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MEDICI, Lorenzo de

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 73 (2009)


di Ingeborg Walter
MEDICI, Lorenzo de. Nacque il 1genn. 1449 a Firenze, nella casa vecchia dei
Medici in via Larga, da Piero di Cosimo e da Lucrezia Tornabuoni.
La nascita dellatteso erede maschio dopo due figlie Bianca Maria e Lucrezia
(Giuliano nacque nel 1453) fu salutata dalla famiglia con grande gioia e
pubblicizzata con il battesimo, celebrato alla presenza di molte personalit eminenti
della citt il 6 gennaio nel battistero di S. Giovanni. Il giorno era stato scelto
deliberatamente, dato che lEpifania era la festa dei re magi, al culto dei quali i
Medici si erano votati. Padrini del neonato furono larcivescovo di Firenze Antonino
Pierozzi, il futuro santo, e il priore di S. Lorenzo la chiesa che era stata rinnovata da
Cosimo de Medici nonch il conte Federico da Montefeltro, allora al servizio di
Firenze come condottiero.
Il M. ricevette la classica educazione umanistica, comera consuetudine per i rampolli
delle grandi famiglie fiorentine. Sotto la guida di Gentile Becchi, suo unico
precettore, gi da bambino il M. impar il latino e da adolescente frequent, insieme
con il suo maestro, le lezioni di letteratura e filosofia antica tenute dal dotto greco
Giovanni Argiropulo nello Studio fiorentino e in circoli privati. Segu probabilmente
anche le lezioni di altri professori, che si vantarono pi tardi di averlo avuto tra i loro
allievi, non sempre a ragione. Non c per nessuna evidenza che imparasse anche il
greco. In verit, alle lettere classiche il giovane M. prefer ben presto la letteratura
volgare acquistando, sempre con lassistenza di Becchi, una profonda conoscenza
della grande tradizione letteraria toscana. Contribu alla sua educazione letteraria
anche Luigi Pulci, il poeta squattrinato protetto dalla madre del M., autrice di versi
anchella e alla quale Pulci dedic il suo Morgante. Completavano leducazione del
M. lezioni di ballo e di musica, queste ultime impartite a lui e alle sorelle dal famoso
organista Antonio Squarcialupi, da sempre legato alla famiglia Medici. Il M. amava
molto la musica, suonava vari strumenti, con preferenza il liuto, e cantava volentieri,
nonostante avesse una voce roca. Era inoltre un ottimo improvvisatore.
In questo clima familiare, in una casa frequentata da letterati in cerca di protezione, il
M. cominci a poetare egli stesso. Gi allet di quindici anni scrisse una prima
operetta in terzine, di argomento mitologico e nota con il titolo di Corinto, sullamore
infelice di un pastore per una ninfa, tema allora molto in voga. Contemporaneamente
cominci a comporre sonetti e canzoni sul modello di F. Petrarca una scelta molto
personale e inconsueta per il tempo che costituiscono il primo nucleo del suo
Canzoniere. Queste poesie erano ispirate dallamore per la bella Lucrezia Donati, da
lui assiduamente corteggiata con feste e balli, bench fosse sposata, e messa al centro
di un gioco amoroso sofisticato, in cui si mescolavano la passione vera e la finzione
poetica. Sebbene la galanteria del M. si spingesse spesso fino ai limiti del lecito,
lamore dovette rimanere casto. In compenso il M. non disdegnava lamore
mercenario; il suo comportamento lascivo fu spesso biasimato dal suo precettore e

criticato da molti altri.


Il 1 ag. 1464 mor Cosimo il Vecchio, nonno del M., che da trentanni dominava la
vita politica fiorentina. La sua eredit politica pass al figlio Piero, gi allora cos
gravemente malato di gotta che nessuno gli dava ancora molti anni di vita. Piero
stesso si rendeva conto del suo precario stato di salute e decise di preparare il figlio al
pi presto al compito di succedergli nella gestione dello stato mediceo. Data la
giovane et del M., che gli impediva di partecipare in prima persona alla vita politica
fiorentina, Piero decise di mandarlo in varie corti italiane per farsi conoscere e perch
si rendesse conto personalmente dellassetto politico della penisola. Nello stesso
tempo avrebbe avuto occasione di farsi unidea dellattivit delle filiali del banco
Medici che operavano a Milano, Venezia e Roma. Il primo viaggio port il M., tra
laprile e il maggio 1465, a Milano, dove si present a Francesco Sforza, il maggiore
alleato dei Medici dai tempi di Cosimo, che aveva finanziato la sua ascesa al Ducato.
Loccasione era offerta dal matrimonio di Ippolita Sforza, figlia del duca, con lerede
al trono napoletano, Alfonso dAragona. Nel viaggio di andata il M. visit Ferrara e
Venezia, dove alloggi nella sede del banco, come fece anche a Milano. Nella
primavera dellanno successivo si rec a Roma, dove visit cardinali e prelati, senza
per ottenere unudienza papale, e poi a Napoli, dove il re Ferdinando I dAragona,
con grande soddisfazione di Piero, gli riserv unaccoglienza molto calorosa. Torn
unaltra volta a Milano nel luglio del 1469 per tenere a battesimo, in nome del padre,
il figlio primogenito del nuovo duca Galeazzo Maria Sforza. Frutto di queste
esperienze fu un breve testo sugli avvenimenti politici italiani dopo la morte di
Cosimo, tramandato soltanto frammentariamente ed edito da T. Zanato (Gli autografi
di Lorenzo il Magnifico, in Studi di filologia italiana, XLIV [1986], pp. 184-186).
Nel frattempo il M. si era confrontato drammaticamente anche con i problemi politici
interni. Legemonia dei Medici a Firenze era stata contestata dopo la morte di Cosimo
anche da alcuni dei suoi pi fedeli partigiani. Il conflitto esplose nellagosto del 1466,
quando Dietisalvi Neroni, Angelo Acciaiuoli, Luca Pitti e Niccol Soderini, con
lappoggio di molti altri cittadini e il richiamo allantica libert fiorentina, decisero di
rovesciare il regime mediceo. Piero li prevenne e nei giorni agitati di fine mese il M.
svolse un ruolo attivo e importante. Niccol Valori, il suo primo biografo, afferma
addirittura che salv la vita del padre, minacciata da un attentato organizzato dai suoi
avversari (Vita, pp. 31 s.): era questa per una versione distorta dei fatti, messa in giro
da Piero stesso con fini propagandistici. Quando questi riusc a tirare dalla sua parte
Luca Pitti, che il 2 settembre propose di convocare un parlamento per risolvere la
crisi, la partita era vinta. Il parlamento si riun lo stesso giorno sulla piazza davanti al
palazzo della Signoria, circondata da 3000 uomini armati. Alla testa il M., a cavallo e
armato di corazza, che gridava Viva il popolo, del quale i Medici da sempre si
dichiaravano protettori. Gli avversari dei Medici furono condannati allesilio, ma i
loro instancabili tentativi di rientrare in patria con la forza costituirono negli anni
successivi una minaccia costante per il regime mediceo, anche dopo che il M. aveva
assunto leredit politica del padre.
Il matrimonio con la nobile romana Clarice Orsini, concluso per procura il 10 dic.
1468 a Roma e celebrato a Firenze il 4 giugno 1469 con festeggiamenti durati quattro

