conteneva quasi 200 poesie, alle quali il M.
aggiunse alcune delle proprie. La lingua toscana, si affermava nella dedica stilata da
Poliziano, non era povera e rozza, ma al contrario capace di grande espressivit, tale
da potersi uguagliare al latino. La raccolta, che ebbe una certa circolazione negli
ambienti di corte e letterari (Isabella dEste se la fece prestare nel 1512), rivendicava
legemonia fiorentina nel campo della poesia e accreditava il toscano come modello
linguistico per tutta lItalia.
Nel frattempo i rapporti con Sisto IV erano di nuovo peggiorati. Questa volta il
conflitto ruotava intorno a Citt di Castello, come Imola parte dello Stato della
Chiesa ma vicina ai confini fiorentini. Firenze proteggeva il suo signore Niccol
Vitelli, che la dominava senza alcun titolo giuridico, e lo aveva fatto entrare nella sua
lega con Milano e Napoli. Sisto IV voleva invece riprendere il controllo dello Stato
della Chiesa, dove da tempo troppi signori e citt sfuggivano allautorit pontificia.
Ma anche in questo caso gli interessi pubblici si mescolavano a quelli privati dei suoi
nipoti. Pietro Riario, che nel 1473 come legato pontificio aveva tentato, senza grande
successo, di riportare lordine in Umbria, era morto nel gennaio del 1474, facendo
posto a Giuliano Della Rovere (futuro papa Giulio II), laltro nipote cardinale. Questi
progett, una volta cacciato Vitelli, di procurare la citt al fratello Giovanni come
nucleo di una signoria in quella zona. Cerc anche di ottenere il consenso del M.
proponendogli il matrimonio del fratello con una delle sue figlie, ricevendo per un
deciso rifiuto. In compenso Giovanni Della Rovere spos poco dopo una figlia di
Federico da Montefeltro, che in considerazione della sua nuova parentela con il papa
fu innalzato al rango di duca, mentre suo genero fu creato signore di Mondavio e
Senigallia.
Nel giugno del 1474 il cardinale Della Rovere si present in Umbria alla testa di un
esercito per riconquistare Citt di Castello, non senza aver chiesto lappoggio del
Medici. Preoccupato dei movimenti di truppe vicino ai suoi confini, il governo
fiorentino, su pressione del M., decise invece di non lasciare solo Vitelli e mand
truppe per interrompere i rifornimenti allesercito pontificio. Sisto IV protest
violentemente e tolse, come rappresaglia, al M. e a Giuliano la carica di depositario
pontificio, recando un grave danno al banco. La crisi di Citt di Castello provoc
anche un rovesciamento delle alleanze. Bench la lega tra Firenze, Milano e Napoli
imponesse ai membri di soccorrere Vitelli, Ferdinando dAragona si defil non
volendo combattere contro il pontefice, suo signore feudale. Nel novembre del 1474
fu conclusa quindi una nuova alleanza tra Firenze, Milano e Venezia, festeggiata nel
gennaio seguente con la giostra vinta da Giuliano de Medici.
Una questione di politica ecclesiastica che tocc gli equilibri interni di Firenze si
aggiunse per rendere ancora pi tesi i rapporti del M. con il pontefice: si trattava
dellarcivescovado di Firenze, che la morte di Pietro Riario aveva lasciato vacante.
