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Fiabe del popolo

Tuareg
e dei Berberi del Nordafrica

A cura di: Vermondo Brugnatelli

Titolo originale:
Mrchen der Berber
a cura di Uwe Topper

1986 by Eugen Diederichs Verlag GmbH & Co. KG, Kln


1994 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano

Fiabe del popolo Tuareg

A Enrico, Takfarinas e Lydia,


grandi esperti di fiabe.

Introduzione

I Berberi
No, io non sono Arabo! Cos suona il titolo di un libro
pubblicato di recente in Algeria da un Algerino. Non si
tratta di un paradosso, ma della pura e semplice realt:
sono infatti milioni i nordafricani di madrelingua diversa dall'arabo, che rivendicano la propria autonomia
linguistica e culturale rispetto al mondo arabo con cui
fin dall'indipendenza i governi dei loro paesi h a n n o
cercato di identificarsi, e con cui il mondo occidentale
di fatto li identifica.
Il peccato capitale dei Berberi - gli indigeni del Nordafrica - quello di non avere praticamente mai costituito, dai tempi di Massinissa e Giugurta a oggi, un'entit politica unita e autonoma (uno "Stato nazionale"),
accontentandosi di difendere l'indipendenza delle proprie trib o dei propri villaggi arroccati sui monti o in
mezzo al deserto, anche a costo di cedere le citt costiere e le regioni pi fertili ai conquistatori che, nel corso
dei millenni, si sono succeduti sul loro territorio (Fenici,
Greci, Romani, Vandali, Arabi, Turchi, Europei).
Dal canto loro, i conquistatori, sempre numericamente assai inferiori alle popolazioni locali, hanno di
solito finito per fondersi con esse, assorbendone usi,
costumi, tradizioni e dando vita a una cultura originale, che ha m a n t e n u t o sempre u n a caratteristica impronta nordafricana.
La stessa lingua araba, che oggi parlata dalla maggioranza della popolazione di questi paesi, assai moIX

dificata rispetto alla lingua classica e ai dialetti orientali, e ci proprio in seguito al lungo contatto con la lingua berbera. Gli "Arabi" del Nordafrica sono in maggioranza Berberi che hanno adottato la lingua araba.
Quanto al berbero, esso ancora oggi parlato da diversi milioni di persone disseminate su una vasta area
che va dai confini occidentali dell'Egitto (l'oasi di Siwa)
fino all'Oceano Atlantico, e dal mar Mediterraneo fino
ai margini meridionali del Sahara. La distribuzione di
questi parlanti assai diseguale dal punto di vista numerico. Vi sono piccole comunit berberofone isolate
costituite da poche centinaia o migliaia di persone (per
esempio in alcune oasi del deserto libico o in qualche
piccolo centro nel sud della Tunisia), mentre altrove
capita che il berbero sia la lingua di un insieme di villaggi (per esempio sulle alture del Gebel Nefusa in Tripolitania o nella regione algerina dello Mzab) e addirittura di intere regioni. In quest'ultimo caso i parlanti
possono essere addirittura centinaia di migliaia o anche milioni, come in Cabilia (una regione montuosa a
poca distanza da Algeri) o nella zona centrale e meridionale del Marocco.
Nel cuore del Sahara la lingua dei Tuareg rappresenta uno dei dialetti berberi meno contaminati dall'impatto con la lingua araba, e anche se il numero dei parlanti non in assoluto elevatissimo (si calcola che
raggiunga a stento il milione), la conoscenza di queste
popolazioni estremamente importante sia ai fini linguistici sia a quelli etnografici.
Per il loro carattere fiero e la capacit di convivere
da secoli con l'ambiente ostile del deserto, i Tuareg
hanno sempre colpito l'immaginazione degli europei,
che a m m i r a n o ancora in essi i nobili "uomini blu"
dall'enigmatico velo sul volto (la tagelmust). Purtroppo
questa visione romantica rischia di rimanere un lontano ricordo, dal momento che la cultura dei Tuareg
oggi seriamente minacciata ed concreto il pericolo di
X

una totale scomparsa degli uomini velati, con la sola


eccezione forse di pochi "esemplari" mantenuti dai
tours-operators a Djanet o a Tamanrasset per le videocamere dei turisti in cerca di emozioni. Infatti l'eredit
coloniale ha lasciato il deserto diviso da confini tracciati a tavolino, diventati altrettante barriere per questo popolo nomade che ha visto il proprio territorio
frammentato tra Algeria, Libia, Mali e Niger. La conseguente forte limitazione alla libert di spostamento,
commercio e pascolo porta oggi con s il grave rischio
di minare i fondamenti stessi della cultura dei Tuareg e
di annullarne l'identit.
Proprio in virt del loro aspetto pittoresco e dell'immaginario avventuroso a essi collegato, le pubblicazioni
esistenti sui Tuareg sono numerose, ma si tratta perlopi di albi fotografici, tesi a cogliere l'aspetto esteticofolkloristico di questa popolazione. Un recente libro di
Attilio Gaudio (1993) provvede invece a una corretta
informazione sia sulla storia antica e remota della regione (il Sahara ricco di incisioni rupestri preistoriche e
protostoriche) sia sui problemi attuali della sua popolazione.
La letteratura berbera
Fin dall'antichit i Berberi possiedono una propria
scrittura, nella quale vennero redatte molte iscrizioni
libiche e numidiche, come, per esempio, l'iscrizione di
Massinissa a Dougga (Tunisia) del 139 a.C. Questo alfabeto (la cosiddetta scrittura tifinagh) viene tuttora impiegato dai Tuareg, che per se ne servono solo per
scopi pratici, e non per tramandare opere letterarie.
Cos, la maggior parte della letteratura berbera una
letteratura orale, tramandata di bocca in bocca nel corso dei secoli per opera di una catena di amusnaw ("coloro che sanno"), depositari del patrimonio culturale
XI

orale della propria trib. Questa vasta cultura orale


comprendeva le opere pi disparate: poesie religiose o
epiche; sentenze, detti e proverbi; testi in prosa di vario
tipo (fiabe, racconti storici, miti e leggende relativi a
determinati luoghi e personaggi).
Solo in Marocco esiste gi da qualche secolo l'uso di
mettere per iscritto testi di particolare importanza servendosi dell'alfabeto arabo con qualche segno speciale
per i suoni tipici del berbero. Le opere cos raccolte sono in genere poemi religiosi, come quello di Awzali, ripubblicato (con traduzione francese) a Leida nel 1960.
Nelle altre regioni di lingua berbera si dovette attendere la fine del secolo scorso e l'inizio del Novecento
perch si cominciasse a raccogliere e mettere per iscritto qualche testo di poesia per mano di studiosi europei
e indigeni (raccolte del generale Hanoteau, di Belkacem Ben Sedira, di Boulifa per la Cabilia, e soprattutto
i due volumi di poesie tuareg del missionario Ch. de
Foucauld).
Negli ultimi decenni, per, parallelamente all'acquisizione della consapevolezza dell'originalit e del valore della propria lingua e della propria cultura, si sono
moltiplicati studi e pubblicazioni, soprattutto da parte
di Berberi, riguardanti in particolare la poesia, ma anche altri generi particolari come i proverbi (per esempio i recenti lavori curati da Ouahmi Ould Braham sulla rivista Etudes et Documents Berbres nn. 5, 6 e 10
tra il 1989 e il 1993), oppure gli indovinelli (i tre volumi
di Bentolila 1986 nonch Allioui 1990), o la narrazione
storica (Alojali 1975).
Cos di questi generi "maggiori" esistono ormai diverse raccolte particolarmente significative. La pi emblematica di questo movimento di riscoperta della propria cultura quella di M. Mammeri sulle poesie
antiche della Cabilia, che comprende testi risalenti anche al XVI secolo. A causa del divieto imposto dalle autorit algerine a una conferenza di presentazione del liXII

bro da parte dell'autore all'universit di Tizi Ouzou


scoppiarono gli incidenti ormai noti come tafsut , "la
primavera" (del 1980), in cui per la prima volta si manifest pubblicamente l'esigenza dei Berberi di tutelare
la propria lingua e la propria cultura. Una panoramica
di queste composizioni ora accessibile in italiano grazie a un'antologia elaborata dallo stesso M. Mammeri e
da T. Yacine, tradotta e curata da Domenico Canciani
(1991).
Ma la massa della cultura orale berbera indubbiamente costituita da fiabe e racconti, di cui ogni trib,
ogni villaggio, ogni famiglia possiede un vastissimo repertorio.
Gi nel Medio Evo il pi grande storico arabo, Ibn
Khaldun, nato e vissuto a lungo nel Nordafrica, era impressionato dalla ingente mole del patrimonio favolistico berbero: "I Berberi raccontano un cos gran numero
di storie che, se ci si desse la pena di metterle per iscritto, se ne potrebbero riempire volumi interi".
Pi di recente un grande studioso tedesco, Leo Frobenius, instancabile raccoglitore di tradizioni africane,
riconosceva che ai Cabili spetta "il primo posto tra gli
Africani nell'arte di fabbricare racconti". E a conferma
di questo giudizio raccoglieva e pubblicava ben tre volumi di fiabe di questa regione (1921-22).
Fin dai primissimi studi sul berbero ogni descrizione
grammaticale conteneva una maggiore o minore quantit di "testi", e si trattava perlopi di fiabe. E nel corso
degli ultimi decenni, con l'estendersi delle conoscenze
sui diversi dialetti, si sono andate moltiplicando le raccolte di fiabe dalle zone pi disparate, per esempio l'oasi di Ouargla (Delheure 1989), o l'Alto Atlante (Leguil
1985); inoltre nuovi racconti compaiono in quasi ogni
numero delle riviste Etudes et Documents Berbres e
Awal. Cos oggi il materiale pubblicato veramente
imponente.
XIII

Le fiabe
Eravamo tutti seduti intorno al fuoco, con i cugini, le
cugine, le zie e il vecchio zio malconcio e ripiegato nella
sua lunga jallaba rappezzata. Le braci del focolare liberavano il loro ultimo calore, esauste per lo sforzo costante
imposto dalle donne. Questo calore serviva per cucinare i
nostri pasti ma anche per il conforto di tutti noi.
La sera, dopo cena, mia zia ci distribuiva una manciata di fichi che ci asciugavano sulle labbra il gusto del
pasto. (...) Col lembo del vestito la zia ripuliva i resti di
sugo sui visetti rotondi e spensierati dei bimbi, i quali attendevano che la sua voce si levasse nel silenzio e nella
quiete della veglia.
Allora la voce faceva risonare alta la formula iniziale:
"Amashaho!... ". Sapevamo che a partire da quel momento ci si sarebbero spalancate le porte di un mondo immaginario e fatato. I nostri corpi si stringevano l'uno all'altro, perch l'abitudine ci aveva insegnato che un 'orchessa
poteva saltar fuori in ogni momento, in questi racconti,
abitati dallo strano e dal meraviglioso, e in cui gli uomini
e gli animali parlano la stessa lingua e si contendono il posto migliore.
Il racconto della Mucca degli orfanelli ci strappava
le lacrime, tanto erano tesi i fili della loro avventura.
Juh, per la sua furbizia era ai nostri occhi non solo
l'eroe della leggenda ma un vero eroe nazionale, a tal
punto lo consideravamo parte del mondo reale. Ne apprezzavamo la sfacciataggine, l'astuzia e l'intelligenza....
"C'era una volta un inverno molto freddo, la neve cadeva a larghe falde. .."eia famigliola si ritrovava intorno
al focolare dove ardeva la fiamma, e tutti in silenzio pendevano dalle labbra della vecchia. E i bimbi pi piccoli,
uno alla volta, si addormentavano...
XIV

In queste rievocazioni, a prima vista sdolcinate e nostalgiche, ma indubbiamente sincere, di due Berberi di
oggi sta tutto il rimpianto per una cultura tradizionale
minacciata, in cui le fiabe, i racconti, svolgevano un
ruolo di primo piano (Mouzaia 1986 e Chemime 1991).
Come ha dimostrato l'etnologa Camille LacosteDujardin in quello che finora un insuperato saggio
sulle fiabe berbere della Cabilia (1982), i racconti costituiscono un insostituibile archivio di usi, costumi, valori, visioni del mondo di una societ, sedimentati nel
tempo ma non immutabili, e spesso rideterminati con
il mutare dei tempi e delle situazioni.
Lungi dall'essere un semplice intrattenimento disimpegnato in un'epoca in cui non esistevano ancora radio
e televisione, le fiabe svolgevano innanzitutto una funzione di identificazione sociale, di trasmissione di valori e di ruoli, di istruzione dei giovani, di edificazione
religiosa. Non dimentichiamo che quella che noi oggi
pomposamente chiamiamo "mitologia classica" in origine non era altro che il contenuto delle "fiabe" che nutrivano i cuori e le menti degli antichi greci e latini.
Certo, esistono molti generi a seconda del contesto
narrativo, e ognuno tende a esaltare determinate funzioni. Nelle compagnie di giovanotti prevarranno i racconti faceti a fondo misogino, e viceversa in quelle di
sole donne non mancheranno le prese in giro dei maschi (funzione gratificante di identificazione nel gruppo); d'altro canto nelle confraternite religiose prevarr a n n o i racconti edificanti e moraleggianti (questi
ultimi non mancheranno anche nelle narrazioni materne ai figli); la tipica fiaba di incantesimo, in cui oltre al
resto vi una forte componente ricreativa, sar perlopi appannaggio di un pubblico infantile, e cos via.
Data questa variet non possibile tratteggiare una
fiaba-tipo. Esistono tuttavia alcune costanti. Infatti, la
fiaba, in quanto evocatrice di immagini le pi disparaXV

te, assai prossima a un rito magico, e come tale deve


rispettare determinate norme.
Il tempo: di norma non si possono raccontare fiabe
di giorno. Il momento pi indicato la sera dopo cena.
E ai bambini che insistono per farsene raccontare in
orari non ammessi viene detto che in tal caso prenderebbero la tigna.
Il modo: occorre delimitare con apposite frasi di
"apertura" e di "chiusura" lo spazio magico del racconto. Pu trattarsi di qualcosa di assai breve (il nostro
"C'era una volta..."), oppure di vere e proprie formule,
a volte relativamente lunghe. Si tratta perlopi di brevi
rime senza senso, parole misteriose (l'oscuro termine
cabilo Amashaho/u!...) assai affini alle formule magiche. Delle fiabe tradotte in questa raccolta solo quelle
della seconda parte contenevano sistematicamente formule del tipo:
Amashah!
Tellemshah!
A-ts-yessighzef Rebbi am-musar.
Che Dio lo renda lungo
come una cintura variopinta.
e:
Ha-ts-an tmashahuts-iu!
Bbwigh-ts-idd Iwad Iwad,
i warraw llejwad.
Eccolo, il mio racconto!
L'ho portato lungo il torrente,
per i figli dei nobili.
Anche le fiabe della prima parte dovevano prevedere
formule analoghe, che per sono state tralasciate
dall'autore che le ha pubblicate. In un solo caso stato
serbato un simpatico ritornello di uscita:
XVI

Sottil guscio han le teiere


ogni cruccio si dilegui!
Se hai scolato gi il bicchiere,
va', il cammino tuo prosegui!
Sembra invece che i Tuareg tendano a tralasciare
ogni convenevole prima di iniziare il racconto. Comunque anche nei loro racconti la conclusione quasi sempre accompagnata da qualche battuta che ricorda questo genere di formule.
Per venire poi al contenuto, oltre ai caratteristici temi
orientali dei racconti delle Mille e una notte (che sono
comunque meno diffusi di quanto si potrebbe pensare),
e a quelli "universali" come la rivalit tra matrigne e figliastri o tra suocere e nuore, molti spunti appaiono originali o condivisi piuttosto con tradizioni europee come
quelle dei fratelli Grimm. Relativamente cospicua anche la quantit di temi e - a volte - di intere fiabe in comune con tradizioni ebraiche, sia orientali sia yiddish,
soprattutto nelle fiabe di argomento mistico e allegorico. Nei brevi commenti che si sono fatti seguire alle fiabe sar possibile verificare questi fenomeni pi nel dettaglio.
Pur avendo diversi spunti in comune con le fiabe dei
Berberi del nord, quelle tuareg si distinguono per molti
aspetti, strettamente connessi con le condizioni di vita
di questo popolo. In particolare, sono quasi del tutto
assenti lo sfarzo e la magnificenza delle fiabe di incantesimo: qui i "principi azzurri" sono al massimo figli di
capitrib e gli splendidi palazzi sono sovente ancora
delle tende di nomadi. Inoltre, la natura selvaggia ancora ben presente nella vita di tutti i giorni fa s che assai numerosi e sentiti siano i racconti di animali, in cui
vengono messe alla berlina le fiere pi temute, la iena e
lo sciacallo.
XVII

Le fiabe contenute nella presente opera


Nell'impossibilit di presentare un quadro completo ed
esauriente delle innumerevoli tradizioni favolistiche
berbere, nella presente opera ci si limita a raccogliere
materiale rappresentativo di tre delle principali aree in
cui oggi viene ancora parlato il berbero: il Marocco, la
Cabilia (nel nord dell'Algeria), e il territorio tuareg nel
Sahara (Algeria, Mali, Niger).
Per il Marocco viene qui tradotta una raccolta di fiabe pubblicata in Germania da Uwe Topper (Mrchen
der Berber, Colonia, Eugen Diederichs Verlag, 1986),
che comprende sia materiali nuovi, sia la traduzione di
testi berberi gi pubblicati (in quest'ultimo caso, anche
la presente traduzione stata condotta sull'originale
berbero). Tale raccolta contiene brani di diverso argomento ed parsa quindi particolarmente adatta a offrire un campione significativo delle fiabe marocchine.
Tutti i generi vi sono rappresentati: fiabe di incantesimo, racconti buffi, satirici e di astuzie (tra cui un breve
saggio di racconti di Juh), storie di animali, leggende
di santi, miti delle origini ed escatologici. Questa variet stata resa possibile, tra l'altro, dalla diversa
estrazione dei narratori: da vecchi pescatori della costa
atlantica a cantastorie di professione che si esibivano
nelle piazze delle citt; da un'anziana donna residente
in citt a membri di trib nomadi che si esibivano nelle
loro tende; da gruppi di giovani spensierati a membri
di confraternite sufi.
E' abbastanza completo anche il panorama geografico. Infatti, per quel che riguarda le zone di provenienza
dei singoli racconti, sono rappresentate un po' tutte le
zone di lingua berbera del Marocco: il sud, in cui si
parlano dialetti della tashelhit, il centro (dialetti tamazight) e la regione costiera del nord, il cosiddetto Rif
(dialetti tarift).
Per l'Algeria, nel vastissimo panorama di opere esiXVIII

stenti, sia in berbero sia in traduzione, si pensato di


tradurre una raccolta particolare, opera di Taos Amrouche. Questa autrice (1913-1976), pur avendo scritto
soprattutto in francese, viene considerata una figura di
primo piano della cultura berbera, che contribu a
diffondere in occidente, anche in qualit di interprete
canora di numerosi canti tradizionali della Cabilia.
Marguerite era sorella di un altro scrittore di primo
piano (sia in lingua francese sia in berbero), Jean Amrouche, e figlia di quella Fadhma Ait Mansour Amrouche (1888-1967) la cui autobiografia, Histoire de ma
vie, un ineguagliabile affresco della vita dei Berberi
d'Algeria nella prima met del secolo. La raccolta di
fiabe qui tradotta (Marguerite-Taos Amrouche, Le
grain magique. Contes, pomes, proverbes berbres de
Kabylie, Paris, Maspro, 1966) considerata ormai un
"classico". Essa rappresenta la trascrizione in francese
dei racconti appresi in cabilo dalla madre, e il debito
nei suoi confronti testimoniato dal nome cristiano di
quest'ultima, Marguerite, preposto a quello di Taos
(che era invece battezzata col nome di Marie-Louise).
La pi genuina tradizione berbera vuole che alla narrazione dei brani favolistici vengano intercalate canzoncine, ninne-nanne, proverbi e modi di dire, e Taos Amrouche aveva conservato questo procedimento anche
nel testo scritto. Purtroppo per motivi editoriali non
stato possibile mantenere tali intermezzi ricreativo/educativi caratteristici del contesto narrativo. Questa traduzione sar quindi limitata ai testi dei racconti. In compenso, tali racconti presentano diverse caratteristiche
che li rendono particolarmente interessanti: innanzitutto essi sono stati concepiti gi dall'autrice per essere
pubblicati, e quindi non danno quell'impressione di "incompletezza" che tipica dei racconti orali trascritti tali
e quali con perdita di tutti gli elementi mimici, gestuali e
allusivi che rendono perfettamente comprensibile la
trama agli ascoltatori; inoltre, abbiamo qui una narraXIX

zione da parte di donne, che sono le vere depositarie del


patrimonio favolistico berbero, con le quali per raro
che gli studiosi (perlopi maschi) riescano ad avere contatti diretti, data la rigida separatezza dei sessi nella societ tradizionale. Questa provenienza femminile particolarmente notevole in alcune fiabe, come nella Storia
della rana o in Aisha, figlia mia, una pozza in cui spegnere
queste fiamme!: qui i mestieri di casa vengono descritti
con una minuzia e una precisione quali solo le donne, le
dirette interessate, potrebbero avere.
Quanto alle fiabe dell'area tuareg, stata qui tradotta - direttamente dal tuareg - una serie di testi pubblicati a scopo perlopi di studio linguistico. I primi nove
si trovano in: Dominique Casajus, Peau d'ne et autres
contes Touaregs, (Parigi, L'Harmattan,1985); i ventidue
successivi (dal 10 al 31 della presente raccolta) sono
contenuti in: Petites soeurs de Jsus, Contes touaregs de
l'Air, (Parigi, SELAF, 1974); gli ultimi quattro, infine,
sono riportati nella grammatica di Adolphe Hanoteau,
Essai de grammaire tamachek', (Algeri, 1859). A parte,
quindi, qualche racconto della regione dell'Azger (Tuareg del Nord), si tratta fondamentalmente di due raccolte relative alla regione dell'Air (in Niger, nei presi di
Agadez), composte in un dialetto particolarmente arcaizzante e fino a qualche anno fa poco studiato.
Delle tre parti della raccolta quella tuareg indubbiamente quella che pi risente di uno stile "orale", in quanto non , come le prime due, mediata, vuoi dall'autrice
francese, vuoi dal curatore tedesco. Nella traduzione si
cercato di evitare una rigida versione letterale quando
ci potesse creare difficolt di comprensione al lettore
europeo, e si sono ridotte al minimo le lunghe ripetizioni
che abbondavano nel testo originale. Questo fenomeno
delle ripetizioni particolarmente caratteristico dei racconti tuareg. Si pensi che, mentre un lettore italiano
abituato al massimo a imbattersi in qualche formula del
tipo "Cammina, cammina...", nei racconti tuareg non
XX

raro incontrare, in un contesto analogo, qualcosa come


"And, and, and, and...", ripetuto anche dieci volte.
Purtroppo, non di tutti i racconti conosciamo esattamente le circostanze della narrazione e l'esatta origine
del parlante. Quando vi una indicazione (la raccolta di
Casajus), si vede che si tratta generalmente di racconti
fatti da inaden "artigiani" o "fabbri", una categoria di
persone considerate razzialmente esterne alle trib tuareg presso le quali risiedono (tant' che contraggono
matrimoni solo tra loro), ma che di fatto sono assai integrate, al punto di essere considerate dallo studioso francese "i veri depositari della letteratura orale del gruppo".
Il secondo gruppo di testi stato invece raccolto da
suore missionarie, in localit anche distanti da quelle
di origine degli informatori, che vengono citati solo per
nome senza ulteriori specificazioni circa la loro trib e
la loro posizione sociale.
Viceversa, gli ultimi racconti furono raccolti nel secolo scorso dalla viva voce di alcuni nobili, parenti dei capitrib degli Ifoghas nell'Azger, a oriente dell'Ahaggar, che
ne fornirono anche una versione scritta in tifnagh. Rappresentano quindi un frammento autentico di quel mondo eroico, allora quasi incontaminato.
Nota sulle trascrizioni
Nelle trascrizioni di termini berberi e arabi si cercato
di mantenere una certa omogeneit e precisione senza
sovraccaricare il testo di simboli diacritici. Per questo
mancano i punti sottoscritti delle "enfatiche" e di una
particolare h, e si ricorso a digrammi per: sh (se di scena); kh (un suono analogo al tedesco eh di brauchen); gh
(il corrispettivo sonoro: ghayin arabo); th (come th inglese in three) e dh (come th inglese in this). In qualche
rara occasione il segno ' rende il suono 'ayin dell'arabo,
ma perlopi si evitato di trascriverlo.
XXI

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Glossario

agersemmi Frutti selvatici di montagna (Grewia villosa).


amico di Allah Resa italiana del termine wali "vicino,
amico", che indica quelle persone che per devozione e
santit sono ritenute particolarmente vicine a Dio e in
grado di intercedere presso di Lui. Di qui un culto popolare corrispondente a quello dei nostri santi,
burnus Caratteristico capo dell'abbigliamento maschile in Nordafrica. Consiste in un ampio mantello
con cappuccio.
cad colui che amministra la legge islamica su incarico dell'autorit politica. Per questo suo legame col
potere spesso visto con sospetto dalla gente semplice,
co-sposa Traduco cos il termine berbero takna, che
indica la "parentela" tra due donne, spose dello stesso
uomo.
cuscussiera Stoviglia apposita per la cottura del cuscus, che deve essere effettuata a vapore,
darwish "Derviscio". Persona dedita a pratiche ascetico-mistiche.
Ftiha Letteralmente "La Aprente". il nome della
prima sura del Corano, assai usata nelle preghiere e
per suggellare contratti e cerimonie.
Festa del Sacrificio Detta anche "Grande festa" (contrapposta alla "Piccola festa" della rottura del digiuno
di Ramadan): festivit in cui si commemora il sacrificio del primogenito di Abramo. In tale occasione ogni
XXVII

capofamiglia tenuto - se appena i mezzi glielo consentono - a sacrificare un montone o, all'occorrenza,


altri animali.
gandura Semplice vestito maschile costituito da una
tunica scollata, senza maniche n cappuccio,
hadith Racconti di detti o fatti della vita di Maometto,
utilizzati, insieme al Corano, come fonte del diritto
islamico.
Hajj Titolo onorifico che viene aggiunto al nome di chi
ha effettuato il pellegrinaggio alla Mecca,
henn Sostanza ricavata da una pianta (lawsonia inermis) e utilizzata per tingere di rosso i capelli o parti del
corpo (viso, mani, piedi) con disegni simili a tatuaggi
in occasione di determinate cerimonie, in particolare
nei matrimoni.
ifrit Jinn particolarmente imponente e, spesso, malvagio.
imam Letteralmente "colui che sta davanti", cio chi
guida la preghiera.
jallaba Sinonimo di gandura.
jinn Misteriose creature nominate spesso nel Corano e
al centro di particolari credenze in tutto il mondo musulmano. Sarebbero stati creati di pura fiamma e sarebbero perlopi invisibili. Ve ne sarebbero di buoni e
di cattivi, di musulmani e di infedeli,
jinniya Femmi ile di jinn.
kif Denominazione locale della canapa indiana, il cui
uso ancora relativamente diffuso in Marocco,
kohl Polvere di solfuro di antimonio che, stemperata
in acqua, viene usata per tingere di nero ciglia e sopracciglia.
luigi Moneta d'oro, un tempo diffusa in tutto il Nordafrica. Oggi il termine designa, per antonomasia, qualunque moneta d'oro.
Mahdi Personaggio dell'escatologia islamica, la cui venuta, alla fine del mondo, far rifiorire la giustizia e
l'equit.
marabutto Si definiscono cos quei pii personaggi apXXVIII

partenenti a un movimento di rinnovamento religioso


che si diffuse intorno al XV secolo, a partire da Seguia
El Hamra, localit nel sud del Marocco. I marabutti rivendicavano una discendenza dal Profeta e diedero vita
a intere trib "marabttiche", i cui membri sono ancora oggi trattati con venerazione.
muezzin La persona addetta ali'adhan, cio al richiamo ad alta voce dei fedeli alla preghiera dall'alto dei
minareti. Oggi sovente sostituito da un altoparlante,
reale Antica moneta spagnola, un tempo diffusa in
tutto il Nordafrica. Era la moneta di minor valore del
sistema.
ribat Costruzione fortificata adibita a luogo di ritiro
spirituale e sede di comunit religiose islamiche. Vi si
addestravano i marabutti.
sheikh Letteralmente "anziano". Vale anche "persona
degna di rispetto", "capo" di una trib (il nostro sceicco) o di una comunit religiosa.
sufi Letteralmente "l'uomo vestito di suf, di lana grezza". Era la divisa dei poveri religiosi, dediti a pratiche
mistiche e ascetiche. Da qui il termine "sufismo", che
designa l'ascetico-mistica dei musulmani,
sura Ciascuno dei "capitoli" in cui diviso il Corano,
libro sacro dell'Islam.
taghoda Cyperus bulbosus, variet di ciperacea.
tajin Una sorta di spezzatino; rag.
Taleb Letteralmente "studente" (di scuola coranica).
Pu designare, in generale, una persona particolarmente istruita nel campo della religione,
tallero Moneta d'argento di origine europea ma ancora usata in Nordafrica fino agli inizi del secolo,
trilli (lanciare) Tipica espressione (solitamente collettiva) di gioia o di dolore delle donne del Nordafrica.
tuwila Sclerocarya birrea, albero dal legno pregiato per
la fabbricazione di oggetti d'artigianato,
visir Primo ministro e consigliere privato del re.
wajjag Cenchrus biflorus, variet di graminacea nota
anche come "cram cram".
XXIX

Fiabe del popolo Tuareg

Parte I

Fiabe dei Berberi del Marocco

Fiabe di incantesimo

1. IL M O S T R O

Una giovane donna era rimasta sola col padre anziano. Quando, un giorno, questi cadde inanimato, venne creduto morto e deposto nella tomba. Sua figlia
gli portava tutti i giorni del cibo, e gli domandava:
Come posso venire da te, caro babbo?. Ed egli le
diceva: Figlia mia, fa' tintinnare i tuoi braccialetti
ed entrerai da me. La donna eseguiva e poteva cos
raggiungerlo e portargli del cibo.
Un giorno, uscita la figlia, ecco u n a iena bussare
con le zampe alla t o m b a dell'uomo e chiedere: Come posso venire da te, caro babbo?. E l'uomo rispose: Fa' tintinnare i tuoi braccialetti!. Allora la iena
fece un r u m o r e simile con le zanne e si intrufol nella tomba. A questo punto chiese: Dove devo cominciare a mangiare? Dai piedi o dalla testa?. Comincia dai piedi disse l'uomo.
Pi tardi arriv la figlia e chiese: Come posso venire da te, caro babbo?. E l'uomo: Figlia mia, il
nostro Signore ti dia forza. C' un animale selvatico
che mi sta divorando!. Fino a che p u n t o ti arrivata la sensibilit? chiese la figlia. Fino alle caviglie
rispose il padre.
Quando la figlia venne la volta successiva, chiese:
Caro babbo, fino a che punto ti arrivata la sensibilit? e questi rispose: La bestia arrivata a divor a r m i fino alle ginocchia. Q u a n d o t o r n la volta
5

successiva: Fino all'inguine. E poi: Fino all'ombelico. E quando arriv al torace, il padre disse: Figlia mia, che il Signore ti aiuti, la fiera ti perseguiter per divorare te.
Allora la d o n n a a n d nell'accampamento e trov
u n a canna di palude. La sollev ed ecco un uccellino
posarvisi sopra cantando. O uccellino della canna,
che vedi, che scorgi? chiese la d o n n a . Vedo u n a
cosa grande come un chicco di miglio e sta venendo
qui! E dopo un po' torn a chiedergli: O uccellino
della canna, cosa vedi?. E l'uccellino rispose: Vedo
u n a cosa grande come un chicco di frumento. E la
volta successiva: Grande come un chicco di granturco. E la quarta volta: Grande come un montone. Pi viene vicino pi diventa grosso. La quinta
volta era gi grosso come un toro e la sesta come un
cammello. Allora la donna gett via la canna e fugg
da un contadino che in quel m o m e n t o stava a r a n d o
con u n a coppia di muli.
Amico, gli disse la tua protezione la protezione di Dio. Aiutami e mi potrai sposare!
Cosa posso fare io contro il mostro! L'unica speranza che ti aiutino i miei animali. Mettiti in mezzo alle d u e mule aggiogate. Ora, se il m o s t r o caricher da davanti, i miei animali lo afferreranno coi
loro denti, mentre se attaccher da dietro, lo colpiranno coi loro zoccoli. Il mostro infatti non riusc a
divorare la donna e le disse: Ehi, tu, apri la bocca e
parliamo!. E lei di rimando: Che cosa a b b i a m o in
c o m u n e di cui io possa parlarti?. Allora egli le gett
un pezzo di brace, colpendola su un dente e annerendoglielo. Dopodich le disse: Adesso ti posso riconoscere! Andr in giro per il paese travestito da taglialegna o da mercante, vendendo cucchiai o merci
varie, e ti ritrover. Tu n o n hai un bel niente da
poter vendere rispose la donna.
6

Dopo che il mostro se ne fu scappato, il padrone


dei muli prese in casa la donna e la spos. Essa gli
partor un figlio. Il mostro si era trasformato in un
mercante e in questa veste attraversava gli accampamenti e i villaggi delle montagne alla ricerca della
donna. Tutte le donne che volevano comperare qualcosa dovevano togliersi il velo davanti a lui, altrimenti egli non vendeva loro nulla. Cos il mercante andava in giro finch non giunse nell'accampamento di
quella donna. Essa gli si present velata ma egli le
disse: Non vendo nulla a chi porta il velo!. Allora essa si tolse il velo ed egli la riconobbe subito. Le disse:
Se questa notte mi fai pernottare da te ti dar quello
che vorrai della mia mercanzia senza farti pagare.
Volentieri! disse la donna. Sii il benvenuto!
Nella tenda il mercante tir fuori le sue merci e le
regal tutto quello di cui essa aveva bisogno.
Quando poi venne la sera e giunse l'ora della m u n gitura, essa diede il figlioletto alla d o n n a a n z i a n a
che era nella tenda e and a mungere le pecore. Allora il mercante si avvicin alla vecchia e le disse: Da'
q u a il b a m b i n o che te lo tengo!. La vecchia glielo
diede ed egli lo prese e lo inghiott in un batter d'occhio. Poi macchi di sangue il petto della vecchia e
le appese al collo la m a n i n a del bimbo. Q u a n d o la
d o n n a torn dalla m u n g i t u r a e richiese il b a m b i n o
alla vecchia, questa disse: Non ce l'ho. L'ho dato al
mercante.
Lei non mi ha dato niente disse questi alla madre del bimbo. Allora la m a d r e si graffi le guance
dal dolore e grid: Che cosa mi hai fatto?. E la vecchia: Che cosa ti ho fatto? stato il tuo mercante
che se l' divorato!. Allora essa si graffi le guance
in segno di lutto fino a sfinirsi.
Il mattino successivo venne deciso di trasferire
l'accampamento. Il mercante si offr di pascolare i
7

cammelli mentre la gente preparava i bagagli. Egli


sospinse i cammelli nel bosco, divor il pi grosso e si
infil nella sua pelle, e poi ricondusse indietro i rimanenti. La gente pose i propri carichi sui cammelli, e
sul pi grosso fu sistemata la tenda grande. Poi la carovana si mise in marcia. Il cammello grosso, che
portava la tenda pesante, fece un paio di passi e poi
croll. Venne scaricato il suo fardello, il cammello
venne fatto inginocchiare come si deve e fu caricato
di nuovo. Sulla sponda di u n a fiumara il cammello
cadde di nuovo e il carico fin in fondo all'avvallamento. Allora il mostro usc dal travestimento e balz
sulla donna gridando: Ti divorer! Divorer tutto,
perfino la terra su cui cammini!.
Per Allah, disse la d o n n a permettimi solo di
chiamare qui un cane per dargli l'addio.
Fa' pure! rispose il mostro.
Allora essa si mise a gridare: Padrone dei cavalli,
padrone delle pastoie!. Allora suo marito accorse e
si rese conto di quello che stava succedendo. Si prepar alla lotta e disse alla moglie: Se vedrai sanguinare me per primo, allora lancia trilli di gioia, ma se
il mostro che sanguiner per primo, allora gambe
in spalla e mettiti in salvo!.
L'uomo lott col mostro, e questi stacc via il mignolo all'uomo; allora la donna lanci trilli di gioia.
Quindi fu l'uomo che stacc u n a testa al mostro, e
poi ancora un'altra, poi la terza, la quarta, la quinta
e anche la sesta, ma non l'ultima. Allora il gigante gli
disse: Staccami anche la settima!. Ma l'uomo non
lo fece, e invece gli disse: Solo un vecchio setaccio
lascia passare tutto!. Infatti egli sapeva bene di non
potergli staccare a n c h e l'ultima testa, perch altrimenti sarebbero ricresciute da capo tutte e sette. Cos il mostro dovette morire.
Allora la gente r e c u p e r la t e n d a dal letto della
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fiumara, la caric su un cavallo e continu il trasferimento fino al nuovo posto dove collocare l'accamp a m e n t o . Qui t r o v a r o n o u n a m u l a che pascolava.
Guarda! disse il marito. di sicuro Allah che ci
fa d o n o di q u e s t a m u l a in sostituzione del n o s t r o
cammello. Presero la mula e la legarono a un paletto davanti alla loro tenda. Allora la mula disse alla
donna: Guarda i miei denti, con cui ti divorer!.
La donna fu colpita dalla p a u r a e fugg da suo marito. Guarda che la mula adesso vuole mangiarmi!
Leghiamo stretta la bestia! disse il contadino. E
cos fecero.
Dopo cena la donna chiam il suo cane, se ne and
fino all'acacia che si trovava nelle vicinanze e vi si nascose. Nel frattempo la mula rosicchi i suoi legacci,
si avvent sull'uomo e lo uccise. Lo inghiott, poi si
slanci sulla tenda e se la divor tutta. Quindi, furibonda, si mise a cercare la donna, ma non la trov.
All'alba comparvero dei cavalieri e videro la d o n n a
sull'albero. La aiutarono a scendere e le chiesero:
Che cosa successo?. stata quella mula laggi
rispose la donna. Ha divorato la nostra tenda e inghiottito mio marito. Con le sciabole sguainate i cavalieri si gettarono contro la mula gridando: Restituisci Ali come era!. Allora la mula lo restitu vivo.
La povera donna tuttavia mor dallo spavento, il suo
fegato era spezzato.

2. L'ACQUA C H E N O N CADE DAL C I E L O


E N O N S G O R G A DALLA T E R R A

Nei tempi antichi viveva u n a volta un u o m o anziano


che aveva un solo figlio di n o m e Yasin. Yasin crebbe
fino a diventare un giovanotto, ma non possedeva n
un cavallo n un fucile. Non si considerati un vero
9

u o m o se non si h a n n o n un cavallo n un fucile, e


per questo Yasin si vergognava sempre, tutte le volte
che incontrava i suoi amici, a tal p u n t o che fin per
ammalarsene. Suo padre era molto povero, ma amava Yasin e riflett a lungo sul m o d o di aiutarlo, e un
giorno gli disse: C' u n a sola soluzione. Vendimi,
cos potrai comprarti ci che ti spetta.
Yasin and al mercato con suo padre e lo vendette, tuttavia il ricavato bast a p p e n a per un cavallo,
dal m o m e n t o che suo padre era anziano, e di conseguenza il suo prezzo era basso.
A capo chino Yasin fece ritorno a casa sul suo cavallo. Allora la m a d r e , che era m o l t o p r e o c c u p a t a
per lui, gli disse: Vendi me, figliolo, affinch col ricavato tu possa comprarti un bel fucile ed essere un
u o m o tra gli uomini.
Yasin si rec con lei al mercato e la vendette, poi
acquist un fucile, sal a cavallo e prese a cavalcare
nella steppa cacciando. Arrost quello che aveva cacciato e se lo mangi, finch gli venne sete; per non
aveva acqua con s. Cavalc a lungo in tutte le direzioni alla ricerca di qualche beduino, ma senza risultato. Alla fine si coric all'ombra del suo cavallo per
riposare. Ma la sete si faceva sempre pi forte. Allora si rivolse al cavallo e alz la m a n o passandogliela
s o t t o l'ascella e bevve il b i a n c o s u d o r e . In q u e s t o
m o d o egli pot p r o s e g u i r e il suo c a m m i n o f i n o a
raggiungere u n a grande citt.
Alle m u r a e agli alberi di questa citt erano appesi
teschi e ossa u m a n e . Yasin ne volle sapere il motivo
e interrog un vecchio che trov seduto sotto i bastioni.
Il vecchio gli rispose: Su di noi si abbattuta u n a
grossa sventura. Il re vuole fare s p o s a r e sua figlia
Amina, ma essa vuole accettare solo un u o m o che
sia pi intelligente di lei. Il pretendente deve porle
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un indovinello, e se essa n o n riesce a risolverlo lo


sposer. Ma se lo risolve, ordina al boia di tagliargli
la testa; finora non ha trovato nessuno che la vincesse. Tutti quelli che ci si sono provati sono stati decapitati, e le loro teste sono state appese alle mura.
Yasin ringrazi il vecchio e diresse il suo cavallo verso il palazzo del re.
La p r i n c i p e s s a lo vide e lo invit a e n t r a r e . Poi
pretese che lui le ponesse un indovinello. Yasin riflett un momento, poi disse:
Dimmi: chi ha venduto sua madre e suo padre?
Chi ha bevuto l'acqua che non sgorga
dalla terra e non cade dal cielo?
La p r i n c i p e s s a disse: Lasciami sette giorni di
tempo. Se entro questi sette giorni io avr trovato la
soluzione, ti far tagliare la testa; ma se non ci riuscir, ti sposer. Yasin a c c o n s e n t e se ne a n d .
Prese dimora in u n a casa diroccata ai margini della
citt e si ripos del suo lungo viaggiare.
Dopo sei giorni di attesa, si rec al castello per vedere se la principessa avesse trovato la soluzione
dell'indovinello. Quando la incontr, essa era in grandi angustie perch continuava a non conoscere la soluzione.
Per Yasin non era per ancora il m o m e n t o di rallegrarsi, dal m o m e n t o che restava ancora un giorno.
La p r i n c i p e s s a aveva u n a g r a n d e p a u r a di essere
sconfitta e n o n voleva darsi per vinta.
Perci si travest da vecchia mendicante e segu le
tracce di Yasin, per scoprire dove alloggiasse. Qui essa attese che fosse calata la notte, dopodich entr
da lui e gli disse con voce contraffatta: Buona sera,
figliolo! Vedo che sei contento. Ma come si pu essere contenti in un paese come questo, dove le m u r a
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sono guarnite di teschi u m a n i ! Liberaci da questo


malanno, dalla principessa Amina!.
Yasin le disse: O nonnina, gi da domani la figlia
del re non far pi danno, perch all'alba di domani
mi sposer. Essa n o n pu trovare la soluzione dell'indovinello, e io sono convinto che sar sconftta.
Allora la principessa travestita da mendicante gli
chiese di r a c c o n t a r e la sua storia, e lo s p r o n con
molte parole, maledicendo mille volte la principessa
Amina.
Allora Yasin le raccont come avesse venduto suo
padre e sua m a d r e e come avesse bevuto il sudore
del cavallo q u a n d o aveva avuto sete. La vecchina fece un'altra volta i suoi auguri a Yasin, imprec contro la figlia del re e riprese il cammino. Yasin si add o r m e n t e sogn la sua vittoria sulla principessa.
Quando, il mattino seguente, si dest, trov l vicino un fazzoletto e riconobbe subito che era il fazzoletto della principessa Amina. Essa lo aveva perduto
il giorno p r i m a senza accorgersene. Allora Yasin si
avvide di avere commesso un grande errore, e rimase perplesso sul da farsi. Abbandonare il paese con
u n a fuga ignominiosa, o affrontare a testa alta la
morte?
Alla fine decise di affrontare a testa alta la morte.
Yasin cavalc fino al palazzo, dove gi lo attendeva la principessa col suo seguito. Egli la salut rispettosamente e le chiese la soluzione dell'indovinello. Allora essa n a r r tutta la storia e chiam il boia.
In quell'istante Yasin disse:
Ditemi quale colomba volata coi venti
e ha perso una penna dell'ala;
e ci che stato detto ieri sera,
com' che lo sentiamo oggi?
12

Poi estrasse il fazzoletto di Amina e lo agit per


salutare. Il seguito della principessa riconobbe subito il fazzoletto, cosicch essa dovette a m m e t t e r e la
propria sconfitta e sposare Yasin.

3. IL M E R C A N T E , L'IFRIT E I T R E V E C C H I

Si n a r r a che nei tempi antichi avvenne questo: un


m e r c a n t e , che col c o m m e r c i o aveva a c c u m u l a t o
molte ricchezze, un giorno usc a cavallo dalla sua
citt per vedere la campagna, e q u a n d o il caldo si fece opprimente, si sedette a riposare sotto un albero.
Per rifocillarsi prese dalla tasca della sella u n a manciata di datteri e li mangi, gettando i noccioli dietro
di s con noncuranza. Tutt'a un tratto sorse davanti
a lui un gigantesco ifrit che, b r a n d e n d o u n a spada,
gli disse con voce imperiosa: Alzati, che ti voglio
uccidere, perch tu hai ucciso mio figlio!. Il mercante, i m p a u r i t o , rispose: Come? Io avrei ucciso
tuo figlio?. Al che l'ifrit ribatt: Tu hai gettato dietro di te i noccioli dei datteri che hai mangiato. Un
nocciolo ha colpito mio figlio al petto, lo ha passato
da parte a parte e lo ha ucciso all'istante. Il mercante rispose: Sappi, o ifrit, che io sono un u o m o dabbene, con u n a grande quantit di beni e moglie e figli. Perci, ti prego, lasciami t o r n a r e a casa p e r
assegnare a ciascuno la sua parte di eredit secondo
misura e giustizia. Poi torner da te, affinch tu possa fare di me ci che vorrai. E ti giuro che lo far, e
che Allah sia il garante delle mie parole!. L'ifrit gli
credette e lo lasci andare.
Q u a n d o egli giunse a casa, r a d u n i n t o r n o a s
moglie, figli e servi, e comunic loro ci che gli era
capitato. Essi cominciarono a piangerlo, ma egli li
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consol dicendo di avere ancora tempo fino alla fine


dell'anno.
Nel f r a t t e m p o egli regol le sue faccende, poi si
vest a festa e si prepar per il viaggio. La sua famiglia, i suoi vicini e amici lo accompagnarono fino alla p o r t a della citt tra pianti e lamentazioni. Cos
egli usc verso la c a m p a g n a diretto al luogo in cui
aveva incontrato l'ifrit, dove giunse proprio il p r i m o
giorno del nuovo anno. Allora si sedette piangendo il
proprio destino. Alle sue spalle si fece avanti fino a
lui un vecchio con u n a gazzella al guinzaglio, e gli
disse: Salve, s t r a n i e r o , ti a u g u r o u n a l u n g a vita!
Perch te ne stai seduto qui, in questo luogo di asilo
dei jinn?. Allora il mercante gli narr quale sciagura lo minacciasse e perch se ne stava in attesa in
quel luogo. Il padrone della gazzella si meravigli e
disse: Per Allah, tu sei un u o m o dabbene e il tuo destino singolare, ma non determinato in m o d o immodificabile. Poi si pose a sedere accanto a lui e gli
disse: Fratello, n o n ti lascer pi finch n o n avr
visto che cosa far di te L'ifrit.
Ciononostante, il mercante aveva u n a grande paura e tremava. Ed ecco avanzare verso di lui un secondo vecchio, che portava con s due cani neri. Salut tutti e due cortesemente e chiese loro perch se
ne stessero seduti in quel luogo infestato dai jinn. Allora il mercante gli rifer tutto dal principio, e come
egli fosse cos rattristato perch di l a poco sarebbe
giunto l'ifrit per prendersi la sua vita. A quel p u n t o
anche il secondo vecchio si sedette e promise di rim a n e r e loro a c c a n t o . M e n t r e essi p a r l a v a n o cos,
c o m p a r v e un t e r z o vecchio che aveva con s u n a
m u l a . Egli s a l u t s e c o n d o l'uso della regione e si
inform sulla salute di quegli uomini e volle sapere
perch essi se ne stessero seduti in un luogo che apparteneva ai jinn. Il mercante torn a raccontare la
14

p r o p r i a esperienza con l ' i f r t , la sua p r o m e s s a e il


motivo della sua tristezza.
Improvvisamente si lev un grande turbine di sabbia che avvolse completamente gli uomini. La sabbia non aveva fatto in tempo a posarsi che gi l'ifrit
si trovava davanti a loro con la spada sguainata, e diceva al mercante: Alzati, che ti voglio uccidere, perch tu hai ucciso mio figlio!. Il mercante proruppe
n u o v a m e n t e in alte lamentazioni, per cui il p r i m o
vecchio, quello della gazzella, si alz, baci la m a n o
del l'ifrit e disse: O spirito, incoronato re dei jinn, se
io ti raccontassi quello che mi capitato con questa
gazzella che qui vedi e tu trovassi s t u p e f a c e n t e il
mio racconto, mi faresti dono di un terzo del sangue
di quest'uomo?. S, vecchio, rispose l'ifrit se trover stupefacente il tuo racconto ti far dono di un
terzo del sangue di quest'uomo. Devi d u n q u e sapere cominci a raccontare il vecchio che questa
gazzella la figlia di mio zio, sangue del mio sangue,
e che io l'ho sposata quand'era ancora molto giovane, e a b b i a m o vissuto insieme per t r e n t a n n i , senza
per che lei mi desse un figlio. Allora mi presi u n a
schiava come seconda moglie, e questa mi partor
un figlio. Egli divent un bel giovane dagli occhi
chiari e di spirito brillante. Q u a n d o ebbe quindici
anni, dovetti intraprendere un lungo viaggio che mi
tenne parecchio tempo lontano da casa.
Mia moglie da piccola aveva imparato la magia,
e cos, durante la mia assenza, gett un incantesimo
su m i o figlio t r a s f o r m a n d o lui in un torello e s u a
m a d r e , la mia s e c o n d a moglie, in u n a m u c c a , e li
consegn ai nostri pastori. Al m i o r i t o r n o da quel
lungo viaggio, chiesi a mia moglie dove fossero mio
figlio e sua madre. Essa mi disse: "La tua seconda
moglie morta e tuo figlio fuggito, e non so dove si
sia diretto".
15

Trascorsero molti anni e il mio cuore era pieno di


tristezza. Giunse l'annuale Festa del Sacrifcio, e io
ordinai al pastore di portarmi u n a vacca grassa, ed
egli mi port colei che era diventata u n a m u c c a in
seguito all'incantesimo di mia moglie. Io mi preparai, presi il coltello grande e mi accinsi a macellare
l'animale, quando vidi che la vacca era tutta pelle e
ossa ed era assolutamente priva di grasso. Allora la
riconsegnai al pastore e gli chiesi un altro animale
che fosse pi in carne. Egli mi port un torello, e per
la precisione proprio quello che era mio figlio e aveva assunto questo aspetto in seguito all'incantesimo
di m i a moglie. Q u a n d o mi vide, si liber c o n u n o
strappo della fune che lo teneva, mi si avvicin e cominci a brucare accanto a me. E intanto emetteva
sonori lamenti. Allora mi colse la compassione e dissi al pastore: "Portami pure la mucca e lascia stare
questo toro!". Quando il toro ud le mie parole, prese
a piangere ancora di pi.
E il p a d r o n e della gazzella prosegu: O signore,
re dei jinn, t u t t o ci a c c a d u t o veramente, e m i a
moglie, la figlia di mio zio, assisteva anch'essa e mi
diceva: "Ors, sacrifica q u e s t o toro, dal m o m e n t o
che bello grasso!". O r d i n a i q u i n d i al p a s t o r e di
prenderlo e sgozzarlo lui, perch il mio cuore n o n lo
avrebbe sopportato. Allora il pastore si rivolse a me
e mi disse: "Mio signore, io ho u n a figlia che fin da
piccola ha imparato da u n a vecchia le arti magiche.
Ieri mia figlia venuta a casa con un torello e ho visto che si era coperta il volto e piangeva; poi si mise
a ridere e mi disse: 'Padre mio, d a m m i in sposa a
quest'uomo che sta accanto a me'. Io chiesi: 'Dov'
un u o m o accanto a te, e perch p r i m a piangi e poi
ridi?'. E lei mi rispose: 'Questo toro che sta accanto a
me il figlio del tuo padrone, ma in preda a un incantesimo e cos pure sua madre: questo il segreto
16

del mio pianto e del mio riso'. Sul m o m e n t o per io


n o n le ho creduto, e solo q u a n d o ho visto come tu
esitavi a macellare la m u c c a e il t o r o che ti avevo
portato ho capito che doveva essere vero".
Quando udii queste parole, o signore dei jinn, mi
colse u n a grande gioia e mi recai in fretta col pastore nella sua casa, salutai sua figlia e le baciai la mano, poi le chiesi: "Mostraci che le tue parole sono vere e libera dall'incantesimo questo toro e sua madre,
se lo puoi!". Essa disse: "S, signore, lo far". Allora
le promisi la propriet di tutti i beni che suo padre, il
pastore, amministrava per mio conto. Essa sorrise e
disse: "Non voglio ricevere dei beni, ma ti richiedo
solo due cose: per p r i m a cosa che tu mi lasci sposare
tuo figlio, e per seconda cosa ti chiedo di potere punire io stessa con un incantesimo colei che ha fatto
l'incantesimo a lui e a sua madre".
Quando udii queste parole, o signore dei jinn, mi
rallegrai ancora di pi e accettai entrambe le condizioni. Allora la figlia del pastore prese un recipiente,
lo riemp d'acqua e ne asperse il toro dicendo: "Come vero che Dio ti ha fatto assumere le tue attuali
sembianze, cos possa tu ora tornare nel tuo aspetto
precedente, quello con cui Dio ti ha originariamente
creato!". Allora il toro ridivenne un u o m o , e io gli
dissi: "Per Allah, raccontaci tutto quello che successo a te e a tua madre!". Egli ci fece il resoconto,
dopodich la figlia del pastore liber dall'incantesimo anche la m a d r e trasformata in mucca.
Con grande gioia permisi alla figlia del pastore di
sposare mio figlio e concessi loro tutti i beni che il
pastore aveva a m m i n i s t r a t o per conto mio, e molti
altri a n c o r a . D o p o d i c h la figlia del p a s t o r e trasform mia moglie in u n a gazzella, che quella che
tu vedi qui accanto a me, o signore dei jinn. Questa
la mia storia. Non la trovi stupefacente, o signore dei
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jinn? Egli rispose: Questa storia davvero stupefacente, e io ti faccio dono di un terzo del sangue del
mercante.
Allora si alz il secondo vecchio, quello che aveva
due cani, e disse: O signore, re dei jinn, questi due
cani sono i miei fratelli, e se io ti raccontassi come
successo che si sono trasformati in cani, e tu trovassi stupefacente la mia storia, mi faresti poi dono di
un terzo del sangue di questo mercante?. L'ifrit rispose: S, raccontamelo, e se lo trover stupefacente, ti far dono di un terzo del sangue di questo mercante.
Allora il vecchio prese a narrare la storia seguente:
Eravamo tre fratelli. Quando mor nostro padre, ci
lasci tremila dinari. Con essi aprii un negozio e cominciai a vivere di commercio. Un giorno dovetti intraprendere un lungo viaggio d'affari e affidai il negozio ai miei fratelli. Q u a n d o , d o p o l u n g h e
peripezie, fui finalmente di ritorno, non avevo pi
nulla con me, perch t u t t o era a n d a t o p e r d u t o nel
viaggio. I miei fratelli, per, non mi biasimarono, e
anzi divisero con me quello che nel frattempo avevano guadagnato col negozio. Allora lodai Dio di avermi dato questi fratelli, e ricominciai il mio commercio nel negozio.
Qualche tempo dopo, f u r o n o i miei fratelli a voler intraprendere un viaggio, e mi pregarono di and a r e c o n loro. Avevo un bel r i c o r d a r e loro le mie
sventure e gli incerti dei viaggi per affari: essi non si
lasciarono dissuadere e continuarono con insistenza
a pregarmi, finch cedetti. C o n t a m m o d u n q u e il den a r o che avevamo g u a d a g n a t o tutti e tre insieme,
u n a met la impiegammo nell'acquisto di merci, cavalli e animali da soma, e l'altra met la dividemmo
in tre parti uguali, in m o d o che ciascuno di noi rice18

vette la sua parte e la nascose p e r l'eventualit che


dovessimo tornare senza alcun ricavo.
Quindi p a r t i m m o per il viaggio e c o n d u c e m m o
la nostra carovana per un mese intero attraverso territori desolati, finch g i u n g e m m o a u n a citt dove
per le nostre merci ricavammo il decuplo di quanto
ci e r a n o costate. Con q u e s t o ricavo a c q u i s t a m m o
merci di grande valore e ci m e t t e m m o di nuovo in
c a m m i n o per t o r n a r e nella nostra citt di origine.
Quando giungemmo sulla riva del mare, mi apparve
all'improvviso u n a giovane donna svestita, di grande
bellezza e dai lunghi capelli lucenti. Costei mi disse:
"Se hai bont e possiedi dei beni, d a m m e n e un po' e
io ti contraccambier!". Io risposi: "Di beni io ne ho
di certo, e anche di bont non me ne manca, per cui
ti voglio fare un dono". Essa mi disse: "Poich tu mi
doni qualcosa, anch'io ti f a r un dono: p r e n d i me
come mio dono per te!". Allora la presi, la rivestii di
splendide stoffe e la feci salire sul mio cavallo. Mi ci
affezionai a tal p u n t o che non volevo pi separarmi
da lei n di giorno n di notte, poich aveva conquistato appieno il mio cuore.
I miei fratelli, per, c o m i n c i a r o n o a invidiarmi
per questa bella donna, e lo potevo vedere dai loro
sguardi. La mia donna mi mise in guardia contro di
loro dicendo: "Essi ti uccideranno e p r e n d e r a n n o i
tuoi beni, per possederli tutti da soli". Io per non le
credetti, e le raccontai invece q u a n t o i miei fratelli
fossero stati buoni con me quando, la p r i m a volta,
ero ritornato dal viaggio senza pi un soldo. "Essi
s o n o b u o n i nei loro cuori, e n o n f a r a n n o nulla di
male" le dissi.
Ma quella notte, mentre io dormivo accanto a mia
moglie, essi ci sollevarono, ci portarono sulla scogliera e ci gettarono in mare. Mia moglie, che era la figlia
di un jinn, si trasform istantaneamente in un grande
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uccello, e quando io riemersi dall'acqua, mi afferr e


mi port su un'isola vicina. Quindi torn ad assumere
il suo aspetto di donna e disse: "Io sono la figlia di un
jinn e ti ho salvato t r a s f o r m a n d o m i in uccello. Non
avere timore, io appartengo a quei jinn che h a n n o optato per Dio e il suo regno. Ora mi vendicher sui tuoi
fratelli e li uccider". Io ne fui assai stupito e la pregai
di risparmiare i miei fratelli. Essa disse: "Allora n o n li
annegher, come avevo deciso di fare. Ma questa notte mi trasformer di nuovo in un uccello. Allora siediti sul mio dorso: voler fino al tuo paese".
Quella notte si trasform nuovamente in un grosso uccello e mi trasport per il lungo tratto che ci divideva da casa mia. Qui giunti, mi depose sul tetto. Il
mattino scesi, salutai la mia gente ed entrai in casa,
dove trovai questi due cani legati. Quando essi mi videro, si misero a guaire. Ma io non sapevo da dove venissero, finch mia moglie, che era tornata ad assumere sembianze umane, disse: "Questi sono i tuoi
due fratelli, che non ho potuto annegare perch tu mi
hai pregato di risparmiarli. Li ho invece m a n d a t i da
mia sorella, che li ha trasformati in cani per dieci anni, passati i quali essi ridiverranno uomini".
Questa, o signore e padrone dei jinn, la mia storia. Non la trovi stupefacente? S, disse l'ifrit essa stupefacente e io ti faccio dono di un terzo del
sangue di questo mercante.
Allora si alz il terzo vecchio, quello con la mula, e
disse: O signore e re di tutti i jinn, questa m u l a
mia moglie, e se ti racconter come ha fatto a diventare cos e tu troverai stupefacente la mia storia, mi
farai dono di un terzo del sangue di questo mercante?. S, disse l'ifrit cos sia.
Allora il terzo vecchio incominci il suo racconto:
Tornando un giorno da un lungo viaggio, trovai mia
moglie nel letto con due schiavi negri, che si diverti20

vano, scherzavano e giocavano insieme. Mi colse allora l'ira e stavo per precipitarmi su di loro q u a n d o
essa prese un vaso con dell'acqua e mi asperse con essa dicendo: "Abbandona il tuo aspetto attuale e assumi l'aspetto di un cane!".
Divenni cos un cane e corsi fuori dalla porta ritrovandomi nella via dove c'era un macellaio, al quale rubai un pezzo di carne. Allora il macellaio mi cattur, mi leg e mi port a casa sua per uccidermi.
Sopraggiunse la figlia dell'uomo e si copr il volto
davanti a me. Poi chiese a suo padre: "Perch h a i
p o r t a t o qui quest'uomo?". Suo p a d r e disse: "Dov'
un uomo?". Essa rispose: "Questo cane un u o m o
che ha subito un incantesimo da parte di sua moglie.
Ma io posso liberarlo". All'udir ci, suo padre disse:
"Dio sia con te, figlia mia, libera quest'uomo!". Allora essa prese un recipiente con dell'acqua, recit degli scongiuri e mi asperse con un po' di quell'acqua.
Aggiunse poi queste parole: "Abbandona il tuo aspetto attuale e assumi il tuo aspetto originario e persisti
in esso!". Allora le baciai le mani e la pregai di gettare un incantesimo sulla m i a moglie malvagia, cos
come essa aveva fatto nei miei confronti. Essa prese
dal recipiente un po' dell'acqua su cui aveva recitato
gli scongiuri, me la diede e disse: "Va' da tua moglie,
e q u a n d o la troverai a d d o r m e n t a t a , aspergila con
l'acqua e la trasformerai in quello che vorrai!".
Io feci c o m e mi aveva detto, e la t r a s f o r m a i in
u n a mula. E questa mula che voi vedete qui accanto
a me, o re e signore di tutti i jinn, colei che un tempo stata mia moglie. Si rivolse quindi alla mula e
le chiese: vero ci che ho detto? e la mula fece
cenno col capo per significare che era vero.
Allora l'ifrit si alz, si scosse la polvere di dosso e
disse al terzo vecchio: Trovo stupefacente la tua storia e ti faccio d o n o dell'ultimo terzo del sangue di
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questo mercante. Quindi l'ifrit sfrecci via come un


uragano.
Il mercante abbracci i tre vecchi, ringraziandoli
pi e pi volte, d o p o d i c h tutti fecero r i t o r n o alle
proprie case e vissero felici in mezzo ai loro cari finch la morte li port via.