giorni, segn la fine prematura per le usanze fiorentine delladolescenza del


Medici. La sposa era stata scelta da Lucrezia Tornabuoni che gi nella primavera del
1467 si era recata a Roma a questo scopo. La decisione di dare al M., contro ogni
consuetudine, una moglie forestiera incontr non poche critiche a Firenze. Ma Piero
aveva pensato che solidi appoggi a Roma, dove operava la pi redditizia filiale del
banco, sarebbero stati una garanzia e che la parentela con una delle pi antiche
famiglie romane avrebbe innalzato il rango dei Medici. Lingresso nella vita adulta
dopo una giovent trascorsa allegramente tra i divertimenti in compagnia di amici
ebbe una pubblica sanzione nella giostra combattuta il 7 genn. 1469 sulla piazza di S.
Croce, che lo vide vincitore. Il fedele Luigi Pulci dedic allavvenimento un lungo
poema celebrativo, che descrive abbastanza fedelmente lo svolgimento della giostra.
Il M. stesso ne parl in modo piuttosto distaccato nei suoi Ricordi, quasi deplorando
le spese fatte per loccasione e giudicando la sua prestazione piuttosto modesta.
Nellautunno dello stesso anno la salute di Piero peggior rapidamente e la morte lo
colse il 2 dic. 1469 dopo una penosa agonia. Il M. aveva soltanto venti anni, suo
fratello Giuliano aveva appena compiuto i sedici e anche per questo il passaggio del
potere da Piero ai figli poneva seri problemi. Il M., che gi nel settembre aveva
confidato allambasciatore milanese di aver preso le sue precauzioni nel caso il padre
fosse morto, ag con decisione. Il giorno prima della morte inform il duca di Milano
della malattia del padre che non lasciava speranze, raccomandandosi caldamente a
lui. Ma quando, il 4 dicembre, gli comunic ufficialmente la morte, la situazione era
gi evoluta in suo favore e laiuto militare promesso diventato superfluo.
Immediatamente dopo la morte di Piero, 700 partigiani dei Medici si erano riuniti
nella notte nel convento di S. Antonio, convocati da Tommaso Soderini, uno dei
maggiori esponenti del partito mediceo e zio del M., e avevano deliberato di
riconoscere lui e il fratello come eredi politici di Piero. La speranza di poterli
manovrare facilmente, data la loro giovane et, dovette contribuire non poco a questa
rapida decisione. Il M. stesso scrisse nei suoi Ricordi di aver accettato malvolentieri
questo compito per essere contro alla mia et e di grande carico e pericolo, ma di
aver accettato solo per conservazione delli amici e sustanzie nostre, perch a Firenze
si pu mal vivere ricco sanzo lo stato (Opere, a cura di T. Zanato, p. XXXIX). In
una citt di mercanti e di banchieri il potere politico era ai suoi occhi lindispensabile
premessa di ogni fortuna economica.
Nonostante questo inizio favorevole, il M. dovette ben presto confrontarsi con non
poche difficolt, sia allinterno sia allesterno. Il suo era un potere informale, come lo
erano stati quelli del nonno e del padre, perch costituzionalmente Firenze restava
una repubblica, con i governi eletti dagli organi preposti. Il M. si dovette quindi
appoggiare allo stato, la rete di amici e clienti dei Medici, ma non tutti avrebbero
visto di buon occhio una sua posizione troppo forte. In Italia il suo appoggio
principale era il duca di Milano, e nei primi tempi dopo la morte del padre
lambasciatore milanese a Firenze, Sacramoro Mengozzi da Rimini, fu il suo
consigliere pi ascoltato nelle questioni interne come in quelle esterne. A lui il M.
confid di essere fiducioso di poter controllare la situazione, ma peccava di eccessivo
ottimismo.

La questione della successione alla signoria di Rimini, apertasi dopo la morte di


Sigismondo Pandolfo Malatesta nellottobre del 1468, aveva messo in subbuglio lo
scacchiere degli Stati italiani gi negli ultimi tempi di Piero. Il papa veneziano Paolo
II Barbo voleva incamerare questo feudo della Chiesa, ma il figlio naturale di
Sigismondo, Roberto Malatesta, si impadron della citt. Il lungo conflitto che ne
scatur ebbe ripercussioni anche sulla stabilit interna di Firenze, dove dietro le
divisioni sulla politica estera da seguire si manifestavano anche quelle di fazione.
Firenze e i suoi alleati, Milano e il re di Napoli, avevano preso le parti di Roberto ma
esitavano a impegnarsi apertamente in un conflitto militare contro il papa sostenuto
da Venezia; solo il re di Napoli spingeva per unazione militare. Nel gennaio del 1470
i rappresentanti dei tre Stati si incontrarono a Firenze per trovare un accordo. Della
deputazione fiorentina fece parte anche il M., che sostenne la posizione milanese
favorevole alla pace con il papa, mentre lo zio Soderini si schier con re Ferdinando,
aprendo una frattura nello stesso partito mediceo. Il governo entrato in carica nel
maggio del 1470 inizi trattative con il re con la precisa intenzione di indebolire la
posizione del M. che per aveva dalla sua parte il popolo, stanco di pagare le tasse
per le continue guerre. Manifestazioni popolari in suo favore si erano viste anche
nellaprile precedente, quando un gruppo di esiliati aveva organizzato un colpo di
mano contro Prato, contando su connivenze allinterno di Firenze. Il colpo fall, ma
tutti questi episodi dimostrano chiaramente che il M. non stava cos bene in sella
come egli stesso diceva con giovanile spavalderia allambasciatore milanese.
Il M. dovette anche constatare che il Consiglio de cento, creato appositamente nel
1458 per rafforzare lo stato mediceo, non dava pi affidamento. Questo Consiglio,
il cui consenso era indispensabile per approvare le leggi, era infatti composto in
modo tale da assicurare ai Medici un solido controllo sulla legislazione. Aveva anche
il diritto di eleggere gli accoppiatori che a loro volta sceglievano il governo. Ma ora i
membri del Consiglio de cento non decidevano sempre nel senso desiderato dal M.,
che perci ritenne necessaria una riforma sia del Consiglio sia del modo di eleggere
gli accoppiatori. La proposta, avanzata nel luglio 1470 da un governo amico, di
scegliere gli accoppiatori soltanto tra le famiglie che avevano esercitato lufficio dopo
il 1434, cio dopo linizio del predominio mediceo, con laggiunta di solo cinque
nuovi candidati, fu per bocciata proprio dal Consiglio de cento. Per aggirare questo
ostacolo il M. ottenne nel luglio 1471 la convocazione di una Balia, un consiglio
straordinario con il potere di deliberare senza il consenso dei consigli ordinari. Tra i
240 membri di questa Balia ci fu anche il M., nonostante il difetto di et. La Balia
modific la composizione del Consiglio de cento, in modo che il M. potesse
incontrare meno resistenza alle sue proposte. Essa fece eseguire anche un nuovo
scrutinio per stabilire leleggibilit dei cittadini alle cariche pubbliche. Dietro le
quinte il M. influ sulle qualificazioni agli uffici. Anche sul successivo riempirsi delle
borse con i nomi dei selezionati il M. pot esercitare la sua influenza, essendo uno dei
dieci accoppiatori incaricati di questo compito. Egli rafforz dunque il suo controllo
sulle istituzioni, ma i risultati dello scrutinio e della selezione per le borse elettive gli
crearono nuovi nemici tra quelli che erano rimasti svantaggiati da queste procedure,
per esempio la famiglia Pazzi, rivale dei Medici anche negli affari.

