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I Medici
Ora esaminiamo brevemente quale sia in realt latteggiamento dei Medici nei
confronti dell'attivit artistica, un atteggiamento che, soprattutto in Lorenzo,
molto diverso da quello che gli scritti encomiastici dei contemporanei o della
generazione immediatamente successiva ci hanno voluto far credere. Sia i
contemporanei sia gli scrittori dell'inizio del '500 hanno parlato dell'et di Lorenzo
il Magnifico come di una sorta di et dell'oro dell'arte e della cultura, e questa
idea della Firenze di Lorenzo come "paradiso dell'attivit artistica" un'idea che
stata ripresa dagli storici dell'800 ed arrivata fino a noi.
Se noi esaminiamo i testi vediamo che questa idea ha le sue radici negli scritti
encomiastici di poeti, di eruditi che celebrano Lorenzo, ma prima di lui il nonno
Cosimo, come protettori della cultura e come straordinari, disinteressati
committenti. Ma questi scrittori appartengono tutti alla cerchia dei Medici stessi,
e quindi tendono a proporre un'immagine della famiglia Medici, da Cosimo a
Lorenzo, tale da giustificare la presa di potere politico da parte della famiglia. Lo
splendore delle committenze diventa giustificazione di una supremazia di fatto
dovuta a ragioni di carattere economico e politico.
Tuttavia tra i tre Medici, Cosimo I, il figlio Piero e Lorenzo il Magnifico esistono
notevoli differenze per quanto riguarda la loro attivit di committenti, il loro
modo di porsi di fronte agli artisti e alle loro opere: differenze che corrispondono
in sostanza alla diversa immagine che ciascuno dei tre personaggi intende
proporre e propagandare di se stesso.
Cosimo (1434-64)
Cosimo, senza dubbio molto pi dei suoi successori, ha investito denari in
imprese artistiche, soprattutto di architettura (perch, come vedremo nel
seguito, impiantare un cantiere architettonico infinitamente pi costoso che far
dipingere un ciclo di affreschi o una pala d'altare, e ci rispondeva a un desiderio
profondamente sentito dal Vecchio, come Cosimo era conosciuto in citt al
culmine della sua fama). Fra le infinite imprese di Cosimo baster ricordare la
riedificazione del Convento di San marco, della chiesa di San Lorenzo, della Badia
di Fiesole, del palazzo di via Larga e di infiniti altri edifici, alcuni del quali ci sono
rimasti e altri no.
Non solo Cosimo fa esporre lo stemma dei Medici su questi edifici (sia privati che
religiosi), ma nella letteratura del tempo questi edifici vengono considerati come
edifici di Cosimo: nessuno degli storici del tempo ci dice che Michelozzo ha
costruito il convento di S. Marco: tutti quanti ci dicono che l'autore del convento
di S. Marco Cosimo de' Medici. Per uno scrittore del 400 l'autore degli edifici
il committente.
Nelle cronache del tempo noi troviamo cenno di quelle che erano le intenzioni,
del perch
Cosimo spendesse capitali ingentissimi nella costruzione di un certo edificio. La
sua intenzione era, come lui stesso affermava, di pagare un triplice debito: verso
la citt, verso Dio e verso la Storia.
Il debito verso la citt era per beneficiarla, attraverso la costruzione di grandi
edifici che la rendessero pi bella e pi nobile. II debito verso Dio quello che
noi troviamo a giustificazione di numerosissime commissioni dell'epoca (spesso la
costruzione di un palazzo o l'esecuzione di un ciclo di affreschi ha significato
espiatorio, perch molte delle ricchezze del tempo erano conseguite con lusura:
ci che era stato estorto veniva restituito a Dio attraverso opere che
glorificassero la religione). Da conti effettuati sul patrimonio di Cosimo e sui suoi
investimenti artistici si visto che in realt questi corrispondono pressappoco al
patrimonio che egli trasmise al figlio (quindi ha speso in opere circa il 50% del
suo patrimonio). Infine ,il debito con la storia, ovvero il debito con l'eternit:
evidentemente commissionare opere di questo genere significava appunto
passare alla storia, lasciare di se stessi un monumento perenne. Certo, Cosimo fu
il grande committente, colui che si sostitu in pieno all'attivit delle Arti nei primi
decenni del secolo, con cantieri come quelli di S. Lorenzo e di S. Marco. Cosimo
non si occup mai o quasi mai di pittura, perch una commissione di pittura
comportava una spesa irrisoria rispetto a una di architettura, e se si occup di
scultura, si occup solo di scultura in bronzo. Il suo artista prediletto in scultura
era Donatello, e da lui fece eseguire sculture in bronzo, che gli davano maggiore
prestigio.
