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Il dipinto daltare nel Quattrocento

di Peter Humfrey

Storia dellarte Einaudi

Edizione di riferimento:

in La pittura in Italia, Il Quattrocento, vol. II, Electa, Milano 1986 e 1987

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Indice

Osservazioni introduttive Pittori e corniciai La creazione della pala a Firenze La monumentalizzazione della pala a Venezia La sopravvivenza del polittico

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Osservazioni introduttive Di tutti i vari tipi di opere realizzate dai pittori nellItalia del XV secolo, il dipinto daltare probabilmente il pi importante. Per la grande maggioranza della gente, nel secolo precedente la Riforma, il compito pi urgente nella vita, era assicurarsi limmortalit dellanima tramite pratiche devozionali e preghiere per ottenere lintercessione divina; e il punto focale di tali pratiche di devozione e preghiera era costituito dai numerosi altari e cappelle private, proliferati in ogni chiesa nel tardo medioevo. Una delle principali funzioni del dipinto daltare fu dunque di contribuire alla salvazione fornendo unimmagine in genere una appropriata schiera di santi cui poter rivolgere preghiere dintercessione. Esso rispondeva quindi a un bisogno religioso fondamentale; e, per lintero periodo che qui ci interessa, la richiesta di tavole daltare fu cos regolare e prevedibile che molte botteghe poterono prosperare su questa sola produzione. Inoltre, sebbene lantica arte dellaffresco fosse ancora pi che viva, si pu affermare che la superiore versatilit della pittura su tavola offriva maggiori possibilit di innovazione formale, rispondendo anche meglio ai particolari gusti devozionali ed estetici dei singoli committenti. Il crescente predominio della pittura daltare su quella mura-

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le nel corso del XV secolo segna, cos, il definitivo emergere del dipinto da cavalletto come principale veicolo della pittura post-medioevale in Europa. Nonostante la funzione devozionale dei dipinti daltare nellItalia del Quattrocento fosse in linea di massima la stessa ovunque, la loro forma e struttura era notevolmente diversa da una regione allaltra, secondo i gusti e le tradizioni locali. Essi inoltre mutarono radicalmente nel corso del secolo. Due tipi di pale daltare raffigurate sullo sfondo di opere realizzate in un unico centro artistico, Siena, possono servire a illustrare il passaggio dal tipico polittico trecentesco alla pala unificata del Rinascimento. Lornamento dellaltare nelle Esequie di San Francesco del Sassetta (Londra, National Gallery, 1437-1444) consiste in un trittico raffigurante la Vergine con il Bambino e due Santi al di sopra di una predella priva di raffigurazioni, con laggiunta di altre immagini di piccole dimensioni nelle cimase. Il trittico fiancheggiato da pilastri di rinforzo che terminano in cuspidi con motivi ornamentali ai vertici; anche le colonnette che dividono i tre pannelli principali proseguono, ai vertici, in decorazioni alte ed esili; e ulteriori ornamenti allestremo della cimasa ne continuano leffetto verticale. I profili degli archi cuspidati delle sei tavole sono decorati con volute dacanto. Le aggraziate forme gotiche e la ricca doratura del legno creano un perfetto complemento sia alle immagini sacre che si stagliano sul fondo oro, sia allarchitettura della finta cappella (ancora gotica in spirito, per quanto mostri archi a tutto sesto). Anche il soggetto della pala daltare che figura al centro del Conferimento della porpora cardinalizia a Enea Silvio Piccolomini del Pintoricchio (Siena, Duomo, Libreria Piccolomini; 1502-1509) di nuovo la Vergine con il Bambino in trono tra due Santi. Ma qui le tre figure principali sono rappresentate in un unico campo pit-

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torico, chiuso in una cornice classicheggiante costituita da una base (corrispondente alla predella), da due lesene laterali e da una trabeazione. La cornice sottolinea con forza il concetto albertiano del piano pittorico come finestra attraverso cui lo spettatore guarda in un mondo separato, a tre dimensioni e internamente coerente; nello stesso tempo, le sue proporzioni e la decorazione classicheggiante la legano visivamente al contesto architettonico della corte papale, dipinto in uno spirito pienamente rinascimentale. Il valore di questi due esempi sta nel mostrare i dipinti daltare del XV secolo come dovevano essere visti, combinati a cornici architettoniche elegantemente scolpite, e concepiti quali forti centri visuali dellarchitettura circostante. Sfortunatamente, solo una minima parte dei numerosi dipinti del genere giunti fino a noi sono ancora visibili nel loro contesto. La maggior parte di essi stata trasferita dalle chiese ai musei, e le cornici originali sono perdute; le tavole di molti polittici e le predelle di numerose pale sono andate disperse; e anche quando le opere sono rimaste in situ, il mutare del gusto nei secoli ha spesso trasformato il contesto architettonico attorno ad esse. Tuttavia, rimasto, pi o meno intatto, un numero di dipinti daltare sufficiente a permetterci di verificare la generale esattezza delle immagini senesi, per quanto gli esempi che esse mostrano siano del tutto immaginari. Il trittico del 1435 di Bicci di Lorenzo, ad esempio, che si pu ancora ammirare nella sua sede originaria, entro la quattrocentesca chiesa di SantIppolito a Bibbiena (Casentino), una versione solo un po pi elaborata del trittico immaginario del Sassetta, con unaggiunta di figurine dipinte nella carpenteria e nelle tavole della predella. Similmente, la pala di Antonio e Piero Pollaiolo, finita nel 1466 per la cappella del Cardinale di Portogallo in San Miniato a Firenze di forma sostanzialmente uguale a quella raffigurata dal Pintoricchio, e si