4. IL PRINCIPE M O H A M M E D , C H E RAP LA FIGLIA


DEL CAPOTRIB DEI NOMADI

Un giorno il principe M o h a m m e d se ne andava a


passeggio a cavallo in compagnia della sua guardia
del corpo quando giunse nell'accampamento di un
capotrib dei n o m a d i . Qui egli vide u n a fanciulla
bellissima, e a partire da quel m o m e n t o non disse
pi u n a parola. Torn a casa, si mise a letto e non
parl pi con nessuno, n e m m e n o con il padre o la
madre. Allora il re fece bandire per la citt questo
annuncio: "Chi riuscir a porre a mio figlio u n a dom a n d a capace di ottenere u n a sua risposta, ricever
in dono tutto quello che desidera al mondo. Ma a
colui cui mio figlio non risponder far tagliare la
testa".
Si fecero avanti i suoi amici e lo interrogarono,
ma egli non rispose n e m m e n o u n a parola. Il re fece
tagliare loro la testa. Alla fine f u r o n o in novantanove
ad avere la testa tagliata. Si fece quindi avanti u n a
vecchina che disse al re: Voglio p o r r e io u n a dom a n d a a tuo figlio!. Il re disse: Vattene, vecchia!.
La vecchina aveva i capelli bianchi e le rimaneva un
solo dente che assomigliava alla chiave di u n a prigione. La vecchia t o r n a ripetere: Eppure, io voglio porre u n a d o m a n d a a tuo figlio!. Il re aggiunse:
Sono gi novantanove le teste che ho fatto tagliare,
con te potremo completare il centinaio. La vecchia
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disse solo: Macch, se solo riuscissi a parlargli!.


Allora il re disse: Avanti, entra!.
La v e c c h i n a e n t r al c o s p e t t o del p r i n c i p e
Mohammed, lo guard e quindi gli disse: Che cosa
ti m a n c a , p e r s t a r t e n e disteso nel t u o giaciglio a
guardare fsso il cielo? Sei stato forse colpito da due
occhi neri?. Al che il figlio del re balz in piedi e
disse: S, vecchia!. Allora il re comand: Portate
qui la vecchia!. Il re le diede tutto ci che desiderava ed essa se ne a n d . A q u e s t o p u n t o il p r i n c i p e
and dal re e gli disse: Voglio solo questa fanciulla
nomade!. Il re gli rispose: Va' e prendi con te delle
guardie del corpo!. Allora essi partirono e chiesero
la m a n o della fanciulla al capotrib dell'accampam e n t o di nomadi. Il capotrib rispose: Datemi solo
un mese per pensarci su!. Essi si dissero d'accordo
e fecero ritorno a casa.
Quando essi si f u r o n o allontanati, il capotrib fece b a n d i r e p e r l ' a c c a m p a m e n t o : "Cosa dovr fare
per non farmi portare via la figlia dal figlio del re? A
chi sapr d a r m i un b u o n consiglio, la conceder in
sposa". Nell'accampamento viveva a n c h e un u o m o
m a l a t o di tigna, che si fece avanti e gli disse: Ti
d a r io un consiglio sul da farsi p e r evitare che il
principe ti porti via la figlia. E il capotrib dei nomadi disse: Se tu mi darai un b u o n consiglio, te la
dar in sposa. Il tignoso gli chiese: Quanto lungo
il tempo che hai stabilito col figlio del re per pensarci su?. Il capotrib rispose: Ci siamo accordati per
un mese. Allora il tignoso disse: E tu per un mese
devi viaggiare!. Il capotrib disse: D'accordo. Faremo cos!. E ordin a tutti: Domani leveremo le
tende!. Cos il mattino seguente partirono. Viaggiarono per un mese intero. Ma in tutti i luoghi ove facevano t a p p a per la notte la fanciulla deponeva un
23

piccolo panino, u n a ciotola d'acqua e u n a manciata


di chicchi d'orzo.
Ritorniamo ora con la storia al figlio del re! Quando fu trascorso un mese, egli disse alle sue guardie
del corpo: Ors, a n d i a m o dal capotrib dei nomadi!. Balzarono a cavallo e raggiunsero il luogo dove
era stato l'accampamento, ma lo trovarono deserto.
Allora il figlio del re rovist con un bastone il terreno, fino ad arrivare al luogo dove era stata la tenda
della fanciulla, e disse ai suoi uomini: qui che stava la mia fanciulla!, poich aveva trovato la pagnottella, la ciotola d'acqua e la m a n c i a t a d'orzo. Disse
tra s: "La f a n c i u l l a vuole che io la segua". Disse
quindi alle sue guardie del corpo: Chi vuole, pu seguirmi; chi non vuole, torni indietro fino alla citt!.
Allora le guardie del corpo tornarono indietro, e il figlio del re prosegu il viaggio da solo. Alla fine giunse al castello di un ifrit, lo osserv per bene e disse
tra s: " proprio qui che deve trovarsi la mia fanciulla!". Mentre egli attendeva all'entrata, vennero
f u o r i tre fanciulle, che gli dissero: O bel giovane,
vattene via! Qui c' un ifrit che sta per venire a divorarti!. Il giovane disse loro: Se verr l'ifrit, so ben
io che cosa gli far!.
Il giovane si pose a sedere e aspett che giungesse
la notte. Allora apparve l'ifrit, scorse il giovane e gli
chiese: Che cosa ti ha portato qui, o pezzo di briccone trasportato dal fiume?. Il giovane ribatt: Fatti
avanti e affrontami, ors combattiamo! Sguaina la
spada!. Poi disse: Nel nome di Dio!. L'ifrit sguain
la spada e il giovane sguain la sua e si affrontarono.
Alla fine il giovane lo sollev in alto e lo scaravent a
terra, dopodich afferr la spada e si accingeva a ucciderlo quando l'ifrit gli grid: Non uccidermi! Tu sarai il mio padrone in questo e nell'altro mondo!. Poi
l'ifrit si rialz e disse: Vieni, entriamo in casa!.
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Venne gi la maggiore delle tre fanciulle, che voleva


portare su l'ifrit. Ma l'ifrit le disse: Porta questo giovane, egli il mio padrone in questo e nell'altro mondo!. Il giovane le disse: Non portarmi!. Salirono
tutti insieme e vi rimasero tre giorni, dopodich il giovane disse all'ifrit: Tu rimani qui fino al mio ritorno,
e gli raccont tutto quello che gli era accaduto. Allora
egli disse al giovane: Non mi abbandonare! Io ti accompagner in questo e nell'altro mondo!. Allora essi si misero in viaggio insieme e raggiunsero l'accamp a m e n t o della fanciulla. Qui essi appresero che quello
stesso giorno doveva aver luogo il matrimonio della
fanciulla; il tignoso voleva farla sua sposa. Allora si
precipitarono al gran galoppo nell'accampamento,
p u n t a n d o dritti verso la tenda della fanciulla. Gli abitanti dell'accampamento si alzarono e f u r o n o assai
stupiti nel vedere i due cavalieri. Essi proseguirono
nel galoppo, l'ifrit, in veste di servitore negro, afferr
la fanciulla e la colloc sul cavallo dietro al principe
M o h a m m e d . Quindi i due, con la fanciulla, si diedero
alla fuga. In seguito a ci gli abitanti delle tende levarono grandi grida e presero a inseguirli. Quando li ebbero raggiunti, il principe M o h a m m e d disse all'ifrit:
Rivolgiti contro di loro!. Allora il servitore negro si
rivolse contro di loro, sollev in alto un cavallo degli
avversari e con esso abbatt cinquanta uomini in un
sol colpo. Dopodich proseguirono il loro c a m m i n o e
raggiunsero nuovamente la casa dell 'ifrit, dove rimasero tre giorni.
Da l presero con s le tre fanciulle e si diressero
alla volta della citt del re; avevano ora quattro fanciulle al loro seguito. Quando il re le vide, fu preso
da un ardente desiderio e disse ai suoi fidi: Provvedete a uccidere mio figlio!. Essi risposero: Lo faremo. Poi a n d a r o n o dal figlio del re e gli dissero:
Vieni con noi a fare un'escursione a cavallo! e lo
25

condussero in un luogo selvaggio per ucciderlo. Ma


ebbero compassione e gli dissero: Per Allah, ti caver e m o gli occhi. Egli d o m a n d : Perch?. Ed essi
ribatterono: Tuo padre ci ha c o m a n d a t o di ucciderti. Egli disse: Mi sta bene. E quelli gli cavarono
gli occhi.
Il povero giovane si sedette sotto un albero,
quand'ecco avvicinarglisi due colombe, che cominciarono a parlare tra loro. Una disse all'altra: Se sapessi che propriet ha il mio albero, ti meraviglieresti!. E l'altra le chiese: Che p r o p r i e t ha?. La
p r i m a rispose: Se un cieco prende u n a foglia dell'albero e fa gocciolare negli occhi il liquido che ne fuoriesce spremendola, torna a vedere.
Poi chiese: E il t u o albero, che propriet ha?.
Essa rispose: Il mio? Se si mette u n a sua foglia in
un otre per fare il b u r r o e lo si scuote, tutto quello
che c' dentro diventa burro. Il giovane era stato ad
ascoltare, trov l'albero, prese u n a foglia, la schiacci e fece gocciolare il liquido negli occhi; ed ecco
che torn a vedere. Disse: Sia lode ad Allah!, poi si
port dov'era l'altro albero e si riemp le tasche di foglie. Quindi prosegu, incontr un pastore e gli disse:
Se vorrai d a r m i i tuoi abiti, io ti dar i miei, ma mi
dovrai dare anche quel capretto spelacchiato. Il pastore disse: Mi sta bene.
Si tolse quindi i propri indumenti e li diede al giovane, mentre il giovane deponeva gli abiti regali e li
dava al pastore; d o p o d i c h p r e s e il capretto, lo
sgozz e lo scuoi. Prese la pelle, la port a un corso
d'acqua e la lav, poi se la avvolse intorno al capo in
m o d o da sembrare un tignoso. Raggiunse un accamp a m e n t o di nomadi, dove trov u n a vecchia che era
tutta sola, e le disse: Per Allah! O vecchia, posso restare da te?. La vecchia gli rispose: Vieni pure, fi26

gliolo, io non ho nessuno, tu sarai per me un figlio,


dal m o m e n t o che n o n ne ho alcuno!.
Prese cos ad a b i t a r e c o n la vecchia, e q u a n d o ,
u n a volta, costei volle fare il burro, il giovane prese
l'otre e le disse: Far io il burro!. Scosse un po'
l'otre, e q u a n d o la vecchia n o n guardava, vi introdusse di nascosto u n a foglia. Ed ecco in un istante il
latte rappreso trasformarsi in burro. La vecchia rit o r n e constat che l'otre era pieno di b u r r o fino
all'orlo. Meravigliata, lo and a raccontare alla gente. Q u a n d o la notizia giunse all'orecchio del capo
dell'accampamento, questi disse ai suoi uomini: Far e m o fare il b u r r o a quel giovane, ora per questo ora
per quello, a turno, in m o d o che costui produca molto b u r r o per ogni abitante dell'accampamento.
R i t o r n i a m o ora a p a r l a r e di suo padre! Q u a n d o
f u r o n o di r i t o r n o i suoi a c c o m p a g n a t o r i , egli dom a n d loro: Avete ucciso mio figlio?. Ed essi dissero: Lo abbiamo ucciso. Allora il padre invi dalle fanciulle d u e delle sue g u a r d i e del corpo, ma
q u a n d o costoro fecero per entrare, l'ifrit li apostrof:
Dove volete andare?. Essi risposero: Vogliamo
andare dalle fanciulle, per portarle dal re. L'ifrit disse: Qui non pu entrare nessuno al di fuori del mio
padrone!. Ma essi insistettero: Noi abbiamo l'ordine di entrare! e quando vollero mettersi a combattere, egli afferr u n o di loro e colp l'altro con esso.
M o r i r o n o tutti e due. Allora il re m a n d c i n q u e
guardie del corpo, ma l'ifrit le uccise tutte. Quello ne
invi dieci, ed egli le uccise tutte; quello ne invi
cento, e lui le uccise tutte; quello invi un esercito,
ed egli lo annient completamente. Allora il re fece
b a n d i r e : Ors, sia guerra!. Il servitore n e g r o li
combatt e li sopraffece tutti quanti.
Quando la notizia di tutto questo giunse agli abitanti dell'accampamento di nomadi e costoro si mi27

sero a p r e p a r a r e le armi in vista della guerra, il tignoso (Mohammed) disse: Andr io da solo!. Il capotrib gli disse: Come pensi di riuscire tu l dove
non arrivano gli uomini validi? Faresti meglio a restartene con il tuo burro!. Il tignoso rispose: Dammi solo un cavallo e me ne andr alla guerra!.
Ora, egli c o m b a t t insieme a loro per un giorno
intero, e sconfisse il servitore negro. Vergognandosi,
il negro and dalle fanciulle e disse: Tra di loro vi
u n o che combatte come il mio padrone. Allora esse
gli dissero: Prendi questa arancia! Se domani il tuo
avversario arriver e ti sconfigger, gettagli questa
arancia! Se egli la prender e la bacer, deve trattarsi del tuo padrone. Il negro la prese e la ripose.
Il giorno successivo, q u a n d o il tignoso si ripresent p e r c o m b a t t e r e c o n t r o di lui, il negro prese
l'arancia e gliela gett. Il suo p a d r o n e l'afferr e la
baci, poi tir via la pelle che gli copriva il capo e lasci scendere liberi i capelli. Allora il negro lo precedette ed entrarono in casa.
La gente li segu dicendo: Il tignoso entrato in
casa. Ma a questo punto egli si rivolse contro di loro e prese a combatterli. Quando raggiunse suo padre, lo colp e gli tagli la testa. Divenne quindi re e
la gente fu felice perch egli govern con rettitudine.
Dopo che li ho lasciati, sono subito venuto qui.

5. A H M E D U-N-AMIR

C'era u n a volta un giovane, al quale era rimasta solo


la madre. Tutti i giorni egli andava alla scuola coranica e si istruiva. Di notte, per, mentre dormiva, venivano gli angeli e gli tingevano le mani di rosso con
l'henn. Al mattino andava a scuola, il maestro vedeva le mani rosse di henn e lo picchiava col suo ba28

stone. Un giorno il giovane disse al maestro: Mio signore, non sono io a tingermi le mani di henn, questo avviene di notte, m e n t r e d o r m o . Al m a t t i n o ,
q u a n d o mi sveglio, le mani sono tinte di rosso. Allora il maestro disse: Sai cosa devi fare? e prosegu:
La p r o s s i m a notte, q u a n d o ti stendi per dormire,
prendi un vaso, mettici dentro u n a piccola lucerna a
olio accesa e mettici sopra un coperchio, in m o d o
che all'esterno non si veda alcuna luce. Poi sta' molto attento e non addormentarti, ma fai solo fnta di
dormire. S, mio signore disse lo scolaro e torn
a casa.
La sera egli fece come gli aveva consigliato il maestro. Verso mezzanotte giunsero degli angeli femmina, e gli tinsero le m a n i con l'henn. Allora egli ne
afferr una, ma le altre fuggirono.
Q u a n d o il giovane tolse il c o p e r c h i o dal vaso,
scorse u n a fanciulla. La fanciulla disse: O Ahmed,
lasciami andare! Tu non potresti esaudire il mio desiderio. Egli disse: Non ti lascer andare, visto che
per colpa vostra subisco ogni giorno delle bastonate. Ma la fanciulla torn a pregarlo: Lasciami andare, Ahmed! Tu n o n potresti esaudire il mio desiderio. Allora egli chiese: E qual il tuo desiderio?.
Essa rispose: Io ho bisogno di sette stanze, u n a
dentro l'altra, e devono potersi aprire tutte con u n a
chiave. Egli disse: Cos sar. Lei prosegu: Nessuno al di fuori di te deve poter entrare nelle stanze!. Egli disse: Mi sta bene.
La fanciulla abit quindi nella sua stanza, finch
egli ebbe costruito le sette stanze, dopodich si sposarono. Essi vissero insieme per molto tempo. Tutte
le volte che egli usciva, chiudeva a chiave le stanze e
nascondeva la chiave nel letamaio. A sua m a d r e egli
non aveva per detto che cosa si trovava nelle stanze. Essa aveva u n a gran voglia di entrarvi, ma non
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sapeva dove il figlio nascondesse la chiave. Un giorno u n a gallina, razzolando nel letame, port alla luce la chiave. La m a d r e la trov, schiuse le stanze u n a
dopo l'altra, finch giunse nell'ultima stanza e vide
la fanciulla. Costei si spavent moltissimo, ma ancora di pi si spavent la madre, che fugg via. Richiuse a chiave tutte le stanze e torn a mettere la chiave
nel letamaio.
Q u a n d o il giovane fu di ritorno, prese la chiave,
apr la p r i m a stanza e la trov bagnata. Nella seconda stanza l'acqua gli arrivava ai malleoli, nella terza
fino al polpaccio, nella q u a r t a fino alle ginocchia,
nella quinta fino alla coscia, nella sesta fino alla cintola, e nella s e t t i m a fino alle spalle. Allora vide la
fanciulla, che era seduta sul davanzale della finestra
e piangeva. Allora le chiese: Che cosa ti successo?. Essa disse: Nulla, solo che tua m a d r e venuta
fin qui. Ora aprimi subito la finestra, in m o d o che io
possa riprendermi un po'. Quando il giovane ebbe
aperto la finestra, la fanciulla voleva volarsene via;
egli le afferr in fretta la m a n o per tenerla ferma, ma
lei gli lasci in m a n o un anello. Poi si trasform in
u n a colomba e vol via, dicendo: Se tu vuoi, raggiungimi nel settimo cielo! e scomparve.
Il giovanotto usc, si compr un cavallo e si mise
in viaggio. Per tre anni and in giro per il paese. Un
bel giorno si imbatt nei piccoli di un falco immenso, che sembrava u n a casa volante quando si librava
nell'aria. Il giovanotto sgozz il suo cavallo e ne diede la carne ai piccoli del falco. Quando la loro m a d r e
fu di ritorno, vide i suoi piccoli che mangiavano contenti la carne, e quindi esclam: Chi ci ha fatto quest'opera di bene? Che venga fuori, e ci che egli desidera possa il nostro Signore concederglielo!. Allora
il giovanotto rispose dicendo: Sono stato io!. E
l'uccello replic: Che cosa desideri?.
30

Il giovane rispose: Io desidero solo che tu mi porti f i n o al s e t t i m o cielo. Il volatile rispose: Sii il
benvenuto! e prosegu: Sali e mettiti a cavalcioni
sul mio dorso!. Il giovane sal e subito partirono in
volo. Quando il falco fu giunto al settimo cielo depose il giovane.
Il giovanotto si diresse allora verso u n a sorgente, e
vide un albero accanto a essa, su cui si arrampic.
Giunse u n a schiava negra per attingere acqua. Essa
vide il volto del giovane riflesso nell'acqua. Si mise
quindi a gridare: Sono cos bella e devo continuare
a portare l'acqua alla mia padrona?. Sollev in aria
il vaso e stava per fracassarlo a terra. Ma il giovane
la apostrof: Aspetta, aspetta! Quello che hai visto
il m i o viso! e p r o s e g u chiedendole: Di chi sei
schiava?. Ed essa gli disse il nome della sua padrona. Egli le ordin: Prendi questo anello e portalo alla t u a padrona!. La schiava prese l'anello e se ne
and. Quando fu giunta a casa, consegn l'anello alla padrona. Allora la p a d r o n a le disse: Prendi il mio
asino e caricalo di fieno, poi infila il giovanotto nel
fieno e portalo cos in casa!. La schiava and e fece
proprio ci che le aveva detto la padrona. Port cos
in casa il giovanotto che, qui giunto, usc dal fieno.
Ora, egli visse per un certo t e m p o insieme a sua
moglie. Essa and e gli fece vedere tutta la casa. Arrivata davanti a u n a botola del pavimento, disse: Tu
puoi entrare in tutte le stanze della casa, solo n o n
devi varcare mai questa porta!. Cos egli rimase con
lei e pass molto tempo.
Un giorno, era la grande Festa del Sacrificio, egli
disse tra s: "Per Dio, per u n a volta voglio guardare
al di l di questa porta che mi stato detto di n o n
aprire mai!". Egli vi and, la apr e vide sua m a d r e
sulla terra che teneva con u n a m a n o u n m o n t o n e ,
ma n o n riusciva a sgozzarlo. Allora essa esclam:
31

Dove sei, mio Ahmed, aiutami a sgozzare il montone!. Dopodich si mise a piangere. Quando il giovanotto ebbe visto ci, fu preso da pena per la m a d r e e
balz gi. I venti lo ridussero completamente in polvere. Una goccia del suo sangue cadde sul m o n t o n e
e lo uccise, le dita caddero su di u n a roccia, e subito
ne s g o r g a r o n o c i n q u e sorgenti. Ma lui era m o r t o .
Andate in pace!

6. IL RE CON UN FIGLIO BIANCO E UNO N E R O

Un re aveva due mogli: u n a era bianca, bella come


u n a giornata luminosa, e l'altra era nera, bella come
u n a notte serena. Ambedue le mogli gli diedero un
figlio, ciascuno somigliante alla sua m a m m a . Ma il
re amava il figlio bianco pi di quello nero.
Un giorno si present a palazzo reale un viandante, che disse al re: O re, mio signore, tu non devi stim a r e in m a n i e r a differente ci che Dio ti ha donato!. Q u a n d o egli usc, il principe bianco gli corse
dietro e lo apostrof: Cosa stai cercando qui da noi,
straniero?. Il v i a n d a n t e gli disse: Quello che ho
detto n o n l'ho detto per conto mio. Ma dal m o m e n t o
che tu sei cos adirato, ti dir qual il tuo destino:
lontano da qui vive u n a fanciulla, bella come tu non
hai mai visto, essa sar il tuo destino. Dopodich se
ne usc dal palazzo.
Il principe, per, divenne assai triste e domandava
a t u t t i dove si potesse t r o v a r e la bella fanciulla.
Quando non pot pi resistere, preg il fratello nero
di mettersi in viaggio con lui alla ricerca della fanciulla. Cos essi partirono sui loro cavalli e giunsero
in u n a i m m e n s a foresta, e qui si fece notte. Essi trovarono u n a grotta e vi si distesero per dormire. Ma il
principe nero n o n dorm, e rimase di guardia. Intor32

no a mezzanotte giunse un leone che voleva divorarli. Allora il principe nero prese la propria spada e uccise il leone. Poi gli tagli le orecchie e si mise a dorm i r e . Al m a t t i n o , il p r i n c i p e b i a n c o vide il leone
morto, si spavent e chiese al fratello: Cosa vuol dire tutto ci?. Allora il principe nero raccont come
avesse ucciso il leone che li voleva divorare.
Continuarono quindi a viaggiare nella foresta per
tutto il giorno, e anche la notte successiva giunsero a
u n a grotta, dove viveva un'orchessa. Il principe bianco voleva entrare subito, ma il fratello nero voleva
dissuaderlo. Allora l'orchessa venne fuori e li invit a
e n t r a r e . Essi d u n q u e e n t r a r o n o , m a n g i a r o n o u n a
p a p p a preparata dall'orchessa e si distesero per dormire. Ma l'orchessa aveva anch'essa due figli, che si
stesero su un bel t a p p e t o m o r b i d o , m e n t r e i d u e
principi dovettero d o r m i r e per terra. Non a p p e n a
anche l'orchessa si fu addormentata, il principe nero
si alz, trasfer i figli dell'orchessa dal tappeto in terra e mise suo fratello a dormire sul tappeto, su cui
anch'egli si distese e si addorment. Nella notte, l'orchessa si alz, prese il suo coltellaccio e tagli la testa ai due figlioli stesi per terra, perch credeva che
fossero i due forestieri. Poi torn a coricarsi e riprese a dormire. Ma il principe nero stava in guardia e
q u a n d o scopr quello che era successo, svegli il fratello e tutti e due se ne andarono di nascosto. Il principe nero si port anche via il paiolo dell'orchessa.
Viaggiarono t u t t a la m a t t i n a t a e g i u n s e r o a un
ampio fiume che attraversarono con l'aiuto dei loro
cavalli. Erano appena arrivati dall'altra parte quando videro l'orchessa che, s e g u e n d o le loro tracce,
aveva raggiunto la riva del fiume. Vedendo i due che
se ne stavano sull'altra sponda, essa domand: Come avete fatto ad arrivare di l?. E il principe nero
le rispose: Abbiamo nuotato sui nostri cavalli, altri33

menti n o n avremmo potuto farcela. Dal m o m e n t o


che l'orchessa n o n aveva cavalli, dovette tornarsene
indietro.
I due c o n t i n u a r o n o a cavalcare e giunsero a u n a
steppa arida. Qui essi trovarono dei pastori con le loro greggi di capre. Accanto ai m a g r i pascoli vi era
per un bel bosco con l'erba di un bel verde vivo. Allora il principe nero chiese: Perch non andate pi
avanti a pascolare i vostri animali, in quel bel bosco,
invece che qui in questo arido pianoro?. I pastori
risposero: Quel b o s c o a p p a r t i e n e a un orco, che
non ci lascia pascolare, ci mangerebbe tutti. Ma il
principe nero disse: Andate pure fin laggi e fateci
pascolare i vostri animali! L'orco n o n vi far nulla di
male. Allora i pastori condussero i loro armenti nel
verde bosco, ma b e n presto giunse di corsa l'orco,
che disse: Cosa avete intenzione di fare nel mio bosco? Allontanatevi, marmaglia!. In quella il principe nero gli si p a r dinanzi e gli disse: Lasciali pascolare o ti uccider!. L'orco sollev la sua clava,
ma il principe fu pi veloce e gli tagli la testa con la
spada. Il principe nero tagli via il lungo ciuffo di capelli all'orco morto e lo ripose nelle tasche della sella
insieme alle orecchie del leone e al paiolo. Dal mom e n t o che da l in avanti la foresta si faceva sempre
pi fitta, lasciarono i loro cavalli presso i pastori e
proseguirono a piedi.
Verso sera giunsero alla grotta di un gigante e gli
chiesero riparo per la notte. Il gigante li fece entrare.
Poi il principe nero prese il suo rasoio e gli tagli i
capelli e la barba. Ci fece molto piacere al gigante,
che quindi si inform sullo scopo del loro viaggio. Il
principe bianco raccont allora come si fosse innam o r a t o p e r d u t a m e n t e di quella bella fanciulla che
doveva essere il suo destino. D o m a n d anche: Dove
p o t r m a i trovarla?. Allora il gigante gli rispose:
34

Salite su quel monte, arrampicatevi fino in cima, e


troverete un castello. L vive mio fratello, che tiene
prigioniere due fanciulle, u n a bianca e u n a nera. Sono sicuramente loro quelle che cercate.
Il mattino dopo, i due principi si inerpicarono sulla cima dell'alto m o n t e ed entrarono nel castello. Il
gigante per n o n c'era, perch era gi a caccia. I due
principi attraversarono tutte le stanze e alla fine trovarono le due fanciulle, u n a bella come u n a giornata
l u m i n o s a , e l'altra bella c o m e u n a n o t t e s e r e n a .
Q u a n d o i d u e giovani le videro, esse g r i d a r o n o :
Correte via, presto, perch qui vive un gigante che
ci tiene in suo potere. Se torna, vi manger!. Ma essi non se ne fuggirono via, e si misero invece a parlare con le belle fanciulle. Q u a n d o fu sera, sentirono
avvicinarsi il gigante, e allora le fanciulle nascosero i
due principi in due grossi vasi. Il gigante entr e subito disse: Sento odore di umani! Dove sono?. Ma
le fanciulle risposero: Come p o t r e b b e un u m a n o
osare entrare in questo castello? Devi esserti sbagliato. Deponi il capo sul mio grembo, ti voglio accarezzare un po'. Allora il gigante si distese e si lasci accarezzare dalle fanciulle, fino ad addormentarsi. A
questo p u n t o i due principi uscirono dai vasi, presero per m a n o le fanciulle e lasciarono con loro il castello. Raggiunsero nuovamente i pastori, ripresero i
loro cavalli e se ne a n d a r o n o via al galoppo.
Quando il gigante si svegli, n o n trov pi le due
fanciulle, e cap subito che e r a n o fuggite. Allora si
precipit sulle loro tracce e giunse dai pastori. Chiese loro: Non avete visto due fanciulle passare per di
qua?. Ma i pastori risposero: Abbiamo visto solo
due animali ciascuno dei quali aveva quattro zampe
e trasportava quattro zampe. Dal m o m e n t o che il
gigante non cap la risposta, dovette tornarsene a casa a mani vuote.
35

I due principi con le loro fanciulle giunsero a un


f i u m e che era molto impetuoso. Il principe bianco
disse al fratello: Passa tu per primo, io ti seguir!.
Il principe nero entr nel fiume col suo cavallo, e a
quel p u n t o il principe bianco afferr u n a pietra e la
scagli c o n t r o suo fratello, che c a d d e i m m e d i a t a m e n t e nel fiume e a n d a fondo. Il cavallo e la sua
d a m a si salvarono giungendo sull'altra riva, mentre
il principe nero veniva trasportato via dalla corrente.
Fu poi il principe bianco che penetr nel fiume col
suo cavallo e riusc felicemente a portarsi sull'altra
sponda insieme alla sua fanciulla. Qui prese la fanciulla nera, la minacci di morte se n o n avesse taciuto, e la fece continuare a piedi dietro al suo cavallo
come propria schiava. Arrivarono cos al castello del
p a d r e , dove v e n n e r o accolti con gioia. Il p r i n c i p e
r a c c o n t di avere c o m p i u t o lui t u t t e le gesta pi
eroiche, mentre il fratello sarebbe m o r t o nel tentativo di imitarlo.
Allora il re fece annunciare le nozze.
Torniamo ora dal principe nero. Egli non era morto, era rimasto solo tramortito. Pi a valle il fiume lo
gett sulla riva. Q u a n d o il giovane si fu ripreso, risal l'argine e ritrov anche il suo cavallo. Balz in
sella e si diresse verso la sua citt natale. Qui si rec
in un albergo e si f e r m per riposare. Q u a n d o poi
u d che suo fratello voleva festeggiare le nozze, si
r e c al castello, dove si teneva un g r a n d e t o r n e o
equestre. Entr anch'egli col suo cavallo nella corte,
e u n o alla volta a b b a t t tutti i cavalieri, f i n c h si
trov a tu p e r tu c o n il fratello. E, a f f r o n t a t o l o a
duello, lo sconfisse e gli tagli la testa.
Mentre tutti gi stavano balzando sul principe nero per via di questa cosa inaudita, costui si port a
cavallo al cospetto del re e gli disse: Caro padre, io
sono l'altro tuo figlio. Quindi gli raccont come si
36

era svolta ogni cosa e gli fece vedere le prove, che


portava con s nella tasca della sella: le orecchie del
leone, il ciuffo di capelli dell'orco e il paiolo dell'orchessa. Allora anche la fanciulla nera prese a narrare
come il principe bianco avesse colpito il fratello con
u n a pietra mentre egli attraversava il fiume. A questo p u n t o il re proclam davanti a tutti: Ecco il mio
figlio diletto, sar lui che regner dopo di me!. Poi
lo spos con le due fanciulle.
Che Allah perdoni noi e voi!

7. L'UCCELLO BIANCO E L'UCCELLO N E R O

C'era u n a volta, molto, m o l t o t e m p o fa, un re che


aveva u n a figlia bellissima. Quando essa fu cresciuta, la fece vivere sempre in u n a casa che le aveva fatto costruire nel giardino, in m o d o che non le capitasse mai di provare il dolore. Una vecchia schiava
negra le portava tutti i giorni da mangiare, e nessun
altro aveva il permesso di andare da lei. Tutti i cibi
e r a n o scelti con cura: la c a r n e senza ossa, il p a n e
senza crosta, i datteri senza noccioli.
Un giorno, al m o m e n t o di andarsene, la schiava si
dimentic di richiudere la porta. Allora un giovane
penetr nella casa e raccont alla fanciulla che nella
vita reale il bello e il brutto, il d u r o e il morbido, il
dolce e l'amaro, la gioia e il dolore sono mischiati tra
loro, cosicch la figlia del re fu colta dalla bramosia
di sperimentare tutto ci e se ne usc nel giardino.
Da un punto in cui poteva guardare al di l delle mura vide un q u a r t i e r e del b a z a r e la m o l t i t u d i n e di
gente che vi si aggirava. Ud anche un u o m o che annunciava: Semi dei fiori della tristezza!. E r a n o
proprio quello che faceva al caso suo, e la figlia del
re corse incontro all'uomo e si fece dare un po' di se37

mi. Dopodich fece ritorno a casa e interr i semi in


un vaso posto sul balcone.
In poco tempo le piantine germogliarono e la fanciulla ebbe ben presto la gioia di vedere degli splendidi fiori. Il mattino dopo corse a vedere i suoi fiori e
c o n g r a n d e s o r p r e s a scopr che d u e uccelli, u n o
b i a n c o e u n o nero, e r a n o giunti in volo e coi loro
becchi strappavano le corolle e rovinavano le piante.
Allora, non avendo niente altro sottomano, prese
il proprio bracciale e lo scagli contro gli uccelli per
scacciarli; l'uccello b i a n c o a f f e r r con destrezza il
bracciale e se ne vol via portandolo con s, accomp a g n a t o dall'uccello nero. La figlia del re r i m a s e
sconsolata p e r c h i suoi fiori e r a n o ridotti in u n o
stato miserevole.
Il mattino dopo, recandosi sul balcone, scopr con
gioia che i fiori si erano ripresi e che nuovi calici si
offrivano alla sua vista. Ma la sua gioia si rivel di
breve durata perch tornarono a farsi vivi i due uccelli, che ripresero a strappare i fiori. Non avendo
niente altro s o t t o m a n o , la principessa prese la coroncina che aveva in capo e la scagli contro gli uccelli, che per anche questa volta in un baleno la afferrarono e se la portarono via. Questo fatto si ripet
ogni mattina per un'intera settimana, e ogni volta essa scagli un monile contro gli uccelli, che se lo presero.
Allora la principessa fu colta da u n a profonda tristezza per la perdita dei suoi fiori e si confid col padre. Essa lo preg di convocare da lei tutte le d o n n e
della citt che avessero provato un dolore perch potessero raccontarle ciascuna la propria vicenda. Cos
fu fatto. Il giorno dopo molte donne convennero nella casa della principessa e, dal m a t t i n o fino alla sera,
a n d a r o n o avanti a raccontare t u t t o ci che pesava
sui loro cuori, ma dopo ogni racconto la figlia del re
38

ripeteva: Non poi cos grave, il mio dolore molto


maggiore.
Da ultimo, venne il turno di u n a giovane schiava
negra, che disse: Ieri, mentre mi recavo al fiume
per lavare gli indumenti, vidi giungere sull'altra riva
un cammello che non era condotto da nessuno. Nelle sue borse vi erano delle stoviglie d'argento, che se
ne andavano da sole nel fiume e si lavavano come
m o s s e da m a n i invisibili. D o p o d i c h le stoviglie
rientrarono nelle borse e il cammello si accinse a
partire. Non vedendo intorno anima viva, venni colta dalla curiosit; lasciai perdere gli indumenti da
lavare, guadai rapidamente il fiume e seguii il cammello tenendomi attaccata alla sua coda. Giungemmo cos a un'alta parete rocciosa, e mentre gi pensavo che la strada terminasse l, le rocce si aprirono
e noi p o t e m m o entrare. All'interno della montagna
vi era un magnifico castello, le cui porte si aprirono
da sole. Entrai e vidi giungere in volo due uccelli,
u n o c o m p l e t a m e n t e bianco e u n o c o m p l e t a m e n t e
nero, che si immersero nella vasca per fare il bagno.
Quando riemersero erano due bei giovani, u n o bianco come un principe e uno nero come u n o schiavo.
Si trasferirono in u n a delle stanze, dove mani invisibili servirono loro i cibi pi squisiti. Ma il principe
non tocc nulla di tutto ci e cos pure il suo servitore. Il principe disse al servitore: "Portami il cofanetto con i monili!". Il giovane negro port il cofanetto e lo apr. Allora il principe ne tir fuori un
bracciale d'oro, u n a coroncina e un fermaglio, sollev i monili in m o d o che questi risplendessero alla
luce, e disse con voce triste: "Questo bracciale, questa coroncina e questo fermaglio me li ha lanciati
lei. Oh, potesse essere presto mia! Quanto bella,
dalla p u n t a dei capelli fino ai piedi, tutto assolutamente armonioso in lei!".
39

Con un sospiro, la figlia del re invit la giovane negra a proseguire il suo racconto. Ed essa continu:
Quando il principe parl con tanta tristezza, i gioielli scoppiarono in singhiozzi nelle sue mani. Io passai
la notte nel castello senza farmi scoprire e al mattino
ritornai al fiume insieme al cammello, quando questo
port di nuovo le stoviglie a lavare.
Non credi, cara signora, che il dolore di questo
principe sia pi grande del tuo?
La principessa sospir ancora pi profondamente,
quindi chiese alla giovane negra: Domattina vieni a
prendermi presto e portami al fiume, dopodich seguiremo tutte e due il cammello. Ma di tutto ci non
fare parola con nessuno.
Come promesso, il mattino successivo la giovane
negra venne a prendere la figlia del re. Corsero al fiume e, quando videro arrivare il cammello sull'altra
sponda, lo guadarono, osservarono le stoviglie che si
lavavano da sole e seguirono quindi il cammello nel
suo c a m m i n o verso i monti. Anche questa volta la
roccia si apr, cosicch le due giovani poterono entrare nel castello. Si nascosero dietro u n a tenda e si misero ad aspettare che l'uccello bianco e quello nero
giungessero in volo e si immergessero nella vasca per
fare il bagno. Osservarono gli uccelli trasformarsi in
giovani e andare in u n a stanza dove aprirono il cofanetto dei gioielli. Ma quando il principe estrasse u n o
per u n o i monili, questi cominciarono a ridere di cuore e a parlarsi con allegria. Sbalordito, il principe domand: Di che cosa ridete?. Ed essi risposero: Ridiamo perch la nostra p a d r o n a qui!. Il principe,
per, non capiva il significato di queste parole e disse
con tono addolorato: Oh, se lei fosse qui, lei che la
pi bella di tutte, colei che io tanto amo!. A questo
p u n t o la figlia del re non pot pi trattenersi e balz
fuori dicendo al giovane: Essa qui e ti ama!. Cad40

dero l'uno tra le braccia dell'altra e si scambiarono la


promessa di matrimonio. La giovane negra abbracci
lo schiavo negro e anch'essi si scambiarono la promessa di matrimonio. Sette giorni e sette notti durarono i festeggiamenti delle nozze, e nessuno ha pi
sentito parlare di loro.
Sottil guscio han le teiere
ogni cruccio si dilegui!
Se hai scolato gi il bicchiere,
va': il cammino tuo prosegui!

8. A G G E L A M U S H

C'erano u n a volta un marito e u n a moglie che avevano u n a b a m b i n a . Essa era cos a m a t a e benvoluta
che i genitori non erano mai capaci di rifiutarle alcun desiderio. Ma l'uomo, poveretto, non possedeva
proprio nulla.
Si avvicinava la Festa del Sacrificio, in cui ciascuno gusta la carne che Dio ha fatto avere agli uomini,
ma il p o v e r u o m o non aveva pecore e si domandava
che cosa avrebbe potuto sacrificare per l'occasione.
Quando fu il giorno della festa, sul far del mattino
egli invoc: Nel n o m e di Dio, che Allah mi sia benevolo, giacch in Allah noi confidiamo!. Dopodich
usc nel giardino che aveva davanti alla casa, e vi
trov u n a lepre. In un balzo le fu addosso, la cattur
e, tenendola stretta in braccio, rientr in casa. And
da sua moglie e le disse: Prendi questa lepre, che
sacrificheremo per la festa!. La d o n n a prese la lepre, la ficc sotto u n a pentola rovesciata e la nascose
cos.
Dopo un po' arriv da quelle parti la b a m b i n a tutta contenta: Oggi, per la festa, ci sar della carne da
41

mangiare!. Corse dal padre, gli baci il capo e domand: Babbo, d o v e il nostro arrosto della festa?.
Il p o v e r u o m o temette che la fanciulla potesse piangere; le rispose quindi: Figliola, chiedilo a t u a madre!. E la b i m b a corse allegramente dalla madre, le
baci il capo e d o m a n d : Mamma, dov' il nostro
arrosto della festa?. Anche la m a d r e temette che la
figlia potesse mettersi a piangere il giorno di festa; le
rispose quindi: Figliola, chiedilo a tuo padre!. Allora la b i m b a torn di corsa dal padre e pianse.
Il p a d r e la zitt: Fa' silenzio, b i m b a mia, n o n
piangere!. Q u a n d o anche la m a d r e vide la piccola
in lacrime, la chiam a s, e q u a n d o questa fu giunta, le disse: Fa' silenzio, figlia mia, non piangere! Ti
far vedere io il nostro arrosto della festa!. Allora la
piccola torn allegra e ridente. Va' un po' a vedere,
b i m b a mia! disse la madre. L'arrosto della festa
l, in c a m e r a , sotto la pentola! La fanciulla a n d
nella stanza e sollev un po' la pentola; ma q u a n d o
vide la lepre si spavent. Si ferm a guardarla, ma la
lepre scapp via. Allora la m a m m a si mise a gridare
e a inseguire all'aperto la fuggitiva; a sua volta, anche la b a m b i n a corse dietro alla m a d r e gridando.
Bisogna sapere che a quel t e m p o tutte le cose del
m o n d o avevano il dono della parola: potevano parlare le pietre, potevano parlare gli alberi, le strade: in
breve, tutto ci che vi era al mondo.
Mentre la d o n n a inseguiva la lepre, questa correva
lesta in avanti, e la donna le correva sempre appresso, finch si ritrovarono, lei e la figlia, in un luogo
selvaggio. E r a o r m a i notte fatta. La lepre, intanto,
era sparita.
A questo p u n t o la donna disse alla figlia: Arrampichiamoci su quest'albero, affinch gli animali selvatici n o n ci divorino!. Si a r r a m p i c a r o n o q u i n d i
sull'albero e dalla cima tennero d'occhio i dintorni.
42

Verso mezzanotte udirono sotto di s un fragore come di t u o n o , i n s i e m e a molte voci. P r o p r i o sotto


quell'albero, infatti, un leone teneva lezione a tutti
gli animali del mondo: le pantere, le iene e gli uccelli, in breve, tutti gli animali che vi erano. Questa lezione del leone aveva luogo sempre intorno a mezzanotte.
Tra essi vi era anche u n o sciacallo; questi si sedette e g u a r d in aria. All'udire t u t t e q u e s t e voci, la
b a m b i n a ebbe p a u r a e disse alla madre: Mamma,
devo f a r e pip!. La m a d r e rispose: Allora, figlia
mia, falla almeno nella tua scarpa destra, che non
bucata, in m o d o che nulla goccioli in testa alle fiere!. Invece la b i m b a fece i suoi bisogni nella scarpa
sinistra che aveva un buco. Cos il liquido col in
basso, e u n a goccia cadde sul naso dello sciacallo.
Quando gli cadde la goccia sul naso, questi prese ad
a n n u s a r e fino ad accorgersi che sull'albero si trovava un essere u m a n o . Allora disse al leone: Signore,
qui c' odore di uomini!. Il leone, che teneva lezione agli animali, lo sgrid: Lazzarone, leggi, se non
vuoi che q u e s t a n o t t e io ti mangi!. Lo sciacallo
a n d avanti a leggere, ma poco dopo cadde nuovam e n t e su di lui u n a goccia. Di nuovo lo sciacallo disse al leone: Signore, qui c' odore di uomini!. Allora il leone ordin: Animali, fate silenzio!.
Q u a n d o gli animali ebbero fatto silenzio, il leone
chiese loro: Chi di noi salir sull'albero per vedere
chi si trova in cima?. Nessun animale rispose, tranne la cornacchia, che disse: Signore, voler io lass. Il leone ribatt: Bene!. Allora la cornacchia
vol fino alla cima dell'albero e, raggiunta la donna,
la vide in lacrime. Le chiese: Perch piangi? Quanto
a te, certo che le fiere ti divoreranno, ma io salver
t u a figlia e cos p u r e il b i m b o che si trova nel t u o
ventre, e anche la t u a m a m m e l l a destra!. Dopodi43

ch la cornacchia ritorn dal leone e gli disse: Innanzitutto promettimi solennemente che mi consenti di esigere per me due cose, e solo allora ti dir che
cosa si trova sull'albero!. Il leone rispose: Ti do solennemente la mia parola di concederti anticipatamente un diritto sulle due cose che tu nominerai semprech ci mi sia possibile. Allora la cornacchia
rifer: Signore, sull'albero si trova u n a donna incinta, che presto partorir e che ha accanto u n a figlia
ancora piccola.
Allora il leone disse agli animali: A chi riuscir
ad arrampicarsi su quest'albero e a p o r t a r m i gi la
donna, dar ci che desidera. Ma l'albero era altissimo e nessuno degli animali era in grado di arrampicarvisi t r a n n e un serpente, che disse al leone: Io
sono in grado di arrampicarmici. Il leone gli rispose: Allora fallo!. Il serpente cominci a salire e ben
presto raggiunse la donna; a questo p u n t o le disse:
Cara signora, per favore, mi porga da succhiare il
mignolo del piede!. La d o n n a gli porse il mignolo
del piede e il serpente cominci a succhiarlo, facendo risalire il veleno nel corpo della donna.
La b a m b i n a chiese alla madre: Mamma, fino a
dove ti arrivato adesso il veleno?. La m a d r e le rispose: Figlia, mi giunto fino alle ginocchia!. Dopo
un po' la piccola torn a domandare: Mamma, fino a
dove ti arrivato adesso il veleno?. La m a d r e le rispose: Figlia mia, mi giunto fino all'ombelico. Per
la terza volta la b a m b i n a domand: Mamma, fino a
dove ti arrivato adesso il veleno?. E di nuovo la madre rispose: Figlia, mi penetrato nel capo. Quindi
la donna ammutol e non disse pi u n a parola; ma il
serpente continu a succhiarla, finch la d o n n a rese
l'anima; a questo punto la disgraziata precipit in
basso in mezzo alle fiere che stavano ai piedi dell'albero, mentre il leone teneva loro lezione. Le belve si
44

rallegrarono che Dio avesse fatto loro dono di u n a


preda cos buona; balzarono addosso alla donna, la
afferrarono, le lacerarono il ventre e vi trovarono
dentro un bimbo. Allora la cornacchia si fece largo
tra gli animali, e il leone, rivolgendosi a lei, disse:
Cornacchia, prenditi adesso ci che avevi prenotato,
come siamo rimasti d'accordo!. Al che la cornacchia
si prese il neonato e stacc alla d o n n a la mammella
destra, che mise in bocca al piccolo per farlo poppare.
Dopo qualche t e m p o gli animali partirono, ciascuno
diretto alla propria tana.
Torniamo ora a occuparci della bambina. La cornacchia and da lei portandole il bimbo che gli animali selvatici avevano strappato dal ventre della mad r e . La c o r n a c c h i a a i u t a s c e n d e r e a t e r r a la
b a m b i n a , che se ne stava a n c o r a s e d u t a in c i m a
all'albero, e le disse: Prendi tuo fratello e va' via di
qui! Ti spiegher io quello che devi fare!. Quindi la
b i m b a prese in braccio il fratellino e gli diede da
succhiare il seno della madre morta. La cornacchia
accompagn la piccola e la precedette fino a un luogo selvaggio in cui si trovava un palazzo che risaliva
al tempo dei tempi. Allora la cornacchia disse alla
bambina: Ti spiegher che cosa devi fare! Adesso
vieni qui e restaci, tu e il tuo fratellino! Tu per dovrai cominciare a rovistare in questo letamaio! Se
troverai un chicco d'orzo, mangiatelo tu, ma se ne
trovi u n o di frumento, dallo a tuo fratello! Se troverai u n a pagnottella d'orzo, mangiatela tu, ma se troverai u n a pagnottella di frumento, dalla a tuo fratello! Dovrai continuare cos finch non ti sarai aperta
un varco nel letame fino alla casa in cui vive un mostro, di nome Aggelamush!.
Al che la b a m b i n a disse alla cornacchia: Ti sono
assai riconoscente, possa Dio concederti di ottenere
ogni bene!. La c o r n a c c h i a replic: Vieni, piangi
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finch le t u e lacrime n o n a v r a n n o r i e m p i t o quella


buca, cosicch in essa io possa detergermi dal sangue che aderisce al m i o piumaggio!. La b a m b i n a
disse a n c o r a : Vieni! e i n s i e m e alla c o r n a c c h i a
and a quella buca, in cui pianse tutte le sue lacrime, finch questa non ne fu completamente riempita. A q u e s t o p u n t o la c o r n a c c h i a si fece avanti, si
tuff nella buca e si deterse il sangue che aderiva al
suo piumaggio. Quando si fu ripulita per bene, disse
alla b a m b i n a : Addio, abbi c u r a del t u o fratellino
finch sar lui in grado di esserti utile!. La fanciulla
rispose: Addio! Tu sei b u o n a come un padre e u n a
madre!. E la cornacchia se ne torn a casa.
Da quel m o m e n t o in poi i due sventurati vissero in
quello strano palazzo e la b a m b i n a si mise ben presto al lavoro. Prese il fratello, si rec al letamaio di
cui le aveva parlato la cornacchia, e cominci a scavare al suo interno. Quando trovava un chicco d'orzo se lo m a n g i a v a lei, q u a n d o invece trovava un
chicco di f r u m e n t o lo dava al fratello; e lo stesso faceva q u a n d o le capitava di trovare u n a pagnottella
d'orzo o u n a di frumento. Cos essa fin il lavoro e si
fece strada scavando fino ad Aggelamush. Quando lo
raggiunse, scopr che era ricoperto da u n a capigliatura lunga dieci braccia. Allora fugg via prendendo
con s il fratellino e lo nascose in m o d o che Aggelam u s h non lo vedesse. Poi si mise a riflettere sul da
farsi. Dopo aver riflettuto sulla propria situazione,
torn a stare nel luogo precedente.
Quando per lei e il suo fratellino avevano fame,
aspettava finch Aggelamush si fosse addormentato,
quindi, mentre il mostro dormiva, gli rubava un po'
di b u r r o , di miele e di farina, e a n c h e un secchio:
portava tutto dal fratello, e insieme mangiavano. Col
tempo, comunque, aveva studiato cos a fondo Agge46

lamush, da conoscere le sue abitudini fin nei dettagli. Rimase quindi a vivere l.
Ma ora vi voglio raccontare di questo Aggelamush, che genere di vita conduceva: Aggelamush possedeva un n u m e r o incalcolabile di pecore, cammelle e
mucche, oltre a quantit enormi di frumento, orzo,
burro, miele; in poche parole, Aggelamush possedeva ogni ben di Dio. Inoltre, egli aveva u n a particolarit: che qualunque cosa ordinasse, questa si realizzava immediatamente. Quando, per esempio, voleva
mungere le sue pecore, gli bastava dire: Mungetevi,
mungetevi, mie pecore!. E le pecore si mungevano
da sole. Oppure esclamava: Mungetevi, mungetevi,
m i e cammelle! o: Mungetevi, mungetevi, mie
mucche! e gli animali eseguivano. Se diceva: Versati, versati dal secchio, latte!, ecco il latte versarsi
da s; se esclamava: Agitati, agitati, otre del burro!, questo si agitava; oppure: Rapprenditi, rapp r e n d i t i , burro!, q u e s t o si r a p p r e n d e v a . E t u t t o
quello che Aggelamush ordinava ai suoi animali, essi
lo eseguivano immediatamente. E r a anche solito dire alla ricotta: Ricotta, staccati da sola dall'otre del
burro!. Perch a mezzogiorno Aggelamush mangiava la ricotta. Questo era il genere di vita consueto di
Aggelamush.
La fanciulla lo osserv c o n t i n u a m e n t e fino a conoscere con assoluta precisione come si comportava. Cosicch, appena Aggelamush si addormentava,
essa prendeva un secchio e vi metteva del b u r r o e
della farina e con la pasta ottenuta faceva u n a specie
di gnocco. Quando poi Aggelamush era immerso in
un sonno profondo, prendeva del b u r r o e glielo spalmava su tutta la coda. Allorch al m a t t i n o Aggelam u s h si svegliava, si trovava sempre la coda spalmata di burro. Allora accendeva un fuoco, prendeva un
ceppo di legno acceso, se lo portava alla coda e ogni
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volta gridava: Aspetta! - tuo padre sia maledetto g u a r d a che ti brucio! M e n t r e io d o r m o , tu, c o d a
svergognata, te ne vai e mi consumi tutto il burro! Il
b u r r o solo p e r me, a n c h e il miele solo per me,
tutto quanto solo per me!.
La fanciulla ascoltava di nascosto tutte queste parole: le conosceva ormai con precisione. Una notte,
q u a n d o Aggelamush si fu a d d o r m e n t a t o , tir fuori
un secchio e lo riemp di b u r r o e di farina; ne fece
degli gnocchi, p e r la precisione ne fece dieci, e li
p o r t a c c a n t o ad Aggelamush. Q u a n d o lo vide in
p r e d a a un s o n n o p r o f o n d o , prese la pasta, u n o
gnocco alla volta, e ne strofin u n o sul naso, un altro
sulla coda, un terzo sul fianco sinistro, e cos via. Poi
se ne torn dal suo fratellino, che invece lasci dormire.
Per farla breve, la fanciulla ripet pi volte questo
trattamento ad Aggelamush. Finch u n a mattina Agg e l a m u s h si svegli e si ritrov a n c o r a u n a volta
completamente u n t o di pasta, scoppi in un accesso
d'ira, accese un fuoco e si tenne la coda nella fiamma. Allora il fuoco gli si appicc a tutto il corpo producendo u n a grossa fiammata. La fanciulla osserv
n a t u r a l m e n t e t u t t o con attenzione, e q u a n d o vide
che Aggelamush andava a fuoco, gli grid: Paglia,
paglia, Aggelamush!. Udendo queste parole, l'animale impazzito credette che il b u o n Dio gli stesse
parlando. Paglia, paglia, Aggelamush! Corse quindi in tutta fretta al deposito in cui era conservata la
paglia: anch'esso prese fuoco.
Mentre il fuoco si appiccava a tutto quanto, la fanciulla corse a versare altro olio su di lui che gi stava
bruciando. Il suo fratellino aveva portato dell'acqua,
ma lei gli sbarr la strada e gett via l'acqua e continu a versare olio su Aggelamush finch questi non
fu completamente carbonizzato.
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Morto che fu Aggelamush, essa prese il fratello e


si installarono tutti e due nella sua casa, mangiarono
e bevvero.
La fanciulla si rivolse agli a n i m a l i nello stesso
identico m o d o usato da Aggelamush, ma nessuno di
essi volle mungersi da s. Allora si diede da fare lei,
prese un secchio e li m u n s e con le proprie mani; prep a r da s a n c h e il b u r r o e p a s c o l il b e s t i a m e .
Q u a n d o il fratello fu un po' pi cresciuto, fu lui a
condurre al pascolo le pecore, i cammelli e i buoi di
Aggelamush. Tutti questi animali il giovane li faceva
uscire di p r i m a mattina in un unico gregge. Ma lui
non era stolto, bens piuttosto avveduto.
Un g i o r n o la sorella gli disse: Fratello m i o
M o h a m m e d , se tu c o n d u c i al pascolo le pecore di
p r i m a mattina, ti p r e p a r e r s e m p r e u n o gnocco di
pasta e lo metter in questa nicchia accanto al portone. Se tu, al ritorno dal pascolo, lo troverai ancora
caldo, saprai che io sono in casa! Se invece lo troverai freddo, saprai che non sono in casa! E la casa si
apre solo se io emetto dei trilli!. Il fratello le disse:
Sorella mia, n o n uscire di casa di giorno, affinch
nessuno ti veda e ti porti via!.
Il giovane conduceva quindi le pecore al pascolo e
suonava il suo zufolo di canna. Quando alla sera faceva r i t o r n o a casa, cercava nel b u c o del m u r o ed
estraeva il suo gnocco caldo. Poi gridava: Sorella,
emetti il tuo trillo, affinch la porta si apra!. La sorella emetteva il suo trillo e la porta si apriva; e cos
il giovane poteva riportare dentro il bestiame. Dopodich la sorella emetteva un altro trillo e la porta si
richiudeva.
Un giorno la ragazza ud battere alla porta. Guard
gi dal tetto e vide un ebreo davanti alla casa. L'ebreo
vendeva essenze profumate. Not la fanciulla e quasi
perse i sensi q u a n d o vide la bellezza di cui Dio l'aveva
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dotata. Ora, la fanciulla disse all'ebreo: Che cosa


vendi, ebreo?. Egli rispose: Signora, tutto quello
che puoi desiderare ce l'ho a casa mia! Per me, ti chiedo soltanto di d a r m i da bere un po' di siero di latte.
La ragazza gli rispose: Sono senza chiavi di casa.
Allora l'ebreo m o n t in groppa al suo asino e ritorn
per la strada da cui era venuto. Bisogna sapere che
questo ebreo era al servizio di un sultano. Ripart
d u n q u e da l e ripercorse la strada da cui era venuto.
Ben presto giunse al palazzo del sultano e si rec subito nella sala del consiglio, dove cominci a gridare.
Il sultano lo ud gridare e ordin al visir: Conducimi
qui l'ebreo che grida in questo modo!. Allora il visir
and dall'ebreo e gli disse: Va' dal sultano!. L'ebreo
a n d con lui e q u a n d o fu al cospetto del sultano rimase in piedi davanti a lui. Allora il sovrano gli chiese:
Che cosa ti successo, ebreo, da levare tutte queste
grida?. Come vero Dio, mio signore, oggi ho visto
un'autentica bellezza: da quando sono al m o n d o non
mi mai capitato di vederne u n a simile. Per la tua testa! N e m m e n o tu potresti avere u n a cos bella figlia, o
u n a d o n n a di tale bellezza!. Allora il sultano, meravigliato, disse all'ebreo: Se tu riuscirai a procurarmela ti dar tutto quello che vorrai!. L'ebreo rispose:
Mio signore, ce la far senz'altro, se tu me lo comandi!. Il sultano insistette: Se me la porterai qui, ti
dar tutto l'oro del mondo, e ti far anche visir, e potrai mangiare e bere qui insieme a me. L'ebreo rispose: Va bene, mio signore!.
L'ebreo possedeva un asino che comprendeva tutto quello che il s u o p a d r o n e diceva. Dopo essersi
p r o c u r a t o tutte le possibili essenze p r o f u m a t e di
questo m o n d o e averle caricate sull'asino, se ne and
fino alla casa della fanciulla e l si ferm. Disse allora all'asino: Se ti ordino di non muoverti, mettiti a
correre; ma se ti dico di correre, sta' fermo!. Quindi
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apr la cesta che aveva caricato sull'asino: dentro vi


era ogni tipo di cose belle, di quelle che piacciono alle donne. Dopo avere aperto la cesta, l'ebreo buss
alla porta; allora la fanciulla lo guard dall'alto.
Appena vide la cesta decorata di seta per poco non
svenne. Le chiese allora l'ebreo: Signora, che cosa
desideri? Quali sono i tuoi desideri?. Ebreo, disse
la bella desidero solo qualche essenza profumata.
Al che l'ebreo disse: Signora, p o r t a m i per p r i m a
un po' di siero da bere! Ti dar gratuitamente delle
essenze.
La fanciulla fece appena in tempo a sentir parlare
di essenze p r o f u m a t e senza spesa che gi accorreva
con un secchio pieno di siero. Quindi gli disse: Per
la p o r t a di casa c h i u s a e io n o n ho la chiave.
L'ebreo replic: Per favore, signora, calami il siero
legato ai tuoi capelli e io ti far anche vedere come
le d o n n e impiegano queste essenze!. La fanciulla
sciolse i suoi lunghi capelli, vi assicur il secchio e lo
fece scendere fino all'ebreo. Giunto che fu il secchio
fino all'ebreo, questi apr del tutto la cesta, fece come se volesse bere e trascin gi la fanciulla per i capelli, facendola cadere nella cesta. A questo punto richiuse la cesta sulla ragazza e disse all'asino: Sta'
fermo! La tua signora vuole scendere!. Allora l'asino prese a correre c o m e un f u l m i n e . Si diresse di
corsa al palazzo del sultano e l'ebreo gli tenne dietro.
Davanti al palazzo, l'asino si f e r m e q u a n d o fu
giunto anche l'ebreo, entr subito e si rec dal sultano. Costui apr la cesta e scopr la fanciulla che vi
era dentro: u n a bellezza come quella di cui Dio l'aveva dotata, il sultano non l'aveva ancora mai vista, era
bella come la luna e il sole! Il sultano spos la fanciulla; q u a n t o all'ebreo, lo fece suo visir e questi
mangiava e beveva presso di lui.
Torniamo adesso col racconto al ragazzo! Quando
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al t r a m o n t o r i p o r t a casa il b e s t i a m e , trov u n o
gnocco freddo. Chiam la sorella; ma gli rispose solo
un gatto: Miao, miao! Tua sorella l'ha portata via il
sultano!. Allora il poveretto cominci a piangere:
dove avrebbero dormito, adesso, lui e i suoi animali?
Il giovane si rivolse agli animali e disse loro: Miei
cammelli e buoi! A chi sar in grado di sfondare questa porta dar u n a grossa ciotola piena di grano!.
Udito quello che diceva il giovane, ogni a n i m a l e a
t u r n o prese la r i n c o r s a e si p r e c i p i t con la testa
contro la porta.
Ogni sforzo fu per vano, finch giunse il turno di
un montone, tutto rognoso, magro e diarroico. Mentre cominciava a caricare, il giovane rideva e gli gridava: I signori corridori tutti insieme non riescono
a far nulla e pensi di combinare qualcosa tu, signor
trottapiano!. Tuttavia il m o n t o n e fece r i s u o n a r e
con la sua testa un bel "crac" nella porta e irruppe
all'interno, fin nella corte. A questo p u n t o a n c h e il
giovane entr in casa, ma non vi trov la sorella. Cominci a piangere. Allora il gatto torn a dirgli: Tua
sorella l'ha portata via il sultano!.
Da allora il giovane continu a vivere nella casa di
Aggelamush per altri due anni. Ma trascorsi due anni, si mise in viaggio e, poich era assai avveduto,
p r e s e con s un b a s t o n e d ' a r g e n t o e u n o d'oro, e
inoltre un pettine d'oro e u n o d'argento. Si incamm i n e prese a girare il m o n d o alla ricerca della sorella. Cammina cammina, giunse a un fiume, in cui
vi era un cammello morto, che era crepato di rogna!
Estrasse allora il coltello e tagli via dall'animale un
pezzo di pelle, da cui ricav u n a sorta di copricapo;
fece in modo che esso gli coprisse del tutto la testa,
cos da s e m b r a r e un tignoso. Prosegu q u i n d i nel
suo cammino e giunse a un altro fiume, nei cui pressi vi era u n a sorgente; qui vide quattro donne che si
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lavavano la testa. Si diresse incontro a loro, e giunto


che fu al loro cospetto si ferm l, al di sopra delle
donne, sul bordo della sorgente. Una delle donne lo
apostrof allora: Cosa ti conduce qui, tignoso? Se il
sultano ti vede, ti far tagliare la testa!. Il giovane
rispose: Per favore, donne, datemi un pettine per
pettinarmi!. Ma tutte gli spiegarono: Non ti daremo il nostro pettine perch tu sei tignoso! Noi siamo
le mogli del sultano Afn. Abbiamo p a u r a di prenderci anche noi la tigna!.
Tra le donne si trovava per anche sua sorella. Essa
non lo aveva riconosciuto, ciononostante prese il suo
pettine e glielo diede. Il giovane lo prese e si pettin
con esso; ma nel far ci ruppe il pettine. Quand'egli lo
ebbe rotto, le altre donne derisero quella che gli aveva
dato il suo pettine, e le dissero: Lo racconteremo al
sultano!. Quando il giovane le sent ridere in modo
cos malvagio, prese il suo pettine d'oro e lo diede alla
donna (a sua sorella). Quando le altre donne videro
che egli le aveva dato un pettine d'oro, gli gridarono
tutte quante in coro: Ors, prendi anche i nostri!.
Ma lui rispose: Tanti saluti!. Quindi prosegu nel
suo c a m m i n o e ben presto incontr un gruppo di giovani che giocavano a palla in un c a m p o (una sorta di
hockey su p r a t o ) . Tra di essi vi era il figlio del sultano.
Quando M o h a m m e d fu giunto da loro e li vide immersi nel gioco, disse loro: Ragazzi, chi di voi mi
vuole dare il suo bastone per giocare a palla?. Come
un sol uomo, coloro cui aveva rivolto la richiesta dissero: No, no!. Unica eccezione fu un ragazzino che
gli diede il suo bastone. Con esso M o h a m m e d diede
un colpo molto forte, col risultato di spezzarlo. Quando ebbe rotto il bastone del ragazzino, gli altri si misero a correre tutti insieme gridando: Lo diremo al
sultano! e derisero il ragazzo, che stava gi per scoppiare in lacrime. Allora il tignoso tir fuori il suo ba53

stone d'oro e lo diede al piccino. Quando videro ci,


tutti gli altri ragazzi gridarono in coro: Ecco qui, tieni!, ma M o h a m m e d per tutta risposta disse: Tanti
saluti!.
Fece quindi ritorno a casa e vi rimase per un certo
tempo. Un bel giorno se ne a n d nello spiazzo che
sovrastava la sorgente che a b b i a m o gi visto, e sal
su un albero. Ben presto giunse u n a schiava di sua
sorella per attingere acqua. In piedi sul bordo della
sorgente, d e p o s e la b r o c c a p e r r i e m p i r l a d ' a c q u a .
All'improvviso la negra scorse il volto del giovane riflesso in mezzo all'acqua e credette che quel bel viso
fosse il suo. Perci disse tra s: "Ho un aspetto cos
attraente, e p p u r e sono solo u n a schiava!". Cos dicendo sollev in alto la brocca dell'acqua intenzionata a fracassarla, q u a n d o il giovane che stava sull'albero le grid: "Non romperla, Massuda!. A questo
p u n t o la schiava guard in alto e vide il giovane; il
suo viso grazioso era proprio uguale a quello della
sua padrona, che era la moglie del sultano. Allora fu
presa dalla paura.
Il giovane scese dall'albero e c h i a m la schiava:
Massuda!. Essa rispose: Ti ascolto, mio signore!.
Il giovane prosegu: Quando, a casa, versando l'acqua, sarai arrivata a met della brocca, di' alla tua
padrona di versare lei il resto!. Va bene, mio signore disse la schiava. E il giovane aggiunse: Se Dio
vuole d o m a n i mi incontrerai di nuovo qui a c c a n t o
all'albero.
Il giovane torn alla sua dimora e anche la schiava
part e, giunta a casa, prese il recipiente e cominci
a vuotarlo. Arrivata a met della brocca, chiam la
sua padrona e le disse: Padrona, vieni, versa tu l'acqua rimasta!. La donna si meravigli che la serva le
avesse detto di versare l'acqua da s. Prese comunque la brocca e vers l'acqua restante. Dalla brocca
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cadde f u o r i l'anello di suo fratello; essa lo prese e


scoppi in lacrime. Ma la schiava cominci a dirle:
Sta' tranquilla, padrona! Non piangere! Se vuoi rivedere tuo fratello, te lo porter domani. La d o n n a
ud le parole della schiava, la baci sul capo e le disse: Se farai in m o d o di p o r t a r m e l o qui senza che
n e s s u n o lo veda, ti r e n d e r la libert in q u e s t o e
nell'altro mondo!. Quando fu il momento, la schiava prese u n a gerla e disse alle c o m p a g n e : Vado a
raccogliere del fieno. Dopo che ebbe raggiunto la
sorgente e vi ebbe trovato il giovane, tir fuori u n a
bracciata di fieno. Si accost quindi al giovane, lo
mise nella gerla, torn ad appoggiarvi sopra il fieno
e si pose la gerla sulle spalle, e cos riusc a introdurre il giovane nel palazzo. Qui lo accolse la sorella e lo
nascose in u n a stanza sotto un mucchio di lana. Gli
diede da mangiare, ma viveva sempre nel timore che
il sultano lo scoprisse e gli facesse tagliare la testa.
La sorella del giovane, dopo che l'ebreo l'aveva rapita dal palazzo di Aggelamush, aveva sposato il sultano e gli aveva partorito due figli. Essi erano ancora
piccoli, ma sapevano gi un po' parlare. Cos, quando un giorno il giovane strisci fuori dalla lana sotto
la quale lo teneva nascosto la sorella, i due bimbi lo
videro e chiesero alla m a m m a : Chi quello l sotto
la lana?. Essa rispose: Bambini, vostro zio!. Un
giorno il sultano si intratteneva con i suoi figli. Mentre giocavano, il pi piccolo gli disse: Pap!. S,
che c'? Lo tio, lo do totto la lana! Il sultano, un
po' sconcertato, chiese: Cosa dice il piccino?. Cosa vuoi che dica... intervenne f r e t t o l o s a m e n t e la
moglie. Continua a giocare con i bambini! Ma il
sultano si impunt: Mi devi spiegare che cosa vuole
dire il piccino!. Allora la moglie si fece vicino al sult a n o e gli disse: Se p r i m a mi dai la t u a p a r o l a
d'onore che non gli accadr nulla, ti spiegher a chi
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si riferiva il bambino!. Il s u l t a n o glielo p r o m i s e :


