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Annali del Dipartimento di Studi del Mondo Classico e del Mediterraneo Antico Sezione linguistica 30 - II 2008

UNIVERSIT DEGLI STUDI DI NAPOLI "L'ORIENTALE"

V E R M O N D O BRUGNATELLI

LINGUE PRE-ARABE DELL'AFRICA SETTENTRIONALE: 30 ANNI DI STUDI LIBICO-BERBERI

1. Le lingue antiche del Nordafrica Le lingue del Nordafrica dell'antichit e dell'alto medioevo, fino all'arrivo degli arabi, sono note i n maniera molto frammentaria, e per questo lo studio delle testimonianze epigrafiche e documentali esistenti non pu fare a meno d i appoggiarsi ad una conoscenza quanto pi possibile approfondita delle lingue autoctone moderne, vale a dire i numerosi dialetti berberi parlati ancora oggi dai confini occidentali dell'Egitto fino alla Mauritania. Bench tutti riconoscano i l rapporto che indubbiamente esiste tra la lingua dei documenti antichi e i l berbero odierno, la natura d i questo rapporto e la misura i n cui le lingue moderne possono aiutare a comprendere quelle antiche sono questioni tuttora assai dibattute. Il caposcuola indiscusso della disciplina, Lionel Galand, ha ben sintetizzato, i n u n articolo del 1996, lo stato dell'arte e i tranelli che una facile trasposizione d i fatti moderni i n epoche antiche pu riservare. D a questo studio emerge con chiarezza quanta prudenza sia necessaria nel riferirsi alle lingue moderne per interpretare iscrizioni antiche , dal momento che u n notevole stacco sembra separare quelle epoche dalle successive: uno iato nettamente maggiore a quanto pare d i quello che si pu cogliere tra i testi medievali e quelli odierni. Il che non toglie, comunque, che numerosi elementi giustificano l'ipotesi che effettivamente l'antico libico costituisca uno stadio antico delle lingue berbere, e che quindi sia lecito e doveroso mantenere u n occhio d i r i guardo a queste ultime nel considerare i documenti dell'antichit.
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Ancor oggi si devono deplorare non pochi "saggi di traduzione" basati su improvvisati e spesso inverosimili accostamenti tra materiali antichi e parole o radici moderne: due esempi tra i tanti: Bhm (2001: 87-88) e Belkadi (2006).
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1.1. Lingue coloniali scomparse Per quanto dato d i sapere, gi nell'antichit i n Nordafrica, oltre alla massa degli idiomi libico-berberi autoctoni (estesi dai rami occidentali del delta del N i l o fino all'Oceano Atlantico, comprese probabilmente le isole Canarie), si parlavano anche altre lingue, indeuropee e semitiche, nelle colonie impiantate sulle coste e nelle citt: i l feniciopunico, i l greco e i l latino (poi romanzo) d'Africa. Un'interessante questione, tuttora lungi dall'essere chiarita, quella dei rapporti tra tutte queste lingue, non solo i n termini d i influenze tra sistemi linguistici ma anche i n termini sociolinguistici, riguardo alla distribuzione diatopica e diastratica dei diversi codici. Su quest'ultima questione, poco affrontata dagli studi, anche per l'oggettiva carenza d i dati certi, lo scrivente ha d i recente cercato d i fare i l punto, indagando i rapporti tra latino, punico e numidico all'epoca d i Sant'Agostino (Brugnatelli 2008): quella che sembra emergere una situazione non dissimile da quella del Nordafrica i n et coloniale, con una lingua allogena dominante, soprattutto i n ambito ufficiale e nella cultura urbana (allora i l latino; i n epoca moderna i l francese), contrapposta a due lingue parlate, d i cui una, semitica, sostenuta anche da una tradizione letteraria (allora i l punico; i n et moderna l'arabo) e l'altra, "camitica", indigena (numidico, berbero), priva d i una tradizione letteraria riconosciuta e pertanto spesso ignorata e "invisibile". Se i l berbero sopravvissuto fino al giorno d'oggi, le altre due lingue (punico e latino d'Africa) sono invece scomparse, ma hanno lasciato tracce, soprattutto lessicali, nei parlari odierni (sia arabi che berberi). Le principali indagini su queste componenti oggi scomparse risalgono agli inizi del Novecento, fino agli anni '50 , e negli ultimi decenni non si sono registrati interventi particolarmente innovativi i n proposito. A parte gli studi specifici d i epigrafia fenicio-punica o lati2