Tra gli aspiranti cera Francesco Salviati, membro di unantica famiglia fiorentina,
che a Roma aveva fatto parte dellentourage del defunto cardinale e del fratello
Girolamo. Salviati era anche in stretti rapporti con Francesco (Franceschino) Pazzi,
suo parente, impiegato nel banco romano della famiglia. Il M. riusc invece a far
assegnare larcivescovado, immediatamente dopo la morte di Riario, al cognato
Rinaldo Orsini, fratello di Clarice, che in pratica gli lasci mano libera
nellammistrazione dellarcidiocesi. In compenso Salviati fu nominato arcivescovo di
Pisa il 14 ott. 1474, quando i rapporti con Sisto IV erano ormai compromessi. La
nomina fu contestata dal governo di Firenze che rivendicava il diritto di dare il
proprio consenso. La controversia dur a lungo e coinvolse, per i legami di parentela
di Salviati, anche i rapporti del M. con i Pazzi che nel 1475 ottennero da Sisto IV, su
richiesta di Ferdinando dAragona, la nomina di un loro congiunto a vescovo di
non fu raccolto pietosamente dai preti della cattedrale. Nello stesso tempo
larcivescovo Francesco Salviati, con il concorso di Iacopo Pazzi, tent di
impadronirsi del palazzo della Signoria, ma fu respinto, catturato e poi impiccato a
una finestra del palazzo. Lo stesso giorno furono giustiziati anche un suo fratello e
Franceschino Pazzi, lanima della congiura, insieme con unaltra trentina di persone.
Le esecuzioni continuarono nei giorni successivi e in seguito molti sostenitori dei
Pazzi furono banditi, tra cui anche il cognato del M., Guglielmo Pazzi, marito della
sorella Bianca, che si dichiar del tutto innocente. Il cardinale era stato portato nel
palazzo della Signoria, dove fu trattenuto, secondo la giustificazione addotta, per
proteggerlo. La citt non si sollev contro i Medici, come avevano sperato i Pazzi. Il
M. per dieci giorni non os uscire di casa finch le molteplici manifestazioni in suo
favore e la concessione di una scorta non lo fecero sentire pi sicuro. La situazione
interna torn presto calma, ma la reazione di Sisto IV fu violentissima e si indirizz
soprattutto contro il M. personalmente. Il 1 giugno il papa eman una bolla con la
quale scomunic il M., apostrofato come figlio delliniquit e accusato di vari crimini
contro la S. Sede, dallappoggio prestato a Niccol Vitelli fino allesecuzione
dellarcivescovo Salviati. Insieme con lui furono scomunicati i suoi sostenitori e il
governo attuale come quello precedente, con riferimento agli articoli del diritto
canonico che punivano luccisione e la detenzione di ecclesiastici. Linterdetto
minacciato colp la citt il 20 giugno, mentre il re di Napoli Ferdinando si assunse il
ruolo di braccio secolare. Nel luglio le truppe comandate dallerede al trono
napoletano, Alfonso dAragona, e da Federico da Montefeltro, capitano generale della
lega tra il papa e Napoli, invasero in pi punti il territorio fiorentino.
In questa situazione fu istituita a Firenze la commissione dei Dieci di balia, che
tradizionalmente assumeva gli affari di governo in tempo di guerra. Il M. ne fece
parte, ma cerc di difendersi anche con i mezzi della propaganda. Vari libelli furono
diffusi nellestate del 1478, anche a mezzo di stampa, che accusavano il papa di aver
sostenuto la congiura e minacciavano di sottoporlo al giudizio di un concilio.
Confutavano inoltre laccusa rivolta al M. di essere un tiranno che privava Firenze
della sua libert che invece il papa aveva dichiarato di voler restaurare. Con
lidentificazione tra la sua salvezza e quella della citt, il M. intendeva stringere
intorno a s i cittadini. Una medaglia con il suo profilo in memoria della congiura,
eseguita dallo scultore Bertoldo di Giovanni, recava infatti liscrizione Laurentius
Medices salus publica, mentre quella dedicata al fratello Giuliano recitava Iulianus
Medices luctus publicus.
La guerra dur a lungo e fu combattuta sul territorio fiorentino con gravi danni per
Firenze, che perse molte localit. Le trattative con il papa, anche mediante il re di
Francia, per arrivare a una pace, non ebbero esito. Sisto IV pretendeva che il M.
giungesse personalmente a Roma per chiedere lassoluzione dal grave peccato di aver
partecipato alluccisione di Salviati e di altri ecclesiastici, pretesa che il M. respinse
decisamente, anche per ragioni di sicurezza. Le continue disfatte e le perdite sul
campo di guerra sfiancarono per Firenze, dove le casse pubbliche erano vuote e le
tasse imposte per finanziare la guerra sempre pi pesanti. La pretesa identificazione
del bene del M. con quello della citt convinceva sempre di meno. Si diffuse un clima
di generale insoddisfazione nutrita da gravi critiche verso il M., che di nuovo vide
crescere lopposizione contro di lui. Egli si decise quindi a un passo molto audace,
recandosi a Napoli per mettersi nelle mani di re Ferdinando e chiedere la pace.