Non gli succeder nulla che n o n possa accadere a
me stesso. La moglie un po' fu spaventata da queste
parole, un po' fu contenta per il fratello; baci il capo del sultano e gli disse: Caro marito, arrivato
mio fratello!. Conducimelo qui! disse il sultano.
Deve essere il b e n v e n u t o e deve trovarsi c o m e se
fosse a casa sua! Allora il giovane strisci fuori dalla lana e il sultano lo pot vedere bene: la bellezza di
cui Dio aveva dotato il giovane eguagliava quella del
giacinto o della perla! Il giovane baci il sultano sul
capo, e questi gli disse: Tu potrai condurre i cammelli al pascolo!.
Bisogna p e r s a p e r e che il giovane s u o n a v a lo
zufolo di c a n n a in un m o d o meraviglioso: chi lo udiva non poteva fare a m e n o di mettersi subito a piangere. Il giovane portava dunque al pascolo i cammelli del s u l t a n o . Dopo averli c o n d o t t i all'aperto,
suonava il suo zufolo: ma non appena gli animali lo
sentivano suonare non potevano pi andare avanti a
b r u c a r e ; i c a m m e l l i n o n e r a n o pi in g r a d o n di
mangiare n di bere per il dolce suono dello zufolo.
Quando, al calar del sole, il giovanotto riportava a
casa i cammelli, questi s e m b r a v a n o s e m p r e secchi
come un chiodo; ci era dovuto alla fame, perch dimenticavano di mangiare per via delle melodie del
giovane. Un giorno, quando egli li riport a casa, il
sultano li vide e chiese: O M o h a m m e d , come m a i
questi cammelli sono cos secchi? S e m b r a che abbiano mangiato del veleno!. Il giovane gli rispose:
Mio signore, in verit, io li conduco l dove vi tanto cibo!.
Un giorno il sultano ordin al giovane: Vieni, tagliami i capelli!. Il giovane si avvicin per tagliargli i
capelli, e scopr che sul capo il sultano aveva due corna, e se ne meravigli assai. Il mattino dopo port di
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buon'ora i cammelli in aperta campagna e si mise a


suonare lo zufolo accanto all'apertura di u n a cisterna, lo zufolo gli cadde gi nella cisterna e cominci,
di laggi, a suonare la stessa canzone che Mohammed era solito cantare, le cui parole dicevano: "Il sultano ha le corna!". Ma il giorno in cui il sultano si era
fatto tagliare i capelli dal giovane, gli aveva spiegato:
Nessuno, al di fuori di te, sa che ho le corna; se tu lo
racconterai a qualcuno, ti far tagliare la testa.
Il giovane, per, q u a n d o si trovava da solo in aperta campagna e suonava lo zufolo, aveva sempre cantato: "Il sultano ha le corna!". Questa volta era seduto sul b o r d o della c i s t e r n a e stava g u a r d a n d o gi
q u a n d o lo zufolo di c a n n a gli era scivolato dentro.
Senza interrompersi, esso era a n d a t o avanti a suonare la canzone "Il sultano ha le corna!". E purtroppo nella cisterna era impossibile calarsi. E sul fondo
lo zufolo continuava a s u o n a r e via via s e m p r e pi
forte la vecchia canzone: "Il sultano ha le corna!".
Il sultano disse intanto all'ebreo, suo visir: Vieni!
Andiamo u n a b u o n a volta a controllare se vero che
il giovane p o r t a a pascolare i cammelli p r o p r i o l
dove c' cibo in abbondanza. Andarono e giunsero
ben presto alla cisterna da cui lo zufolo faceva risuonare la sua canzone. Trovarono i cammelli che danz a v a n o i n t o r n o alla cisterna: n o n b r u c a v a n o , m a
avevano orecchio solo per la melodia. In quel mom e n t o anche il sultano ud la canzone dello zufolo,
che fuoriusciva dal pozzo e, costernato e accasciato,
scoppi anche lui in lacrime. Chiam a s il giovane
e gli disse: Se non fosse per la promessa che ho fatto a tua sorella, ti farei tagliare la testa!.
Il sultano torn a casa. Fece quindi venire l'ebreo.
Per incarico del sultano, questi si cal nella cisterna
e recise la canna. Ma dopo qualche tempo essa torn
a germogliare e ricominci la sua canzone, cantando
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come aveva fatto in precedenza. Allora l'ebreo si cal


un'altra volta, recise la c a n n a e questa volta vers
della pece sul m o n c h e r i n o . Questa volta esso n o n
torn pi a germogliare.
Un giorno il sultano si rivolse alla moglie, la sorella
del giovane, con queste parole: Cara, ho bisogno di
qualcuno che mi tagli i capelli. Di rimando, essa disse: Chi l'ha gi fatto u n a volta pu ben farlo un'altra
volta. Egli rispose: stato tuo fratello Mohammed,
ma temo che si metta di nuovo a cantare: "Il sultano
ha le corna!". Ma lei disse: Affida a lui l'incarico, visto che lui sa gi tutto. Fallo chiamare! ordin il
sultano. Allora la moglie and dal fratello e gli disse:
Se, mentre tagli i capelli al sultano, arrivi vicino al
suo collo, sgozzalo e non avere p a u r a di nessuno!.
Allora il giovane si mise all'opera, prese il rasoio e
lo affil. Lo rese cos tagliente che poteva tagliare
perfino le pietre. Si rec quindi dal sultano e cominci a tagliargli i capelli. Giunto alle sue corna, si meravigli n u o v a m e n t e del f a t t o che avesse le c o r n a .
Prosegu con calma a tagliare i capelli, ma q u a n d o
arriv all'arteria giugulare vi affond con forza la lama e sgozz il sultano. Quindi prese l'ebreo, lo stesso che era diventato visir, e gli tagli la testa.
Fu cos che il giovane M o h a m m e d uccise il sultano
e il visir e divenne a sua volta il sultano Si Mohammed. Cos ha lasciato scritto la gente dei tempi antichi, e io l'ho raccontato a mia volta. Salute a tutti!
9 . L A D O N N A C H E V E N N E R A P I T A D A U N JINN

C'era u n a volta un ragazzo povero, che sogn di sposare u n a bella fanciulla, e q u a n d o si svegli era cos
c o n t e n t o del sogno che part i m m e d i a t a m e n t e per
trovare la moglie a lui destinata. Viaggi a lungo per
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tutto il paese, e alla fine la trov nella figlia di u n a


coppia di poveri contadini. La riconobbe subito e la
trov cos bella che a n d dall'uomo a chiederla in
moglie. Quello acconsent e cos si c e l e b r a r o n o le
nozze.
Qualche tempo dopo, port con s la giovane sposa al suo paese e prese a vivere con lei felice e laborioso nella sua piccola capanna. Un giorno per ebbero un litigio, e u n a parola tir l'altra. La moglie
r i m p r o v e r a v a al m a r i t o di essere cos povero, e il
m a r i t o replicava ricordandole che a n c h e lei era figlia di povera gente. Continuando a litigare, venne la
sera e i due non avevano ancora mangiato. Allora la
moglie mise u n a pentola d'acqua sul fuoco per prep a r a r e un semolino, ma quando l'acqua cominci a
bollire, l'alterco ricominci, e la d o n n a usc dalla
p o r t a con la pentola e vers fuori l'acqua bollente.
Subito essa venne afferrata e portata via da un jinn.
L'uomo si pent allora di aver litigato con la sua
a m a t a sposa, e fece fagotto, intenzionato a percorrere il paese in lungo e in largo. Cerc la moglie in tutte le citt e tutti i villaggi, senza riuscire a trovarla
da nessuna parte. Alla fine capit in un territorio desertico e si smarr. Si sedette sulla sabbia, meditando tristemente sul proprio destino. Quand'ecco sop r a g g i u n g e r e un s a n t o e r r a b o n d o , che gli chiese
quali fossero le sue preoccupazioni. Ed egli gli raccont il suo errore e come la moglie gli fosse stata
rapita da un jinn. Il santo tracci dei segni nella sabbia, quindi disse: Recati all'albero sacro del re degli
spiriti e gli descrisse con precisione la localit e
chiedi a lui, allora saprai se ti sar dato di rivedere
tua moglie!.
L'uomo si mise subito in viaggio e dopo pochi giorni giunse a quell'albero. Ai suoi piedi era seduto un
sant'uomo, che giocava con pietre bianche e nere. Do59

po un po' alz lo sguardo e chiese al suo visitatore che


cosa desiderasse. Cerco mia moglie, che stata rapita da un jinn disse il p o v e r u o m o . Allora il santo seguit a giocare con le pietre, e dopo molto tempo rispose: Rimani qui questa notte. Domattina presto
giunger qui un uccello, cui non dovrai rivolgere la
parola. Saligli in groppa e vola via con lui. Egli ti condurr all'assemblea degli spiriti, e l potrai allora avere notizie sulla tua sventura, forse il re decider a tuo
favore, forse a tuo sfavore. Se avrai successo e potrai
tornare con tua moglie, non dovrai ricompensarmi,
se non avrai successo, non dovrai maledirmi.
Il p o v e r u o m o dorm quella notte ai piedi dell'albero, e quando si ridest, davanti a lui stava un uccello. Senza aprire bocca gli sal in groppa e si fece
portare via. In m e n che n o n si dica giunsero in un
castello dove erano radunati tutti gli spiriti del mondo. Il p o v e r u o m o si present davanti al trono del re
e disse: Io sono un p o v e r u o m o e ho p e r d u t o mia
moglie, un jinn me l'ha rapita. Il re rivolse allora la
d o m a n d a a tutti gli spiriti: Chi di voi ha rapito la
moglie di quest'uomo?. Un jinn si fece avanti e disse: Sono io che l'ho rapita. Perch l'hai fatto?
chiese ancora il re. Nostro sire, ascolta: quella donna ha rovesciato dell'acqua bollente nell'oscurit, e
nel fare ci ha colpito i miei figli, che si sono scottati. Cos incorsa nella giusta punizione. Allora il re
fece p o r t a r e la d o n n a al suo c o s p e t t o e le chiese:
Perch hai buttato via dell'acqua bollente nell'oscurit? Non hai visto che i figli di questo jinn vi stavano giocando?. No rispose la d o n n a . Per noi i
jinn sono invisibili, sia di giorno sia di notte. N o n
potevo sapere di far del male a qualcuno. Allora il
re disse: La donna innocente. E tu, disse rivolto
al jinn tu non devi lasciar giocare i tuoi figli di nascosto nelle vicinanze degli uomini!.
60

Fu cos che l'uomo pot riprendersi la moglie. Salirono in g r o p p a all'uccello e vennero subito ritras p o r t a t i a casa. Un a n n o d o p o il m a r i t o disse alla
moglie: Facciamo un pellegrinaggio fino a quel
s a n t ' u o m o che se ne sta sotto l'albero, per ringraziarlo della nostra fortuna!. Si recarono dunque in
pellegrinaggio fino a quell'albero, ma non vi trovarono il santo. Sulla via del ritorno incontrarono invece
il santo errabondo che per primo aveva dato il consiglio di andare fino a quell'albero. Il p o v e r u o m o gli
raccont di come avesse voluto ringraziare il santo,
ma l'errabondo gli disse: Non avresti dovuto farlo.
Nel preciso istante in cui tu hai preso questa decisione, quell'uomo stato ucciso dal jinn i cui figli erano
stati scottati.

10. L ' U O M O C O N L A P I P A

Un pescatore aveva cinque figli e u n a bellissima figliola. Un giorno la figlia scomparve, e nessuno sapeva dove potesse essere. Allora il pescatore disse ai
suoi figli: Mettetevi in c a m m i n o e cercate vostra sorella!. I cinque fratelli andarono sulla riva del mare,
si sedettero su u n o scoglio e si misero a riflettere sul
da farsi. Trascorsero l tre giorni. Il maggiore dei fratelli era un f u m a t o r e di kif, e ogni giorno sminuzzava
il suo mazzetto di canapa e se lo f u m a v a nella pipa.
Orbene, mentre costui, seduto cos sullo scoglio,
stava sminuzzando il mazzetto di canapa sopra un tagliere, i semi, che non servono al fumatore, caddero
in m a r e e un grosso pesce fece un balzo per acchiapparli e li divor. Quando giunse dagli altri pesci, essi
dissero: Dov' che sei diventato cos grasso? Dove
hai trovato un nutrimento cos buono?. Allora il
grosso pesce fece giurare agli altri pesci che gli avreb61

bero obbedito, e dopo che essi ebbero giurato li condusse presso lo scoglio su cui era seduto il figlio del
pescatore, il quale anche il giorno dopo torn a sminuzzare il mazzetto di canapa lasciando cadere i semi
in mare.
I pesci scattarono per afferrare i semi di canapa e
ne f u r o n o cos entusiasti che u n o di loro disse: Sveleremo al giovanotto dove potr ritrovare la sorella.
Il pesce grande fu d'accordo e cos disse al ragazzo
del pescatore: Ascoltami, giovane pescatore, ti devo
dire u n a cosa!.
Ti ascolto.
Tua sorella stata rapita da un ifrit che vive in alto, lass, sulle montagne, dentro u n a caverna.
Allora il giovanotto ringrazi e riprese a tagliare la
sua c a n a p a in m o d o da poterla f u m a r e , dopodich
se la f u m contento.
II terzo giorno convoc i suoi fratelli e raccont
loro quello che il pesce gli aveva svelato. Ma i fratelli
risero, e il s e c o n d o di et gli disse: In te p a r l a il
kif!. Tuttavia, dal m o m e n t o che non avevano niente
di meglio da proporre, decisero c o m u n q u e di andare
in m o n t a g n a . Sellarono i loro muli, presero con s
delle provviste e partirono.
Dopo aver cavalcato per molti giorni addentrandosi sempre pi nel deserto, i muli non ne poterono
pi di affrontare senza nutrimento i difficoltosi sentieri montani, e si dissero tra loro: Scrolliamoci di
sella i nostri cavalieri, a b b i a m o gi f a t t o fin troppo!. Il maggiore ud queste parole e mise sull'avviso
i fratelli, ma questi si limitarono a ridere, dicendo:
In te parla il k i f ! . A u n a brusca svolta della strada,
i muli fecero cadere di sella i loro cavalieri, tranne il
maggiore, che scese da solo di sella. Lamentandosi
per il dolore, i ragazzi si precipitarono verso u n a caverna e vi si riposarono tre giorni.
62

Il maggiore riprese a tagliuzzare il suo mazzetto


di canapa, lasciando distrattamente cadere i semi intorno a s. Questo gesto fu visto da due tortore che
vivevano nella caverna, le quali m a n g i a r o n o i semi
di canapa e presero a parlare tra loro. Una disse: Lo
sai che l'ifrit ha preso u n a nuova fanciulla?.
No disse l'altra. Dove la tiene prigioniera?
La tiene in quella grotta, su quel monte lass.
Il maggiore fin di tagliare la c a n a p a e si fece la
sua pipata, dopodich si distese per riposarsi. Il giorno dopo disse ai suoi fratelli: Lass, in quel monte,
vi u n a caverna, dove vive l'ifrit che tiene prigioniera nostra sorella. Ma i fratelli dissero di nuovo: In
te parla il kif!. Allora il giovanotto disse: Datemi la
sciabola di mio padre, uccider da solo l'ifrit!. Essi
gli diedero la sciabola e il giovanotto si a r r a m p i c
sul monte e penetr nella caverna.
Sulla porta della caverna incontr u n a fanciulla,
che gli disse: Che Dio ti aiuti, dove vuoi andare?.
Egli rispose: Cerco l'ifrit e voglio ucciderlo!. Al che
la fanciulla rispose: Tornatene indietro, invece, perch l'ifrit pi potente di qualunque essere umano.
Ma il giovanotto le mostr la spada rilucente e la fanciulla si fece da parte e gli apr la porta. Egli entr e
dopo un tratto di strada al buio si imbatt in u n a seconda porta, davanti alla quale, di nuovo, vi era u n a
fanciulla, che gli chiese: Che Dio sia con te, dove stai
andando?. Egli rispose: Dove sta l'ifrit, voglio ucciderlo!. Essa lo mise in guardia da quell'essere possente, ma il giovanotto sollev alta la sua spada scintillante, ed essa arretr e lo fece passare per quella
porta.
La stessa cosa si ripet altre tre volte, e sull'ultima
porta a riceverlo fu sua sorella, che, piangendo, gli
disse: Fuggi, caro fratello, perch l'ifrit ti uccider!.
63

Ma il giovanotto le fece vedere la spada del padre e


disse: Dov e colui che ti ha rapita?.
Allora essa lo fece passare e gli fece vedere l'ifrit,
che dormiva. Poi apr u n o sportello nella parete e ne
estrasse la spada del'ifrit, dicendo al fratello: Solo
con questa sua spada potrai uccidere l'ifrit. Prendila!. Il giovanotto a f f e r r la s p a d a scintillante e
stacc un braccio all'ifrit. Quest'ultimo lanci un grido e ordin al giovanotto di staccargli anche l'altro
braccio, ma lui n o n lo fece p e r c h sapeva che se
avesse fatto cos l'ifrit sarebbe sopravvissuto. In questo modo, invece, n o n sfugg alla morte per dissanguamento.
Allora il giovanotto prese per m a n o la sorella e risal rapidamente con lei verso l'uscita. Per strada si
unirono a loro le cinque fanciulle che erano a guardia delle porte.
All'imboccatura della grotta erano in attesa i fratelli che, a un suo richiamo, calarono u n a fune. Egli
vi assicur per p r i m a la sorella, essi la tirarono su e
f u r o n o molto contenti. Poi egli li richiam ma essi
n o n volevano p i c a l a r e la corda, f i n c h egli n o n
grid loro: Qui ci sono ancora molte altre belle cose
che potete tirare su!. Allora essi c a l a r o n o nuovam e n t e la fune ed egli vi assicur un'altra fanciulla,
che essi tirarono su r i m a n e n d o estasiati per la sua
bellezza. Si misero per a litigare su chi dovesse tenersela, finch egli grid: Calate la fune, qui ci sono
altre cose belle!. Allora gli calarono ancora la fune,
cui egli assicur la fanciulla successiva, che fu anch'essa tirata su. Proseguirono in questo m o d o finch fu rimasta u n a sola fanciulla, quella che egli aveva incontrato alla p r i m a porta. Essa gli disse: Non
fidarti dei tuoi fratelli! Ecco, prendi il mio anello, e
q u a n d o lo girerai, io penser a te. Un giorno ci sposeremo. Il giovanotto si mise l'anello al dito e assi64

cur alla f u n e la fanciulla, poi i fratelli la sollevarono. Quindi chiesero: Ce ancora qualcosa laggi?.
S grid lui. Qui ci s o n o a n c o r a oro, a r g e n t o e
pietre preziose! Allora calarono ancora molte volte
la fune ed egli vi assicur tutti i tesori che pot trovare nella caverna.
Alla fine egli aveva fatto piazza pulita, e i fratelli
avevano issato tutto. Allora egli grid: tutto, adesso tiratemi su!. Ma essi non calarono la fune e se ne
andarono.
Il giovanotto si mise a sedere, tir fuori la pipa e
f u m qualche boccata, finch, tranquillizzatosi, fu in
grado di riflettere. Ripensando per bene alla propria
situazione, osserv che la fanciulla che gli aveva dato
l'anello gli aveva parlato con sincerit, poich gli aveva detto di stare attento ai fratelli. Si ricord allora
dell'anello che costei gli aveva dato, lo rigir e pens a
lei. Immediatamente gli apparve davanti un jinn che
gli chiese quali fossero i suoi ordini. Fammi risalire
alla superficie! disse il giovanotto, e istantaneamente venne sollevato e si ritrov seduto sulle pendici del
monte su cui era salito giorni prima.
Dei suoi fratelli non vi era pi traccia: avevano sellato in tutta fretta le bestie ed erano ripartiti verso
casa insieme alle fanciulle e ai tesori. Ci indispett
assai il giovanotto, a tal punto che non volle pi tornare a casa, ma prosegu in un'altra direzione.
Cammin a lungo, finch giunse nei pressi di u n a
g r a n d e citt. Qui i n c o n t r un p a s t o r e e s c a m b i i
suoi vestiti con lui, quindi gli diede la sua spada e
p r e s e in c a m b i o u n a p e c o r a . Si r e c al t o r r e n t e ,
sgozz la pecora, ne ripul gli intestini e se li avvolse
intorno al capo, in m o d o che nessuno vedesse i suoi
lunghi capelli. In questo misero abbigliamento e con
l'aspetto di un tignoso, entr quindi in citt. Si rec
dai fabbricanti di dolci e chiese al capo della corpo65

razione se avesse del lavoro da dargli. Costui disse:


Oh, povero me, n o n h o a b b a s t a n z a d a f a r e p e r
riempire la giornata e tu vorresti anche lavorare per
me?. Non sar necessario che tu mi paghi disse il
giovanotto. Dammi solo u n a ciambellina da ogni
vassoio, mi accontento di questo.
Allora il pasticciere fu d'accordo e assunse il giovanotto. Alla fine della giornata di lavoro, quando il
fornaio era gi tornato a casa, il giovanotto, che era
rimasto a dormire nel negozio, cominci a f u m a r e il
suo kif. Dopodich prese pasta e zucchero, spezie e
uvette e s p e r i m e n t molte nuove idee sul m o d o di
ottenere dei dolci prodotti da forno. Il giorno successivo il pasticciere ritorn al negozio, si stup del bel
lavoro, mise tutti i dolci nel forno e quando f u r o n o
ben cotti li vendette con grande guadagno. In seguito a ci ottenne u n a tale folla di clienti che la voce si
sparse ovunque fino a giungere all'orecchio della figlia del sultano.
Un giorno essa invi al negozio la sua schiava negra con un vassoio di paste con l'ordine di farsele
cuocere i m m e d i a t a m e n t e . La schiava si fece largo
nella fila dei clienti che aspettavano e si present dir e t t a m e n t e al g i o v a n o t t o con la tigna e gli disse:
Cuocimi subito queste!. Il giovanotto le diede un
sonoro ceffone e la m a n d via. Allora il padrone del
forno cominci a lamentarsi: Cos'hai fatto! Per me
finita! Hai schiaffeggiato la schiava della principessa!. Va bene cos rispose il giovanotto. Non ti
preoccupare, vedrai che ce ne verr del bene!
Quando la schiava fu di ritorno al palazzo, la principessa le chiese perch non avesse adempiuto l'incarico. Allora la schiava raccont come erano andate le cose. Quindi la principessa le chiese: C'era u n a
coda di gente in attesa?. S rispose la schiava. E
tu non hai aspettato, come si conviene? prosegu la
66

principessa. No ammise la schiava. Allora la principessa le appiopp un secondo ceffone, questa volta
sull'altra guancia, e la conged.
Quando fu notte, si rec di soppiatto alla bottega
del fornaio e, g u a r d a n d o attraverso le fessure della
porta, vide il giovanotto che si toglieva dal capo la
parrucca di intestini di pecora e lasciava liberi i suoi
lunghi capelli. Si i n n a m o r di lui e ritorn in fretta
al palazzo. Si rec subito dal padre e gli disse: Caro
padre, tu non hai figli maschi ma solo noi, cinque figlie. Se dovessi morire, nessuno ti succederebbe sul
trono e il disordine regnerebbe nel tuo reame. Sposaci a cinque uomini dabbene, dopodich potrai scegliere tu stesso tra questi il tuo successore!.
Il sultano chiese tempo per riflettere, quindi disse
alla figlia, che era la pi piccola e la sua preferita:
Mi hai dato un b u o n consiglio. Domani annuncer
che m a r i t e r le mie figlie e che tutti gli u o m i n i in
condizione di sposarsi dovranno ritrovarsi nella mia
sala del trono. Quindi potrete scegliere voi stesse, figlie mie, il vostro sposo. E cos fu fatto. Il mattino
successivo in tutte le case dei pi ricchi, dei ministri
e dei giudici, cominci u n a festosa eccitazione; dovunque i migliori figlioli venivano rivestiti con abiti
di festa e condotti al palazzo del sultano. Quando fur o n o tutti r a d u n a t i nella sala del trono, il s u l t a n o
diede u n a mela e un fazzoletto a ciascuna delle sue
cinque figliole e disse: Colui cui darete il vostro fazzoletto e la vostra mela sar il vostro sposo. Allora
gli u o m i n i passarono in lunga fila davanti alle cinque principesse, e u n a dopo l'altra le principesse diedero la mela e il fazzoletto all'uomo di loro scelta.
Solo la principessina pi giovane conservava ancora
mela e fazzoletto, perch il garzone del fornaio non
era tra gli aspiranti.
Quando il sultano se ne accorse, chiese alla figlia
67

da che cosa dipendesse, ed essa rispose: Oh, caro


p a d r e , fai p o r t a r e qui dai vicoli della citt tutti i
mendicanti, fannulloni e tignosi, p u darsi che tra
loro trovi colui che sposer!.
Dal m o m e n t o che il sultano amava moltissimo la
figlia, esaud il suo desiderio, per quanto strano fosse. Le sue guardie dovettero d u n q u e andare in giro
per la citt a raccattare tutti i mendicanti, gli storpi,
i fannulloni e i giovanotti male in arnese, e cos buss a r o n o a n c h e alla p o r t a del fornaio. Costui si spavent moltissimo, perch credeva di essere chiamato
a rispondere del gesto insolente del suo aiutante, e
in effetti, appena apr la porta, le guardie afferrarono il giovanotto e lo p o r t a r o n o in fretta a palazzo.
Egli li segu impaurito, per vedere che cosa sarebbe
successo al suo abile aiutante.
Dopo che t u t t i i m e n d i c a n t i e gli storpi f u r o n o
p o r t a t i al cospetto della principessa, t r a s c i n a r o n o
davanti a lei a n c h e il tignoso, ed essa lo riconobbe
immediatamente e gli diede il suo fazzoletto e la sua
mela.
Furono quindi celebrate le quintuplici nozze. Ma
gli altri q u a t t r o generi del sultano disprezzavano il
tignoso e non volevano avere nulla a che fare con lui.
Tuttavia, il sultano si a m m a l , e la sua malattia
continuava a peggiorare. Convoc i suoi visir e chiese loro quale medicina lo potesse guarire. Essi dissero: Invia i tuoi cinque generi in missione e fatti port a r e un rimedio!. Allora il s u l t a n o c h i a m i suoi
generi e li incaric di procurargli la medicina capace
di risanarlo. Essi dissero: Signor padre e nostro sovrano! Ti porteremo questo rimedio, ma permettici
di partire senza questo tignoso. Egli se ne a n d r da
solo per la sua strada!. Il sultano fu d'accordo.
Il giovanotto si mise a f u m a r e la pipa in santa pace, quindi rigir l'anello e al jinn che gli apparve ri68

chiese: Portami il rimedio che pu risanare il sultano!. Il jinn disse: Subito, mio signore e padrone!
e in un batter d'occhio gli port la medicina.
Quando i quattro cognati fecero ritorno, dopo un
viaggio lungo e infruttuoso, il giovanotto si port davanti alla citt, si fece dare dal jinn vesti sontuose e
un bel destriero, e a n d incontro ai quattro. Incontrandosi, si scambiarono le formule di saluto, dopodich il giovanotto chiese ai suoi cognati - che non
lo avevano riconosciuto, perch si era tolto la parrucca di intestini - donde venissero e che cosa recassero con s. Al che essi presero a lamentarsi dell'insuccesso, e il giovanotto ascolt ogni cosa. Quindi
disse: Se mi date i fazzoletti che vi sono stati dati
dalle vostre spose, vi dar io il rimedio che cercate.
I q u a t t r o trovarono soddisfacente lo scambio e gli
d i e d e r o i fazzoletti in c a m b i o della m e d i c i n a . La
p o r t a r o n o quindi al sultano, che b e n presto ne fu
guarito.
Un a n n o dopo il sultano si a m m a l nuovamente,
si trov un'altra volta in pericolo di vita, e richiese
u n a nuova medicina. Anche questa volta invi alla
ricerca i quattro generi, e il tignoso non pot andare
con loro. Ma dal m o m e n t o che a n c h e questa volta
essi tornarono senza avere trovato nulla, il giovanotto a n d loro incontro un'altra volta con un altro travestimento e diede loro il rimedio in cambio delle
mele che essi avevano avuto dalle rispettive spose, e
ritorn, senza farsi riconoscere, al palazzo, dove si
fece di nuovo vedere come un tignoso. I quattro generi portarono al sultano il nuovo rimedio, grazie al
quale egli torn in salute.
Lo stesso avvenne u n a terza volta: il sultano si ammal correndo il rischio di morire e invi i generi a
cercargli il rimedio. E per la terza volta il giovanotto si
fece portare dal jinn il rimedio, and incontro ai quat69

tro cognati e chiese loro che cosa li preoccupasse. Anche questa volta essi non lo riconobbero, perch si era
ancora mostrato loro con un abito e un cavallo differenti. Dal m o m e n t o che ora essi non avevano pi nulla da dare in cambio, pretese da loro il mignolo della
m a n o destra, e i quattro accettarono.
Si a m p u t a r o n o i mignoli e li diedero al giovane in
cambio della medicina. Con questa essi curarono il
sultano. Quando il sultano si fu nuovamente rimesso,
fece chiamare i suoi generi e disse loro: Dal momento che voi mi avete portato questi rimedi da terre lontane, vi designer miei successori e spartir il mio regno fra voi. Allora i quattro dissero: Per il tignoso
non pu avere nulla, perch egli non ci ha accompagnati.
Allora il tignoso chiese: Dove sono i vostri fazzoletti e le vostre mele, che vi sono stati dati dalle principesse c o m e t e s t i m o n i a n z a del vostro m a t r i m o nio?. Essi n o n s e p p e r o cosa r i s p o n d e r g l i e il
giovanotto tir fuori le cinque mele e i cinque fazzoletti, e li fece vedere al sultano. Quindi disse: Signor
padre e nostro sovrano! Tutti gli uomini h a n n o cinque dita nella mano, osserva ora le mani dei tuoi generi!. Allora essi dovettero fargli vedere le mani, e il
sultano vide che mancavano loro i mignoli. Il giovanotto raccont quindi come fosse stato lui a procurare loro i rimedi in cambio di tutto ci.
Il sultano si meravigli assai e disse: Allora sarai
tu solo il m i o successore e il s o v r a n o del m i o regno!. A questo punto, il giovane si tolse la parrucca
di intestini di pecora e sciolse i suoi lunghi capelli,
in modo che questi potessero ondeggiare liberamente. Poi abbracci il sultano e gli chiese: Caro padre,
per favore lasciami p r i m a intraprendere un viaggio,
perch devi sapere che avevo gi u n a moglie p r i m a
di maritarmi con tua figlia. E devo liberare anche lei
70

dalle mani dei miei fratelli!. Sell quindi un bianco


stallone e part con un drappello di cavalieri alla volta della sua citt d'origine.
Per strada dovette passare attraverso un paese governato da u n a regina cos dispotica e crudele che
non permetteva a nessuno di attraversarlo. Essa era
per di u n a bellezza cos straordinaria che chiunque
la vedesse si i n f i a m m a v a subito d ' a m o r e p e r lei.
Q u a n d o il suo esercito combatteva contro un altro
esercito e stava indietreggiando, irrompeva di persona nella mischia, cavalcando davanti al comandante
nemico e scoprendosi il volto dinanzi a lui. Allorch
questi, colto da a m o r e per lei, abbassava la guardia,
essa lo uccideva con la sua spada e metteva in fuga i
nemici.
In questo stesso m o d o essa volle annientare anche
l'uomo con la pipa da kif, q u a n d o questi con i suoi
compagni attravers il suo paese senza ritirarsi davanti ai suoi soldati. Essa gli and incontro e si scopr il viso, ma il giovanotto disse: Quand'anche tu ti
scoprissi interamente, non riusciresti a impressionarmi!. Costrinse quindi il cammello della regina a
inginocchiarsi e la minacci con la spada. Allora essa implor di lasciarla in vita dicendo: Non uccidermi, e invece sposami e il m i o palazzo e tutto il
m i o r e g n o s a r a n n o tuoi!. Il g i o v a n o t t o trov attraente la proposta e and con i suoi cavalieri nel castello, dove per sette giorni festeggiarono le nozze.
Quindi egli le disse: Aspettami qui, devo andare a
liberare la mia prima moglie dalle mani dei miei fratelli.
Viaggi parecchi giorni insieme ai suoi compagni,
fino ad arrivare al m a r e e alla citt dei suoi genitori.
L vide, davanti alla citt, un grande palazzo e ne fu
assai meravigliato. A chi appartiene quel palazzo?
chiese a un pescatore che i n c o n t r sulla spiaggia.
71

Appartiene ai quattro fratelli figli di un pescatore,


che un giorno tornarono con ricchi tesori dalle montagne, portando con s la sorella e delle belle mogli.
E il giovanotto cap che doveva trattarsi dei suoi fratelli.
Ordin ai suoi compagni di m o n t a r e l'accampamento, dopodich se ne and a piedi alla fontana davanti al palazzo e attese. Dopo qualche t e m p o usc
u n a serva con u n a brocca per attingere acqua. Dopo
che questa ebbe riempito la brocca, egli le chiese un
sorso d'acqua. Essa gli porse la brocca ed egli bevve,
e poi fece cadere di nascosto l'anello nella brocca. La
serva, oltrepassato il portone, port la brocca all'interno del castello e la diede al padrone di casa.
Il pescatore bevve l'acqua, vuot la brocca, trov
l'anello sul fondo e chiese alla serva: Cosa ci fa questo anello nella brocca?. Allora la serva a f f e r r
l'anello, se lo infil al dito e disse, gioiosamente:
Devi sapere, o mio signore, che questo anello appartiene al mio sposo, il quale non altri che il tuo
figlio maggiore, che credi morto. Infatti stato lui a
uccidere l'ifrit con la spada e a liberare t u a figlia e
noi cinque fanciulle. I suoi quattro fratelli lo h a n n o
a b b a n d o n a t o privo di aiuti nella grotta e mi h a n n o
minacciata di morte se li avessi traditi. Deve trattarsi
sicuramente di quell'uomo che mi ha chiesto un sorso d'acqua q u a n d o ho riempito la brocca alla fontana. Allora il pescatore disse: Allora p o r t a m i qui
mio figlio!. La serva usc di corsa verso la fontana,
ma n o n riusc a trovare lo sposo da nessuna parte.
Torn allora m e s t a m e n t e al castello e si rec nella
sua stanza. Mentre rifletteva, triste, sul m o d o di rinc o n t r a r e il suo a m a t o , le venne in m e n t e il potere
dell'anello. Lo rigir e al jinn che le si present ordin di portarle il suo sposo. L'ordine venne esaudito
sull'istante, e i due si abbracciarono colmi di felicit.
72

Poi essa gli rivel il tradimento dei suoi fratelli e come lei avesse dovuto fare la serva nel castello per tutto l'anno. I due andarono dal vecchio pescatore che
r i c o n o b b e subito il figlio. Dopodich quest'ultimo
chiam i suoi fratelli e consegn loro il castello. Prese con s il padre, la sorella e la moglie e ritorn coi
suoi compagni nel suo regno.
Per strada pass a prendere l'altra regina, la sua
seconda moglie, facendo cos un ingresso trionfale
nella capitale. Q u a n d o mor il vecchio sultano, suo
suocero, sal lui al trono e regn per molti anni in
pace.
11. LA F I G L I A D E L JINN

C'era u n a volta un u o m o ricco che part per il pellegrinaggio lasciando a suo figlio u n a grande quantit
di beni e di luigi d'oro. Ma il figlio si diede al gioco e
perse tutto, le sue ricchezze e perfino i suoi terreni.
Gli rimase solo la tristezza per la perdita.
Prese allora la sua pistola e se ne and nel bosco,
intenzionato a spararsi. Qui giunse un jinn che gli
chiese perch volesse uccidersi, ed egli rispose: Mio
p a d r e mi ha lasciato molti beni che mi sono stati
portati via col gioco, e per questo voglio uccidermi.
Il jinn gli disse allora: Se tu fai un patto con me, ti
salver. Fecero il patto e il jinn gli disse: Un giorno
dovrai venire da me sui m o n t i e i n c o n t r a r m i ; nel
frattempo prendi dei sassi e riempine le stanze in cui
prima erano ammucchiate le ricchezze; poi chiudile
a chiave e rientraci solo al mattino presto!. L'uomo
fece q u a n t o gli e r a stato detto e la m a t t i n a dopo,
q u a n d o vi entr, trov le stanze piene come prima di
luigi d'oro.
Ora, q u a n d o il p a d r e r i t o r n dal pellegrinaggio,
73

suo figlio gli disse: Devo partire. Dove vuoi andare? chiese il padre, e il figlio gli raccont: Devo rispettare un patto concluso con un jinn. Quand'
cos, va' pure, figliolo! replic il padre.
Il giovanotto prese delle provviste e part. Quando,
in territorio selvaggio, giunse a u n a fonte, tir fuori
il suo pane e si mise a mangiare.
In quella arrivarono sette colombe che cominciarono a bere. Queste colombe in realt erano le figlie
del jinn con cui egli aveva concluso il patto. Finito di
bere, deposero il loro abito di piume e si trasformarono in fanciulle. Il giovanotto si avvicin, prese un
abito di p i u m e e lo nascose. Q u a n d o le altre se ne
volarono via, u n a dovette rimanere indietro: quella il
cui abito era stato portato via, perch era rimasta in
forma umana.
Essa si mise quindi a gridare: A colui che mi render l'abito di piume, possa Dio donare la ricchezza!. Al che il giovanotto le rese l'abito di p i u m e .
Dove sei diretto? gli chiese la colomba. O signora, disse egli io ho stretto un patto con un jinn e
mi tocca ora andare a trovarlo dove abita, in cima al
monte tale, che non so n e m m e n o dove si trovi. La
colomba gli rispose: Noi sette colombe siamo le figlie di quel jinn. Comunque si fece promettere che
l'avrebbe sposata, ed egli accett.
Essa gli indic il monte su cui suo padre viveva insieme alle figlie. Egli vi si rec, e appena giunto il jinn
gli si fece incontro, lo salut e lo preg di entrare in
casa. L egli trascorse la notte.
La mattina seguente egli lo prese con s e lo port
su un altro monte, e gli ordin di spianare quel monte fino a trasformarlo in u n a pianura. Il giovanotto
riflett a lungo su cosa dovesse fare per spianare la
montagna. Quand'ecco arrivare la figlia del jinn con
cui si era fidanzato, p o r t a n d o con s la colazione.
74

Ma egli non voleva mangiare nulla e continuava a riflettere. Allora essa gli disse: Chiudi gli occhi!.
Non fece in tempo a chiuderli e a riaprirli che vide il
m o n t e trasformato in u n a pianura. Non dire nulla
di tutto ci a mio padre! essa gli ordin.
Quando il jinn ripass di l, trov il monte trasform a t o in p i a n u r a . La m a t t i n a d o p o p o r t con s il
giovanotto su un altro monte e gli ingiunse di tagliare tutti gli alberi che vi erano per poterli sostituire
con delle b u o n e piante da frutto. Quando la fanciulla ritorn a portargli la colazione, lo trov immerso
in meditazione. Anche questa volta essa gli chiese di
chiudere gli occhi, e quando egli li riapr l'intera foresta era diventata un bel frutteto in cui crescevano
splendide piante da frutto di ogni qualit.
Quando il jinn ripass di l e vide il frutteto, disse
a sua moglie: Quest'uomo assai capace!. Ma la
moglie ribatt: tua figlia che gli fa vedere come
deve fare!. Allora il jinn rinchiuse la figlia e port
f u o r i con s il giovanotto. Port un sacco pieno di
p i u m e e lo svuot sulla m o n t a g n a , d o p o d i c h suscit un vento che sparpagli le piume per ogni dove. A questo punto egli ordin al giovanotto di raccogliere tutte le p i u m e e di rimetterle nuovamente nel
sacco. Allora il giovanotto si sedette e c o m i n c i a
pensare come poteva fare per recuperare tutte quelle
piume.
Attraverso un piccolo foro, un uccellino era riuscito
a infilarsi nella stanza in cui la figlia del jinn era prigioniera. Essa lo afferr e gli scrisse sulle ali delle parole magiche, dopodich lo lasci nuovamente libero
di volare. L'uccello vol fin dal giovanotto e cominci
a beccare un po' del suo pane. Allora il giovane cattur
l'uccello e cominci a spennarlo, ottenendo tante di
quelle piume da riempire tutto il sacco.
A questo p u n t o il giovanotto and dal jinn e gli re75

stitu il sacco, che era pieno c o m e p r i m a . Allora il


jinn disse a sua moglie: Anche questa volta tua figlia gli ha detto precisamente che cosa dovesse fare?. davvero strano dovette a m m e t t e r e lei. A
questo p u n t o essi si convinsero che quelle azioni andassero attribuite al giovanotto e n o n alla loro figlia,
per cui la lasciarono libera. Poi il jinn disse al giovanotto: C' ancora u n a cosa che ti resta da fare: se
m i p o r t e r a i u n a m e l a che cresce s u u n m o n t e i n
mezzo al m a r e ti dar in sposa u n a delle mie figlie!.
Il giovanotto si mise in viaggio e giunse f i n o al
mare, ma n o n era in grado di attraversarlo. Allora
giunse la fanciulla e lo trov meditabondo sulla riva.
Uccidimi! essa gli ordin, ma dal m o m e n t o che
egli si ritraeva inorridito e n o n voleva farlo, gli sottrasse essa stessa il coltello e si uccise. In precedenza
gli aveva spiegato: Quando sar morta, mettimi a
c u o c e r e p e r bene, f i n c h t u t t o diventi u n b r o d o .
Quando saranno rimaste solo le ossa, prendile e versa il brodo nel mare. Esso si consolider e ti consentir un passaggio fino a quel melo!.
Il giovanotto fece t u t t o quello che essa gli aveva
chiesto, e per quella via arriv fino a cogliere il frutto di quel melo. Con le ossa della fanciulla si era costruito u n a scala a pioli per superare la ripida erta
che conduceva in cima al monte. Quando torn gi
con le mele, riprese con s le ossa, ma dimentic un
ossicino, quello del mignolo di un piede. Torn quindi dal jinn e gli diede la mela richiesta. Allora il jinn
dispose in fila le sue figlie e disse al giovanotto:
Chiudi gli occhi e scegline una! Quella che sceglierai sar tua moglie!. La sua a m a t a gli aveva consigliato di tastare i piedi e di prendere quella cui fosse
m a n c a t o un mignolo del piede. Il giovanotto fece cos, e il jinn gliela diede in moglie.
Dopo avere abitato l per un mese, disse alla mo76

glie: Andiamo a far visita a mio padre e a mia madre!. Volentieri rispose la moglie. Montarono su
un mulo e partirono. Giunti in prossimit del villaggio del marito, la moglie disse: Ti aspetter qui int a n t o che tu spieghi ogni cosa ai tuoi. Dopodich,
t o r n a a p r e n d e r m i ! Ma n o n dimenticarmi! Sta' attento, quando torni, al m o m e n t o dei saluti: anche se
ti vorranno dare dei baci sulla bocca, tu salutali solo
con la mano. Se dovessero baciarti sulla bocca, ti dimenticheresti di me!.
Il marito stette bene attento: al m o m e n t o di salutare i suoi parenti si limit a salutarli con la mano,
ma da ultima giunse u n a sua vecchia zia, che gli arriv da dietro e lo baci sulla bocca. Immediatamente egli dimentic sua moglie.
Costei rimase afflitta per la lunga attesa, e q u a n d o
cap che non sarebbe arrivato, trasform per incanto
il mulo in u n a tenda, in cui cominci a servire il caff.
La gente di quei paraggi lo venne ben presto a sapere,
e tutti quelli che andarono da lei a prendere il caff
f u r o n o colpiti dalla sua bellezza, e ciascuno credeva
di poterla sposare. Uno di costoro, che avrebbe volentieri trascorso la notte con la donna, rimase a scherzare con lei dopo la cena. E q u a n d o essa si accorse di
quello cui lui mirava, gli disse: Metti fuori il gatto! e
si ritir. Egli prov a mettere fuori il gatto, ma tutte le
volte quello ritornava, fino a che si fece giorno. A quel
p u n t o l'uomo, stanco e spaventato, se ne and via.
Anche la notte successiva ci fu u n o con le stesse
intenzioni del primo. Si trattenne da lei fino a che
tutti f u r o n o andati a dormire, e a quel punto essa gli
diede un secchio e gli disse: Vai a prendere dell'acqua!. Ma q u a n d o costui stava per tirare f u o r i dal
pozzo il secchio pieno d'acqua, la corda si fece sempre pi lunga, al punto da non arrivare mai alla fine.
77

Questo and avanti fino al mattino, q u a n d o egli fu


preso dal timore e fugg.
La sera dopo arriv suo marito per avere un rinfresco in quel caff. Quand'essa lo vide, lo riconobbe
subito, mentre lui n o n si ricordava pi di lei. Anche
lui rimase, con le stesse intenzioni dei p r i m i due,
finch tutti a n d a r o n o a dormire, poi essa gli diede
un recipiente e gli chiese di versarne fuori l'acqua.
Egli and a versare fuori l'acqua, ma q u a n d o stava
per ritornare, si accorse che il recipiente era ancora
pieno, e torn a vuotarlo, e cos da capo fin nel cuore della notte.
Allora essa gli disse: Getta via il recipiente con
l'acqua e vieni qui!. Egli fece ci che essa gli aveva
ordinato, e a n d dalla donna, che gli chiese: Non
hai u n a moglie?. No rispose lui. Allora essa cominci a ricordargli quello che aveva fatto: Ricordati che io sono v e n u t a qui con te, io, la figlia del
jinn, che ti avevo promesso di sposarti. Ti avevo p u r
consigliato di n o n farti baciare sulla bocca, perch
in tal caso mi avresti dimenticata. Allora al marito
torn la memoria, ed egli si convinse che essa diceva
la verit.
Quando giunse il mattino, tutto ritorn come u n a
volta, ed essi m o n t a r o n o sul mulo e si recarono alla
casa dei genitori di lui. Si celebr per loro la festa di
nozze, e il marito rimase con la moglie presso i genitori. Da l io sono venuto fin qui e n o n ho n e m m e n o
portato con me un altro paio di sandali di paglia.

12. IL JINN DI I M Z U W U R T

Si r a c c o n t a che un giorno un r e m o t o a n t e n a t o di
Hajj Hassan Ahanshi degli Ait Tamlal port con s
un cane dal m e r c a t o di Tamanar. Questo cane era
78

completamente nero e si era messo da solo a seguire


quell'uomo. Dal m o m e n t o che aveva p r o p r i o bisogno di un cane, egli lo prese con s, lo tenne nel cortile nutrendolo bene. Ora, a pi riprese, all'uomo capit di scoprire che al m a t t i n o il suo cavallo aveva
tutta la pancia bianca di sudore misto a incrostazioni di salsedine, come dopo un pesante lavoro, e ne fu
assai meravigliato. Un giorno egli lo disse alla moglie e le chiese se non sapesse nulla di ci. Anch'essa
n o n sapeva di dove venisse l'incrostazione salmastra, ma gli consigli di vegliare di notte senza perdere di vista il cavallo. Il m a r i t o fece cos. Q u a n d o
tutti dormivano, egli vide che il cane nero scioglieva
la corda che teneva legato il cavallo, dopodich gli
montava in groppa e partiva al galoppo in direzione
del Capo Amikaid. Fece r i t o r n o solo p o c o p r i m a
dell'alba, e torn a legare il cavallo, la cui pancia luccicava per il bianco del sale umido.
L'uomo n e f u assai meravigliato, m a p e r p a u r a
non ne parl con nessuno. Ora, bisogna sapere che
q u e s t o Capo Amikaid un grosso scoglio a strapiombo sul m a r e per pi di cinquanta metri. La striscia costiera ai suoi piedi, accessibile solo da u n a
parte, e a scalatori provetti, in caso di bassa marea
d i s s e m i n a t a di scogli che s e m b r a n o i resti di un
c a m p o da gioco dei giganti dei t e m p i antichi. In
mezzo a queste rocce, cos nascosto che solo chi se
lo fa indicare da altri pu trovarlo, vi l'ingresso di
u n a caverna. Il suo percorso si allarga, dopo i primi
metri che si devono percorrere strisciando, e conduce a grandi sale in cui vi posto per intere case. A esse c o n g i u n t o un intrico di passaggi in cui senza
u n a corda si sarebbe perduti perch non si ritroverebbe mai pi l'uscita. Uno di questi passaggi conduce per diversi chilometri all'interno e si snoda anche
sotto il villaggio di Ait Tamlal. L, in mezzo ai cam79

pi, esiste u n a minuscola apertura in cui, quando c'


l'alta marea, si sente mugghiare il mare.
In questa caverna capita spesso, verso sera, di udire u n a musica, un suono di flauto e un tambureggiare metallico, come di solito nelle feste di matrimonio. Questa bella musica, di cui non si distingue la
provenienza, prodotta dai jinn che vi abitano e vi
custodiscono i tesori che nel corso dei secoli sono
stati accumulati dai pirati.
Tutto questo ritorn alla m e n t e dell'uomo, e per
questo egli non si fid a parlare della cavalcata notturna del cane nero.
La figlia dell'uomo, che cresceva in casa, non aveva p a u r a del cane. Di giorno gli portava da mangiare
e si intratteneva con lui. Un giorno essa disse alla
madre: Cara m a m m a , parla per favore col babbo, e
digli che mi dia in sposa al cane, dal m o m e n t o che il
cane me lo ha chiesto. La donna rimprover la figlia, ma questa anche in seguito continu pi volte
ad avanzare tale richiesta, finch la madre chiese al
marito di tenere d'occhio la figlia q u a n d o portava da
mangiare al cane. L'uomo si pose dietro u n a porta in
cortile, g u a r d a n d o attraverso le fessure. E fu cos
che egli ud la figlia dire al cane: Mia m a d r e n o n
vuole che tu mi sposi. Che cosa possiamo fare?. E il
cane rispose: Adesso taci perch dietro la porta vi
tuo padre che ci sta spiando. L'uomo fu assalito dalla paura, perch si rese conto che quel cane era un
jinn.
La notte stessa il cane scomparve insieme ad Aisha (cos si chiamava la fanciulla), e per molti anni
n o n si sent pi parlare della fanciulla. Un giorno,
per, essa torn col cane e con due figli. Il padrone
di casa era in quel m o m e n t o al mercato di Tamanar.
Aisha entr in casa e disse alla madre: Cara m a m ma, t u a figlia Aisha ritornata. Guarda qui, questi
80

due bimbi sono i tuoi nipotini. Permettimi di stare


con te, e proteggimi dal babbo!. La d o n n a glielo
promise.
Quando il padre fece ritorno dal mercato, la moglie gli disse: Tua figlia Aisha ritornata e ha portato con s i suoi due figlioletti. Permettile di stare con
noi!. L'uomo pretese di vedere il padre dei bambini,
e la moglie gli disse: Aspetta solo che sia notte, e
poi osserva il cane. Sicuramente si trasformer in un
giovane. Il padre fu d'accordo, e la sera si rinchiuse
nella stanza in cui dormivano Aisha e i due bambini,
e allora vide che il cane si era levato la pelle nera ed
era un bel giovanotto. Il padre prese di nascosto la
pelle di cane, ma in quella il giovanotto si dest e,
sotto f o r m a di nebbia, si dilegu nella caverna di Imzuwurt. La notte stessa Aisha sell un asino, prese i
due figli e se ne part nella stessa direzione verso il
Capo Amikaid. Non la vide pi nessuno.
Tuttavia, alcuni n a r r a n o di avere avuto, in diverse
occasioni, rapporti con un jinn che forse vive nella
caverna di Imzuwurt. Cos narra anche la sorella di
Hajj Hassan Ahanshi: un giorno essa avrebbe udito
u n a voce che la chiamava; essa sal sul tetto a terrazza della casa e stava per ritornare gi, dal momento che non vedeva nessuno, quando venne graffiata a un orecchio, in m o d o che ne fu strappato via
un pezzetto di carne. Allora essa vide u n a fine nebb i o l i n a che si dirigeva v e r s o il C a p o A m i k a i d e
scompariva.
Per conciliarsi il jinn di Imzuwurt tutti gli anni, a
primavera, nelle capanne vuote che si trovano lass,
nel p u n t o pi estremo del p r o m o n t o r i o a picco sul
mare, si tiene u n a festa in cui si portano cibi per il
jinn e per i due corvi che lass h a n n o il loro nido.

