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Situazione della produzione artistica in Firenze alla fine

del Quattrocento: committenza e organizzazione delle


botteghe
(trascrizione di appunti presi a lezione)
per uso esclusivamente interno

Il sistema della committenza alla fine del Quattrocento


I Medici
Cosimo
Piero
Lorenzo
Il mutamento nella concezione dellarte
Le botteghe darti minori
Dal sistema di potere ai tipi di commissione

Il sistema della committenza alla fine del Quattrocento


Il sistema della committenza alla fine del '400 molto diverso rispetto a quello di
quaranta o cinquant'anni prima, intorno al 1420-30, al momento dell'esplosione
della nuova arte fiorentina.
La diversit consiste In questo: intorno al 1420-30 le grandi iniziative artistiche
(ovvero i grandi investimenti di denaro nelle imprese artistiche) sono messe in
atto ancora dalle Arti, le quali si preoccupano principalmente del completamento
degli edifici in grado di dare a Firenze il primato su tutte le altre citt della
Toscana e d'Italia.
Le due Arti Maggiori, quelle che detengono maggior potere (l'Arte della Lana e
l'Arte dei Mercanti o della Calimala) assumono il patronato dei due principali
edifici fiorentini, rispettivamente la Cattedrale e il Battistero. In questi decenni si
verifica la ripresa massiccia dei lavori per la cattedrale con il concorso per la
cupola, la costruzione della cupola stessa, con l'esecuzione delle vetrate di tutta
una serie di importantissime sculture per la facciata, per la sagrestia, ecc.
Abbiamo per il Battistero le due enormi imprese delle porte bronzee del Ghiberti,
che sono eseguite nell'arco di circa quarant'anni. Le altre Arti si accontentano di
commissioni minori; in qualche caso incontriamo addirittura le Arti in concorrenza
fra loro: in 0rsanmichele, che un edificio tardo gotico, ciascuna delle Arti
compra una delle nicchie esterne e fa scolpire una grande statua con l'immagine
del suo Santo protettore. Per le nicchie di Orsanmichele sappiamo che lavorano i
pi grandi scultori di quel momento, da Ghiberti a Donatello a Nanni di Banco.
Se noi andiamo a vedere la situazione negli ultimi decenni del '400, troviamo che
il potere delle Arti ormai tramontato. Le iniziative delle Arti in campo artistico
sono quasi nulle, le grandi iniziative sono nelle mani di poche famiglie, e questo
corrisponde al rovesciamento politico avvenuto a Firenze nel corso del '400,
quando gradualmente il potere viene tolto dalle mani delle corporazioni e si
concentra nelle mani di una famiglia, i Medici, e in quelle delle famiglie associate
ai Medici per vincoli di sangue o per interessi.
II sistema della committenza quindi molto differente. Prima si trattava di
committenze collettive, di un certo gruppo di famiglie che dominavano una
singola Arte, ora si tratta di committenze individuali (i Medici, i Tornabuoni, gli
Strozzi, ecc.). Questo causa uno spostamento di interesse dalle grandi imprese
(la Cattedrale, il Battistero, Orsanmichele) ad imprese di carattere pi ridotto,
che corrispondono al potere economico ridotto di singoli committenti o di singole
famiglie.
Anche dal punto di vista dell'organizzazione delle botteghe assistiamo a profondi
mutamenti: prima, artisti isolati si mettevano a capo di un cantiere creato dalle
Arti; in seguito, gli artisti si organizzano in botteghe in molti casi polivalenti per
rispondere a molte piccole commissioni provenienti da questa o da quella
famiglia. Vedremo meglio in seguito la situazione delle botteghe a Firenze alla
fine del XV secolo (cfr. Le botteghe darti minori)
D'altra parte Lorenzo de' Medici, che il principe non di nome ma di fatto nella
Firenze degli ultimi decenni del '400, segue una sua politica culturale molto
particolare: tende ad utilizzare a scopo di propaganda, per affermare il prestigio
culturale di Firenze rispetto agli altri grandi centri italiani, la propensione degli
artisti fiorentini a lasciare la citt e ad andare in altri centri. Anche questo un
fenomeno che noi registriamo gi nella prima met del '400 (basterebbe
ricordare i viaggi di Paolo Uccello, di Andrea del Castagno, di Filippo Lippi al
Nord, in particolare nel Veneto, o il lungo periodo durante il quale Donatello
lavora a Padova), ma questi fatti del primo 400 non sono commensurabili con
ci che avviene negli ultimi decenni del secolo.
Nel 1481-83, nel momento in cui si conclude una situazione di ostilit fra Sisto IV
e Firenze, il papa chiama ad affrescare le pareti della Cappella Sistina una equipe
di pittori che sono tutti fiorentini o educati a Firenze (Botticelli, Ghirlandaio,
Cosimo Rosselli, Perugino, che umbro ma educato nella bottega del Verrocchio
e tiene la sua bottega principale a Firenze). Negli stessi anni Leonardo lascia
Firenze per venire alla corte degli Sforza, con la benedizione di Lorenzo e con
doni per gli Sforza, Verrocchio va a Venezia per iniziare la sua pi spettacolare ed
importante impresa, il monumento in bronzo del Colleoni. Pollaiolo va a Roma
per eseguire i sepolcri in bronzo di Sisto IV e di Innocenzo VIII. Benedetto e
Giuliano da Maiano vanno a Napoli, Benedetto per costruire la villa di Poggioreale
(distrutta) e Giuliano per fare progetti grandiosi di un palazzo reale.
Questi sono solo gli episodi principali, ma in realt assistiamo a un continuo
esodo di artisti fiorentini verso gli altri centri; artisti fiorentini ai quali non solo
viene concesso di andarsene da Firenze, ma che vengono incoraggiati da
Lorenzo, il quale molto spesso li presenta come ambasciatori della cultura
fiorentina. Nel momento in cui le iniziative artistiche e gli investimenti artistici in
Firenze sembrano diminuire nettamente rispetto a quello che era avvenuto nella
prima met del secolo, c' da un lato questa particolare organizzazione delle
botteghe che risponde alla situazione del mercato, e dall'altro la tendenza molto
evidente degli artisti fiorentini ad emigrare, per favorire, secondo quelle che
erano le intenzioni di Lorenzo, un'affermazione del prestigio della cultura
figurativa fiorentina rispetto agli altri centri.