La crisi di Rimini aveva trovato una soluzione nel dicembre del 1470 con la
conclusione di una lega generale tra gli Stati italiani, allarmati dalla conquista di
Negroponte da parte dei Turchi. Il 26 luglio 1471 mor Paolo II e il 9 agosto il
cardinale Francesco Della Rovere un suddito e cliente del duca di Milano che aveva
sostenuto la sua carriera fu eletto papa Sisto IV. Anche la filiale del banco Medici a
Roma si era adoperata per Della Rovere; il M. poteva quindi sperare con buone
ragioni nella benevolenza del nuovo pontefice, al quale nellautunno successivo port
le congratulazioni con lambasceria fiorentina. SistoIV accolse il M. con molta
cordialit e concesse a lui e al fratello la Depositeria pontificia, lufficio che aveva
fatto ricchi i Medici, ma che Paolo II aveva invece concesso a un parente. Gli regal
inoltre due teste antiche e gli permise di acquistare, a un prezzo di favore, alcune
preziose gemme e medaglie del tesoro di Paolo II.
La Depositeria non era pi cos redditizia come una volta: il titolare aveva il diritto di
ricevere e amministrare le entrate, ma doveva anticipare denaro quando le entrate
arrivavano in ritardo o, peggio ancora, quando le spese superavano le entrate. Questo
fu spesso il caso durante il pontificato di Sisto IV, pressato da una torma di parenti e
soprattutto dai nipoti che spendevano a piene mani.
Il banco dei Medici, a corto di capitali, si trov spesso in una situazione difficile. Nel
luglio 1472 i prestiti alla Camera apostolica ammontavano, secondo i calcoli ufficiali,
a ben 107.000 fiorini di Camera.
Il M. approfitt del soggiorno romano per visitare le antichit sotto la sapiente guida
di Leon Battista Alberti, ma pens anche a come trarre altro vantaggio dalla buona
disposizione del papa nei suoi confronti.
Si trattava di convincere Sisto IV a nominare un cardinale fiorentino che avrebbe
dovuto rappresentare gli interessi della citt e dei Medici in Curia. Il M. fece
presente al papa questo antico desiderio dei Fiorentini ed ebbe ampie promesse. Non
si fecero nomi, ma a sorpresa, nellautunno del 1472, il M. avanz la candidatura del
fratello Giuliano. Questi non aveva n la preparazione n la voglia di intraprendere la
carriera ecclesiastica, ma il M. non si cur delle sue proteste, mettendo avanti
linteresse della famiglia. Un fratello cardinale non solo avrebbe dato lustro alla
famiglia e rafforzato la sua posizione a Firenze, ma avrebbe rappresentato anche una
garanzia per gli ingenti prestiti fatti alla Curia. Il papa non aveva niente da obiettare e
si rallegr della scelta, poi mise la questione nelle mani del nipote, il cardinale Pietro
Riario. Tra i cardinali nominati nel maggio del 1473 il nome di Giuliano non
figurava, ma il M. sperava ancora e continu le trattative fino allautunno, quando si
dovette rendere conto che un conflitto dinteressi rendeva impossibile ogni accordo.
Questo conflitto si accese intorno alla citt di Imola che faceva parte dello Stato della
Chiesa, ma era confinante con il territorio fiorentino. Perci Firenze aveva concluso
con Taddeo Manfredi, che teneva la citt a titolo di vicario pontificio, un accordo di
accomandigia che lo legava alla Repubblica. Ma nonostante questi accordi, alla fine
del 1471 il figlio di Taddeo Manfredi, Guidaccio, aveva ceduto di fatto la citt al duca
di Milano proprio mentre il padre era deciso a venderla a Venezia, nonostante Firenze
avesse su Imola il diritto di prelazione. Sisto IV, che vantava crediti da Taddeo

Manfredi, rivendicava invece la signoria della citt al fine di cederla al nipote


Girolamo Riario, fratello del cardinale Pietro. Il papa strinse allora un accordo con
Galeazzo Maria Sforza per il matrimonio di Girolamo con Caterina, figlia naturale
del duca, di cui Imola doveva costituire la dote. Il matrimonio avvenne nel gennaio
del 1473, ma dietro le pressioni dei Fiorentini, suoi alleati, il duca arriv anche a
considerare la possibilit di cedere Imola a Firenze, suscitando per le ire del papa e
dei suoi nipoti. Nel settembre dello stesso anno il cardinale Pietro Riario si rec a
Milano per convincere il duca a vendere invece Imola al fratello. I 40.000 ducati
necessari per lacquisto avrebbero dovuto essere anticipati dal banco Medici. Il M.
rifiut, provocando la rottura con Sisto IV e i suoi nipoti che si rivolsero ad altri
banchieri. La maggior parte della somma fu messa a disposizione dal banco dei Pazzi.
Fu questo linizio dellalleanza dei Pazzi con i Riario, che avrebbe precipitato il M.
nella pi grave crisi politica e personale della sua vita.
Il rifiuto del M. di anticipare la somma per lacquisto di Imola non era dettato
soltanto da ragioni politiche. Il banco, gi in difficolt a Roma, non aveva abbastanza
liquidit per poter anticipare una somma cos grande. Alla morte del padre il M.
aveva trovato una situazione economica e finanziaria non proprio fiorente. La politica
di prestigio di Cosimo e lattivit edilizia a essa connessa avevano inghiottito somme
enormi, come il M. dovette costatare quando prese in mano i libri dei conti. Grande
somma di danari truovo che abbiamo spesi dallanno 1434 in qua, scrisse sbigottito
nei suoi Ricordi. Come appare per un quadernuccio di quarto di foglio, da detto
anno 1434 a tutto 1471 si vede somma incredibile, perch ascende a fiorini 663.775 e
, tra limosine, muraglie e gravezze, sanza laltre spese (Opere, cit., p. XXXIX).
Il M. aveva ricevuto unistruzione economica molto superficiale. Nel 1463, quando
era morto lo zio Giovanni de Medici, la direzione del banco era stata affidata a
Francesco Sassetti, che aveva fatto tutta la sua carriera allinterno del banco. Ma la
precaria situazione finanziaria costrinse il M. a intervenire personalmente in molti
casi, come attesta la fitta corrispondenza con i direttori delle filiali in Italia e in
Europa. Questi operavano in grande autonomia, essendo di solito anche soci in affari,
e spesso guardavano ai vantaggi propri pi che a quelli dei Medici. Il principale
problema era costituito dai crediti concessi con troppa leggerezza ai principi che
molto spesso non restituivano i loro debiti in tempo o non li restituivano affatto.
Quando Francesco Sforza mor, nel 1466, lasci ben 170.000 ducati di debiti nei
confronti del banco, che il M. tent inutilmente di recuperare. La stessa situazione si
presentava a Bruges, dove il direttore Tommaso Portinari aveva concesso somme
ingenti in prestito al duca Carlo il Temerario di Borgogna. Tuttavia, il M. non si sent
di abbandonare questa prassi. Per desiderio di re Ferdinando nel 1471 apr persino
una nuova filiale a Napoli. Aveva bisogno del favore degli Aragona per rafforzare e
sostenere la sua posizione a Firenze, dove per cominciavano a diffondersi voci di un
imminente fallimento dei Medici.
Non sembra tuttavia che il M. si fosse preoccupato eccessivamente di questa
situazione. Le riforme costituzionali avevano rafforzato il suo stato ed egli godeva
ormai di grande prestigio presso i principi, non solo italiani, che vedevano in lui il
loro vero referente a Firenze. Nel marzo del 1471 Galeazzo Maria Sforza si era recato