Rimase a Napoli dal 18 dic. 1479 fino al 27 febbr. 1480 trattando tenacemente, e
quando il 13 marzo rientr a Firenze, dove lopposizione contro di lui era pi viva
che mai, port con s una pace non proprio vantaggiosa, ma che almeno metteva fine
alle ostilit. Lasciava aperte molte questioni, in primo luogo quella della restituzione
delle localit conquistate dai nemici, che in seguito port a molte tensioni con il re di
Napoli e min la posizione del M. a Firenze. Inoltre SistoIV insisteva sulla richiesta
che il M. si recasse a Roma per chiedere il perdono. La conquista di Otranto da parte
dei Turchi nellagosto del 1480 ammorbid Sisto IV che il 3 dicembre, con una
solenne cerimonia in S. Pietro, tolse la scomunica a Firenze e al M., il quale, fermo
nei suoi propositi, non aveva accompagnato lambasceria fiorentina.
Forte del successo ottenuto a Napoli, il M. decise di rafforzare la sua posizione a
Firenze con provvedimenti che cambiavano ancora una volta lassetto costituzionale.
Gi nellaprile del 1480 il governo a lui favorevole propose e ottenne la costituzione
di una Balia incaricata di mettere ordine nelle finanze, riformando il Monte comune e
il sistema fiscale, e di eseguire un nuovo scrutinio. Ne fecero parte in gran numero,
oltre al M. stesso, i suoi pi fidati partigiani. Su loro proposta la Balia cre un nuovo
consiglio di settanta membri, detto il Consiglio dei settanta, che doveva restare in
carica per il tempo eccezionalmente lungo di cinque anni.
Il Consiglio era formato dai primi trenta membri della Balia cio essenzialmente da
partigiani medicei che a loro volta dovevano cooptare altri quaranta cittadini. Ai
Settanta furono conferite ampie funzioni: eleggevano il governo al posto degli
accoppiatori, e tutte le iniziative legislative dovevano avere il loro consenso. Dal loro
interno erano inoltre tratte due commissioni, gli Otto di pratica e i Dodici procuratori,
i primi addetti alla politica estera, i secondi a quella interna e soprattutto alle finanze.
Il Consiglio dei settanta assumeva cos molti compiti assegnati prima al Consiglio de
cento, ma fu respinta, persino da convinti partigiani medicei, la proposta di
attribuirgli tutte le competenze dei vecchi consigli della Repubblica. La creazione del
Consiglio dei settanta fu molto criticata, soprattutto da quelle famiglie che ne erano
rimaste escluse, e il suo rinnovo nel 1485 e nel 1490 incontr molte resistenze. Il
modello veneziano al quale era ispirato non era gradito a Firenze, dove la vecchia
oligarchia difendeva accanitamente le proprie prerogative politiche.
Non mancarono altri tentativi di eliminare il M. fisicamente. Nel settembre del 1480
fu preso un eremita che si era introdotto nella casa di Poggio a Caiano con
lintenzione, secondo laccusa, di ucciderlo. Un anno dopo questo oscuro episodio fu
scoperta una congiura ordita da tre noti cittadini, che assomigliava non poco a quella
dei Pazzi. Il complotto fu scoperto in tempo e i congiurati condannati a morte per lesa
maest perch, secondo largomentazione dei Settanta, avevano cospirato contro lo
stato, il quale si governava per il mezo di Lorencio (Lettere, V, p. 228), una
costruzione giuridica che si basava ancora una volta sullidentit tra il M. e la
Repubblica. Per arginare questopposizione sorda e diffusa il M. avvi una
pacificazione interna mediante lo strumento del parentado, cio con i matrimoni.