L'attivit di committente di Cosimo il Vecchio ha avuto un'enorme influenza
sull'attivit artistica e sugli orientamenti dei maestri attivi a Firenze. Subito dopo
il rientro a Firenze dall'esilio, a cui era stato condannato per contrasti con
l'oligarchia fiorentina, in particolare con il partito che faceva capo alla famiglia
degli Albizzi, Cosimo nel 1434 si impadronisce del potere e lo detiene per tre
decenni. Cosimo era principe di fatto, ma non lo era di nome; aveva nelle sue
mani l'intero potere di Firenze ma in realt non ricopriva carica alcuna che
dimostrasse questo suo potere assoluto nella citt (ricopriva di tanto in tanto
delle magistrature, ma si trattava di magistrature a cui potevano accedere anche
altri personaggi fiorentini). Il suo potere non aveva manifestazioni esteriori n
titoli istituzionali, ma si basava pi che altro su quello che potremmo chiamare
un sistema di clientele.
Anche l'attivit artistica, soprattutto nel campo delle grandi imprese
architettoniche, era una manifestazione chiara, evidente, sotto gli occhi di tutti; il
suo stemma era visibile su tutte le maggiori costruzioni di quei tre decenni. Nella
sua opera di committenza indirizzata all'attivazione di grandi cantieri
architettonici egli si poneva come il successore delle "Arti", delle corporazioni che
prima di lui avevano detenuto il potere. Le Arti in genere favorivano le imprese
del grandi cantieri e anche Cosimo impegn i suoi capitali in grandi cantieri
architettonici. Ma oltre alla sua attivit di committenza diretta, necessario
prendere in considerazione quelle che potremmo chiamare commissioni indotte,
incarichi dati agli artisti non direttamente ma in seguito a sua raccomandazione,
grazie al suo appoggio.
Un caso molto importante quello di Donatello. Quando Donatello nel l452
rientra a Firenze dopo essere rimasto per un decennio circa (l443-52) a Padova,
attivo all'esecuzione del monumento equestre del Gattamelata (l453) e all'altare
del Santo (l447), trova la situazione artistica fiorentina molto mutata: mutata
l'organizzazione delle botteghe, e soprattutto mutato il gusto, sia dei
committenti, sia degli altri scultori che lavoravano a Firenze. Subito dopo la meta
del secolo noi avvertiamo l'orientamento delle botteghe fiorentine verso uno stile
morbido, levigato, verso una fattura meticolosa delle figure, modellate in una
maniera estremamente precisa, delicata, aggraziata; uno stile che mirava a una
sorta di indefinito psicologico delle figure, e che era tutto il contrario di quello che
egli aveva praticato fino a quel momento. Donatello si trova fuori dei grandi
circuiti e delle grandi commissioni, in contrasto con le tendenze prevalenti, e
Cosimo, che era stato suo committente, che era suo ammiratore e soprattutto
era interessatissimo alla scultura in bronzo, immediatamente lo favorisce,
ottenendo per lui due commissioni importanti come la "Giuditta e 0loferne
(l46l), poi collocata davanti a Palazzo Vecchio, e come i pulpiti per la Chiesa di
S. Lorenzo (l46l), che sono tra le opere principali del periodo finale di Donatello,
opere in cui egli, privo di condizionamenti, pu tranquillamente continuare le sue
ricerche e creare rappresentazioni estremamente drammatiche, agitate, in
opposizione a quello che era invece lo stile dominante di quel momento. D'altra
parte, Cosimo stesso era stato committente di Donatello col famoso "David" in
bronzo del Bargello, che era in palazzo Medici.