I Medici
Ora esaminiamo brevemente quale sia in realt latteggiamento dei Medici nei
confronti dell'attivit artistica, un atteggiamento che, soprattutto in Lorenzo,
molto diverso da quello che gli scritti encomiastici dei contemporanei o della
generazione immediatamente successiva ci hanno voluto far credere. Sia i
contemporanei sia gli scrittori dell'inizio del '500 hanno parlato dell'et di Lorenzo
il Magnifico come di una sorta di et dell'oro dell'arte e della cultura, e questa
idea della Firenze di Lorenzo come "paradiso dell'attivit artistica" un'idea che
stata ripresa dagli storici dell'800 ed arrivata fino a noi.
Se noi esaminiamo i testi vediamo che questa idea ha le sue radici negli scritti
encomiastici di poeti, di eruditi che celebrano Lorenzo, ma prima di lui il nonno
Cosimo, come protettori della cultura e come straordinari, disinteressati
committenti. Ma questi scrittori appartengono tutti alla cerchia dei Medici stessi,
e quindi tendono a proporre un'immagine della famiglia Medici, da Cosimo a
Lorenzo, tale da giustificare la presa di potere politico da parte della famiglia. Lo
splendore delle committenze diventa giustificazione di una supremazia di fatto
dovuta a ragioni di carattere economico e politico.
Tuttavia tra i tre Medici, Cosimo I, il figlio Piero e Lorenzo il Magnifico esistono
notevoli differenze per quanto riguarda la loro attivit di committenti, il loro
modo di porsi di fronte agli artisti e alle loro opere: differenze che corrispondono
in sostanza alla diversa immagine che ciascuno dei tre personaggi intende
proporre e propagandare di se stesso.

Cosimo (1434-64)
Cosimo, senza dubbio molto pi dei suoi successori, ha investito denari in
imprese artistiche, soprattutto di architettura (perch, come vedremo nel
seguito, impiantare un cantiere architettonico infinitamente pi costoso che far
dipingere un ciclo di affreschi o una pala d'altare, e ci rispondeva a un desiderio
profondamente sentito dal Vecchio, come Cosimo era conosciuto in citt al
culmine della sua fama). Fra le infinite imprese di Cosimo baster ricordare la
riedificazione del Convento di San marco, della chiesa di San Lorenzo, della Badia
di Fiesole, del palazzo di via Larga e di infiniti altri edifici, alcuni del quali ci sono
rimasti e altri no.
Non solo Cosimo fa esporre lo stemma dei Medici su questi edifici (sia privati che
religiosi), ma nella letteratura del tempo questi edifici vengono considerati come
edifici di Cosimo: nessuno degli storici del tempo ci dice che Michelozzo ha
costruito il convento di S. Marco: tutti quanti ci dicono che l'autore del convento
di S. Marco Cosimo de' Medici. Per uno scrittore del 400 l'autore degli edifici
il committente.

Nelle cronache del tempo noi troviamo cenno di quelle che erano le intenzioni,
del perch
Cosimo spendesse capitali ingentissimi nella costruzione di un certo edificio. La
sua intenzione era, come lui stesso affermava, di pagare un triplice debito: verso
la citt, verso Dio e verso la Storia.
Il debito verso la citt era per beneficiarla, attraverso la costruzione di grandi
edifici che la rendessero pi bella e pi nobile. II debito verso Dio quello che
noi troviamo a giustificazione di numerosissime commissioni dell'epoca (spesso la
costruzione di un palazzo o l'esecuzione di un ciclo di affreschi ha significato
espiatorio, perch molte delle ricchezze del tempo erano conseguite con lusura:
ci che era stato estorto veniva restituito a Dio attraverso opere che
glorificassero la religione). Da conti effettuati sul patrimonio di Cosimo e sui suoi
investimenti artistici si visto che in realt questi corrispondono pressappoco al
patrimonio che egli trasmise al figlio (quindi ha speso in opere circa il 50% del
suo patrimonio). Infine ,il debito con la storia, ovvero il debito con l'eternit:
evidentemente commissionare opere di questo genere significava appunto
passare alla storia, lasciare di se stessi un monumento perenne. Certo, Cosimo fu
il grande committente, colui che si sostitu in pieno all'attivit delle Arti nei primi
decenni del secolo, con cantieri come quelli di S. Lorenzo e di S. Marco. Cosimo
non si occup mai o quasi mai di pittura, perch una commissione di pittura
comportava una spesa irrisoria rispetto a una di architettura, e se si occup di
scultura, si occup solo di scultura in bronzo. Il suo artista prediletto in scultura
era Donatello, e da lui fece eseguire sculture in bronzo, che gli davano maggiore
prestigio.
L'attivit di committente di Cosimo il Vecchio ha avuto un'enorme influenza
sull'attivit artistica e sugli orientamenti dei maestri attivi a Firenze. Subito dopo
il rientro a Firenze dall'esilio, a cui era stato condannato per contrasti con
l'oligarchia fiorentina, in particolare con il partito che faceva capo alla famiglia
degli Albizzi, Cosimo nel 1434 si impadronisce del potere e lo detiene per tre
decenni. Cosimo era principe di fatto, ma non lo era di nome; aveva nelle sue
mani l'intero potere di Firenze ma in realt non ricopriva carica alcuna che
dimostrasse questo suo potere assoluto nella citt (ricopriva di tanto in tanto
delle magistrature, ma si trattava di magistrature a cui potevano accedere anche
altri personaggi fiorentini). Il suo potere non aveva manifestazioni esteriori n
titoli istituzionali, ma si basava pi che altro su quello che potremmo chiamare
un sistema di clientele.
Anche l'attivit artistica, soprattutto nel campo delle grandi imprese
architettoniche, era una manifestazione chiara, evidente, sotto gli occhi di tutti; il
suo stemma era visibile su tutte le maggiori costruzioni di quei tre decenni. Nella
sua opera di committenza indirizzata all'attivazione di grandi cantieri
architettonici egli si poneva come il successore delle "Arti", delle corporazioni che
prima di lui avevano detenuto il potere. Le Arti in genere favorivano le imprese
del grandi cantieri e anche Cosimo impegn i suoi capitali in grandi cantieri
architettonici. Ma oltre alla sua attivit di committenza diretta, necessario
prendere in considerazione quelle che potremmo chiamare commissioni indotte,
incarichi dati agli artisti non direttamente ma in seguito a sua raccomandazione,
grazie al suo appoggio.
Un caso molto importante quello di Donatello. Quando Donatello nel l452
rientra a Firenze dopo essere rimasto per un decennio circa (l443-52) a Padova,
attivo all'esecuzione del monumento equestre del Gattamelata (l453) e all'altare
del Santo (l447), trova la situazione artistica fiorentina molto mutata: mutata
l'organizzazione delle botteghe, e soprattutto mutato il gusto, sia dei
committenti, sia degli altri scultori che lavoravano a Firenze. Subito dopo la meta
del secolo noi avvertiamo l'orientamento delle botteghe fiorentine verso uno stile
morbido, levigato, verso una fattura meticolosa delle figure, modellate in una
maniera estremamente precisa, delicata, aggraziata; uno stile che mirava a una
sorta di indefinito psicologico delle figure, e che era tutto il contrario di quello che
egli aveva praticato fino a quel momento. Donatello si trova fuori dei grandi
circuiti e delle grandi commissioni, in contrasto con le tendenze prevalenti, e
Cosimo, che era stato suo committente, che era suo ammiratore e soprattutto
era interessatissimo alla scultura in bronzo, immediatamente lo favorisce,
ottenendo per lui due commissioni importanti come la "Giuditta e 0loferne
(l46l), poi collocata davanti a Palazzo Vecchio, e come i pulpiti per la Chiesa di
S. Lorenzo (l46l), che sono tra le opere principali del periodo finale di Donatello,
opere in cui egli, privo di condizionamenti, pu tranquillamente continuare le sue
ricerche e creare rappresentazioni estremamente drammatiche, agitate, in
opposizione a quello che era invece lo stile dominante di quel momento. D'altra
parte, Cosimo stesso era stato committente di Donatello col famoso "David" in
bronzo del Bargello, che era in palazzo Medici.
Cosimo si disinteressa sostanzialmente delle trattative con i pittori. Le opere dei
pittori erano opere che in fondo richiedevano un impegno finanziario molto
minore, che non avevano presa sul vasto pubblico come potevano averla quelle
di architettura, e che forse erano di minore interesse estetico per lui. Questo
disinteresse lascia maggior campo ai figli Giovanni e Piero de' Medici. I pittori che
volevano venire a lavorare a Firenze si rivolgevano in genere all'uno o all'altro
dei due figli: famosissima la lettera di Domenico Veneziano, che nel l438 da
Perugia si rivolge appunto a Piero de Medici.