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inserisce visivamente in modo analogo, in virt soprattutto della cornice scolpita da Giuliano da Maiano, nel suo contesto architettonico e decorativo. Tutto questo ci deve far ricordare che i dipinti daltare italiani del XV secolo, tanto i polittici quanto le pale, erano pi che meri dipinti; erano immagini di devozione e anche complesse opere di collaborazione tra pittori e intagliatori di cornici, cui collaboravano ancora altre categorie di artigiani, quali carpentieri e doratori. A volte poteva essere coinvolto anche un vero scultore, come evidentemente avvenne col polittico di Antonio Vivarini del 1464 (Pinacoteca Vaticana), dove lo scomparto centrale occupato da una statua lignea. Quando il dipinto era destinato a una costruzione nuova, anche larchitetto poteva essere consultato per il progetto. Di conseguenza, lo sviluppo formale del dipinto daltare non obbed a considerazioni puramente pittoriche: fu connesso, in misura molto maggiore di ogni altro genere pittorico del XV secolo, agli sviluppi paralleli dellarchitettura, della scultura e dellintaglio decorativo.

Pittori e corniciai Come si realizzava, praticamente, questa collaborazione?1 Il normale modo di procedere alla realizzazione di un polittico nei primi anni del XV secolo era, evidentemente, identico a quello seguito nel corso del secolo precedente e descritto nel Libro dellArte di Cennino Cennini. Prima veniva costruita la struttura in legno, poi vi si inserivano le tavole da dipingere e le decorazioni a intaglio. In seguito si ricoprivano di gesso e si doravano le superfici ad eccezione delle zone da dipingere in policromia. Solo allora il pittore dipingeva le tavole. Infine si applicavano altre decorazioni scolpite, quali i

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rilievi e le colonnette sovrapposti in genere alla pittura. Cos devono essere stati realizzati il polittico di Bibbiena di Bicci di Lorenzo, quello di Antonio Vivarini oggi alla Pinacoteca Vaticana e anche quello di San Sepolcro del Sassetta, di cui le Esequie di San Francesco di Londra sono un frammento. Sebbene incidentalmente tutti questi siano dipinti conservatori dal punto di vista dello stile, va notato che il conservatorismo della procedura tecnica, in questi casi, era conseguenza diretta della persistente predilezione dei committenti per il formato del polittico. Cos, grandi innovatori come Masaccio, Piero della Francesca e Mantegna dovettero dipingere le loro figure potentemente plastiche contro fondi oro e inserirle in preesistenti cornici gotiche quando lavoravano in centri artistici meno avanzati quali, rispettivamente, Pisa, Borgo San Sepolcro e Padova. Linevitabile dipendenza della misura e della forma degli scomparti dipinti dun polittico dal progetto della carpenteria che li incorniciava comport inoltre la sopravvivenza della procedura tradizionale anche dopo la traduzione delle forme della cornice nel vocabolario decorativo del Rinascimento. Cos, persino la Vergine delle rocce di Leonardo e le tavole di Evangelista e Ambrogio de Predis che laccompagnavano, per quanto ormai a tutto sesto e non pi su fondo oro, erano destinate ad essere inserite in una cornice lignea preesistente. Il fatto che la cornice venisse prima del dipinto che doveva racchiudere non valeva solo per i polittici. Per tutto il secolo le pale unificate continuarono ad essere destinate allinserimento in cornici gi scolpite, e a far loro visivamente da complemento. E tuttavia con la creazione della pala questa procedura non ebbe pi una reale necessit tecnica. Una volta concordate le dimensioni del campo pittorico, la tavola poteva essere dipinta del tutto separatamente, sia in senso fisico che temporale, dalla cornice. Il che a sua

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volta significava che il committente poteva mettere al lavoro il pittore nello stesso tempo, o prima, del corniciaio; e poich il dipinto daltare aveva ormai assunto laspetto pi duna pittura incorniciata che dun elaborato lavoro dintaglio incastonato in tavole dipinte, in questa collaborazione il peso principale si venne spostando sempre pi verso il pittore. Il variare delle prassi seguite a seconda delle circostanze rende spesso difficile sapere con sicurezza quale dei due principali collaboratori abbia avuto la responsabilit del progetto globale di un dipinto daltare. Nei casi di Masaccio, Mantegna e Leonardo appena citati, chiaro dai documenti che i pittori vennero ingaggiati solo una volta compiuto lintaglio della cornice, e che non ebbero voce in capitolo nella progettazione di essa. Lautore della cornice del dipinto leonardesco, Giacomo del Maino, era uno scultore di fama; e il fatto che figure anche pi illustri quali Giuliano da Maiano e Giuliano da Sangallo siano documentati come corniciai indica che questarte non era sempre considerata minore, un mero accessorio della pittura. Tuttavia in molti altri casi, anche di polittici gotici, difficile immaginare che i pittori non fornissero i disegni delle cornici dei loro dipinti. Cosa tanto pi probabile se il committente viveva a una certa distanza, come molti clienti di Antonio Vivarini (tra cui la confraternita di Pesaro che gli richiese il polittico ora alla Vaticana), poich doveva ovviamente sembrare pi conveniente dare al pittore lincarico dellopera completa, lasciando a lui la responsabilit di subappaltare la cornice a un bravo artigiano. Questo modo di procedere documentato in diversi casi. Nel giugno 1447, due settimane dopo essersi impegnato a fornire un dipinto daltare, su disegno convenuto, alla parrocchia di SantAgnese a Venezia, Giambono ingaggi per il necessario lavoro ligneo lintagliador Francesco Moranzone. Analogamente, Neri di Bicci nota nelle sue Ricor-