Cosimo si disinteressa sostanzialmente delle trattative con i pittori. Le opere dei
pittori erano opere che in fondo richiedevano un impegno finanziario molto
minore, che non avevano presa sul vasto pubblico come potevano averla quelle
di architettura, e che forse erano di minore interesse estetico per lui. Questo
disinteresse lascia maggior campo ai figli Giovanni e Piero de' Medici. I pittori che
volevano venire a lavorare a Firenze si rivolgevano in genere all'uno o all'altro
dei due figli: famosissima la lettera di Domenico Veneziano, che nel l438 da
Perugia si rivolge appunto a Piero de Medici.
Piero (1464-69).
A Cosimo succede come principe, anche in questo caso di fatto e non di nome,
Piero, ma per pochi anni, dal l464 al l469. Sappiamo che Piero svolgeva una sua
attivit indipendente di committenza gi nel tempo in cui suo padre era vivo,
tenendo i rapporti coi pittori, appunto, ma non solo. Soprattutto Piero era noto a
Firenze come collezionista. Egli continua a finanziare alcuni dei cantieri
architettonici aperti dal padre, ma per suo conto ricordato solo per due
interventi importanti in chiese fiorentine: interventi che sono ambedue
significativi, seppure in modo diverso. Il primo risale al l447 (quando Piero era
ancora abbastanza giovane) ed la costruzione del tabernacolo marmoreo di
Michelozzo detto del Crocefisso, o dell'altare del Crocefisso. Questo tabernacolo
marmoreo era sotto la giurisdizione dellArte di Calimala (l'Arte del Mercanti),
una delle grandi "Arti" fiorentine, e nel l447 abbiamo un documento in cui l'Arte
di Calimala, non essendo in grado di provvedere a questo tabernacolo marmoreo,
che pare fosse molto costoso, rinuncia ai suoi diritti a favore, si dice nel
documento, "di un cittadino grande" (cio di un cittadino importante) a patto che
questo cittadino rinunci a far scolpire sul tabernacolo le sue insegne al posto di
quelle dell'Arte. quasi simbolico il passaggio dal patronato delle Arti a quello
della famiglia Medici. Piero de' Medici paga l'opera e alla fine non fa scolpire lo
stemma dei Medici (le sei palle), ma un suo stemma personale (le tre piume in
un anello) che diventer da quel momento un altro degli emblemi medicei. Dal
momento che lo stemma dei Medici era soprattutto lo stemma di Cosimo, il suo
stemma personale glorifica Piero come patrono dell'opera. II secondo episodio,
anch'esso molto significativo, riguarda il tabernacolo della SS. Annunziata
(tempietto marmoreo su disegno di Michelozzo). Si tratta di un'opera di
architettura eseguita con marmi pregiati, con pietre lavorate, di altissimo costo.
Quando ci si avvicina al tabernacolo e si legge l'iscrizione, non si legge una
dedicazione alla Vergine, ma testualmente: "Cost fiorini 4.000 al marmo solo".