personalmente a Firenze, insieme con la moglie e con i fratelli, e aveva alloggiato nel
palazzo Medici, addobbato per loccasione con grande sfarzo da Andrea di Michele
(Andrea del Verrocchio). Persino Sisto IV alla fine aveva dato un segno di
benevolenza, nominando Gentile Becchi vescovo di Arezzo nellottobre del 1473. La
splendida giostra del 27 genn. 1475, di cui fu protagonista il fratello Giuliano, dette al
M. loccasione di presentarsi alla citt, insieme con il figlioletto Piero di appena tre
anni, come lindiscusso capo dello stato mediceo. Era convinto di avere il controllo
della situazione politica, bench ci fossero evidenti segnali contrari. Cullandosi in
questa sicurezza si dedic di nuovo assiduamente ai suoi interessi letterari e culturali.
In quegli anni mise mano alle sue poesie amorose, raccolse le vecchie e ne scrisse
delle nuove, con lintenzione di creare un Canzoniere organico. Compose anche canti
carnascialeschi e canzoni a ballo. Nel 1473 videro la luce un poemetto in ottave,
Uccellagione di starne, racconto satirico e scanzonato di una caccia in compagnia
degli amici nello spirito di Pulci, e un altro poemetto tramandato con il titolo De
summo bono, di carattere totalmente diverso, visto che trattava il tema filosofico della
felicit. Il cambiamento di registro aveva ragioni concrete e si collegava con il suo
avvicinamento a Marsilio Ficino, le cui teorie sullamore esposte nel Commentarium
in convivium de amore aveva ferocemente parodiato solo pochi anni prima in un altro
poemetto dal titolo Simposio. Ficino era stato protetto da Cosimo, che amava
discutere con lui di questioni filosofiche, e gli aveva donato alcune propriet, tra cui
una casa nei pressi della villa medicea di Careggi, dove si collocava la famosa quanto
fumosa Accademia Platonica. Il M. pens di seguire lesempio del nonno e legare a
s questo filosofo ormai ben noto che per lo pi frequentava ambienti non proprio
filomedicei. Nellestate del 1473 lo invit a Careggi; dalle loro discussioni scatur il
De summo bono, una parafrasi in volgare di due testi latini di Ficino: una lettera al M.
sulla vera felicit e lOratio ad Deum theologica. Tuttavia, il rapporto con il filosofo
si raffredd presto di nuovo.
Carattere di politica culturale ebbe invece unaltra iniziativa. Nel 1476 il M. incontr
a Pisa Federico dAragona, figlio minore del re di Napoli, che vi era di passaggio.
Durante le conversazioni, che vertevano anche su questioni letterarie, il principe
espresse il desiderio di conoscere meglio i tanti poeti toscani che il M. gli aveva
lodato. Cos almeno si afferma nella lettera dedicatoria preposta alla raccolta di testi
poetici approntata per Federico dAragona con laiuto di Angelo Poliziano
(Ambrogini), che il M. nel 1471 aveva accolto in casa affidandogli leducazione del
figlio maggiore Piero. La cosiddetta Raccolta aragonese riunisce le pi importanti
testimonianze poetiche in lingua toscana dal Duecento in poi, molte famose, ma
anche altre ormai dimenticate e riesumate con acribia filologica dai manoscritti. Il
codice, il cui originale si perse presto, conteneva quasi 200 poesie, alle quali il M.
aggiunse alcune delle proprie. La lingua toscana, si affermava nella dedica stilata da
Poliziano, non era povera e rozza, ma al contrario capace di grande espressivit, tale
da potersi uguagliare al latino. La raccolta, che ebbe una certa circolazione negli
ambienti di corte e letterari (Isabella dEste se la fece prestare nel 1512), rivendicava
legemonia fiorentina nel campo della poesia e accreditava il toscano come modello
linguistico per tutta lItalia.

Nel frattempo i rapporti con Sisto IV erano di nuovo peggiorati. Questa volta il
conflitto ruotava intorno a Citt di Castello, come Imola parte dello Stato della
Chiesa ma vicina ai confini fiorentini. Firenze proteggeva il suo signore Niccol
Vitelli, che la dominava senza alcun titolo giuridico, e lo aveva fatto entrare nella sua
lega con Milano e Napoli. Sisto IV voleva invece riprendere il controllo dello Stato
della Chiesa, dove da tempo troppi signori e citt sfuggivano allautorit pontificia.
Ma anche in questo caso gli interessi pubblici si mescolavano a quelli privati dei suoi
nipoti. Pietro Riario, che nel 1473 come legato pontificio aveva tentato, senza grande
successo, di riportare lordine in Umbria, era morto nel gennaio del 1474, facendo
posto a Giuliano Della Rovere (futuro papa Giulio II), laltro nipote cardinale. Questi
progett, una volta cacciato Vitelli, di procurare la citt al fratello Giovanni come
nucleo di una signoria in quella zona. Cerc anche di ottenere il consenso del M.
proponendogli il matrimonio del fratello con una delle sue figlie, ricevendo per un
deciso rifiuto. In compenso Giovanni Della Rovere spos poco dopo una figlia di
Federico da Montefeltro, che in considerazione della sua nuova parentela con il papa
fu innalzato al rango di duca, mentre suo genero fu creato signore di Mondavio e
Senigallia.
Nel giugno del 1474 il cardinale Della Rovere si present in Umbria alla testa di un
esercito per riconquistare Citt di Castello, non senza aver chiesto lappoggio del
Medici. Preoccupato dei movimenti di truppe vicino ai suoi confini, il governo
fiorentino, su pressione del M., decise invece di non lasciare solo Vitelli e mand
truppe per interrompere i rifornimenti allesercito pontificio. Sisto IV protest
violentemente e tolse, come rappresaglia, al M. e a Giuliano la carica di depositario
pontificio, recando un grave danno al banco. La crisi di Citt di Castello provoc
anche un rovesciamento delle alleanze. Bench la lega tra Firenze, Milano e Napoli
imponesse ai membri di soccorrere Vitelli, Ferdinando dAragona si defil non
volendo combattere contro il pontefice, suo signore feudale. Nel novembre del 1474
fu conclusa quindi una nuova alleanza tra Firenze, Milano e Venezia, festeggiata nel
gennaio seguente con la giostra vinta da Giuliano de Medici.
Una questione di politica ecclesiastica che tocc gli equilibri interni di Firenze si
aggiunse per rendere ancora pi tesi i rapporti del M. con il pontefice: si trattava
dellarcivescovado di Firenze, che la morte di Pietro Riario aveva lasciato vacante.
Tra gli aspiranti cera Francesco Salviati, membro di unantica famiglia fiorentina,
che a Roma aveva fatto parte dellentourage del defunto cardinale e del fratello
Girolamo. Salviati era anche in stretti rapporti con Francesco (Franceschino) Pazzi,
suo parente, impiegato nel banco romano della famiglia. Il M. riusc invece a far
assegnare larcivescovado, immediatamente dopo la morte di Riario, al cognato
Rinaldo Orsini, fratello di Clarice, che in pratica gli lasci mano libera
nellammistrazione dellarcidiocesi. In compenso Salviati fu nominato arcivescovo di
Pisa il 14 ott. 1474, quando i rapporti con Sisto IV erano ormai compromessi. La
nomina fu contestata dal governo di Firenze che rivendicava il diritto di dare il
proprio consenso. La controversia dur a lungo e coinvolse, per i legami di parentela
di Salviati, anche i rapporti del M. con i Pazzi che nel 1475 ottennero da Sisto IV, su
richiesta di Ferdinando dAragona, la nomina di un loro congiunto a vescovo di