81

13. L A N E G R A C O N I D U E G O M I T O L I

C'erano u n a volta due giovani che vivevano soli, con


u n a sorella e la sua schiava negra. In primavera conducevano le loro greggi sui pascoli dei monti e lasciavano alla fattoria la sorella con la schiava. Dopo un
certo tempo che erano sui monti li assal un gran desiderio di rivedere la sorella, per cui le m a n d a r o n o
u n a mula su cui essa potesse venire a trovarli, legando sotto la sella quattro grosse conchiglie. La fanciulla prese con s delle provviste e sal in groppa alla m u la, seguita dalla schiava che andava a piedi. Quando
la schiava fu stanca, disse alla sua padrona: Scendi e
lasciami salire in sella!. Allora la fanciulla chiam i
suoi fratelli, e u n a delle conchiglie risuon e rispose:
S?. Essa disse: La schiava vuole che io scenda per
poter salire lei in sella. La conchiglia replic: Falla
andare a piedi, sei tu la padrona, e se non le va bene,
arrivo io e le spezzo il groppone!.
Cos la schiava dovette continuare a camminare.
Quando fu un'altra volta stanca, disse: Scendi e lasciami salire in sella!. Di nuovo la fanciulla chiam
i fratelli, e la seconda conchiglia rispose: S?. La
schiava vuole che io scenda per poter salire lei in sella. La conchiglia rispose: Falla andare a piedi, sei
tu la padrona, e se n o n le va bene, arrivo io e le spezzo il groppone!.
Quando giunsero a u n a sorgente, la ragazza chiese di porgerle da bere, ma la schiava disse: Se vuoi
bere, scendi di sella e serviti da sola! Quando te l'ho
chiesto, tu non mi hai lasciato salire in sella, e adesso io non ti do da bere. La fanciulla dovette quindi
scendere e andare a prendere da s l'acqua. La schiava per aveva con s due gomitoli di filo, u n o bianco
e u n o nero. Li gett nell'acqua, dopodich colp col
gomitolo nero la propria padrona, che divenne per82

ci nera, e se stessa con quello bianco, diventando


cos bianca. A questo p u n t o sal lei in g r o p p a alla
mula, e l'altra dovette proseguire a piedi. La fanciulla fu b e n presto stanca, perch n o n era a b i t u a t a a
camminare: i suoi piedi cominciarono a sanguinare.
Alla fine giunsero dai fratelli. Essi, n a t u r a l m e n t e ,
credettero che colei che era in sella (essendo bianca)
fosse la loro sorella. Furono molto contenti di rivederla.
Un p a i o di giorni d o p o , q u a n d o i piedi della
"schiava" f u r o n o guariti, i fratelli le dissero: Va' a
pascolare i cammelli!. Essa vi and, ma m e n t r e i
c a m m e l l i pascolavano si mise a piangere. O madre, si lamentava i miei fratelli trattano la negra
come u n a regina e la sorella la m a n d a n o a custodire
i cammelli. All'udir ci, i cammelli accorsero singhiozzando, si inginocchiarono e piansero anche loro. Un giorno, u n o dei due fratelli si accorse che i
cammelli erano magri da morire. Disse alla negra:
Disgraziata! Q u a n d o ti diciamo di p o r t a r e i cammelli nel tal posto, tu n o n ce li porti, e loro non mangiano pi nulla da quando li abbiamo affidati a te!.
Mio signore, eppure li ho condotti l dove tu mi
hai detto.
Allora egli la minacci: Ti spezzo il groppone se
non li porti a quel pascolo!.
Essa li condusse dunque su quel pascolo al quale
l'aveva inviata il fratello, e quest'ultimo la segu di
nascosto. Sul prato i cammelli si dispersero, mentre
la fanciulla si sedette e pianse: O madre, aiutami, i
miei fratelli trattano la negra come u n a regina e la
sorella la m a n d a n o a custodire i cammelli.
Quando i cammelli udirono i suoi lamenti, accorsero singhiozzando, si misero in ginocchio e cominciarono anch'essi a piangere. Il fratello vide tutto ci
83

e ne fu assai meravigliato. And dalla fanciulla e le


chiese: Cosa hai detto?.
Fratello, sono io vostra sorella rispose la fanciulla.
Che cosa ti successo? chiese allora il fratello.
Essa gli raccont tutto quello che era successo. Allora egli le disse: Alzati e vieni con me!. Per strada
essa gli disse: Se non mi credi e pensi che tua sorella sia l'altra, allora chiedile di aprire la cassa e tirarti
fuori il tuo nastro di seta, perch lei avr certamente
la sua chiave! Quando per essa n o n sar in grado di
aprire la cassa, saprai che io ti ho detto la verit.
A casa il fratello chiam la bianca e le disse: Sorella, apri la cassa e tirami fuori il mio nastro di seta!.
Essa and alla cassa ma non fu in grado di aprirla. Allora il giovane le tolse di m a n o la chiave e la diede a
colei che pascolava i cammelli. Ed essa apr immediatamente la cassa. Cos egli fu convinto che essa gli
aveva detto la verit. Si rivolse quindi all'imbrogliona
e la minacci di strapparle il fegato se non avesse immediatamente ripetuto lo stesso incantesimo con cui
aveva trasformato in negra la sorella. Allora quella
disse: Portate un secchio d'acqua. Quindi prese i
due gomitoli di spago, u n o bianco e u n o nero, li immerse nell'acqua e si colp col gomitolo nero, ridiventando nera, mentre colp la sua p a d r o n a col gomitolo
bianco, ed essa ridivent bianca. I fratelli f u r o n o contenti e piansero insieme alla sorella sul dolore che essa aveva dovuto sopportare. Presero quindi due cammelli per punire la colpevole; a un cammello diedero
orzo da mangiare tutto il giorno e tutta la notte, mentre all'altro non diedero neppure un granellino. La
mattina dopo legarono u n a gamba della negra al collo del cammello sazio, e l'altra gamba al collo di quello affamato. Posero quindi dell'acqua davanti al cammello sazio e dell'orzo davanti a quello affamato. A
84

quel p u n t o i cammelli partirono di corsa verso ci di


cui sentivano la mancanza, e cos la negra venne
squartata e mor.
1 4 . 1 D U E F R A T E L L I E L'IFRIT

Questa la favola di due fratelli, un ragazzo e u n a


ragazza, che n o n avevano n p a d r e n m a d r e . Un
giorno essi a n d a r o n o a caccia, si a d d e n t r a r o n o in
luoghi selvaggi, si s m a r r i r o n o e n o n f u r o n o pi in
grado di ritrovare la loro citt. Errarono a lungo nella foresta, finch si fece loro incontro un cane bianco. Impauriti, essi gli gettarono un pezzo di pane.
Quando ripartirono, egli li segu. Continuarono a vagare, finch si fece loro incontro un altro cane, identico al primo. Anch'esso and loro dietro, e alla fine i
due arrivarono alla dimora di un ifrit. Bussarono, e
usc fuori un negro alto sette metri; aveva al collo un
blocco di ferro che pesava sette quintali. Se qualcuno entrava in casa sua, il negro gli faceva cadere in
testa il blocco di ferro, lo sfracellava facendone poltiglia e se lo mangiava. Li'ifrit stava per fare la stessa
cosa con i due fratelli che stavano per entrare in casa, q u a n d o i due cani gli saltarono addosso e lo uccisero. Il ragazzo trov sette chiavi, le prese e apr le
stanze. Qui trov denaro, farina, grano e tante altre
cose. Quindi disse alla sorella: Rimani qui e prepara da mangiare! Io invece andr a caccia e procurer
della carne.
Cos egli fece il p r i m o e il secondo giorno. Il terzo
giorno, m e n t r e egli era fuori, la fanciulla guard il
negro e scopr che si muoveva. Allora il negro le disse: Per Allah, figliola, se tu vuoi, curami finch sar
di nuovo guarito. Poi io ti sposer. La fanciulla gli
rispose: Va bene!. Quindi il negro disse: Prendi
85

quella cassetta, dentro c' un unguento: spalmamelo


e torner sano!. Allora la fanciulla prese la cassetta
e spalm l'unguento sul negro. Poi il negro le diede
della f a r i n a e le disse: Mettila nel p r a n z o , ma tu
non mangiarne! ed essa cos fece. Quando il fratello
t o r n , volle m a n g i a r e , p e r cui disse alla sorella:
Mangia con me!. Ed essa rispose: Non sto bene.
Ma quando stava per mangiare e aveva gi preso la
prima cucchiaiata, il cane gliela fece cadere di mano; prese la seconda e anche questa volta il cane gli
fece cadere di m a n o il cucchiaio. Allora il fratello
disse alla sorella: Andiamocene via da qui!.
I due se ne a n d a r o n o . Il fratello prese la chiave,
chiuse la casa e gett la chiave in un fiume.
C a m m i n a c a m m i n a , ben presto giunsero in u n a
citt dove vi era un re. Trovarono tutti gli abitanti
della citt nell'afflizione e il ragazzo chiese: Cosa
successo alla gente di qui?. Gli risposero: In questa citt vive un serpente con sette teste. Ogni venerd gli si deve dare u n a fanciulla da divorare. Oggi
arrivato il t u r n o della figlia del re, che tra poco
verr ingoiata dal serpente. Allora il giovane and
all'ingresso della caverna da cui soleva fuoriuscire il
serpente, si sedette e aspett. In quella arriv la figlia del re, che gli disse: Che cosa fai qui? Va' a casa; il serpente verr fuori e ci divorer tutti e due. Il
giovane rispose: Non me ne andr finch il serpente non uscir di qui!. Essa disse: Va bene. Aspett
a n c o r a finch, alla fine, il s e r p e n t e venne fuori. A
questo punto il ragazzo estrasse la spada, lo colp e
lo uccise all'istante. Allora la fanciulla gli chiese:
Che cosa desideri in dono?. Egli disse: Donami
soltanto il tuo fazzolettino!. Essa estrasse il suo fazzoletto e glielo diede. Egli lo prese, tagli le sette lingue del serpente, le mise nel fazzoletto e se ne and.
Pass di l un carbonaio e trov il serpente morto.
86

Lo esamin e guard che non gli mancasse nulla. Allora prese la sua scure, tagli le sette teste e le port
dal re. E l giunto disse: Io ho ucciso il serpente! e
gli fece vedere le sette teste. Allora il re o r d i n :
Conducetelo nei bagni!. I m m e d i a t a m e n t e lo condussero nei bagni, dopodich si cominci subito a
fare i preparativi per le sue nozze con la figlia del re.
Mentre gi si festeggiavano le nozze, arriv il cane
bianco e port via il piatto che stava davanti al carb o n a i o . I servitori i n s e g u i r o n o il cane, che si era
messo a correre, e giunsero alla casa del giovanotto.
Allora dissero al giovane: Vieni subito dal re!. Il
giovane and con loro finch f u r o n o al cospetto del
re. Il re chiese: Perch hai m a n d a t o il t u o cane a
portare via il piatto dello sposo?. Il giovane rispose:
Egli non si meritato il piatto. Allora il re chiese
ancora: Perch?. Il giovane rispose: Quel piatto
se lo m e r i t a di pi il cane. Ancora gli fu chiesto:
Perch? ed egli rispose: Che cos'ha portato costui
come prova?. Gli risposero: Ha portato le sette teste. Il giovane disse: Osservate ben bene le teste,
n o n che m a n c h i loro qualcosa?. Vennero esaminate le teste e si scopr che m a n c a v a n o le sette lingue. Allora il giovane disse loro: Ecco qui le sette
lingue e il fazzoletto della figlia del re.
Allora p r e p a r a r o n o le nozze p e r il giovane, che
spos la figlia del re. Quando il re mor, divenne re
al suo posto.

15. L ' U O M O C H E A V R E B B E D O V U T O
SEMINARE FAVE

C'era u n a volta un uomo, che aveva due mogli e viveva contento insieme a loro. Un giorno esse dissero:
Caro marito, seminaci delle fave, in m o d o che in in87

verno abbiamo qualcosa da mangiare!. Gli diedero


due sacchi di fave da seminare. Il marito se li port
nella sala da t e disse al padrone del locale: Cucinami tutti i giorni un b u o n piatto di fave!. Cos l'uomo mangi per molti giorni minestra di fave ed era
sempre di b u o n u m o r e . Q u a n d o venne il periodo di
raccogliere le fave, le mogli gli chiesero: Dicci dov'
il n o s t r o c a m p o , cosicch noi p o s s i a m o a n d a r e a
prendere le nostre fave. E il marito rispose: proprio in d i r e z i o n e est, oltre la g r a n d e m o n t a g n a .
Prendete con voi questo bastone e misurate con esso
le piante di fave. Quando troverete fave alte cos, saprete che si t r a t t a delle vostre fave. Quelle potrete
raccoglierle. Le due d o n n e c a m m i n a r o n o a lungo
nella direzione indicata, e trovarono il c a m p o di fave
in cui le piante erano alte come il loro bastone. Allora cominciarono a raccoglierle. Mentre erano a met
della raccolta, s o p r a g g i u n s e di corsa u n ' o r c h e s s a
gridando: Lasciate stare le mie fave!. Ma le donne
non ebbero paura, e proseguirono nella raccolta. Allora l'orchessa a n d su tutte le furie e prese sottobraccio le d u e d o n n e e le p o r t nella sua caverna.
Qui essa voleva gettarle nel suo paiolo, ma queste
chiesero che risparmiasse la vita dei figli che portavano in grembo. L'orchessa nutr le due donne fino a
che esse diedero alla luce i loro figli, dopodich divor le madri e crebbe i due figli. Dava sempre loro
da mangiare le parti migliori, tenendo per s solo le
ossa e le pelli. Ed essi divennero due splendidi piccoli umani: un ragazzo e u n a ragazza.
Quando f u r o n o cresciuti, l'orchessa m a n d il ragazzo nel bosco, per cacciare, mentre la fanciulla rimaneva a casa a occuparsi della cucina. Tutti i giorni il ragazzo portava a casa della selvaggina, e col
passar del tempo divenne grande e forte. Un giorno,
nel bosco incontr un vecchio solitario, che gli chie88

se da dove venisse e che cosa intendesse fare. Il giovanotto disse: Io sono il figlio dell'orchessa che vive
in quella caverna laggi, e caccio la selvaggina per
fornirle n u t r i m e n t o . Allora il vecchio gli rispose:
Ma tu non sei un orco, bens un essere umano!.
Ora, quando il giovane torn nella caverna, raccont alla sorella di questo avvenimento, ed essa gli
disse: Dobbiamo fuggire, perch chiss che un giorno l'orchessa non ci divori. Quindi chiese all'orchessa: Madre, da che cosa si capisce che tu stai dormendo?. L'orchessa rispose: Quando sentirai dalla mia
pancia risuonare le voci degli animali - il ruggito dei
leoni e il grugnito dei cinghiali, l'ululato degli sciacalli e il canto degli uccelli - in breve tutti i rumori degli
animali, saprai che io sto dormendo. Allora la fanciulla prese l'astuccio con gli aghi da cucito, la cassettina col sale e il grosso paiolo, e q u a n d o ud rumoreggiare tutti gli animali nel ventre dell'orchessa, dest il
fratello e fugg con lui dalla caverna.
C a m m i n a r o n o p e r un po'; si fece chiaro, ed essi,
volgendosi a guardare indietro, videro l'orchessa che
si avvicinava a grandi passi. In fretta la fanciulla tir
fuori gli aghi da cucito e li gett alle proprie spalle,
ed ecco crescere un'intricata siepe di rovi. L'orchessa
ebbe grandissima difficolt a farsi strada, si strapp
tutti i vestiti e anche la pelle. Finalmente, per, riusc a passare oltre e torn ad avvicinarsi ai due fuggiaschi. Allora la fanciulla gett alle proprie spalle
del sale, che divenne un grande deserto abbacinante.
L'orchessa rischi di morire e si debilit assai, ma alla fine super anche questo e torn ad avvicinarsi ai
due fuggiaschi. Allora la ragazza gett alle proprie
spalle il grande paiolo, che divenne un'alta catena
montuosa, al di l della quale l'orchessa non riusc a
passare. A questo p u n t o i due giunsero a un fiume in
piena, che scorreva impetuoso e spumeggiante. Allo89

ra il giovane disse al fiume: Buon fiume dalle acque


tranquille e limpide, lasciaci passare, per favore!. Il
f i u m e n o n aveva m a i sentito parole cos cortesi, e
immediatamente si plac lasciando passare i due ragazzi. Quando f u r o n o sull'altra sponda, i due videro
che l'orchessa aveva oltrepassato i monti ed era arrivata al fiume. Essa disse al fiume: Ehi, tu, mostro
spumeggiante e selvaggio, fa' scomparire le tue sozze masse d'acqua che io voglio passare!. Il fiume fece calare le sue acque solo per un istante, dopodich
si gonfi in m o d o terribile p e r l'ira e a n n e g l'orchessa che aveva appena cominciato il guado.
Vedendo ci, i ragazzi si tranquillizzarono e proseguirono il c a m m i n o fino ad arrivare a u n a grande
p i a n u r a . E qui, g u a r d a n d o s i i n t o r n o , la f a n c i u l l a
scorse u n a mosca che li seguiva. Dopo un po' torn a
guardarsi indietro e vide che la mosca era gi diventata g r a n d e come un calabrone. Dopo un altro po'
esso si era avvicinato ed era gi grande come un uccellino. Allora la fanciulla ebbe p a u r a e propose al
fratello: Riposiamoci un po'!. Giunti dopo poco a
un pozzo, si sedettero sul bordo. L videro un rospo,
che chiese con insistenza: Gettatemi in acqua, cari
ragazzi!. Dopo la terza volta che ripeteva la richiesta, il ragazzo prese il rospo e lo gett nel pozzo, ma
gli rimase attaccato, e fin per precipitare dentro anche lui. A questo punto, la ragazza si rese conto che
l'orchessa si era t r a s f o r m a t a in un rospo, e quindi
fugg alla ricerca di un aiuto per tirare fuori il fratello. Incontr due giovanotti e chiese loro cosa stessero facendo e da dove venissero. Uno dei due disse:
Io sono un principe e sto cacciando in questi paraggi. Questo il mio servitore. Allora la fanciulla raccont quello che era successo a suo fratello e chiese
aiuto ai due. Essi diressero quindi i loro cavalli verso
il pozzo.
90

Torniamo ora a occuparci del fratello che era precipitato nel pozzo. Laggi egli si guard intorno e vide u n a luce e decise di andarle incontro. Strisci per
un lungo passaggio, e q u a n d o giunse al t e r m i n e ,
trov u n a fanciulla di incomparabile bellezza. Costei
gli disse: Vattene via in fretta, perch qui abita un
drago che, appena tornato, ti uccider. Il ragazzo le
rispose: Non ho p a u r a di nulla, io! Dimmi solo come si deve fare per uccidere il drago!. La fanciulla
rispose: Va' in quella sala, vi troverai u n a spada appesa alla parete: prendila! Se sarai in grado di tenerla in m a n o potrai anche ucciderlo. Altro mezzo non
c'. Il ragazzo a n d nella sala, prese la spada dalla
parete e attese il drago. Quando questi ritorn, il ragazzo lo colp producendogli u n a grave ferita. Allora
il drago gli disse: Colpiscimi un'altra volta!. Ma il
ragazzo disse: Fossi matto, ci tengo alla pelle!. E
cos il drago mor dissanguato.
Il ragazzo prese con s la fanciulla e la condusse al
fondo del pozzo, e proprio in quel m o m e n t o i due cavalieri stavano calando u n a corda per tirarlo su. Allora il ragazzo disse alla fanciulla: Sali pure tu per prima!. La fanciulla gli chiese con grande insistenza di
salire lui per primo, ma egli non si lasci convincere.
Allora essa gli consegn l'anello che aveva al dito e un
fazzoletto, e gli diede un bacio p r i m a di farsi tirare
fuori. Quando il principe ebbe estratto dal pozzo la
bellissima fanciulla, fu colmo di felicit. Anche il suo
servitore sper in un identico colpo di fortuna, ma
q u a n d o si accorse che stava tirando fuori dal pozzo il
ragazzo, lo lasci ricadere sul fondo. Dopodich i due
cavalieri, con le due fanciulle, se ne tornarono al castello del rispettivo padre e re, lasciando il ragazzo
nel pozzo. Costrinsero invece le fanciulle a non rivelare nulla, minacciando, altrimenti, di ucciderle.
Il ragazzo, frattanto, era tornato nella caverna dove
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trov il drago disteso nel proprio sangue. Gli tagli la


lingua e la mise insieme al fazzoletto e all'anello nella
tasca. Prosegu quindi e trov il rospo che lo aveva attirato nel pozzo. Al vederlo, esso fugg fino al fondo
del pozzo, ma egli lo blocc e lo uccise con la spada
del drago. Quindi si distese accanto a lui e si addorment. Quando si ridest, dal corpo del rospo era cresciuto un albero, che si elevava per tutta l'altezza del
pozzo fino al bordo. Arrampicandosi sull'albero, il ragazzo arriv all'aperto.
A questo punto riprese il c a m m i n o nella stessa direzione di p r i m a fino ad arrivare a u n a citt dove
trov un alloggio. Il p r o p r i e t a r i o della l o c a n d a gli
raccont che nel castello reale stavano per festeggiare u n a doppia festa di nozze, purch venisse rispettata ancora u n a condizione: chi fosse stato in grado
di riportare alla seconda fanciulla l'anello che aveva
al dito sarebbe stato il suo sposo. Quando fu giunto
il giorno delle nozze, il servitore del principe le port
un anello, ma la fanciulla lo respinse perch non le
andava bene. Si fecero avanti allora ancora altri giovanotti, ma n e s s u n o degli anelli le andava bene. A
questo punto giunse anche il ragazzo che le diede il
suo anello, e questa volta esso le andava a pennello.
Il re, per, non voleva che tutto andasse cos liscio, e
chiese alla fanciulla chi volesse sposare. Costei disse:
Colui che mi riporter il fazzoletto di seta che ho
perduto sar il mio sposo. Allora il servitore port
un fazzoletto di seta, ma la fanciulla lo respinse perch non era quello giusto. Solo quando il ragazzo le
porse il suo fazzoletto essa lo riconobbe immediatamente e si rallegr. Il re, tuttavia, pretese un'ulteriore prova. Allora la fanciulla disse: Colui che ha ucciso il drago nel pozzo sar di diritto il mio sposo.
A questo punto nessuno fu in grado di portare alcunch. Solo il ragazzo port la lingua del drago e venne
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riconosciuto vincitore. Allora le doppie nozze vennero festeggiate in p o m p a magna, il ragazzo ebbe in
sposa la fanciulla e sua sorella il principe. E q u a n d o
mor il re, divisero il regno in due parti uguali e regnarono in piena concordia.

16. L ' U C C E L L O D A L L E U O V A D ' O R O

C'era u n a volta un povero taglialegna al quale la moglie aveva p a r t o r i t o d u e figli. Tutti i giorni il
p o v e r u o m o andava nel bosco, tagliava la legna e la
t r a s p o r t a v a a spalle fino in citt, dal fornaio, e in
cambio riceveva due pani e un po' di denaro che bastava s e no per sopravvivere. Un giorno, recatosi
come al solito nel bosco per tagliare la legna, trov
un uccello, grazioso e mansueto, che si lasci prendere in mano. L'uomo pens di portarlo ai suoi figli
perch si divertissero con lui, e prese la via del ritorno. Quando arriv a casa cos in anticipo, senza pane n soldi, la moglie gli chiese che cosa fosse successo. Egli si limit a far vedere l'uccello, dandolo ai
figli, ma la moglie grid fino a che egli non torn nel
bosco a finire il suo lavoro.
I bambini presero a giocare con l'uccellino e gli
fabbricarono un nido con u n a cassettina, che piacque
molto al volatile, il quale si mise a cantare armoniosamente. Il giorno dopo i bimbi trovarono nella cassettina un uovo d'oro. Lo fecero vedere al padre, che
ne fu assai contento e si rec con esso da un ebreo nel
bazar degli orafi e glielo vendette a un prezzo vantaggioso; con questi soldi egli pot finalmente acquistare
cibi e indumenti di qualit, e, felice, port tutto a casa. Anche la mattina dopo i bimbi trovarono un uovo
d'oro nella cassetta dell'uccellino, e anche questa vol93

ta il padre and dall'ebreo e ne riport un bel po' di


denaro.
La cosa si ripet per diverso tempo. Al punto che
l ' u o m o pot a c q u i s t a r e u n a casa bella e spaziosa,
terreni, bestiame, schiavi e pastori, inviare i figli alla
scuola coranica e c o n d u r r e per conto suo u n a vita
felice e contenta.
Un giorno disse alla moglie: Cara moglie, adesso
noi abbiamo tutto quello che occorre per vivere bene,
non ci m a n c a nulla. E tuttavia c' u n a cosa che io desidero fare pi di ogni altra, vale a dire il pellegrinaggio alla Mecca, luogo della grazia. Tu sei provvista di
ogni cosa, per cui posso partire tranquillamente e, se
Dio vuole, torner da te sano e salvo. Prese commiato dai figli e dalla moglie, diede ordine alla sua schiava pi fedele di portare ogni giorno l'uovo d'oro
all'ebreo, e part per il lungo viaggio fino in Arabia.
Per qualche giorno tutto and bene, ma poi la moglie fu assalita dalla curiosit e u n a mattina accompagn la schiava fin dall'ebreo al quale essa vendeva
l'uovo d'oro. Quando l'ebreo vide la donna, fu rapito
dalla sua bellezza, e a n c h e lui piacque alla donna.
Egli le disse: Da dove arrivano queste uova d'oro
che mi vengono portate in continuazione?. La donna rispose: A casa abbiamo un grazioso uccello che
ogni giorno depone un uovo d'oro. Mi piacerebbe
proprio vederlo, un simile uccello disse l'ebreo. Allora la donna lo port con s a casa e gli fece vedere
l'uccello nella sua cassettina. Quando l'uccello vide i
due, inton u n a canzone:
Chi mangia la mia testa diventer re,
chi mangia il mio cuore diventer giudice.
Udito ci, l'ebreo si fece molto intraprendente con
la d o n n a e le disse: Tuo marito partito per un lun94

go viaggio. Chiss se torner mai. Io ti sposer!. La


d o n n a acconsent.
Stabilirono il giorno delle nozze e l'ebreo chiese
soltanto che l'uccellino gli venisse servito al p r a n z o
di nozze.
D u r a n t e i festeggiamenti, la d o n n a o r d i n alla
schiava di uccidere l'uccello e di cucinarlo. Frattanto
arrivarono i due figli, di ritorno da scuola, si recarono in cucina e videro l'uccello sul fuoco. Allora si misero a spilluzzicare qualcosa: u n o prese la testa, l'altro il cuore, e li mangiarono tutti e due.
Q u a n d o v e n n e servito l'uccello arrosto, l'ebreo
cerc invano la testa e il cuore, e, adiratosi moltissimo, fece chiamare la schiava. La d o n n a chiese alla
schiava: Non sei stata attenta all'arrosto? Mancano
due pezzetti!. La schiava disse: A parte me e i vostri figli nessun altro entrato in cucina. Allora la
donna chiam i suoi figli e questi ammisero di avere
spilluzzicato due pezzetti dall'arrosto. Allora l'ebreo
pretese: A questo punto tu devi sacrificare i tuoi figli e farmi portare ci che vi nei loro stomaci!. La
donna incaric la sua schiava di portare con s nel
bosco i due ragazzi, ucciderli, prendere quindi dai
loro stomaci la testa e il cuore e riportarglieli.
Quand'essi f u r o n o nel bosco, la schiava raccont
ai due ragazzi ci che la madre le aveva ordinato di
fare, e aggiunse: Io n o n ce la faccio a uccidervi.
Catturate quindi un uccello che assomigli al vostro,
e io prender il suo cuore e la sua testa e li riporter
a casa!. I due giovani fecero cos, dopodich se ne
andarono, giurando che non sarebbero mai pi tornati indietro. La schiava riport a casa testa e cuore
dell'uccello e li porse all'ebreo, che per grid: Non
sono loro!. Allora la donna maledisse la schiava e la
cacci di casa.
95

A questo punto l'ebreo prese con s la donna in casa e vissero insieme alcuni anni.
Nel frattempo i due ragazzi avevano continuato a
vagare, fino a giungere alla citt pi grande del paese, in cui era appena morto il re. Era stato per sentenziato: chi p e r p r i m o al m a t t i n o a t t r a v e r s e r la
porta per entrare in citt sar il nuovo re. Ora, i due
ragazzi passarono per primi attraverso la porta, vennero presi dalle guardie e condotti a palazzo. L essi
vennero presentati all'assemblea e tutti f u r o n o contenti dei bei giovanotti. Il maggiore fu fatto re, e suo
fratello minore giudice supremo. I due governarono
con piena soddisfazione di tutti gli abitanti e mai furono trovati un re migliore o un giudice pi giusto.
Dopo alcuni anni anche quell'uomo, il p a d r e dei
due ragazzi, ritorn dall'estenuante viaggio e fu assai triste q u a n d o trov la s u a casa a b b a n d o n a t a .
Chiese in giro e venne a sapere che sua moglie era
andata a stare da un ebreo, mentre i due figli non li
aveva pi visti nessuno. Se ne and davanti alla casa
dell'ebreo, si mise a fare un gran baccano reclamando la propria moglie. Ma questa prese a ingiuriarlo e
a dire: Portate via questo tizio, io n o n lo conosco,
deve essere impazzito!. E dal m o m e n t o che l'uomo
n o n voleva acquietarsi, l'ebreo fece c h i a m a r e le
guardie del mercato e lo fece imprigionare. Ma questi continu a gridare a tutti ad alta voce: Questa
d o n n a mia moglie, n o n moglie dell'ebreo!. Fu
allora condotto al cospetto del giudice, che per n o n
se la sent di emettere u n a sentenza, e dispose che i
tre contendenti venissero condotti alla capitale, davanti al re che aveva il giudice pi giusto.
Vennero quindi condotti al cospetto del re e di suo
fratello, il giudice, i quali riconobbero subito i loro
genitori. Ma sulle prime non dissero nulla. La donna
si lamentava del marito e continuava a ripetere che
96

doveva essere impazzito se pretendeva che lei fosse


sua moglie. Il marito invece insisteva a far valere le
sue ragioni ed esigeva da lei notizie sulla sorte dei
due figli. Quando i due figli udirono la propria madre giurare cos falsamente, ne f u r o n o assai sconvolti e r a c c o n t a r o n o c o m e e r a n o a n d a t e le cose. Abb r a c c i a r o n o quindi il padre, lo presero con s e lo
fecero vivere con loro. Quanto alla m a d r e e all'ebreo,
li c o n d a n n a r o n o : i d u e v e n n e r o legati alla coda di
due muli e trascinati in lungo e in largo finch morirono.

97

Racconti

17. L ' U O M O E I L G I G A N T E

Nulla al m o n d o pi astuto dell'uomo, e n e s s u n a


creatura sfugge al suo potere. Gli animali soffrono
s e m p r e sottomessi alla sua malignit, e p e r f i n o il
forte toro incapace di opporvisi. Un giorno il Gigante i n c o n t r un t o r o e un c a m m e l l o , che e r a n o
stati entrambi percossi dall'Uomo, si ferm e chiese
loro: Chi vi ha fatto tutto ci?. Essi gli risposero:
L'Uomo!.
Allora il Gigante and in collera, gli occhi gli si fecero rossi dall'ira e disse: Fatemi vedere quell'Uomo che osa sfidarmi! Fatemelo vedere, sono curioso
di sapere se davvero cos terribile!.
Il toro e il cammello gli indicarono l'Uomo, che in
quel m o m e n t o stava a b b a t t e n d o u n a l b e r o c o n l a
sua scure. Il Gigante and da lui e vide quanto l'Uomo si affaticasse e come ansimasse per far breccia
nel tronco dell'albero, cosicch il sudore gli colava a
fiumi gi per il corpo.
Il Gigante lo salut e gli chiese: Sei tu l'Uomo?.
L'Uomo gli grid per tutta risposta: S, sono io. Che
cosa vuoi da me?. Calma, calma, disse il Gigante
perch gridi cos forte? Io gridare? No, il m i o
m o d o di parlare! Allora il Gigante si m o s t r amichevole e disse: Va bene, va bene. D a m m i questa
scure, in m o d o che io ti mostri come si abbattono gli
alberi. Con u n a rapida mossa il Gigante afferr la
98

scure e con un sol colpo abbatt l'albero al suolo. Allora l'Uomo tir il Gigante per il grembiule di pelle e
gli grid: Perch lo hai fatto? il mio divertimento
pi gradito e tu me lo hai rovinato! Se lo avessi voluto, avrei sbriciolato l'albero con un sol colpo!.
Il Gigante rispose: Non ti arrabbiare: ci sono tanti alberi in questo bosco, potrai divertirti con un altro. Per questa volta ti perdono, ma n o n farlo pi!
E adesso prosegu l'Uomo metti i tuoi piedi nelle
fessure dell'albero, in m o d o che io possa tirare fuori
la scure! Il Gigante infil i piedi nelle f e s s u r e
dell'albero e l'Uomo tir fuori la scure. Allora l'albero imprigion i piedi del Gigante come tra due mascelle, cosicch questi vi rimase intrappolato. A questo p u n t o l'Uomo afferr un randello e lo abbatt sul
Gigante. Poi se ne and, lasciando il Gigante prigioniero. Dopo un po' il Gigante riusc a liberarsi. Cerc
l'Uomo e q u a n d o lo trov gli disse: Perch mi hai
fatto questo?. L'Uomo rispose: Avrei potuto ucciderti, ma n o n l'ho fatto, e invece ti ho fatto dono della vita affinch tu mi ringraziassi!. Il Gigante non
insistette oltre. Offr all'Uomo la propria amicizia e
gli propose di vivere con lui nella sua capanna. L'Uomo acconsent.
Ma l'Uomo n o n cess di f a r e sfoggio della s u a
grande forza. Un giorno disse di voler preparare da
mangiare, ma dal m o m e n t o che mancava la legna da
ardere, il Gigante chiese all'Uomo di andare nel bosco a raccoglierla.
L'Uomo and nel bosco, ma invece di raccogliere
rami, leg insieme tutti gli alberi con u n a lunga corda. Q u a n d o al Gigante s e m b r che l'Uomo fosse
t r o p p o in ritardo, a n d a cercarlo. Lo trov e vide
che cosa aveva fatto. Quando gliene fece cenno, il taglialegna rispose: Non vorrei che tu mi chiedessi
tutti i giorni di andare a prendere legna. Per questo
99

prender tutto il bosco, cosicch la legna ci duri un


bel po'. No, no disse allora il Gigante. Da noi
non c' abbastanza spazio per tutto questo! Quindi
sradic un albero e se lo pose sulle spalle. L'Uomo si
arrampic lesto sui r a m i dell'albero e si fece cos trasportare dal Gigante per tutto il viaggio di ritorno.
Q u a n d o g i u n s e r o davanti alla c a p a n n a , l'Uomo
balz gi rapidamente e fece il gesto di scuotersi via
la polvere dalla spalla, dopodich disse al Gigante:
Me l'hai fatta! Ho portato io da solo tutto il peso
sulle spalle. Il Gigante gli credette.
Un giorno il Gigante chiese al taglialegna di prendere il secchio e andare al pozzo a prendere acqua. Il
secchio era oltremodo pesante per l'Uomo, e la corda ancora pi pesante, ma egli n o n poteva rifiutarsi.
Nascose il secchio e prese c o n s c o r d a e vanga.
Giunto al pozzo, cominci a scavare tutt'intorno, dopodich leg la corda ai due pali del pozzo e attese.
Quando al Gigante sembr che l'Uomo fosse troppo in ritardo, a n d a cercarlo. Lo trov accanto al
pozzo e gli chiese: Perch hai fatto cos poco in tutto questo tempo?. L'Uomo rispose: Volevo portarti
l'intero pozzo, in m o d o che tu non mi chieda tutti i
giorni di andare a prendere l'acqua. Il Gigante n o n
replic e riemp da s il secchio; ma non era contento dell'Uomo.
Allora l'Uomo gli disse: Cominci a mancare di attenzioni nei miei c o n f r o n t i . Per q u e s t o d o b b i a m o
misurarci nella lotta e allora vedrai che cosa si abbatter su di te!.
Il Gigante ebbe p a u r a e chiese all'Uomo di ritornare sulla sua decisione, ma questi si impunt. Il Gigante sperava sempre di evitare il peggio, e per questo disse all'Uomo: Per i m p o r t a n t e che noi ci
misuriamo alla lotta da amici, senza ferirci. Ma l'altro replic: No. N o n vi sar alcuna piet. Comun100

que sta' attento: q u a n d o vedrai la mia lingua uscire


dalla bocca e i miei occhi sporgere fuori dalle loro
orbite, vuol dire che sto cercando un posto dove scagliarti.
Nonostante la sua opposizione, il Gigante dovette a
questo punto disporsi alla lotta. Ma mentre stava
schiacciando con forza l'Uomo tra gli avambracci, vide che la sua lingua usciva dalla bocca e i suoi occhi
sporgevano dalle orbite, e chiese pieno di paura: Che
cosa stai facendo?. Con voce soffocata l'Uomo gli rispose: Cerco un posto dove scagliarti!. Allora il Gigante, letteralmente terrorizzato, cerc di fuggire lontano dall'Uomo, ma l'Uomo lo insegu e lo calm.
La notte seguente, il Gigante dorm male. Per tutto il tempo continu a pensare al m o d o di liberarsi
dall'Uomo, e decise di ucciderlo.
L'Uomo per si era gi insospettito, e non dorm
nel suo letto. Colloc invece un grosso paiolo sotto le
coperte e se ne a n d a d o r m i r e in un altro angolo
della capanna.
Intorno a mezzanotte, il Gigante si alz, prese un
grosso randello e assest con forza estrema un gran
colpo sul letto dell'Uomo. Il paiolo and fragorosamente in frantumi, e cos il Gigante credette di avere
sfracellato la testa del taglialegna. Tutto contento se
ne t o r n a letto, convinto che il suo n e m i c o fosse
morto.
La mattina dopo il Gigante si alz presto, cantando e saltando dalla gioia, perch credeva di avere ucciso l'Uomo.
I m p r o v v i s a m e n t e sent l'Uomo che gli diceva:
Perch questa notte hai fatto come se io fossi tua
moglie?. Il Gigante, spaventato, chiese con meraviglia: Come dici?.
Intorno a mezzanotte sei venuto da me e mi hai
baciato replic l'Uomo.
101

Il Gigante si stup ancora di pi e n o n credeva alle


proprie orecchie. Si disse: "E s che l'ho colpito con
un grosso randello, eppure per lui questo non stato
pi che un bacio amichevole. Non c' dubbio che sia
assai pi forte di me".
I giorni passavano e il Gigante e l'Uomo vivevano
insieme in questo m o d o singolare. Un giorno il Gigante disse all'Uomo: da tanto che non mangiamo carne fresca. Che ne dici di a n d a r e in quella fattoria e rubare un paio di pecore?. L'Uomo rispose:
Va bene. Ma io non mi abbasso a prendere u n a sola
pecora: o tutto il gregge o niente!. Allora il Gigante
disse: D'accordo, tu n o n p r e n d e r a i niente. Vado
dentro io da solo e prendo le pecore. Intanto tu farai
attenzione che non arrivi nessuno. I due a n d a r o n o
alla fattoria e il Gigante rub le pecore. Ne prese due
sotto le ascelle e se ne ritorn indietro. L'Uomo lo segu, ma q u a n d o si tratt di saltare oltre la siepe, rimase impigliato con un piede, e si fer con u n a spina. Cominci allora a lamentarsi e a gridare: Ahi!
Ahi! Ahi!. Il Gigante gli chiese il motivo di t u t t o
quel gridare. Una spina! Una spina! Una spina! si
lament l'Uomo. Ma perch gridi tanto? chiese il
Gigante, ma l'Uomo non fece altro che continuare a
gridare: Una spina! Una spina! Una spina!.
Quando f u r o n o abbastanza lontani dalla fattoria,
il Gigante disse all'Uomo: Fammi vedere la spina
che ti fa tanto male!. L'Uomo si stese a terra e protese il piede verso il Gigante. Questi estrasse la spina
e disse: D u n q u e il motivo era solo questo! Tutto
qui! E tu eri quello che mi aggrediva e si metteva
t a n t o in m o s t r a ! Dov' finita t u t t a la t u a p o t e n z a ?
Dov' la tua forza?.
E con un gesto rapido il Gigante si ficc come se
niente fosse la spina in un occhio. Si rivolse quindi
all'Uomo e lo uccise con un sol colpo.
102

18. I L F A B B R I C A N T E D ' O R O

C'era u n a volta, t a n t o t e m p o fa, u n a g r a n d e citt,


che aveva molte belle case e palazzi, alte m u r a e un
p r o p r i o re. Un g i o r n o arriv in q u e s t a citt u n o
scienziato e si fece a s s u m e r e c o m e i n s e g n a n t e in
u n a delle maggiori scuole. Costui per era in grado
di trasformare in oro vili metalli, e la notizia di ci
giunse fino all'orecchio del sovrano. Egli fece chiam a r e al suo cospetto lo scienziato e gli chiese: vero che tu sai trasformare i metalli in oro?. Lo scienziato rispose: No, n o n vero. Allora il re si
a r r a b b i , ripet a n c o r a due volte la d o m a n d a allo
scienziato, in tono sempre pi aspro, e dal m o m e n t o
che questi continuava a negare, lo fece rinchiudere
in un sotterraneo, dove si trov completamente solo.
Dopo qualche tempo, il re, travestito, and dal prigioniero e gli fece credere di essere anche lui prigioniero. Dal m o m e n t o che siamo chiusi qui dentro insieme, disse allo scienziato a b b a n d o n i a m o ogni
diffidenza e raccontiamoci l'un l'altro il motivo per
cui siamo prigionieri. Allora lo scienziato raccont
all'altro di essere stato rinchiuso dal re per non avergli svelato come si faccia a trasformare i metalli in
oro. Sei davvero in grado di farlo? chiese il compagno di prigionia, stupito. S, rispose lo scienziato e se vuoi te lo spiego! E cos gli svel l'arte di
trasformare gli elementi.
Poco dopo il re si allontan di l, ritorn nella sala
del t r o n o e fece c h i a m a r e lo scienziato. Tu eri in
prigione gli disse e io ti ho ingannato. a me, infatti, che tu hai svelato l'arte di trasformare i metalli
in oro. Lo scienziato ne fu assai contrariato. A questo punto, quando fu di nuovo a casa, prese un pacco di fogli, scrisse in molte copie come si fa a trasformare i metalli in oro e and a distribuirli in tutte
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le case della citt. Ben presto gli abitanti cominciarono a t r a m u t a r e tutto in oro, e in questo m o d o divennero incredibilmente ricchi. Non ebbero pi bisogno di a r a r e , a b b a n d o n a r o n o l ' i n s e g n a m e n t o ,
divennero pigri e negligenti. Ben presto da loro il
grano divenne cos caro che ogni chicco era venduto
a peso d'oro; e dopo qualche tempo di grano n o n ce
ne fu proprio pi. Allora la gente prov a mangiare e
a respirare oro in polvere, ma ne morirono. La terra
invece diede u n o scrollone e fece precipitare le mura, e l'oro rimase sparpagliato sotto forma di pietre e
terra sbriciolata, e nessuno lo volle. Fu cos che la
grande citt cadde completamente in rovina e adesso non la abita pi nessuno.

19. I L C O N T A D I N O E I L R E

C'era u n a volta un re che aveva un figlia a lui assai cara. Un giorno, mentre era seduta sul balcone, il fazzoletto di seta in cui aveva avvolto il proprio anello le
cadde a terra senza che essa se ne accorgesse. In quel
m o m e n t o di sotto passava u n a mucca nera con u n a
macchia bianca sulla fronte, che ingoi il fazzoletto
con l'anello. Unica testimone u n a contadina che, trovandosi nei pressi, aveva visto tutto. Ora, q u a n d o la
principessa si accorse che il suo fazzoletto con l'anello
n o n c'era pi, pianse a lungo la sua perdita. Ben presto il re si avvide che la figlia era triste e gliene chiese il
motivo. Allora essa gli raccont che il suo fazzoletto di
seta e il suo anello erano scomparsi, e lei n o n sapeva
come. Il re fece subito annunciare per tutta la citt che
chi avesse saputo indovinare dov'erano il fazzoletto e
l'anello della principessa sarebbe dovuto venire a palazzo, dove lo attendeva u n a ricompensa.
Allora la contadina disse al marito: Va' dal re, trac104

cia linee magiche sulla sabbia come f a n n o gli indovini, e annuncia al re che gli oggetti perduti si trovano
nello stomaco di u n a vacca nera con u n a macchia
bianca sulla fronte. L'uomo si rec allora dal re, fece
finta di essere un indovino, e alla fine disse: Il fazzoletto e l'anello si trovano nello stomaco di u n a vacca
nera con u n a macchia bianca sulla fronte.
Il re fece passare in rassegna tutte le mucche del
palazzo finch trov quella descritta dal contadino.
Fece quindi venire il macellaio che dovette sgozzare
la mucca. Quando fu aperto lo stomaco, al suo interno vennero trovati il fazzoletto e l'anello. Allora il re
disse ai suoi visir: Ricompensate questo sapiente!.
Il contadino ricevette la sua ricompensa e se ne and
per la sua strada.
Un giorno u n a b a n d a di quaranta ladroni penetr
nella stanza del tesoro del re e p o r t via u n a g r a n
quantit di oggetti preziosi. Allora i visir dissero al
re: C' solo u n a persona che sia in grado di dire chi
ha depredato la stanza del tesoro, ed quel sapiente
che ha permesso il ritrovamento del fazzoletto con
l'anello della principessa.
Il re fece venire il contadino e gli disse: Uomo sapiente, la mia stanza del tesoro stata depredata. Tu
devi dirmi chi stato il ladro!. Il contadino rispose:
Lo scoprir, ma devi avere un po' di pazienza!.
Torn quindi a casa e disse alla moglie: Qualcuno
ha depredato la stanza del tesoro del re, e adesso il re
pretende che io scopra chi stato il ladro. Sei tu che
mi hai cacciato in questa difficile situazione, adesso
aiutami a venirne fuori!. La moglie rispose: Di' al re
che deve darti q u a r a n t a giorni di tempo, e un montone ogni giorno. Il contadino si ripresent al re e gli
chiese quaranta giorni di tempo e altrettanti montoni.
Il re acconsent e gli diede subito il primo montone.
In tutta la citt si sparse immediatamente la voce
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che lo stesso sapiente che aveva scoperto l'ubicazione del fazzoletto e dell'anello della principessa era
stato incaricato di rintracciare i ladri del tesoro reale. Q u a n d o i ladroni ebbero notizia di ci, tennero
consiglio e decisero di m a n d a r e uno di loro a casa di
quel sapiente per scoprire se quell'uomo sapeva veramente qualcosa o no. Il ladrone and a casa sua e
si arrampic sul tetto per sentire quello che si diceva
all'interno.
Proprio in quel m o m e n t o il contadino arrivava a
casa col suo primo montone, e appena entrato disse
alla moglie: Eccone uno! alludendo al m o n t o n e .
Ma il ladrone sul tetto si disse: Mi ha visto! e decise di andarsene. Giunto dai suoi compagni, raccont
loro quello che era successo. Allora essi decisero di
m a n d a r e l'indomani un altro ladrone a casa del sapiente per poi riferire.
Il giorno dopo il contadino riport a casa un altro
montone, ed entrando disse alla moglie: Ecco qui il
secondo!. Il secondo ladrone si spavent perch anche lui pens che alludesse a lui, e fugg a rotta di
collo dai suoi compagni. E la stessa cosa si ripet nei
giorni che seguirono. Il quarantesimo giorno l'uomo
disse: Questo il q u a r a n t e s i m o e ultimo! e il ladrone sul tetto lo ud, scapp come tutti quelli che lo
avevano preceduto e rifer la cosa ai suoi compagni.
Allora essi tennero un lungo consiglio sul da farsi,
p e r c h e r a n o convinti che il sapiente avesse visto
o g n u n o di loro e potesse descriverli al re. Alla fine
decisero di recarsi di notte a casa del sapiente e di
corromperlo affinch non li tradisse.
Si recarono quindi di soppiatto quella notte a casa
del contadino e gli diedero u n a bella s o m m a di denaro. Questo te lo regaliamo se tu non riveli la nostra
identit al re. Questa notte riporteremo anche tutti gli
oggetti che avevamo rubato nella stanza del tesoro.
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Il contadino accett il denaro e promise loro di tacere. Il giorno dopo a n d dal re e gli disse: O mio signore! Nella tua stanza del tesoro ora presente tutto
quello che mancava. Ma non trad i ladroni.
Il re si accert da s che tutto fosse esatto e fece ricompensare generosamente quell'uomo.
Ma i visir erano invidiosi del contadino e sussurr a v a n o di n a s c o s t o che egli n o n fosse un sapiente
bens un semplice contadino. Naturalmente la voce
giunse al re, e chiese ai visir che cosa proponessero.
Dovremmo mettere alla prova quell'uomo! dissero
tutti quanti, e il re accett. Presero allora tre vasi e
misero nel primo del burro, nel secondo del miele e
nel terzo della pece, dopodich li sigillarono col coperchio e li collocarono in u n a stanza che chiusero a
chiave. Venne q u i n d i c h i a m a t o il sapiente e gli fu
chiesto: Che cosa c' in questa stanza? Se sei capace di dircelo ti riconosceremo come saggio!.
Il c o n t a d i n o riflett a lungo, f i n o a essere assai
stanco, e alla fine esclam: La p r i m a stata un burro, la seconda dolce come il miele, ma la terza nera
come la pece! alludendo con ci alle tre occasioni
in cui gli era stato richiesto di fare l'indovino.
Il re e i visir credettero che l'uomo avesse scoperto
il contenuto dei tre vasi, e dissero che era veramente
un sapiente. Lo r i c o m p e n s a r o n o n u o v a m e n t e e da
allora in poi lo tennero sempre nella pi alta considerazione.

20. I L P E S C A T O R E C H E A N D DAL R E

C'era u n a volta un pescatore, che un giorno cattur


un bel pesce. Allora pens: " il p r i m o pesce che ho
catturato quest'anno. Lo doner al re". Prese il pesce, a n d al p a l a z z o e si p r e s e n t nella sala delle
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udienze. I sorveglianti gli chiesero: Perch sei venuto qui?. Egli rispose: Voglio fare un d o n o al re.
Allora lo condussero al suo cospetto.
Il pescatore si fece avanti, reggendo il pesce con le
due m a n i e si inchin davanti al re toccando terra con
la fronte. Il re disse: Dategli cento monete d'oro!. I
sorveglianti gli diedero ci che il re aveva comandato,
e il pescatore usc. Allora il visir disse al re: Ti ha dato un pesce e tu gli hai dato cento monete d'oro. In
questo m o d o la camera del tesoro si svuoter in fretta!. Il re rispose: Ormai l'ho fatto. Ma il visir prosegu dicendo: Richiamalo e chiedigli se quel pesce
maschio o femmina. Se il pescatore dice che un maschio, digli: "Portami anche u n a femmina!" e se dice
che u n a femmina, digli: "Portami anche un maschio!".
I sorveglianti richiamarono il pescatore, e q u a n d o
questi entr, il re gli chiese: Questo pesce maschio
o femmina?. Il pescatore si inchin e rispose: O
mio signore, esso ermafrodito, e quindi non n
maschio n femmina. Allora il re ordin: Dategli
cento monete d'oro per questa risposta!. I sorveglianti gli diedero di nuovo cento monete d'oro, e il
pescatore usc un'altra volta. Mentre attraversava
l'anticamera, gli cadde a terra u n a moneta d'oro. Egli
si chin e la raccolse. Il re e il visir lo videro. Allora il
visir disse al re: Hai visto, mio signore? Quest'uomo,
cui tu hai dato duecento monete d'oro, non ha saputo
resistere e si chinato a raccogliere un'unica moneta
d'oro che gli era caduta a terra. Non ha voluto lasciarla ai sorveglianti. Allora il re disse: Richiamatelo!.
1 sorveglianti richiamarono il pescatore, e per la terza
volta costui entr nella sala delle udienze. Il re gli disse: Io ti ho dato duecento monete d'oro, a te ne caduta in terra u n a sola e tu n o n hai saputo resistere e ti
sei chinato a raccoglierla. Il pescatore gli rispose:
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Che Dio ti dia la grazia, o mio signore! Non ho mancato in quanto al mio comportamento, dal m o m e n t o
che sulle monete d'oro sta scritto il nome del mio sovrano. Se io avessi lasciato stare la moneta d'oro, altri
l'avrebbero calpestata. per questo che ho sollecitamente raccolto da terra il nome del mio sovrano. Allora il re si rivolse al visir e gli disse: Di solito chi si
reca dal sovrano gli porta qualcosa per arricchirlo.
Quest'uomo si recato da noi e invece sta a noi arricchirlo. Gli vengano date altre cento monete d'oro. E
tu ordin al visir dagli trecento monete d'oro perch mi hai dato questi consigli.
Al p e s c a t o r e v e n n e r o quindi d a t e cento m o n e t e
d'oro, e dal visir egli ne ebbe altre trecento, cosicch
se ne torn a casa con seicento monete d'oro.

21. LA SCHIAVA F U R B A

C'era u n a volta un re che aveva u n a schiava negra


molto furba. Un giorno, mentre era seduto con lei
sulla veranda, vide passare nel vicolo sottostante un
u o m o che recava sulla schiena u n a fascina di legna.
Allora il re disse: Guarda questo p o v e r u o m o ! Come si affatica e quanto sudore gli cola dalla fronte!.
La schiava rispose: Dipende tutto da sua moglie! O
pazza, o p p u r e assai f u r b a e sa come tenere il
marito!.
Il re fu indispettito da queste parole - che dipendesse, cio, dalla d o n n a se il marito fosse ricco o povero e disse al suo servitore: Fai salire qui quel taglialegna!. Quando il taglialegna comparve al cospetto del
re, questi gli disse: Ti faccio dono di questa schiava.
Pensava infatti tra s: "Voglio proprio vedere se pu o
meno rendere ricco quest'uomo". Ci detto li licenzi
entrambi.
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Il taglialegna vendette come al solito la sua fascina al mercato e si port dietro la schiava fino a casa.
Q u a n d o essa vide q u a n t o p o c o aveva o t t e n u t o al
mercato per il legname, gli disse: Ecco, prendi questi dieci talleri e con essi compra tutto quello di cui
a b b i a m o bisogno; ma domani non portare al mercato la legna da ardere, portala a me!. L'uomo fece come essa gli aveva detto e il giorno dopo port a lei la
legna che aveva raccolto. La schiava esamin per bene la fascina e si accorse che era legno di aloe della
migliore qualit, troppo prezioso per usarlo come legna da ardere. Sarebbe stato molto meglio, pens,
usarlo per incensare gli ambienti. Perci diede ancora all'uomo del denaro per fare le compere, e anche
il giorno seguente si fece portare la legna. Separ il
legno pi pregiato da quello di m i n o r valore, dopodich confezion delle fascine col legno migliore, ne
fece un involto e le port in dono ai signori del governo e ai ricchi della regione. Tutti conti accambiarono con altri doni, a seconda delle loro ricchezze, e
cos la donna ottenne assai pi di quanto fosse il valore del legname sul mercato. And avanti parecchio
t e m p o in questo modo, e la schiava riusc a metter
via u n a considerevole s o m m a di denaro. Con esso
acquist un giorno un gruppo di case, le fece radere
al suolo e al loro p o s t o fece c o s t r u i r e un p a l a z z o
identico, fin nei minimi dettagli, a quello del re.
Invi quindi un servitore dal sovrano e gli chiese
di venire al palazzo in qualit di ospite. Il re venne e
fu molto stupito q u a n d o si trov davanti al portone e
vide che era bello come il suo. Entr e si meravigli
ancor di pi perch anche all'interno il palazzo era
identico al suo. I servi portarono da mangiare e anche questo cibo era cucinato come quello che mangiava tutti i giorni. Allora entr la schiava, lo salut
r i s p e t t o s a m e n t e e gli chiese: O m i o signore, che
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hai? N o n dici nulla!. Allora egli riconobbe la sua


schiava e rispose: Non mi resta che dire: "Dipende
solo dalla donna!".

22. IL M E D I C O S A G G I O

C'era u n a volta un re - bench in verit non vi sia vero re al di fuori di Allah -, e questo re amava il cibo
sopra ogni cosa. Ogni giorno ne mangiava immense
quantit e non era soddisfatto finch la pancia non
era p i e n a al p u n t o da poterci t a m b u r e l l a r e sopra.
Cos ingrass e, strato di lardo dopo strato di lardo,
divent r o t o n d o c o m e u n a botte e pieno c o m e un
sacco. A un certo punto non pot pi uscire all'aperto (andare a cavallo non gli riusciva pi gi da tempo) e se gli capitava di passeggiare qualche istante
nel giardino, sudava e ansimava come un mantice.
Ben presto dovette trascorrere l'intera giornata disteso sul sof, sentendosi poco bene. Quando infine
si accorse di essere malato, chiam il dottore e si fece somministrare i suoi rimedi, ma nessuno di essi
gli diede g i o v a m e n t o . Li prov u n o d o p o l'altro e
m a n d gi diverse medicine, ma sempre senza successo. Fece allora annunciare dai banditori per tutta
la citt che il medico che lo avesse guarito avrebbe
ottenuto in moglie sua figlia; ma chi non avesse avuto successo sarebbe stato decapitato.
N a t u r a l m e n t e , nessun medico si azzard a farsi
vedere a corte, poich tutti temevano per la propria
vita. Tra i consiglieri del re vi era per un u o m o saggio che, p u r non essendo un dottore, si rec un giorno in udienza dal re, lo baci e gli disse: O re, mio
signore, io sono medico e astrologo, e per guarirvi
devo osservare le stelle questa notte. Fatelo allora
ili

disse il re e domattina presto venite subito da me e


datemi il responso!
L'uomo and a casa, mangi, bevve e si mise tranquillamente a dormire. La mattina seguente le guardie del corpo del re bussarono alla sua porta, ed egli
fece riferire loro dai servi che alle nove si sarebbe
presentato. E difatti, all'ora stabilita, si rec nella sala delle udienze, baci il re e gli disse: Non sforzatevi a trovare un rimedio, o re mio signore, giacch vi
rimane solo un mese di vita. Questi gli chiese imperiosamente: vero quello che dite?. S, rispose
l ' u o m o potete f a r m i gettare in p r i g i o n e e se t r a
trenta giorni non sarete ancora morto, allora potrete
farmi tagliare la testa.
Allora il re lo fece gettare in prigione. Ma dal mom e n t o che era f e r m a m e n t e convinto che questa diagnosi fosse vera, non ebbe pi voglia di mangiare e
non riusc n e m m e n o pi a starsene fermo sul letto.
Divenne inquieto, si aggirava per il giardino ammir a n d o la bellezza degli alberi e dei fiori, gustando il
loro p r o f u m o e i loro colori; gli destava grande mestizia il fatto di dovere abbandonare tutte queste bellezze, e per l'afflizione non riusciva pi n a mangiare n a dormire. Dopo dieci giorni, ebbe perso tanto
grasso da essere in grado di farsi sellare il cavallo e
montarlo, facendo un giro in luoghi selvaggi. Il gran
m o v i m e n t o gli fece p e r bene, e la fatica gli fece
quasi dimenticare le sue preoccupazioni. Continuava invece a trovare poco gusto per il cibo e si nutriva
assai poco, divenendo, in capo ad altri dieci giorni,
veramente magro.
Il prigioniero chiese al g u a r d i a n o della prigione
c o m e stesse il re, e venne i n f o r m a t o dei singolari
cambiamenti che si erano prodotti in lui. Allora fece
p o r t a r e al re dal g u a r d i a n o u n a missiva in cui gli
chiedeva udienza. Il re gliel'accord. Dopo avere sa112

lutato e baciato il re, il saggio gli disse: O re, mio signore, promettetemi che non mi punirete e io vi com u n i c h e r u n a cosa. Il re gli p r o m i s e l'impunit
per ci che avrebbe detto, e l'uomo prosegu: Dovete sapere, o re, che io non sono un medico e neppure
un astrologo; ho dovuto ricorrere a quest'astuzia per
guarirvi, perch solo questo avrebbe funzionato: la
p a u r a della m o r t e , i pensieri e le p r e o c c u p a z i o n i .
Ora voi siete tornato in salute, e vi posso confessare
che io n o n so q u a n t o a lungo durer la vostra vita,
perch nessuno al di fuori di Allah conosce la lunghezza della vita degli uomini. Vi auguro u n a lunga
vita! Siate riconoscente ad Allah per la salute che vi
ha restituito, lodate l'Onnipotente per i suoi beni e
mantenete la promessa che avevate fatto di dare vostra figlia in moglie a colui che vi avesse guarito!.
Allora il re lo baci sulla fronte, gli perdon l'astuzia
e disse: Le nozze saranno tra otto giorni.
Quindi n o m i n ministro quell'uomo saggio e da
quel giorno govern con m o d e r a z i o n e e r i m a s e in
salute per tutta la vita. Sia lode a Dio che conserva
nelle proprie mani malattia e guarigione!

23. U N S A G G I O C O N S I G L I O

Un u o m o , m o r e n d o , disse al figlio: Non s p o s a r e


u n a vedova, non comprare un cavallo recalcitrante e
non diventare amico del cad!.
Il figlio tenne a mente tutto ci, deciso, un giorno,
a verificarlo. Qualche t e m p o dopo la m o r t e del padre, si spos con u n a vedova, acquist un cavallo
ostinato e fece dei doni al cad fino ad acquisirne
l'amicizia. Una notte and di nascosto in cortile, prese u n a pecora, la ricopr col suo mantello, dopodich la mise accanto al suo cavallo, rientr in casa e
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svegli la moglie: Guarda, un ladro vuole portarmi


via il cavallo!. La moglie disse: Prendi il tuo fucile
e uccidi il ladro!. Il giovane fece come gli era stato
consigliato, poi le chiese: E adesso dove metto il cadavere?. In u n a cassa disse la moglie. Egli nascose il fagotto insanguinato in u n a grande cassa e cominci quindi a percuotere la moglie finch questa
si mise a gridare cos forte da far accorrere tutta la
gente. Prima ha s p a r a t o a un u o m o , e adesso mi
vuole uccidere continuava a gridare.
Allora vennero i soldati per arrestarlo. Egli cerc
di mettersi in salvo fuggendo a cavallo, ma l'animale
recalcitrante n o n gli fu di nessun aiuto. I soldati lo
a f f e r r a r o n o e lo p o r t a r o n o dal cad. Costui lo fece
gettare in prigione, ma l'uomo si mise a ridere a crepapelle facendo un tale r u m o r e che il cad lo fece richiamare e gli chiese perch ridesse in quel modo.
Se tu sapessi la mia storia, rideresti anche tu rispose il giovane. Raccont quindi al cad quello che
gli aveva consigliato il padre p r i m a di morire e perch avesse f a t t o t u t t a q u e s t a c o m m e d i a . Il cad
m a n d subito i soldati a casa della vedova per prendere il cadavere del ladro, e questi tornarono con la
pecora uccisa. Allora risero tutti e due, e l'uomo disse: Aveva d u n q u e ragione mio padre q u a n d o mi disse: "Non sposare u n a vedova, n o n comprare un cavallo recalcitrante e n o n diventare amico del cad!".

24. LA G R O S S A E R E D I T

C'era u n a volta un u o m o che nell'arco di u n a vita


passata nel commercio aveva guadagnato molte ricchezze, ma le aveva spese t u t t e c o n u n a c o n d o t t a
dissipata, dedita allo sfarzo, al bere e al gioco d'azzardo. Q u e s t ' u o m o aveva due figli. Q u a n d o questi
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f u r o n o cresciuti e c o m i n c i a r o n o a g u a d a g n a r e per
conto loro, ricavandone di che vivere bene, si adirarono col padre che aveva scialacquato tutti i suoi beni. Dal m o m e n t o che ora quell'uomo stava diventando anziano e imbelle ma n o n riceveva aiuti dai figli,
a n d da un a m i c o e gli disse: La pace sia con te,
mio caro amico, che Dio ti benedica! Vorrei da te un
consiglio su quello che dovrei fare perch i miei figlioli n o n mi a m a n o e mi f a n n o m a n c a r e ogni sostegno. Allora l'amico rispose: Che Dio ti dia clemenza! Tu devi dire cos ai tuoi figlioli: "Una volta ho
prestato u n a grossa s o m m a di denaro al mio amico,
o r a egli me la restituir". L'uomo lo r i n g r a z i e
torn a casa.
Qualche giorno pi tardi venne a visitarlo l'amico
p o r t a n d o con s u n a grande e pesante cassapanca.
Che Dio accresca il tuo bene! disse costui. Eccoti
indietro il tuo denaro. L'uomo mostr grande contentezza e disse ai suoi figli: Questo denaro che il
mio amico mi ha restituito lo lascio a voi in eredit.
Io controller solo che nulla vada perduto. Un terzo
di esso a n d r distribuito ai poveri e un terzo appartiene a ciascuno di voi.
Da allora in poi l'uomo fece la guardia alla cassapanca; se doveva assentarsi un attimo, chiudeva per
bene a chiave la porta della stanza. I suoi figli n o n
gli fecero m a n c a r e nulla, esaudirono ogni suo desiderio fino alla sua morte. In tal m o d o egli aveva nuov a m e n t e e d u c a t o al b e n e i suoi figlioli. Q u a n d o
mor, essi aprirono la cassapanca e la trovarono piena di sassi. Allora essi riconobbero che l'educazione
al bene e l'amore per i genitori sono meglio di qualunque ricchezza di questo mondo.