Ci che Piero de' Medici intendeva far sapere era il costo dell'opera, quanto
aveva "sborsato", non una glorificazione della bellezza o dell' utilit o,
tantomeno, del Padreterno. Questo ci d gi una prima indicazione del gusto e
della cultura di Piero. Piero era soprattutto un collezionista: nel l492 fu tracciato
un inventario delle collezioni del Medici, un inventario abbastanza meticoloso che
ci consente di riconoscere gli oggetti esistenti allora nelle varie case e ville
medicee, e che ci consente in molti casi di risalire allacquirente. Ben il settanta
per cento circa di tutti gli oggetti inventariati nel l492 era stato acquistato da
Piero de Medici. Ma si tratta dl libri preziosi, di gemme, di gioielli, di cammei, dl
piccole statuette, di medaglie, di arazzi, di tessuti. Una testimonianza importante
quella fornita dal trattato "La Sforzinda" del Filarete. II Filarete ci riferisce di un
dialogo tra l'ambasciatore dei Medici (o di Firenze, se preferite) a Milano in quegli
anni, un certo Nicodemo, e un cortigiano della corte degli Sforza, il quale,
sapendo che Piero era infermo (soffriva di artrosi e di gotta) e quindi poteva
difficilmente muoversi, domanda all'ambasciatore come egli occupasse il suo
tempo libero, non impegnato nelle cure dello stato e in quelle private (pi queste
che quelle, in realt). L'ambasciatore risponde che quando Piero ha del tempo
libero si chiude nella sua biblioteca o nel suo studio: non legge, ma si compiace
dl ammirare le splendide rilegature, i metalli preziosi oppure le miniature, poich
possiede libri miniati in grandissimo numero. Oppure passa l'intera giornata nel
suo studiolo con estrema gioia in mezzo a gemme, cammei, oggetti antichi.
Questa "immersione" nell'oro, negli oggetti preziosi indicativa dell'immagine
che di s voleva fornire Piero, cos come l'attivit di committenza era significativa
dell'immagine che di s voleva suggerire Cosimo. Questi voleva dimostrare alla
citt e allEterno il suo potere attraverso le sue imprese architettoniche, Piero
invece voleva mostrare di vivere sfarzosamente come i principi delle grandi corti
doltralpe. Il suo stile di vita si ispirava nella moda, nell' abbigliamento, nel
comportamento, a quello del principi borgognoni (che a quel tempo erano l'ideale
dello sfarzo e dell'ostentazione).
Cosimo invece rifuggiva da qualsiasi genere di ostentazione privata; la sua era
unostentazione pubblica. Una delle ragioni che lo portarono a scegliere
Michelozzo per la costruzione del suo palazzo in via Larga e a rifiutare il progetto
dl Brunelleschi fu che quello di Brunelleschi appariva troppo splendido rispetto a
quello di Michelozzo. In Piero invece c'era un atteggiamento contrario, proprio
per la sua volont di rappresentarsi come un principe, che aveva assimilato lo
stile di vita delle grandi monarchie o principati d'Oltralpe. Questo si vede molto
bene nel pi importante ciclo di affreschi che egli commission nel l459-60, La
cavalcata dei magi dipinta da Benozzo Gozzoli nella Cappella interna di Palazzo
Medici. Questo ciclo di afffeschi non a caso indicato come "Cavalcata dei Magi"
anzich come "Adorazione dei Magi": sul significato religioso prevale nettamente
la parata di personaggi vestiti splendidamente, a cavallo, accompagnati da cani,
con un seguito ricchissimo, diretti verso la capanna. una parata simile a quelle
del gentiluomini di Piero de' Medici o di altri regnanti dell'epoca. C' qui una
fortissima ripresa di gusto tardo-gotico cortese, che accomuna per un momento
l'ambiente dei Medici a quello delle grandi corti settentrionali, quelle degli Sforza,
degli Este, dei Gonzaga, ecc.
Lorenzo (1469-92)
Lorenzo, invece, detenne il potere a Firenze per un tempo molto pi lungo del
padre, dal 1469 al 1492, e quindi linfluenza della sua attivit sulla cultura, non
solo figurativa, della citt fu molto forte. L'unico elemento che legava Lorenzo al
padre era la passione di collezionista ma, invece di prediligere gli arazzi o le
stoffe preziose o i gioielli, egli prediligeva i cammei, le opere darte antica, le
statuette. Il suo un collezionismo che tende meno al ricco, al sontuoso, e mira
pi al valore storico delloggetto. Lorenzo comunque fu appassionatissimo
collezionista e i suoi maggiori investimenti in campo artistico furono mirati a
soddisfare tale sua passione. Nell'inventario del 1492 di molti pezzi venivano
indicati anche i prezzi, la valutazione insomma, e questo ci fornisce elementi di
grande interesse: gli oggetti di vasellame o di pietre preziose o cammei o
statuette antiche variano grosso modo da 400 a 1.000 fiorini come prezzo, con
delle punte, naturalmente (ad esempio quella che noi chiamiamo "tazza
Farnese", allora in possesso dei Medici, venne valutata 10.000 fiorini) . Il prezzo
pagato ad un artista di primo piano per una pala d'altare si aggirava sui 50-70
fiorini (al massimo 100); e un grande ciclo di affreschi come quello del
Ghirlandaio per i Tornabuoni, che occupa tutto il coro di S. Maria Novella, venne
pagato meno di 1.000 fiorini. Questo ci d l'idea delle valutazioni di opere d'arte
contemporanea rispetto agli oggetti da collezione.