Piero (1464-69).
A Cosimo succede come principe, anche in questo caso di fatto e non di nome,
Piero, ma per pochi anni, dal l464 al l469. Sappiamo che Piero svolgeva una sua
attivit indipendente di committenza gi nel tempo in cui suo padre era vivo,
tenendo i rapporti coi pittori, appunto, ma non solo. Soprattutto Piero era noto a
Firenze come collezionista. Egli continua a finanziare alcuni dei cantieri
architettonici aperti dal padre, ma per suo conto ricordato solo per due
interventi importanti in chiese fiorentine: interventi che sono ambedue
significativi, seppure in modo diverso. Il primo risale al l447 (quando Piero era
ancora abbastanza giovane) ed la costruzione del tabernacolo marmoreo di
Michelozzo detto del Crocefisso, o dell'altare del Crocefisso. Questo tabernacolo
marmoreo era sotto la giurisdizione dellArte di Calimala (l'Arte del Mercanti),
una delle grandi "Arti" fiorentine, e nel l447 abbiamo un documento in cui l'Arte
di Calimala, non essendo in grado di provvedere a questo tabernacolo marmoreo,
che pare fosse molto costoso, rinuncia ai suoi diritti a favore, si dice nel
documento, "di un cittadino grande" (cio di un cittadino importante) a patto che
questo cittadino rinunci a far scolpire sul tabernacolo le sue insegne al posto di
quelle dell'Arte. quasi simbolico il passaggio dal patronato delle Arti a quello
della famiglia Medici. Piero de' Medici paga l'opera e alla fine non fa scolpire lo
stemma dei Medici (le sei palle), ma un suo stemma personale (le tre piume in
un anello) che diventer da quel momento un altro degli emblemi medicei. Dal
momento che lo stemma dei Medici era soprattutto lo stemma di Cosimo, il suo
stemma personale glorifica Piero come patrono dell'opera. II secondo episodio,
anch'esso molto significativo, riguarda il tabernacolo della SS. Annunziata
(tempietto marmoreo su disegno di Michelozzo). Si tratta di un'opera di
architettura eseguita con marmi pregiati, con pietre lavorate, di altissimo costo.
Quando ci si avvicina al tabernacolo e si legge l'iscrizione, non si legge una
dedicazione alla Vergine, ma testualmente: "Cost fiorini 4.000 al marmo solo".
Ci che Piero de' Medici intendeva far sapere era il costo dell'opera, quanto
aveva "sborsato", non una glorificazione della bellezza o dell' utilit o,
tantomeno, del Padreterno. Questo ci d gi una prima indicazione del gusto e
della cultura di Piero. Piero era soprattutto un collezionista: nel l492 fu tracciato
un inventario delle collezioni del Medici, un inventario abbastanza meticoloso che
ci consente di riconoscere gli oggetti esistenti allora nelle varie case e ville
medicee, e che ci consente in molti casi di risalire allacquirente. Ben il settanta
per cento circa di tutti gli oggetti inventariati nel l492 era stato acquistato da
Piero de Medici. Ma si tratta dl libri preziosi, di gemme, di gioielli, di cammei, dl
piccole statuette, di medaglie, di arazzi, di tessuti. Una testimonianza importante
quella fornita dal trattato "La Sforzinda" del Filarete. II Filarete ci riferisce di un
dialogo tra l'ambasciatore dei Medici (o di Firenze, se preferite) a Milano in quegli
anni, un certo Nicodemo, e un cortigiano della corte degli Sforza, il quale,
sapendo che Piero era infermo (soffriva di artrosi e di gotta) e quindi poteva
difficilmente muoversi, domanda all'ambasciatore come egli occupasse il suo
tempo libero, non impegnato nelle cure dello stato e in quelle private (pi queste
che quelle, in realt). L'ambasciatore risponde che quando Piero ha del tempo
libero si chiude nella sua biblioteca o nel suo studio: non legge, ma si compiace
dl ammirare le splendide rilegature, i metalli preziosi oppure le miniature, poich
possiede libri miniati in grandissimo numero. Oppure passa l'intera giornata nel
suo studiolo con estrema gioia in mezzo a gemme, cammei, oggetti antichi.
Questa "immersione" nell'oro, negli oggetti preziosi indicativa dell'immagine
che di s voleva fornire Piero, cos come l'attivit di committenza era significativa
dell'immagine che di s voleva suggerire Cosimo. Questi voleva dimostrare alla
citt e allEterno il suo potere attraverso le sue imprese architettoniche, Piero
invece voleva mostrare di vivere sfarzosamente come i principi delle grandi corti
doltralpe. Il suo stile di vita si ispirava nella moda, nell' abbigliamento, nel
comportamento, a quello del principi borgognoni (che a quel tempo erano l'ideale
dello sfarzo e dell'ostentazione).
Cosimo invece rifuggiva da qualsiasi genere di ostentazione privata; la sua era
unostentazione pubblica. Una delle ragioni che lo portarono a scegliere
Michelozzo per la costruzione del suo palazzo in via Larga e a rifiutare il progetto
dl Brunelleschi fu che quello di Brunelleschi appariva troppo splendido rispetto a
quello di Michelozzo. In Piero invece c'era un atteggiamento contrario, proprio
per la sua volont di rappresentarsi come un principe, che aveva assimilato lo
stile di vita delle grandi monarchie o principati d'Oltralpe. Questo si vede molto
bene nel pi importante ciclo di affreschi che egli commission nel l459-60, La
cavalcata dei magi dipinta da Benozzo Gozzoli nella Cappella interna di Palazzo
Medici. Questo ciclo di afffeschi non a caso indicato come "Cavalcata dei Magi"
anzich come "Adorazione dei Magi": sul significato religioso prevale nettamente
la parata di personaggi vestiti splendidamente, a cavallo, accompagnati da cani,
con un seguito ricchissimo, diretti verso la capanna. una parata simile a quelle
del gentiluomini di Piero de' Medici o di altri regnanti dell'epoca. C' qui una
fortissima ripresa di gusto tardo-gotico cortese, che accomuna per un momento
l'ambiente dei Medici a quello delle grandi corti settentrionali, quelle degli Sforza,
degli Este, dei Gonzaga, ecc.