In particolare Vycichl (1952) per il punico e Lewicki (1958) per il latino e il romanzo d'Africa; gi in precedenza, magistrali erano stati gli interventi di Schuchardt (1912) e (1918).
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n-africana , negli ultimi decenni si sono registrate solo alcune messe a punto, come quelle d i Fanciullo (1992) e Brugnatelli (1999) sull'apporto latino e di Peyras e Baggioni (1991) riguardo agli apporti fenicio-punici. 1.2. Lingue autoctone antiche e scomparse In questo trentennio g l i studi sulle lingue del Nordafrica nel!'Antichit e fino al VII secolo non hanno fatto registrare progressi clamorosi, ma hanno finalmente cominciato a porre basi solide per la ricerca, dopo una lunga fase caratterizzata da improvvisazione e studi poco sistematici. 1.2.1. Le iscrizioni libiche e sahariane Il punto d i riferimento pi importante i n questi ultimi anni stato u n gruppo d i studio attivo gi alla fine degli anni '80 presso l'Ecole Pratique des Hautes Etudes, I V section, sotto la direzione d i Lionel Galand e animato soprattutto da Mohamed Aghali-Zakara e Jeannine Drouin. Questo gruppo d i studio, "RILB-Rpertoire des Inscriptions Libyco-Berbres", si posto l'obiettivo, da una parte d i schedare i n u n repertorio unico e informatizzato tutte le iscrizioni conosciute, comprendendo sia quelle d i et pi antica sia quelle d i epoche pi recenti, e dall'altra d i fare i l punto sulle diverse questioni teoriche che lo studio delle iscrizioni comporta. A partire dal 1995 i l gruppo ha cominciato a pubblicare con periodicit annuale u n bollettino (La lettre da RILB, d i cui nel 2009 uscito i l n 15), che a dispetto della semplicit tipografica e delle dimensioni scarne dei suoi fascicoli contiene una preziosa sintesi dei lavori del gruppo e costituisce la premessa alla nascita dell'epigrafia libico-berbera come disciplina a s, non pi semplice "appendice" dell'epigrafia fenicio-punica.
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Dato il carattere di questi studi, strettamente connessi con l'indagine linguistica del latino e delle lingue semitiche nordoccidentali della sponda orientale del Mediterraneo, non si approfondiranno qui tali ambiti di ricerca, limitandosi a una disamina degli studi di ambito libico-berbero.
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In questo senso, l'idea d i prendere i n considerazione tanto i documenti monumentali antichi quanto quelli rupestri d i epoca (spesso) pi recente, e perfino manoscritti contemporanei i n caratteri tifinagh costituisce un'innovazione da non trascurare. Se la lingua berbera pu contribuire a comprendere la lingua antica, anche le pratiche scrittorie moderne possono contribuire a far luce sulla redazione d e i testi dell'antichit. Esempi d i questo approccio sono da una parte lo studio collettivo diretto da Lionel Galand (1999) su una serie d i messaggi epistolari tuareg dei primi del Novecento, e dall'altra la pubblicazione d i due corpora d i testi rupestri d i datazione recente ad opera d i A g h a l i e D r o u i n (2007). 1.2.2. Le isole Canarie In ambito epigrafico, i progressi pi rilevanti sono probabilmente quelli registrati riguardo alle iscrizioni antiche delle isole Canarie. In questo contesto geografico, la ricerca scientifica deve negli ultimi decenni fare i conti con un'entusiastica corrente d i "riscoperta" delle proprie "radici berbere" da parte degli isolani, sulla scia d i movimenti politici autonomisti (e/o separatisti), i l che, se da una parte suscita u n maggiore interesse per questi studi, dall'altra rischia d i condizionarli negativamente, esigendo risposte rapide, nette e ad ogni costo anche l dove le questioni sono complesse e richiedono tempi lunghi per i n dagini da cui peraltro non sempre emergono risultati univoci. Anche qui, come nel resto del Nordafrica, si registrano ricerche che non disdegnano d i ricorrere a etimologie improvvisate sulla base d i dialetti berberi pi o meno distanti . In generale, per, l'attivit delle locali universit, affiancata da quella dell'Institutum Canarium d i Vienna (la cui rivista, Almogaren, u n punto d i riferimento fondamentale per questi studi), ha permesso u n costante miglioramento delle
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Un esempio emblematico quello di Militariov (1988), che considera senza alcun dubbio i parlari delle Canarie alla stregua di dialetti berberi, riconoscendovi addirittura una stretta parentela con i dialetti tuareg dell'Ahaggar, basandosi su etimologie altamente ipotetiche e senza indagare tempi e modi di un eventuale contatto tra popolazioni cos distanti nel tempo e nello spazio.
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conoscenze sia riguardo alle iscrizioni antiche sia riguardo ai problematici materiali linguistici tramandati da navigatori europei nei p r i m i secoli dopo la scoperta dell'arcipelago, a suo tempo sintetizzati nell'opera complessiva d i Wlfel (1965; tra l'altro, un'eccellente riedizione i n spagnolo stata pubblicata nel 1996). Diversi interventi d i L . Galand (in particolare 1989a e 1991) si sforzano d i fare i l punto sulle conoscenze attuali dei parlari antichi dell'arcipelago, non negando i l ruolo d i una componente berbera m a mettendo i n guardia contro l'uso indiscriminato d i materiali berberi odierni nello studio dei testi canari. In ambito epigrafico, i lavori seri e ben documentati d i Springer Bunk (1994) e (2001) hanno consentito d i fare l'inventario dei segni grafici e posto le basi per u n confronto con i l resto delle testimonianze epigrafiche libico-berbere. Per parte loro, Diaz Alayn e Castillo (1999, 2002, 2008) hanno intrapreso u n ampio lavoro d i revisione dell'opera di Wlfel, eliminando, tra l'altro molte voci da l u i credute indigene e invece rivelatesi lusitanismi. Il loro ultimo lavoro d i fatto u n complemento indispensabile alla consultazione dei Monumenta. 1.2.3. La scrittura libico-berbera Riguardo alla storia delle scritture epicoriche nordafricane, i l dibattito negli ultimi tempi stato piuttosto intenso (anche qui, fattori d i ordine pi politico che scientifico hanno fatto capolino, i n particolare da quando i Berberi hanno scoperto questa loro antica scrittura e si sentono spinti a ritrovare i n essa un'invenzione nordafricana indipendente da altri sistemi scrittori). Tra le varie posizioni che sono emerse si possono ricordare, i n particolare: Camps (1996: 2570), che sottolinea la complessit della situazione e la difficolt d i giungere a ipotesi verosimili sulla base dei dati disponibili, giungendo a parlare d i " p r o blmes insolubles"; Chaker e Hachi (2000), che sottolineano g l i elementi d i indubbia "origine endogne" e rigettano l'ipotesi (alquanto diffusa nel passato) d i u n "emprunt global et direct" al fenicio (posizione ribadita da Chaker 2002); Lionel Galand (2001a), che esclude anch'egli l'ipotesi d i u n "emprunt global" ma riconosce che " l a mise