Cominci egli stesso, dando la figlia maggiore Lucrezia in sposa a un giovane della
famiglia Salviati. Anche alle ragazze della famiglia Pazzi fu restituita la possibilit di
sposarsi con cittadini fiorentini, annullando il divieto imposto dopo la congiura. Il M.
cerc per di esercitare un controllo diretto sui matrimoni, fungendo spesso da
mediatore. Secondo Guicciardini non si faceva parentado alcuno pi che mediocre
sanza partecipazione e licenzia sua (p. 181).
Assai pi dannose per la sua reputazione erano per, ancor pi delle modifiche
costituzionali, le sue ingerenze nella finanza pubblica. La congiura e la guerra
conseguente avevano prosciugato le sue risorse economiche. Le filiali di Roma e
Napoli, chiuse forzosamente durante la guerra, non riuscirono a risollevarsi dopo la
pace. Quella di Milano fu chiusa nel 1479 perch era impossibile recuperare i prestiti
concessi ai duchi, mentre la filiale di Bruges soffriva per le stesse ragioni, per non
parlare dellinfedelt di alcuni direttori. Inoltre il M. aveva contratto un debito di
10.000 fiorini con i cugini Lorenzo e Giovanni de Medici, figli di Pierfrancesco e
suoi pupilli. Quando la congiura lo aveva messo alle strette aveva attinto, senza il
loro consenso, al loro patrimonio, che era affidato alla sua amministrazione. Appena
il maggiore, Lorenzo, raggiunse la maggiore et, accus il M. di questa
appropriazione indebita davanti al tribunale. Il compromesso raggiunto nel 1485
impose al M. di cedere ai due cugini come risarcimento quasi tutte le propriet nel
Mugello, inclusa la villa di Cafaggiolo, dove da giovane aveva passato tante estati.
Ma laccordo risanava soltanto il danno materiale, perch da allora i due cugini si
schierarono spesso con i suoi oppositori.
Non chiaro in quale modo e in che misura il M. attingesse alle casse pubbliche. Il
Monte, che amministrava il debito e le entrate fiscali, si trovava in una situazione
gravemente deficitaria dopo la guerra dei Pazzi. Perci fu insediata nel 1481 e di
nuovo nel 1491 una commissione con pieni poteri per risanarlo. Dei diciassette
riformatori fecero parte ogni volta il M. e suoi partigiani. Tra le delibere prese ce ne
erano anche alcune che coinvolgevano direttamente il M. e gli permisero di attingere,
seppure a condizioni, alle casse dello Stato, in un momento in cui il Monte era
praticamente insolvibile. Cos ottenne nel 1482 ben 9000 fiorini in contanti. Un
privilegio fiscale gli concesse la facolt, negata agli altri, di farsi rimborsare
investimenti sul Monte persino al valore nominale, mentre le polizze del debito
venivano offerte sul mercato a prezzo dimezzato. Il M. si serv frequentemente di
questa possibilit, provocando molto malumore. Dopo la sua morte il furore popolare
si rivolse infatti contro alcuni funzionari del Monte a lui strettamente legati. I trucchi
finanziari lo salvarono per dalla bancarotta e gli evitarono lesclusione dai pubblici
uffici che essa comportava. Il denaro procurato in questo modo gli serv in parte
anche per finanziare la carriera ecclesiastica del figlio Giovanni.
Lesperienza della congiura dei Pazzi aveva insegnato al M. che lopposizione interna
poteva godere di solidi appoggi fuori di Firenze e soprattutto a Roma. Egli ritenne
perci necessario procurarsi proprio l, in Curia, un appoggio sicuro per tutelare
meglio la sua posizione in patria. La morte di Sisto IV, avvenuta il 12 ag. 1484, lo
liber dal suo nemico pi ostinato. Il successore, il genovese Giovan Battista Cibo,
che prese il nome di Innocenzo VIII, aveva un atteggiamento pi benevolo nei
mediazione che il Ghirlandaio (D. Bigordi), Botticelli (A. Filipepi), Cosimo Rosselli
e il Perugino (P. Vannucci) nel 1481 ottennero lincarico di affrescare la cappella
Sistina. Nel 1488 si rivolse a lui il cardinale Oliviero Carafa con la preghiera di
mandare a Roma Filippino Lippi per affrescare la sua cappella in S. Maria sopra
Minerva. Secondo una tradizione, anche Leonardo da Vinci sarebbe stato mandato da
lui alla corte di Milano, non come pittore, bens come musicista. Se tutto questo era
finalizzato a conquistarsi il riconoscimento dei principi, anche vero che il M. favor
attivamente gli artisti fiorentini, ai quali apr il suo giardino presso S. Marco, dove
conservava statue e frammenti antichi, per facilitare loro lo studio dellarte antica.