Lorenzo (1469-92)
Lorenzo, invece, detenne il potere a Firenze per un tempo molto pi lungo del
padre, dal 1469 al 1492, e quindi linfluenza della sua attivit sulla cultura, non
solo figurativa, della citt fu molto forte. L'unico elemento che legava Lorenzo al
padre era la passione di collezionista ma, invece di prediligere gli arazzi o le
stoffe preziose o i gioielli, egli prediligeva i cammei, le opere darte antica, le
statuette. Il suo un collezionismo che tende meno al ricco, al sontuoso, e mira
pi al valore storico delloggetto. Lorenzo comunque fu appassionatissimo
collezionista e i suoi maggiori investimenti in campo artistico furono mirati a
soddisfare tale sua passione. Nell'inventario del 1492 di molti pezzi venivano
indicati anche i prezzi, la valutazione insomma, e questo ci fornisce elementi di
grande interesse: gli oggetti di vasellame o di pietre preziose o cammei o
statuette antiche variano grosso modo da 400 a 1.000 fiorini come prezzo, con
delle punte, naturalmente (ad esempio quella che noi chiamiamo "tazza
Farnese", allora in possesso dei Medici, venne valutata 10.000 fiorini) . Il prezzo
pagato ad un artista di primo piano per una pala d'altare si aggirava sui 50-70
fiorini (al massimo 100); e un grande ciclo di affreschi come quello del
Ghirlandaio per i Tornabuoni, che occupa tutto il coro di S. Maria Novella, venne
pagato meno di 1.000 fiorini. Questo ci d l'idea delle valutazioni di opere d'arte
contemporanea rispetto agli oggetti da collezione.
Nonostante quello che dice Vasari nella vita di Botticelli a proposito di Lorenzo
("Nei tempi del Magnifico Lorenzo che fu veramente per le persone d'ingegno un
secol d'oro...": motivo ripreso continuamente dagli storiografi), egli fu
committente di poche opere moderne. In qualche caso non si occup pi neppure
dei cantieri aperti dal nonno e continuati dal padre; si occup soltanto di due
ville: la sua villa di campagna vicino ad Arezzo, l'Ospedaletto (andata distrutta) e
la villa a Poggio a Caiano, che per stata completamente trasformata. Ma, a
parte queste, non finanzi nessunaltra opera di architettura. Bisogna anche dire
che erano mutate molto, dai tempi di Cosimo il Vecchio, le condizioni finanziarie
della famiglia Medici. L'insolvenza di alcuni debitori, il mutamento del sistema
finanziario italiano ne avevano ridotto di molto le sostanze. In qualche momento
a Lorenzo pes il fatto che la fama della famiglia si basasse su una tradizione di
munificenza quasi illimitata nei confronti degli artisti.
Lorenzo si differenzi dai suoi predecessori per il fatto di essere coltissimo, tra gli
uomini pi colti del suo tempo; fu poeta, straordinario politico e diplomatico e si
circond di letterati, di umanisti e di filosofi; favor lo studio dei testi classici e la
loro edizione. II livello culturale fu, quindi, molto pi alto che in precedenza.
stato tuttavia osservato, giustamente, che i libri costano meno dei palazzi o dei
grandi cantieri architettonici, e che, in fin dei conti, anche umanisti e filosofi
importanti si accontentavano di poco. Il grande pregio culturale che egli acquist
attraverso la protezione di letterati e umanisti costava in fondo poco in confronto
alle spese del nonno in campo architettonico, ma Lorenzo intendeva offrire di se
stesso soprattutto unimmagine di persona colta e raffinatissima, che rifuggiva
dallostentazione, non come il nonno, ma certamente pi del padre. In campo
artistico non fu un grande committente per gli artisti contemporanei, ma si cre,
comunque, un prestigio indiscusso, sia a Firenze, sia presso tutti i maggiori centri
Italiani, di grandissimo esperto e conoscitore d'arte. Fu una specie di arbitro del
gusto a cui tutti i principi e i committenti scrivevano per avere consiglio.
Possedeva una competenza indubbia, soprattutto in architettura, campo nel
quale svilupp interessi molto approfonditi: conosceva bene i trattati
architettonici, si fece inviare i disegni del Palazzo Ducale di Urbino (allora quasi
del tutto terminato) e della Chiesa di S. Sebastiano dellAlberti a Mantova. Era
anche un dilettante architetto: sollecitato dallo Strozzi, prepar un progetto per il
loro palazzo e, al famoso concorso del 1491 per la facciata di Santa Maria del
Fiore, partecip con un suo progetto insieme ad altri architetti professionisti. Egli
svolse inoltre un'attivit che potremmo definire oggi di promozione dellopera
degli artisti fiorentini, in due modi: 1) favorendo l'attivit presso altre corti di
questi artisti, spesso muniti di sue referenze, o addirittura di doni che egli inviava
ai signori di altre citt; 2) incoraggiando la celebrazione degli artisti fiorentini
negli scritti degli umanisti della sua cerchia, che riecheggiavano la celebrazione
degli artisti dell'antichit negli scritti di Plinio.