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25. LA G U A R I G I O N E D E L L ' A V A R O

Nel nostro paese viveva un t e m p o un u o m o cos avaro che dava da mangiare alla moglie solo zuppe brodose o minestrine annacquate. Addirittura, se arrivavano degli ospiti, si nascondeva e faceva dire da
sua moglie che lui non era in casa, in modo da n o n
dovere offrire loro il pane e il miele con cui si sogliono accogliere gli ospiti. E tuttavia non era cos povero come sembrava, anzi conservava oro e argento in
un nascondiglio sotto il materasso.
Un giorno i due fratelli della moglie vennero in visita alla sorella e le chiesero come se la passasse. Ed
essa si lament con loro della povert in cui versava
e del fatto che il marito la nutrisse solo con minestrine a n n a c q u a t e . Ci suscit l'ira dei fratelli, che si
misero d'accordo con la sorella per dare u n a lezione
a quell'avaraccio. La sorella acconsent.
I d u e fratelli a n d a r o n o allora al m e r c a t o e comprarono dell'oppio. Quindi cercarono il cognato e lo
invitarono a mangiare in u n a tenda del mercato. Fecero servire u n a portata dopo l'altra: montone arrosto, cuscus, dolci di mandorle. Mentre loro due n o n
m a n g i a r o n o quasi nulla, il cognato si avventava su
ogni portata, perch - si diceva - quello che regalato ha pi sapore. I fratelli lo a c c o m p a g n a r o n o fino
alla porta di casa, quindi si accomiatarono.
A casa l'uomo and a stendersi e cominci ben presto a dormire come un sasso, o meglio perse i sensi in
seguito alla grande quantit di oppio che aveva ingerito, senza saperlo, insieme al cibo. Quando fu buio, i
due fratelli ritornarono, portarono fuori l'uomo privo
di sensi, lo cucirono in un bianco lenzuolo, in cui lasciarono solo u n a piccola apertura all'estremit del
capo, e lo portarono al cimitero. Qui scoperchiarono
u n a t o m b a vuota e vi posero dentro l'uomo, proprio
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come avrebbero fatto con un cadavere. Poco alla volta, vuoi per il freddo della notte, vuoi per la scomodit
del trasporto, l'uomo cominci a riprendersi. A questo
p u n t o i due fratelli si travestirono: u n o si infil nella
pelle di u n a iena, e l'altro in quella di u n a pantera nera. Presero anche un manganello ciascuno e cominciarono, a turno, a somministrare u n a gragnuola di
colpi all'individuo avvolto nel lenzuolo fnebre. In
questo m o d o l'uomo si ridest completamente e riprese i sensi. Attraverso l'apertura che era stata lasciata
all'estremit del capo vide che si trovava al cimitero e
comprese subito la sua terribile situazione: le due figure animalesche che lo bastonavano n o n potevano
essere altro che Munkir e Nakir, i due angeli inquisitori. Quando, a questo punto, cominci a gemere e a
chiedere piet, i due uomini travestiti si fermarono
per un po' e cominciarono il loro interrogatorio:
Quando hai dato ai poveri quello che ti era possibile? . E l'altro chiese: Quando hai procurato a tua moglie un vestito nuovo o un pasto decente?. E cos via
con le domande, cui l'avaro poteva rispondere solo:
Ho tralasciato di farlo. Lo incalzarono a tal punto
da farlo scoppiare in lacrime. Allora lo percossero ancora pi forte di p r i m a fino a fargli perdere conoscenza un'altra volta. Si tolsero i travestimenti e riportarono a casa l'uomo privo di sensi. Alla sorella dissero:
Non preoccuparti, q u a n d o domattina si risveglier
sar guarito dall'avarizia! . E se ne andarono per la loro strada.
Quando, l'indomani, l'uomo torn in s e si fu, un
po' alla volta, ripreso dalle percosse, and al mercato
e acquist farina di qualit, miele e mandorle, carne
e frutta, in breve tutto quello che occorre a un u o m o
per m a n d a r e avanti la casa. A tutti i mendicanti che
incontr diede u n a ricca elemosina. Quando fu di ritorno con tutte queste buone cose da mangiare e le
117

diede da cucinare alla moglie, essa fu felice della trasformazione. Non ebbe pi da lamentarsi, perch il
marito rimase generoso e liberale finch visse.

26. IL CAD E IL C A C C I A T O R E

Nei t e m p i a n t i c h i viveva un c a c c i a t o r e che t u t t i i


giorni se ne andava nella steppa ricca di prede o nel
folto dei boschi, e tornava alla sera con il nutrimento per l'indomani.
Un giorno uccise u n a p e r n i c e cos grassa c o m e
non ne aveva mai ucciso. Allora egli decise di farla
arrostire nel f o r n o del villaggio farcita di tutto ci
che poteva insaporirla: aglio, cipolla, spezie ed erbe
aromatiche.
La mattina dopo la port dal fornaio e gli raccom a n d di occuparsi di quella gustosa pernice e di
non dimenticarla nel forno lasciandola bruciare.
Il caso volle che quel giorno il cad passasse davanti al forno, nel corso della sua passeggiata quotidiana, e, raggiunto dall'odorino delizioso, si dirigesse incuriosito dal fornaio al quale disse: Quale cibo
gustoso sta d u n q u e cuocendo nel tuo forno?. O signore, rispose il fornaio si tratta di u n a pernice ripiena, che appartiene al cacciatore del villaggio. il
suo cibo per il pranzo di oggi. Al che il cad gli disse, con l'acquolina in bocca: Dammi questa pernice! di mia spettanza, la manger io.
Ma il f o r n a i o replic s c o n t e n t o : Io n o n p o s s o
darti qualcosa che non mi appartiene! E cosa dir al
cacciatore?.
Dammi ci che ti ho ordinato! disse il cad con
energia. E se viene il cacciatore, cerca di liberartene. Se non riesci a persuaderlo, allora digli che la pa118

rola toccher al cad! E ci detto il cad si prese la


pernice e se ne and.
Quando, a mezzogiorno, il cacciatore venne al forno, richiese la propria pernice, ma il fornaio replic:
Ma di quale pernice parli? Tu n o n mi hai dato un
bel niente. Guarda nel forno! C' dentro solo pane.
Allora il cacciatore esclam: Ma cosa stai dicendo? Questa mattina ti ho lasciato u n a pernice ripiena e ti avevo detto di cuocermela.
Il fornaio rispose: Vedo proprio che non mi vuoi
credere. Vieni, a n d i a m o dal cad. Decider lui la nostra controversia!. Il cacciatore accett la proposta
e a n d a r o n o tutti e due dal cad.
Quando giunsero da lui, il cad disse al cacciatore:
Esponi le tue lamentele!. O signor giudice,
esord il cacciatore stamattina presto ho dato u n a
p e r n i c e a q u e s t o f o r n a i o p e r c h me la cuocesse.
Adesso che sono venuto a riprendermela, egli sostiene che io non gli avrei dato un bel niente. Voglio avere la m i a pernice, p e r c h si t r a t t a del m i o p a s t o
odierno!
Il cad riflett sulla risposta, dopodich disse in tono di sfida: Per questa lagnanza dobbiamo chiedere
consiglio al libro sacro. Esso ci riveler la soluzione
della vertenza.Quindi il cad apr un libro e disse: Il
libro sacro dice che la tua pernice se ne volata via.
Il cacciatore fu m o l t o meravigliato di questa risposta e chiese: Se la mia pernice se n' volata via,
se ne sar volata via in c o m p a g n i a dell'aglio, delle
spezie e del resto?.
Il cad fu sorpreso dall'assennatezza del cacciatore
e rifer quello che era successo: Sono io che ti ho
preso la pernice perch il suo p r o f u m i n o mi aveva
solleticato le narici. Ma n o n sia detto che tu debba
rinunciare a questo pasto. Ti pagher il valore della
pernice, e ti invito a colazione con me.
119

In questo m o d o il cacciatore si sedette alla mensa


del cad e o t t e n n e in d o n o u n a b o r s a di m o n e t e
d'oro.
La saggezza e la prontezza nel parlare sono la via
del riscatto.

27. L O S T R A N O D O N O N U Z I A L E

In u n a lontana citt viveva un tempo un vecchio saggio e devoto. Viveva solo col suo unico figlio, perch
la moglie era m o r t a p r e m a t u r a m e n t e . Il vecchio
provvedeva da s all'educazione del figlio, il quale
cos amava e rispettava suo padre.
Quando il figlio ebbe finito il corso di studio nella
scuola coranica del luogo, volle a n d a r e alla scuola
superiore di teologia nella capitale, e cominci quindi a parlarne col padre. Un giorno gli disse: Padre
mio! Che Dio ti prolunghi la vita fino a vedere tuo figlio diventare cad. Ho infatti intenzione di a n d a r e
alla scuola superiore di teologia nella capitale e studiare giurisprudenza e chiedo perci la tua approvazione insieme alla tua benedizione. Infatti tu hai sacrificato tutto per il mio bene, hai vegliato insonne
perch io potessi riposarmi, i n s o m m a sei stato per
me al contempo un padre e u n a madre!.
L'anziano genitore n o n era m a i a n d a t o a scuola
ma aveva i m p a r a t o a leggere nel libro della vita.
Quando suo figlio gli comunic il proposito di divent a r e giudice, lo osserv c o n i suoi occhi divenuti
stanchi e saggi per la lunga vita e gli disse: Figliolo,
io preferirei invece che tu restassi a vivere con me.
Sarebbe per me preferibile che tu allevassi pecore e
capre e vendessi carbone di legna piuttosto che vederti studiare e sciupare il tempo con l'intenzione di
diventare cad.
120

Il figlio fu assai meravigliato da questa risposta,


per cui chiese al padre: Perch giudichi cos male il
mestiere di cad? I giudici non sono forse coloro che
conoscono il Corano e vegliano sulla sua osservanza? Non sono essi che puniscono i ladri e proteggono i buoni?.
Per convincere il figliolo, il padre prese a narrare
la storia che segue: Si racconta che un tempo vivesse un giovane di n o m e H a s s a n . Un g i o r n o q u e s t o
Hassan si i n n a m o r di u n a ragazza di n o m e Zeinab,
che per era assai pi ricca di lui.
Ciononostante, Hassan and dai genitori di lei a
chiedere la sua m a n o , ma, come era da aspettarsi,
costoro si rifiutarono di dare la figlia in moglie a un
giovane pi povero. Dal m o m e n t o che Hassan persisteva nella s u a richiesta, il p a d r e della ragazza richiese un dono nuziale che Hassan n o n avrebbe mai
potuto permettersi: per sua figlia esigeva cento cammelli color zafferano. Sulle p r i m e H a s s a n respinse
questa richiesta sconsiderata, ma poi si rassegn e
acconsent a pagare questo dono nuziale.
Sfortunatamente, l'unico che allevasse cammelli
color zafferano era il principe della loro trib. Ma costui ne era estremamente geloso e le sue guardie non
conoscevano la piet; a chi veniva scoperto m e n t r e
tentava di rubare i cammelli veniva tagliata la m a n o
destra.
Un giorno Hassan si aggirava per la citt meditando sul m o d o di ottenere la sua sposa. In quella vide
sollevarsi nell'aria in lontananza u n a grande nuvola
di polvere: era il principe della trib che ritornava
dalla caccia. Il drappello a cavallo si avvicinava e gi
Hassan poteva distinguere il principe in mezzo alle
sue guardie e ai suoi consiglieri.
Improvvisamente balz fuori un leone, che aveva
atteso i cavalieri acquattato dietro u n a roccia, e as121

sal il drappello. I cavalli fecero uno scarto e lasciarono cadere i loro cavalieri. Tutte le guardie e la gente del seguito fuggirono e il principe si trov all'improvviso solo, a tu per tu con la belva.
Allora Hassan estrasse la spada, si gett sul leone
e con un colpo preciso gli divise in d u e la testa. Il
leone croll a terra morto.
Q u a n d o le guardie videro ci, si a f f r e t t a r o n o a
tornare, ma il principe le scacci con un gesto irato.
Quindi, deposta l'ira, si rivolse al giovane che gli aveva salvato la vita e gli disse: "Ragazzo, ti devo la vita!
Per ricompensa potrai chiedere quello che vorrai".
H a s s a n rispose: "Mio signore! Io so q u a n t o tu
ami i tuoi cammelli colore del miele e dello zafferano. Ma io ho bisogno di cento di essi come dono nuziale per colei che a m o . R i m a n g o n o due sole soluzioni: o tu mi d a r a i ci c h e ti chiedo, o p p u r e mi
taglierai la testa per avere osato avanzare u n a richiesta cos spropositata".
Il principe si pass le dita nella barba, poi disse:
"Tu sei coraggioso e le tue richieste non meritano alcun biasimo. Ti dar volentieri ci che hai chiesto.
Ma sta' in guardia da quella gente che ti ha imposto
un simile dono nuziale! Essi vogliono la tua rovina".
Hassan toccava il cielo con un dito. Adesso poteva sposare colei che amava. Si rec dai genitori di
Zeinab e consegn loro i cento cammelli color zafferano. Ma le sue fatiche non erano ancora terminate.
Il padre di Zeinab fu molto stupito di vedere arrivare
Hassan coi cammelli, allora, furioso, disse: "I cento
cammelli che hai portato erano la condizione posta
dalla m a d r e di Zeinab. Anche a me spetta porre u n a
condizione. Dovrai portarmi due grossi sacchi pieni
di scorpioni vivi!".
Hassan rimase ammutolito dallo stupore q u a n d o
ud questa richiesta insensata. Che dono nuziale sin122

golare! E dove avrebbe trovato u n a simile quantit


di scorpioni vivi? Volevano davvero la sua rovina!
Tuttavia accett e usc tristemente.
Un giorno, m e n t r e se ne stava seduto per terra e
tracciava linee e figure nella s a b b i a p e r svelare il
proprio destino, sopraggiunse un u o m o che gli chiese: "Perch stai f a c e n d o ci, figliolo?". H a s s a n gli
raccont tutta la storia della sua richiesta di matrim o n i o e concluse, sospirando, che n o n sapeva che
fare. Ridacchiando tra s l'uomo rispose: "Questo
un p r o b l e m a di facile soluzione. Va' al c i m i t e r o e
cerca la t o m b a di un cad. Scava via la terra dalla
tomba e troverai ci che ti serve".
E cos avvenne. H a s s a n prese il suo cammello,
due sacchi e un forcone e si rec al cimitero. Davanti alla tomba di un cad si arrest. Cominci a scavare e a togliere la terra, e cosa vide? Quale orrore! La
fossa pullulava di neri scorpioni, ne era piena fino
all'orlo!
Hassan riemp in fretta i due sacchi e torn febbrilmente a casa di Zeinab. Le sue prove f u r o n o cos
finite perch i genitori di Zeinab cessarono di porgli
condizioni e gli concessero la m a n o della figlia.
E il vecchio concluse il suo racconto con le parole:
Figlio mio! Vedi quanto importante condurre u n a
vita pura. Le porte del Paradiso sono chiuse per colui che ha mangiato sui beni degli orfani. E vedi quale vergogna insegue un cad anche dopo la sua morte. p e r q u e s t o che ti consiglio di a b b a n d o n a r e
questa strada che volevi percorrere, perch io n o n
vorrei che ti perseguitasse la maledizione degli uomini, in vita e in morte.
Il figlio annu col capo, e u n a lacrima gli percorse
la guancia e fin a terra. Si pass la m a n o sul viso, si
chin sulla m a n o del padre e la baci.

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Storie facete

28. IL S U L T A N O E I B E R B E R I

In quel tempo vi fu un'ennesima trib berbera che


manifest la propria insubordinazione nei confronti
del sultano: non pagavano pi tasse e imposte, in occasione delle festivit non inviavano pi doni ed erano arrivati al punto di malmenare i messaggeri che il
sultano inviava loro.
Al sultano n o n rest altro da fare che inviare le
proprie truppe sui monti contro questa trib per sottometterla, cosa questa che fu effettuata con successo. A questo p u n t o u n a delegazione dei notabili di
q u e s t a t r i b dovette recarsi a Fez dal s u l t a n o p e r
chiedergli perdono. Essi si avviarono d u n q u e con timore e amarezza.
Quando vennero introdotti al cospetto del sultano
e videro il suo volto rosso dall'ira, il loro cuore dette
un balzo. Parl allora il pi anziano della trib, un
vecchio con la b a r b a bianca, e disse al sultano: O
mio signore, ascoltaci: noi siamo il pascolo e tu sei il
ronzino che ci sta sopra, divoraci a piacimento! Noi
siamo gli arieti e tu sei il pastore: guardaci secondo
la tua volont! Noi siamo la segale e tu sei l'asino: divoraci come preferisci!.
Quando il sultano ud queste parole, scoppi in
u n a sonora risata, quindi disse ai Berberi: Vi ho perdonati. Ma non sollevatevi mai pi contro di me!.
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29. IL M A E S T R O DI C O R A N O T R A I B E R B E R I

Lass in alto, in mezzo alle montagne, vivono numerose trib berbere che parlano solo il loro idioma, la
lingua tashelhit, e non conoscono u n a parola di arabo.
Del Corano e delle formule di preghiera h a n n o solo
u n a vaga idea. Ciononostante si sentono tutti musulmani. Durante la riunione annuale di u n a di queste
trib di montagna, i vecchi si trovarono a parlare ancora u n a volta di questa situazione di emergenza.
Non conosciamo n e m m e n o le parole precise della
preghiera disse un vecchio con la barba bianca.
u n a vergogna, poich noi siamo p u r sempre dei buoni
musulmani. Allora un giovane fece la proposta di
chiedere al sultano di m a n d a r e u n a persona colta, in
grado di istruirli almeno nelle cose essenziali.
Venne quindi inviata al sultano di Fez u n a delegazione di notabili che chiese l'invio di u n a persona colta. Il sultano fu lieto di questo zelo religioso e promise loro un maestro di Corano. Scelse quindi u n o di
quei sapientissimi uomini della rinomata universit
Qarawiyyin, e questi dovette andarsene sui monti insieme a quegli uomini. L'intera trib lo accolse con
grande gioia e gli diede ospitalit. Ora, quando giunse l'ora della preghiera pomeridiana, il maestro si
alz e convoc la gente per la preghiera. Tutti gli uomini eseguirono le abluzioni e si disposero in file seguendo le disposizioni del maestro. Davanti alla prima fila prese posto lui stesso per fungere da imam, e
stava gi per iniziare la preghiera quando si avvide
che il terreno su cui si trovava era ancora inzuppato
dall'ultima pioggia. Temendo di sporcare il proprio
abito bianco immacolato in quella fanghiglia, prese
un pezzo di u n a porta che si trovava nei pressi e lo pose dinanzi a s. Le assi erano per unite alla bell'e meglio e tra di esse vi erano delle fessure.
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A questo punto egli sal su questa porta di assi e


sollev le m a n i c o m e prescrive la tradizione, ed
esclam: Allhu kbar (Allah grande!), e tutti
gli u o m i n i schierati dietro Yimam i m i t a r o n o i suoi
movimenti e ripeterono il grido: Allhu kbar-. Dopo la Fatiha e la sura del Corano, Yimam si inchin e
disse: Subhn Allh (Dio sia lodato!), e tutti obbedienti seguirono i suoi movimenti e ripeterono le
parole arabe. Quindi l'orante si prostr a terra, fino
a toccare le assi con la fronte, e disse le parole rituali, e tutti lo imitarono e ripeterono le parole in arabo
che n o n c o m p r e n d e v a n o . F a c e n d o pressione sulle
assi, tuttavia, la fessura tra esse si allarg, cosicch il
n a s o del dotto si trov nello spazio tra d u e assi, e
q u a n d o volle rialzarsi, f a c e n d o cos d i m i n u i r e la
pressione sulle assi, la fessura si restrinse e il naso
rimase intrappolato. Cerc di tirare fuori il naso con
la forza, ma non ci riusc. Allora esclam ad alta voce: Ho il naso imprigionato! e tutti ripeterono le
parole arabe: Ho il naso imprigionato!. Egli grid
allora: Venite ad aiutarmi! ed essi ripeterono con
fervore: Venite ad aiutarmi!. Sempre pi in difficolt, Yimam grid: Ma non capite proprio niente?
e tutti r i p e t e r o n o zelanti: Ma n o n capite p r o p r i o
niente?. A questo p u n t o con u n o strattone Yimam
riusc a tirare fuori il naso, lasciando la p u n t a nella
fessura. Termin in fretta la preghiera, sal sul suo
asino e, accingendosi a partire, disse: Imparate prima l'arabo, e poi verr a insegnarvi a pregare!.

30.I

FIGLI DELL'AVARIZIA

Viveva un tempo in mezzo ai monti u n a trib berbera denominata dei Beni Shahih, che vuole dire Figli
dell'Avarizia. Ed e f f e t t i v a m e n t e essi e r a n o noti in
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ogni dove per la loro avarizia e la loro grettezza. Chi


si trovava a passare, nel corso di un viaggio, attraverso il loro territorio, sapeva gi che si sarebbe dovuto aspettare per cena al massimo del siero allung a t o con a c q u a - cosa q u e s t a che di solito viene
versata nella ciotola dei cani.
Un giorno, u n o degli uomini della trib cominci
a trovare spiacevole di essere sempre preso in giro,
con la sua gente, a causa dell'avarizia. Riflett quindi un po' su c o m e p o t e r c a m b i a r e la cattiva f a m a
della trib, e alla fine ebbe un'idea. Quando fu giorno di mercato sal sull'altura che sta presso la piazza
del mercato e, convocati a gran voce gli uomini, disse: u n a vergogna che tra tutte le altre trib noi
siamo conosciuti come i Figli dell'Avarizia. Abbiamo
intenzione di cambiare questa situazione e di far vedere agli altri che noi siamo generosi e liberali, munifici e ospitali. Tutti espressero festosamente il loro accordo e gli chiesero che cosa dovessero fare.
L'uomo disse: Ciascuno di noi p o r t e r un otre
pieno di siero di latte puro e di buona qualit, in modo da riempire questa grande cisterna in cui solitam e n t e c o n t e n u t a acqua, cosicch ogni viandante
potr placare la sete con dell'ottimo siero di latte. Allora tutti l o d e r a n n o la n o s t r a generosit e m u n i f i cenza, e f a r a n n o circolare in lungo e in largo per il
paese la notizia. Gli astanti si dissero d'accordo e
decisero di rivedersi la mattina seguente per mettere
in atto il proponimento.
A casa propria, per, ciascuno riemp il p r o p r i o
otre d'acqua, pensando che in u n a cisterna piena di
ottimo siero nessuno si sarebbe accorto che c'era anche un po' d'acqua. Nessuno ne fece parola con altri.
L'indomani vennero tutti alla cisterna, ma nessuno
voleva essere il primo a vuotare il proprio otre, perch la c i s t e r n a e r a a n c o r a v u o t a . O g n u n o diceva
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all'altro: Versa tu per primo, poi io ti seguir!. Alla


fine u n o degli uomini disse: Scommetto che nei vostri otri c' soltanto acqua!. E gli altri ribatterono:
E noi scommettiamo che anche tu hai dentro solo
acqua!. Allora scoppiarono tutti in u n a risata rendendosi conto che i m m e n s a m e n t e difficile m u t a r e
il proprio carattere.

31. LA P E L L E MAGICA

Nella citt di Marrakesh viveva un tempo un giovane


povero. Non aveva appreso alcun mestiere, perch
suo padre era m o r t o quand'egli era ancora bambino.
Inoltre, non possedeva n campi n piante di olivo o
palme, n t a n t o m e n o bestiame. Viveva miseramente
con la madre in u n a casuccia nella citt vecchia e si
cibava di quello che Dio e i vicini gli procuravano.
Dal m o m e n t o che aveva un b u o n c a r a t t e r e ed era
sempre contento, era ben tollerato e gli si perdonava
volentieri ogni scherzo. Tutti lo chiamavano soltanto
Juh, perch il n o m e del padre n o n se lo ricordava
nessuno.
Un giorno J u h si ritrov un'altra volta senza un
soldo, completamente al verde. Si mise a cercare in
ogni angolo e in ogni c a n t u c c i o della casa, finch
n o n gli capit tra le mani u n a vecchia pelle a m m u f fita e dura. J u h prese u n o straccio di lana, si riemp
d'acqua la bocca e la spruzz sulla pelle, poi strofin
via la muffa con lo straccio, rendendo la pelle nuovam e n t e pulita e m o r b i d a . La ripieg pi volte su se
stessa, l'avvolse in un asciugamano e leg l'involto.
Lo diede quindi alla madre con queste parole: Va'
nel vicolo dei mercanti di stoffe, deponi la pelle davanti ai tuoi piedi e vendila! Se qualcuno ti chiede
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che razza di pelle sia, digli: " u n a pelle magica, e


costa cento reali!".
La m a d r e si mise il velo, si avvolse nel mantello e
indoss i suoi ampi pantaloni. Calz quindi le scarpe
e se ne a n d nel vicolo dei mercanti di stoffe. Qui si
mise a sedere, sleg il f a g o t t o e distese la pelle
sull'asciugamano.
I commercianti si d o m a n d a r o n o come mai la vecchia volesse vendere u n a pelle nel vicolo delle loro
botteghe, dove invece si p o t e v a n o a c q u i s t a r e solo
stoffe e abiti preziosi. Uno a n d da lei e le disse: Signora, che razza di pelle questa?. Essa rispose:
u n a pelle m a g i c a e costa c e n t o reali. Il c o m m e r ciante lo rifer ai colleghi, che si guardarono per un
po' incerti sul da farsi e poi si allontanarono.
Arriv quindi Juh, che mise la m a n o sulla pelle e
disse: Questa voglio p r i m a saggiarla bene!. Misur
quindi la pelle a spanne e dichiar: La pelle buona. Quanto costa, signora?.
Cento reali rispose lei.
J u h chiese u n o sconto e disse allora: Ti do cinq u a n t a reali.
Cento reali, non u n o di meno rispose la donna.
Un ebreo, che stava osservando la scena dal suo negozio, disse tra s: "Questa pelle deve essere veramente preziosa, la comprer. Poi J u h mi dovr dire a che
cosa serve". Cos pensando, usc dal suo negozio e arriv dalla d o n n a proprio m e n t r e stava contrattando
con Juh, e ud quest'ultimo dire: Cara signora, n o n
ho abbastanza soldi. Quando J u h vide arrivare
l'ebreo, si fece da parte e volt la testa. L'ebreo diede
alla vecchia cento reali per la pelle, lei prese il denaro
e in un batter d'occhio scomparve. L'ebreo rientr nel
suo negozio, chiam J u h e gli disse: Entra e dimmi,
per quel Dio che distribuisce a ciascuno la sua religione, a che cosa serve la pelle!. J u h rispose: Che ti
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devo dire, caro signore? Se non va bene per u n a borsa, a n d r bene per u n a sacca. L'ebreo guard in cielo
e lo trov troppo lontano, poi osserv la terra e si accorse di trovarvisi lui stesso. Allora sospir e si rivolse
ancora a Juh, che voleva gi andarsene, gli diede la
pelle e disse: Tu volevi comprarla, forse ti servir a
qualcosa!. J u h se ne and a casa contento, gett la
pelle in un angolo e per qualche t e m p o non ebbe pi
preoccupazioni.
Ma questa f o r t u n a n o n d u r in eterno. Venne il
giorno in cui tutto fu speso e J u h n o n ebbe pi nulla da mettere sotto i denti. Dal m o m e n t o che si era
proprio all'inizio del periodo di festa, la miseria gli
pesava particolarmente. Riprese a frugare in tutti gli
angoli della casa e gli ritorn tra le mani la vecchia
pelle. Questa volta essa n o n poteva essergli d'aiuto,
pens; si sedette quindi sulla pelle e si mise a meditare. Improvvisamente gli venne u n a b u o n a idea, e
q u a n d o si alz la lisci ben b e n e e la depose nella
cassapanca, p e r c h ora era a n c h e lui convinto che
fosse d o t a t a di qualit magiche. Avrebbe avuto lo
stesso l a m p o di genio se n o n si fosse s e d u t o sulla
pelle?
Il giorno dopo era il primo giorno di festa, e tutti
indossavano i vestiti pi belli e delle scarpe nuove.
J u h usc nel vicolo e invit a colazione a casa sua
alcuni conoscenti, dicendo: Oggi si fa festa a casa
mia.
Costoro vennero, entrarono in casa e lasciarono le
scarpe, com' consuetudine, all'ingresso. Juh chiese
loro di prendere posto, dopodich se ne usc di nuovo. Raccolse tutte le scarpe, le port al mercato e le
lasci in pegno al commerciante in cambio di pane,
b u r r o e miele. Torn quindi a casa con ci che aveva
acquistato e lo diede alla m a d r e in cucina dicendo:
130

Metti in ogni scodella del b u r r o e del miele insieme


al p a n e e p o r t a t u t t o nella s t a n z a degli ospiti!.
Quindi si mise a sedere insieme agli altri.
Poco pi tardi fece il suo ingresso la madre con i
d o l c i u m i e gli u o m i n i si fecero avanti e p r e s e r o a
mangiare timidamente. Allora Juh cominci a sgridarli e li esort a servirsi senza complimenti, dicendo: Mangiate solo la vostra fortuna! Il meglio verr
alla fine!. Gli ospiti dissero: Che la grazia di Dio
sia su Juh! e c o m i n c i a r o n o a i m m e r g e r e il p a n e
nel b u r r o sciolto nelle scodelle e a mangiare di b u o n
appetito. Sul fondo delle scodelle trovarono il miele
denso e si riempirono per bene lo stomaco.
Q u a n d o f u r o n o sazi, r u t t a r o n o e l o d a r o n o Dio,
com' consuetudine, quindi chiesero di potersi alzare e t o r n a r e a casa. Ma n o n t r o v a r o n o le p r o p r i e
scarpe. Allora dissero: Ehi, Juh, dove sono le nostre scarpe?. J u h rispose: Vi avevo p u r detto che
stavate mangiando la vostra fortuna e che il meglio
sarebbe venuto alla fine! O avete mai sentito dire che
Juh sia ricco? Chi vuole riavere le proprie scarpe le
dovr riscattare a p a g a m e n t o dal venditore di dolciumi!.
Allora tutti risero, misero m a n o al portamonete,
tirarono fuori del d e n a r o ciascuno secondo le proprie possibilit e lo diedero a J u h affinch questi
andasse a riscattare le scarpe che aveva dato in pegno. E avanz anche u n a bella sommetta, che J u h
intasc.
Dal m o m e n t o che ora J u h possedeva del denaro,
concluse un p a t t o c o n un ebreo, s e c o n d o il quale
ciascuno dei due si impegnava ad acquistare del ferro e a tenerlo da p a r t e in attesa che salisse il suo
prezzo, per rivenderlo in un secondo momento.
Cominciarono ad acquistare il ferro, poi l'ebreo lo
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deposit nella cantina di casa sua, mentre lui abitava al piano di sopra. Q u a n d o il prezzo del metallo
p r e s e a salire, l'ebreo lo v e n d e t t e senza avvisare
Juh. Un giorno J u h and dall'ebreo e gli disse:
il m o m e n t o di vendere il ferro, perch adesso il suo
valore salito!.
Ma l'ebreo rispose: Il ferro se lo sono mangiato i
topi. Al che J u h rispose: I topi n o n m a n g i a n o il
ferro. Ti porter davanti al cad!.
L'ebreo ribatt: Bene, a n d r e m o dal cad domattina presto. Adesso ancora notte.
Quando J u h se ne fu andato, l'ebreo si rec da solo dal cad, gli diede u n a bustarella e lo avvis che l'indomani sarebbe venuto Juh a reclamare giustizia. Il
cad disse: Domattina venite tutti e due!. La mattina dopo, J u h e l'ebreo a n d a r o n o dal cad. J u h raccont quello che era successo. Al posto dell'ebreo rispose il cad: Il ferro se lo sono mangiato i topi.
Quand'ero ancora bambino, mia m a d r e mise un pezzo di lardo sotto i mortai di ferro, ma lo stesso venne
un topo, fece un buco nei mortai e si mangi tutto il
lardo. Dunque i topi possono rosicchiare il ferro e tu
n o n puoi esigere nulla dall'ebreo.
Allora J u h usc, si rec dal pasci e gli chiese di
essere n o m i n a t o sorvegliante dei topi. Il pasci scrisse u n a licenza e vi appose il suo sigillo; questa licenza faceva di J u h il sorvegliante dei topi. J u h prese
la licenza e se ne and sulla piazza dove si radunavano coloro che cercavano lavoro. Ben presto trov anche u n a ventina di massicci lavoratori provenienti
dal Sahara (queste persone sono rinomate per la loro bravura nei lavori di scavo), con le loro zappe e
badili. J u h si rivolse a loro dicendo: Entrate al mio
servizio! Come ricompensa riceverete due talleri al
giorno. Gli u o m i n i f u r o n o d'accordo e lo seguirono.
Egli li condusse alla casa dell'ebreo e ordin: Porta132

te alla luce le f o n d a m e n t a di questa casa!. L'ebreo


era seduto al piano di sopra, ma a un certo punto la
casa cominci a vacillare. Allora balz su e corse fuori, dove incontr Juh con i suoi operai che stavano
p o r t a n d o alla luce le f o n d a m e n t a . Allora l'ebreo
esclam: Ohim, ohim! Che cosa sta succedendo?. Juh estrasse dalla borsa la licenza del pasci e
gliela porse: Leggi che cosa c' scritto!.
L'ebreo lesse e disse: O signore, tu sei il sorvegliante dei topi. S disse Juh. Sto facendo disseppellire i topi che si sono mangiato il mio ferro per
giudicarli e condannarli. Allora l'ebreo disse: O signore, ti dar il valore del ferro e anche di pi purch tu faccia smettere di scavare!.
J u h prese il denaro e si rec con gli operai a casa
del cad. Anche qui diede ordine di portare alla luce
le fondamenta. Il cad ud i rumori dello scavo, corse
in fretta fuori di casa e chiese a Juh: Che cosa sta
succedendo?. J u h mostr al cad la licenza del pasci e aggiunse: Io sono il sorvegliante dei topi e sto
facendo tirare fuori i topi che h a n n o bucato i mortai
e divorato il lardo, perch devo condannarli.
Il cad si stup di questa astuzia e diede a Juh molto denaro purch questi facesse smettere di scavare.
Ed era u n a s o m m a maggiore del valore del ferro.
Anche nella citt di Fez viveva un giovane di nome
Juh. La sua casa si trovava accanto alla casa di un
ebreo e aveva con essa un m u r o in comune. Ma p u r
essendo vicini di casa, i due non si frequentavano.
Nel cortile dell'ebreo si ergeva un grande albero
che faceva ombra a tutto il cortile. L'ebreo aveva u n a
bottega e viveva di compravendite. Alla sera l'ebreo
arrivava a casa e mangiava insieme alla sua famiglia.
Dopo il pasto serale, andava in cortile, stendeva la
sua stuoia sotto l'albero e pregava Dio. Dopo la pre133

ghiera rituale ringraziava il Cielo di conservarlo in


vita e chiedeva ulteriori grazie; q u e s t o succedeva
tutti i giorni.
Un g i o r n o J u h sal sul tetto della s u a casa,
guard nel cortile della casa adiacente e vide l'ebreo
che pregava. R a p i d a m e n t e s i a r r a m p i c sui r a m i
dell'albero e se ne stette l in silenzio. Quando l'ebreo
ebbe finito le preghiere e p a s s a ringraziare Dio,
J u h disse ad alta voce: O mio servitore! Ho esaudito la tua preghiera e ti far salire in Paradiso perch
tu veda il luogo della tua vita futura. Ma p r i m a da' al
t u o vicino J u h c i n q u e c e n t o talleri, e io e s a u d i r
ogni tuo desiderio.
L'ebreo fu assai contento di ci, and dalla moglie
e le disse: Cara moglie, il nostro Signore mi ha appena parlato e mi ha incaricato di dare cinquecento
talleri al nostro vicino Juh. Dopo mi far salire fino
al Paradiso ed esaudir ogni mio desiderio. Essa rispose: Fa' quello che ha detto il Signore.
L'ebreo trascorse la notte contando i cinquecento
talleri e n o n vedeva l'ora che fosse mattina. Quando
infine sorse l'alba del nuovo giorno, l'ebreo era stanco m o r t o . Ben p r e s t o a n d a b u s s a r e da J u h , gli
diede il d e n a r o e disse: Prendi quello che Dio ti
d!. E J u h si prese il denaro.
La sera successiva J u h prese u n a grande cesta, vi
leg u n a c o r d a e sal sull'albero. Q u a n d o v e n n e
l'ebreo per la preghiera, J u h cal la cesta e disse:
Entraci dentro, mio servitore, affinch io ti sollevi!. Ma a met strada J u h recise la corda: l'ebreo
precipit a terra e si sfracell. Allora nella casa si levarono grandi lamentazioni.
Dopo qualche tempo lo stesso J u h prese a vantarsi di questa storia, cosicch di bocca in bocca venne
a conoscenza di tutto il regno. Quando essa giunse
alle orecchie di J u h di Marrakesh, questi si disse:
134

"Questo Juh di Fez deve essere sicuramente un tipo


orribile! Me ne andr fin l e mi misurer con lui".
J u h prese la sua sacca, vi mise datteri e fichi secchi,
calz i sandali, prese il bastone da viaggio e si inc a m m i n alla volta di Fez.
Q u a n d o Dio volle, egli arriv a Fez. Vi e n t r da
u n a p o r t a e segu s e m p r e le m u r a finch la strada
non si biforc. Allora imbocc la direzione del centro della citt.
Mentre passava per un vicolo, incontr un u o m o
che stava appoggiato a un m u r o con la schiena. Era
J u h di Fez, ma J u h di Marrakesh non lo sapeva.
Lo salut secondo l'uso del paese e gli chiese: Signore, conosci J u h di Fez?. L'uomo rispose: Certo
che lo conosco. Che cosa vuoi da lui?. Juh di Marr a k e s h disse: Io s o n o J u h di M a r r a k e s h e cerco
J u h di Fez per misurarmi con lui.
Te lo vado a chiamare, disse l'uomo ma devi
sapere, signore, che io sono il sorvegliante di questo
m u r o e devo fare attenzione che non cada. Se vieni
tu qui a sostenerlo con la tua schiena posso andare a
p r e n d e r e Juh. Ma b a d a di non a n d a r t e n e via, per
non far crollare il muro! Juh di Marrakesh and a
mettersi con la schiena contro il m u r o per sostenerlo. Invece Juh di Fez se ne and dove gli pareva.
Sul far del mezzod, la gente usc dai negozi per
andare a mangiare. Passarono anche da quel vicolo
e videro lo s t r a n i e r o che sosteneva il m u r o con la
schiena. Dopo il pasto fecero ritorno ai loro negozi e
videro quell'uomo s e m p r e f e r m o nella stessa posizione. All'ora del pasto serale uscirono a n c o r a dai
negozi e tornarono a casa passando dal vicolo. L'uomo era sempre fermo con la schiena contro il muro.
Allora u n o di essi a n d dallo straniero e gli chiese
cortesemente: Signore, tutto il giorno che ti vediamo sostenere il m u r o con le spalle. Tu n o n mangi,
135

n o n bevi e p e r t u t t o q u e s t o t e m p o hai d i g i u n a t o .
Qual il motivo di questo comportamento?.
Juh disse: Io sono J u h di Marrakesh e sono venuto fin qui da Marrakesh a piedi per misurarmi con
Juh di Fez. In questo luogo ho incontrato un u o m o
cui ho chiesto notizie di J u h di Fez. L'uomo mi ha
detto: "Mettiti qui e reggi il m u r o con la s c h i e n a
mentre io vado a chiamarlo". Se ne andato e mi ha
lasciato solo. Per tutto questo tempo ho continuato a
sostenere il m u r o con la schiena per timore che crollasse. Allora il commerciante gli disse: O signore,
l'uomo che ti ha lasciato solo, affidandoti l'incarico
di sostenere il m u r o con la schiena per evitare che
cadesse, era proprio J u h di Fez. Si m i s u r a t o lui
con te prima che tu potessi misurarti con lui.
Q u a n d o J u h ud queste parole, p r o r u p p e in pesanti b e s t e m m i e e giur che n o n avrebbe mai pi
menzionato il nome di J u h di Fez. Quindi prese la
sua sacca e il bastone da viaggio e rifece all'inverso
la strada che aveva fatto per venire.

136

Storie di donne

32. I L P O T E R E D E L L E D O N N E

I
C'era u n a volta un orfanello, che n o n aveva n padre
n madre, ma solo u n a sorella sposata. Q u a n d o fu
adulto, le disse: Sorella mia, desidero sposarmi!. E
lei gli rispose: Fratello mio, n o n sei ancora abbastanza m a t u r o per il matrimonio!. E lui: E invece
s, lo sono!. Ma lei rimase della sua idea: No, non
sei ancora maturo. Sta' attento, il potere delle d o n n e
spietato!. Cosa intendi dire con "il potere delle
donne"? egli le chiese. Invece di dargli u n a spiegazione, essa gli forn un esempio molto istruttivo.
Ti far vedere con mio m a r i t o q u a n t o le d o n n e
siano potenti. Va' al mercato e c o m p r a m i un pesce!
D'accordo disse il giovane.
And al m e r c a t o e acquist un pesce. La sorella
prese il pesce, lo nascose sotto il vestito e and poi
col fratello da suo marito che stava arando nel campo p e r portargli il p a s t o di m e z z o g i o r n o . Q u a n d o
egli, completato un solco, giunse alla strada, essa gli
disse: Lascia il tuo cammello e vieni a mangiare!.
Gli porse il cibo, e m e n t r e lui m a n g i a v a gli disse:
Stanotte ho sognato che avremmo fatto u n a festa.
Egli le rispose: Se Dio ci sar clemente, un giorno
faremo u n a festa!. Allora prese lei l'aratro e ar per
un po', nascondendo nel frattempo il pesce in un solco. Finito che ebbe di m a n g i a r e , il m a r i t o riprese
137

l'aratro mentre lei e il fratello si incamminavano per


t o r n a r e a casa. Ed eccolo gridare! Venite un po'
qui! Che cosa succede? chiese lei. Guarda qui,
disse lui ho trovato un pesce nel solco. Dio ci aiuta,
in modo che possiamo festeggiare. Prepara gi tutto,
oggi verr con il maestro e i suoi discepoli e faremo
u n a bella festa. D'accordo disse lei. And a casa
col fratello e cucin il pesce, dopodich tutti e due se
lo mangiarono e nascosero le lische.
Alla sera, dopo il lavoro, il marito torn a casa dal
c a m p o e per strada pass dalla moschea. Qui disse
al maestro: Venite tutti con me, oggi facciamo u n a
festa!. Il maestro e i suoi discepoli accompagnarono il marito a casa e qui giunti egli chiam la moglie: Hai preparato tutto, t, cibo e p r o f u m i per gli
ospiti?. Che cosa succede? chiese la moglie di rim a n d o . Non ti ho detto che questa sera a v r e m m o
fatto u n a festa? chiese il marito. E con che cosa
vorresti festeggiare? chiese ancora la moglie. Hai
comprato forse della carne, dello zucchero o del t?
Ma no, ti avevo d a t o quel pesce q u a n d o e r a v a m o
sul campo grid il marito. E dove lo avresti trovato questo pesce? chiese la moglie. Ed egli rispose:
L'avevo trovato in terra m e n t r e aravo. Allora lei
esclam: Si mai visto che i pesci si trovino sulla
terraferma?. Vorresti dire che sono pazzo? chiese
il marito. Allora la donna proruppe in un grido e si
rivolse al maestro: Per favore, non piantatemi in asso! Quest'uomo impazzito. O immaginabile che
abbia davvero trovato un pesce sul suo terreno?.
Le diedero ragione e legarono il marito. Gettatelo in cantina disse la d o n n a in m o d o che n o n ci
possa fare danno, altrimenti capace di uccidermi!
Essi eseguirono, dopodich m a e s t r o e allievi se ne
andarono a casa.
Quella sera la donna prese la macina di pietra e si
138

sedette sopra la botola della cantina a macinare fagioli. Il r u m o r e che fece apparve al prigioniero come un
r o m b o di tuono. Di tanto in tanto essa prendeva u n a
fiaccola e la passava rapidamente davanti alle fessure
della botola, in m o d o da fargli credere che ci fossero
dei lampi. Alla fine vers dell'acqua sopra l'apertura,
in m o d o che egli dovette cercare riparo in un angolo
da quella che credeva essere acqua piovana.
Di primo mattino vennero in visita alcuni uomini
del villaggio e gli chiesero: Come stai, poveruomo?.
Dio sia lodato, disse egli non mi m a n c a nulla.
Cercano solo di farmi passare per matto, ma io sono
in p i e n o possesso delle mie facolt. Dite un po', i
campi sono ancora nelle condizioni di ieri?
Perch, cosa successo?
Ha tuonato e lampeggiato cos forte e ha piovuto
cos tanto che deve essere tutto sottosopra!
Allora quelli gli dissero: Che Dio possa risanarti,
poveruomo!.
Credettero davvero che fosse pazzo e lo lasciarono
in cantina. Finirono per tirarlo fuori di l solo dopo
due settimane.
Il giovanotto riflett a n c o r a a lungo su q u e s t a
azione della sorella e si disse: Il potere delle donne
spietato, non mi sposer mai.
II
C'era u n a volta u n a bella donna, che si i n n a m o r
di un p o v e r u o m o . Essa gli disse: Ti sposer se tu
mi lascerai libera di fare quello che voglio con gli uomini. L'uomo fu d'accordo. Si sposarono e andarono a vivere insieme.
Un giorno la donna si port in casa un ebreo che
gi da tempo le faceva la corte, ma proprio mentre lui
cominciava a fare il cascamorto, si sent bussare alla
139

porta. La donna disse: di sicuro mio marito. Se ti


trova con me ci uccide tutti e due!. Cosa possiamo
fare? chiese l'ebreo pieno di paura. Prendi questo
camice da lavoro strappato, togliti quella sopravveste
elegante e quei gioielli e indossalo, poi prendi quelle
pietre e portale sul terrazzo come se fossi un muratore! L'ebreo fece subito come la donna gli aveva consigliato, e q u a n d o il marito entr nella stanza vide
l'operaio alle prese con le pietre. Quand'ebbe finito di
trasportare pietre fin sul terrazzo, il marito gli chiese:
Quant' per il tuo lavoro?. Due reali disse l'ebreo.
L'uomo gli diede due reali e lo conged. La donna prese la preziosa sopravveste e i monili dell'ebreo e and
a vendere il tutto al mercato.
Un'altra volta essa accolse in casa il cad, che aveva da tempo messo gli occhi su di lei. Mentre i due
e r a n o seduti u n o accanto all'altra, si sent bussare
alla porta. Sar mio marito disse la donna. Se ci
scopre insieme ci uccider. Cosa possiamo fare?
chiese il cad alla d o n n a . E n t r a p r e s t o in q u e s t a
cassapanca gli sugger la donna, e il cad esegu. Il
marito entr, inchiod la cassapanca e la port, insieme alla moglie, fino al mercato dove si vendeva la
merce al miglior offerente. Fece quindi avvisare il figlio del cad che in quella cassapanca era nascosto
suo padre. E questi venne di corsa e si aggiudic ad
alto prezzo la cassapanca, per potersi riportare a casa il padre inosservato.

33. LALLA M A G H N I A

Nei pressi di M a r n i a in quello che fu il r e g n o di


Tlemcen si trovava la casa di riunione di u n a confraternita sufi retta da un vecchio maestro, che era assai venerato nella regione. Questi mor senza lascia140

re figli maschi, ma aveva educato alla mistica la sua


u n i c a figlia in un m o d o cos c o m p l e t o che costei
pot subentrare al padre alla guida della c o m u n i t
sufi. Essa era u n a combattente di grande valore, u n a
p e r s o n a di g r a n d e cultura, oltre a essere, naturalmente, assai versata in tutti gli esercizi dei sufi. Per
decisione u n a n i m e della c o m u n i t fu lei a essere
scelta per succedere al padre alla guida della scuola.
Pur assumendo questo ufficio prestigioso essa mantenne un contegno modesto.
Ma l'ottavo giorno dopo la morte del maestro, alle
cerimonie che facevano seguito alla sepoltura, fece
la sua comparsa il figlio del fratello del maestro col
suo schiavo negro, e avanz il p r o p r i o diritto alla
successione - e tra l'altro anche alla guida della comunit sufi - e, secondo la legge e le tradizioni, glielo si dovette accordare.
Questo nipote del maestro, per, era un combattente di poco valore, dedito alle pi crudeli ruberie
col suo schiavo, che era stato allevato insieme a lui
come un fratello di latte. Viveva nell'abbondanza e in
un torbido legame con questo negro, sfacciato e altezzoso e a m a n t e del lusso. Per le donne non aveva
la m i n i m a considerazione.
Lalla Marnia (che vuole dire "signora Marnia", cos veniva rispettosamente chiamata) era di u n a bellezza fuori dell'ordinario, e a n c o r a giovane. Aveva
fatto voto di castit davanti a Dio e aveva m a n t e n u t o
questo voto anche quando il sultano di Fez, cui era
giunta voce della sua grande bellezza e del suo fare
assennato, le aveva inviato messaggeri pregandola di
diventare sua moglie. Il rifiuto di Lalla M a r n i a fu
considerato un'offesa personale dal sultano, che diede ordine a un drappello di cavalieri di devastare il
paese tutto intorno alla casa di riunione della conf r a t e r n i t a . I soldati e s e g u i r o n o il c o m a n d o c o n la
141

m a s s i m a crudelt, e b e n c h tutti si battessero con


valore, comprese le donne, con alla testa Lalla Marnia, dovettero soccombere e f u r o n o sconfitti. Dopo il
ritiro dei cavalieri il paese si impover, e q u a n d o a
ci tenne dietro u n a prolungata siccit, la popolazione sopravvissuta fu ridotta alla fame.
Quando, nel successivo mese del digiuno, u n a carovana di pellegrini di ritorno dal santuario di Sidi
Yahia di Orano pass per il paese e chiese cibo per i
cavalli sfiniti, Lalla Marnia port fuori l'unica misura di grano che era ancora disponibile e la vers davanti ai cavalli. Ma la misura torn di nuovo piena, e
questo continu a ripetersi a m a n o a m a n o che lei
ne gettava fuori. Fu questo il p r i m o miracolo compiuto da Lalla Marnia.
Un giorno essa vide un pastore che veniva avanti
s u o n a n d o il flauto, e s u b i t o se ne i n n a m o r . Nello
stesso istante riconobbe la propria colpa perch aveva offeso il suo voto di castit, e si pent con tutto il
cuore.
Ma il breve sogno a occhi aperti continuava a opprimerla e pesava sul suo animo. Alla fine intraprese
il pellegrinaggio alla Mecca e si rec anche fino alla
t o m b a del profeta M o h a m m e d a Medina, dove implor la liberazione dalla sua oppressione. E qui le
venne imposto, per penitenza, di sposare suo cugino, il capo della scuola sufi. Col cuore pesante essa
diede la sua promessa, e tornata a casa la mantenne.
Grazie a questa fortuna immeritata, l'uomo da orgoglioso che era si fece sempre pi arrogante. Dopo
che essa gli ebbe partorito un figlio, Houari, la sua
alterigia non conobbe pi limiti. Maltrattava in modo vergognoso sia lei sia la gente che lo circondava.
Dopo l'ennesima volta che ci si verificava, essa
invit il suo sposo a smetterla e a m u t a r e la propria
vita, perch in caso contrario il loro figlio sarebbe
142

morto. Ma l'uomo se ne fece beffe. La sera stessa il


figlioletto moriva. Allora lui la accus di stregoneria
e la gett in prigione. Poi m a n d da lei il suo schiavo, che la batt e pretese, in nome del suo padrone,
che lei falciasse t u t t a l'erba da l fino all'Atlantico.
Stanca morta, essa prese in m a n o il falcetto e n o n
aveva ancora cominciato che tutta l'erba si abbatt
davanti a lei come se fosse stata falciata, senza che
lei dovesse m u o v e r e un dito. Il negro impallid, si
strapp i capelli e immediatamente torn al galoppo
dal suo p a d r o n e p e r riferirgli il miracolo. Questi
schern lo schiavo, ma poi si rec sul luogo e vide coi
propri occhi che cosa era successo.
Allora la sua ira crebbe ed egli le diede un nuovo
ordine: avrebbe dovuto filare in u n a sola n o t t e
u n ' e n o r m e m o n t a g n a d i lana, che n o r m a l m e n t e
avrebbe richiesto un a n n o intero. S t r e m a t a , Lalla
Marnia si sedette senza riuscire neppure a cominciare il lavoro, ma la m a t t i n a successiva tutta la lana
era stata filata. Allora egli la lasci libera, ma Lalla
Marnia divenne pazza.
Il pastore che essa per un istante aveva desiderato
era stato trasformato in u n a palma. Un giorno Lalla
Marnia disse ai suoi genitori adottivi: Quando sar
g r a n d e , m o s t r a t e q u e s t a p a l m a a m i o figlio (che
per da lungo tempo era gi morto). Quando mor,
essa stessa divenne u n a palma, cresciuta accanto a
quella del pastore.

34. LA P R I N C I P E S S A G A Z Z E L L A

C'era u n a volta un re, il quale aveva sposato u n a jinniya (femmina di jinn) che gli aveva dato u n a bellissima figlia. Q u a n d o la regina mor, il re si rispos.
Da quel giorno in poi la giovane principessa a m m u 143

tol e nessuno fu pi capace di farla tornare a parlare. Allora il re suo padre la confin in u n a fitta boscaglia e fece circondare la foresta dalle guardie in
m o d o che nessuno potesse arrivare fino a lei.
Dalla seconda moglie il re ebbe tre figli maschi,
che lo resero assai felice. Quando i figli f u r o n o cresciuti, egli rafforz la guardia intorno alla foresta e
proib a chiunque, p e n a la morte, di r a c c o n t a r e ai
principi che essi avevano u n a sorella. Essi sapevano
s o l t a n t o che n o n era loro c o n s e n t i t o di p e n e t r a r e
nella parte pi ftta della foresta.
Quando il re mor, il maggiore dei principi disse ai
suoi fratelli: Voglio vedere questa foresta e scoprire il
suo segreto!. Usc di nascosto dal castello per evitare
che se ne accorgesse lo zio, fratello del precedente re,
che gli era succeduto sul trono. Egli era a cavallo, le
guardie dovettero lasciarlo passare, e cos si precipit
all'interno della foresta. Ben presto si ritrov in un
meraviglioso giardino, come non ne aveva mai visti;
gli giungevano all'orecchio musiche, voci e canti, ma
non riusc a vedere nessuno. All'improvviso il principe
si vide passare davanti u n a gazzella, che fugg fino a
u n a roccia. Questa si apr e la gazzella scomparve al
suo interno. Il principe volle inseguirla, ma non riusc
a trovarla da nessuna parte. Fu colto allora da u n a
smania febbrile di cacciare che lo fece vagare a lungo
per la foresta fino a farlo smarrire del tutto.
Dal m o m e n t o che il tempo passava e non lo si rivedeva ancora, il secondo principe decise di mettersi
in cerca del fratello, e il re suo zio lo lasci partire
sperando di rivederli presto entrambi. Ma al secondo tocc la stessa sorte del primo, e anche lui non fece pi ritorno. Allora il pi giovane dei tre principi
volle mettersi in viaggio alla ricerca dei suoi fratelli,
ma il re temeva per lui e non lo lasciava partire. Per
il principe ripet con tanta insistenza la sua richiesta
144

che alla fine il re cedette. E cos il principe part a


cavallo, giunse fin nella parte pi remota della foresta e arriv anche lui al giardino fatato con i suoni
festosi di cui n o n si poteva individuare l'origine. E
anche lui scorse la gazzella e la segu fino a smarrirsi nel bosco. Quando si vide che anche il pi giovane
dei principi n o n faceva r i t o r n o , il re invi le sue
guardie a rastrellare la foresta. Esse vi entrarono e
giunsero fino al bel giardino con suoni di festa, senza vedere alcuno, e alla fine anche loro scorsero la
meravigliosa gazzella e la videro s c o m p a r i r e nella
roccia. Ma f u r o n o abbastanza assennati da non inseguirla e se ne ritornarono dal re a fargli rapporto di
t u t t o quello che avevano visto e udito. Allora il re
convoc i suoi consiglieri e chiese loro quale soluzione avessero da proporre. Ma essi rimasero in silenzio. Solo un vecchio, alla fine, raccont che il precedente re, fratello dell'attuale, aveva c o n f i n a t o in
quella foresta la p r o p r i a figlia e che s i c u r a m e n t e
questo era il motivo dell'incantesimo.
Allora il re fece venire i suoi m a g h i e indovini e
chiese il loro aiuto. Per un certo tempo essi si sforzarono di spezzare l'incantesimo della foresta con formule di scongiuro e fumigazioni di incenso, ma senza esito. Il s e t t i m o g i o r n o f i n a l m e n t e essi videro
passare di corsa davanti a loro u n a gazzella e allora
comunicarono al re che c'era qualche speranza.
Dopo qualche tempo i principi tornarono indietro,
u n o d o p o l'altro, nello stesso o r d i n e in cui e r a n o
scomparsi. Ciascuno raccont la stessa storia: dopo
avere inseguito la gazzella ed essersi s m a r r i t o nel
bosco, aveva perso i sensi e si era svegliato in un palazzo dove tre belle fanciulle e u n a jinniya si erano
prese cura di lui e gli avevano dato tutta la felicit
che u n u o m o p u provare. C i a s c u n o dei principi
145

aveva avuto un anello da u n a delle fanciulle ed era


poi stato rispedito a casa.
Ora, i principi chiesero allo zio di poter sposare le
belle fanciulle, ma nessuno sapeva come poterle far
giungere fin l. Allora l'anziano consigliere propose
di far rigirare gli anelli ai principi, e non appena essi
lo fecero le fanciulle apparvero e posero le loro condizioni: ciascuna voleva sposare il proprio innamorato ed essere partecipe della sovranit sul r e a m e .
Ci venne loro promesso. Allora esse dissero che si
sarebbero trattenute ancora sette giorni nel loro regno dopodich sarebbero tornate definitivamente.
E cos avvenne. Vennero celebrate le nozze pi fastose che si fossero m a i viste. Sette giorni dopo le
nozze, fece il suo r i t o r n o a n c h e la sorellastra dei
principi, la gazzella, questa volta sotto forma di bellissima fanciulla, che p u r t r o p p o per era muta. Il re
l'avrebbe volentieri sposata, ma essa non si fece convincere da nessuno a parlare. Allora egli riconobbe
che non era adatta a lui e fece annunciare per tutto il
regno che colui che l'avesse indotta a parlare sarebbe stato il suo legittimo sposo ed erede al trono. Col
passare del tempo si fecero avanti sempre nuovi giovani disposti a tentare la prova, anche se la condizione era che chi non ci fosse riuscito sarebbe stato decapitato.
Le teste dei candidati sfortunati vennero appese
alle m u r a e sulla p o r t a d'ingresso del palazzo, e
chiunque le vedesse si rivoltava dall'orrore. Si disse
anche che questo destino fosse gi stato predetto al
re precedente e che in tutta la terra un solo giovane
fosse d e s t i n a t o a r i d a r e la p a r o l a alla p r i n c i p e s s a
muta.
I giovani che si erano sottoposti alla prova erano
gi quattro volte sette e avevano pagato con la vita
questo tentativo. Dopodich nessuno pi si fece at146

trarre dalla prova, e il re fece comunicare il suo bando anche nei regni vicini. Passato qualche tempo si
vide di nuovo un principe che chiese di essere pres e n t a t o alla principessa. Per p r i m a cosa gli fecero
vedere le teste dei candidati uccisi sui merli del castello, dopodich gli ripeterono un'altra volta l'incarico e la condizione. Il principe non batt ciglio e si
dichiar pronto. Allora lo condussero dalla principessa muta.
Quando egli la vide, fu subito colto da un ardente
a m o r e per lei e pose le proprie condizioni: tutta la
corte doveva assistere, e nessuno al di fuori di lui poteva pronunciare u n a parola, pena la decapitazione.
Queste condizioni vennero accettate. Allora egli si ritir acconsentendo a effettuare la prova l'indomani.
Il giorno dopo la corte era r a d u n a t a al gran completo intorno al re e alla principessa, che stava al suo
fianco. Il principe entr e cominci il seguente racconto: Durante un viaggio, mi capitato di incontrare un falegname che aveva intagliato un manichino
nel legno, e questo manichino era somigliantissimo a
u n a donna, solo che era completamente rigido. Allora
l'artigiano and da un fabbro e gli fece fare delle articolazioni, cosicch il manichino pot muoversi come
un essere u m a n o . Quindi il falegname and con il suo
manichino da un sarto e gli fece cucire un abito meraviglioso su misura. And quindi da un profumiere e
lo fece aspergere di profumi. Ora il manichino sembrava proprio u n a d o n n a vera. Gli mancava solo l'autonomia nel muoversi. And allora da un sant'uomo,
e insieme a lui vi andarono tutti gli altri: il fabbro, il
sarto e il profumiere, perch erano come rapiti da
questa bella figura. Essi rivolsero al santo la richiesta
di animare la bambola, e il santo, alle cui richieste
Dio non aveva mai detto di no, promise di pregarlo di
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infondere la vita in quel manichino. Lev le mani,


preg, e fu esaudito.
Ora, q u a n d o la b a m b o l a si dest, era diventata
u n a splendida donna, e tutti e cinque gli uomini, il
falegname, il fabbro, il sarto, il profumiere e il santo,
f u r o n o colti dall'amore per lei e volevano prenderla
in moglie. "Io l'ho liberata dal legno" disse il falegname "e quindi appartiene a me!" Il fabbro ribatteva:
"Ma io le ho dato il movimento. Senza il mio intervento sarebbe ancora un rigido pezzo di legno". "Io
invece l'ho rivestita, e colui che fornisce l'abito lo
sposo legittimo!" "No," disse il profumiere "signore e
padrone colui che fornisce il nutrimento alla donna." Il santo propose di cercare un giudice e lasciare
decidere a lui. Andarono quindi da un giudice e gli
chiesero il suo parere. Il giudice decise che colui che
aveva modellato il manichino da un pezzo di legno
fosse il suo vero creatore e signore. Ora io vi chiedo:
questo giudice ha deciso rettamente? Ma tutti i presenti tacquero, pensando alla severa punizione che il
re aveva minacciato loro conformemente all'accordo
col principe. Allora il principe ripet un'altra volta la
d o m a n d a e disse poi: Se n o n siete di opinione diversa da quella del giudice, io torner l e dichiarer
valido il parere del giudice. A questo p u n t o la principessa sospir e disse: Il giudice ha dato u n a sentenza errata. La fanciulla deve essere di quel santo,
perch lui che l'ha portata in vita. Cos dicendo
hai pronunciato anche la tua sentenza disse il principe, felice perch tu ora sei mia moglie, dal momento che io ti ho restituito la parola.
Si celebrarono allora le nozze e la giovane coppia
sal al trono e govern a lungo e con saggezza.