Sarno. Il M. lo consider un affronto personale e si vendic due anni pi tardi,


facendo passare una legge, secondo la quale in mancanza di figli maschi leredit non
passava alle figlie, ma ai nipoti di sesso maschile, privando cos la moglie di
Giovanni Pazzi, Beatrice Borromei, della cospicua eredit paterna. Secondo
Guicciardini, il M. con questa legge voleva impedire che non crescessi in loro
ricchezza o grandezza (p. 119). Ma era la goccia che fece traboccare il vaso e spinse
i Pazzi allalleanza con il papa e i suoi nipoti per uccidere il M. e rovesciare il suo
regime.
Gli ideatori del piano furono Franceschino Pazzi, Francesco Salviati e Girolamo
Riario, questultimo perch voleva allargare la sua signoria in Romagna e vedeva nel
M. il principale ostacolo. Il papa fu messo al corrente, anche se solo allultimo
momento. Si dichiar daccordo, ma raccomand di evitare ogni spargimento di
sangue. Approvavano il piano anche il re di Napoli e Federico da Montefeltro,
capitano della lega tra il papa e Napoli, che con particolare veemenza sollecit la
morte del figlioccio. Iacopo Pazzi, il capo della famiglia a Firenze, era invece ancora
esitante. Il M. ebbe sentore di queste trame, ma era ancora fiducioso di poter
scampare il pericolo. Prese per la precauzione di non uscire mai in compagnia del
fratello, in modo che, nel caso fosse stato ucciso, un altro Medici potesse assumere il
testimone dello stato mediceo.
Un primo tentativo di mettere in azione il piano nel settembre del 1477, durante una
visita ufficiale a Firenze di Francesco Salviati, fall per cause fortuite. Si pens quindi
di uccidere il M. durante una sua visita a Roma, annunciata per la Pasqua del 1478,
mentre Giuliano doveva essere assassinato a Firenze. Ma il M. non and a Roma.
Unaltra occasione si present quando giunse a Firenze il cardinale Raffaele Sansoni
Riario, figlio di una sorella di Pietro e Girolamo. Il giovanissimo prelato studiava a
Pisa sotto la tutela dellarcivescovo Francesco Salviati, ma allinizio del 1478 la peste
lo indusse a cercare riparo in una villa di Iacopo Pazzi, poco distante da Firenze.
Spinto dai suoi ospiti egli espresse il desiderio di visitare Firenze. Si presumeva che il
M. e suo fratello non avrebbero mancato di fargli i debiti onori. Il primo incontro
avvenne nella villa medicea a Fiesole, come proposto dai Pazzi, che sapevano
dellesistenza di una scala nascosta attraverso la quale gli assassini avrebbero potuto
fuggire facilmente. Non pare che il M. abbia nutrito sospetti e offr al cardinale uno
splendido ricevimento. Ma era venuto a Fiesole senza il fratello, colpito da
unindisposizione. Perci i congiurati rinviarono ancora una volta lattuazione del
piano, finch il cardinale non venne in citt per assistere a una solenne messa
celebrata in suo onore nel duomo. Era domenica 26 apr. 1478. Lintenzione di
uccidere il M. e il fratello prima della messa durante una visita nel loro palazzo fall
per un malinteso. I congiurati decisero perci di procedere nel duomo stesso, dove si
erano recati questa volta entrambi i fratelli. A un segnale convenuto, dopo la
comunione del prete officiante, assalirono contemporaneamente il M. e Giuliano, che
si muovevano in gruppi separati in mezzo ai loro amici, ferendo il primo e uccidendo
il secondo. Il M., attaccato da due uomini di Iacopo Pazzi, riusc a fuggire nella
sagrestia Nuova e da l a casa, mentre il fratello, colpito selvaggiamente da Bernardo
Bandini dei Baroncelli e Franceschino Pazzi, rimase sul pavimento, finch il corpo

non fu raccolto pietosamente dai preti della cattedrale. Nello stesso tempo
larcivescovo Francesco Salviati, con il concorso di Iacopo Pazzi, tent di
impadronirsi del palazzo della Signoria, ma fu respinto, catturato e poi impiccato a
una finestra del palazzo. Lo stesso giorno furono giustiziati anche un suo fratello e
Franceschino Pazzi, lanima della congiura, insieme con unaltra trentina di persone.
Le esecuzioni continuarono nei giorni successivi e in seguito molti sostenitori dei
Pazzi furono banditi, tra cui anche il cognato del M., Guglielmo Pazzi, marito della
sorella Bianca, che si dichiar del tutto innocente. Il cardinale era stato portato nel
palazzo della Signoria, dove fu trattenuto, secondo la giustificazione addotta, per
proteggerlo. La citt non si sollev contro i Medici, come avevano sperato i Pazzi. Il
M. per dieci giorni non os uscire di casa finch le molteplici manifestazioni in suo
favore e la concessione di una scorta non lo fecero sentire pi sicuro. La situazione
interna torn presto calma, ma la reazione di Sisto IV fu violentissima e si indirizz
soprattutto contro il M. personalmente. Il 1 giugno il papa eman una bolla con la
quale scomunic il M., apostrofato come figlio delliniquit e accusato di vari crimini
contro la S. Sede, dallappoggio prestato a Niccol Vitelli fino allesecuzione
dellarcivescovo Salviati. Insieme con lui furono scomunicati i suoi sostenitori e il
governo attuale come quello precedente, con riferimento agli articoli del diritto
canonico che punivano luccisione e la detenzione di ecclesiastici. Linterdetto
minacciato colp la citt il 20 giugno, mentre il re di Napoli Ferdinando si assunse il
ruolo di braccio secolare. Nel luglio le truppe comandate dallerede al trono
napoletano, Alfonso dAragona, e da Federico da Montefeltro, capitano generale della
lega tra il papa e Napoli, invasero in pi punti il territorio fiorentino.
In questa situazione fu istituita a Firenze la commissione dei Dieci di balia, che
tradizionalmente assumeva gli affari di governo in tempo di guerra. Il M. ne fece
parte, ma cerc di difendersi anche con i mezzi della propaganda. Vari libelli furono
diffusi nellestate del 1478, anche a mezzo di stampa, che accusavano il papa di aver
sostenuto la congiura e minacciavano di sottoporlo al giudizio di un concilio.
Confutavano inoltre laccusa rivolta al M. di essere un tiranno che privava Firenze
della sua libert che invece il papa aveva dichiarato di voler restaurare. Con
lidentificazione tra la sua salvezza e quella della citt, il M. intendeva stringere
intorno a s i cittadini. Una medaglia con il suo profilo in memoria della congiura,
eseguita dallo scultore Bertoldo di Giovanni, recava infatti liscrizione Laurentius
Medices salus publica, mentre quella dedicata al fratello Giuliano recitava Iulianus
Medices luctus publicus.
La guerra dur a lungo e fu combattuta sul territorio fiorentino con gravi danni per
Firenze, che perse molte localit. Le trattative con il papa, anche mediante il re di
Francia, per arrivare a una pace, non ebbero esito. Sisto IV pretendeva che il M.
giungesse personalmente a Roma per chiedere lassoluzione dal grave peccato di aver
partecipato alluccisione di Salviati e di altri ecclesiastici, pretesa che il M. respinse
decisamente, anche per ragioni di sicurezza. Le continue disfatte e le perdite sul
campo di guerra sfiancarono per Firenze, dove le casse pubbliche erano vuote e le
tasse imposte per finanziare la guerra sempre pi pesanti. La pretesa identificazione
del bene del M. con quello della citt convinceva sempre di meno. Si diffuse un clima

di generale insoddisfazione nutrita da gravi critiche verso il M., che di nuovo vide
crescere lopposizione contro di lui. Egli si decise quindi a un passo molto audace,
recandosi a Napoli per mettersi nelle mani di re Ferdinando e chiedere la pace.
Rimase a Napoli dal 18 dic. 1479 fino al 27 febbr. 1480 trattando tenacemente, e
quando il 13 marzo rientr a Firenze, dove lopposizione contro di lui era pi viva
che mai, port con s una pace non proprio vantaggiosa, ma che almeno metteva fine
alle ostilit. Lasciava aperte molte questioni, in primo luogo quella della restituzione
delle localit conquistate dai nemici, che in seguito port a molte tensioni con il re di
Napoli e min la posizione del M. a Firenze. Inoltre SistoIV insisteva sulla richiesta
che il M. si recasse a Roma per chiedere il perdono. La conquista di Otranto da parte
dei Turchi nellagosto del 1480 ammorbid Sisto IV che il 3 dicembre, con una
solenne cerimonia in S. Pietro, tolse la scomunica a Firenze e al M., il quale, fermo
nei suoi propositi, non aveva accompagnato lambasceria fiorentina.
Forte del successo ottenuto a Napoli, il M. decise di rafforzare la sua posizione a
Firenze con provvedimenti che cambiavano ancora una volta lassetto costituzionale.
Gi nellaprile del 1480 il governo a lui favorevole propose e ottenne la costituzione
di una Balia incaricata di mettere ordine nelle finanze, riformando il Monte comune e
il sistema fiscale, e di eseguire un nuovo scrutinio. Ne fecero parte in gran numero,
oltre al M. stesso, i suoi pi fidati partigiani. Su loro proposta la Balia cre un nuovo
consiglio di settanta membri, detto il Consiglio dei settanta, che doveva restare in
carica per il tempo eccezionalmente lungo di cinque anni.
Il Consiglio era formato dai primi trenta membri della Balia cio essenzialmente da
partigiani medicei che a loro volta dovevano cooptare altri quaranta cittadini. Ai
Settanta furono conferite ampie funzioni: eleggevano il governo al posto degli
accoppiatori, e tutte le iniziative legislative dovevano avere il loro consenso. Dal loro
interno erano inoltre tratte due commissioni, gli Otto di pratica e i Dodici procuratori,
i primi addetti alla politica estera, i secondi a quella interna e soprattutto alle finanze.
Il Consiglio dei settanta assumeva cos molti compiti assegnati prima al Consiglio de
cento, ma fu respinta, persino da convinti partigiani medicei, la proposta di
attribuirgli tutte le competenze dei vecchi consigli della Repubblica. La creazione del
Consiglio dei settanta fu molto criticata, soprattutto da quelle famiglie che ne erano
rimaste escluse, e il suo rinnovo nel 1485 e nel 1490 incontr molte resistenze. Il
modello veneziano al quale era ispirato non era gradito a Firenze, dove la vecchia
oligarchia difendeva accanitamente le proprie prerogative politiche.
Non mancarono altri tentativi di eliminare il M. fisicamente. Nel settembre del 1480
fu preso un eremita che si era introdotto nella casa di Poggio a Caiano con
lintenzione, secondo laccusa, di ucciderlo. Un anno dopo questo oscuro episodio fu
scoperta una congiura ordita da tre noti cittadini, che assomigliava non poco a quella
dei Pazzi. Il complotto fu scoperto in tempo e i congiurati condannati a morte per lesa
maest perch, secondo largomentazione dei Settanta, avevano cospirato contro lo
stato, il quale si governava per il mezo di Lorencio (Lettere, V, p. 228), una
costruzione giuridica che si basava ancora una volta sullidentit tra il M. e la
Repubblica. Per arginare questopposizione sorda e diffusa il M. avvi una
pacificazione interna mediante lo strumento del parentado, cio con i matrimoni.