Il mutamento nella concezione dellarte


Nellambiente degli umanisti che circondavano Lorenzo si venne a creare una
nuova teoria dell'operare artistico e del suo significato e valore allinterno della
societ. Partendo dai testi di Plinio e di Quintiliano si istituirono rapporti fra il
fiorire delle lettere e il fiorire delle arti, e si riconobbe un rapporto stretto fra
l'apparire di grandi personaggi della letteratura o della storia e l'apparire di
grandi artisti.
I grandi periodi di splendore venivano di solito legati alla vita o alle vicende di un
grande personaggio storico (il tempo di Pericle, il tempo di Augusto, ecc.): in tal
modo, naturalmente, venne celebrato anche il tempo di Lorenzo. Inoltre Marsilio
Ficino ed altri pensatori della sua cerchia sostennero apertamente che le
creazioni dei letterati e dei filosofi, come le opere dei pittori e degli scultori,
nascevano grazie al furor divino, ad una forma di ispirazione concessa solo a
pochi. Nasce cos il mito dellartista come persona al di fuori della norma, dotato
di una sorta di illuminazione ("furor"), che non data dalla natura a ciascuno,
ma solo a pochi: su questo piano lartista equiparato al poeta. Queste idee
scardinarono completamente quella divisione gerarchica e sociale che aveva
costretto l'operare artistico tra le arti meccaniche, non illuminate da procedimenti
di natura intellettuale. Queste teorie, in un primo tempo circoscritte ad un
ambiente ridotto, ben presto si diffusero, soprattutto ad opera degli artisti stessi.
Molti artisti che frequentavano la corte di Lorenzo o che comunque vivevano a
Firenze, si resero conto della portata di queste teorie, dellarma messa nelle loro
mani per rivendicare un diverso stato sociale, un diverso valore al loro operare, e
per porre l'attivit artistica sul piano delle attivit intellettuali. Quando pi tardi
cominciarono le dispute sulla superiorit della poesia, o della pittura, o della
scultura ecc., uno degli argomenti che Leonardo us per sostenere la superiorit
della pittura su ogni altra attivit artistica fu che la pittura era "di maggior
discorso mentale", e cio implicava un'attivit intellettuale superiore. Queste
idee non erano del tutto nuove, perch una traccia di esse era presente
addirittura nel trattato "Della pittura" di L.B. Alberti, risalente ai tempi di
Masaccio, Brunelleschi, ecc. Ma queste idee non avevano trovato una sufficiente
divulgazione, non avevano attecchito, mentre in questo momento trovarono una
formidabile diffusione. Un altro elemento che risale ad Alberti interamente, ma
che si sviluppa in questo periodo, la rivendicazione dell'operare artistico come
fatto intellettuale sulla base della considerazione che l'artista non si basa
solamente sugli elementi tecnici tramandati nella bottega, ma si basa anche sulla
scienza della prospettiva e delle proporzioni. la scienza del numero che rende
l'arte equiparata, in questo caso, non alla poesia ma alla musica. Il paragone fra
arte e musica, fra pittura e musica era corrente in quegli anni. Basta pensare che
quando Drer venne in Italia nel l496-97 e poi ancora all'inizio del '500,
consapevole della fortissima differenza sociale dell'operare artistico fra Germania
(soprattutto Norimberga) e Venezia e gli altri grandi centri italiani, si preoccup
per prima cosa di impadronirsi di questa scienza e di divulgarla al di l delle Alpi.
Tutta l'attivit di trattatista di Drer mir a porre nuove basi per l'attivit degli
artisti d'oltralpe.
Negli ultimi decenni del '400 questi fatti non interessarono tutti i grandi centri
italiani, ma solo i pi avanzati dal punto di vista della teoria, della meditazione,
della speculazione sull'operare artistico, Firenze e Urbino in particolare: Firenze
per le ragioni che abbiamo detto or ora; Urbino perch vi aveva avuto
grandissima diffusione il trattato "Dellarchitettura" di L.B. Alberti, e perch vi si
era venuta sviluppando la meditazione sull'aspetto scientifico dell'operare
artistico, sulla prospettiva e sulle proporzioni (basti pensare a Piero della
Francesca e ai suoi trattati, che sono impregnati anche di cultura neoplatonica).
Negli altri centri questa consapevolezza o non esisteva o era infinitamente
minore. A Milano, ad esempio, lattivit degli artisti alla fine del '400 era ancora
considerata assolutamente meccanica. Nella valutazione delle opere artistiche
pesava di pi il costo del materiali che non la bravura dell'artista. Quando gli
Sforza volevano far dipingere un affresco nelle loro dimore si preoccupavano pi
di ci che doveva esservi rappresentato, dell'ordine e della gerarchia delle
immagini, ecc., che non della bravura dell'artista. Molto spesso, anzi, la bravura
degli artisti era l'ultimo degli elementi presi in considerazione. L'importante era
che il programma iconografico fosse rigorosamente rispettato. La prima grande
opera che Leonardo dipinse a Milano, La Vergine delle rocce, venne pagata pi
per le dorature della cornice lignea che per la pala dipinta! L'attivit dell'artista a
Milano era considerata come eminentemente artigianale; il vero protagonista
dell'opera d'arte era il committente, il signore; gli artisti non erano che strumenti
nelle mani del signore.
La situazione cambia negli ultimi due decenni del secolo per la presenza
simultanea a Milano di Leonardo e di Bramante, i quali provenivano
rispettivamente da Firenze e da Urbino ed erano entrambi portatori di un nuovo