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35. L'ASTUTA A I S H A

Aisha di M a r r a k e s h giocava s e m p r e b r u t t i scherzi


agli uomini e si prendeva beffe di loro. Un giorno se
la prese con un asinaio, al quale disse: Noleggiami
u n o dei tuoi asini, ti ricompenser. Egli le affid un
asino, lei lo vendette e spese il suo denaro. Quando
l'asinaio, venutolo a sapere, la cerc per chiederle i
soldi, lei non si fece pi trovare per qualche tempo.
Un giorno, per, egli la incontr sulla strada e la
minacci di portarla davanti al cad. Ma lei gli rispose: Dove sei stato tutto questo tempo? Ti ha inghiottito la terra o ti ha accolto il cielo? Quanti giorni ho
continuato a cercarti per ridarti il tuo asino, provvedendo io nel frattempo a nutrirlo! Ma lo sai quanto
ha mangiato nel frattempo? Adesso vieni con me.
I due proseguirono un po' lungo la strada, finch
g i u n s e r o al negozio di un b a r b i e r e , e lei escogit
un'altra astuzia. Bisogna sapere che questo barbiere
esercitava a n c h e il mestiere di cavadenti. Lei disse
all'asinaio: Aspetta qui un attimo, vado da m i o figlio e ti porto subito fuori il d e n a r o che ti spetta.
Ci detto s c o m p a r v e nel negozio m e n t r e l'asinaio
stava fuori ad aspettare.
All'interno, lei disse al barbiere: L'uomo che c'
fuori dalla porta mio figlio. Dovete sapere che un
po' demente, non date retta a quello che vi dir. Ma
io voglio che gli caviate due denti, u n o superiore e
u n o inferiore. Eccovi dieci reali per il vostro disturbo. Il barbiere acconsent. Allora Aisha usc e chiese all'asinaio di entrare. Adesso ti d a r a n n o i tuoi
soldi. Appena messo piede nel negozio, l'asinaio fu
afferrato dai due aiutanti del barbiere, costretto a sedersi e tenuto ben fermo mentre il padrone con le tenaglie gli strappava, con m a n o esperta, due molari,
u n o superiore e u n o inferiore. L'asinaio si ribell con
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tutte le sue forze, ma il barbiere, che ci era abituato,


port speditamente a compimento il suo lavoro.
Allora l'asinaio port il barbiere davanti al cad e
lo denunci. Il cad si fece raccontare tutto, dopodich c o n d a n n il barbiere e lo fece gettare in prigione. Ma Aisha non lo seppe mai.

36. L A M O G L I E I N N A M O R A T A

Tutti gli anni, per la grande Festa del Sacrifcio, ogni


capofamiglia m u s u l m a n o sacrifica un m o n t o n e , e
questo pi di u n a b u o n a consuetudine: un dovere
religioso. Anche i poveri devono cercare con tutte le
loro forze di a d e m p i e r e q u e s t o dovere m o r a l e e a
questo proposito sono centinaia le storie che si narrano.
C'era u n a volta un povero artigiano, che avrebbe
voluto sapere quanto la moglie lo amasse. Quando si
appress la Festa del Sacrificio, c o m p r in segreto
un m o n t o n e e lo p o r t da un vicino. And q u i n d i
dalla moglie e le disse: Ascolta, mia cara, noi siamo
cos poveri che quest'anno non potremo permetterci
un montone. Spero che tu, anche senza carne, sarai
contenta di me. Ma la donna cominci a lamentarsi, ripetendo in continuazione: Non sta bene passare la festa senza il montone. Va' fuori e cerca qualunq u e cosa che ci p e r m e t t a di avere un m o n t o n e da
sacrificare!.
Il giorno dopo l'artigiano torn a casa e disse alla
moglie: Il sultano ha fatto sapere che chi si far dare cento bastonate potr avere un m o n t o n e come ricompensa. Cosa ne pensi? il caso che io vada a farmi dare cento bastonate per permetterci di avere un
m o n t o n e per la festa?. Essa rispose: Fa' quello che
il tuo dovere, in m o d o che possiamo avere un mon150

tone per la festa!. Il p o v e r u o m o disse: Nel n o m e


di Allah! Allora a n d r a porgere la mia schiena alle
b a s t o n a t e . Ma m e n t r e stava avviandosi verso la
porta, sent la moglie gridare: Aspetta un attimo! e
gi si immaginava che lei gli dicesse: "Lascia perdere, p o s s i a m o p u r e a s p e t t a r e l ' a n n o p r o s s i m o p e r
mangiarci il montone!". Si volt quindi a sentire, e
lei gli disse: Mi appena venuto in mente che anche mia m a d r e senza montone. Potresti farti dare
duecento bastonate e portare a casa due montoni?.

37. IL M A G I C O C U S C U S

C'erano u n a volta d u e fratelli, che a n d a r o n o sui


monti a caccia di porcospini. Per tutto il giorno si
arrampicarono sulle rocce, frugarono ogni cavit, e
a sera si ritrovarono cos stanchi che decisero di sedersi e riposarsi in un luogo pianeggiante. Volevano
a s p e t t a r e che sorgesse la luna, p e r t o r n a r e a casa
con il suo chiarore. Mentre si riposavano, u d i r o n o
un r u m o r e come di legni picchiati u n o contro l'altro
in continuazione. Quando sorse la luna, si avviarono
in direzione di quel r u m o r e e videro u n a vecchia accucciata a terra che percuoteva insieme un legno e
un osso, facendo un r u m o r e come di cavalli al galoppo. Inoltre essa cantava u n a canzone, ma i due uomini non capivano le parole. A questo punto la donna si alz e cominci a ballare, b a t t e n d o il t e m p o
con il legno e l'osso.
Dopo che la vecchia ebbe cos danzato e cantato
per un certo tempo, la luna si a b b a s s e si ferm,
grandissima, sopra le loro teste, m e n t r e ne colava
gi dell'acqua, che la d o n n a raccolse in u n a grossa
ciotola. Arriv quindi un morto, ancora avvolto nel
suo lenzuolo funebre, come fosse appena uscito dal151

la t o m b a . La vecchia se lo caric sulla schiena in


m o d o che le braccia del morto le pendevano davanti.
Prese quindi della semola, la mise in m a n o al morto
e con le sue dita prepar le palline del cuscus. Impastava e arrotolava, impastava e arrotolava mischiando il tutto con l'acqua della luna, fino a preparare un
cuscus dalle palline finissime.
Questo cuscus carico di u n a magia potentissima: se u n a donna lo d da mangiare al marito, questi diventa ubbidiente come un cagnolino ed esegue
a bacchetta i comandi della moglie, che cos pu far
di lui quello che vuole. Se lei gli dice: Va' a invitare i
tuoi amici a pranzo! egli lo fa. Quindi siedono e
mangiano, e se poi lei dice al marito: Adesso esci e
stattene fuori per un po'! lui fa anche questo, e lei si
diverte con i suoi amici. Questo magico cuscus le
d o n n e di citt lo c o m p r a n o dalle vecchie, p a g a n d o
per esso molto denaro.
Q u a n d o ne e b b e r o a b b a s t a n z a di s t a r s e n e sui
monti a osservare la vecchia, i due fratelli le saltarono addosso e la uccisero.

38. LA P O V E R A D O N N A E L ' O R C H E S S A

Una coppia di poveri contadini abitava in alto tra i


monti, b a d a n d o a u n a fattoria isolata. Avevano un
paio di campi e un piccolo gregge di capre, un paio
di mucche e delle api. I vicini pi prossimi abitavano
in u n a fattoria altrettanto isolata, a u n a mezz'ora di
distanza. In questi monti si trovavano ancora, a quei
tempi, degli orchi, che vivevano in caverne e divoravano ogni essere vivente che riuscivano ad acciuffare, compresi i bambini.
Il contadino mor ancora giovane e lasci la moglie con sette bambini. La contadina non volle per
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andarsene dalla fattoria, e si mise a fare lei tutti i lavori degli uomini. Un giorno, m e n t r e stava arando,
venne da lei u n ' o r c h e s s a e le chiese: Non h a i un
marito che possa arare al tuo posto?. E lei rispose:
Se n' a n d a t o via un m o m e n t o , ma t o r n a subito.
Sta' a t t e n t a che n o n ti incontri!. L'orchessa se ne
and, ma ritorn il giorno dopo.
E di nuovo vide la donna che arava e cominci a
intuire come stessero le cose. La sera scavalc la siepe spinosa che circondava la fattoria e si sedette acc a n t o alla c o n t a d i n a , che in quel m o m e n t o stava
spremendo dell'olio di argania. Tutti e sette i bambini le erano seduti intorno e guardavano con l'acquolina in bocca l'olio spremuto. Quando la donna vide
gli occhi cupidi dell'orchessa, cap immediatamente
che era venuta per papparsi i bambini. Disse quindi
al maggiore: Alzati e va' in casa a p r e n d e r e u n a
m a n c i a t a di f a r i n a tostata (che si m a n g i a insieme
all'olio)!. Il ragazzo aveva capito subito ci che voleva dire la m a m m a , e se ne and in casa. Quindi la
d o n n a disse al secondo figliolo: Va' anche tu a prendere un po' di farina!. E cos, u n o dopo l'altro fece
entrare in casa sei bimbi, ma il settimo era t r o p p o
piccolo e non comprese l'avvertimento; non ubbid e
non volle andare in casa. Allora si alz direttamente
la m a d r e e and in casa a prendere u n a grossa scure.
Nel f r a t t e m p o l'orchessa i m m e r s e il pi piccino
nell'olio, ve lo rigir e se lo mangi. Quindi si diresse
verso la casa, si chin e infil la testa nel vano della
porta. La contadina le stacc la testa con la scure.
Allora l'orchessa fece passare dalla porta la sua seconda testa: la contadina gliela decapit, e cos via
con la terza, la quarta, la quinta, la sesta e la settima
testa. Ma istantaneamente le teste ricrebbero. L'orchessa fece nuovamente passare la sua p r i m a testa
attraverso la porta, ma questa volta la donna non la
153

colp. Allora l'orchessa disse: Tagliami via a n c h e


questa!. Ma la contadina non lo fece, perch sapeva
che sarebbe ricresciuta. L'orchessa ordin di nuovo:
Staccamela!. Ma la donna non lo fece. E cos l'orchessa mor immediatamente. In tal modo la m a m ma aveva salvato sei b a m b i n i e p e r d u t o solo l'ultimo, che non aveva voluto ubbidire.

39. L E D O N N E A S T U T E

C'erano u n a volta tre sorelle, che scesero in strada


per cercare qualcuno da ingannare. La maggiore si
rec alla p o r t a della citt e si m i s e ad a s p e t t a r e .
Giunse un giovane con un asino carico di sacchi di
grano. La d o n n a gli si fece incontro, lo salut e gli
chiese: Dove sei stato, caro cugino, e dove stai andando?. Allora egli le confid che stava p o r t a n d o
due sacchi di grano al mercato per venderli. La donna gli disse in tono assai amichevole: Vieni con me,
ti pagher il prezzo di questo grano!. Poi lo condusse in u n o stretto vicolo e gli disse: Aspetta qui, vado
a scaricare i sacchi e ti porto i soldi. Cos dicendo
condusse l'asino nel suo cortile e scomparve.
Dopo aver atteso a lungo invano il r i t o r n o della
donna, il giovane vide arrivare la seconda sorella che
gli disse: Che cosa fai qui?. Sto aspettando m i a
cugina. Mi ha comprato del grano e mi deve portare
i soldi. entrata qui! rispose lui indicando la porta
del cortile. Ohib, disse la donna allora avrai un
beli'aspettare. Vieni con me, ti aiuter. Lo prese per
m a n o e lo condusse in un altro cortile. Qui gli fece
vedere il pozzo e gli disse: Mi caduto l dentro un
bracciale. Se tu ti cali a riprendermelo, ti procurer
anche i soldi per i tuoi sacchi di grano. Allora egli si
tolse le sopravvesti, si leg alla corda e si fece aiutare
154

da lei a scendere nel pozzo. Mentre lui ancora cercava il bracciale, lei gli aveva gi preso i vestiti e li aveva rivenduti al mercato. Da solo il giovanotto n o n
poteva t o r n a r e f u o r i dal pozzo e si mise a gridare
aiuto. Ma per molto tempo non venne nessuno.
Alla fine giunse la terza sorella e aiut il giovane a
r i t o r n a r e f u o r i . Gli pose p e r u n a condizione: A
patto che tu mi sposi!. Il giovane rispose: Va bene,
nel n o m e di Dio! e si fece tirare fuori. Dopodich la
donna se ne and con lui da un ricco mercante, che
vendeva vestiti e oggetti per la casa. Perch disse
devi avere dei bei vestiti e arredarmi la casa, altrimenti n o n possiamo sposarci. Essa scelse bei vestiti, stoffe e gioielli, stoviglie e coperte, e gli disse: Resta qui intanto che vado a casa a prendere i soldi.
Port con s tutto quello che riusc a portare e lasci
solo il giovanotto. Dopo un po' di tempo, il commerciante si fece impaziente: Dove star tua moglie tutto questo tempo? chiese al giovanotto. Allora egli
confess che non era ancora sua moglie e che non la
conosceva. Allora il mercante chiam le guardie e fece gettare il giovanotto in prigione.
Quella notte la sorella minore se ne and al cimitero e dissotterr un b a m b i n o appena sepolto, lo avvolse nei panni da beb e con questo fardello si rec di
primo mattino dal mercante. Dov' mio marito?
chiese al mercante. In prigione! rispose quest'ultimo. Allora la donna divenne cattiva e assal il mercante, che fu costretto a difendersi. In quella la donna
lasci cadere a terra il fagotto e salt fuori il bambino. Era morto. Allora la donna lev un alto grido e accus il mercante di avere ucciso il suo unico figliolo.
Il mercante venne portato dal giudice e dovette pagare il prezzo del sangue per l'ucciso. Il giovanotto venne rimesso in libert. E dal m o m e n t o che la donna
provava dell'attrazione per lui, se lo spos.
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40. C O M E FU C H E IL G A R Z O N E M A N G I A SAZIET

Dal m o m e n t o che il maestro della scuola coranica


passava la maggior parte del t e m p o nella moschea,
trascorrendovi anche la notte, sua moglie si annoiava spesso, e per questo inizi ad avere un rapporto
con un m a n d r i a n o del cascinale vicino. Una notte,
per, il maestro sent desiderio e se ne and a casa,
ma per quanto forte picchiasse alla porta, la moglie
non gli apr.
Il garzone, risvegliato dal baccano, guard attraverso le f e s s u r e della p o r t a del soggiorno, vide la
moglie del maestro insieme al m a n d r i a n o e cap al
volo che cosa stava succedendo. Non essendo riuscito a entrare in casa, il maestro se ne and nella stalla
ed ebbe un rapporto con l'asina. Il garzone lo pedin
e vide tutto. La mattina, di buon'ora, mentre la donna si accomiatava dall'amante, il garzone la sent dire: Oggi preparer un buon pasto; fatti trovare nei
pressi del c a m p o che oggi dovr essere arato dal nostro garzone. Verso mezzogiorno io porter il cibo ai
bordi del campo e tu potrai mangiare con noi.
Quella mattina la donna sgozz u n a gallina grassa, c u c i n un b u o n tajin e verso m e z z o g i o r n o lo
port al campo dove il garzone era intento all'aratura. Anche il marito si trov l per tempo, e q u a n d o
s t a v a n o per a c c o m o d a r s i a m a n g i a r e vide il m a n driano che pascolava i buoi nelle vicinanze. Allora la
moglie disse al marito: Mio caro, invitiamo anche
lui, visto che gi qui!. Il maestro incaric il garzone di invitare il m a n d r i a n o a m a n g i a r e con loro, e
questi vi and. Al m a n d r i a n o per disse: Al padrone
giunta voce della tua avventura della scorsa notte,
cerca di svignartela!. Ritorn quindi dai due e disse: Quell'uomo non vuole venire: chi sono io per invitarlo a mangiare? Vuole che sia tu in persona a in156

vitarlo a tavola. Allora il maestro si alz e si diresse


verso il m a n d r i a n o , ma questi si allontan rapidamente e il maestro prese a corrergli dietro.
Quando la donna ebbe visto ci, il garzone le disse: Guarda guarda, sta inseguendo il t u o amante!
Sicuramente sa tutto su quello che hai fatto la notte
scorsa. Allora la donna si impaur e torn in fretta a
casa. Q u a n d o il m a e s t r o fu di r i t o r n o senza avere
concluso nulla e chiese al garzone dove fosse s u a
moglie, questi rispose: Tua moglie ti ha osservato
q u e s t a n o t t e nella stalla, e adesso n o n vuole pi
mangiare con te. Allora il maestro corse via per la
vergogna e il g a r z o n e pot m a n g i a r e con gusto la
gallina grassa e l'ottimo tajin.

41. L ' A D U L T E R I O

Un u o m o e u n a donna fecero un patto di alleanza e


si diedero la parola d'onore di essersi fedeli. Chi dei
d u e fosse p e r p r i m o v e n u t o m e n o a q u e s t o p a t t o
avrebbe dovuto lasciare p e r s e m p r e il paese. Per
molti anni entrambi m a n t e n n e r o la loro promessa,
finch un giorno l'uomo commise u n a m a n c a n z a e
dovette andarsene via.
L'uomo vag sulla terra in lungo e in largo, come
impazzito. Un giorno, m e n t r e stava per recitare la
sua preghiera su u n a pietra piatta, la pietra prese a
t r e m a r e e a scuotersi, f a c e n d o l o cadere. Pi tardi
l'uomo si distese sulla pietra per dormire, ma anche
questa volta la pietra prese a scuotersi fino a farlo
cadere. Quella stessa sera egli vide in l o n t a n a n z a
u n a luce che sembrava provenire da un focolare; si
avvi allora in quella direzione, ma la strada sembrava n o n finire mai. Fu solo nel cuore della notte
che egli riusc a raggiungere la lucina. Essa proveni157

va da u n a grande caverna sprangata da u n a grata di


ferro. Dietro alla grata si trovava quello che sembrava un essere u m a n o . Costui chiese all'uomo: Sei un
u o m o o un jinn?.
L'uomo rispose: Un uomo.
Sei venuto m e n o a un patto? prosegu quello
nella caverna.
L'hai detto rispose l'uomo stupefatto. Come lo
sai?
Ma colui che si trovava dietro la grata non rispose
e si limit a chiedere: Uomini e d o n n e v a n n o gi
promiscuamente al mercato?.
No disse l'uomo.
Uomini e donne ballano gi insieme alle feste?
No disse l'uomo.
Gli uomini ciarlano e spettegolano gi nelle case
di preghiera q u a n d o h a n n o terminato le preghiere?
No, questo no! disse l'uomo.
Allora devo ancora aspettare p r i m a di essere liberato disse lo spirito.

42. LA BELLA D O N N A

Un giovane pescatore vide un giorno sulla sua strada


u n a donna bellissima. Gli apparve cos bella che credette non ne potesse esistere al m o n d o un'altra simile. Dal m o m e n t o che essa gli sorrideva ammiccando,
si mise a seguirla come rapito. Giunsero a u n a grande casa, che era circondata da un fastoso giardino.
Quando essa vi entr, il giovane le and dietro, come
se fosse ammaliato. Entrati che furono, essa gli disse: Non vuoi chiedermi nulla?. S rispose il giovane, poi le chiese: Chi tuo marito?. La donna rispose: Egli mi ha donato questa casa ed partito.
R i t o r n e r solo q u a n d o sar m o r t a . N o n a b b i a m o
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quindi nulla da temere da parte sua. Vieni, spogliami e abbracciami!. Allora il giovane cominci a fare
ci che essa desiderava da lui, e q u a n d o l'ebbe spogliata ud all'improvviso un forte r u m o r e di tuono.
Allora la donna fu colta dal terrore e disse: Mio marito tornato adesso. Quando la porta si spalanc
ed entr un servo, la d o n n a mor di paura. A questo
punto, vedendo che la donna era morta, il giovane si
vergogn e si p e n t di essersi d e n u d a t o p e r c a u s a
sua. Il servo gli chiese: Hai posseduto la donna?. Il
giovane rispose: No. Allora il servo ribatt: Scegli
tu la tua condanna!. Il giovane fu assalito dal terrore e supplic il servo: Lasciami in vita!. Il servo rispose: Hai scelto tu stesso la tua condanna. Vivrai
per sempre e nel tuo petto arder sempre il desiderio
d i q u e s t a d o n n a che n o n h a i p o t u t o appagare!.
Quindi chiuse la porta e lasci solo il giovane.

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Storie di animali

43. LA M U C C A D E I D U E O R F A N E L L I

C'era u n a volta un cacciatore, che n o n avendo avuto


figli dalla moglie, ne spos u n a seconda, che gli partor due figli. Purtroppo, per, questa seconda moglie mor ed egli rimase con la p r i m a che, invidiosa
dei due b a m b i n i cercava ogni pretesto per sbarazzarsene. Un giorno il marito a n d a caccia e t o r n
con due sole pernici. La moglie gli disse: Mio caro,
queste due pernici non sono sufficienti per tutti; devi
deciderti a liberarti di queste bocche in pi. Alla fine il marito cedette. Condusse i due fanciulli nel bosco, portandosi dietro u n a b u o n a mucca da latte, in
m o d o che i piccoli potessero nutrirsi. Quindi disse
loro: Pascolate qui la mucca finch sar diventata
bella grassa. Quando il grasso le uscir dalle narici,
p o t r e t e sgozzarla. E con q u e s t e p a r o l e li a b b a n don.
I due fratelli sorvegliarono la m u c c a e ne bevvero
il latte, crescendo cos sani e robusti. Ma la m u c c a
n o n ingrassava. Un giorno chiesero consiglio a un
corvo. Il corvo disse loro: Piangete in questa cavit
della roccia, e io vi far bagnare i miei piccoli. Per
ringraziarvi, vi dar l'opportunit di sgozzare la vostra mucca. I b i m b i piansero e riempirono con le
loro lacrime la cavit della roccia, in m o d o che il
corvo vi pot immergere i suoi piccoli. Quindi il corvo vol fino al macello, p r e s e nel becco un po' di
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grasso e lo spalm intorno alle narici della mucca.


Q u a n d o i fanciulli videro ci, presero un coltello e
uccisero la mucca. Le tirarono via la pelle e suddivisero la carne in quattro parti.
Attirato dall'odore di sangue fresco, si fece avanti
un leone e pretese la sua parte. Dapprima gli lanciarono la testa della mucca, ma il leone non si accontent. Allora gli lanciarono u n a parte della carne, ma
il leone ne voleva ancora. Gli gettarono la seconda
parte, e quando il leone ne richiese ancora, anche la
terza e infine la quarta parte della carne. Ne voglio
ancora! rugg il leone. rimasta solo la pelle risposero i fanciulli. Date qua! ordin il leone, ed essi gliela lanciarono. Ne voglio ancora! grid il leone p e r t u t t a risposta. Che cosa r e s t a ancora?
Siamo rimasti soltanto noi due risposero i ragazzi.
Allora scannatevi! c o m a n d il leone. Il pi forte
mi getter il perdente! Ma i d u e fratelli e r a n o di
uguale forza, per cui l o t t a r o n o a lungo e alla fine
caddero ambedue esausti ai piedi del leone. Il leone
li infil nella pelle della mucca, la richiuse con un
nodo e se ne and, lasciandoli sul bordo di u n a strada che portava al mercato.
Pass di l per primo un cammello, che ud i fanciulli gridare: Aiuto, tirateci fuori!. Il c a m m e l l o
chiese: Chi vi ha rinchiusi l dentro?. Il leone risposero quelli. Allora n o n posso aiutarvi, p e r c h
nessuno pu mettersi contro il leone. Pass poi per
quella strada un mulo, e di nuovo i bimbi gridarono:
Aiuto, tirateci fuori!. Il mulo fece la stessa domanda e anche lui si rifiut. Anche un asino di passaggio
non volle aiutarli per p a u r a del leone. Invece il riccio
non ebbe esitazioni. Fece fermare la gallina che stava cavalcando e, sentita la storia dei due sventurati,
eccolo estrarre la sua sciabola, squarciare la pelle e
liberare i fanciulli, proseguendo poi per la sua via.
161

Quando il leone ritorn e trov la pelle vuota, chiese a tutti gli animali chi fosse stato a liberare i fanciulli. Il cammello, il mulo e l'asino negarono di averlo
fatto, mentre il riccio ammise con orgoglio la sua impresa. Ti sfido a combattermi! disse al leone.
Il leone raccolse intorno a s tutti i grandi animali
e li dispose in un mucchio per la battaglia. Il riccio
prese con s le api, le vespe, le zanzare e altre bestioline che pungono, e le tenne nascoste. Quando inizi
la battaglia, il riccio grid: Voi zanzare, attaccate le
loro orecchie! e poi alle vespe: Pungeteli! e lo
stesso fece con le altre bestiole. Allora tutti i grossi
animali fuggirono, e il leone balz per primo nel suo
covo. Ma il riccio lo insegu. Prese u n a p i u m a della
gallina che cavalcava e la piant davanti alla tana del
leone. Tutte le volte che il leone guardava fuori, vedeva la p i u m a e pensava che il riccio fosse ancora l.
E dal m o m e n t o che non si fidava a uscire, mor di
fame.

44. IL R I C C I O E LO SCIACALLO

Il riccio ha f a m a di essere l'animale pi saggio, e per


questo nel m o n d o animale svolge la funzione di giudice. Un giorno il riccio e lo sciacallo, a n d a n d o a
spasso, giunsero davanti a un giardino dove crescevano frutti dolcissimi. Trovarono un piccolo passaggio
nella siepe e si introdussero nel giardino. Qui si misero a mangiare i frutti pi dolci, ma il riccio, saggiamente, sapeva che non bisognava mangiare troppo.
Scivol di n u o v o f u o r i dal b u c o nella siepe e
chiam lo sciacallo, ma questi n o n cess di mangiare fino a che fu diventato cos grasso da non passare
pi attraverso la siepe.
Allora prese a lamentarsi, perch aveva p a u r a di
162

essere acchiappato l'indomani dal padrone. Signor


riccio, i m p l o r a i u t a m i in q u e s t a s i t u a z i o n e di
emergenza! E il riccio gli disse: Quando arriver il
padrone, domattina presto, gettati per terra e fa' finta di essere morto. Vedrai che l'uomo ti butter fuori
dalla siepe. E difatti cos avvenne.

45. COS VA IL M O N D O

Si racconta che il riccio incontr lo sciacallo e gli


rivolse la parola: Buongiorno, dove stai andando?.
A cercar fortuna rispose lo sciacallo. Camminarono insieme per un po' e giunsero a un pozzo. Dalla
carrucola pendeva u n a corda con due secchi all'estremit per attingere acqua.
Tutti e due avevano sete e volevano bere. Rapido,
il riccio salt in un secchio e si lasci calare nel pozzo. Dopo che ebbe bevuto, grid: Qui ci sono otto
pecore con i loro agnellini!. Allora lo sciacallo, gridando: Aspetta! Vengo gi anch'io!, balz nell'altro secchio e precipit in f o n d o al pozzo, f a c e n d o
c o n t e m p o r a n e a m e n t e risalire il riccio in superficie.
Qui giunto, usc dal secchio e guard gi.
Ma che succede? chiese stupito lo sciacallo. Il
riccio rispose: Cos va il mondo, c' chi scende e c'
chi sale.

46. LA F I G L I A S T R A E IL R I C C I O

C'era u n a volta u n a donna che aveva u n a figliastra.


Un giorno il padre della ragazza volle partire per il
pellegrinaggio: lasci quindi alla moglie provviste
p e r un anno, m a i s e altri generi alimentari. Aveva
calcolato tutto c o m e si deve. Dopodich si mise in
163

viaggio. Un giorno la moglie stese al sole il mais sul


terrazzo e vi lasci la figlia dicendole di sorvegliarlo.
Ma a p p e n a la d o n n a se ne fu andata, la ragazza si
mise a guardare in aria; vennero due galline e si portarono via tutto il mais. Al suo ritorno, la d o n n a baston la figliastra fino a lasciarla tramortita. Dopodich la scacci dal suo tetto.
Arriv un leone e si port via la ragazza; la leg a
un albero vicino alla strada. Diversi animali passarono di l a n d a n d o al mercato. Capit per p r i m a u n a
pecora, cui la fanciulla disse: Per l'amor di Dio, pecora, liberami da questi legami!. La pecora chiese:
Chi ti ha legata in questo modo?. Il leone! rispose la ragazza. No, con lui di mezzo non posso intromettermi. Pass poi un cane. Anche lui rispose allo
stesso modo. Arriv quindi un cammello, che ebbe le
stesse parole. E lo stesso risposero un bue, u n o sciacallo e un levriero.
Dopo che f u r o n o passati tutti questi animali, da
ultimo sopraggiunse un riccio. Cavalcava u n a gallina. Aveva u n a staffa di maiolica, u n a sella di sterco
di cavallo e come redini un cordino. La fanciulla gli
disse: Per l'amor di Dio, riccio, liberami dai legami
che mi avvincono!.
Chi ti ha legata qui?
stato il leone.
Allora il riccio esclam: Ah, ah! L e g a n d o t i in
questo m o d o ha mostrato di essere un vigliacco!. E
cos dicendo il riccio liber la fanciulla, che se ne
pot andare.
Il riccio prosegu la sua strada fino al mercato; ma
q u a n d o il leone giunse al luogo in cui aveva lasciato
la fanciulla, vide che essa non c'era pi. Si sedette al
bordo della strada a osservare gli altri animali. A tutti quelli che passavano, domandava: Sei tu che hai
slegato la ragazza?. Uno d o p o l'altro, tutti gli ani164

mali risposero: No!. Quando, per ultimo, arriv il


riccio e il leone gli grid: Sei tu che hai slegato la
ragazza, palla del demonio?, il riccio rispose: Che
c' di tanto i m p o r t a n t e ? S, sono io che l'ho slegata!. Allora il leone esclam: Oh, che cosa potrei fare da solo contro questa palla del demonio! S, se tu
n o n fossi un esserino cos buffo ti si potrebbe ingoiare senza neanche toccarti con le zanne!.
Il riccio replic: Se cos, e se hai veramente coraggio, prova a ingoiarmi senza n e a n c h e toccarmi
con le zanne!.
Allora il leone lo afferr e lo ingoi; ma il riccio gli
r i m a s e i n c a s t r a t o in gola e lo p u n g e v a con i suoi
aculei andando su e gi. Il leone disse: Per l'amor di
Dio, per l'amor di Dio, salta fuori!. Il riccio disse:
Promettimi solennemente davanti a Dio che non mi
divorerai se salto fuori e che non mi afferrerai con le
tue zanne!. Il leone promise: Se vieni fuori non ti
azzanner e non ti divorer. Allora il riccio si lasci
sputare fuori, e q u a n d o il leone lo ebbe risputato gli
disse: Orbene! R a d u n a le tue truppe e io raduner
le mie; quindi ci faremo guerra!.
A questo punto il leone chiam dalla sua tutti gli
animali del mondo. Il riccio invece strapp dal terreno stoppie legnose e le a c c a t a s t in un m u c c h i o
grande come u n a montagna. Il leone and alla testa
delle sue truppe e grid al riccio: Scendi nella pianura! Dobbiamo combattere!. Ma il riccio rispose:
Sali tu sulle alture!. Sei riuscito a procurarti delle
truppe? chiese il leone. S! rispose il riccio. Allora fa' vedere alla gente chi sono i tuoi! disse il leone.
A q u e s t o p u n t o il riccio chiese all'Onnipotente:
Mandami, ti prego, un po' di vento!. Allah gli invi
del vento. Allora un truciolo legnoso a n d a finire
nel d e r e t a n o di o g n u n o degli a n i m a l i avversari, e
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tutti fuggirono. In questo m o d o il riccio sconfsse i


suoi avversari. Salute a tutti!

47. LA TARTARUGA

Un giorno la tartaruga se ne andava a spasso canticchiando. Un falco la ud, la afferr, la port in alto
nel cielo e la lasci cadere. Allora la tartaruga disse:
Ecco come vanno le cose, cara mia, u n o non vuole
tener chiusa la bocca, e la bocca chiude lui (cio la
sua vita)!.
La ud un u o m o ed esclam: Che meraviglia, add i r i t t u r a u n a t a r t a r u g a che parla!. La prese, la
port dal re e gliela don, dicendogli: Mio signore,
questa u n a tartaruga parlante!. Il re gli disse: Allora f a m m i vedere c o m e fa a parlare!. L'uomo si
diede da fare con lei dicendole: Parla, tartaruga!.
Ma la tartaruga si rifiut di parlare. Lui le disse: Di'
quello che hai detto quando ti ho trovata in campagna!. Ma lei si rifiut di parlare. Allora il re disse:
Prendetelo e tagliategli la testa! Non ancora nato
chi riesce a prendersi gioco di me mentre io sono ancora vivo. Allora lo presero e gli tagliarono la testa.

48. D A D O V E V E N G O N O L E C I C O G N E

Nei tempi antichi viveva il cad di u n a grande citt in


cui amministrava il diritto. Ci gli aveva procurato
sempre lauti guadagni. Un a n n o non piovve per tutto
l'inverno e i contadini non poterono coltivare i loro
campi. Quando, intaccate le provviste di grano per il
pane, gli abitanti della citt cominciarono a soffrire
la f a m e , si r e c a r o n o dal loro cad i cui m a g a z z i n i
erano pieni di grano. Essi gli dissero: Che Allah ci
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salvi! Vendici un po' di grano!. Il cad rispose: Va


bene, tornate d o m a n i e ne distribuir u n a p a r t e a
ciascuno!.
Dopo che la gente se ne fu andata, egli ordin ai
suoi servitori di portare il grano nella stanza superiore e di appendervi u n a bilancia. Questa stanza sopraelevata dava su due scale: u n a per la salita e u n a
p e r la discesa. Nella notte il cad p r e s e un grosso
pezzo di sapone e lo spalm sui gradini della scala di
discesa. Il g i o r n o d o p o g i u n s e r o gli a b i t a n t i della
citt e salirono la scala che non era stata insaponata.
Nella stanza venne loro distribuito il grano, essi lo
pagarono e se ne andarono via caricandosi i sacchi
sulle spalle. Ma nello scendere la scala i n s a p o n a t a
scivolarono e caddero a terra.
Allora il cad proruppe in sonore risate. Ma Dio lo
trasform in u n a cicogna con u n a camicia bianca e
u n a mantellina nera.

49. P E R C H G L I ASINI H A N N O I L M U S O B I A N C O

L'asino molto paziente, lo si p u caricare fino a far


traboccare le some e lui sopporta tutto. Ci si rende
conto di quanto si pretende dall'asino solo q u a n d o
schiatta, e allora vuol dire che era troppo. I maggiori
dolori gli asini li s u b i s c o n o a o p e r a dei b a m b i n i ,
q u a n d o vengono portati al pascolo. I b a m b i n i percuotono l'asino con i bastoni e gli tirano pietre, gli
saltano in groppa e si fanno trasportare in cinque alla volta. Pazientemente, egli li lascia fare.
Un g i o r n o alcuni angeli dissero al Signore dei
mondi: O Signore, osserva l'asino, l'immagine della pazienza e della resistenza! Non avrebbe diritto
anche lui al Paradiso?. S, disse il Signore conducetelo qui! Allora gli angeli a n d a r o n o dall'asino,
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lo presero e lo trasportarono all'ingresso del Paradiso. Volevano spingerlo dentro, ma l'asino, a p p e n a


messo dentro il m u s o con circospezione, vide il gran
n u m e r o di bambini che c'era all'interno e n o n volle
pi andare avanti. Era troppa la p a u r a dei bambini,
che lo avevano sempre maltrattato. Gli angeli cercar o n o d a p p r i m a di convincere l'asino con le buone,
poi con la forza, ma n o n ci fu m o d o di smuoverlo di
l. Allora gli angeli riportarono l'asino al pascolo. Ma
siccome aveva infilato il m u s o nel Paradiso, e questo
era stato illuminato dalla luce divina, ora l'asino aveva il m u s o bianco. E da allora tutti gli asini h a n n o il
m u s o bianco.

50. C O M E S I O R I G I N A N O L E C A V A L L E T T E

Laggi nel m a r e vive un mostro gigantesco, che viene chiamato balena. Alcuni marinai raccontano che
u n a simile balena p u ingoiare un'intera nave; nella
pancia della balena buio pesto e per questo i marinai accendono un fuoco. La balena non p u sopportarlo e sputa fuori la nave.
Un giorno Giona, il profeta di Dio, venne ingoiato
da u n a balena. Egli predic nel ventre del mostro e
grazie a ci esso divenne pacifico e risput Giona.
Nel luogo in cui egli tocc terra, nei pressi dell'odierna rbat di Massa, alla foce del fiume Massa, si costru u n a cella e santific tutto il territorio. Qui vi fu
per molto tempo un santuario, costruito interamente di costole di balena, perch in questo luogo vanno
ad arenarsi molte balene morte. Il meglio delle balene l'ambra, che si trova nei loro intestini. Questa
s o s t a n z a preziosa, che si conserva p e r molti a n n i
senza irrancidire, serve per la fabbricazione di profumi. I pescatori di quel tratto di costa sezionano le
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carcasse delle balene, p r e n d o n o l'ambra e la rivendono a caro prezzo, arricchendosi. Essi raccontano
che le balene, q u a n d o sono vecchie e sentono prossima la morte, n u o t a n o fino in m a r e aperto, dove si
trova u n a p i a n t a particolare. Ne m a n g i a n o p e r c h
sanno che essa provoca stitichezza, dopodich vanno ad arenarsi a terra e m u o i o n o . Lo dice l ' a m b r a
che nel loro corpo.
Quando i pescatori h a n n o fatto a pezzi la balena
m o r t a e ne h a n n o estratto l'ambra, dalla carne del
m o s t r o fuoriescono tantissimi vermi, che crescono
sempre pi fino a diventare cavallette. Le cavallette
diventano sciami e si precipitano su campi e orti e
divorano tutte le piante che trovano. Allora accorrono in folla i contadini e raccolgono le cavallette, le
salano e le vendono in grande quantit come nutrimento per la gente.
Nei primi secoli, i re pagavano u n a rendita mensile a quella trib del Sus che stanziata alla foce del
fiume Massa per il servizio che rendeva loro: questa
gente bruciava le balene morte, in modo che n o n potessero uscirne cavallette che avrebbero spogliato il
territorio. Ma da q u a n d o il re non paga pi per il sos t e n t a m e n t o di q u e s t a trib, a n c h e i suoi u o m i n i
n o n bruciano pi le balene, e da allora si verificano
spesso invasioni di cavallette. Queste bestie sono cos n u m e r o s e e voraci da arrivare fino alle m u r a di
Rabat, scavalcare le m u r a e penetrare nelle case pi
vicine. Sui campi e nei vigneti divorano tutto fino a
lasciarli spogli e non vi preghiera o lettura del Cor a n o che vi si opponga, perch q u a n d o Allah ha deciso, va fino in fondo.

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L'inizio e la fine del mondo: storie mistiche

51. G L I I N I Z I D E L M O N D O

Dopo che Allah ebbe creato il m o n d o , volle creare


anche gli uomini. Invi allora il suo angelo prediletto, Iblis, a prendere u n a m a n c i a t a di terra da ogni
regione. Iblis le port ad Allah e con esse Allah modell il primo uomo, Adamo, padre di tutti gli u m a ni. La sua compagna, Hawa (Eva), m a d r e di tutti gli
umani, la fece dal fianco sinistro di Adamo.
Mentre il blocco di argilla giaceva a n c o r a inanimato, l'angelo Iblis gli girava intorno domandandosi
che tipo di c r e a t u r a ne s a r e b b e v e n u t a fuori. Con
estrema cautela gir quaranta volte intorno al blocco di argilla senza arrischiarsi a toccarlo. Solo u n a
volta tast leggermente col suo bastone al centro del
blocco, ed cos che si originato l'ombelico.
Q u a n d o Allah diede o r d i n e allo spirito vitale di
trasferirsi nel blocco di argilla, questo si ritrasse spaventato. Allora Allah gli disse: Tu devi entrarci rapid a m e n t e e senza titubanze, e altrettanto rapidamente dovrai a n c h e t o r n a r t e n e f u o r i q u a n d o io ti
richiamer. (La seconda parte si riferisce alla morte degli uomini.)
Dopo che i due esseri u m a n i ebbero ottenuto la vita, presero ad a n d a r e di qua e di l per il giardino,
godendo dei suoi frutti. Allora Allah r a d u n tutte le
creature spirituali e mostr loro la nuova creatura,
l'uomo. Allah pretese da tutte le creature spirituali
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che lo adorassero, e la maggior parte degli angeli e


dei jinn obbedirono al suo ordine, tranne Iblis con la
sua schiera. Egli disse ad Allah: Mio signore, tu hai
creato questo essere con la terra. Io per sono migliore di lui, perch tu mi hai creato con il fuoco.
Allora Allah disse: E allora tu ritornerai a essere
fuoco!. E sia, a c c o n s e n t Iblis ma p e r m e t t i m i
u n a richiesta: d a m m i i figli di questi due, che mi acc o m p a g n i n o nel fuoco! Allora Allah disse: Quelli
dei loro figli che vorranno seguirti, potranno venire
con te.
Adamo e Hawa vissero a lungo felici nel giardino
dell'Eden. La prima cosa che essi videro nel giardino
fu u n a grossa tavola che dal cielo veniva gi fino a
terra. In cima alla tavola lessero le parole della professione di fede islamica: "Non vi Dio all'infuori di
Allah e Maometto il suo inviato e profeta". Sotto di
essa erano messi per iscritto tutti gli avvenimenti degli uomini futuri, anche se non sotto forma di giudizio emesso in m o d o irrevocabile, bens tracciati in
m o d o leggero, come su u n a lavagna di scuola, su cui
possibile cancellare quello che stato scritto. Cos
Allah p u cancellare q u e s t a o quell'altra f r a s e se
l'uomo non si mostra degno del proprio destino. Ma
se qualcuno lo trasgredisce, egli non scrive subito un
nuovo destino per l'uomo, perch Allah longanime.
Solo dopo secoli o millenni Allah cancella la frase e
ne scrive sulla tavola u n a nuova, m e n o favorevole.
Gli angeli p o s s o n o s e m p r e vedere q u e s t a faccia
della tavola, e cos pure alcuni santi cui ci concesso. Ma il retro della tavola nessuno l'ha mai visto, e
solo Allah sa cosa vi ha scritto.
E Allah mise in guardia Adamo e Hawa nei confronti dell'angelo Iblis, che non gli si era sottomesso.
Egli vi sar sempre nemico, non seguitelo! Adamo
e Hawa vivevano senza preoccupazioni nel giardino e
171

n o n mancava loro nulla; solo di un albero non potevano mangiare, perch era il p r i m o albero che Allah
aveva posto nel Paradiso. Un giorno Iblis disse ad
Adamo: O Adamo, ti voglio mostrare l'albero della
vita, se tu mangerai dei suoi frutti diventerai onnisciente come gli angeli e vivrai in eterno. Ma Adamo
pens al divieto di Allah e rifiut con decisione.
Allora Iblis a n d da Hawa e cerc di persuaderla a
mangiare u n a mela del primo albero, ma anche lei rifiut. Allora Iblis ricorse a un'astuzia. Mise u n o specchio davanti al viso di Hawa e le chiese: Conosci
questa donna?. H a w a era stupefatta: non aveva m a i
visto il proprio viso e non sapeva di essere sempre lei.
Credette che oltre a lei nel Paradiso ci fosse un'altra
donna. Allora Iblis prosegu: Vedi com' bella questa
donna. Sicuramente un giorno Adamo la vedr e la
prender in moglie e si dimenticher di te. Allora
H a w a ebbe p a u r a e chiese un consiglio a Iblis. Egli
disse: Se tu mangi di quell'albero e dai da mangiare
anche ad Adamo di quella mela, egli non potr mai
pi dimenticarsi di te n prendere alcun'altra moglie.
Allora Hawa prese u n a mela di quell'albero, a n d
da Adamo e gli offr di mangiarne, dandovi nel fratt e m p o un morso deciso lei stessa e dicendo quant'era
b u o n o il suo sapore. Allora anche Adamo vi diede un
morso, ma il pezzo gli rimase conficcato in gola.
Da allora tutti gli uomini h a n n o il p o m o di Adamo. Il pezzo mangiato da Hawa, invece, le pass attraverso il corpo e torn fuori come sangue dal suo
sesso, ed per questo che le donne h a n n o un flusso
di sangue tutti i mesi.
A quel tempo erano ancora completamente nudi;
ora cominciarono a provare vergogna e si rivestirono. Allora Allah m a n d un angelo e li fece scacciare
172

dal giardino. Egli disse: Andate via di qui e siate


estranei l'uno all'altra!.
Fu cos che Adamo e H a w a dovettero lasciare il
g i a r d i n o e p r e s e r o a e r r a r e , s e p a r a t a m e n t e l'uno
dall'altra, per la vasta terra. Adamo viveva in quella
parte del m o n d o che oggi si chiama Asia e Hawa in
quell'altra che oggi si chiama Africa. Per questo essi
non si potevano incontrare, per quanto chiamassero
e cercassero e interrogassero tutti gli a n i m a l i e le
piante. Si trovarono a essere pi vicini quando passarono a vagare in quel territorio che costituisce il
collegamento tra i due continenti. Tuttavia non poterono ancora incontrarsi finch un giorno Dio decise
che avevano s o f f e r t o a b b a s t a n z a e che p o t e v a n o
nuovamente incontrarsi.
Fu per p r i m a Hawa che vide Adamo, giacch essa
vagava notte e giorno per il paese alla ricerca di Adamo, mentre quest'ultimo andava in giro solo di giorno, e di notte dormiva. Cos u n a notte H a w a vide
Adamo che dormiva e si nascose nei pressi sotto u n a
roccia. Quando, la mattina dopo, Adamo si rimise in
cammino, trov Hawa sotto la roccia e le chiese come fosse giunta fin l. Ma lei disse di non essersi mai
mossa da l, e Adamo disse che questa era u n a bugia,
p e r c h egli era p a s s a t o pi volte a c c a n t o a quella
roccia e non l'aveva mai vista.
Dopo qualche tempo Hawa partor due figli, Habil
e Qabil. A loro volta questi ebbero u n a figlia ciascuno. Qabil voleva sposare la figlia di suo fratello e dare a lui in sposa la propria figlia, ma Habil non voleva s p o s a r e la figlia di suo fratello p e r c h n o n era
b u o n a c o m e la p r o p r i a . Per questo Qabil uccise il
fratello.
In piedi accanto al cadavere, Qabil fu preso da un
grande terrore, perch fino ad allora nessun essere
u m a n o era ancora morto. Qabil non sapeva che fare
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di suo fratello. Lo prese sulle spalle e se lo tir dietro


dovunque andasse per un a n n o intero, cosicch il cadavere cominci a decomporsi e a puzzare. Allora,
senza pi sapere che fare si sedette e non voleva fare
pi nulla. Ma a questo p u n t o Allah decise di fargli
vedere un e s e m p i o . Invi d u e corvi (che in r e a l t
erano angeli), in lotta tra loro. Essi continuarono a
beccarsi a vicenda con i loro forti rostri finch u n o
dei d u e c a d d e a t e r r a m o r t o . Allora l'altro corvo
scav u n a buca profonda, vi rinchiuse il corvo morto
e vi accumul sopra terra e pietre, trascinandole col
becco. A questo p u n t o Qabil cap che cosa si dovesse
fare col cadavere del fratello, e da allora gli uomini
seppelliscono i loro morti.

52. D E L L A C A D U C I T D E I B E N I
DI QUESTO MONDO

Il pi antico re di cui il nostro popolo si ricordi si


chiamava Jedad u b e n Ad. Era signore sui jinn e sugli uomini e visse in epoche di cui si persa la memoria. Egli diceva: Io non muoio!. Appoggiato al
suo bastone, sedeva e amministrava la giustizia. Se
ne stette lungo tempo seduto in tal modo, senza che
n gli u o m i n i n i jinn si accorgessero che era gi
morto. Dopo anni e anni, per, un tarlo si fece strada nel bastone su cui era appoggiato il re, finch esso si spacc e il re defunto cadde a terra. Allora i jinn
e gli uomini fuggirono.
Dov' Jedad u ben Ad?
Costru mura d'oro
E mura di rame,
Aveva l'argento tra s e il suolo.
174

Il trono su cui sedeva,


Era d'oro puro.
Ed ecco venire l'angelo della Morte:
Inutili furono tutti i suoi beni!
Gi da molto t e m p o n e s s u n o pi sapeva dove si
trovasse la citt di Jedad, re degli Ad. Un giorno la
f a m a di quel principe potente giunse fino a Salomone, figlio di Davide, sul suo t r o n o a Gerusalemme.
Allora Salomone chiam a s tutti gli uccelli, i jinn e
gli uomini, e chiese di colui che nei tempi antichi era
stato signore dei jinn e degli uomini. Ma nessuno sapeva dove fosse situata la sua citt. Allora Salomone
chiese: Dov' la vecchia aquila?, ma p e r m o l t o
tempo l'aquila non venne.
Passarono nove giorni, e alla fine l'aquila giunse
in volo e disse: O potente re Salomone, non ero potuta venire perch mi trovavo col mio vecchio padre
nell'isola lontana in mezzo all'oceano. Mio padre ha
novecento anni, debole, cieco e senza p e n n e . Io
debbo proteggerlo dalla grande calura volandogli al
di sopra e facendogli ombra. Lasciami tornare subito da lui!. Allora Salomone disse: Vola da tuo padre e chiedigli di Jedad, della stirpe di Ad, e dell'ubicazione della s u a citt! Poi t o r n a i n d i e t r o e
riferiscimi!.
La vecchia aquila torn rapidamente dal padre e
gli pose la domanda. E questi rispose: Io personalmente non mi ricordo di quel sovrano, ma mio nonno, che aveva milletrecento anni q u a n d o mor, me
ne parl. Questo Jedad u ben Ad possedeva tutti i beni di questo mondo, e nulla era fuori dalla sua portata, ma alla morte n o n pot sfuggire... Siamo fatti di
terra, viviamo sulla terra e alla terra ritorneremo.
Q u i n d i p a s s a descrivere a suo figlio, la vecchia
aquila, l'ubicazione della citt di Jedad. E lui torn
175

in fretta a rapporto da Salomone e si mise a volare


alla testa di Salomone e del suo esercito, conducendoli, attraverso un deserto, fino al mare. Vol in cerchio sempre pi in alto, dopodich si lasci cadere
in picchiata c o m e un sasso fin sulle rovine della
citt, facendo vedere dove era stato il luogo delle impiccagioni, dove vi era u n a p a l m a e dove giaceva il
palazzo ricoperto dalla sabbia.
Tuttavia, nessuno riusciva a trovare l'ingresso del
palazzo. Allora l'Onnipotente fece soffiare a lungo
un vento, p r i m a il vento del nord, poi quello dell'ovest, poi quello del sud e infine quello dell'est. Esso
spazz via la sabbia e mise allo scoperto un ingresso
del palazzo. Quando gli uomini vi entrarono, trovarono la sala del trono, e in essa u n a statua che teneva in bocca u n a tavoletta d'argento su cui era scritto,
in lettere "greche":
Io
Ho vissuto mille anni
e ho dominato mille citt,
ho cavalcato mille cavalli
e ucciso mille guerrieri,
ho avuto mille mogli
e mille figli maschi.
Avevo mille saggi consiglieri,
ma all'Angelo della Morte
non son potuto sfuggire.
Nessuno pu essere pi ricco di me
o pi potente
o vivere pi a lungo di me,
perci, ascoltate il mio consiglio:
la ricchezza non pu esservi d'aiuto!
Il
e tutti i viventi periscono!
176

Allora Salomone a b b a n d o n il palazzo di J e d a d


con i suoi uomini e fece ritorno a casa. Una tempesta di sabbia ricopr di nuovo il palazzo, e oggi nessuno pi sa dove si trovasse quella citt.

53. I L S A R T O N E L L A CITT F E L I C E

Dalle nostre parti viveva un tempo un povero sarto,


che n o n aveva n moglie n figli. Era un u o m o diligente e sobrio, che lavorava da m a t t i n a a sera, cuc e n d o camicie e p a n t a l o n i , mantelli e caffettani.
Inoltre fungeva da muezzin e compiva sempre puntualmente e senza errori il suo dovere: gi di primo
mattino, q u a n d o ancora tutti dormivano, saliva sul
minareto della nostra moschea e chiamava i credenti alla preghiera. A mezzogiorno piantava in asso il
suo lavoro e saliva ancora a far risuonare il richiamo
alla preghiera; e cos p u r e nel pomeriggio, a m e t
del lavoro, e alla sera, quando il sole tramontava; e
per finire un'ultima volta, quando la notte cominciava a essere fonda. Cos trascorsero gli anni, e il sart o - m u e z z i n era c o n o s c i u t o d a t u t t i c o m e p e r s o n a
tranquilla e a m m o d o .
Ogni volta che saliva tutti quei gradini di pietra fino in cima al minareto, il sarto rivolgeva il pensiero
ad Allah e si augurava, un giorno, di poter avere u n a
moglie e u n a casa felice. Quindi faceva risuonare i
sette melodiosi versi del richiamo alla preghiera e ridiscendeva devotamente per eseguire la sua preghiera insieme agli altri uomini nella moschea.
Un giorno, per - a quanto si racconta -, il sarto,
appena fatte risuonare le ultime parole del richiamo
alla p r e g h i e r a , v e n n e a f f e r r a t o dagli artigli di un
grosso uccello rapace che se lo port via volando alto nel cielo, scavalcando montagne e deserti, e poi al
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di l del mare, fino alla riva opposta, dove l'uccello


lo depose dolcemente ai margini di u n a bella citt.
Il sarto entr coraggiosamente nell'abitato, meravigliandosi della pace e tranquillit che vi regnavano.
Nei bazar non si mercanteggiava e non si litigava, n o n
si udiva n e m m e n o un sussurro. Gli abiti della gente
erano confezionati con tessuti preziosi ed erano tutti
puliti, i volti erano tutti radiosi; tutti gli uomini, grandi e piccoli, erano felici e contenti. Il sarto era sempre
pi meravigliato e, quando si avvicin ai negozi per
ascoltare, cosa ud e vide? Le persone non pagavano
con denaro quello che acquistavano, ma si limitavano
a dire al venditore: Preghiere alla bellezza!, m e n t r e
prendevano la merce. A seconda del valore delle merci
ripetevano u n a o pi volte questo curioso Preghiere
alla bellezza! , e ciascuno era contento cos.
Il sarto si sofferm allora davanti alla bottega di
un collega, lo osserv per un certo tempo e q u a n d o
si fu convinto che anche costui sembrava altrettanto
felice quanto gli altri abitanti di questa strana citt,
si fece coraggio, entr, lo salut e gli disse: Anch'io
sono un sarto come te e mi piacerebbe vivere in questa citt della felicit. Non avresti del lavoro a n c h e
per me?. Certo che s rispose il sarto. Siediti qui
e rallegraci, svolgi il tuo lavoro insieme a me e avrai
la tua ricompensa: cinquanta preghiere alla bellezza
ogni settimana.
Il sarto si rallegr e cominci a lavorare insieme al
collega. In breve tempo venne informato dell'usanza
di quel paese: ogni commercio e ogni lavoro venivano ricompensati con le parole: Preghiere alla bellezza e nessuno mancava di nulla. Vi era anche questo uso: q u a n d o u n giovane i n t e n d e v a sposarsi,
bastava che andasse il gioved sulla spiaggia. In questo giorno della settimana le ragazze in et da marito erano solite passeggiare su e gi recando con s
178

u n a brocca piena d'acqua. Se un giovane trovava che


u n a ragazza gli piaceva al punto di volerla sposare,
le chiedeva un sorso d'acqua della sua brocca e ringraziava dicendo: Preghiere alla bellezza! e se anche lui piaceva alla ragazza, questa diveniva sua moglie e vivevano insieme.
Quando il sarto ud queste cose, non vide l'ora che
giungesse il gioved, e quel giorno si rec alla spiaggia, cerc u n a bella fanciulla e le chiese dell'acqua, dicendole: Preghiere alla bellezza!. Lei gli porse l'acqua e si mostr contenta di lui, cos divennero marito
e moglie e misero su u n a bella famiglia. Ogni giorno,
dopo il lavoro, il sarto andava al mercato, comprava
le cose necessarie per vivere, dopodich tornava in
fretta a casa dalla moglie ed era felice con lei.
Un giorno, al mercato vide esposto in vendita un
pesce gigantesco e disse tra s: "Che pesce magnifico, la sua carne bianca deve avere un ottimo sapore,
e sicuramente mia moglie ne t r a r r un b u o n pasto
a b b o n d a n t e " . Acquist il pesce in c a m b i o di "preghiere alla bellezza" e se lo port a casa. Ma quando
sua moglie lo vide entrare in casa con quel pesce gigante, parve molto spaventata ed esclam: Che cosa pensi di fare con questo pesce enorme, che p u
a n d a r bene per dieci persone, mentre noi siamo solo
in due!. Il sarto rispose: L'ho preso al mercato, e
mi piacerebbe che tu me lo cucinassi per il pasto.
Ma la donna si fece ancora pi agitata e disse: Hai
preso molto pi di quanto ti spetta. Adesso non potrai pi vivere nella nostra citt.
Il sarto usc mestamente di casa, ed ecco sopraggiungere dal cielo l'uccello rapace che lo afferr e,
sorvolando il m a r e e valicando monti e deserti, lo riport alla sua citt natale. Lo depose in cima al minareto, proprio dove lo aveva preso. Al sarto parve
quasi di udire ancora l'eco del proprio richiamo alla
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preghiera. Scese e preg insieme agli u o m i n i nella


moschea. Quindi ritorn nel suo negozio e riprese il
lavoro, che sembrava a p p e n a a b b a n d o n a t o . Mestam e n t e ripens ai bei tempi nella citt felice, e ogni
volta che saliva sul minareto per chiamare i credenti
alla p r e g h i e r a sperava di rivedere l'uccello r a p a c e
che un g i o r n o lo aveva p o r t a t o via. Ma esso n o n
torn mai pi. Questo ci che mi h a n n o raccontato
gli abitanti della mia citt, e solo Allah, l'Onnipotente, conosce tutti i miracoli e sa che cosa c' di vero.

54. AATIALLAH

Ai tempi antichi vivevano in un paese lontano tre uomini, f u m a t o r i di hashish.


Il re di questo paese era un tiranno e aveva proibito a chiunque di circolare in citt dopo il tramonto.
Egli, invece, ogni notte a n d a v a in giro, insieme al
suo visir, nei vicoli deserti della citt, per controllare
che la gente obbedisse ai suoi ordini.
Una notte avvenne che i due notassero in un vicolo u n a luce che filtrava attraverso le fessure della
porta di un negozio. Allora il re disse al visir: Voglio
entrare qui e vedere che cosa succede in questo negozio.
Il visir buss alla porta, e q u a n d o questa fu aperta
disse: Veniamo da lontano; potete accoglierci per
questa notte? Ce ne ripartiremo domani al levar del
sole. Uno dei tre fumatori di hashish che erano seduti nel negozio disse: Siate i benvenuti! Siete ospiti di Dio.
Quando vennero portati i narghil, gli uomini com i n c i a r o n o a f u m a r e . I tre p a r l a r o n o di molteplici
cose e alla fine il discorso cadde sulla citt e sul suo
re. Il p r i m o disse: Oh, se il re mi desse in moglie
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sua figlia, e inoltre un cavallo carico di doni preziosi, potrei proprio considerarmi fortunato e lasciare il
paese.
Il secondo disse: Non dimenticare che a n c h e il
visir ha u n a bella figliola. Se mi desse lui la figlia in
sposa, e insieme un cavallo carico di doni preziosi,
anch'io lascerei il paese.
Il terzo invece disse loro: Io non b r a m o nulla delle ricchezze del re. Non vi vero re al di fuori di Allah, e io mi accontento di ci che Egli, mio creatore,
mi dona. Dopodich passarono a parlare di altri argomenti ancora, finch l'hashish ebbe fatto il suo effetto e i tre si f u r o n o addormentati.
Allora il re e il visir lasciarono il negozio e nell'uscire fecero un segno di riconoscimento sulla porta. La
mattina dopo fecero convocare i tre uomini al palazzo e li interrogarono, ma essi non erano in grado di ricordare quello che avevano detto la sera precedente.
Il re e il visir ebbero un bell'insistere nel dire che gli
uomini avevano desiderato il matrimonio con la figlia del re e con quella del visir, ma senza successo.
Allora il visir propose di far portare dei narghil, e
q u a n d o gli u o m i n i ebbero ripreso a f u m a r e , t o r n
loro la m e m o r i a . Il p r i m o a f f e r m di desiderare il
matrimonio con la figlia del re, il secondo ammise di
desiderare il m a t r i m o n i o con la figlia del visir e il
terzo confess di non b r a m a r e alcunch da parte di
chicchessia al di fuori di Allah, l'Onnipotente.
Allora il re stabil la dote di sua figlia e la diede in
sposa al primo fumatore, fu quindi il visir che stabil
la dote della figlia e la diede in sposa al secondo fumatore; dopodich il re si rivolse al terzo e diede ordine di decapitarlo sulla pubblica piazza, dicendo:
Per vedere se Allah ti pu salvare!.
Aatiallah (che vuole dire "Dio mi ha dato" ed era il
n o m e del terzo) venne gettato in prigione in attesa
181

del giorno del mercato, quando sarebbe stato giustiziato. Giunto il giorno dell'esecuzione, Aatiallah venne condotto per le vie della citt, in m o d o che tutti
gli abitanti potessero schernirlo, come era consuetudine. Alla fine gli fu chiesto se avesse un desiderio, e
Aatiallah rispose che voleva pregare Dio nella moschea. Ci gli fu concesso, ma vennero collocate delle guardie davanti alla p o r t a per evitare eventuali
tentativi di fuga.
Mentre Aatiallah pregava, si apr u n a fessura nella
parete. Aatiallah vi entr e si nascose alla vista delle
guardie; cerc quindi la salvezza nella fuga e abbandon il paese.
Anche i suoi due amici lasciarono il paese con le
loro mogli. Viaggiavano di giorno e d o r m i v a n o di
notte. Un giorno incontrarono Aatiallah e festeggiarono con lui l'incontro. Poi gli proposero di entrare
al loro servizio, prendendosi cura dei loro cavalli e
c o n d u c e n d o i cammelli delle loro spose. Aatiallah
accett la loro proposta a condizione di non essere
ricompensato con oro o argento; si sarebbe accontentato del cibo e delle bevande che gli avrebbero dato. Gli amici aderirono alla sua richiesta.
Un giorno la comitiva a cavallo si ferm a riposare
all'ombra di u n a collina. Le due donne avevano sete,
e cos i loro mariti partirono alla ricerca dell'acqua e
le lasciarono in custodia ad Aatiallah. L'attesa si protrasse a lungo, ma i due uomini non ritornavano ancora. Allora Aatiallah decise di andare a cercarli. Dopo un po' di t e m p o li trov che giacevano m o r t i
presso u n a fonte e cap che l'acqua di quella fonte
era avvelenata. Seppell l i due uomini e fece ritorno mestamente dalle due donne, cui raccont quello
che era successo.
La figlia del re e quella del visir p i a n s e r o i loro
sposi, ma la presenza di Aatiallah leniva le loro pene.
182

L'orgoglio impediva loro di fare ritorno nel regno, e


dal m o m e n t o che anche Aatiallah non poteva tornare, per timore della punizione del re, proseguirono
insieme il cammino.
Una sera giunsero in un luogo i cui abitanti li indirizzarono a un vecchio castello a b b a n d o n a t o . Questo castello era incantato, e nessuno era ancora riuscito a trascorrervi u n a notte ed essere ancora vivo
al mattino. Ma Aatiallah non aveva scelta. Port le
due donne in u n a stanza, in cui potevano trovare posto insieme alle loro cose, e scese quindi in cantina
per mettersi a dormire. Ma mentre scendeva la scala, un vecchio dalla b a r b a bianca lo ferm. E r a un
ifrit travestito da essere umano, che chiese ad Aatiallah: Sei tu Aatiallah?.
S, sono io.
Io s o n o il g u a r d i a n o di q u e s t o castello disse
l'ifrit e da anni sto attendendo te. Tutti coloro che
pernottano in questo castello muoiono. Cos ha voluto il loro destino. Nessuno al di fuori di te destinato a essere il padrone di questo castello.
Allora il vecchio ifrit fece visitare il castello ad Aatiallah e gli fece vedere che la c a n t i n a conteneva
ogni b e n di Dio: vi e r a n o dozzine di s t a n z e piene
all'inverosimile di orzo, olive, fichi secchi, chicchi di
f r u m e n t o e fagioli alternate ad altre stanze ricolme
di oro e pietre preziose. E l'ifrit disse che tutto questo sarebbe appartenuto a lui, Aatiallah. Aatiallah ne
fu assai lieto e ringrazi Allah per tutti questi beni.
La mattina dopo gli abitanti del luogo erano radunati davanti alla porta del castello e attendevano il
levar del sole per entrare a prendere i corpi degli incauti e seppellirli. Quale n o n fu la loro meraviglia
quando videro Aatiallah uscire vivo e vegeto dal castello.
Poi Aatiallah distribu ai poveri denaro e cibarie.
183

Gli abitanti del luogo lodarono Dio e la sua bont e


saggezza. Passarono gli anni. Nel paese il cui re era
stato t r a t t a t o cos m a l e d a Aatiallah scoppi u n a
grande carestia. Allora il re propose al visir di prendere cento cammelli e a n d a r e alla ricerca di grano
per nutrire il suo popolo minacciato dalla morte per
inedia. La carestia si era diffusa in tutto il paese. Allora il re e il visir si misero in viaggio. Dopo molti
giorni g i u n s e r o nel luogo in cui viveva Aatiallah.
Quando ebbero chiesto agli abitanti se l fosse possibile acquistare cento carichi di cammello di frumento, questi li indirizzarono al castello di Aatiallah.
Il re buss alla porta e Aatiallah venne ad aprire di
persona. Riconobbe il re e il visir e li invit a entrare, m e n t r e questi n o n lo riconobbero. Egli propose
loro di trattenersi da lui quella notte e di riposarsi
p r i m a di riprendere il viaggio. I due accettarono l'invito.
Prima di mettersi a tavola con i suoi ospiti, Aatiallah viet alle mogli dei suoi due amici di entrare nella
sala, perch non dovevano vedere i nuovi venuti. Dopo il pasto, egli batt le m a n i per far s che esse recassero dei dolciumi.
N o n a p p e n a ebbe b a t t u t o le m a n i , le due d o n n e
entrarono. Quando il loro sguardo cadde sul re e sul
visir, i d o l c i u m i scivolarono loro via di m a n o , e
o g n u n a delle d u e si precipit tra le braccia del rispettivo genitore raccontandogli quello che era accaduto. Allora anche il re e il visir riconobbero Aatiallah e gli chiesero perdono. Le porte del reame erano
aperte per lui, diceva il re, che gli offriva il trono e il
regno. Ma Aatiallah p r e f e r vivere in p a c e in quel
luogo in cui tutti gli abitanti lo amavano.