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en oeuvre des signes et diffrents ajustements tmoignent d'une i n fluence smitique certame". Proprio d i recente, u n altro studoso da tempo attivo negli studi epigrafici nordafricani e canari, Pichler (2007) ha presentato uno studio molto completo sulla questione. Esso appare ricco d i dati e d i ottime analisi, e soprattutto scevro dai preconcetti che hanno troppo spesso caratterizzato questo tipo d i ricerche, vuoi con una frettolosa classificazione degli alfabeti libici come imitazione d i quello punico, vuoi invece con un'altrettanto aprioristica attribuzione della scrittura a invenzione del tutto originale d i epoca estremamente antica. Il suo lavoro analizza i diversi segni, con i valori per essi accertati, e i possibili confronti con segni analoghi del fenicio o d i altre scritture, e i n questo costituisce u n vero e proprio manuale d i epigrafia libicoberbera. Quanto all'origine dell'alfabeto, anch'egli non giunge a conclusioni certe e incontrovertibili, ma avanza teorie nuove e interessanti. In particolare, rilevando che (pur nella difficolt d i arrivare a datazioni sicure) le iscrizioni pi antiche sembrano essere attestate nell'Alto Atlante e non nell'antica N u m i d i a o nei territori orientali del Nordafrica, pi esposti all'influsso cartaginese, si domanda se non sia possibile pensare all'importazione della scrittura dalla penisola iberica, dove sono attestate altre forme d i alfabeti d i origine fenicia. 1.2.4. Il berbero medievale G l i ultimi decenni sono stati particolarmente importanti per la nascita d i una paleografia e una filologia berbera dedicata allo studio dei manoscritti giunti fino a noi dal medioevo ad oggi: u n ambito d i ricerca quasi del tutto trascurato nei primi tempi degli studi linguistici nordafricani. L'apporto maggiore i n questo campo venuto dal centro universitario d i Leida, che da una parte si attivamente impegnato per la costituzione, presso la propria biblioteca, d i u n fondo manoscritti che ha raggiunto e superato per consistenza quello, ricchissimo, di Aix-en-Provence (proveniente i n gran parte dal lascito d i Arsne Roux), e dall'altra ha permesso la pubblicazione d i alcuni studi fondamentali. Oltre ai cataloghi dei manoscritti d i quest'ultima biblioteca