modo di concepire l'attivit artistica e soprattutto il rapporto committente-artista.
Leonardo, dovendo dipingere un ciclo di affreschi nel castello di Vigevano, chiese
tempo per poter pensare comodamente all'invenzione. Era un atto rivoluzionario,
perch l'invenzione, fino a quel momento, non spettava affatto agli artisti, ma ai
consiglieri ducali e al duca, il quale interveniva personalmente nella stesura dei
programmi. Leonardo e Bramante introdussero grandi novit, e grazie al loro
prestigio, e alla posizione di cui godevano presso il duca, a poco a poco iniziarono
una trasformazione, che per si blocc con la caduta degli Sforza e per gli eventi
storici che seguirono ad essa.
Altrove la situazione era differente: ad esempio il duca di Ferrara Borso dEste
pretendeva di pagare i famosissimi affreschi di Schifanoia a piede quadrato.
Questo fece giustamente adirare Francesco del Cossa, che si rifiut di proseguire
l'opera. Il caso di Borso d'Este non era tuttavia molto frequente: in genere i
committenti erano pi raffinati e pi riguardosi nei con fronti degli artisti al loro
servizio.
All'inizio del secolo anche a Firenze i committenti valutavano un'opera in rapporto
ai materiali impiegati e al tempo di esecuzione. Esistevano alcuni materiali
particolarmente costosi, come ad esempio l'oro e l'azzurro oltremarino, che
veniva ottenuto macinando lapislazzuli. Di oro e di azzurro oltremarino
esistevano diverse qualit, con sbalzi di prezzo anche molto forti. Molto spesso
troviamo (soprattutto all'inizio del secolo) contratti in cui specificato quanto oro
e quanto azzurro oltremarino doveva essere usato e di quale qualit; e spesso il
committente controllava se l'artista usava questi materiali nelle dovute dosi.
Esaminando questi contratti, lo studioso inglese Baxandall ha notato che nel
corso del secolo si pu cogliere una forte trasformazione nei criteri di valutazione
di un'opera: mentre i materiali preziosi perdono importanza, diventa sempre pi
rilevante la richiesta di abilit pittorica. I committenti cominciavano a badare di
meno all'esigenza di fare sfoggio di materiali preziosi. A poco a poco la
preoccupazione per i materiali preziosi si attenua e noi assistiamo ad una
progressiva riduzione dell'ostentazione, che Baxandall nota non limitata all'arte,
ma diffusa nel costume e nel comportamento. un fenomeno riscontrabile anche
nella moda. A questo proposito si pu ricordare, come ci racconta Vespasiano da
Bisticci, la disavventura toccata a un ambasciatore senese alla corte di Napoli.
Estremamente borioso, egli si vestiva solo di broccato d'oro, mentre il re di
Napoli vestiva panno di Fiandra nero. E' chiaro il mutamento nel costume, nella
moda, nel modo di presentarsi; qualcosa di simile si nota anche a proposito della
pittura, ad esempio a proposito dei pittori fiorentini che si recarono a Roma per
affrescare le pareti della Sistina. Racconta Vasari che, dei quattro pittori che
iniziarono questa decorazione (Botticelli, Perugino, Ghirlandaio, Cosimo Rosselli),
i primi tre usavano con molta parsimonia l'oro, secondo le indicazioni dell'
Alberti; Cosimo Rosselli, invece, ne usava in quantit, non solo per dare effetti di
luce, ma anche per far apparire pi ricche le sue composizioni. Per questo i tre
colleghi lo prendevano in giro. Quando Sisto IV vide la cappella terminata lod
tutti, ma diede un premio a Cosimo Rosselli. Lepisodio sta a significare che vi era
un profondo contrasto fra i pittori della vecchia e quelli della nuova generazione;
fra gusto fiorentino e gusto romano (il gusto di Sisto IV messo alla berlina
come superato).
Baxandall si domanda quale sia la ragione di questo mutamento, e cerca di
spiegarlo con tre motivi: uno di carattere sociologico, uno di carattere culturale e
uno di carattere tecnico. Dal punto di vista sociologico fa notare che dalla met
del '400 si era verificata in tutti i centri Italiani una impressionante mobilit
sociale, con notevoli improvvisi arricchimenti. Questo portava con s l'esigenza,
per gli antichi aristocratici, di distinguersi dai nuovi ricchi, i quali erano
particolarmente inclini all'ostentazione ed erano bollati come persone di cattivo
gusto. II motivo culturale" sta nel diffondersi delle idee umanistiche, in genere
contrarie ad ogni forma di ostentazione. La ragione "tecnica" che i migliori
tessuti dell'epoca erano quelli olandesi, borgognoni e fiamminghi, in genere scuri.
I tessuti pi costosi non erano, generalmente, quelli pi sfarzosi.
Questo per quanto riguarda la moda. Ma queste ragioni spiegano solo in parte la
trasformazione nel gusto della committenza e nella valutazione dell'opera
artistica, in quanto, in alcuni contratti di fine secolo, il committente, non potendo
pi garantirsi circa la quantit di oro e di azzurro, si garantiva della qualit
dell'opera chiedendo che lartista eseguisse tutto di sua mano, senza far
intervenire gli aiuti, e chiedendo che ci fosse un corrispettivo in lavoro del prezzo
pagato mediante l'esecuzione di molte figure e di paesaggi. Spesso all'artista era
lasciata libert circa l'ambientazione delle figure da inserire, ma la richiesta che
l'artista eseguisse tutto di sua mano indica che ormai si valutava in modo diverso
la sua abilit e, con essa, il suo possesso della scienza prospettico-proporzionale.
Ormai l'attivit artistica era ritenuta non pi "meccanica"; quindi si pagava
all'artista anche la sua capacit di rappresentare qualcosa che dipendeva pi
dall'intelletto che non dai materiali impiegati.