184

55.1 DUE FRATELLI

Vivevano un t e m p o due fratelli, u n o assai ricco e l'altro invece povero. Il fratello ricco coglieva ogni occasione per denigrare il fratello nei discorsi con i compaesani, cosicch la differenza appariva ancora pi
marcata. La moglie del povero ne era molto scontenta e domandava sempre dove fosse andata la b u o n a
sorte e se n o n sarebbe mai venuta da loro. N o n sapendo trovare u n a risposta, il marito si mise in viaggio per andare a porre a Dio la d o m a n d a .
C a m m i n a c a m m i n a , dopo molti giorni giunse al
mare. Qui incontr un penitente in ginocchio su u n a
roccia aguzza c o m e un chiodo in mezzo alle onde
spumeggianti del m a r e . Costui gli chiese che cosa
cercasse, e l'uomo rispose: Io cerco Allah, per fargli
u n a d o m a n d a sulla b u o n a sorte. Ors, allora, ribatt il penitente quando avrai trovato Allah, chiedigli p e r favore a n c h e q u a n d o g i u n g e r da me la
b u o n a sorte! L'uomo glielo p r o m i s e e si rimise in
viaggio.
Dopo molti giorni si imbatt, tra le sabbie del deserto, in u n a testa u m a n a , e avvicinandosi si accorse
che apparteneva a un u o m o sepolto fino al collo nella sabbia. Anche costui chiese al viaggiatore che cosa cercasse, e il viaggiatore gli rispose: Io cerco Allah, per fargli u n a d o m a n d a sulla b u o n a sorte. Se
lo incontri lo p r e g l ' u o m o sepolto nella s a b b i a
chiedigli a n c h e per q u a n t o t e m p o dovr resistere
cos sepolto. Il viaggiatore glielo promise e riprese
il cammino. Dopo molti giorni giunse sui monti spogli, dove viveva un eremita, e gli chiese ospitalit.
L'uomo viveva gi da lungo t e m p o nel suo romitaggio e veniva n u t r i t o in m a n i e r a prodigiosa: ogni
giorno un corvo gli portava un pane nero di segale e
un grappolo di uva nera. L'eremita invit il viandan185

te e quando il corvo gli port il pasto quotidiano, ne


fu assai stupito: insieme al p a n e di segale e all'uva
nera vi era un pane di f r u m e n t o e un grappolo d'uva
gialla.
"Questo sar sicuramente per il mio ospite" si disse l'eremita, ma dal m o m e n t o che p e r t u t t o l'anno
aveva mangiato solo p a n e di segale e uva nera, prese
per s il bianco pane di f r u m e n t o e l'uva gialla, e diede all'ospite il p a n e di segale e l'uva nera. Prima che
riprendesse il cammino, chiese al viandante il motivo del suo girovagare, e questi gli rispose: Io cerco
Allah, p e r fargli u n a d o m a n d a sulla b u o n a sorte.
Allora disse l'eremita chiedigli anche se mi ha gi
preparato un posto in Paradiso! Lo far promise
il viandante, e se ne and.
Viaggi ancora parecchi giorni attraverso u n a landa desolata e u n a sera giunse a u n a casa, dove chiese
un riparo per la notte. Ma la donna gli rispose: Presto, corri via, se ti cara la vita, perch mio marito
un bandito che ha gi ucciso novantanove uomini, e
tu saresti il centesimo!. Ma fuori sarebbero le bestie feroci che mi s b r a n e r e b b e r o , e s a r e b b e assai
peggio che essere ucciso da un bandito. F a m m i entrare, per favore implor il viandante, e la d o n n a lo
fece e n t r a r e . Q u a n d o il b a n d i t o r i t o r n a casa, la
moglie gli disse che aveva accolto un ospite. Allora il
bandito sgozz un m o n t o n e e trattenne l'ospite per
tre giorni nella sua casa p r i m a di lasciargli riprendere il viaggio. Al m o m e n t o di congedarlo, gli chiese:
Quando avrai incontrato Allah, chiedigli se mi ha
gi preparato un posto all'Inferno.
Dopo molti giorni il viandante giunse in u n a fitta
foresta. L dove il bosco era pi fitto e non lasciava
pi alcuna via di uscita, il viandante ud all'improvviso u n a voce: Chi cerchi?. Io cerco Allah, per far186

gli u n a d o m a n d a sulla b u o n a sorte rispose il viandante.


Allora Allah parl per mezzo di quella voce: La
t u a b u o n a sorte tu gi la possiedi, solo che ancora
n o n lo sai. Tornatene a casa, la t u a f o r t u n a l!.
Dopodich il viandante si inform anche della sorte
di quelle quattro persone che glielo avevano chiesto,
e Allah rispose per mezzo della voce: Di' all'uomo
sulla roccia in mezzo al mare: q u a n d o le onde si abbatteranno ancora pi in alto, la b u o n a sorte giunger da lui. E all'uomo nella sabbia di': se egli impaziente, far soffiare un vento che porter via tutta
la sabbia ed egli se ne rester l spoglio. All'eremita
di': il suo posto gi pronto all'Inferno, e al bandito
di': per il suo pentimento gi pronto per lui un posto in Paradiso.
Il viandante riprese la strada di casa e pass dagli
uomini che gli avevano affidato le loro domande, riferendo loro le risposte che Allah gli aveva dato nella
foresta. Tornato che fu a casa, tutto cominci ad andargli nel migliore dei modi. S u a moglie gli diede
molti figli, e la ricchezza fece il suo ingresso nella
casa.
Un giorno Allah si affacci, sotto le spoglie di un
povero m e n d i c a n t e , alla p o r t a della sua casa e gli
chiese un pasto. Sulle prime l'uomo voleva sgozzare
per lui un capretto, ma la moglie lo prese da parte e
gli disse: Non vorrai sacrificare un c a p r e t t o p e r
questo straccione! Abbiamo un gatto, e per lui a n d r
benissimo. Allora l'uomo prese il gatto, lo sgozz e
lo fece cucinare e servire. Allora l'ospite disse: Gatto, salta fuori!, e il gatto salt fuori vivo e vegeto.
Insieme a lui, anche la b u o n a sorte scomparve dalla
casa. Il m e n d i c a n t e se ne a n d lasciandosi dietro
quelle persone, che da quel m o m e n t o in poi riprese187

ro a impoverirsi, fino a ritrovarsi misere come erano


all'inizio: senza figli n beni.
Infatti n o n e r a n o diventati v e r a m e n t e ricchi, lo
erano diventati solo esteriormente.

56. I L N O M E S U P R E M O D I D I O

Ors, vecchio, raccontaci per favore la storia del sup r e m o tra i nomi di Dio! Non conosco u n a simile
storia. Ma s, ne conosci addirittura parecchie di
storie sul supremo tra i nomi di Dio! Per favore, raccontacene una! Ma allora voi conoscete il supremo
n o m e di Dio? No, vecchio, se lo conoscessimo, pot r e m m o con esso trasformare il mondo, perch colui
che conosce il s u p r e m o tra tutti i nomi di Dio potr
con esso impartire a tutti gli uomini e gli spiriti ordini
che dovranno essere eseguiti immediatamente. Allora certo che oggi nessuno conosce il supremo nome di Dio. E cos, rassicurato, posso passare a narrarvi di quellosheikh che lo conosceva.
Per sfuggire al diavolo sterminatore
cerco rifugio in Dio, clemente, misericordioso!
Uno di quei poveri che si sono dedicati interamente al c a m m i n o che porta a Dio viaggi in lungo e in
largo sulla terra i n t e n z i o n a t o a recarsi da un vecchio, che si diceva conoscesse il supremo tra tutti i
n o m i di Dio. Egli giunse al suo eremo al m o m e n t o
della preghiera di mezzanotte, e dopo la preghiera
chiese allo sheikh: Venerato m a e s t r o , p u o i insegnarmi il supremo n o m e di Dio?. Potr farlo solo
q u a n d o tu ne sarai degno rispose il maestro. Sar
lieto di m o s t r a r m e n e degno disse il darwish. Allora
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il maestro disse: Recati alla porta della citt e osserva che cosa vi accade, poi torna a riferirmelo!.
Il darwish si rec alla porta della citt, si sedette e
attese. Giunse allora un a n z i a n o taglialegna, che
conduceva innanzi a s il suo asino carico di legna
da ardere. Un guardiano lo ferm, gli port via la legna e colp il vecchio.
Triste e indignato il darwish fece ritorno dal maestro e gli r a c c o n t cosa era successo. Quindi lo
sheikh gli chiese: Se tu avessi saputo il nome supremo di Dio, che cosa avresti fatto in quel frangente?.
Avrei chiesto la morte per il soldato! Al che il maestro prosegu: Vedi come sei indegno. Devi sapere,
figliolo, che stato proprio quel taglialegna a insegnarmi il supremo nome di Dio. E lui che lo conosce
non lo adopera per vendicarsi!.
Ors, vecchio, raccontaci ancora un'altra storia
sul n o m e supremo di Dio. Ne conosci cos tante! E
quand'anche io ve ne raccontassi altrettante, lo stesso voi non arrivereste a comprendere che cosa voglia
dire possedere il supremo tra i nomi di Dio. Non
importa, racconta, vecchio, vogliamo essere pazienti
e imparare! Non imparerete un bel nulla dai miei
discorsi, vi accadrebbe la stessa cosa che accadde a
quel povero che non riusc a eseguire n e m m e n o u n a
volta un incarico semplicissimo, nonostante si fosse
esercitato per ben sette anni nell'arte della persever a n z a e della continenza. Che cosa gli accadde,
vecchio? Orbene, dopo che costui ebbe trascorso
tutto questo tempo seguendo la via del darwish, ud
un giorno che nella lontana citt del Cairo viveva un
maestro che conosceva il nome supremo di Dio. Allora si mise in viaggio alla volta di questa citt, e,
giunto alla casa di riunione della c o m u n i t di quel
maestro, entr a far parte della schiera dei suoi discepoli e stette per un certo tempo al suo servizio. In
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u n a circostanza in cui il maestro lo pose al di sopra


della schiera dei discepoli con elogi e benedizioni, il
darwish disse al maestro: O ricolmo di grazie, io ho
a d e m p i u t o i miei doveri nei tuoi confronti con tua
soddisfazione, accordami ora u n a ricompensa, poich me la sono guadagnata. Che cosa desideri?
chiese il maestro. Io so prosegu il darwish che
tu, venerato maestro, conosci il n o m e s u p r e m o di
Dio. Rendimi partecipe di questo segreto, e io lo serb e r fedelmente! Il m a e s t r o t a c q u e p e r un po',
quindi conged il darwish con un cenno della mano.
Trascorsero sei mesi. Un giorno il maestro chiam a
s il darwish e gli affid un grande vassoio, che era
ricoperto da un panno. Tu conosci il nostro amico,
il sarto della citt vecchia gli disse. Fammi il piacere, portagli questo vassoio!
Il darwish prese il vassoio e usc. Per strada lo tormentava la curiosit, e pensava: "Se il maestro mi fa
p o r t a r e un d o n o a quell'amico, si t r a t t e r sicuram e n t e di qualcosa di meraviglioso. Di che si tratter?". Alla fine non riusc a dominarsi oltre, scost
il vassoio e sollev il panno. Sotto vi era un recipiente con un coperchio. Il darwish apr il coperchio e...
ne salt fuori un topolino! Furente per questo tiro e
per se stesso, fece ritorno dal maestro, il quale, gi
all'apparire del s u o discepolo, aveva capito c o m e
erano andate le cose. E in proposito cit il versetto
del Corano: Lo abbiamo fatto per metterti alla prova! aggiungendo quindi pi piano: Ti ho affidato
un topino e tu mi hai tradito. Che cosa faresti se ti
affidassi il n o m e supremo di Dio? Ora va', non ti voglio pi vedere.
E il vecchio concluse il suo racconto con la frase:
Che Dio ci perdoni, me e voi tutti!. E gli ascoltatori risposero: Amen!.
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57. IL S A N T O IN P A R A D I S O

C'era u n a volta un sant'uomo, che era amico di Dio e


le cui preghiere venivano esaudite. Un giorno egli
chiese ad Allah di poter vedere la Morte, per sapere
c o m e fosse. Allora Allah gli fece vedere la Morte.
Un'altra volta il santo chiese ad Allah di poter entrare in Paradiso, e Allah ve lo fece entrare. Quando il
s a n t o e b b e visto t u t t o b e n bene, Allah gli disse:
Adesso torna fuori!. Ma il santo non gli ubbid, e
disse invece ad Allah: Il Paradiso cos immensamente bello, permettimi di indugiarvi un po'. Per la
seconda volta Allah gli disse: Adesso devi uscire,
perch solo chi ha visto la Morte p u r i m a n e r e in
Paradiso!. Al che il santo rispose: Ma tu mi hai gi
fatto vedere la Morte, e allora io me ne sto in Paradiso. E Allah lo fece restare in Paradiso.

58. N O S T R O S I G N O R E K H A D I R

Un giorno Mos incontr il nostro signore Khadir,


cui il Buon Dio ha svelato la conoscenza delle cose
celate. Mos gli disse: Accettami come tuo discepolo e i n s e g n a m i la t u a scienza!. Il n o s t r o signore
Khadir gli rispose: Tu n o n avrai la pazienza necessaria per viaggiare con me e seguire i miei insegnamenti. Mos rispose: Possa Dio d a r m i la forza di
avere pazienza e ubbidire ai tuoi ordini. Disse allora il n o s t r o signore Khadir: Se tu vuoi seguirmi,
non chiedermi la motivazione delle mie azioni, finch non parler io stesso!.
Cos essi si misero in viaggio insieme e giunsero a
un fiume, e a questo punto il nostro signore Khadir
fece un foro nel fondo di u n a barca di pescatori, che
col a picco; quindi ripresero il cammino, ma Mos
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n o n pot trattenersi dal chiedere al nostro signore


Khadir perch avesse provocato u n a falla a quella
barca. Il nostro signore Khadir si limit a rispondere: Non ti avevo detto che tu non avresti avuto pazienza con me?. Mos gli chiese perdono e lo segu
nel suo cammino.
Incontrarono quindi un giovane e il nostro signore Khadir lo colp, uccidendolo. Mos era atterrito e
disse: Hai ucciso un innocente!. Ma anche stavolta
il nostro signore Khadir si limit a rispondere: Non
ti avevo detto che tu non avresti avuto pazienza con
me?. E anche questa volta Mos gli chiese perdono
e riprese a seguirlo nel cammino.
Giunsero infine in u n a citt e chiesero un riparo e
del cibo, ma la gente della citt neg loro l'ospitalit.
Quando videro un m u r o che minacciava di cadere,
Khadir lo rimise in piedi. Quindi proseguirono.
Allora Mos chiese: Perch non hai preteso alcuna ricompensa per questo lavoro?. Il nostro signore
Khadir rispose: Questa la terza volta che tu mi dom a n d i la motivazione di u n a mia azione, ora devi lasciarmi. Ma p r i m a ti voglio far sapere quali sono stati i motivi del m i o agire: la b a r c a a p p a r t e n e v a a
poveri pescatori e io l'ho messa fuori uso perch il re
di questo paese ha deciso di requisire per i suoi scopi tutte le imbarcazioni che siano in qualche m o d o
utilizzabili. In questo modo la barca rester di propriet dei pescatori. Quanto al giovane che ho ucciso, i suoi genitori erano dei credenti e questo giovane un malfattore, che avrebbe portato i genitori alla
corruzione. Dio, nostro Signore, doner loro un altro figlio che sar pi puro e pi vicino alla grazia.
Quel muro, invece, l'ho riparato perch sotto di esso
giace un tesoro che appartiene a due orfanelli che
abitano l. Il loro p a d r e ha lasciato loro in eredit
questo tesoro ed essi ne t r a r r a n n o un utile q u a n d o
192

s a r a n n o a b b a s t a n z a grandi. Tutto q u e s t o n o n l'ho


fatto di mia iniziativa ma su ordine di Dio, nostro Signore. Tu n o n hai avuto pazienza e per questo ora
devi lasciarmi.
Oggi il nostro signore Khadir vive celato alla vista
degli uomini e non si mostra loro. Solo un amico di
Allah p u talora vederlo o parlargli. Il nostro signore
K h a d i r n o n m u o r e . Egli vive in c o n t r a d e selvagge
con i suoi quaranta compagni e si reca tra gli uomini
solo a l l o r q u a n d o l ' O n n i p o t e n t e ve lo m a n d a . Una
volta ogni q u a r a n t a giorni si reca presso u n a fonte
che nessuno conosce e beve da essa.
Il motivo per cui il nostro signore Khadir vive nascosto viene cos spiegato: il nostro signore Khadir
aveva il compito di destare al mattino presto gli uomini di b u o n a fede per la preghiera - e questo soprattutto per quanti vivevano tra i monti, dove non
vi sono muezzin per chiamare alla preghiera.
Un giorno egli dest un u o m o che si era addormentato all'aperto dopo u n a festa di matrimonio durata tutta la notte. Ma l'uomo, ubriaco, lo respinse:
Lasciami in pace, vattene a casa!. Il nostro signore
Khadir lo svegli u n a seconda volta, e allora l'uomo
gli disse: Se non mi lasci dormire, vado in giro a dire a tutti che sei tu Khadir. Allora il nostro signore
Khadir fugg via e da quel giorno se ne sta nascosto.

59. J U J U M A J U J

Alcuni n a r r a n o che negli ultimi tempi vivranno dei


giganti c h i a m a t i J u j u m a j u j . N o n c o n o s c e r a n n o tim o r d i Dio n p a u r a degli u o m i n i , n o n s a p r a n n o
n e m m e n o che, q u a n d o si parla di qualcosa che si riferisce al futuro, si deve dire Inshallah, che significa
"se Dio vuole". E cos, q u a n d o un b i m b o p o r t e r
193

questo nome, Inshallah, i J u j u m a j u j sorgeranno dalla terra e p r e n d e r a n n o possesso dei paesi. allora
che comincer la fine dei tempi.
Altri n a r r a n o che i J u j u m a j u j sarebbero un popolo
di nani che vivranno agli estremi confini del tempo.
Ma a differenza dei giganti, essi non saranno un popolo straniero, bens i discendenti degli u o m i n i attuali. S a r a n n o piccoli come b a m b i n i , senza Dio, e
molto, m o l t o rapidi. S a r a n n o cos n u m e r o s i che,
quando giungeranno a un lago, in m e n che n o n si dica lo prosciugheranno bevendoci.
Come succeder che un giorno gli uomini diventer a n n o cos piccoli? Orbene, questo lo si p u osservare
gi al giorno d'oggi. Un tempo i denti da latte dei
bambini avevano tre molari per lato sia sopra che sotto, quindi dodici in totale, e p r i m a ancora addirittura
quattro per parte, vale a dire sedici molari, come i
denti di un adulto. Oggi invece nei denti da latte dei
bambini vi sono solo due molari per parte, sopra e
sotto, e quindi solo otto in totale, e un giorno i bambini avranno solo quattro molari, e capita gi adesso
che ci siano b a m b i n i che crescono dopo avere avuto
solo quattro molari. Allo stesso m o d o anche la forza e
la taglia degli uomini va diminuendo. Un giorno la
dentatura da latte non avr pi molari, e allora gli uomini resteranno piccoli come nani, che possono a
stento vedere oltre il bordo del paiolo stando sulla
p u n t a dei piedi. Questi sono i J u j u m a j u j . Il Mahdi dichiarer guerra a questi nani ed essi periranno.

60. I L D R A G O R O S S O D E L D U J J A N

Dujjan Satana, il Diavolo. Egli vive in u n a caverna


ed i n c a t e n a t o m a n i e piedi. Sulla sua f r o n t e sta
scritto: "Io rinnego Dio".
194

Dujjan possiede un drago rosso che vive su un'isola nel m a r e e dice: Circonder la t e r r a in c a p o a
quattro giorni.
Dujjan e il suo drago rosso sono i corruttori degli
uomini alla fine del tempo. Gli uomini che vivranno
allora n o n c o n o s c e r a n n o pi a l c u n rispetto, n o n
avranno considerazione n e m m e n o dell'et e dei loro
genitori. Abbaieranno come cagnolini nel ventre delle cagne. I loro figli vorranno avere ragione rispetto
agli anziani.
Quando Dujjan si sar liberato e il suo drago avr
circondato la terra in quattro giorni, si ritirer nel
mare. Ogni suo passo sar lungo come venti passi.
Far risuonare u n a musica piacevole, che si sentir
a centinaia di chilometri di distanza. Molti uomini milioni - verranno attratti da quella musica e accorr e r a n n o per seguire Dujjan e il suo drago rosso. E
questi divider le acque del m a r e e vi si inoltrer, e
tutti coloro che lo seguiranno vi si inoltreranno con
lui. Poi il m a r e si riunir abbattendosi su di loro e
t u t t i a n n e g h e r a n n o . Coloro che n o n s e g u i r a n n o
Dujjan e il suo drago rosso non f a r a n n o ci in base a
u n giudizio pi consapevole; s e m p l i c e m e n t e , n o n
sar questo il loro destino. Vivranno ancora qualche
t e m p o . Poi verr Ges e li a b b a t t e r tutti. P e r c h
non vi saranno pi credenti tra gli uomini.

61. L A F I N E D E L M O N D O

m o l t o t e m p o che m a n c a u n a g r a n d e pioggia, il
m o n d o h a a n c o r a bisogno d i u n a g r a n d e pioggia.
Come al tempo del profeta Lot - che Dio lo benedica! Fu allora che cominci la sventura! Un fuoco abbagliante accec gli uomini. Non vi erano pi donne.
195

Per q u a r a n t ' a n n i la t e r r a c o n t i n u a scuotersi, in


ogni luogo vi f u r o n o terremoti, di i m m a n e violenza.
Venne poi il diluvio, e ci fu al t e m p o del nostro
signore No - che Dio lo benedica! L'acqua sprizz
fra le tre pietre del focolare in tutti i focolari degli
uomini. L dove p r i m a bruciavano le fiamme sgorgava ora acqua e ricopriva tutta la terra.
Il profeta No aveva gi da tempo costruito la sua
arca, e a questo punto prese e rinchiuse con s nell'arca un maschio e u n a f e m m i n a di ogni essere vivente.
L'acqua cominci a salire, e l'arca, galleggiando su di
essa, fluttu sulle acque per cinquantadue periodi;
quindi l'acqua riflu nel m a r e e l'arca si pos al suolo.
La terra aveva ritrovato la calma, non si scuoteva
pi. I m o n t i , le ossa della terra, r i m a n e v a n o tranquilli. Il suolo era ora q u a t t r o metri pi elevato di
prima. Tutto il male dell'epoca precedente era stato
ricoperto. Gli uomini ripresero a moltiplicarsi come
piante seminate: spuntavano dalla terra.
Un g i o r n o si r i p e t e r u n a n u o v a catastrofe: un
grande fuoco si accender sulla terra e divamper fino al cielo. Da ogni parte convergeranno quindi gli
esseri u m a n i per fuggire dal fuoco. Cos essi verranno portati tutti insieme in u n a localit che si chiama
S h a m . Quindi il v e n t o cesser, vi sar u n a vera e
propria assenza di vento! Quando gli uomini si troveranno in questo luogo di raduno, vedranno discendere dal cielo la bilancia e v e d r a n n o il libro delle
azioni compiute. Ciascuno sapr allora quello che
avr fatto, lo vedr chiaramente dinanzi a s. Dopodich anche tu partirai per la tua destinazione come
un pacco che stato legato come si deve e munito di
indirizzo.
Chi non vuole cadere deve guardare innanzi!

196

62. UNA P R O F E Z I A

Mogador la capitale della trib degli Haha. Essa


sorge su u n a bassa scogliera sulla costa dell'oceano,
raffreddata dai venti e umida della s p u m a salmastra
del mare. Nessuno pi r a m m e n t a chi abbia cominciato a costruire la citt, ma sull'isolotto nella baia
stata trovata u n a pietra che reca la parola mogon in
caratteri fenici, e in seguito a ci si racconta che Mog a d o r s a r e b b e stata f o n d a t a d a u n certo c a p i t a n o
Mogon, che le avrebbe dato il proprio nome. Costui
viene venerato, col nome di Sidi Megdul [Nostro Signore Megdul], in u n a bella t o m b a con u n a cupola
verde ai margini della citt, e tutti gli anni vengono
celebrate due grandi feste in suo onore.
Il suo contrassegno, costituito da due pesci, un
simbolo di fertilit, e ogni giovane donna porta su di
s due pesci d'argento come ornamento, per r a m m e n tare in ogni m o m e n t o a Sidi Megdul il suo compito.
Dopo che, un paio di secoli fa, la citt era andata
completamente distrutta da un incendio, il sultano
M o h a m m e d b e n Abdullah la fece ricostruire completamente, con le sue moschee e le sue mura. Poich vi era scarsit di terra, si fecero confluire qui
tutti i prigionieri dell'intero regno, e con essi si costitu u n a catena che dai monti giungeva fino a Mogador. La terra, raccolta in ceste, venne trasportata di
m a n o in m a n o da uomini e donne, fino a riempire i
vuoti tra le rocce su cui si doveva costruire la citt. A
tale p r o p o s i t o i prigionieri c a n t a v a n o la seguente
canzone in arabo dialettale:
Medinat Esswira seghir
suwar dyelho qalil
errisk dyelho taji min el-ba'id
ghadi dabbhd nhar jum'a o nhar l'id.
197

che in italiano suona cos:


La citt di Mogador piccola
e la sua terra poca
il suo guadagno viene da lontano
sar distrutta un venerd o un giorno di festa.
Con queste parole, che equivalgono a u n a profezia, i prigionieri si vendicavano del loro lavoro coatto. Ma nessuno sa se la citt verr distrutta dal fuoco, da u n a guerra o dal mare. Il bel porto sar allora
come un mortaio. Numerosi come i semi di r a f a n o
che possono essere contenuti nelle borse di un cammello, s o r g e r a n n o allora u o m i n i dal m a r e diretti
verso la t e r r a f e r m a . A m o n t e vi s a r a n n o cos tanti
morti che nessuno sar in grado di seppellirli, e la
pernice far il nido nel torace di un uomo. Il paese
dietro a quei tumuli sembrer u n a noce schiacciata
dalla zampa di un cammello.
Verr quindi un vento che riporter alla luce la
moschea di Massa, che ora sepolta sotto la sabbia. Il Signore dell'Ora [il Mahdi], che in essa riposa, salir allora sul minareto e far risuonare il ric h i a m o alla p r e g h i e r a a b b r e v i a t o , e allora t u t t i
sapranno che sar scoppiata la grande guerra santa. Non lo p o t r a n n o uccidere n proiettili d'arma da
fuoco n colpi di a r m a da taglio. La sua signoria
durer quaranta periodi, che p o t r a n n o essere quaranta ore o quaranta giorni o q u a r a n t a n n i , nessuno
lo sa.
In quel tempo i fanciulli giocheranno coi serpenti
velenosi, e tuttavia questi non f a r a n n o loro del male.

198

63. L A P O R T A D E L R A V V E D I M E N T O
ANCORA APERTA

Circa sette anni fa un saggio sheikh mi raccont la


seguente profezia, che mi pare di estremo interesse:
La fine del tempo vicina, ma ancora molto lontana. Infatti la porta del ravvedimento ancora aperta. La preghiera e la carit h a n n o ancora un senso. La
porta della remissione non ancora chiusa!
Quando la porta si sar chiusa, per tre giorni il
sole non apparir pi, cosicch ci si domander che
cosa successo.
Poi esso sorger sul mare (e quindi a occidente),
e salir fino al punto pi alto del mezzogiorno, dopodich invertir il suo corso e ritorner nel mare.
Questo sar il q u a r t o giorno. Quindi r i p r e n d e r il
suo corso consueto.
Ma d o p o di allora gli u o m i n i vivranno senza
amore per il prossimo, senza preghiere da farsi esaudire, senza pace e senza dottrina. Infatti il Giardino,
la d i m o r a celeste dei redenti, s a r pieno, n o n vi
verr accolto pi nessuno. All'Inferno, invece, nel
fuoco, vi sar ancora posto per molti.
Quel m o n d o sar pi grande di quello attuale e
durer pi a lungo di quanto sia durato il m o n d o dal
principio fino alla chiusura della porta, e lo abiter
un n u m e r o maggiore di esseri.
solo dopo di ci che essi verranno annientati
dal fuoco.
Alle mie d o m a n d e , in un incontro successivo, il
vecchio mi diede queste ulteriori spiegazioni: Dio
non ha fretta. Da qui alla fine del tempo pu mancare un giorno come quarantamila anni. Nessun essere
u m a n o pu saperlo.
E n e s s u n o avr bisogno di saperlo, p e r c h la
porta si chiuder solo quando nessuno pi attester
199

l'esistenza di Dio. Solo allora il Cielo sar pieno. E


se non vi sar nessuno degno di andare in Paradiso,
solo allora si c o m i n c e r a r i e m p i r e l ' i n f e r n o .
quello l'istante in cui la p o r t a del r a v v e d i m e n t o
verr chiusa.

200

Parte II

Fiabe dei Berberi dell'Algeria

1. IL C H I C C O FATATO

Che il m i o r a c c o n t o sia bello e si d i p a n i c o m e un


lungo filo!
C'erano u n a volta, in un villaggio, sette fratelli,
tutti maschi. Si riunirono e dissero: Se il prossimo
figlio che nostra m a d r e metter al m o n d o sar ancora un maschio, ce ne a n d r e m o in esilio. Fuggiremo
da qui.
Il giorno in cui la madre doveva partorire, si allontanarono dal villaggio e attesero, seduti in cerchio.
Settut, la vecchia strega, si fece loro i n c o n t r o e
disse: Congratulazioni per il vostro nuovo fratellino!. Ed essi le risposero: Che tu sia maledetta!. E
partirono senza voltarsi indietro.
Settut aveva mentito. Il suo scopo era quello di vedere in esilio i sette fratelli. Il nuovo nato non era un
maschietto ma u n a femminuccia.
La m a d r e si prese cura di lei. Quando fu pi grandicella, andava a riempire il suo otre alla f o n t a n a .
Ma un giorno vi incontr Settut, che attingeva acqua
servendosi di u n a cupola di ghianda. La ragazza le
disse: Quando finirai di riempire la tua brocca con
questa cupola? Se hai t e m p o da perdere, lasciami
passare davanti!. Settut le rispose: Come osi parlare tu, i cui sette fratelli sono andati in esilio il giorno
della tua nascita?.
La ragazza fece ritorno a casa con il suo otre vuo203

to. La febbre si impadron di lei. La madre in lacrime si avvicin p e r chiederle: Che cos'hai, figlia
mia? Sei appena uscita tutta allegra e in b u o n a salute. Che cosa ti stato detto di malevolo?. Allora la
figlia si confid ma pretese che sua m a d r e le spiegasse le parole di Settut.
Figlia mia, confess la m a d r e i tuoi sette fratelli si erano detti: "Se verr al m o n d o un ottavo fratello, fuggiremo via senza neanche vederlo, senza nepp u r e conoscerlo". Sono t r a s c o r s i o r m a i q u i n d i c i
anni da quando sono partiti, e n o n ne sappiamo pi
nulla. La ragazza dichiar: Voglio mettermi in cerca di loro per riportarli a casa. La m a d r e cerc di
trattenerla: A che servirebbe, a b b i a m o gi cercato
tanto. E mi resti solo tu. Ma la figlia rispose in tono
fermo: Dal m o m e n t o che n o n mi conoscono, n o n
fuggiranno davanti a me.
Allora la m a d r e le diede un cavallo, delle provviste
e u n a serva negra per accompagnarla. Le diede inoltre il "chicco fatato", che la figlia nascose nel corsetto, e le fece questa suprema raccomandazione: Sulla tua strada incontrerai due fontane. Una quella
delle schiave negre, l'altra quella delle bianche libere. Sta' attenta a non fare il bagno nella fontana dei
negri e a non bere la sua acqua! Saresti t r a m u t a t a in
negra!.
La ragazza promise di fare b u o n uso di tutti questi
consigli, e sal a cavallo.
Si mise quindi in viaggio a cavallo, seguita, a piedi, dalla negra. Di collina in collina, di tappa in tappa, la madre chiamava la figlia. La ragazza, che poteva u d i r l a grazie al chicco f a t a t o , le r i s p o n d e v a
allora per rassicurarla. E il chicco trasmetteva la sua
voce, per quanto debole e lontana.
Quando f u r o n o in vista delle fontane, la negra si
precipit verso l'acqua delle bianche, e vi fece il ba204

gno. La ragazza si avvicin alla fonte delle negre, vi


bevve e vi si immerse. Poi, mentre stava per risalire a
cavallo, perse il chicco fatato.
A m a n o a m a n o che si allontanava dal luogo in cui
esso era caduto, la figlia udiva sempre m e n o la voce
di sua madre. E a un certo punto arriv il m o m e n t o
in cui n o n l'ud pi del tutto. E la sua pelle si scuriva,
m e n t r e quella della n e g r a diventava s e m p r e pi
bianca.
Q u a n d o la negra fu diventata del tutto bianca, si
volt verso la c o m p a g n a e le disse con arroganza:
Scendi da cavallo!.
Ma la fanciulla rifiut. Quand'ebbe raggiunto u n a
roccia, si mise a cantare con voce lamentosa:
Innalzati, innalzati, o roccia
Roccia, innalzati
Affinch io arrivi a vedere
Il paese di mio padre e mia madre!
Una sporca negra mi dice:
Scendi, che salgo io a cavallo!.
Una m a l i n c o n i c a eco le rispose: Va'... va'...
va'!....
La negra, i m p a u r i t a , n o n insistette. Ma un m o mento dopo, spazientita ed esasperata, di nuovo disse: Scendi da cavallo, ti dico!.
Invano la ragazza chiam la madre. Dal m o m e n t o
che il chicco non rispondeva pi, la negra costrinse
la giovane a scendere. La spogli dei suoi abiti per
rivestirsene lei. Poi sal lei a cavallo e a s s u n s e un
portamento fiero. La povera ragazza dovette seguirla a piedi.
C a m m i n a c a m m i n a , alla fine le due viaggiatrici
giunsero al villaggio in cui vivevano i sette fratelli: si
fecero indicare la loro casa. Essi erano usciti per an205

dare a caccia. Ne attesero il ritorno. Quando, la sera,


essi rientrarono, la negra a n d loro incontro e li abbracci dicendo: Fratelli miei b e n e a m a t i , adesso
che vi ho visti posso dire di avere vissuto abbastanza! Settut mi ha insultata. Mi ha detto che venendo
al m o n d o vi avevo scacciati di casa. Settut - che Dio
la bruci! - vi ha ingannati. E adesso eccomi qui! Devo restare con voi o mi accompagnerete alla casa di
pap e m a m m a ? .
Essi le risposero: Riposati qualche giorno. Penseremo poi al da farsi.
La negra si install da p a d r o n a nella casa dei sette
fratelli. La ragazza dovette servirla e portare i cammelli al pascolo. Ogni mattina la negra le dava u n a
r u s t i c a focaccia di f a r i n a d'orzo. Appena a r r i v a t a
sull'altura, la ragazza si metteva a cantare con voce
lamentosa, circondata dai sette cammelli affidati alla sua custodia:
Innalzati, innalzati, o roccia
Roccia, innalzati
Affinch io arrivi a vedere
Il paese di mio padre e mia madre!
La negra ha preso dimora in casa
Io invece sono stata messa a guardia dei cammelli,
Piangete, cammelli, come piango io!
Posava quindi la focaccia d'orzo su u n a pietra e si
lasciava morire di fame. Sei cammelli la imitavano e
piangevano con lei. Solo il settimo, che era sordo, andava avanti a mangiare e prosperava, mentre gli altri
sei cammelli diventavano magri come un chiodo.
Un giorno, il minore dei fratelli pens: "Che cosa
sta succedendo? Da quando qui, questa serva n o n
fa che deperire. E come lei deperiscono anche i cammelli. Deve esserci un motivo".
206

Un m a t t i n o decise di precedere la ragazza, raggiungere il pascolo dei cammelli e nascondersi nei


pressi. Vide allora la ragazza salire in cima all'altura.
La vide posare la focaccia sopra a tutte quelle che
n o n aveva m a n g i a t o e che f o r m a v a n o u n a pila su
u n a pietra. E l'ud cantare con voce lamentosa:
Innalzati, innalzati, o roccia
Roccia, innalzati
Affinch io arrivi a vedere
Il paese di mio padre e mia madre!
La negra ha preso dimora in casa
Io
Piangete, cammelli, come piango io!
Il
terrog la ragazza. Le disse: Chi sei, creatura?.
Ed essa rispose: Io? Sono tua sorella. Quand'ero
a casa di mio padre, sono andata un giorno alla font a n a e vi ho i n c o n t r a t o Settut che attingeva acqua
con la cupola di u n a ghianda. Io le ho detto: "Lasciami il posto!" perch avevo fretta. Ed essa mi ha risposto: "Come osi parlare, tu, i cui sette fratelli sono
andati in esilio il giorno della tua nascita?". E io ho
detto a mia m a d r e "Spiegami le parole di Settut".
Essa me le ha spiegate e io sono partita in cerca di
voi. Mia madre mi ha dato un cavallo, un chicco fatato e u n a serva negra. Strada facendo ho incontrato
d u e f o n t a n e : mi s o n o sbagliata. Ho f a t t o il b a g n o
nell'acqua dei negri e ho perso il chicco che mi teneva in c o n t a t t o con m i a m a d r e . La negra, invece,
avendo fatto il bagno nell'acqua delle donne bianche
divenuta bianca, mentre io diventavo nera. Ma la
vostra sorella sono io.
Il pi giovane dei sette ragazzi si rec dai fratelli e
ripet loro ci che aveva appena saputo. Ma essi non
207

credettero u n a parola di questa storia e gli dissero:


Da che cosa p o t r e m m o capire se questa serva veramente nostra sorella?.
C o n s u l t a r o n o quindi il Vecchio Saggio. Gli raccontarono come i cammelli deperissero e come
piangessero; come condividessero la pena della serva che li custodiva. Il Vecchio Saggio li ascolt e disse loro: Una cosa non ha potuto trasformarsi nella
vera negra: i suoi capelli. La sua pelle sar anche diventata bianca come il latte, ma i suoi capelli saranno rimasti crespi. La ragazza che mostrer di avere i
capelli lisci sar vostra sorella. La negra per n o n
vorr togliersi il foulard in vostra presenza. Allora,
a n n u n c i a t e a t u t t e e d u e che avete c o m p r a t o
dell'henn e dite loro: "Oggi giorno di festa. Desideriamo che, in nostra presenza, vi tingiate i capelli
di henn".
I sette fratelli a n d a r o n o a p r e n d e r e l'henn. La
serva lo pest, ne fece u n a pasta e la porse loro. Allora il maggiore ordin alle due ragazze di togliere i
foulard. La serva obbed e i suoi capelli si sparsero
in boccoli di seta che scendevano fino alla vita. Ma
la negra grid: Fratelli miei beneamati, come potrei
s c o p r i r m i la testa davanti a voi? Avrei vergogna!
Quando sarete usciti mi spalmer l'henn sui capelli. Il pi piccolo dei fratelli le a n d alle spalle di
soppiatto e le strapp il foulard. E apparve u n a capigliatura ispida, che saliva verso il cielo.
I sette ragazzi attorniarono la negra, e le dissero
con tono minaccioso: Sei d u n q u e u n a negra? E hai
usurpato il posto di nostra sorella!.
Si rivolsero quindi alla sorella per chiederle: Che
cosa p o t r e b b e d a r sollievo al t u o cuore?. Essa rispose: Vorrei usare la sua testa come pietra del focolare; i piedi come attizzatoi e le mani come pala
della cenere.
208

Sgozzarono dunque la negra. La bruciarono e dispersero le ceneri all'esterno. Poi portarono alla sorella dell'acqua a t t i n t a alla f o n t a n a delle b i a n c h e .
Essa se ne asperse. Il suo viso e il suo corpo ridivennero chiari come prima. I sette fratelli poterono ritornare a dedicarsi al loro passatempo preferito: la
caccia. La sorella preparava loro i pasti e accudiva
alla casa.
L'anno successivo, in primavera, nel luogo in cui
erano state disperse le ceneri della negra spunt un
cespo di malva. La ragazza lo tagli e con esso cucin un p i a t t o che diede da m a n g i a r e ai fratelli
q u a n d o t o r n a r o n o dalla caccia. M a n g i a r o n o t u t t i
con grande appetito. I sette ragazzi f u r o n o trasformati in colombi, e la ragazza in u n a colomba.
E tutti presero il volo nel cielo.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!

2. LUNJA, FIGLIA DI T S E R I E L

Che il mio r a c c o n t o sia bello e si dipani c o m e un


lungo filo!
Si narra che in inverno due giovani partirono, sotto la neve, per cacciare in m o n t a g n a . Uccisero u n a
pernice. La sgozzarono, il suo sangue col sulla neve
e la color di porpora. Uno disse: Fortunato colui
che sposer u n a ragazza dal colorito bianco come la
neve e vermiglio come il sangue!.
L'altro rispose: Non vi che L u n j a , la figlia di
Tseriel che abbia queste caratteristiche: bianca come la neve e vermiglia come il sangue. E dove si
trova questa Lunja figlia di Tseriel? d o m a n d il primo. L'altro gli indic u n a direzione e disse: Laggi,
molto lontano.
209

Allora colui che sognava u n a moglie dal colorito


bianco come la neve e vermiglio come il sangue lasci al compagno la pernice, mise il fucile in spalla e
segu la direzione che gli era stata indicata.
C a m m i n a c a m m i n a , avanz per un giorno e u n a
notte p r i m a di entrare in u n a foresta e scorgere del
f u m o che saliva al di sopra degli alberi. Disse fra s:
"Non mi fermer finch n o n avr raggiunto questo
fumo". Prosegu in quella direzione e scopr u n a casupola, circondata da u n a siepe di spine. Chiam;
u n a r a g a z z a si fece vedere. Dio solo aveva p o t u t o
crearla: il suo colorito era bianco come la neve e vermiglio come il sangue.
Ho perso la strada disse il giovane e n o n so dove andare. Non potresti offrirmi un asilo per questa
notte, in n o m e di Dio?
Essa rispose: Io sono la figlia di Tseriel. La figlia
dell'orchessa. Mia m a d r e andata a caccia; non torner che al calar del sole. Se ti va di entrare, entra.
Egli disse: D'accordo. Ed entr.
Essa gli diede da mangiare e da bere. E poi, quando calarono le tenebre, lo nascose in un sotterraneo
di cui cel l'imboccatura posandovi sopra un grande
piatto di legno.
Lunja aveva a p p e n a finito di mettere al sicuro il
giovanotto, che gi udiva l'arrivo della m a d r e . Tseriel, l'orchessa, c a m m i n a v a p e s a n t e m e n t e : Tseriel
aveva u n a statura che andava dalla terra al cielo. La
sua testa era un vero cespuglio di rovi. Per entrare
dovette piegarsi. Fin dalla soglia, inspir profondamente l'aria e disse: Sento un odore che n o n il nostro. Sento odore di uomo!. Lunja rispose: Questa
sera passato di qui un mendicante, e gli ho fatto
l'elemosina, nel n o m e di Dio. Quello che senti il
suo odore.
Tseriel si fece avanti e comand: Servimi la cena!.
210

Lunja gliela serv. Poi and a sedersi sul piatto di legno che nascondeva l'imboccatura del sotterraneo.
Quand'ebbe finito di mangiare, Tseriel dichiar:
Questa sera ho deciso di tingere con l'henn tutti i
miei piatti di legno e tutte le mie ciotole. E si mise a
chiamarli per nome. Essi vennero da lei uno alla volta. Solo il piatto su cui era seduta Lunja non si mosse. L'orchessa lo chiam di nuovo. Ma la ragazza disse: Lascialo stare. A lui toccher domani. Oggi sono
t r o p p o b e n s e d u t a p e r s c o m o d a r m i . Tseriel, che
amava la figlia, non insistette, e non tard ad addormentarsi.
Lunja fece finta di dormire. In realt spiava il mom e n t o in cui avrebbe udito le grida di tutti gli animali inghiottiti dalla m a d r e nel corso della giornata.
Fu solo nel cuore della notte che ud le vacche e i vitelli muggire, le pecore e le capre belare, l'asino ragliare e le galline chiocciare. Ne approfitt per liber a r e il giovane dicendogli: Presto, sta d o r m e n d o .
Gambe in spalla!. Ma egli le rispose: Non partir
se tu non mi accompagni. Giacch per te che sono
venuto fin qui. Va bene disse lei. E uscirono.
Li arrest u n a siepe di spine. Lunja disse: O siepe
di miele e di b u r r o , lasciaci passare!. La siepe di
spine si apr per lasciarli passare, e poi si richiuse alle loro spalle. Essi si misero a correre, a correre con
tutte le loro forze. Ma apparve dinanzi a loro un fiume tumultuoso. Lunja supplic: O fiume di miele e
di burro, lasciaci passare!. Le acque del fiume si ritirarono davanti a Lunja e al giovanotto. E si richiusero u n a volta che questi ebbero raggiunto la sponda
opposta.
Tseriel si svegli mentre la figlia, dal colorito bianco c o m e la neve e vermiglio c o m e il sangue, stava
fuggendo. L'orchessa chiam: Lunja, Lunja!. Ma il
suo richiamo si perdeva nel vuoto. Essa si sporse al
211

di sopra del sotterraneo e a n n u s l'aria. Gett u n o


sguardo al letto di Lunja e comprese tutto. Si mise a
gridare: Lunja, figlia mia, mi hai tradita! Lunja, mi
hai abbandonata!.
E part alla sua ricerca. Alla siepe di spine disse
con voce furibonda: Schifosissima siepe, lasciami
passare!. Le spine si fecero ancora pi aguzze, si ingrandirono a dismisura. Tseriel riusc ugualmente a
passare, ma i suoi piedi ne f u r o n o lacerati, e gli indumenti fatti a brandelli. Si mise a correre, a correre
come u n a forsennata, facendo echeggiare per ogni
dove: Lunja, Lunja, mi hai tradita! Mi hai abbandonata!. Ma Lunja aveva cambiato padrone!
Il fiume arrest l'orchessa. Tseriel gli grid con furia: Schifosissimo f i u m e , voglio passare!. Ma il
fiume si mise a mugghiare in m o d o minaccioso. Tseriel vi si gett. Un'onda enorme la port via. Ma prima di essere inghiottita, l'orchessa esclam un'ultima volta: Che Dio ti tradisca come tu hai tradito
me, Lunja!.
Il giovane e la fanciulla bianca come la neve e vermiglia come il sangue erano gi lontani. Giunsero in
vista di un'altura. Il mio villaggio laggi disse il
giovane stendendo il braccio. Ci arriveremo al calare della notte.
E cominciarono a inerpicarsi. Scarpinarono a lungo sulla montagna. Quando stavano per valicare un
colle, scorsero d u e aquile che l o t t a v a n o tra loro.
L'uomo le s e p a r con un b a s t o n e . Ma l'aquila pi
grande si vendic: prese sotto l'ala il giovane e lo sollev in aria. Lunja grid: Oh, ho tradito mia m a d r e
ed eccomi tradita a mia volta!.
Ma il giovane ebbe il tempo di gridarle: Vai ancora avanti. Incontrerai u n a fontana. Una negra, u n a
nostra serva, vi arriver con i nostri asini e i nostri
otri. Dovrai ucciderla per rivestire la sua pelle scura.
212

A questo punto n o n ti rester che seguire gli asini. Ti


porteranno a casa nostra. E l giunta, dirai a mio padre: "Tuo figlio stato portato via da un'aquila".
L u n j a vide la n e g r a che arrivava alla f o n t a n a .
Aspett che avesse riempito gli otri e li avesse caricati sugli asini. Quindi balz fuori, la uccise e ne rivest la pelle.
Seguendo gli asini arriv alla casa del giovane. E
quando vi fu entrata, disse al padre: Tuo figlio stato afferrato da un'aquila che se l' messo sotto l'ala e
se l' portato via in cielo.
Il padre lasci passare qualche giorno nella speranza che l'aquila lasciasse la sua preda. Ma poi si
decise a consultare il Vecchio Saggio. Quest'ultimo
lo rassicur e gli disse: L'aquila n o n deve aver ucciso tuo figlio. Di sicuro se se l' messo sotto l'ala, n o n
l'ha ucciso. Per liberare t u o figlio, ecco quello che
devi fare: devi salire sulla cima pi alta, dove sacrificherai u n a giovenca, la pi bella, la pi grassa che
avrai trovato. Le aquile scenderanno per pascersene.
Quella che tiene tuo figlio prigioniero sotto l'ala sar
pi p e s a n t e delle altre; avr difficolt a volarsene
via. Tu dalle un colpo di bastone sull'ala. Ed essa lascer cadere tuo figlio.
Il padre sal allora sulla cima pi alta, sacrific la
pi bella giovenca e si allontan per spiare le aquile.
Le vide calare; le osserv mentre mangiavano. La pi
grande fra tutte era tanto appesantita che a stento
riusciva a muoversi. Quando fu in procinto di volarsene via, il padre le colp l'ala con un bastone: il giovane cadde a terra. Sull'erba, era gracile e debole come
un uccellino. Il padre lo abbracci e lo riport a casa.
Lunja si prese cura di colui che amava. Aveva sofferto la fame: essa lo nutr solo di carne alla griglia,
uova, miele, b u r r o e frutta. E ben presto egli ridivenne com'era prima. Allora il giovane a n d a trovare
213

suo padre e gli disse: Voglio sposare la negra. Come oseremo guardare in faccia i nostri vicini? si indign il padre. Tu vuoi il nostro disonore. Ma il
giovane disse ancora: La sposer o morr.
Fu cos che la spos. Lunja ricevette ricchi doni
d'ogni genere e venne assunta u n a nuova serva.
Il giovane attese la notte per spogliare la moglie
della pelle che velava la sua bellezza. Al mattino, la
serva fu la prima a essere stupita per tale belt. Venuta per portare la colazione agli sposi, ritorn annunciando a tutti: La signora non u n a negra! La
signora bianca c o m e la neve e vermiglia come il
sangue!.
Tutti accorsero per constatare il miracolo. Ora, il
giovane marito aveva un fratello minore che gli chiese: Come potuto succedere?. Mi bastato pron u n c i a r e le parole: "O figlia di negri, spogliati di
questa pelle!" rispose il fratello maggiore.
Il minore pens allora: "Se u n a negra si rivela u n a
vera bellezza, chiss cosa p o t r e b b e succedere con
u n a cagna?... Non si riveler u n a dea?".
Spos quindi u n a cagna. La notte, quando fu solo
con lei nella stanza nuziale, le disse: Figlia di cani,
spogliati di questa pelle!. Per tutta risposta essa cominci ad abbaiare furiosamente. Spogliati di questa pelle! ordin un'altra volta. Essa lo assal e lo divor.
Il mattino, q u a n d o la serva entr per salutare gli
sposi e servire loro la colazione, scopr la cagna che
vegliava g e l o s a m e n t e i resti dello sposo. La serva
fugg allora urlando: Il signore fatto a pezzi, la sig n o r a vi si accucciata sopra! Il signore fatto a
pezzi, la signora vi si accucciata sopra!.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!
214

3. STORIA DELLA RANA

Che il m i o r a c c o n t o sia bello e si dipani c o m e un


lungo filo!
Nei tempi antichi, ai tempi in cui gli animali parlavano, la rana era la sposa del rospo. Essi vivevano
in c o m p l e t a felicit. L'abbondanza e la p r o s p e r i t
riempivano la loro casa.
Si era in piena stagione dei fichi, e si avvicinava
l'autunno. Un mattino la rana disse al rospo: Marito!
I fichi sono maturi, e siccome si suole dire: "Chi trova
un fico prepari un ceppo", tempo che cominciamo a
pensare all'inverno. Recati al mercato e compra della
lana. Ti tesser un burnus scuro per la pioggia. Compra anche un po' di carne. La preparer e domani la
porteremo con noi, perch sin dall'aurora ce ne and r e m o al fiume a lavare la nostra lana, e passeremo
tutto il giorno all'aperto. Torneremo a casa p r i m a di
notte, portando con noi verdure, uva e fichi.
Il rospo si prese u n a sporta e un sacco e si diresse
al mercato. Quanto alla rana, essa corse p r i m a alla
fontana per cercare dell'acqua e poi alla foresta per
andare a prendere u n a fascina di legna, e rientr per
rimettere in ordine la casa. A mezzogiorno ebbe appena il tempo di mangiare. Prese a macinare un'intera giara di grano. Quand'ebbe finito pass la farina
al setaccio. La semola pi fine, quella pi bella, la
utilizz per farne u n a focaccia che mise da parte per
farla vedere al suo sposo. E poi prepar le palline del
cuscus. Quand'ebbe messo la pentola sul fuoco, non
le rimase che attendere.
Al tramonto si fece incontro allo sposo che avanzava a fatica. Essa lo raggiunse, lo aiut a deporre il
carico di lana e gli prese la sporta con le provviste
che pendeva dalle sue spalle. Rientrarono a casa. Essa accese la l a m p a d a a olio, mise la carne a bollire
215

nella pentola e il cuscus a cuocere al vapore. Si avvicin q u i n d i al sacco di lana. Cominci a scuotere
con forza la lana per farne cadere la polvere e la paglia. E disse al rospo: I bioccoli pi morbidi, i pi
bianchi, li impiegher per il tuo burnus. Quanto alla
lana pi ruvida, ne far u n a coperta che poi tinger.
E quest'inverno staremo al caldo.
Fece un m u c c h i o della lana migliore, rimise nel
sacco quella di qualit inferiore, si lav le mani e si
occup della cena. Quando fu pronta, pos a terra la
pentola e al suo posto mise sul fuoco un paiolo pieno d'acqua. La rana e il rospo cenarono in santa pace. Quand'ebbero finito, l'acqua bolliva. La r a n a vi
gett della cenere e mise a bagno la lana. Poi fece i
mestieri di casa. Il rospo, che era stanco, se ne and
a letto di buon'ora. La rana, pi in forze, tir fuori la
lana dal paiolo, la strizz e la mise a sgocciolare in
u n a cesta. Riemp la sacca delle provviste: focaccia e
carne. Infine, dovendosi alzare all'alba, and anche
lei a dormire.
L'indomani, q u a n d o si destarono, era ancora buio.
Si prepararono e fecero colazione in tutta fretta. La
rana, con la cesta sulle spalle, e il rospo, con la sacca
a tracolla e in m a n o lo strumento per battere la lana,
uscirono di casa alle prime luci dell'alba.
La strada che portava al fiume era in discesa. Essi
vi si diressero. Raggiunsero il fiume q u a n d o il sole
cominciava a farsi vedere. La rana pos il suo carico
di lana, il rospo appese fa sacca a un albero. E si misero al lavoro. Il rospo raccolse delle pietre e costru
u n o sbarramento per trattenere l'acqua. in questa
piccola pozza d'acqua che la rana doveva disfare la
lana, sfilacciarla in piccoli bioccoli, a m a n o a m a n o
che il suo sposo la batteva.
A mezzogiorno, tutta la lana era lavata. Pensarono
allora a m a n g i a r e . La r a n a disse al rospo: Va' in
216

quella direzione; cerca di trovare, tra i rovi, qualche


m o r a matura, e porta anche dei fichi, se ci riesci.
Il rospo part alla ricerca dei frutti: tagli dei giunchi, li intrecci per ricavarne un canestro che riemp
di fichi, di uva e di more. La sua sposa lo attendeva
pazientemente. Essa aveva scoperto un posto all'ombra e aveva deposto in terra, su un foulard, la focaccia
e la carne. Fece le parti e mangiarono. Fecero onore
ai frutti: non ne lasciarono u n o solo nel canestro.
Bevvero a u n a fonte, nel cavo della mano. E poi, dal
m o m e n t o che l'aria era calda e il sole scottava, si apprestarono a fare la siesta. Il rospo distese il suo burnus all'ombra dei pioppi: vi si distesero sopra.
Quando il sole cominci a calare, la rana disse al
rospo: Marito! Alzati. Bisogna partire. Va' a prendere delle verdure, intanto che io rimetto tutto a posto. Il rospo prese la sacca e il canestro di giunchi, e
si rec in un orto che si trovava vicinissimo al fiume:
le verdure che vi crescevano, nutrite d'acqua in abbondanza, erano splendide. Il rospo colse dei peperoncini, delle zucchine e dei pomodori. Ne riemp la
sacca. Nel canestro mise fichi e uva. Se ne torn dalla sua sposa. Essa gli disse: Non siamo mai stati pi
felici. Se q u e s t o g i o r n o potesse n o n finire mai!.
Torneremo q u a n d o vorrai rispose il rospo.
La r a n a si caric in spalla la cesta della lana e si
incamminarono.
Avanzavano con fatica, perch quella che al mattino era stata u n a discesa adesso era diventata u n a salita. Inoltre e r a n o a p p e s a n t i t i da t u t t o quello che
avevano m a n g i a t o . S o p r a t t u t t o la r a n a era m o l t o
s t a n c a . C a m m i n a c a m m i n a , q u a n d o videro u n a
quercia la r a n a sospir: Sono stanca. Non potremmo riposarci un po' sotto questa quercia?. Si fermarono un istante, e poi il rospo disse: Fatti coraggio.
La notte sta per sorprenderci e la nostra casa anco217

ra lontana. C a m m i n a r o n o ancora a lungo. Apparve


u n a collina. Sono stanca riprese la rana. Solleva
la testa, rispose il rospo il villaggio si trova dietro
questa collina. Tra poco vedremo i tetti delle case.
Ma la rana, stremata, si sedette sul bordo del sentiero e dichiar: Parti da solo, se vuoi. Io non riesco
pi a fare un passo.
Allora il rospo la prese a cavalcioni sulle spalle.
Dopo qualche istante disse, contrariato: Che cos'
questo liquido che mi bagna i talloni?. La r a n a rispose: l'acqua della lana che gocciola fuori dalla
cesta. Ma il r o s p o riprese, s e m p r e pi irritato:
Non che per caso tu mi abbia pisciato addosso?
Sento delle gocce sui talloni. Ti dico, amico mio,
che la lana! Il rospo, esasperato, lasci cadere dalla schiena la rana.
Ora, nei pressi si trovava u n a pozza d'acqua. La
r a n a vi salt dentro, a b b a n d o n a n d o sul bordo la cesta con la lana. Il rospo si acquatt un po' pi in l,
triste, con la sacca delle verdure e il canestro di frutta ai piedi.
Capit di l il capraio: Che t' successo, zio rospo? domand. Cosa non mi successo! La regina
delle donne fuggita: nella pozza d'acqua. tutto qui? Te la riporto io!
Madama rana! chiam. Chi c a m m i n a sopra al
mio tetto? rispose lei, irritata. Mi cadono dei calcinacci sulla cena. Sono il capraio. Vieni, Dio voglia
ispirarti. Ritorna da tuo marito. Vattene, occupati
piuttosto dei tuoi piedi pieni di screpolature. Sono
forse venuto per farmi insultare? Resta nella pozza
d'acqua, se ti ci trovi bene!
S o p r a g g i u n s e lo sciacallo: Che cos'hai, r o s p o ,
che stai qui a sorvegliare il sentiero?. La giovincel218

la del giovincello mi ha lasciato! La pregher di ritornare, se Dio vorr consigliarla.