Cominci egli stesso, dando la figlia maggiore Lucrezia in sposa a un giovane della
famiglia Salviati. Anche alle ragazze della famiglia Pazzi fu restituita la possibilit di
sposarsi con cittadini fiorentini, annullando il divieto imposto dopo la congiura. Il M.
cerc per di esercitare un controllo diretto sui matrimoni, fungendo spesso da
mediatore. Secondo Guicciardini non si faceva parentado alcuno pi che mediocre
sanza partecipazione e licenzia sua (p. 181).
Assai pi dannose per la sua reputazione erano per, ancor pi delle modifiche
costituzionali, le sue ingerenze nella finanza pubblica. La congiura e la guerra
conseguente avevano prosciugato le sue risorse economiche. Le filiali di Roma e
Napoli, chiuse forzosamente durante la guerra, non riuscirono a risollevarsi dopo la
pace. Quella di Milano fu chiusa nel 1479 perch era impossibile recuperare i prestiti
concessi ai duchi, mentre la filiale di Bruges soffriva per le stesse ragioni, per non
parlare dellinfedelt di alcuni direttori. Inoltre il M. aveva contratto un debito di
10.000 fiorini con i cugini Lorenzo e Giovanni de Medici, figli di Pierfrancesco e
suoi pupilli. Quando la congiura lo aveva messo alle strette aveva attinto, senza il
loro consenso, al loro patrimonio, che era affidato alla sua amministrazione. Appena
il maggiore, Lorenzo, raggiunse la maggiore et, accus il M. di questa
appropriazione indebita davanti al tribunale. Il compromesso raggiunto nel 1485
impose al M. di cedere ai due cugini come risarcimento quasi tutte le propriet nel
Mugello, inclusa la villa di Cafaggiolo, dove da giovane aveva passato tante estati.
Ma laccordo risanava soltanto il danno materiale, perch da allora i due cugini si
schierarono spesso con i suoi oppositori.
Non chiaro in quale modo e in che misura il M. attingesse alle casse pubbliche. Il
Monte, che amministrava il debito e le entrate fiscali, si trovava in una situazione
gravemente deficitaria dopo la guerra dei Pazzi. Perci fu insediata nel 1481 e di
nuovo nel 1491 una commissione con pieni poteri per risanarlo. Dei diciassette
riformatori fecero parte ogni volta il M. e suoi partigiani. Tra le delibere prese ce ne
erano anche alcune che coinvolgevano direttamente il M. e gli permisero di attingere,
seppure a condizioni, alle casse dello Stato, in un momento in cui il Monte era
praticamente insolvibile. Cos ottenne nel 1482 ben 9000 fiorini in contanti. Un
privilegio fiscale gli concesse la facolt, negata agli altri, di farsi rimborsare
investimenti sul Monte persino al valore nominale, mentre le polizze del debito
venivano offerte sul mercato a prezzo dimezzato. Il M. si serv frequentemente di
questa possibilit, provocando molto malumore. Dopo la sua morte il furore popolare
si rivolse infatti contro alcuni funzionari del Monte a lui strettamente legati. I trucchi
finanziari lo salvarono per dalla bancarotta e gli evitarono lesclusione dai pubblici
uffici che essa comportava. Il denaro procurato in questo modo gli serv in parte
anche per finanziare la carriera ecclesiastica del figlio Giovanni.
Lesperienza della congiura dei Pazzi aveva insegnato al M. che lopposizione interna
poteva godere di solidi appoggi fuori di Firenze e soprattutto a Roma. Egli ritenne
perci necessario procurarsi proprio l, in Curia, un appoggio sicuro per tutelare
meglio la sua posizione in patria. La morte di Sisto IV, avvenuta il 12 ag. 1484, lo
liber dal suo nemico pi ostinato. Il successore, il genovese Giovan Battista Cibo,
che prese il nome di Innocenzo VIII, aveva un atteggiamento pi benevolo nei

confronti di Firenze, che il M. decise di sfruttare risollevando subito la vecchia


questione del cardinale fiorentino. Nelle sue intenzioni questa dignit doveva essere
conferita a Giovanni, il secondo dei suoi figli maschi, che per non aveva ancora
compiuto nove anni, essendo nato l11 dic. 1475. Le trattative fruttarono in un primo
tempo soltanto alcuni benefici ecclesiastici e vaghe promesse. Furono presto
interrotte dalla guerra dei baroni a Napoli, nella quale Firenze si schier contro il
papa al fianco del re Ferdinando. Ma, appena firmata la pace, il M. riannod il filo.
Prima per di ottenere lagognato cardinalato per Giovanni il M. dovette pagare un
prezzo salato, perch Innocenzo VIII gli propose un parentado, cio il matrimonio del
proprio figlio Francesco (Franceschetto) con una sua figlia. Il M. accett a
malincuore, perch esitava a dare la giovanissima Maddalena in sposa a
Franceschetto Cibo, quasi quarantenne e per di pi malfamato. Inoltre gli tocc di
finanziare lacquisto dei feudi di cui il papa prometteva di dotare il figlio. Il contratto
nuziale fu sottoscritto a Roma il 25 febbr. 1487 e fu seguito nel marzo dalla
concessione a Giovanni dellantica e ricchissima abbazia di Montecassino. Il
cardinalato, invece, arriv solo nel 1489, quando il 9 marzo Innocenzo VIII nomin
Giovanni, appena tredicenne, cardinale diacono di S. Maria in Domnica, seppure
soltanto in pectore. Il 25 febbraio fu sottoscritto a Napoli il patto per il matrimonio di
Piero, figlio maggiore del M., con la nobile romana Alfonsina Orsini, una cugina di
Clarice, che rafforzava anchesso i rapporti del M. con Roma.
Gli atteggiamenti del M. dopo il 1480 avevano indubbiamente tratti che, secondo
Guicciardini, non erano spezie di una citt libera e di uno cittadino privato, ma di
uno tiranno, anche se, ammise, non si poteva immaginare un tiranno migliore e pi
piacevole (p. 181). Dava molto fastidio ai Fiorentini per esempio che il M. si
muovesse in citt con una grande scorta di armati. Le ombre e i sospetti di tirannia
che gravavano sulla sua azione politica erano per controbilanciati, secondo lo stesso
Guicciardini, dallambizione di fare di Firenze il centro di tutte le arti e virt (p.
175). Il M. era infatti il motore della vita artistica e intellettuale fiorentina con la
precisa intenzione di accreditare Firenze come la capitale culturale dellItalia. Era la
sua via personale per conquistarsi quella magnificenza che il nonno Cosimo aveva
ottenuto costruendo chiese e palazzi.
La precaria situazione finanziaria imped al M. di emulare Cosimo in questo campo.
Lunica opera architettonica di rilievo fu la villa a Poggio a Caiano che si fece
costruire a partire dal 1485 nella grande propriet acquistata nel 1474 dai Rucellai,
dove aveva impiantato unazienda agricola modello. Nel progetto eseguito da
Giuliano Giamberti da Sangallo su precise indicazioni del M. si riflette il nuovo gusto
per lantichit greca promosso negli anni Ottanta sotto la spinta di Poliziano. Non
avendo i mezzi per edificare in grande stile, il M. si propose in compenso come
grande esperto di architettura, non solo a Firenze. Su preghiera di Alfonso dAragona
mand a Napoli Giuliano da Maiano per costruire una villa e altri edifici per il
principe. A Napoli si rec nel 1488 anche Giuliano da Sangallo con un modello di
palazzo per il re Ferdinando. Ludovico Sforza chiese ugualmente consiglio al M. per
una villa che voleva costruire. Anche i pittori furono usati dal M. per diffondere in
Italia la fama delleccellenza dellarte fiorentina. Fu probabilmente con la sua

