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Quel libberista di Michelangelo:

leconomia del Rinascimento

Luciano Canova
:
15 febbraio 2017
Ci sono alcuni ambiti della vita che sembrano uscire da una pura logica di
mercato: per esempio la bellezza di una poesia o di unopera darte. Qual
il valore del David di Michelangelo, per esempio, o di un quadro di Andy
Warhol?
Per quanto riguarda gli artisti del Rinascimento, lopinione di molti storici
dellarte, almeno fino agli anni pi recenti, era che il prezzo di unopera di
Raffaello, piuttosto che di Perugino, non fosse dettato da regole di mercato,
quanto piuttosto dal prestigio e dalle finalit del committente e, in generale,
da norme e valori sociali estranei a dinamiche facilmente quantificabili.
Nessuno, per, aveva mai provato a testare lipotesi con i dati, banalmente
perch non cos semplice trovarli, persi nei meandri di archivi impolverati
da secoli che conservano per ancora, per lattento ricercatore, i dettagli di
molti contratti di opere commissionate tra il tredicesimo e il sedicesimo
secolo.
La costruzione di questo dataset stata portata a termine, con un lavoro
davvero certosino, da Federico Etro, dellUniversit CaFoscari, che ha
raccolto informazioni su trecento opere darte relativamente al prezzo
effettivo pagato dal committente; alla dimensione del quadro; al numero
delle figure rappresentate nellopera; alla regione del committente e del
destinatario; allanno, infine, di realizzazione.
Lipotesi allo studio che, in realt, anche durante il Rinascimento,
committenti e artisti fossero guidati da leggi di mercato, pi o meno
efficiente e con caratteristiche ben definite.
In particolare, si trattava di un mercato che assumeva la forma di quella
che, in letteratura, nota come concorrenza monopolistica, la tipica
situazione in cui i vari agenti competono attraverso prodotti simili ma
differenziati.
Per intenderci, lappalto per la realizzazione dei bassorilievi che decorano la
porta nord del battistero di San Giovanni a Firenze vide diversi artisti
affrontarsi in un concorso, al termine del quale lopera fu affidata a Lorenzo
Ghiberti, dopo che laltro finalista, Filippo Brunelleschi, rinunci alla sfida.
In un mercato cos caratterizzato, il valore delle opere darte non nasceva
soltanto dal prestigio e dai valori sociali, ma anche da caratteristiche
oggettive e correlate alla qualit dellopera, per come essa poteva venire
per lo meno percepita allepoca.
Insomma, una vera struttura degli incentivi che, dice Etro, contribu insieme
ad altri fattori a spiegare levoluzione dellarte nel Rinascimento.
Quali fossero questi fattori, Etro ce lo spiega attraverso un modello
econometrico che riesce a dimostrare, in modo robusto, alcune conclusioni
importanti: la prima che il prezzo delle opere darte, tra 1300 e 1500, sub
unimpennata, che corrispondeva a unaumentata profittabilit del mestiere
dartista.
E non era soltanto una questione di umanesimo che riporta al centro
lessere umano con la sua sfida concettuale ai limiti: si trattava anche di un
meno prosaico, ma altrettanto importante, fattore correlato alle crescenti
prospettive di guadagno per chi decideva di diventare pittore. Se a fare
lartista si guadagna di pi, chiaro che sempre pi persone si
dedicheranno allarte come mestiere.
Fattura fattura fattura: limperativo dello start-upper come del maestro
di bottega, insomma.
Questa aumentata profittabilit fa il paio con sempre maggiori innovazioni:
lintroduzione della pittura a olio, linvenzione della prospettiva, le nuove
tecniche per affrescare una parete pi rapidamente
Un mercato florido (anche se Etro dice a chiare lettere che non per forza c
un nesso causale tra le due cose) associato anche a maggiori stimoli ad
innovare, come di fatto avvenne nel corso di tutto il Rinascimento.
Ma quali erano gli elementi oggettivi che impattavano positivamente sul
prezzo di unopera?
Banalmente, due caratteristiche facilmente controllabili anche in sede di
stipula del contratto: la dimensione del quadro, da un lato, e il numero di
figure rappresentate dallaltro.
Per dipingere un quadro grande, ci vuole un pennello grande, insomma, il
che giustifica un maggiore investimento da parte del committente. Inoltre, la
presenza di pi figure umane garantiva, per esempio in un lavoro svolto
dalla bottega, che il proprietario della stessa avesse un ruolo rilevante
senza lasciare troppe incombenze agli assistenti. Tipicamente, infatti, era il
maestro a occuparsi delle figure umane, mentre i garzoni lavoravano ai
dettagli.
Un altro risultato interessante, che conferma tra laltro lesistenza di
dinamiche di mercato, la relazione tra let del pittore e il prezzo
dellopera darte.
C una sorta di andamento a U rovesciata, come nel grafico seguente:

Un artista, giovanissimo, entrava in competizione in un mercato che gli


garantiva le massime prospettive e i maggiori incentivi a innovare fino
allet di 40 anni. Costruitosi, a quel punto, una buona reputazione come
pittore di alta qualit, il pittore poteva spendere la fase finale della sua
carriera a replicare opere gi fatte, delegando il grosso del lavoro agli
apprendisti in bottega.
Perugino e Bernardino Luini, per esempio, fanno proprio al caso in questo
senso.
La classifica dei pi pagati
Etro studia anche la profittabilit della professione di artista, controllando
per il costo della vita dellepoca (valutato grazie ai salari medi pagati per il
lavoro poco qualificato).
Lanalisi contiene, come controllo, le speciali valutazioni fatte da Giorgio
Vasari (primo storico dellarte vissuto nel Cinquecento) sui pittori della sua
epoca, descritti nel suo celebre Vite de pi eccellenti pittori. Levidenza
empirica mostra uninteressante e comprensibile distorsione dei giudizi a
favore dei pittori fiorentini. In una versione pi completa del modello, dove
si prendono in considerazione anche le caratteristiche individuali dei vari
pittori, si arriva a costruire una speciale classifica del valore di mercato
degli artisti che, nella top 5, vede non sorprendentemente Raffaello,
Tiziano e Michelangelo.

Se uno confronta una crocifissione giovanile di Raffaello (figura 2) con


lultima opera a lui attribuibile (figura 3), al di l dellevoluzione effettiva del
talento del grande pittore, pu acquistare un senso tutto nuovo il ruolo
esercitato dal numero di figure rappresentate. Lasciando da parte le
esigenze sceniche e di rappresentazione, cera una bottega intera da
mandare avanti che necessitava di sempre pi fiorini.

E pensiamo ora, in una luce un po nuova, anche allaffresco della cappella


Sistina di Michelangelo. Forse toglieremo un po di poesia, ma
interessante notare come per la volta, dipinta dallartista in et giovanile, il
colore azzurro sia stato ottenuto con una pasta di bassa qualit, mentre per
la parete del Giudizio Universale il pittore si sia servito dei lapislazzuli. Da
giovane in rampa di lancio, infatti, i costi dei colori erano a suo carico
mentre, da anziano e riconosciuta star, era il papa a pagare i materiali.
Che dire, quindi, del prezzo pattuito per il soffitto, che gi allepoca
rappresent un ingaggio da top player se confrontato con le altre
commissioni?
3000 fiorini doro.
Oggi un fiorino varrebbe intorno ai 150 euro, ma per dare una dimensione
del valore per lepoca, basti pensare che, con 500 fiorini (la paga del David,
riconosciuta a un Michelangelo giovanissimo) ci si poteva comprare una
bella casa.
Parete dalle grandi dimensioni, un sacco di figure da dipingere: per
Michelangelo, possiamo dire con certezza che lApocalisse non fu poi la
fine del mondo.

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