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(van den Boogert 1995 e Stroomer & Peyron 2003) , si sono avute infatti anche alcune eccellenti pubblicazioni d i testi antichi con ampio apparato filologico (in particolare van den Boogert 1997 e 1998), dopo uno iato quasi quarantennale dall'ultimo studio del genere (Stricker 1960). Il lavoro d i van der Boogert del 1997 costituisce i l testo fondante della filologia dei manoscritti berberi, con l'analisi dettagliata delle diverse convenzioni scrittone succedutesi nel tempo, la presentazione delle numerose e diverse tipologie d i testi, oltre che degli autori principali conosciuti, i l tutto corredato da analisi storiche e linguistiche che permettono d i orizzontarsi i n questa estesa letteratura, fino ad oggi ben poco conosciuta. Purtroppo, per i l momento questo vastissimo campo d i ricerca attualmente affrontato da u n numero estremamente ristretto d i studiosi, e c' i l serio rischio che questo inizio promettente non abbia poi u n seguito all'altezza delle attese. 2. Il berbero moderno Per gli studi berberi, non solo i n ambito strettamente linguistico, l'ultimo trentennio ha costituito u n periodo particolarmente vivace e promettente n o n solo per le pubblicazioni che hanno visto la luce i n questo lasso d i tempo, ma anche per quel che riguarda i l moltiplicarsi dei centri d i studio, i n particolare con l'apparizione d i universit e r i cercatori dei paesi del Nordafrica, dopo una lunga eclissi che aveva espulso i l berbero dalle universit marocchine ed algerine al momento dell'indipendenza . C o n l'apertura d i dipartimenti e filiere d i studi berberi anche nelle universit algerine e marocchine, la disponibilit d i centri d i studi e d i ricerca aumentata anche al d i l delle sedi tradizionali (perlopi i n Francia, ma anche i n altri paesi d'Europa). D a sottolineare, poi, i l pro6

Un ponderoso catalogo dei manoscritti di Leida, opera perlopi di van Den Boogert, depositato presso la biblioteca stessa ma tuttora inedito. La bibliografia sul movimento di rinascita della consapevolezza identitaria berbera ricca ma spesso frammentaria. Per completezza e sistematicit si segnalano i due studi di Gabi Kratochwil (1996) relativo all'Algeria e (2002) relativo al Marocco.
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gressivo affermarsi d i ima serie d i convegni, a cadenza biennale, iniziati nel 2000 e tenutisi alternativamente a Bayreuth e a Francoforte, e successivamente estesi anche a Leida (BaFraLe: "Bayreuth-FrankfurtLeidener Kolloquium zur Berberologie"), che sono diventati u n appuntamento obbligato per i cultori della disciplina e costituiscono una sorta d i "congresso intemazionale di berberistica", che consente d i fare i l punto ogni due anni sui progressi della disciplina (per i l 2010 gi convocata la 6 edizione a Bayreuth).
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2.1. La primavera berbera Proprio agli inizi del periodo preso i n esame, i l 1980 costituisce u n momento d i svolta significativo per la cultura berbera nel suo complesso. L a pubblicazione d i u n volume d i Poesie cabile antiche da parte di M o u l o u d M a m m e r i (1980), la cui presentazione nell'universit d i T i z i Ouzou verr vietata dalle autorit, segner l'avvio della ''Primavera berbera" (Tafsut Imazigher), u n movimento d i riscoperta delle proprie radici linguistiche e culturali da parte dei berberi, non solo dell'Algeria ma d i tutto i l Nordafrica, che dopo l'indipendenza, si e rano visti marginalizzati dalle politiche d i arabizzazione dei loro paesi, e vivevano, fino ad allora, la loro condizione d i "diversi" come uno stato d i inferiorit che l i spingeva ad abbandonare la lingua ancestrale per integrarsi nella cultura dominante. L a Primavera berbera ha segnato u n rinnovato interesse degli studi linguistici sul berbero, con un'accresciuta domanda, da parte dei parlanti stessi, d i strumenti d i conoscenza. N o n u n caso che proprio i n quegli anni abbiano visto la luce i l maggiore dizionario d i cabilo fin qui prodotto (Dallet 1982) e una ponderosa grammatica dello stesso dialetto (Chaker 1983). Importante anche, a partire dagli anni '80, la presenza d i nuove r i viste e collane specialistiche dedicate al berbero. G l i anni '70 si erano conclusi i n modo poco incoraggiante, con la chiusura, nel 1976, del Fichier de Documentation Berbere dei Padri Bianchi della Cabilia (decretata dalle autorit algerine, che gi avevano imposto d i ridenominarlo Fichier Priodique per non far comparire alcun accenno al berbero nel titolo). L a sola pubblicazione periodica d i livello accademico che, i n

