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A partire
dal XII secolo la situazione muta, tramandandoci una ricca messe di nomi di artisti.
Questa trasformazione per non implica un riconoscimento del valore creativo e
intellettuale del lavoro di pittori e scultori. Considerati semplici artigiani, essi devono
essere iscritti alle corporazioni locali e seguirne le regole nello svolgimento della
propria attivit. Solo nella seconda met del Trecento la celebrazione di Giotto a
opera di poeti e scrittori apre la strada allelevazione delle arti figurative al rango di
arti liberali.
Il nome, la firma
La conoscenza del nome dellartista che ha realizzato una determinata opera, la
presenza della sua firma sul manufatto sono due degli elementi utilizzati dagli studi
per valutare la considerazione di cui pittori, scultori, architetti godono in un
determinato periodo storico, la loro posizione sociale, la loro coscienza di s e del
valore del proprio lavoro.
Lantico mondo romano, che giudica lattivit artistica unoccupazione servile,
indegna di un cittadino, ci ha tramandato il nome di pochissimi artisti.
Il Medioevo unepoca di anonimato. Salvo alcune eccezioni, non conosciamo i nomi
di coloro che hanno miniato i codici giunti fino a noi, di chi ha costruito le cattedrali
romaniche dEuropa, degli scultori che ne hanno decorato i portali, le guglie, i
pinnacoli. Essi sono parte di quipe, inseriti in una logica di lavoro collettivo che non
distingue il lapicida, il carpentiere, il muratore dallarchitetto o dallo scultore.
Dal XII secolo, e soprattutto nel Duecento e nel Trecento, la situazione muta, non solo
in Italia. Firme, iscrizioni, fonti ci hanno lasciato una serie di nomi di autori di opere
darte. A partire da Lanfranco e Wiligelmo, architetto e scultore del Duomo di
Modena, fino ai nomi celebrati di Nicola e Giovanni Pisano e di Arnolfo di Cambio,
daipi famosi (Cimabue, Duccio di Buoninsegna, Simone Martini, Giotto, Pietro e
Ambrogio Lorenzetti) ai loro allievi meno noti, lanonimia scompare
progressivamente. Giovanni Pisano, anzi, firma nel 1301 il pergamo (pulpito) del
Duomo di Pistoia celebrando se stesso come colui che non intraprese cose vane,
figlio di Nicola ma felice per una migliore sapienza, che Pisa gener dotto pi di ogni
cosa mai veduta. Dati come questi farebbero pensare a una trasformazione
radicale della concezione e della considerazione sociale dellartista. Si tratta invece
solo di un primo, piccolo passo. La realt ben diversa.