Pi ancora che gli artisti, il M. proteggeva gli uomini di penna filosofi, umanisti,
letterati e poeti di vario genere senza riguardo per le singole posizioni intellettuali.
Il M. non si identificava con alcuna tendenza filosofica o poetica, ma le sperimentava
tutte di volta in volta nella propria opera, come in un libero gioco intellettuale. Della
sua cerchia faceva parte di nuovo Ficino, allontanato per la sua amicizia con alcuni
personaggi coinvolti nella congiura dei Pazzi, che nel 1482 gli dedic la prima
stampa della sua Theologia Platonica. Non fu per lui il personaggio pi vicino al M.
negli ultimi anni di vita. Questo ruolo fu riservato a Poliziano, anche se non abitava
pi a palazzo Medici, dal quale nel 1479 lo aveva cacciato Clarice Orsini convinta
che non fosse leducatore pi adatto per i suoi figli. Il M. gli procur un
insegnamento nello Studio fiorentino e segu con grande interesse i suoi studi
filologici, rivolti sempre di pi alla letteratura greca. Poliziano raccolse per lui 600
manoscritti di autori greci, recandosi nel 1491 per suo incarico anche nellItalia
settentrionale e a Venezia alla ricerca di codici, come aveva gi fatto nel 1490 e fece
di nuovo nel 1492 Giano Lascaris in Grecia, in modo da fare di Firenze la nuova
Atene. A Venezia Poliziano fu accompagnato da Giovanni Pico della Mirandola, che
nel 1484 era approdato a Firenze e aveva stretto amicizia con il M., che lo difese e
intervenne presso Innocenzo VIII quando le sue tesi sulla concordanza tra la dottrina
cristiana e tutto il sapere tramandato dal mondo pagano vennero condannate dalla
Chiesa, insieme con il conte stesso. Pico dedic al M. la sua opera Heptaplus, scritta
nella villa medicea di Fiesole. Pico e Poliziano, due uomini che si trovavano su
posizioni intellettuali difficilmente conciliabili, erano presenti quando il M. mor
nella villa di Careggi.
Passati i tempi turbolenti della guerra dei Pazzi, il M. trov nuovamente il tempo per
dedicarsi alla poesia. Intorno al 1480 cominci a lavorare alla sua opera pi
impegnativa, il Comento de miei sonetti, che lo tenne occupato per tutto il resto della
sua vita. Vi parafras in prosa, sul modello di Dante, 41 dei suoi sonetti per lormai
mitica amante Lucrezia Donati, imbastendo una storia amorosa venata di riflessi
stilnovistici e neoplatonici. Nel proemio il M. difendeva ancora una volta la lingua
toscana come lingua poetica, considerandola anche un veicolo per diffondere il
prestigio culturale di Firenze in Italia. Scrisse ancora canzoni a ballo e
carnascialesche (di cui la Canzona di Bacco Quant bella giovinezza, scritta per il
carnevale del 1490, la pi nota e pi toccante poesia del M.), ma anche laude, altri
sonetti per il suo Canzoniere e selve, sempre di argomento amoroso. Alla sua villa di
Poggio a Caiano dedic invece il poemetto Ambra, in ottave, nel quale, dopo aver
avvelenamento, di cui fu accusato il suo medico Leone Leoni che sotto il peso di
queste accuse si suicid, sono prive di fondamento.