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danze di aver commissionato nel novembre 1456 a Giuliano da Maiano una cornice allantica, da realizzare seguendo le istruzioni oltremodo dettagliate del pittore. Non ci sono documenti sullintaglio della cornice del trittico del Mantegna in San Zeno a Verona; ma la strettissima unit visiva tra il vocabolario decorativo della cornice e quello del dipinto, e la diretta dipendenza da questunit dellintero effetto spaziale dellopera, rende impossibile pensare che lintagliatore non abbia lavorato su esplicite istruzioni del Mantegna. Ma la nuova flessibilit delle procedure tecniche riguardo alla produzione di dipinti daltare poteva anche portare, allopposto, a un rapporto formale e decorativo molto allentato tra dipinto e cornice. La diversit stilistica tra le forme architettoniche dipinte e quelle della cornice in numerose opere di Spanzotti, ad esempio, fa pensare che il pittore e il corniciaio siano stati ingaggiati dal committente contemporaneamente ma con contratti separati, e che in questi casi la collaborazione non fosse stretta. La supposizione che, in realt, nel tardo XV secolo divenisse sempre pi usuale per i pittori di pale come di polittici progettare le proprie cornici, avallata dallesistenza dun certo numero di disegni compositivi di dipinti daltare che includono le cornici. Un foglio attribuito a Boccaccio Boccaccino (Oxford, Ashmolean Museum), ad esempio, mostra un dipinto con un campo quadrato, e una cornice che, in termini generali, dello stesso tipo di quella di Giuliano da Maiano nella cappella del cardinale di Portogallo, o di quella immaginata dal Pintoricchio a Siena. Si noti che le due lesene ornamentali sono diverse tra di loro, come se lartista volesse offrire a se stesso, o al suo committente, la scelta tra le due possibili soluzioni. Nello stesso tempo, i dettagli della decorazione sono indicati un po a grandi linee, come se il pittore volesse lasciare una certa libert di movimento allesperienza professionale dellintagliatore.

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In un altro disegno, quello di Alvise Vivarini al castello di Windsor, la cornice continua illusionicamente quella dellarchitettura dipinta, alla maniera del trittico del Mantegna a San Zeno e di molti dipinti daltare veneziani degli ultimi anni del secolo, di Giovanni Bellini e Cima da Conegliano, oltre che di Alvise stesso. Il disegno conforta cos lipotesi che anche questi pittori si siano spesso fatti carico delle loro cornici. Infine si deve notare che sia al pittore sia al corniciaio pu essere stato a volte richiesto di conformarsi ad un disegno fornito da un terzo. Un ben noto esempio quello del tabernacolo dei Linaioli del Beato Angelico (Firenze, Museo di San Marco), la cui cornice di marmo fu disegnata da Lorenzo Ghiberti, ma eseguita da altri. Meno dimostrabile lidea che in qualche caso possa essere stato coinvolto larchitetto stesso della chiesa. Questo avvenne certamente nel XVI secolo, quando architetti come il Vasari e il Palladio fornivano disegni completati da intere serie di pale daltare, che idealmente dovevano armonizzarsi col progetto globale delledificio. Tale filosofia delluniformit era sostanzialmente estranea alla mentalit dei committenti del XV secolo, che per ragioni di gusto e orgoglio proprietario erano normalmente attenti, al contrario, a che le loro donazioni si distinguessero da quelle dei vicini. Ma il Vasari e il Palladio erano da questo punto di vista gli eredi del Brunelleschi e dellAlberti, i cui ideali estetici sul ruolo architettonico di gruppi di tavole daltare riuscirono a volte a realizzarsi. Entrambi gli architetti erano contrari alla decorazione a fresco di chiese rinascimentali e vedevano in una serie di dipinti daltare di aspetto architettonico costante, e distribuiti con regolarit, la soluzione ottimale alla domanda di immagini religiose nelle chiese2. Sembra dunque ragionevole supporre che la notevole uniformit delle tavole daltare nelle cappelle absidali della chiesa brunelleschiana di Santo Spirito a Firenze,

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bench siano state dipinte molto dopo la morte dellarchitetto, dipenda in qualche modo da un suo disegno. Similmente, possibile che Bernardo Rossellino, larchitetto della cattedrale di Pienza, fedele discepolo dellAlberti, abbia avuto mano nel progetto dei quattro dipinti daltare, assai simili, che furono installati per ordine di papa Pio II nel 14623. Sebbene dipinti da quattro artisti diversi, nessuno dei quali aveva precedentemente mostrato n doveva farlo in seguito grande interesse per i canoni progettuali del Rinascimento, i quattro dipinti daltare, nel loro complesso, segnano una svolta radicale rispetto alla tipologia senese tradizionale, quale rappresentata dal Sassetta nelle sue Esequie di San Francesco. Sembra perci probabile che sia stato lideale architettonico di una perfetta omogeneit formale tra le cornici dei dipinti daltare ed il loro ambiente a portare per la prima volta alla creazione della pala unificata nellambito della pittura senese, comera avvenuto precedentemente in quella fiorentina.