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quel periodo, ha continuato ad uscire con una relativa regolarit, permettendo la pubblicazione d i preziosi materiali linguistici e letterari stata LOAB (Littrature Orale Arabo-Berbre), espressione d i u n d i namico centro d i ricerca del C N R S francese (ERA 357). M a ben presto ad essa si sono aggiunte due nuove riviste d i livello accademico espressamente dedicate agli studi berberi: Awal (fondata, insieme all'omonima casa editrice, nel 1985 su iniziativa dello stesso M o u l o u d Mammeri, in collaborazione con Tassadit Yacine, che ha continuato a dirigerla dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 1989); e Etudes et documents Berbres (fondata nel 1986 per iniziativa d i Ouahmi O u l d Braham, insieme alla casa editrice " L a bote documents"). A queste riviste si sono affiancate numerose pubblicazioni, apparse (spesso i n coedizione con altri editori) sotto i l nome delle rispettive case d i edizione. Si tratta perlopi d i raccolte d i testi, antichi o moderni, ma non mancano opere specificamente linguistiche come i l dizionario d i Taifi (1991), opera d i riferimento per i dialetti tamazight del Marocco centrale. Sono inoltre comparse alcune collane che hanno accolto studi d i grande importanza per la linguistica berbera. Presso l'editore Peeters (di Parigi/Lovanio) stata avviata, nel 1982, la collana "Etudes linguistiques Maghreb-Sahara - S E L A F " , poi divenuta " M S - Ussun A m a ziy", diretta dapprima da Marceau Gast e Salem Chaker, e poi solo da quest'ultimo, che ha ospitato nuovi e fondamentali contributi riguardo ai parlari d i diverse regioni: Cabilia (il dizionario d i Dallet 1982 e 1985), Mzab (Delheure 1984: dizionario; 1986: testi), Ouargla (Delheure 1987: dizionario; 1988: testi), Rif (Cadi 1987, Kossmann 2000), F i guig (Kossmann 1997), oltre a monografie d i vario genere tra cui si segnala i l dizionario delle radici berbere d i Nait-Zerrad (1998a, 1999, 2002). D a parte sua, l'editore tedesco Kppe ha iniziato nel 2001 una serie dedicata agli studi berberi ("Berber Studies"), diretta da Harry Stroomer, che ha presentato soprattutto edizioni e riedizioni d i testi, atti d i convegni ed anche studi monografici su determinati dialetti, tra cui i l voluminoso e fondamentale dizionario zenaga-francese d i Taine-

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Cheikh (2008), relativo a una lingua ormai parlata da pochissimi locutori, e fin qui ancora poco e male indagata. 2.2. La pianificazione linguistica U n aspetto nuovo che ha caratterizzato la produzione scientifica sul berbero stata, come detto, la nuova considerazione che i l berbero ha presso i parlanti, che si riflette i n ampi dibattiti sulla lingua e sul ruolo da assegnarle nei paesi del Nordafrica. Per la prima volta gli studi berberi hanno dovuto affrontare le tematiche della pianificazione linguistica. U n dibattito spesso appassionato (e non sempre ad opera d i esperti accademici) ha accompagnato i n questa fase la ricerca linguistica, portando i ricercatori a interrogarsi sull'oggetto stesso del loro studio. U n elemento ormai acquisito, proprio i n seguito a questi ripensamenti, la consapevolezza che sia possibile, e anche, forse, preferibile, parlare di lingue berbere pi che d i una sola "lingua berbera". Tra i primi ad avanzare questa concezione, per diverso tempo osteggiata da quanti ritenevano fosse preferibile parlare d i una lingua unica, da contrapporre all'unicit (per quanto "fittizia") della lingua araba, stato Lionel Galand (1989b), e ormai negli ultimi anni questa concezione sempre pi accettata i n ambito scientifico. Seguire i n tutte le sue diramazioni i l dibattito relativo alla pianificazione linguistica sarebbe complesso ed esulerebbe dai limiti della presente trattazione. In u n intervento ad u n convegno del 2002 (pubblicato nel 2007), lo scrivente ha cercato d i passare i n rassegna i molteplici attori implicati i n questo processo, sia riguardo al corpus planning sia per quanto attiene allo status planning. L'urgenza d i risposte rapide ed efficaci alla nuove richieste, soprattutto dopo che, nel 1995, i l berbero entrato ufficialmente nelle scuole algerine, ha talvolta condizionato la ricerca, ma i n generale questo ha avuto effetti positivi, i n quanto ha stimolato l'organizzazione d i n u merosi convegni , i n cui stato elaborato uno standard ortografico,
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L'elenco dei convegni dedicati alla pianificazione del berbero si trova in appendice a Brugnatelli (2007). Il primo venne organizzato nel 1991 a Ghardaia (Algeria) su inizia7