Nella citt la sua morte provoc sgomento, ma non soltanto dolore. Secondo Piero
Parenti, suo contemporaneo, solo i pi stretti amici del M., cio quelli che avevano
il governo nelle mani, se ne sarebbero davvero rattristati. Gli altri invece ritennero
che la sua morte avrebbe ridato la libert alla Repubblica (p. 23). Nondimeno il
passaggio del potere al figlio Piero avvenne senza particolari problemi.
Unedizione critica completa delle opere poetiche del M. si deve a P. Orvieto: Tutte le
opere, I-II, Roma 1992; ma da tener presente anche ledizione, sempre critica ma
non completa, a cura di T. Zanato, Opere, Torino 1992.
Fonti e Bibl.: La fonte pi importante per la vita e lattivit del M. sono le sue lettere,
pi di 2000 conservate, in corso di pubblicazione. Ledizione importante anche per
il ricchissimo commento di cui corredata: Lorenzo de Medici, Lettere, I-II, a cura
di R. Fubini, Firenze 1977; III-IV, a cura di N. Rubinstein, ibid. 1977, 1981; V-VII, a
cura di M. Mallett, ibid. 1989, 1990, 1998; VIII-IX, a cura di H. Butters, ibid. 2001,
2002; X-XI, a cura di M.M. Bullard, ibid. 2003, 2004; XII, a cura di M. Pellegrini,
ibid. 2007 (da tener presente per gli anni mancanti A. Cappelli, Lettere di L. de M.
detto il Magnifico conservate nellArchivio Palatino di Modena, con notizie tratte dai
carteggi diplomatici degli oratori estensi a Firenze, in Atti e memorie della
Deputazione di storia patria per le provincie modenesi e parmensi, I [1863], pp. 231320). Molte altre lettere sono registrate in Protocolli del carteggio di Lorenzo il
Magnifico per gli anni 1473-74, 1477-92, a cura di M. Del Piazzo, Firenze 1956. Tra
le fonti documentarie da segnalare anche il Libro dinventario dei beni di L. il
Magnifico, a cura di L. Spallanzani - G. Gaeta Bertel, Firenze 1992. Tra le fonti
narrative si ricordano: F. Rinuccini, Ricordi storici dal 1282 al 1460, con la
continuazione di Alamanno e Neri suoi figli sino al 1506, a cura di G. Aiazzi, Firenze
1840, ad ind.; L. Landucci, Diario fiorentino dal 1450 al 1516, a cura di I. Del Badia,
Firenze 1883; A. Poliziano, Della congiura dei Pazzi (Coniurationis commentarium),
a cura di A. Perosa, Padova 1958; N. Machiavelli, Istorie fiorentine, a cura di F.
Gaeta, Milano 1962, ad ind.; N. Valori, Laurentii Medicei vita, a cura di E. Niccolini,
Vicenza 1991 (trad. italiana contemporanea: Vita di L. il Magnifico, a cura di A.
Dillon Bussi, Palermo 1992); P. Parenti, Storia fiorentina, a cura di A. Matucci,
Firenze 1994, ad ind.; F. Guicciardini, Storie fiorentine, a cura di A. Montevecchi,
Milano 1998, ad indicem.
La prima biografia del M. condotta sulle fonti quella di A. Fabroni, Laurentii
Medicis Magnifici vita, I-II, Pisis 1784, con numerosi documenti. Da tener presente
anche la biografia poco posteriore di W. Roscoe, anchessa corredata di documenti,
The life of L. de M., called the Magnificent, London 1796, che ebbe molte edizioni e
una traduzione in italiano. Tra le altre biografie si segnalano quella, molto dettagliata,
di A. von Reumont, L. de M. il Magnifico, I-II, Leipzig 1883, e quella di I. Walter, L.
il Magnifico e il suo tempo, Roma 2005 (con bibliografia aggiornata).
Gli studi sul M. pubblicati fino al 1954 sono registrati in S. Camerani, Bibliografia
medicea, Firenze 1954, pp. 41-64. Tra gli studi pubblicati dopo questa data vanno