mediazione che il Ghirlandaio (D. Bigordi), Botticelli (A. Filipepi), Cosimo Rosselli
e il Perugino (P. Vannucci) nel 1481 ottennero lincarico di affrescare la cappella
Sistina. Nel 1488 si rivolse a lui il cardinale Oliviero Carafa con la preghiera di
mandare a Roma Filippino Lippi per affrescare la sua cappella in S. Maria sopra
Minerva. Secondo una tradizione, anche Leonardo da Vinci sarebbe stato mandato da
lui alla corte di Milano, non come pittore, bens come musicista. Se tutto questo era
finalizzato a conquistarsi il riconoscimento dei principi, anche vero che il M. favor
attivamente gli artisti fiorentini, ai quali apr il suo giardino presso S. Marco, dove
conservava statue e frammenti antichi, per facilitare loro lo studio dellarte antica.
Pi ancora che gli artisti, il M. proteggeva gli uomini di penna filosofi, umanisti,
letterati e poeti di vario genere senza riguardo per le singole posizioni intellettuali.
Il M. non si identificava con alcuna tendenza filosofica o poetica, ma le sperimentava
tutte di volta in volta nella propria opera, come in un libero gioco intellettuale. Della
sua cerchia faceva parte di nuovo Ficino, allontanato per la sua amicizia con alcuni
personaggi coinvolti nella congiura dei Pazzi, che nel 1482 gli dedic la prima
stampa della sua Theologia Platonica. Non fu per lui il personaggio pi vicino al M.
negli ultimi anni di vita. Questo ruolo fu riservato a Poliziano, anche se non abitava
pi a palazzo Medici, dal quale nel 1479 lo aveva cacciato Clarice Orsini convinta
che non fosse leducatore pi adatto per i suoi figli. Il M. gli procur un
insegnamento nello Studio fiorentino e segu con grande interesse i suoi studi
filologici, rivolti sempre di pi alla letteratura greca. Poliziano raccolse per lui 600
manoscritti di autori greci, recandosi nel 1491 per suo incarico anche nellItalia
settentrionale e a Venezia alla ricerca di codici, come aveva gi fatto nel 1490 e fece
di nuovo nel 1492 Giano Lascaris in Grecia, in modo da fare di Firenze la nuova
Atene. A Venezia Poliziano fu accompagnato da Giovanni Pico della Mirandola, che
nel 1484 era approdato a Firenze e aveva stretto amicizia con il M., che lo difese e
intervenne presso Innocenzo VIII quando le sue tesi sulla concordanza tra la dottrina
cristiana e tutto il sapere tramandato dal mondo pagano vennero condannate dalla
Chiesa, insieme con il conte stesso. Pico dedic al M. la sua opera Heptaplus, scritta
nella villa medicea di Fiesole. Pico e Poliziano, due uomini che si trovavano su
posizioni intellettuali difficilmente conciliabili, erano presenti quando il M. mor
nella villa di Careggi.
Passati i tempi turbolenti della guerra dei Pazzi, il M. trov nuovamente il tempo per
dedicarsi alla poesia. Intorno al 1480 cominci a lavorare alla sua opera pi
impegnativa, il Comento de miei sonetti, che lo tenne occupato per tutto il resto della
sua vita. Vi parafras in prosa, sul modello di Dante, 41 dei suoi sonetti per lormai
mitica amante Lucrezia Donati, imbastendo una storia amorosa venata di riflessi
stilnovistici e neoplatonici. Nel proemio il M. difendeva ancora una volta la lingua
toscana come lingua poetica, considerandola anche un veicolo per diffondere il
prestigio culturale di Firenze in Italia. Scrisse ancora canzoni a ballo e
carnascialesche (di cui la Canzona di Bacco Quant bella giovinezza, scritta per il
carnevale del 1490, la pi nota e pi toccante poesia del M.), ma anche laude, altri
sonetti per il suo Canzoniere e selve, sempre di argomento amoroso. Alla sua villa di
Poggio a Caiano dedic invece il poemetto Ambra, in ottave, nel quale, dopo aver

descritto nella prima parte uninondazione dellOmbrone che costeggiava la


propriet, metteva in scena un mito delle origini della villa, di sapore classico. Infine
da ricordare la Rappresentazione di san Giovanni e Paolo scritta nel 1491 per la
confraternita di giovani di cui faceva parte il figlio Giuliano. Si tratta quindi spesso di
opere doccasione che presentano una grande variet di stili e generi maneggiati dal
M. con maestria, dove il gioco con le forme risulta spesso pi importante del
contenuto. La produzione poetica del M. riflette di volta in volta la temperie culturale
del momento e si configura come il gioco squisito di un uomo politico che ambiva a
essere, secondo la definizione di Guicciardini, universalissimo (p. 176).
Il 30 luglio 1488 mor a Firenze Clarice Orsini, che tra il 1470 e il 1479 gli aveva
dato sette figli: tre maschi, Piero, Giovanni e Giuliano, e quattro femmine, oltre alle
gi ricordate Lucrezia e Maddalena, Luisa e Contessina, la prima promessa a
Giovanni di Pierfrancesco de Medici (ma mor gi nel 1488, prima del matrimonio),
la seconda al fiorentino Piero Ridolfi. Al momento della morte della moglie il M.
stesso era gi molto malato, colpito dalla gotta ereditaria nella sua famiglia, che lo
costrinse a soggiorni sempre pi lunghi nei bagni della Toscana e man mano
allimmobilit. Tuttavia, con linizio dellultimo decennio del secolo il M. poteva
pensare di aver realizzato molti dei suoi obiettivi. Aveva stabilizzato il suo stato e alla
nomina del figlio Giovanni a cardinale mancava soltanto la pubblicazione. Era
considerato dai principi italiani ed europei come il vero signore di Firenze con un
ruolo importante nel gioco della politica italiana, anche se il giudizio secondo il quale
in questo gioco fosse stato lago della bilancia non corrisponde alla realt. Dopo anni
di guerra, che aveva portato a Firenze anche qualche conquista territoriale, era tornata
la pace e la citt sembrava vivere un momento di fioritura. Ma il malcontento nei ceti
popolari, che formavano la base del potere mediceo e avevano sentito di pi sulla loro
pelle gli effetti di tanti anni di guerre e disordini, restava diffuso e dava motivo ai
predicatori di stigmatizzare lagio dei ricchi e di sobillare il popolo contro
unoligarchia che viveva nel lusso. Capt questo malumore popolare soprattutto il
domenicano Girolamo Savonarola, chiamato dal M. stesso a Firenze, che a partire dal
1490 esacerb, con le sue prediche sulla corruzione dei costumi e dei governi,
lavversione crescente della popolazione contro il regime mediceo.
Quando nel marzo del 1492 la nomina a cardinale del figlio Giovanni fu finalmente
resa pubblica e il giovane prelato si mise in viaggio per Roma, munito degli
ammonimenti del padre che gli raccomandava di servire fedelmente la Chiesa, senza
per dimenticare daiutare la citt e la casa, in modo da salvare la capra e i
cavoli (Scritti scelti, a cura di E. Bigi, p. 673), il M. era gi vicino alla morte. Non
pot neanche partecipare ai festeggiamenti in onore del giovanissimo cardinale.
La morte lo colse l8 apr. 1492 nella villa di Careggi dove si era fatto portare nella
speranza di trovarvi sollievo. Il giorno dopo il suo corpo fu portato nel convento di S.
Marco e poi, dopo le esequie celebrate senza pompa, deposto nella sagrestia Vecchia
in S. Lorenzo dove erano sepolti i suoi avi, in attesa di un monumento sepolcrale
degno del suo rango. Non lo ebbe mai. Solo verso la met del Cinquecento le sue
spoglie trovarono posto, insieme con quelle del fratello Giuliano, nella sagrestia
Nuova, in un sarcofago predisposto da Michelangelo. Le voci circa un suo