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con grafia a base latina e tendenzialmente fonologica, relativamente semplice e utilizzabile per diversi dialetti. Pi impostate ideologicamente sono invece le vicende della pianificazione i n Marocco, dove, nel 2001, stato istituito 1 T R C A M ("Istituto Reale d i Cultura A m a zigh"), che si fatto carico dell'elaborazione d i standard per la didattica del berbero (introdotto nelle scuole progressivamente a partire dal 2003-2004). Questo istituto sottoposto a forti pressioni politiche, ed da una volont politica che discendono alcune scelte discutibili, come quella d i utilizzare u n alfabeto neo-tifinagh d i propria invenzione per la grafia del berbero, e u n approccio monolitico alla lingua, d i fatto considerata i n modo unitario, a dispetto delle profonde differenze esistenti tra le tre principali variet (vere e proprie "lingue") del nord (tarifit), del centro (tamazight), e del sud (tachelhit). 2.3. Gli sviluppi pi rilevanti Esula dai limiti d i questo intervento u n resoconto bibliografico completo degli studi berberi negli ultimi trentanni . C i si limiter a una panoramica succinta d i quelli che appaiono gli sviluppi e le acquisizioni pi rilevanti.
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2.3.1. Studi diacronici Innanzitutto vale la pena d i sottolineare una ripresa degli studi d i linguistica storica, per molto tempo lasciati ai margini d i una ricerca tesa soprattutto a fornire materiali e analisi linguistiche dei pi diversi dialetti, senza pi i l sovraccarico dei confronti comparativi, tipici dei primissimi tempi della berberistica, quando ogni studio su d i u n dia-

tiva di Agraw Adelsan Amazigh, la federazione algerina delle associazioni culturali berbere, mentre gran parte dei successivi si tennero a l l ' I N A L C O di Parigi. Per questo rimando alle bibliografie esistenti. In particolare Galand (1979), che riunisce 25 anni di cronache pubbliate annualmente neirAnnuaire de VAfrique du Nord, la sua prosecuzione ad opera di Chaker (1991), e d i Brenier Estrine (1992), ma soprattutto lo studio bibliografico estremamente completo e di agile consultazione di Bougchiche (1997).
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letto comprendeva una parte consistente d i confronti con altri dialetti vicini e/o col resto dei parlari conosciuti. L'importanza delle ricerche diacroniche stata esplicitamente sottolineata a pi riprese da L . Galand (1989c, 2001b), e v i sono studiosi come W . Vycichl che non hanno mai mancato, nei loro studi, d i rivolgersi alle questioni storico-comparative . A M . Kossmann dobbiamo per i l primo studio sistematico e d i rilievo dedicato esplicitamente a questioni diacroniche (1999). In esso per la prima volta vengono applicate al berbero metodologie "brugmanniane", con una ricerca e stensiva e rigorosa d i corrispondenze fonetiche quanto pi possibile precise cui fare affidamento per i confronti, fino ad allora affidati alle intuizioni soggettive dei ricercatori. Uno studio altrettanto approfondito, i n precedenza, era stato effettuato da K . - G . Prasse (1969), ma r i guardo ad u n unico suono, mentre quello d i Kossmann abbraccia una gran parte dei suoni del berbero, sia vocalici che consonantici. A l t r i studi storico-comparativi non mancano, e sarebbe lungo elencarli i n questa sede. Vale la pena ricordare, per, che gli studi d i linguistica storica non si improvvisano, e purtroppo u n rischio connesso con la ripresa d i interesse per questa prospettiva degli studi quello d i vederli affrontare senza un'adeguata preparazione sia linguistica che metodologica. U n esempio negativo i n questo senso i l lavoro d i Aliati (2002), che si propone d i innovare teorie e metodi della berberistica sulla base d i una metodologia improvvisata e discutibile, che rende poco credibile qualunque risultato cos ottenuto. Per concludere con una nota d i ottimismo, i l caso d i segnalare u n lavoro i n corso d i stampa d i L . Galand (2010), che verosimilmente costituir u n punto d i riferimento importante per gli studi berberi nel futuro. Si tratta d i un'opera che, con i l pretesto d i riprendere e puntualizzare i punti d i vista espressi su tante questioni dal decano degli studi berberi nel corso della sua lunga carriera, finisce per rappresen9