La creazione della pala a Firenze A dispetto del fatto che i polittici continuarono ad essere prodotti per tutto il secolo e oltre, il contributo tipico del Quattrocento al dipinto daltare fu la creazione della pala unificata. Questo avvenne durante gli anni Trenta a Firenze4, da dove il nuovo tipo fin per diffondersi in tutta Italia, subendo lungo la strada, naturalmente, numerose modifiche. Il tipo standard di dipinto daltare fiorentino dinizio secolo emblematizzato dal polittico di Bibbiena di Bicci di Lorenzo del 1435, con la sua molteplicit di pannelli separati. Ma fin dal sesto decennio del Trecento, nel polittico Strozzi dellOrcagna (Firenze, Santa Maria Novella), le colonnette fra le tavole principali sono scomparse, permettendo

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a molte figure di varcare i confini dei loro pannelli; questo sviluppo fu poi portato avanti nellIncoronazione della Vergine di Lorenzo Monaco del 1413 (Uffizi), nellAdorazione dei Magi di Gentile da Fabriano del 1423 (Uffizi) e nella Deposizione del Beato Angelico (Firenze, Museo di San Marco; ultimata negli anni Quaranta, ma iniziata molto prima da Lorenzo Monaco). In queste tre opere la divisione tripartita della tavola principale ancora segnata dalle cuspidi; ma in ogni caso la rimozione delle divisioni verticali crea unampia e ininterrotta superficie per una scena narrativa a pi figure. Gentile ha tratto pieno profitto dalla libert cos instaurata per sviluppare un movimento compositivo che dalla sinistra del lontano sfondo arriva a destra per tornare di nuovo a sinistra in primo piano, evitando la stasi e la simmetria che prima erano di norma. Nello stesso tempo, questa nuova fluidit tenuta sotto stretto controllo dai pesanti contrafforti laterali della cornice; e la triplice cuspide (echeggiata dalla tripartizione della predella) serve ancora ad articolare la composizione in termini di superficie. Per quanto lopera di Gentile fosse innovatrice per il suo tempo, la sua cornice fruisce ancora dun vocabolario decorativo di gotica elaboratezza, appropriata in questo al contesto gotico della chiesa di Santa Trinita. Cos, non probabilmente un caso che i primi esempi di pale racchiuse in cornici classicheggianti fossero destinati a chiese costruite nel nuovo stile classico del Rinascimento. Recenti ricerche hanno rivelato che un programma di dipinti daltare per la chiesa brunelleschiana di San Lorenzo, elaborato nel 1434, specificava che dovessero assumere la forma duna tabula quadrata et sine civoriis; in altre parole, il campo pittorico doveva essere rettangolare, unificato, e senza cimase n cuspidi. Purtroppo il progetto di San Lorenzo non fu mai realizzato nella sua interezza di serie; tuttavia, esso sembra allorigine di almeno un dipinto dal-

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tare del nuovo tipo brunelleschiano: lAnnunciazione di Filippo Lippi tuttora nella cappella Martelli. La forma della cornice, che sarebbe ben presto divenuta a Firenze quella standard per il resto del secolo, fu in questo caso chiaramente concepita tenendo conto del suo contesto architettonico, sia in termini di dimensioni (inserendosi perfettamente tra laltare e la finestra sovrastante), che di proporzioni e di disegno architettonico. Nello stesso tempo, il campo pittorico quadrato cos creato, forn al pittore la forma perfetta in cui evocare la sua illusione di spazio tridimensionale tramite la prospettiva geometrica. In accordo con la funzione primaria del dipinto daltare, di focalizzare le preghiere dintercessione, i soggetti preferiti dai donatori del XV secolo non erano narrativi, come lAnnunciazione o lAdorazione dei Magi, ma una raccolta di Santi, in compagnia della Vergine e del Bambino. Si trattava sostanzialmente dello stesso soggetto della maggior parte dei polittici del XIV secolo, ma ora, con la creazione della pala, le figure iniziarono a comparire insieme nel medesimo spazio, nel tipo di composizione noto come Sacra Conversazione. Di nuovo, non probabilmente un caso che il primo esempio maturo di questo tipo, la pala del Beato Angelico per laltare maggiore di San Marco, presumibilmente del 1438-1440, fosse destinata ad essere vista contro il fondale duna nuova, classica cappella maggiore di Michelozzo. Purtroppo la cornice originale di questopera andata perduta, ma la forma del campo pittorico, unita alla forma michelozziana del trono della Madonna, implicano chiaramente una cornice del tipo destinato a divenire ben presto canonico. In altri termini, si direbbe che lopera del Beato Angelico sia stata un prototipo non solo per la composizione figurale della Sacra Conversazione, ma anche per la stretta integrazione tra dipinto e cornice caratteristica della pala rinascimentale. La composizione della pala di San Marco e

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degli altri primi esempi di Sacre Conversazioni, come la pala di Santa Lucia di Domenico Veneziano (Uffizi) o la pala di Annalena dello stesso Angelico (Museo di San Marco), non cercano di nascondere il loro rapporto col polittico tradizionale, con le sue suddivisioni gerarchiche e la sua enfasi su un pannello centrale, pi grande, contenente la Vergine con il Bambino. Cos larchitettura dipinta nella pala di Santa Lucia, con la sua triplice arcata, le esili colonnette e le nicchie a conchiglia, evoca ancora vividamente le strutture lignee che, prima, dividevano i Santi in compartimenti separati. Questa funzione espressiva e decorativa doveva essere condivisa anche dalla cornice originale, andata perduta, le cui forme sono quasi certamente echeggiate dai capitelli delle colonne e, dietro di esse, dalla trabeazione. Ma importante rendersi conto che la cornice originale doveva avere altres una rilevante funzione nella creazione dello spazio, poich apparendo come una finestra al di l della quale sembravano mostrarsi i Santi, doveva spingere figure e architettura (che ora sembrano corrispondere troppo strettamente al piano pittorico, specialmente in alto) molto pi in profondit nello spazio. Una simile, duplice funzione visiva della cornice evidente nella molto pi tarda Pala Nerli di Filippino Lippi a Santo Spirito, del 1488 circa. Da un lato la cornice echeggia e sottolinea la composizione di superficie del dipinto e il suo vocabolario decorativo, dallaltro segna il limite esterno duna serie concatenata di spazi successivi che portano locchio verso linterno e lo sfondo, fino alla lontana catena di montagne. La pala di Filippino appartiene alla serie destinata alle cappelle del transetto della chiesa del Brunelleschi, e sembra probabile che il semicerchio concavo secondo il quale sono disposte le figure, e la contrastante convessit del trono della Vergine, fossero intese a rispondere alla forma absidale della cappella stessa. Cos, la forma generale della cor-