Nonostante quello che dice Vasari nella vita di Botticelli a proposito di Lorenzo
("Nei tempi del Magnifico Lorenzo che fu veramente per le persone d'ingegno un
secol d'oro...": motivo ripreso continuamente dagli storiografi), egli fu
committente di poche opere moderne. In qualche caso non si occup pi neppure
dei cantieri aperti dal nonno e continuati dal padre; si occup soltanto di due
ville: la sua villa di campagna vicino ad Arezzo, l'Ospedaletto (andata distrutta) e
la villa a Poggio a Caiano, che per stata completamente trasformata. Ma, a
parte queste, non finanzi nessunaltra opera di architettura. Bisogna anche dire
che erano mutate molto, dai tempi di Cosimo il Vecchio, le condizioni finanziarie
della famiglia Medici. L'insolvenza di alcuni debitori, il mutamento del sistema
finanziario italiano ne avevano ridotto di molto le sostanze. In qualche momento
a Lorenzo pes il fatto che la fama della famiglia si basasse su una tradizione di
munificenza quasi illimitata nei confronti degli artisti.
Lorenzo si differenzi dai suoi predecessori per il fatto di essere coltissimo, tra gli
uomini pi colti del suo tempo; fu poeta, straordinario politico e diplomatico e si
circond di letterati, di umanisti e di filosofi; favor lo studio dei testi classici e la
loro edizione. II livello culturale fu, quindi, molto pi alto che in precedenza.
stato tuttavia osservato, giustamente, che i libri costano meno dei palazzi o dei
grandi cantieri architettonici, e che, in fin dei conti, anche umanisti e filosofi
importanti si accontentavano di poco. Il grande pregio culturale che egli acquist
attraverso la protezione di letterati e umanisti costava in fondo poco in confronto
alle spese del nonno in campo architettonico, ma Lorenzo intendeva offrire di se
stesso soprattutto unimmagine di persona colta e raffinatissima, che rifuggiva
dallostentazione, non come il nonno, ma certamente pi del padre. In campo
artistico non fu un grande committente per gli artisti contemporanei, ma si cre,
comunque, un prestigio indiscusso, sia a Firenze, sia presso tutti i maggiori centri
Italiani, di grandissimo esperto e conoscitore d'arte. Fu una specie di arbitro del
gusto a cui tutti i principi e i committenti scrivevano per avere consiglio.
Possedeva una competenza indubbia, soprattutto in architettura, campo nel
quale svilupp interessi molto approfonditi: conosceva bene i trattati
architettonici, si fece inviare i disegni del Palazzo Ducale di Urbino (allora quasi
del tutto terminato) e della Chiesa di S. Sebastiano dellAlberti a Mantova. Era
anche un dilettante architetto: sollecitato dallo Strozzi, prepar un progetto per il
loro palazzo e, al famoso concorso del 1491 per la facciata di Santa Maria del
Fiore, partecip con un suo progetto insieme ad altri architetti professionisti. Egli
svolse inoltre un'attivit che potremmo definire oggi di promozione dellopera
degli artisti fiorentini, in due modi: 1) favorendo l'attivit presso altre corti di
questi artisti, spesso muniti di sue referenze, o addirittura di doni che egli inviava
ai signori di altre citt; 2) incoraggiando la celebrazione degli artisti fiorentini
negli scritti degli umanisti della sua cerchia, che riecheggiavano la celebrazione
degli artisti dell'antichit negli scritti di Plinio.