In un volume postumo, Vycichl (2005), stato raccolto un certo numero di suoi scritti inediti, tutti perlopi orientati in chiave diacronica. Tra gli altri studiosi che hanno orientato pi di frequente le loro ricerche in chiave storica e diacronica, oltre a Galand e Vycichl si possono ricordare Prasse, Kossmann e lo scrivente.
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tare u n quadro complessivo delle strutture fondamentali delle lingue berbere, i n una prospettiva che salda i l rigore della descrizione sincronica ad una costante attenzione per i problemi storico-comparativi. 2.3.2. Nuovi materiali L'opera scientifica dei berberisti negli ultimi trentanni ha permesso d i incrementare le conoscenze relative a numerosi dialetti berberi per i quali fino a qualche tempo fa si disponeva solo d i poche e poco affidabili informazioni, cosicch oggigiorno sono molto diminuite le regioni per le quali non si dispone d i materiali sufficienti per l'analisi linguistica (tra le lacune pi deprecabili si segnala la mancanza a tutt'oggi d i materiali adeguati per gran parte dei dialetti dell'ovest algerino, o d i alcune oasi libiche come Sokna e Ghat). Buona parte delle opere principali approntate i n questo periodo sono state gi ricordate. Esse riguardano, i n Algeria i l cabilo (Dallet 1982 e 1985, Chaker 1983), M z a b (Delheure 1984 e 1986) e Ouargla (Delheure 1987 e 1988); i n Maroco i l Rif (Cadi 1987, Kossmann 2000 e soprattutto Lafkioui 2007), Figuig (Kossmann 1997), parlari tamazight (Taifi 1991), i n Mauretania la lingua zenaga (Taine-Cheikh 2008). Per i l sud del Marocco (chleuh), manca ancora u n dizionario d i riferimento (Stroomer ne ha i n preparazione da anni uno estremamente vasto, che proprio per questa sua ampiezza vede protrarsi sempre pi i l momento della pubblicazione), ma i n compenso sono state pubblicate numerosissime raccolte d i testi con traduzione e commento linguistico, i l che consente comunque d i disporre d i molti e eccellenti materiali per l'analisi linguistica. L'ambito che pi ha visto accrescersi i materiali disponibili per lo studio quello tuareg, per i l quale fino ai primi anni '80 si poteva contare quasi esclusivamente sui materiali (peraltro numerosi e d i ottima qualit) raccolti agli inizi del secolo dal P. Charles de Foucauld presso una piccola trib d i tuareg del nord. In seguito, per, numerosi studi hanno amplito enormemente le nostre conoscenze riguardo ai numerosi dialetti del sud. N u o v i e ampi dizionari (Alojali 1980, Prasse & Alojali 1998; Prasse, Alojali & Ghabdouane 2003 i n 2 volumi, Heath

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2006), grammatiche (Prasse & A g Sidiyene 1985, Sudlow 2001, Heath 2005) ed anche una quantit d i nuovi testi letterari (Casajus 1985, Ghabdouane & Prasse 1989 e 1990, Albaka & Casajus 1992 e Castelli Gattinara 1992) permettono d i avere oggi una quantit d i materiale che dimostra la ricchezza dei dialetti tuareg, d i cui quelli del nord, f i no poco tempo fa i soli conosciuti, sono solo una piccola parte. 2.3.3. Strumenti U n altro progresso sensibile degli studi berberi negli u l t i m i decenni l'elaborazione d i strumenti utili per l'indagine linguistica. Oltre al gi citato lavoro d i fonetica storico-comparativa (Kossmann 1999), due altre opere costituiscono u n punto d i riferimento fondamentale: i l dizionario delle radici berbere attu tate (Nait-Zerrad 1998a, 1999, 2002), d i cui sono usciti finora tre volumi, e i l grande a tlante linguistico che Mena Lafkioui (2007) ha realizzato sulla regione del Rif. Il dizionario delle radici berbere sar u n elemento molto utile per la comparazione, che permetter al ricercatore d i abbreviare le lunghe ricerche nei mille lessici e glossari che racchiudono finora i n modo ampio ma dispersivo i l patrimonio lessicale delle diverse lingue berbere. Quanto all'atlante linguistico, si tratta fin qui dell'unico lavoro d i questo genere, d i un'ampiezza e una profondit rimarchevoli, che consente d i avere uno spaccato estremamente preciso d i una regione berberofona, e d i cogliere pi agevolmente la distribuzione diatopica di variet e costanti, i l che potrebbe avere anche ricadute importanti nell'ambito delle eventuali scelte d i standardizzazione da operare nel quadro della pianificazione linguistica. E da augurarsi che questo lavoro, opera d i una ricercatrice sola, molto capace e determinata, possa trovare imitatori specialmente l dove esistono enti governativi con ampie risorse, i n modo da colmare la penuria d i atlanti linguistici nel resto del mondo berbero (o Taniazgha, secondo u n neologismo ormai comunemente accettato). 2.3.4. Gli studi berberi in Italia