avvelenamento, di cui fu accusato il suo medico Leone Leoni che sotto il peso di
queste accuse si suicid, sono prive di fondamento.
Nella citt la sua morte provoc sgomento, ma non soltanto dolore. Secondo Piero
Parenti, suo contemporaneo, solo i pi stretti amici del M., cio quelli che avevano
il governo nelle mani, se ne sarebbero davvero rattristati. Gli altri invece ritennero
che la sua morte avrebbe ridato la libert alla Repubblica (p. 23). Nondimeno il
passaggio del potere al figlio Piero avvenne senza particolari problemi.
Unedizione critica completa delle opere poetiche del M. si deve a P. Orvieto: Tutte le
opere, I-II, Roma 1992; ma da tener presente anche ledizione, sempre critica ma
non completa, a cura di T. Zanato, Opere, Torino 1992.
Fonti e Bibl.: La fonte pi importante per la vita e lattivit del M. sono le sue lettere,
pi di 2000 conservate, in corso di pubblicazione. Ledizione importante anche per
il ricchissimo commento di cui corredata: Lorenzo de Medici, Lettere, I-II, a cura
di R. Fubini, Firenze 1977; III-IV, a cura di N. Rubinstein, ibid. 1977, 1981; V-VII, a
cura di M. Mallett, ibid. 1989, 1990, 1998; VIII-IX, a cura di H. Butters, ibid. 2001,
2002; X-XI, a cura di M.M. Bullard, ibid. 2003, 2004; XII, a cura di M. Pellegrini,
ibid. 2007 (da tener presente per gli anni mancanti A. Cappelli, Lettere di L. de M.
detto il Magnifico conservate nellArchivio Palatino di Modena, con notizie tratte dai
carteggi diplomatici degli oratori estensi a Firenze, in Atti e memorie della
Deputazione di storia patria per le provincie modenesi e parmensi, I [1863], pp. 231320). Molte altre lettere sono registrate in Protocolli del carteggio di Lorenzo il
Magnifico per gli anni 1473-74, 1477-92, a cura di M. Del Piazzo, Firenze 1956. Tra
le fonti documentarie da segnalare anche il Libro dinventario dei beni di L. il
Magnifico, a cura di L. Spallanzani - G. Gaeta Bertel, Firenze 1992. Tra le fonti
narrative si ricordano: F. Rinuccini, Ricordi storici dal 1282 al 1460, con la
continuazione di Alamanno e Neri suoi figli sino al 1506, a cura di G. Aiazzi, Firenze
1840, ad ind.; L. Landucci, Diario fiorentino dal 1450 al 1516, a cura di I. Del Badia,
Firenze 1883; A. Poliziano, Della congiura dei Pazzi (Coniurationis commentarium),
a cura di A. Perosa, Padova 1958; N. Machiavelli, Istorie fiorentine, a cura di F.
Gaeta, Milano 1962, ad ind.; N. Valori, Laurentii Medicei vita, a cura di E. Niccolini,
Vicenza 1991 (trad. italiana contemporanea: Vita di L. il Magnifico, a cura di A.
Dillon Bussi, Palermo 1992); P. Parenti, Storia fiorentina, a cura di A. Matucci,
Firenze 1994, ad ind.; F. Guicciardini, Storie fiorentine, a cura di A. Montevecchi,
Milano 1998, ad indicem.
La prima biografia del M. condotta sulle fonti quella di A. Fabroni, Laurentii
Medicis Magnifici vita, I-II, Pisis 1784, con numerosi documenti. Da tener presente
anche la biografia poco posteriore di W. Roscoe, anchessa corredata di documenti,
The life of L. de M., called the Magnificent, London 1796, che ebbe molte edizioni e
una traduzione in italiano. Tra le altre biografie si segnalano quella, molto dettagliata,
di A. von Reumont, L. de M. il Magnifico, I-II, Leipzig 1883, e quella di I. Walter, L.
il Magnifico e il suo tempo, Roma 2005 (con bibliografia aggiornata).
Gli studi sul M. pubblicati fino al 1954 sono registrati in S. Camerani, Bibliografia
medicea, Firenze 1954, pp. 41-64. Tra gli studi pubblicati dopo questa data vanno

ricordati: A. Rochon, La jeunesse de Laurent de Mdicis, Paris 1963; M. Martelli,


Studi laurenziani, Firenze 1965; R. De Roover, Il banco Medici dalle origini al
declino (1397-1494), Firenze 1970, ad ind.; N. Rubinstein, Il governo di Firenze,
Firenze 1971, pp. 211-276. Nuovo stimolo agli studi laurenziani dettero i
festeggiamenti per il cinquecentesimo anniversario della morte del M. nel 1992. Tra i
vari volumi collettivi pubblicati in questa occasione si segnalano: L. il Magnifico e il
suo tempo, a cura di G.C. Garfagnini, Firenze 1992; L. de M. Studi, a cura di G.C.
Garfagnini, Firenze 1992; Le tems revient, l tempo si rinuova: feste e spettacoli nella
Firenze di L. il Magnifico, a cura di P. Ventrone, Cinisello Balsamo-Milano 1992;
Consorterie politiche e mutamenti istituzionali in et laurenziana, a cura di A.
Morelli Timpanaro - R. Manno Tolu - P. Viti, Cinisello Balsamo-Milano 1992; Studi
su L. dei M. e il secolo XV, a cura di P. Viti, in Archivio storico italiano, CL (1992),
552-554, pp. 263-605; L. il Magnifico e il suo mondo. Atti del Convegno
internazionale1994, a cura di G.C. Garfagnini, Firenze 1994; La Toscana al tempo
di L. il Magnifico. Atti del Convegno1992, I-III, Pisa 1996; L. the Magnificent.
Culture and politics in Medicean Florence. Colloquium, a cura di M. Mallett - N.
Mann, London 1996. Vedi inoltre: A. Brown, The Medici in Florence. The exercise
and language of power, Firenze 1992, in partic. pp. 151-211 (cfr. G. Ciappelli - A.
Molho, L. de M. and the Monte, in Rinascimento, XXXVII [1997], pp. 243-282); R.
Fubini, Italia quattrocentesca. Politica e diplomazia nellet di L. il Magnifico,
Milano 1994; M.M. Bullard, L. il Magnifico. Image and anxiety, politics and finance,
Firenze 1994; P. Salvadori, Dominio e patronato. L. dei M. e la Toscana nel
Quattocento, Roma 2000; L. Martines, La congiura dei Pazzi, Milano 2003; F.W.
Kent, L. de M. and the art of magnificence, Baltimore 2004; L. Fusco - G. Corti, L.
de M. collector and antiquarian, Cambridge 2006.
I. Walter

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