Le botteghe darti minori


Alla fine del Quattrocento le commissioni minori sono nettamente prevalenti
rispetto alle commissioni maggiori. Questo spiega perch noi troviamo a Firenze
alla fine del secolo o delle grandi botteghe polivalenti o delle piccole botteghe
specializzate.
Un documento molto interessante la cronaca di Benedetto Dei, scritta nel 1472,
nella quale si vuole, per ragioni campanilistiche, opporre la ricchezza, anche
artistica, di Firenze a quella di Venezia. Fra gli argomenti che il Dei riporta a
favore della sua tesi della superiorit di Firenze su Venezia c' l'enumerazione
delle botteghe degli artisti. Dei dice che vi sono a Firenze ottanta botteghe di
legnaioli, di intarsiatori e intagliatori, e cinquantaquattro botteghe di maestri
lavoratori di pietre e del marmo, intagliatori in rilievo e mezzo rilievo. una
quantit enorme; molta della produzione di queste botteghe (tarsie, modelli in
legno per opere architettoniche, sculture in legno, sculture di ogni genere in
marmo o in pietra) era destinato all'esportazione.
La fortuna dell'arte fiorentina e la sua diffusione in tutta Italia non sono dovute
soltanto al prestigio dell'opera di alcuni artisti eccelsi, ma anche e soprattutto alla
penetrazione fitta delle opere di queste botteghe specializzate, che
rappresentavano, d'altra parte, una grande ricchezza per una citt come Firenze.
Accanto a queste piccole botteghe specializzate, troviamo le grandi botteghe con
una molteplicit di attivit. Non tanto quella del Ghirlandaio, ma soprattutto le
altre due, quella del Pollaiolo e quella del Verrocchio, sono botteghe nelle quali si
esegue qualsiasi opera d'arte, nelle quali si pu progettare un colossale
monumento sepolcrale o eseguire invece gioielli, alle quali si possono chiedere
pale d'altare, cicli di affreschi, disegni per ricami, cartoni per tarsie, ecc. Queste
botteghe radunano moltissimi artisti, ciascuno dei quali specializzato in un
particolare campo. Sappiamo che a un certo punto nella bottega del Verrocchio,
mentre il Verrocchio si occupava principalmente delle imprese di scultura, le
imprese di pittura venivano affidate a Leonardo e a Lorenzo di Credi.
Un altro documento estremamente interessante, una nota di spese dei Medici per
la bottega del Verrocchio attesta che su quindici capitoli di spesa uno per un
restauro, quattro per allestimenti di feste, tre per ricami e decorazioni, un altro
per la progettazione della decorazione di una stanza, quindi in generale i tre
quinti del lavoro di una grande bottega di pittura e scultura non per opere di
pittura e scultura.
Le opere di scultura e pittura in realt sono una minoranza rispetto a quelle di
altro genere, opere spesso effimere, come l'allestimento di una festa o di un
torneo, e questo spiega l'affluire di molti artisti all'interno di una singola bottega.
Le botteghe pi importanti erano quelle del Ghirlandaio, del Verrocchio (dove
erano attivi Leonardo, Lorenzo di Credi, il Perugino, Botticelli e altri) e dei fratelli
Pollaiolo, ma accanto a queste ne esistevano moltissime altre. Commissioni
soprattutto di privati e soprattutto legate alle arti cosiddette minori.
Nella seconda meta del '400 esistevano a Firenze numerosissime botteghe
specializzate in tecniche come per esempio la lavorazione del legno. II numero
di queste botteghe, dipendenti dalla richiesta esterna, era giustificato anche dalla
superiorit "tecnologica" delle officine fiorentine: si richiedevano soprattutto
modelli architettonici in legno (n.b.: la progettazione architettonica, a
quell'epoca, non veniva eseguita, come oggi, mediante disegni in pianta, alzato,
sezione, ecc., ma avveniva con disegni prospettici e soprattutto modelli in legno;
l'inventore del nuovo modo di progettare fu Raffaello). La costruzione di questi
modelli in legno richiedeva non solo abilit tecnica, ma anche conoscenze di
carattere architettonico, e quindi una manodopera altamente specializzata. II
secondo prodotto che si richiedeva alle botteghe fiorentine erano le tarsie (altro
prodotto che richiedeva il possesso di cognizioni scientifiche e non solo tecniche).
Le tarsie in quei decenni erano soprattutto prospettiche, addirittura tarsie
"trompe-l'oeil"; potevano essere eseguite solo da artisti estremamente
specializzati. Lo stesso si pu dire degli intagli in pietra o in metalli preziosi, dove
la tradizione orafa della bottega del Ghiberti veniva continuata da molti dei suoi
allievi.
L'invenzione delle prime forme di incisione dal Vasari attribuita alle botteghe
d'orafo fiorentine: incisioni fatte per eseguire diverse copie dei modelli di
bottega. Numerose erano anche le botteghe che producevano ricami e tessuti,
oggetti di grandissimo pregio e costo.
Accanto a queste botteghe specializzate in arti minori (da non intendersi in senso
dispregiativo!) troviamo botteghe di pittura e di scultura differenziate tra loro.
Alcune di esse indirizzavano la loro produzione verso un pubblico pi vasto: per
esempio le botteghe che eseguivano terrecotte o terrecotte invetriate come
quelle dei Della Robbia. Luca della Robbia (proveniva da una famiglia benestante
attiva nel settore dei tessuti, e doveva la sua ricchezza proprio alla robbia o
garanza, un colorante rosso per tessuti bizzarro, il rosso fu lunico colore
sempre assente nelle sue opere) aveva inventato un nuovo tipo di terracotta
invetriata che aveva avuto una fortuna enorme, essendo riproducibile, economica
per la produzione di sculture durevoli anche in esterno e dando luogo ad una
produzione quasi seriale che arriva fino a giorni nostri. Questo un esempio di
bottega in cui si impiegano determinate tecniche per divulgare forme e modelli
dell' arte fiorentina del primo '400.
L'altro esempio che si pu fare in campo pittorico quello delle botteghe
specializzate nell'esecuzione di cassoni. I cassoni erano mobili che di solito
venivano costruiti in occasione di nozze per contenere il corredo. A Firenze essi
erano decorati con gli stemmi delle famiglie che si univano o con scene che
potevano essere mitologiche, o di storia antica, o anche tratte da novelle di
Boccaccio (ad esempio Nastagio degli Onesti). La produzione e la decorazione
dei cassoni sta a met tra l'attivit delle grandi botteghe e quella di carattere
artigianale; molto spesso le medesime scene venivano ripetute e i medesimi
modelli replicati. Vi erano per anche botteghe molto rinomate, come quella di
Apollonio di Giovanni o quella di Marco del Buono, con una produzione
vastissima, e a dipingere cassoni nuziali si dedicarono qualche volta anche alcuni
dei maggiori pittori di Firenze, come Botticelli e Filippino Lippi. Lo stesso Botticelli
e Pollaiolo fornivano cartoni per ricami o tarsie. Le gerarchie tra le botteghe non
erano, quindi, rigorose, ma c'era un continuo ricambio fra un genere e l'altro.