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Prima d i concludere questa rapida disamina della ricerca recente sul berbero, non si pu fare a meno d i gettare uno sguardo su quello che si fatto nel nostro paese. Come noto, la sede privilegiata degli studi berberi Napoli, sede dell'unica cattedra, istituita per Beguinot e occupata, nell'ultimo trentennio, da L u i g i Serra, che come i suoi predecessori ha rivolto i propri interessi prevalentemente ai dialetti orientali e soprattutto libici. Dopo u n inizio promettente con articoli d i qualit relativi alla lingua di Zuara, negli ultimi tempi la sua produzione scientifica si rarefatta, i n concomitanza con i numerosi incarichi amministrativi, e i l suo contributo originale di maggiore rilevanza la pubblicazione di materiali letterari ibaditi inediti del Gebel N e f u sa (1986). A Napoli sempre attiva sia pur dopo qualche rallentamento e pausa la rivista Studi Magrebini, dedicata alla lingua e alla cultura del Nordafrica, che ha iniziato una "nuova serie" nel 2003. I due v o l u m i che la rivista ha dedicato a Serra per i l suo settantesimo compleanno (Di Tolla 2005-2006) hanno raccolto contributi d i studiosi di tanti paesi d'Europa e del Nordafrica, a testimonianza dell'importanza che la comunit scientifica annette a questo polo di ricerca italiano. Oltre al polo napoletano, altre citt hanno comunque visto una diffusione degli studi berberi, vale a dire Roma e Milano. A Roma, la scuola semitistica d i Giovanni Garbini ha espresso uno studioso, O l i vier Durand, che predilige gli studi berberi e d i arabo dialettale, e che nel 1988 ha prodotto la seconda grammatica i n italiano di u n dialetto berbero (variet del Marocco centrale) dopo mezzo secolo da quella d i nefusi scritta da Beguinot (1931-1942). A Milano, gli studi camito-semitici, presenti da tempo i n diverse universit, sono stati resi evidenti dalla creazione, nel 1993, d i u n Centro Studi Camito-Semitici ("CuSCuS"), i n cui gli studi berberi hanno trovato modo d i esprimersi, tra 1'altro con l'edizione d i alcuni volumi (Nait-Zerrad 1998b e 2008, Galand 2010), oltre che con comunicazioni scientifiche e articoli i n testi miscellanei. Tutti e tre i volumi citati rappresentano u n evento importante: i l primo costituisce u n contributo alla gi citata pianificazione linguistica del berbero, nel campo dei

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termini tradizionali e d i neologismi d i ambito religioso (oltre a costituire la prima traduzione d i ampie parti del Corano i n berbero); i l secondo rappresenta la traduzione i n italiano d i una grammatica d i cabilo (originariamente i n francese) che porta a tre i l numero d i grammatiche esistenti nella nostra lingua, ed essendo relativa ad uno dei dialetti con la maggior quantit d i testi pubblicati, permetter a u n numero sempre maggiore d i studenti d i accostarsi al loro studio; i l terzo, infine, costituisce i n certo qual senso la Summa degli studi del caposcuola francese della disciplina, che aveva finora affidato le sue riflessioni magistrali soprattutto ad articoli, e per la prima volta le e sprime organicamente i n uno studio complessivo. L'attivit dello scrivente si svolge proprio a Milano, presso i l nuovo ateneo della Bicocca (che inaugura quest'anno l'insegnamento d i "Lingue e letterature del Nordafrica"), presso i l quale si gi tenuto, nel 2008, u n convegno i n ternazionale d i studi berberi (Lafkioui-Brugnatelli 2008). In sostanza, i l trentennio test passato ha costituito per gli studi linguistici del Nordafrica u n periodo ricco d i eventi, d i pubblicazioni e d i attivit scientifiche, i n cui si sono colmate lacune ancora esistenti e si sono poste le basi per ulteriori progressi, sulla base anche d i strumenti sempre pi precisi ed affidabili. Il presente lavoro lungi dall'elencare tutto ci che stato fatto: la massa dei lavori tale da rendere impossibile una enumerazione completa o anche solo meno cursoria. Vale comunque la pena d i ricordare che, oltre ai lavori strettamente linguistici qui illustrati, gli studi berberi hanno i n questi anni conosciuto notevoli progressi anche nell'ambito della letteratura (delle letterature), per la quale m i limito qui a ricordare la magistrale sintesi di Paulette Galand-Pernet (1998). L'impegno dello scrivente e dei suoi colleghi attivi i n questo momento sar ora quello d i riuscire a formare nuove leve che sappiano anche negli anni a venire portare avanti con successo le ricerche i n questo difficile ma affascinante ambito d i studi.

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