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nice (anche se certamente non i suoi dettagli n la sua decorazione) risale a un progetto dellarchitetto per quello specifico ambiente. Ma negli anni Ottanta questa forma brunelleschiana era ormai una forma standard, scelta dagli artisti e dai loro committenti anche per chiese e cappelle costruite a suo tempo in stile gotico. Questa doveva gi essere stata la situazione della pala di Santa Lucia di Domenico Veneziano (forse echeggiata nelluso apparentemente anomalo di archi a punta in primo piano), ed ancora illustrata dallAdorazione dei pastori del Ghirlandaio nella cappella Sassetti a Santa Trinita, del 1485. La forma del campo pittorico preferita nelle pale daltare fiorentine rimase per tutto il XV secolo il rettangolo a sviluppo orizzontale, dilatato talvolta come nellAdorazione dei Magi di Leonardo del 1483 e in quella di Filippino del 1496 (entrambe agli Uffizi), a dimensioni monumentali. Solo occasionalmente, e in genere in relazione con soggetti quali lAssunzione della Vergine, le pale fiorentine assunsero il formato verticale che invece si impose a Venezia, e che sarebbe divenuto la norma nel XVI secolo. Un notevolissimo esempio della diffusione di tipologie fiorentine nellItalia del Nord la serie di pale daltare dipinte negli anni Ottanta e Novanta per la chiesa di San Bartolomeo a Vicenza.

La monumentalizzazione della pala a Venezia Tuttavia, fu solo con lentezza che la pala unificata raggiunse i principali centri artistici dellItalia settentrionale. In sintonia con lo stile gotico prevalente nellarchitettura e nella scultura decorativa, la forma standard del dipinto daltare a Venezia ancora negli anni Sessanta era quella del polittico, come illustra lesemplare del 1464 di Antonio Vivarini alla Pinacoteca Vati-

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cana. Nel giro di pochi anni, tuttavia, Giovanni Bellini doveva completamente trasformarne larticolazione, combinando i precedenti fiorentini a una nuova monumentalit e stabilendo cos quello che sarebbe stato il modello di dipinto daltare del secolo successivo. Il contatto tra le esperienze di Firenze e di Venezia fu stabilito da due opere realizzate negli anni Cinquanta a Padova: laltare maggiore di Donatello al Santo e il trittico del Mantegna destinato alla basilica di San Zeno, a Verona. Laltare di Donatello, che include un certo numero di statue e rilievi in bronzo, stato molto alterato nel corso dei secoli e la sua disposizione originaria non nota con esattezza; tuttavia probabile che le statue fossero in origine distribuite sotto un baldacchino architettonico sorretto da membrature classiche, e che i rilievi fossero collocati nellarea sottostante, corrispondente alla base5. In altre parole, lopera nel suo insieme doveva sembrare una versione tridimensionale duna Sacra Conversazione fiorentina, sul tipo della pala di Santa Lucia di Domenico Veneziano. Lidea essenziale dellopera di Donatello fu tradotta in pittura dal Mantegna, al cui trittico di San Zeno, che ci rimane completo della sua cornice originaria, si rivolgono in genere e giustamente gli studiosi come alla migliore guida per ricostruire lassetto originario dellaltare di Donatello. Il Mantegna, che solo pochi anni prima aveva inserito le sue figure intensamente scultoree nellarcaica cornice dun polittico gotico (Milano, Brera), ora le circonda della prima maestosa cornice classica realizzata a nord degli Appennini. Per quanto lopera sia di fatto un trittico, lespediente di creare una giunzione quasi impercettibile tra le forme della cornice e quelle dellarchitettura dipinta riesce a produrre unillusione di spazio tridimensionale continuo, ancora pi efficace che nella precedente pala fiorentina, dove larchitettura dipinta (come nella pala di Santa Lucia) spesso dispo-