Dal sistema di potere ai tipi di commissione


Le commissioni maggiori provenivano da Chiese, da Ordini religiosi, da
confraternite, ma soprattutto da privati. I privati potevano ordinare opere
destinate ad una fruizione privata oppure pubblica (pale d'altare, cicli di
affreschi). Erano opere attraverso le quali il committente manifestava la propria
posizione sociale e la propria ricchezza. Nella seconda met del '400,
considerando gli juspatronati (diritti di patronato) delle cappelle all'interno delle
varie chiese di Firenze, si assiste ad una vera e propria sistemazione gerarchica,
con chiese pi importanti di altre. Avere la cappella in Santa Maria Novella o in
Santa Trinit o in Santo Spirito significava far parte di una cerchia pi elevata
rispetto a quella di chi aveva la cappella in altre chiese, in quanto alcune cappelle
di S. Maria Novella appartenevano a personaggi della famiglia Medici. Allo stesso
modo si davano commissioni a questo o a quel pittore, secondo che fosse
ritenuto vicino all' ambiente del Medici o meno: un complesso gioco sociale
determinava le commissioni. Quando una famiglia riusciva ad ottenere lo
juspatronato di una cappella poteva far dipingere una pala d'altare o un ciclo
daffreschi, o tutte due.
II maggior pittore che si dedicava alla realizzazione di cicli di affreschi era
Ghirlandaio. In cicli come quello dipinto per la famiglia Sassetti in Santa Trinit
(Episodi della vita di San Francesco, 1485) o quello per la famiglia Tornabuoni in
S. Maria Novella (vita della Madonna e del Battista e tondo con Adorazione dei
Magi, 1486-90), due famiglie imparentate coi Medici, noi troviamo numerose
scene sacre con inseriti personaggi contemporanei: all'evento evangelico
assistono personaggi della famiglia Tornabuoni o delle famiglie associate. Nel
ciclo della cappella Sassetti in S. Trinit troviamo rappresentati addirittura i
Medici (si tratta di una affermazione pubblica del legame tra le due famiglie).
Questo d l'idea della stretta relazione fra partito, posizione sociale e
committenza.
L'uso di rappresentare personaggi viventi nelle scene non era solo del tardo '400,
ma risaliva addirittura a Masaccio: le descrizioni dellaffresco della Sagra, oggi
perduto, ci riferiscono di molti personaggi contemporanei raffigurati.
Altro tipo di commissione a scopo di ostentazione pubblica era il monumento
funebre. I grandi monumenti funebri del '200, del '300 e degli inizi del '400
erano destinati a personaggi di rango regale, o a papi, cardinali e vescovi. A
Firenze si diffuse molto rapidamente il monumento funebre dei borghesi. In un
primo momento tocc a personaggi in vista della Repubblica o ad umanisti (per
esempio Leonardo Bruni); in un secondo momento anche a membri delle grandi
famiglie dell'oligarchia. II modello era proprio il grande monumento funebre a
Leonardo Bruni, in Santa Croce, risalente al 1446-47, scolpito da Bernardo
Rossellino, che presenta una struttura caratteristica, con un arco fiancheggiato
da figure di putti con le armi del personaggio e con un sarcofago su cui distesa
la figura del defunto. Lelemento sacro relegato in alto nel fondo, con la
Madonna e il Bambino. Siamo in presenza di un monumento funebre in cui gli
elementi di iconografia sacra sono secondari rispetto agli altri elementi. Questo
tipo di monumento ebbe fortuna enorme a Firenze e, ripetuto per decenni, si
diffuse fino ad arrivare a monumenti pi complessi come quello del cardinale del
Portogallo (di Antonio Rossellino, 1459, in San Miniato al Monte) o a un tipo
unico, ma importantissimo, come quello di Piero e Giovanni de Medici scolpito
dal Verrocchio nella Sacrestia Vecchia di San Lorenzo, dove ogni elemento di
iconografia sacra completamente abolito. Non ci sono pi n i Santi n la
Madonna che, nel monumento funebre, avevano unimportanza fondamentale
perch rappresentavano ed erano il tramite dellintercessione per lanima del
defunto. Nel monumento Medici in San Lorenzo troviamo semplicemente un
grande sarcofago di porfido decorato con finissimi intagli di bronzo, collocato in
unarcata aperta, dentro la quale si profilano nodi di corde attorte. Non c pi
alcun elemento sacro: un monumento tutto profano.
Per quanto riguarda le opere di utilizzo privato, e in particolare le sculture,
troviamo a Firenze il diffondersi della moda del busto-ritratto. In nessunaltra
epoca come negli ultimi decenni del 400 si verific una diffusione paragonabile a
quella che si ebbe in Firenze. Si tratta di busti che venivano caratterizzati in
maniera estremamente minuziosa nei tratti fisionomici. Una testimonianza del
Vasari dice: Era possibile vedere allora in ogni casa di Firenze, sopra le finestre,
gli usci, i camini, i cornicioni, infiniti visi ritratti, tanto ben fatti e naturali che
paiono vivi. La fortuna di questi ritratti stata messa in relazione da un lato con
limportanza data da Plinio a questo genere in Roma (si tratterebbe quindi di una
intenzionale imitazione di un costume antico); dallaltro con la fortuna che noi
registriamo fin dal primo 400 a Firenze della ritrattistica romana. Alcune delle
figure scolpite da Donatello per S. Maria del Fiore (come il profeta Abacuc) in
realt apparivano, nella rappresentazione del volto, come strettamente ispirate ai
modelli antichi. La diffusione del ritratto pu anche essere messa in rapporto con
luso dei devoti, attestato in numerose chiese fiorentine, di esporre immagini di
cera, sorta di ex voto. Questi ritratti di cera sono andati perduti, ma, da fonti
contemporanee, sappiamo che in tutte le chiese fiorentine, in presenza di certe
immagini ritenute miracolose o particolarmente importanti, i devoti esponevano il
proprio ritratto in cera. Pare che questuso fosse stato praticato dallo stesso
Lorenzo, il quale dopo la congiura dei Pazzi espose tre suoi ritratti in cera in
altrettante chiese fiorentine. Tutti i clientes e i sodales di Lorenzo si sentirono
allora in dovere di esporre i propri ritratti accanto a quello del Magnifico, come
per partecipare a questa sorta di ringraziamento per lo scampato pericolo. Dai
ritratti in cera fu incoraggiato luso di quelli in terracotta o in pietra che venivano
collocati nelle case. Anche in questo caso abbiamo una progressione da forme pi
semplificate a forme sempre pi complesse, fino al busto-ritratto di tre quarti che
comprende anche le mani; il pi noto di questi ritratti certamente la Dama col
mazzolino del Verrocchio al Bargello, che influenz anche la ritrattistica dipinta
(il ritratto dipinto borghese fiorentino fu influenzato dal realismo dei busti-ritratto
e limpostazione del ritratto leonardesco prima e raffaellesco poi dei primi del
500 fu influenzata in particolare dal tipo pi evoluto del busto-ritratto, appunto
quello della Dama col mazzolino).
Ancora nel campo delle opere a destinazione privata, va ricordato che alla fine
del 400 ci fu un grande fiorire di piccole sculture in bronzo (bronzetti) e di
placchette ispirate allantico, in maniera tale da sembrare talvolta delle
falsificazioni.
Il primo grande scultore che si ispir decisamente allantico Donatello, morto
nel 1464 e sepolto nella Sacrestia Vecchia in San Lorenzo accanto allamico
Cosimo de Medici. Ma alla fine del 400 questa tradizione venne ripresa
soprattutto da Pollaiolo e da Bertoldo. Bertoldo, allievo di Donatello, fu almeno
potenzialmente un falsario, perch creava opere che non erano ispirate
allantico, ma che volevano essere antiche. Anzi Bertoldo fu scelto da Lorenzo
come conservatore delle proprie collezioni antiche nei giardini di via Larga,
probabilmente anche perch aveva il compito di restaurare o integrare i
frammenti, dato che per restauro si intendeva allora il rimettere a nuovo,
anche a costo di completare gli originali con parti rifatte o inventate. Il fatto ci
interessa particolarmente non tanto in s anche -, ma soprattutto perch
proprio nei giardini di via Larga, accanto a Bertoldo, si svolse il secondo
momento della formazione artistica di Michelangelo.
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