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sta a quinte parallele al piano del dipinto. Il Mantegna sottolinea ulteriormente lillusione dello spazio-scatola abbassando drasticamente il punto di vista in modo da farlo corrispondere allaltezza dellocchio duno spettatore reale nella chiesa. In contrasto con Firenze, la trasformazione del dipinto daltare nellItalia del nord non fu la diretta conseguenza dun nuovo stile rivoluzionario nel costruire le chiese, ma piuttosto degli interessi antiquari e del rigore intellettuale di Mantegna pittore. Il trittico di San Zeno fu dipinto per un antico edificio romanico e il formato richiesto dal committente era chiaramente del tutto tradizionale. Analogamente, a Venezia la prima pala unificata in una cornice classica fu dipinta da Giovanni Bellini per lambiente gotico della chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, con qualche anno danticipo rispetto alla costruzione in citt di chiese in stile rinascimentale. Questa grande opera, databile al 1470 circa, venne tragicamente distrutta dal fuoco nel 1867, ma la sua cornice ancora in situ, e la sua composizione registrata da unincisione e un acquarello6. Bellini, che era a Padova quando suo cognato lavorava al trittico di San Zeno, deriv da lui lespediente illusionistico del punto di vista ribassato, e il diretto legame tra le forme architettoniche entro il dipinto e quelle della cornice. Ma introdusse pure diverse innovazioni sue proprie, destinate ad avere grande influenza. A differenza del trittico di San Zeno e dei suoi precedenti fiorentini, il campo pittorico qui accentuatamente verticale piuttosto che orizzontale o quadrato. Questo mutamento pu essere stato in parte stimolato dal carattere verticale dellarchitettura gotica circostante, ma pi importante il fatto che la cornice non sia pi concepita come un elaborato arredo della chiesa, a somiglianza di quella di Filippino a Santo Spirito, bens come un vero e proprio arco classico. La somiglianza con un elemento architettonico reale ulteriormente sottolineata

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dal fatto dessere in pietra invece che in legno riccamente dorato; e poich il dipinto collocato direttamente su una parete, leffetto di uno sguardo lanciato attraverso larco della cornice, entro uno spazio aggiunto, in cui sembrano riunite le figure a grandezza naturale della Madonna e dei Santi. In accordo con la sua creazione duna illusione totalmente coerente, lartista abbandona la tradizionale istituzione della predella. Lillusionistica assimilazione del dipinto daltare a uno spazio architettonico separato, perpendicolare alla navata, ha un lontano precedente nella Trinit di Masaccio (Firenze, Santa Maria Novella); unopera che, curiosamente, esercit scarsa influenza sullo sviluppo del dipinto daltare a Firenze. stato ipotizzato che Bellini ne fosse venuto a conoscenza grazie allo scultorearchitetto Pietro Lombardo, da poco arrivato a Venezia via Padova e Firenze. Certamente la forma e il repertorio decorativo della cornice di Bellini hanno molto in comune con i monumenti funerari di Pietro, che potrebbe effettivamente aver condiviso con Bellini la responsabilit della cornice. Qualche sorta di collaborazione tra i due artisti sembra probabile soprattutto nel caso della pala di San Giobbe (Venezia, Accademia; 1480 circa), la cui cornice ancora in situ, dal momento che la chiesa era stata recentemente ricostruita dallo stesso Lombardo. Larchitettura dipinta da Bellini, consistente in uno spazio chiuso coperto da una volta a botte, invece che in una loggia, somiglia qui ancora di pi a quella della Trinit di Masaccio e a una vera cappella che si diparte dalla navata; e questo rapporto illusionistico con lo spazio reale della chiesa doveva in origine accentuare fortemente leffetto di spaziosit allinterno del dipinto. Tuttavia, se unopera assolutamente moderna nel trattamento dello spazio, del volume e nel vocabolario decorativo, il dipinto di Bellini ritorna coscientemente ai polittici tradizionali nelluso della membratura archi-

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tettonica per articolare la composizione, nel motivo del baldacchino (duso comune come coronamento nei polittici gotici veneziani) e nellostentazione di splendore materiale (anche di ori). La pala di San Zaccaria, del 1505, costituisce in modo simile una magnifica sintesi tra lefficacia simbolica del polittico trecentesco e la logica spaziale della pala fiorentina; e con la sua cornice di lesene ora combinate con un doppio ordine di colonne a tutto tondo invece che di semplici lesene, possiede gi una maestosit tutta cinquecentesca.

La sopravvivenza del polittico Tranne che a Firenze, dove anche i semplici trittici erano divenuti obsoleti a met del secolo, il polittico sopravvisse fino al XVI secolo inoltrato. Cos, negli anni Ottanta e Novanta, strutture a pi scomparti furono prodotte da pittori quali Foppa, Cima da Conegliano, Perugino e Francesco Pagano per zone diverse come la Lombardia, il Veneto, lUmbria e Napoli. Dato che in molte di queste regioni lo stile gotico era ancora una tradizione viva in architettura e scultura decorativa, tali polittici ebbero spesso cornici gotiche, come quello dipinto da Signorelli alla tarda data del 1507 per San Medardo di Arcevia (Marche). Ma la struttura del polittico poteva essere facilmente adattata anche al gusto crescente per le forme decorative del Rinascimento, com evidente in esempi quali il polittico di Cima per Olera (Bergamo), quello del Pintoricchio per Santa Maria dei Fossi a Perugia, e quello straordinariamente elaborato del 1490 a Santa Maria di Castello (Savona), in cui dipinti di Foppa e Brea si accompagnano a unampia opera di scultura. In questi casi, in cui lo stile del Rinascimento era inteso come un vocabolario decorativo piuttosto che una grammatica di proporzioni e relazio-

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ni spaziali, esso poteva venire ovviamente adattato a polittici di forme e dimensioni molto diverse. La flessibilit dun approccio del genere dovrebbe forse essere considerata pi una qualit che un difetto, perch in questo modo fu molto facilitata lintegrazione visiva tra i dipinti daltare rinascimentali e i loro contesti generalmente gotici. La ragione della longevit del formato del polittico fu forse in parte dordine puramente pratico: quando i dipinti daltare dovevano essere spediti in paesi o citt lontani come Olera o Arcevia, era ovviamente pi agevole trasportare via terra dei pezzi da assemblare allarrivo piuttosto che ununica, grande e pesante tavola7. Ma pi basilare devessere stata una semplice ragione di gusto dei committenti, che probabilmente apprezzavano spesso di pi quello che conoscevano meglio. Una clausola privilegiata nei contratti per dipinti daltare chiedeva che lopera adottasse il modo et forma dun prototipo locale oggetto dammirazione, a volte risalente a parecchi anni prima; cos, la struttura del dipinto di Sassetta a Sansepolcro del 1437-1444 fu deliberatamente modellata su quella dun polittico senese del 1368 gi a Sansepolcro. Questo genere di conservatorismo del gusto era anche chiaramente suscettibile di perpetuare caratteristiche tipologiche regionali. Cos, il polittico di Cima a Olera adotta la stessa struttura tipicamente veneziana di quello di Antonio Vivarini alla Vaticana, del 1464, con settori centrali pi alti e pi grandi, ed evita allo stesso modo tavole di piccole dimensioni nella predella e nei pilastri ai lati. In Lombardia invece, ed anche in Sicilia, i settori centrali sono spesso di dimensioni pi simili a quelli laterali, e i superiori agli inferiori. I polittici ferraresi e bolognesi sono ancora diversi, spesso includono numerose tavole di piccole dimensioni, a volte tonde, come nel polittico Griffoni del Cossa del 1473 circa e nel polittico Roverella di Tura del 1474.

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La lunetta che sovrasta questultima opera un elemento che sincontra di frequente nei dipinti daltare del Francia, e soprattutto anche in quelli del Perugino in Umbria e di Crivelli nelle Marche, ma molto pi raramente a Firenze e Venezia. Queste tipologie locali dovevano spesso venire adottate dai pittori del luogo naturalmente, quasi istintivamente, senza bisogno di seguire specifiche istruzioni del committente. I pittori di fuori, invece, dovevano probabilmente compiere spesso uno sforzo cosciente per adottare una formula locale. Cos, la struttura scelta per lIncoronazione di Giovanni Bellini a San Francesco (Pesaro), non ha nulla in comune con quella delle sue pale veneziane, ma molto a che vedere con la tradizione marchigiana. Analogamente, la variet di strutture che sincontra nei dipinti daltare di pittori quali Bartolomeo Vivarini e Perugino fa pi direttamente riferimento alla distribuzione geografica dei loro clienti, che ad uno sviluppo stilistico interno. Tradizioni in zone specifiche potevano imporsi anche su dipinti daltare importati dal Nord Europa: il polittico di Gerard David per labazia di Cervara, vicino a Genova, non segue la caratteristica tipologica nordica ad ali pieghevoli, ma mostra una struttura tipicamente italiana, con tavole ad arco e un Dio Padre nella lunetta8. Questo non significa, naturalmente, che il gusto locale simponesse sempre e comunque sul formato dei dipinti daltare. Il trittico Portinari di Hugo van der Goes del tipo pieghevole caratteristico dei Paesi Bassi, e non c nulla di specificamente pesarese nel polittico vaticano di Antonio Vivarini, n di bolognese in quello, sempre di Vivarini, per la Certosa di Bologna. Le costrizioni imposte dai gusti locali o conservatori dei committenti dovettero spesso risultare sgradite ai pittori. Ma in qualche caso si rivelarono probabilmente di grande stimolo. La struttura tipicamente fiorentina dellAdorazione dei Magi di Gen-

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tile da Fabriano, ad esempio, che segue modelli di Lorenzo Monaco e dellOrcagna, offr al pittore un nuovo respiro in campo pittorico di cui non aveva mai goduto nella sua carriera nelle Marche, a Venezia e a Brescia. Analogamente, lincarico di dipingere una pala per San Cassiano a Venezia nel 1475, offr ad Antonello lopportunit di sviluppare le potenzialit della pala di Giovanni Bellini ai Santi Giovanni e Paolo, unopportunit che non avrebbe mai avuto nella sua nativa Sicilia. A volte, poi, grandi artisti potevano volgere in positivo le costrizioni dun incarico apparentemente non congeniale. Cos, a Pisa, a Masaccio fu richiesto di assoggettarsi a un polittico a pi piani gi obsoleto a Firenze9, e a San Zeno di Verona il Mantegna fu costretto a dipingere un trittico con membrature divisorie; ma entrambi gli artisti riuscirono a sfruttare larcaica cornice per portare avanti i loro interessi innovativi riguardo allo spazio unificante, luce e composizione. La soluzione del Mantegna venne poi adottata in una variet di polittici del Nord Italia, tra cui quelli di Butinone e Zenale a Treviglio e di Giovanni Bellini ai Frari a Venezia (1488). A Bellini doveva essere stato specificamente richiesto dai committenti un trittico tradizionale in una cornice di legno riccamente dorata piuttosto che una pala unificata alla maniera di quelle che aveva realizzate ai Santi Giovanni e Paolo e a San Giobbe. Una simile richiesta, per quanto conservatrice, non era fuori luogo per una cappella in una chiesa gotica gi piena di trittici dorati come quello di Bartolomeo Vivarini del 1474. Bellini rispose allineando le principali verticali e orizzontali della sua cornice e quelle delle finestre gotiche retrostanti, e coronandole di candelabre rinascimentali che segnavano accenti verticali equivalenti a quelli delle cimase e dei pinnacoli di Bartolomeo. Nello stesso

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tempo, creando un legame illusionistico tra le forme architettoniche dipinte e quelle della cornice, lartista evoca effetti di spazio e luce sofisticati almeno quanto quelli di qualunque pala italiana precedente. Nonostante geniali soluzioni individuali di questo tipo, restava unintrinseca contraddizione tra il polittico a pi pannelli, con la sua cornice divisoria, e lideale rinascimentale di unit spaziale; e ormai il polittico come forma per dipinti daltare artisticamente significativi aveva i giorni contati. Vari fattori ne affrettarono la fine, ma se ne possono citare due come particolarmente significativi. Uno fu la crescente richiesta da parte dei committenti di dipinti daltare, richiesta stimolata dagli sviluppi in altri contesti dellespressione artistica del dramma e del movimento, di soggetti narrativi piuttosto che del tradizionale gruppo di Madonna e Santi. Anche se soggetti narrativi erano qua e l apparsi al centro di polittici, il potenziale drammatico duna simile collocazione era molto limitato. In secondo luogo levoluzione dellarchitettura verso il massiccio e il maestoso fece apparire la cornice decorativa di molteplici campi pittorici relativamente piccoli sempre pi fragile, un orpello. Gi negli anni Novanta a Venezia colonne di pietra a tutta altezza avevano iniziato a sostituire le piatte lesene come membrature laterali delle cornici nei dipinti daltare, e sarebbero divenute il complemento visivo caratteristico dello stile figurale eroico nella pittura daltare del primo Cinquecento.

Su questo argomento vedi, tra le opere pi recenti, C. Gilbert, Peintres et menusiers au dbut de la Renaissance en Italie, in Revue de lart, XXXVII, 1977, pp. 9-28; C. Gardner von Teuffel, From polyptych to pala: some structural considerations, in La Pittura nel XIV e XV secolo: il contributo dellanalisi tecnica alla storia dellarte (atti del XXIV Congresso C.I.H.A., III), a cura di H.W. van Os. e J.R.J. van
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Peter Humfrey - Il dipinto daltare nel Quattrocento Asperen de Boer, Bologna 1983, pp. 323-344; P. Humfrey, The Venetian altarpiece of the early Renaissance in the light of contemporary business practice, in Saggi e Memorie di Storia dellArte, XV, 1986, pp. 65-82. 2 Cos, quando fu elaborato un programma di costruzione duna serie uniforme di cappelle laterali per San Lorenzo nel 1434, venne decretato, indubbiamente su suggerimento dellarchitetto Brunelleschi, che ... in dictis huiusmodi capellis... non possit fieri aliqua pietura preter tabulam sine expressa licentia capitula dicte ecclesie..., e inoltre che ogni dipinto dovesse assumere la forma duna tabula quadrata et sine civoriis. Vedi J. Ruda, A 1434 building programme for S. Lorenzo in Florence, in The Burlington Magazine, CXX, 1978, pp. 358-361. Vedi anche L.B. Alberti, De Re Aedificatoria, si far in modo che riquadri e rilievi abbiano la collocazione pi conveniente ed elegante... allinterno del tempio, piuttosto che affreschi sulle pareti sono preferibili pitture su tavola... (ed. e trad. a cura di G. Orlandi, Milano 1966, II, pp. 608-609). 3 Vedi Enea Silvio Piccolomini, I Commentari: Nelle altre quattro cappelle furono eretti altari adorni di tavole dipinte, opera di illustri pittori senesi... Nessuno violi il candore delle pareti e delle colonne; nessuno dipinga affreschi; nessuno appenda tavole dipinte; nessuno eriga nuove cappelle o nuovi altari; nessuno muti la forma di questa chiesa... (ed. a cura di L. Totaro, Milano 1984, II, pp. 1762-1765, 1768-1769), cfr. inoltre H. W. van Os, Painting in a house of glass: the altarpieces of Pienza, in Simbiolus, XVII, 1987, pp. 23-38. 4 Su questo argomento vedi in particolare C. Gardner von Teuffel, Lorenzo Monaco, Filippo Lippi und Filippo Brunelleschi: die Erfindung der Renaissance-pala, in Zeitschrift fr Kunstgeschichte, XLV, 1982, pp. 1-30. 5 I pi recenti tentativi di ricostruire laltare smembrato di Donatello sono quelli di J. White, Donatellos High Altar in the Santo, Padua, in The Art Bulletin, LI, 1969, pp. 1-14, 119-141, 412; e V. Herzner, Donatellos pala over ancona fr den Hochaltar des Santo in Padua: ein Rekonstruktionsversuch, in Zeitschrift fr Kunstgeschichte, XXXIII, 1970, pp. 89-126. 6 Utili fotomontaggi delle pale del Bellini ai Santi Giovanni e Paolo e a San Giobbe nelle cornici originarie sono forniti da G. Robertson, Giovanni Bellini, Oxford 1968, tavv. XXXIXb e LXVII. 7 Vedi J. Burckhardt, Beitrge zur Kunstgeschichte von Italien: Das Altarbild, Basel 1898, p. 27. 8 Friedlnder ha avanzato lipotesi che i tre pannelli principali ora a Palazzo Bianco, Genova, fossero in origine completati da due altri elementi con lAnnunciazione (New York, Metropolitan Museum of

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Peter Humfrey - Il dipinto daltare nel Quattrocento Art) e da un Dio Padre (Paris, Louvre). Vedi M.J. Friedlnder, Early Netherlandish Painting, VI parte 2, Leyden 1971, tav. 186. 9 Vedi C. Gardner von Teuffel, Masaccio and the Pisa altarpiece: a new approach, in Jahrbuch der Berliner Museen, XIX, 1977, p. 52.

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