Madama rana! chiam. Chi va l? lo sciacallo che viene verso di te, lo sciacallo agile e furbo.
Davvero? Se tu fossi l'agile e f u r b o sciacallo, ti avrei
forse trovato con la zampa rotta in fondo a u n a scarpata?
Capit di l il leone: Che cos'hai, rospo, che stai
qui a sorvegliare il sentiero?. O mio signore, la
bellezza dell'universo che se ne fuggita e mi ha abbandonato! Non ti perdere d'animo. Te la riporter io.
Chi c a m m i n a sopra il mio tetto? d o m a n d la
rana, irritata. Mi cadono dei calcinacci sulla cena.
il tuo signore il leone, il re delle fiere. Vieni, seguimi. Ritorna da tuo marito. Tu mio signore? Se
tu fossi il re delle fiere, n o n ti faresti trascinare da
un Arabo legato a u n a corda come un cane.
Il leone, scoraggiato, se ne torn dal rospo.
Pass il gipeto: Che cos'hai, zio rospo?. La grazia del m o n d o e n t r a t a in quella pozza d'acqua!
Tutto qui?... Non grave.
Prese il volo. Chi sopra il mio tetto? grid la
rana. Mi c a d o n o dei calcinacci sulla cena! il
tuo signore, il gipeto, figlio di gipeti e bianco come il
latte. Ah, davvero? Se tu fossi il mio signore, il gipeto dei gipeti e bianco come il latte, ti avrei trovato
intento a mangiare u n a carogna, su un mucchio di
letame?
Sopraggiunse il corvo: Che cosa c', zio rospo?
Che cosa fai per strada a quest'ora?. La grazia del
m o n d o mi ha lasciato! Non temere, essa non resister alla mia voce.
219

Madama rana! chiam. Seguimi, sono il corvo,


il marabutto che torna dalla Mecca. Ah, davvero?
Se tu tornassi dalla Mecca, n o n avresti tradito la fiducia che in te aveva riposto il Profeta. Dio n o n ti
avrebbe maledetto. Dopo essere stato tutto bianco,
n o n saresti divenuto tutto nero e n o n puzzeresti di
marcio! Il corvo se ne part con le ali basse.
Arriva la pernice: Che cos'hai, zio rospo? calata
la notte; che cosa ci fai tutto solo sul sentiero?. Il
sale dell'universo fuggito. La moglie mi ha abbandonato. Corro a riportartela.
Madama rana! chiam. Chi c a m m i n a sopra il
mio tetto? Mi cadono dei calcinacci sulla cena.
la pernice pi bella del paese. Davvero? Se tu fossi
la pernice pi bella del paese, avrei trovato le tue sorelle ammucchiate nel carniere di un cacciatore?
La pernice se ne torn piangendo.
Ecco infine presentarsi lo scricciolo: Che cos'hai,
zio rospo? Perch quest'aria disperata?. la giovincella del giovincello che se n' fuggita nella pozza
d'acqua e mi ha lasciato. In tanti h a n n o gi provato
a riportarmela. Ma essa non li ha accolti bene. Vedrai che mi seguir, perch non la pregher.
Chi picchia al mio nido? Mi cadono dei calcinacci sulla cena! il tuo signore, lo scricciolo degli
scriccioli, verde come il fiele. C a m m i n a davanti a me
o assaggerai il bastone! Un istante che mi agghindo! Un po' di rossetto, un po' di trucco sugli occhi e
precedo il mio signore!
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!

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4. C H I DI N O I LA P I BELLA, O LUNA?

Che il m i o r a c c o n t o sia bello e si d i p a n i c o m e un


lungo filo!
Si narra che nei tempi antichi vi era u n a giovane
d o n n a , bella c o m e la luna. E q u e s t a d o n n a , nelle
notti di luna piena, si truccava, pettinava e profumava i suoi lunghi capelli, indossava i suoi abiti pi ricchi, si ornava con tutti i suoi gioielli e usciva.
Per avere u n a migliore vista del cielo, saliva su
un'altura. E qui, rivolgeva il proprio viso splendente
verso la luna e le chiedeva: Chi di noi la pi bella,
o luna? Chi di noi la pi bella?. E la luna rispondeva: Tu e io siamo ugualmente belle, ma la figlia
che porti in te ci superer in bellezza. E la giovane
donna si lamentava e malediceva la b i m b a che portava in seno.
Per mesi and avanti a rivolgersi in questo m o d o
alla luna chiedendole: Chi di noi la pi bella, o luna? Chi di noi la pi bella?. E ogni volta la luna rispondeva: Tu e io siamo ugualmente belle, ma la figlia che porti in te ci superer in bellezza.
Essa m i s e a l m o n d o u n a b a m b i n a dai capelli
d'oro, u n a b a m b i n a pi bella della luna nel firmamento. La chiamarono Jejjiga, "fiore". La sua bellezza cresceva di giorno in giorno. Le vicine dicevano
alla madre: Gi tu sei bella, ma la bellezza di tua figlia eclisser la tua. E la giovane d o n n a , all'udire
queste parole, si sentiva trafitta da stilettate di gelosia. Diceva in cuor suo: "Quando questa bimba sar
diventata un'adolescente nessuno pi mi guarder".
La b a m b i n a aveva ora otto anni. Era piena di vita
e di grazia. La m a d r e le disse u n a sera: Domani
metteremo sul telaio u n a grande coperta. Dovremo
preparare l'armatura. Ci accompagner la nostra vicina. Al mattino prese due solidi pali che dovevano
221

fungere da m o n t a n t i e un grosso gomitolo di lana.


Chiam la vicina e tutte e due se ne andarono, portando con s la piccina.
Si lasciarono alle spalle in lontananza il villaggio e
raggiunsero u n a collina. La m a d r e disse allora alla figlia: Noi pianteremo in terra i pali verticali e tu farai
correre la lana tra di noi. Adesso sei grande, ce la farai
a tenere in m a n o il gomitolo?. La m a d r e sapeva bene
che cosa stava facendo. La ragazzina si mise a far
scorrere la lana. Pi svelta, pi svelta! le disse la
madre. Il gomitolo era pesante. Sfugg di m a n o alla
piccina e cominci a rotolare. Corri a riacchiapparlo! grid la madre. La bimba si slanci. La m a d r e tagli il filo e il gomitolo prese a rotolare sempre pi veloce, sempre pi veloce, trascinando con s Jejjiga
verso il precipizio. Poi, all'improvviso, il gomitolo
scomparve.
La piccina lo cerc invano tra i rovi e nei cespugli.
Tornare indietro?... Aveva perso la strada. Allora si
mise a c a m m i n a r e a caso sulle sue esili gambette.
Cammina cammina, arriv al limitare del bosco. Fu
allora che scopr, seminascosto da u n a fitta vegetazione, l'ingresso di u n a caverna. Si apr un varco ed
entr. La caverna era profonda. Quando ebbe fatto
qualche passo e si fu abituata all'oscurit, la b i m b a
vide, avvolto su se stesso come un enorme braccialetto, un serpente. Lanci un grido. Esso sollev il
capo, apr due occhi che parevano stelle e la osserv.
Vide quella r a g a z z i n a che Dio solo aveva p o t u t o
creare. La corsa aveva reso il suo viso simile a u n a
rosa; le spine avevano graffiato i suoi piedini e le sue
manine. I suoi abiti erano strappati. Tanta belt abbagli il serpente; tanta grazia e fragilit lo commossero. Ringrazi Dio in cuor suo.
La bimba tremava. Egli le disse: Non avere paura, non ti far alcun male. Ma dimmi, piccina, che
222

cosa ti ha condotta fino a me. Essa era sul punto di


mettersi a piangere. Udendo il serpente rivolgersi a
lei con un linguaggio u m a n o , si sent rassicurata. Gli
disse: Io tenevo un gomitolo di lana, un gomitolo
pesante. Mi caduto di m a n o e ha cominciato a rotolare senza fermarsi. Io l'ho seguito... Poi l'ho perso
di vista e ho continuato a c a m m i n a r e fino ad arrivare qui. Egli prese dell'acqua per lavarle il viso, le
m a n i e i piedi. La fece sedere e le serv da mangiare.
Lei m a n g i un po' di focaccia di grano e bevve del
latte. In un angolo b e n riparato le apprest un giaciglio e ve la condusse per farla riposare.
Bisogna sapere che questo serpente n o n era un vero serpente. Un tempo era stato un u o m o felice: aveva u n a casa, u n a moglie, numerosi campi e ogni sorta di b e n i e di ricchezze. Ma u n a notte, s e n z a
avvedersene, mise un piede su un serpente. Questo
serpente lo fiss, si rizz e alitandogli in viso gli disse: Tu mi hai schiacciato. Diventerai un serpente
come me e tale resterai finch vivr, in m o d o che gli
uomini ti calpesteranno!.
Fu cos che venne trasformato in un serpente. Abb a n d o n la famiglia, la casa e tutti i suoi beni. Fugg
dalla gente e si rifugi nella foresta. Si avvicin alle
fiere, si mise a vivere come loro, a nutrirsi di carne e
sangue. Ma se il suo corpo era quello di un serpente,
il suo cuore e il suo spirito erano rimasti quelli di un
uomo. Se fuggiva i suoi simili era solo per il timore
di essere schiacciato da loro. Ma la solitudine gli era
a m a r a e lo consumava. Quando gli apparve la ragazzina era da molto tempo che non vedeva pi l'ombra
di un essere u m a n o . Per questo alla vista del suo viso
di rosa e delle sue piccole m e m b r a stanche il cuore
del serpente si era sciolto per la tenerezza.
La piccina si era a d d o r m e n t a t a . Egli usc, uccise
d u e pernici, raccolse della v e r d u r a e della f r u t t a e
223

rientr. Accese il fuoco, m i s e a c u o c e r e il cibo e


a n d a ridestare la bimba. Le chiese con dolcezza:
Come ti chiami? Qual il n o m e del tuo villaggio e
dei tuoi genitori, affinch io ti riconduca a loro?.
Essa rispose: Io mi chiamo Jejjiga, ma n o n so n il
nome dei miei genitori n quello del mio villaggio.
Il serpente, che n o n poteva ripresentarsi agli occhi
degli umani, rimase in silenzio. Riflett a lungo, si
guard intorno e alla fine disse: Rimarrai qui finch Dio non ti aprir u n a strada. Sposo la tua f a m e e
la tua sete: sarai la mia bambina. Ma dovrai obbedirmi e n o n oltrepassare m a i la soglia della caverna.
Qui siamo nel regno degli animali; se ti ci avventurassi potrebbe succederti qualcosa di brutto.
Il serpente l'allev. Fu per lei padre e m a d r e allo
stesso tempo. Le insegn a preparare da mangiare e
ad a m a r e l'ordine. La colm di ogni attenzione, la
circond di tenerezza. Essa gli obbed finch fu piccola; ma, fattasi adolescente, cominci a conoscere
la noia. Ebbe nostalgia del cielo, del sole. Volle scoprire il mondo.
Il s e r p e n t e la lasciava spesso sola p e r a n d a r e a
caccia e a tagliare la legna: essa approfitt di queste
assenze. Dapprincipio si accontent di lanciare timidi sguardi al di l delle alte erbe e dei rami che celavano l'ingresso della caverna. Poi per prese ad avventurarsi all'esterno. Ma rientrava s e m p r e p r i m a
che tornasse il serpente.
Un giorno un taglialegna la scorse e ne fu meravigliato. Come si avvicin per osservarla meglio, essa
scomparve. Di ritorno al villaggio raccont la sua avventura a chi la voleva ascoltare: Stavo per tagliare
della legna nella foresta quando vidi uscire da terra
u n a creatura, u n a creatura... u n a coltre d'oro la ricopriva fino ai piedi. La luce che ne emanava mi abbagli. Si sar trattato della fata guardiana della fo224

resta? Volevo avvicinarmi per vederne il viso, ma essa era gi scomparsa!.


Questa storia, trasmessa di bocca in bocca, arriv
all'orecchio del principe, che non esit a interrogare
il taglialegna. Principe, rispose il taglialegna una
creatura mi davvero apparsa sul limitare della foresta. Era in piedi, contro un albero. Era un angelo,
u n a fata?... Il suo viso sfidava la luce. Un m a n t o
d'oro la rivestiva. Quando volli osservarla pi da vicino, mi accorsi che n o n c'era pi! Domani, alle
p r i m e luci dell'alba, mi condurrai l dove essa ti
apparsa! disse il principe.
L'indomani la ragazza fin per mostrarsi all'ingresso della caverna. Il m a n t o d'oro che la rivestiva erano
i suoi capelli. E fu tutto quello che videro il principe e
il taglialegna che la spiavano attraverso il fogliame. Il
principe decise di rimanere solo per sapere se la strana creatura fosse un mortale o u n a fata.
La giovane rimase a lungo ferma sulla soglia e poi
rientr. Poco dopo il principe vide questa cosa che lo
stup: il serpente che avanzava in piedi, recando verdure, f r u t t a e selvaggina, giacch q u a n d o portava
dei carichi esso n o n strisciava! Il serpente mangi,
fece la siesta (era estate) e usc per fare u n a passeggiata. Allora il principe pot avvicinarsi alla caverna
e contemplare la ragazza. Essa si teneva appoggiata
a un albero e portava alla bocca dei chicchi d'uva.
Egli pens: "Dal m o m e n t o che sta mangiando, posso
avvicinarmi!". Scost i r a m i e, facendosi avanti, le
disse: In nome di Dio, te ne prego, d i m m i chi sei,
creatura!. Essa rispose: Sono un essere come te.
Sono la figlia del serpente. Egli la osserv m e n t r e
parlava, meravigliandosi del suo viso sbocciato come u n a rosa. Le chiese del suo villaggio e dei suoi
genitori, ed essa rispose: Qui, in questa caverna ho
vissuto e sono cresciuta. Il serpente mi ha allevata:
225

io sono s u a figlia. Ma a s u a i n s a p u t a che vengo


fuori. Mi raccomando, non dirglielo, non raccontargli che mi hai vista!. E rientr.
Il principe and a trovare suo padre e gli dichiar:
Voglio sposare la figlia del serpente. Il re si indign. Il principe cadde a m m a l a t o di un grave male: la
febbre non lo abbandonava n di giorno n di notte.
il re fin per chiedergli: Figlio mio, che cosa ti potrebbe guarire?. Permettimi di sposare la figlia del
serpente e vedrai che guarir. Dal m o m e n t o che il
principe deperiva ogni giorno di pi, il re cedette. Si
rec dal serpente e gli disse: Dammi tua figlia per
mio figlio. Il serpente rispose: O re, da sette anni
che essa venuta da me. Io l'ho allevata come u n a figlia. Mi pi cara del firmamento. Ma dal m o m e n t o
che tu la vuoi, o re, eccotela: te l'affido. Colmala di
doni e veglia su di lei come ho fatto io stesso fino a
ora. Quanto a me, ti chiedo u n a sola cosa: un otre di
sangue.
Il giorno in cui essa doveva separarsi da lui per seguire il re a corte, il serpente disse alla ragazza: Va',
figlia mia, sii brava, va' e, mi raccomando, non voltarti indietro ma guarda sempre avanti!. Essa sal
su u n a giumenta tutta ingualdrappata di seta, con il
re che la scortava. Ma dopo un istante grid: Ho dimenticato il mio pettine!. Scese allora da cavallo e
corse verso la caverna, dove sorprese il serpente intento a pascersi di sangue. Lo vide cambiare espressione. Egli le disse, tutto vergognoso: Non ti avevo
raccomandato di non tornare indietro?... Te ne pentirai. Allora essa torn spaventatissima dal re.
A corte visse felice per alcuni mesi. Il principe,
suo marito, l'amava. Con gran gioia di tutta la famiglia reale, essa mise alla luce un b i m b o dai capelli
d'oro, un figlio che le assomigliava. Lo custod per
quaranta giorni, dopodich, u n a mattina, si alz per
226

unirsi alla vita della corte. Quando ritorn dal bambino, esso era scomparso. Lo cercarono a lungo, ma
invano.
L'anno successivo essa ebbe un nuovo b a m b i n o ,
un b i m b o come il primo, dai bellissimi capelli d'oro.
In capo a quaranta giorni anch'esso scomparve. Il re
e la regina dissero allora al figlio: Risposati! Che
bene ci p u venire dalla figlia del serpente?. Ma il
principe, che riponeva in Dio le sue speranze, rispose al re e alla regina: Io ho scelto Jejjiga per se stessa, e n o n per i figli che mi avrebbe dato.
Uno dopo l'altro, la giovane principessa ebbe sette
figli, sette bimbi dai capelli d'oro, che f u r o n o tutti
rapiti q u a r a n t a giorni d o p o la nascita. Essa fu sop r a n n o m i n a t a "Colei che divora i suoi figli". Ma il
principe continuava ad amarla.
Otto anni erano trascorsi da quando Jejjiga aveva
lasciato la caverna del serpente per la corte del re,
q u a n d o u n a sera essa disse al principe: Domani,
c o n d u c i m i d a m i o p a d r e a f f i n c h egli m i p e r d o ni.... Egli la accontent. Appena arrivati alla caverna, il principe e la principessa videro sei fanciullini
dai capelli d'oro che giocavano e si inseguivano in
m a n i e r a incantevole. Un vecchio teneva in braccio il
settimo b i m b o dai capelli d'oro.
La principessa cercava con gli occhi il serpente.
Allora il vecchio si fece avanti e le disse: Non cercarlo, sono io. Molto tempo fa, u n a notte, ho messo
un piede su un serpente per disattenzione. Egli si
vendicato perch mi ha trasformato in serpente come lui. Ora per m o r t o e con lui m o r t o anche il
potere che aveva su di me. Disse inoltre: Il giorno
in cui mi hai lasciato per andare verso il tuo sposo ti
avevo raccomandato di n o n tornare indietro. Tu sei
ritornata e mi hai sorpreso mentre bevevo del sangue. Mi hai umiliato e io ti ho detto: "Te ne penti227

rai". Tese alla principessa il beb che aveva in braccio e si rivolse al principe: Sono io, o principe, che
sono venuto a cercare i tuoi figli u n o dopo l'altro
per punire mia figlia. Li ho allevati con tenerezza
come avevo allevato la loro madre. Per sette volte, o
principe, ti sei trovato davanti a u n a culla vuota e
non hai disperato e non hai umiliato mia figlia. Al
contrario, l'hai a m a t a e protetta. Ecco i tuoi figli...
Te li rendo. E sospinse verso di lui i sei fanciulli dai
capelli d'oro.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!

5. AISHA, FIGLIA MIA, UNA POZZA


IN CUI S P E G N E R E Q U E S T E FIAMME!

Che il m i o r a c c o n t o sia bello e si dipani c o m e un


lungo filo!
Si n a r r a che nei tempi antichi vi era u n a vedova
attorniata da sette figli, sette bambini assai vicini tra
loro di et. Lei era m o l t o povera e la s u a vita era
molto dura. Di giorno lavorava per gli altri; di notte
lavorava per s.
Si recava alla f o n t a n a alle p r i m e luci dell'alba, e
poi al bosco in cui andava a prendere fascine di legna ed erba per i suoi conigli e per la sua capra. Aiutava a falciare l'orzo e il frumento, al m o m e n t o della
mietitura, e andava nei campi a spigolare. D'estate,
coloro che possedevano orti e frutteti in m o n t a g n a la
m a n d a v a n o a raccogliere p e r loro legumi e f r u t t i .
Essa tornava carica d'uva, di fichi, di pesche e di pere, e per ripagarla delle sue fatiche gliene davano un
paniere pieno. D'inverno, raccoglieva le olive e riceveva in cambio dell'olio. In questo m o d o riusciva a
n u t r i r e e f a r crescere i suoi sette b a m b i n i . Alcuni
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riuscivano a seguirla e venivano qualche volta a trovarla nei campi. Gli altri, li lasciava in custodia alla
maggiore, u n a bimbetta che la miseria e le preoccupazioni avevano reso gi matura.
La vedova abitava in u n a capanna, fuori del villaggio. Essa ne veniva via prima del levar del sole e non
vi faceva ritorno p r i m a del tramonto. solo di notte
che essa trovava il tempo di macinare l'orzo e il frum e n t o quotidiani, ed sempre di notte che tesseva,
al chiarore di u n a lanterna a olio.
La stagione dei fichi era fuggita. Sugli alberi non
vi erano quasi pi melagrane. Tra poco il freddo si
sarebbe presentato sulla soglia; la vedova lo sentiva.
Per questo, essa aveva cominciato col telaio u n a bella coperta in m o d o che i suoi piccini avessero caldo
in inverno, e passava le notti vegliando al telaio.
Una n o t t e le s e m b r di sentire nell'aria c o m e
l'odore delle olive e della neve. Aveva fatto cenare i
suoi bambini e aveva disteso per loro delle coltri vicino al focolare. Si accost al telaio pi presto del
solito, e vi entr tenendo in m a n o la lanterna a olio.
Continu a tessere, a tessere fin verso la met della
notte, preoccupata di non farsi sorprendere dall'inverno. I bambini dormivano. La c a p a n n a era immersa nell'oscurit. La rischiaravano debolmente il fuoco che ardeva al centro e la l a n t e r n a a olio posata
accanto al telaio. All'improvviso, la porta che era rimasta socchiusa venne sospinta e la vedova vide penetrare u n a sagoma gigantesca, formidabile. I piedi
calpestavano il suolo di terra battuta; la testa toccava il tetto di paglia. I capelli si rizzavano verso il cielo come un cespuglio spinoso. Era Tseriel.
Essa si diresse verso il telaio e vi entr. Si sedette
accanto alla vedova e le disse: Fatti in l, ti do u n a
m a n o io. E si mise a tessere. Tesseva, tesseva come
un demonio, m e n t r e la vedova tremava e pensava:
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"Mamma mia! M a m m a mia! Ci ingoier tutti, i miei


bambini e me!". Esse continuarono a tessere, a tessere tutte e due fino a che vi fu del filo. Ma l'orchessa
scorse delle cordicelle. Se ne impadron e disse: Le
tesseremo e continueremo il nostro lavoro.
Quando n o n vi f u r o n o pi cordicelle, Tseriel e la
vedova uscirono dal telaio e si sedettero accanto al
fuoco. La vedova aggiunse un ceppo e ne scaturirono alte fiamme. Un istante dopo, la vedova sent un
p r u r i t o alla testa. Afferr al centro un tizzone e si
gratt con l'estremit che n o n ardeva. Tseriel la volle
imitare. Ma quella che applic alla sua testa fu la
parte incandescente. I suoi capelli presero fuoco in
un lampo e quel cespuglio spinoso che non erano altro fu tutto u n a fiamma. Essa si slanci all'esterno, e
si mise a correre, inseguita da tutti i cani del vicinato. Il vento ripieg le fiamme verso le sue spalle. Il
fuoco si appicc ai suoi vestiti e discese fino ai suoi
piedi. Ben presto essa n o n fu che u n a torcia al vento
che correva, correva, gridando per strada: O Aisha,
figlia mia, u n a pozza in cui spegnere queste fiamme,
u n a pozza in cui spegnere le fiamme!. Una torcia
alle prese con l'immenso ululare dei cani e del vento.
Finalmente davanti a lei apparve u n a pozza d'acqua.
Tseriel vi si gett e si i m p a n t a n nel fango.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!

6. LA MUCCA DEGLI ORFANELLI

Che il m i o r a c c o n t o sia bello e si d i p a n i c o m e un


lungo filo!
C'era u n a volta, in un certo villaggio, un u o m o che
aveva u n a moglie e due figli. La primogenita era u n a
bambina: essa si chiamava Aisha. Il piccolo si chia230

mava Ali. La loro m a d r e possedeva u n a mucca. Ma


ecco che un giorno la madre si a m m a l di u n a grave
m a l a t t i a . Q u a n d o si vide p r o s s i m a alla m o r t e ,
c h i a m il m a r i t o e gli disse: Promettimi che n o n
venderai mai la mucca, e che la conserverai sempre
per i piccoli orfanelli!. Egli glielo promise solennemente ed essa mor.
Ai fanciulli era rimasto solo il padre. Essi si strinsero a lui. Ma egli n o n era capace di curarli e Aisha,
la bimba, era troppo piccola per preparare i pasti e
fare i mestieri di casa. Il padre si rispos. All'inizio,
la matrigna non fece alcun male agli orfanelli. Ma le
capit di mettere al m o n d o u n a b i m b a che chiam
Johra, e dal giorno in cui le nacque questa figlia prese a detestare gli orfanelli. Li percuoteva. Li lasciava
soffrire la fame. La bimba e il fratellino conducevano la mucca al pascolo e bevevano il suo latte. Ciascuno di loro si attaccava a u n a mammella. Cos essi
avevano un bell'aspetto, e la matrigna se ne stupiva e
diceva tra s: "Come possono prosperare, crescere e
rafforzarsi se io li privo di tutto?".
A sua figlia essa dava tutto ci che aveva di meglio. Agli orfani dava gli avanzi. Ma per quanto rimpinzasse sua figlia Johra, questa invece di diventare
bella si faceva di giorno in giorno pi brutta, gracile
e giallastra. Infatti, invece di fare progressi, regrediva come i piccoli dell'asino, che in fatto di bellezza
n o n migliorano. Si s a r e b b e d e t t o che la m a d r e le
desse da mangiare del veleno. Comunque Johra, bene o male, cresceva.
Gli orfanelli, invece, diventavano ogni giorno pi
bianchi e rosei: le loro guance erano come due melagrane. E ogni volta che la matrigna posava gli occhi
su di loro si sentiva morire dalla gelosia. Cos, u n a
sera, disse alla figlia: Domani seguili e torna a dirmi che cosa m a n g i a n o nei campi. Consegn alla
231

b i m b a d u e uova sode e u n a focaccia di f r u m e n t o .


Agli orfani diede u n a focaccia di crusca e fece loro
questa r a c c o m a n d a z i o n e : Vostra sorella J o h r a vi
accompagner. Vegliate su di lei, e che non le succeda nulla di male!.
Gli orfani amavano la loro sorella.
Partirono tutti e tre. Appena arrivati, si riposarono un po'. Quindi giocarono a nascondino nei campi. All'ora di pranzo Johra tir fuori da un cestino la
sua focaccia di f r u m e n t o e le sue uova sode. Gli orfanelli mangiarono la loro focaccia di crusca. Poi and a r o n o dalla m u c c a per bere il suo latte. J o h r a osserv ma n o n si avvicin. Al r i t o r n o disse alla
madre: Mamma, adesso so perch sono cos bianchi e rosei: bevono il latte della mucca. Devi fare
come loro rispose la m a d r e . Tutto quello che faranno, fallo, cos ingrasserai pure tu.
L'indomani, Johra attese che Aisha e Ali avessero
finito di bere per avvicinarsi a sua volta alla mucca.
Ma la mucca le assest un calcione con lo zoccolo.
J o h r a se ne t o r n a casa con un b e r n o c c o l o sulla
f r o n t e e, piangendo, si l a m e n t con la madre: La
m u c c a mi ha colpita m e n t r e stavo avvicinandomi
per prendere la sua mammella!.
La sera, al rientro del padre, la m a t r i g n a si fece
avanti e gli disse: La m u c c a che ha colpito la mia
b a m b i n a n o n p u pi vivere i n casa m i a . M a r i t o
mio, domani tu la venderai. La venderai!. Egli le rispose: Moglie mia, Dio voglia farti ragionare: come
potrei vendere la m u c c a degli orfanelli? Chi me la
comprerebbe? Ho giurato alla loro madre, sul letto
di morte, che n o n me ne sarei m a i liberato. Hai
sentito? Tu venderai la mucca. La venderai o prender mia figlia per m a n o e ti lascer alla tua casa, ai
tuoi figli e alla tua mucca.
232

Invano egli la preg e la supplic. Alla fine dovette


cedere.
L'indomani trascin la mucca al mercato. Gli orfanelli piansero e si lamentarono. Quando fu arrivato
in piazza, il padre si mise a gridare: Chi vuole comprare la mucca degli orfanelli?. A ogni persona che
si avvicinava per chiedere: Che m u c c a questa?
egli diceva: la mucca degli orfanelli. Che Dio ci
preservi dalla maledizione degli orfani! era la risposta. Non priveremo gli orfani dei loro beni.
Al t r a m o n t o riport a casa la m u c c a e disse alla
moglie: Nessuno ha voluto c o m p r a r l a . Mi h a n n o
tutti detto: "Dio ci preservi dalla maledizione degli
orfani!".
Torn a portare la m u c c a al m e r c a t o altre due o
tre volte. Ma non trov nessuno che gliela comprasse. Allora sua moglie dichiar: Siccome non riesci a
venderla, la sgozzerai. Perch la mucca che ha colpito la mia b a m b i n a non pu pi vivere in casa mia.
Egli sgozz la mucca.
Gli orfanelli si r e c a r o n o allora al c i m i t e r o p e r
piangere sulla t o m b a della madre. Ma ecco che due
canne crebbero sulla tomba. Una dispensava burro,
l'altra miele. I bimbi si chinarono e si misero a succhiare u n o dopo l'altro.
Grazie alle canne, gli orfanelli, che erano deperiti,
ripresero il loro colorito bianco e roseo. Di nuovo la
matrigna pens: "Eccoli ancora con due guance che
s e m b r a n o m e l a g r a n e m e n t r e m i a figlia s e m p r e
secca e giallastra. Cos'altro avranno scoperto per ingrassare?".
Diede ordine alla figlia di seguirli e imitarli in tutto e per tutto. Johra li segu d u n q u e al cimitero. Li
vide accostarsi alla t o m b a della m a d r e e c h i n a r s i
sulle canne che vi erano spuntate per succhiarle. La
ragazzina torn dalla m a d r e per riferirle quello che
233

aveva visto. La m a d r e le disse: Non ti avevo raccom a n d a t o di fare tutto quello che li avessi visto fare?
Imitali in tutto, succhia anche tu le canne della tomba per avere anche tu guance rosee e candide.
Cos fece Johra l'indomani. Ma appena accostata
la bocca alle canne, ricevette da esse un getto di fiele
e di sangue. Fece ritorno vomitando per strada. Allora sua madre, furiosa, prese un vecchio piatto sbrecciato, lo riemp di brace, raccolse dei legni secchi e
corse al cimitero per bruciare la tomba. Per privare
gli orfanelli di ci che la provvidenza aveva loro concesso.
Aisha la vide bruciare la tomba. Aisha era cresciuta; stava ora uscendo dall'adolescenza. Disse al fratello pi giovane: Dal m o m e n t o che h a n n o bruciato
la t o m b a di nostra m a d r e non ci resta che l'esilio.
Si infil nel corsetto un pezzo di focaccia, prese per
m a n o il fratello e p a r t i r o n o dritti d a v a n t i a loro.
C a m m i n a c a m m i n a , al crepuscolo giunsero a u n a
foresta. Passarono la notte tra i r a m i di u n a palma
da datteri. Al mattino si rimisero in viaggio. Chiedevano la carit di villaggio in villaggio. Per strada si
i m b a t t e r o n o in u n a fonte: il ragazzo vi bevve e fu
trasformato in u n a gazzella.
Allora Aisha si sfil la lunga cintura di lana e la
leg al collo della gazzella. E da allora temette per
suo fratello e n o n se ne separ mai. Cos, se lo portava dietro mentre chiedeva la carit, e ogni sera cercava un luogo impervio, un luogo sicuro in cui nascondersi con lui. All'alba si rimetteva in viaggio.
Ma ecco che un giorno, in un villaggio, un sultano
la not. Ingiunse ai suoi servitori di condurgliela. Aisha si mise a correre, a correre come il vento. Il suo
fratello-gazzella la seguiva da presso. Una palma da
dattero gigantesca si p a r loro dinanzi: u n a p a l m a
che da terra arrivava al cielo. La gazzella si stese ai
234

piedi della palma, mentre Aisha si arrampicava fino


ai rami pi alti. Gli uomini che la inseguivano le dissero di scendere, ma essa rifiut. Essi le ripeterono
di scendere, ma essa rifiut u n ' a l t r a volta. Allora,
mentre gi si accingevano ad abbattere l'albero, Settut, la vecchia strega, biascic: Per questa notte, lasciatela stare. inutile abbattere la palma, mi incarico io di farla scendere d o m a n i . Ma se devo farle
prendere confidenza, dovete allontanarvi.
L'indomani Aisha guard tra i rami della palma e
vide u n a vecchia tutta curva: era Settut che aveva
portato un piatto di quelli che servono per fare le focacce e della farina avvolta in u n o straccio. Essa
scav un focolare ai piedi dell'albero, lo m u n di tre
grandi pietre e accese il fuoco. Appena scaturite le
fiamme, pos sul fuoco - alla rovescia - il piatto per le
focacce e si mise a preparare la pasta. Dall'alto dell'albero Aisha le rivolse la parola: Non cos, b u o n a
madre, che si posa il piatto per le focacce!. Settut rispose: Non so come fare, figlia mia. Io non ci vedo.
La ragazza g u a r d p r u d e n t e m e n t e tutt'intorno e
n o n vide n e s s u n o . Allora scese p e r aiutare Settut.
Ma appena toccata terra la strega la afferr e fece segno a quelli che volevano impadronirsi di lei. Fu cos
che Aisha v e n n e c o n d o t t a dal s u l t a n o . A lui essa
n a r r la sua storia fin dall'inizio. Gli r a c c o n t la
morte della madre, la morte della mucca. E gli disse:
a causa di mio fratello che sono fuggita davanti
ai tuoi servitori. Mio fratello ha bevuto l'acqua di
u n a fonte ed stato t r a m u t a t o in gazzella.
Il sultano ne fece la sua sposa. Aisha e il fratellogazzella vissero felici per qualche tempo. Il sultano
possedeva un i m m e n s o giardino; la gazzella poteva
percorrerlo in lungo e in largo a piacimento. In mezzo al giardino c'era un pozzo. E a questo pozzo n o n
si attingeva pi acqua: era troppo vecchio.
235

N o n pass molto t e m p o e nel regno si diffuse la


notizia che Aisha stava per dare alla luce un bambino. Il sultano era al settimo cielo, perch, p u r avendo sposato diverse mogli, nessuna gli aveva ancora
dato un erede. Una di queste mogli si ingelos di Aisha. Approfittando di un viaggio del sultano, attir
la giovane sultana vicino al vecchio pozzo, la fece sedere sul bordo, si accovacci ai suoi piedi e le disse:
Guarda che cos'ho tra i capelli, ho un prurito alla
testa. E mentre Aisha si chinava, la rivale la spinse
nel pozzo: e Aisha vi cadde dentro.
Da allora, la gazzella b r a m i v a p e r t u t t a la casa,
bramiva per tutto il giardino. La moglie gelosa aveva
un bel legarla, la gazzella rompeva i lacci, se ne andava fino al pozzo e si metteva a bramire girandovi
intorno.
La moglie gelosa fin per dire a un servo: Sgozzami questa gazzella!.
L'uomo prese un grosso coltello e si avvicin alla
gazzella. Ma questa lo guard con gli occhi pieni di
lacrime. Allora il domestico torn dalla p a d r o n a e le
disse: Non ce la faccio a ucciderla: questa gazzella
n o n un animale, bens un essere u m a n o . Mi guarda, e a me cadono le braccia!.
Uno dopo l'altro, la moglie gelosa chiese a tutti i
servi di sgozzargliela. Ma u n o dopo l'altro tutti le risposero: Non ce la facciamo a uccidere questa gazzella dallo sguardo umano.
Fin dall'aurora la gazzella si recava al pozzo. Si
chinava sul bordo e diceva alla sorella:
Stanno affilando lame
Per Al-povera-gazzella
O mia sorella Aisha, figlia di mia madre,
Liberami!
236

E la sorella gli rispondeva:


Aisha, tua sorella, nel pozzo
Aisha, tua sorella, nel pozzo
Essa non pu far nulla per te
Dio sia con lei e con te!
Ora, il Genio del pozzo era u n a fata-guardiana.
Quando Aisha era stata precipitata dalla malvagia rivale, la fata l'aveva afferrata al volo e condotta in u n a
grotta affinch essa vi mettesse al m o n d o il figlio del
sultano. La fata ebbe cura amorevolmente della madre e del bambino. Ma il pensiero fisso di Aisha era
sempre il fratello-gazzella: non appena sentiva la sua
voce lamentosa, rispondeva dal fondo del pozzo:
Aisha, tua sorella, nel pozzo
Aisha, tua sorella, nel pozzo
Essa non pu far nulla per te
Dio sia con lei e con te!
Solo lo Sheikh della Moschea poteva udirli, perch
lui solo passava accanto al pozzo prima del levar del
sole, in quell'ora in cui la gazzella aveva l'uso della parola. Fu cos che ud pi volte la gazzella dire al pozzo:
Stanno affilando lame
Per Al-povera-gazzella
O mia sorella Aisha, figlia di mia madre,
Liberami!
E fu cos che ud a n c h e il pozzo rispondere alla
gazzella:
Aisha, tua sorella, nel pozzo
Aisha, tua sorella, nel pozzo
237

Essa non pu far nulla per te


Dio sia con lei e con te!
Lo Sheikh della Moschea and a trovare il sultano
ritornato dal viaggio, e gli disse: Il tuo pozzo infestato! da presenze s o p r a n n a t u r a l i . D o m a n i all'alba
vieni con me e vedrai e udrai.
L'indomani il sultano si alz alle prime luci dell'alba e and a raggiungere lo Sheikh in giardino. Videro la gazzella sporgere la testolina oltre il bordo. Si
avvicinarono e l'ascoltarono mentre diceva lamentosamente al pozzo:
Stanno affilando lame
Per Al-povera-gazzella
O mia sorella Aisha, figlia di mia madre,
Liberami!
Udirono anche il pozzo rispondere alla gazzella:
Aisha, tua sorella, nel pozzo
Aisha, tua sorella, nel pozzo
Essa non pu far nulla per te
Dio sia con lei e con te!
Assai sorpreso, il sultano avanz verso il pozzo e
g u a r d dentro: vide u n a giovane d o n n a che alzava
tra le braccia un b a m b i n o cos bello che emanava luce intorno a s, perch i suoi capelli erano d'oro e
d'argento. Il sultano grid: Aisha! Chi ha potuto
portarla qui?.
La liber. I servitori denunciarono la malvagia rivale. Il sultano la fece decapitare.
Un bel giorno, lo Sheikh della Moschea chiese al
sultano: E questa gazzella, chi ?. Questa gazzella? il fratello della mia giovane sposa rispose il
238

sultano. Ha bevuto o mangiato qualcosa, non so bene cosa, che l'ha cos trasformato in gazzella.
Allora lo Sheikh prese dell'acqua (perch era anche un mago), pronunci delle parole magiche e fece
bere un po' di quest'acqua alla gazzella. Dopodich
la asperse con essa dicendo:
Se sei nata gazzella resta gazzella
Se sei nata uomo, ridiventalo
Per la forza di Dio e degli amici di Dio!
Fu cos che Ali ritrov la sua forma u m a n a e che
sua sorella e lui conobbero infine la pace e la felicit.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!

7. LA PRINCIPESSA S U M I S H A

Che il m i o r a c c o n t o sia bello e si d i p a n i c o m e un


lungo filo!
C'era u n a volta un re (bench n o n vi sia vero re
all'infuori di Dio) e questo re aveva un solo figlio, cui
diede il nome di Mehend. Fin dalla nascita, lo install al settimo piano del suo palazzo, nella stanza pi
riposta, la pi segreta, quella che si apriva non sulla
strada ma sul cielo, e incaric i servitori pi fedeli di
vegliare gelosamente su di lui. Raccomand loro soprattutto di non servire al figlio - appena fu in grado
di mangiarla - carne che non fosse priva di ossa.
Mehend visse al riparo dal male, visse da recluso e
raggiunse l'adolescenza ignorando tutto del mondo.
Ma un giorno un servitore gli port un piccolo cosciotto d'agnello che aveva trascurato di disossare. Il
principe lo mangi con grande appetito; quando rest solo l'osso, lo prese e lo batt contro il m u r o per
239

e s t r a r n e il midollo: il colpo fu cos violento che


sbrecci il muro, producendovi un foro da cui irruppero sole e luce a profusione. Abbagliato, il giovane
vi accost l'occhio. Vide allora quello che non aveva
mai visto: la folla sulla piazza del mercato. Usc come un pazzo dalla stanza, s'impadron di un puledro
senza perdere t e m p o a sellarlo e, aggrappato alla sua
criniera, si slanci al galoppo. La folla stupefatta lo
g u a r d e si apr p e r lasciar p a s s a r e il figlio del re,
avendolo riconosciuto. Settut, la vecchia strega, fu
l'unica a s b a r r a r g l i il passo. Dal m o m e n t o che
Mehend la spingeva, essa grid: Dimmi, Mehend,
figlio di re, non avrai per caso come moglie Sumisha
figlia di Hitin per essere cos fiero da calpestarmi?.
Il giovane se ne r i t o r n a p a l a z z o i m m e r s o nei
suoi pensieri. E n t r nella stanza in cui risiedeva la
m a d r e e si gett su un letto in preda ai brividi. La regina, inquieta, gli prese la mano: Figlio mio, disse
ti h a n n o gettato u n a fattura. Sguardi malevoli si sono posati su di te e ora eccoti preda dei demoni.
Essa m a n d a cercare lo Sheikh della Moschea,
ma questi, a dispetto di tutta la sua scienza, si dichiar impotente. Allora il principe m o r m o r : Se
Settut, la strega, venisse qui e facesse cuocere sotto i
miei occhi un semolino, io guarirei.
Una negra part i m m e d i a t a m e n t e alla ricerca di
Settut. La strega, appoggiandosi pesantemente a un
bastone, entr nella stanza in cui vi era il malato. Al
centro ardeva un fuoco su cui u n a pentola non tard
a bollire. Essa vi gett la semola in fine polvere e rimest pian piano per evitare che si formassero grumi. Mehend di scatto afferr la m a n o della strega e
la immerse nella minestra bollente. Settut url.
Non tirer fuori la tua m a n o finch non mi avrai
detto dove si trova Sumisha, figlia di Hitin disse il
240

principe. Allora, c o n la m a n o libera, essa indic


l'Oriente.
Il principe si diresse in fretta verso la propria camera, ordin che gli si preparassero delle provviste e
che gli si sellasse il cavallo. Poi si conged dai genitori. Il re e la regina lo supplicarono v a n a m e n t e di
restare. Egli rispose con voce ferma: Torner con
Sumisha come compagna o morir. Allora, col cuore desolato, lo lasciarono allontanarsi e lo seguirono
a lungo con lo sguardo.
Come u n a freccia, Mehend si diresse verso oriente. Viaggi per giorni e giorni, percorse pianure, attravers fiumi, valic montagne. Uccise serpenti nei
campi, uccelli nel cielo e belve nelle foreste. A tutti
quelli che incontrava domandava, instancabilmente:
Conoscete il paese di Sumisha, figlia di Hitin?. E
tutti indicavano a oriente e rispondevano: Va', va'
sempre in direzione del sol levante!.
Dopo molti giorni giunse in riva al m a r e e sulla
spiaggia vide un pescatore che aveva appena estratto
dall'acqua un pesce della g r a n d e z z a di un u o m o .
Questo pesce era a n c o r a vivo e si dibatteva ferocem e n t e per uscire dalla rete. Il pescatore aveva gi
sollevato il suo coltello quando il principe Mehend si
i n t r o m i s e e disse: Prendi il m i o cavallo e d a m m i
questo pesce.
Il pescatore pens a u n o scherzo. Si mise a ridere:
Chi mai scambierebbe il proprio cavallo con un pesce, p e r q u a n t o grande?. Ma il p r i n c i p e ripet:
Prendi il mio cavallo e d a m m i questo pesce. Allora
il pescatore liber il pesce e si allontan conducendo
via il cavallo per la briglia.
Mehend si stese sulla sabbia, accanto al pesce, e si
mise a riflettere; era lontano dal suo paese e dai suoi
genitori; aveva esaurito tutte le provviste e barattato
il cavallo con questo pesce. E n o n possedeva altro
241

che questo pesce. Si a d d o r m e n t . Nel sonno, sent


u n a m a n o posarsi dolcemente sulla spalla e ud u n a
voce che gli diceva: Alzati, Mehend, e partiamo.
Il sole si era appena ritirato dietro le montagne. Il
cielo, la sabbia e l'acqua ne erano tutti tinti di rosa.
Il principe si ridest, cerc il pesce e non lo vide. Fu
allora che n o t un giovane bello c o m e il c h i a r o r e
della luna. Lo s c o n o s c i u t o e r a di nobile s t a t u r a ;
guard Mehend e gli disse: Sono tuo fratello. Non
hai che da seguirmi e tutti i tuoi desideri s a r a n n o
esauditi.
Partirono. Insieme attraversarono i deserti, le pianure, i boschi e le foreste. Costeggiarono fiumi, percorsero contrade di volta in volta verdeggianti o povere e a t t r a v e r s a r o n o un g r a n n u m e r o di citt e
villaggi. Continuavano ad andare, col viso rivolto a
oriente, bevendo alle fonti che incontravano e chiedendo talora l'elemosina. Si guadagnavano da vivere
anche con lavori stagionali: d'inverno raccoglievano
le olive; nella bella stagione aiutavano nella mietitura, nella v e n d e m m i a , nella r a c c o l t a dei fichi o di
ogni tipo di frutti e di verdure. Passarono cos giorni, mesi, anni.
Mehend era un giovanotto dagli occhi limpidi, dai
capelli color granturco. Il suo compagno era b r u n o e
di statura imponente. La sua f r o n t e sembrava perdersi tra le nubi e i suoi occhi erano di un nero cos
brillante che era impossibile sostenerne lo splendore. Le mani e il viso emanavano u n a luminosit soprannaturale e dolce. Era senza et. Mehend lo amava come un fratello.
Sette anni e r a n o trascorsi da q u a n d o il principe
aveva lasciato il suo paese, da q u a n d o il suo amico e
lui erravano di contrada in contrada alla ricerca di
Sumisha, q u a n d o , un giorno d'estate, si t r o v a r o n o
davanti alle m u r a di u n a citt poderosa. Lo Sheikh
242

dall'alto del minareto chiamava i fedeli alla preghiera. Era mezzogiorno. I due viaggiatori erano coperti
di polvere e spossati. Avevano sete. Avevano fame. Si
f e r m a r o n o alla p r i m a p o r t a e chiesero in n o m e di
Dio u n a brocca d'acqua e un pezzo di focaccia. Una
vecchia serva port loro dell'acqua, u n a focaccia di
f r u m e n t o , dei fichi, dei datteri e u n a borraccia di
siero di latte. Bevvero e mangiarono, mangiarono e
bevvero, e si distesero su delle stuoie. Quando furono riposati, si bagnarono i piedi doloranti e si accinsero a ripartire. Appena usciti videro u n a moltitudine di corvi che volteggiavano s o p r a la casa pi
i m p o n e n t e e l'accerchiavano, s t r i n g e n d o l a q u a s i
d'assedio.
Cosa vengono a fare qui questi uccelli del malaugurio? chiesero a un passante i due amici. Dunque
non lo sapete? si stup il passante. Dovete essere
stranieri... Quella che vedete la dimora del nostro
signore. Alle finestre, ai muri e alle porte sono appese delle teste mozzate. Sono tutte queste teste che attirano i corvi. per esse, infatti, che questi uccelli
vengono qui ogni giorno. E dopo un lungo silenzio
il passante disse ancora: Un tempo, in questa citt,
vivevamo felici e tranquilli, perch il nostro signore
era il pi appagato di tutti gli uomini. Aveva u n a figlia bella come la luna nel cielo e dolce come l'erba e
il respiro dei fiori. Essa era la sua gioia. Viveva solo
per lei. Pazientemente le stava cercando u n o sposo
che fosse alla sua altezza e degno di regnare su di
noi un giorno, quand'ecco, all'improvviso, la nostra
principessa cadde a m m a l a t a di u n a grave malattia.
Da allora essa non parla, non sorride e deperisce in
c o n t i n u a z i o n e . E s che m a n g i a e beve. Ma t u t t o
quello che mangia, invece di andare a suo profitto,
va a profitto dei geni malvagi che si sono impadroniti di lei. Invano il padre ha chiamato maghi e fattuc243

chiere. Sheikh, scienziati, maghi e fattucchiere si sono dovuti riconoscere impotenti. Allora, disperato, il
n o s t r o signore ha p r o m e s s o la figlia in sposa a
chiunque l'avesse guarita, fosse anche stato un mendicante. Ma giur anche che tutti coloro che, dopo
aver visto la principessa, avessero fallito, sarebbero
stati decapitati, e la loro testa sarebbe stata data in
pasto ai corvi. Un gran n u m e r o di uomini giovani e
vecchi s o n o accorsi da tutti i paesi, spinti gli u n i
dall'amore, gli altri dall'avidit. Ma nessuno riuscito a guarire la nostra principessa e tutti ebbero la testa tagliata. Quelle che vedete da qui sono le loro teste. Il passante tacque, poi aggiunse: La sventura
sulla nostra citt.
Allora il giovane dalla statura imponente e dagli
occhi di falco dichiar: Guarir io la giovane principessa!. Fratello mio, grid Mehend, impallidito
non mi lasciare, tu che ho incontrato sulla mia via
mentre ero solo e lontano dal mio paese. Ricordati
che senza di te non sarei in grado di ritrovare colei
che cerco. Non temere rispose il giovane dagli occhi di falco. Sono sotto la protezione di Dio.
Poco dopo era al capezzale della principessa che
s e m b r a v a d o r m i r e . Egli le disse: O S u m i s h a , pi
bella della luna nel cielo, possa tu levarti davanti a
noi come un melo in fiore! Ascolta questa storia. Tre
fratelli, appena adolescenti, abbandonarono un giorno il tetto paterno per percorrere il mondo. Si amav a n o di un a m o r e assai tenero. P r i m a di lasciarli
partire, il p a d r e r a c c o m a n d loro solennemente di
a m a r s i s e m p r e e di n o n s e p a r a r s i mai. Essi glielo
promisero e si allontanarono. C a m m i n a r o n o a lungo, finch, u n a mattina, giunsero a u n a foresta. Era
immensa, quella foresta; in u n a giornata non riuscirono ad attraversarla tutta. La notte li sorprese ancora al suo interno. Dovettero rifugiarsi in u n a ca244

verna. Il pi giovane ebbe l'incarico di accendere il


g r a n d e fuoco per tenere a distanza le belve feroci,
m a n t e n e n d o l o acceso m e n t r e i fratelli dormivano.
La luna piena illuminava la foresta in m o d o meraviglioso. All'improvviso gli occhi del fratello che vegliava si soffermarono su un arboscello vivo e flessuoso come un corpo u m a n o che, all'ingresso della
caverna, ondeggiava e fremeva sotto la luna c o m e
u n a f o r m a femminile. Con un colpo di scure il giovane lo tagli. E si mise a scolpirlo, dandogli un volto.
Il fratello maggiore si ridest e venne a sedersi acc a n t o al fuoco. E s s e n d o un sarto, fece u n a t u n i c a
per l'arboscello e si r i a d d o r m e n t , con la testa del
fratello minore appoggiata alla spalla. I due dormivano da un po' quando il secondo di et si ridest a
sua volta: accanto a s scopr u n a d o n n a i m m e r s a
nel chiarore lunare. Si mise a implorarla nella notte:
"Per Dio e il suo Profeta, o donna, guardami, parlami e dimmi chi sei!". Ed essa gli rispose in un bisbiglio: "Io sono colei che ti ama". Il maggiore e il minore dei fratelli udirono queste parole. Si alzarono e
si gettarono sul secondo, armati dei loro coltelli. E i
tre fratelli uniti c o m e le dita di u n a m a n o , che si
a m a v a n o di un a m o r e cos tenero, si uccisero a vicenda per la donna-arboscello che altri n o n era se
non u n a fata malvagia. E la donna-arboscello pianse
il giovane che amava e la felicit che l'aveva abband o n a t a . Ma v e d e n d o cadere il c o r p o dell'amato,
giur, la subdola, di sottrarre la gioia e la salute alla
pi bella ragazza del mondo.
E il giovane dagli occhi di falco riprese, con la voce pi imperiosa, guardando intensamente la ragazza: Per la grazia di Dio che grande e per la mia, o
fata malvagia, esci da questa ragazza, io te lo ordino.
Te lo o r d i n o p e r la grazia di Dio e degli amici di
Dio!.
245

Sumisha, la principessa, chiuse lentamente le palpebre e spalanc la bocca: ne fuoriusc u n a lunga vipera nera che si dissolse in u n a nuvola di fumo: era la
fata malvagia che Sumisha aveva ingoiato inavvertitamente, u n a notte, bevendo l'acqua di u n a fonte.
Allora, le teste dei suppliziati f u r o n o deposte in
fretta e i corvi si allontanarono in voli pesanti e serrati. A tutte le finestre fecero la loro comparsa uccelli
delle isole. Il cielo cantava a squarciagola: Sumisha,
la nostra principessa, ritornata in vita; gli spiriti
malvagi l'hanno abbandonata!. E l'acqua lo diceva
alle radici, e le radici lo dicevano agli alberi che riprendevano questo canto con tutte le loro foglie. In
un frullo d'ali, i passerotti, le rondini, le colombe, i
fringuelli, i merli e via via fino agli scriccioli - tutti
uccelli che avevano abbandonato i giardini da tantissimo tempo - presero a volare verso la stanza di Sumisha. Allora gli uomini seppero che era tornato il
tempo della fiducia: ricominciarono a vivere e a lavorare. Le sorgenti, che la disgrazia aveva prosciugato,
ripresero a scorrere. L'erba e i fiori crebbero magnifici e folti. Allora, tutto il reame si prepar a celebrare
le nozze della principessa. I taglialegna abbatterono
tronchi enormi. Ciascuno offr il proprio f r u m e n t o
pi brillante e le donne prepararono cantando il cuscus delle nozze. Tra le danze e le risa vennero sacrificati dei vitelli e anche degli agnellini. Cominciarono i
festeggiamenti che durarono sette giorni e sette notti.
Infatti per sette giorni tamburi e tamburelli, pifferi e
clarinetti riempirono ogni dove di canti e ritmi. Per
sette giorni e sette notti la polvere da sparo fece sentire alta la propria voce, propagando la gioia fino ai
confini del regno, e i trilli delle donne si innalzarono
nel cielo come fuochi artificiali.
Per tutti questi giorni e queste notti, le m a n i del
sultano f u r o n o come fontane di abbondanza. I pove246

ri presero anch'essi parte ai festeggiamenti e si credettero alla pari dei privilegiati di questo mondo. Il
sultano fece distribuzioni di semola, di carne e di
spezie; diede abiti e calzature scarlatte ai mendicanti e fece doni alle moschee. Giacch a ognuno il sultano sembrava dire: "O tu, che hai condiviso la mia
pena, vieni e gioisci con me".
La sera delle nozze, Sumisha, meravigliosamente
a g g h i n d a t a sotto un lungo velo di tulle con stelle
d'oro che l'avvolgeva tutta quanta, attendeva pazientemente il suo sposo nella stanza nuziale, seduta su
soffici tappeti, con le candide m a n i ricoperte di anelli. Apparve allora Mehend, seguito dal giovane con
gli occhi di falco. Rivolgendosi alla principessa stupefatta, colui che l'aveva salvata le disse: O giovanetta pi bella della luna nel cielo, io n o n posso essere t u o sposo, p e r c h s o n o il Genio del m a r e e le
acque sono il mio regno. Ma ascolta la mia avventura: un giorno, per divertirmi, ho assunto la f o r m a di
un e n o r m e pesce. E stavo ridendo della mia metamorfosi quando mi sentii imprigionare nella rete di
un pescatore e venni estratto dall'acqua e gettato con
violenza sulla spiaggia. Il m i o d i b a t t e r m i fu vano.
Gi un coltello era alzato su di me q u a n d o sopraggiunse l'uomo che qui vedi. Egli offr il suo cavallo al
p e s c a t o r e e o t t e n n e me in c a m b i o . Poi si a d d o r m e n t p r o f o n d a m e n t e sulla sabbia. Approfittando
del suo sonno, ripresi la mia f o r m a u m a n a per vegliare su di lui. Egli aveva a b b a n d o n a t o i genitori e il
suo p a e s e p e r a n d a r e alla r i c e r c a di S u m i s h a , la
principessa lontana di cui Settut, la strega, gli aveva
rivelato l'esistenza. Sono sette anni che non ci lasciamo, lui e io, e c a m m i n i a m o in direzione di te, Sumisha, volgendo s e m p r e il viso a oriente. lui il t u o
sposo: figlio di re.
E il giovane dagli occhi di falco scomparve, la247

sciando soli con la loro gioia Mehend e Sumisha figlia di Hitin.


Mehend e Sumisha si a m a r o n o come due colombi. Quando il cielo diede loro un erede, la loro felicit n o n ebbe pi limiti. Mehend scelse il giorno
della nascita del figlio per recarsi dal sultano e parlargli in questi termini: O re onnipossente, permetti che ti racconti la mia storia, prima di giudicarmi.
Tu mi hai dato la tua unica figlia, credendo che essa
mi spettasse. Senza dubbio ignoravi che nessun essere al m o n d o aveva il potere di salvarla, e che il
mio solo merito, di me povero principe, era quello
di amarla pi del vasto cielo e di averla cercata perdutamente per tutta la terra. Un altro ha invece fatto per me quello che io non potevo fare. Giacch colui che ha richiamato in vita la principessa per la
tua e la nostra felicit, o re, il Genio del mare. Egli
l'ha conquistata come sai, non per s ma per me, e
ha fatto ritorno al suo impero marino che da sette
anni aveva abbandonato, lasciando noi due, tua figlia e me, faccia a faccia nella stanza nuziale. Era
ancora qui per unirci, con la sua statura imponente
e il suo viso luminoso q u a n d o all'improvviso non lo
vedemmo pi! Grande fu il mio smarrimento, nonostante la presenza di Sumisha, che mi abbagliava
come u n a lampada nella sua veste nuziale. O re, da
sette anni era mio amico e fratello, vegliava su di
me giorno e notte. Ero appena un adolescente quando lo incontrai. Ero appena sfuggito per miracolo
alla sorveglianza tirannica di un padre che mi costringeva a vivere come un recluso. Giacch per isolarmi dal m o n d o e da ogni bruttura, mio padre - un
sultano nobile come te - mi install, fin dalla nascita, al settimo piano del suo palazzo, nella camera
pi riposta, quella le cui finestre si aprivano tutte
sul cielo. Nessuno doveva accostarsi a me al di fuori
248

di mia madre e dei servi pi fedeli, che avevano la


consegna di n o n p o r t a r m i che c a r n i disossate. E
m i o p a d r e , nel s u o a c c e c a m e n t o , si felicitava di
avermi cos s o t t r a t t o alle tentazioni, e godeva in
cuor suo del fatto che non mi sarebbe mai potuto
venire il desiderio di a b b a n d o n a r l o p e r vedere il
mondo! Non sapeva che Dio aveva deciso di rivelarmi lo splendore della sua creazione. Sia benedetto
quel servo distratto che, un giorno d'estate, mi port
un cosciotto d'agnello non disossato! Il sole era alto
nel cielo. La noia, u n a nostalgia indefinibile mi illanguidivano. Quand'ebbi mangiato, presi l'osso e lo
scagliai contro il m u r o per farne fuoriuscire il midollo. Gli angeli mi prestarono la loro forza?... Per
l'urto nel m u r o si apr u n a fessura e un fiotto di luce
inond la stanza. Mi avvicinai e vidi quello che non
mi si era ancora mai presentato alla vista: la piazza
del mercato, la folla in movimento e tutte le ricchezze esposte in pieno sole, tra gli uomini e gli animali:
la frutta, le verdure, i cereali e i fiori. Come ho lasciato la mia celletta e mi sono trovato nella scuderia di mio padre n o n saprei dirlo, o re! Ero a malapena cosciente di quello che facevo. Mi sembra di
rivedermi m e n t r e , a g g r a p p a t o alla criniera di un
giovane puledro, mi lanciai verso il mercato. La folla che mi vide mi riconobbe dalla mia cavalcatura e
si fece da parte (io ero inesperto e il puledro era focoso). Solo S e t t u t ebbe l ' a u d a c i a di s b a r r a r m i il
cammino. Essa mi disse: "Non avrai per caso come
moglie Sumisha figlia di Hitin, o Mehend, per essere cos fiero da calpestarmi?" (mi sembra ancora di
sentire la sua voce stridula). Dopo avermi piantato
questa spina nel cuore, essa scomparve e io feci ritorno al palazzo malato d'amore ma risoluto a scoprire Sumisha o a morire. Solo Settut poteva aiutarmi, ma come indurla a farlo, se n o n con l'astuzia?
249

Allora, fingendo u n a forte febbre, convinsi mia madre che se la strega avesse preparato sotto i miei occhi un semolino io sarei guarito. Essa venne per ord i n e del s u l t a n o , m i o p a d r e . A p p r o f i t t a n d o del
m o m e n t o in cui stava r i m e s t a n d o il semolino, di
scatto le immersi la m a n o nel liquido bollente. Essa
url. "Non ti tirer f u o r i la m a n o finch n o n mi
avrai indicato la strada che porta a Sumisha" le dissi con fermezza. Allora, con la m a n o libera, essa mi
indic l'oriente. A tutti quelli che incontravo domandavo, instancabilmente: "Conoscete il paese di
S u m i s h a , figlia di Hitin?". E t u t t i i n d i c a v a n o a
oriente e rispondevano: "Va', va' sempre in direzione
del sol levante!". Avevo gi esaurito le mie provviste
e il d e n a r o che m i o p a d r e mi aveva c o n s e g n a t o ,
q u a n d o arrivai alla riva del mare. Un pesce enorme
si dibatteva vanamente in u n a rete, e il pescatore gi
levava su di lui il suo coltello q u a n d o offrii in cambio il solo bene che mi rimanesse: il mio cavallo. E
rimasi solo sulla riva, con il mio pesce. Le preoccupazioni, lo scoraggiamento mi attendevano al varco.
Il caso volle che mi addormentassi sulla sabbia tiepida e n o n mi ridestassi che al tramonto. Una m a n o
salda e tenera mi toccava la spalla, u n a voce suadente mi diceva all'orecchio: "Mehend, alzati e seguimi". Ora, il pesce era scomparso, e davanti a me
vi era il giovane dagli occhi di falco che doveva salvare tua figlia! Divenne come un fratello per me. Per
sette anni a b b i a m o errato per il mondo, alla ricerca
del tuo regno e di quanto di pi prezioso tu possedevi: tua figlia. Egli ha fatto di me l'uomo che tu vedi. Mi ha condotto fino al tuo palazzo, lui che trionfa sui misteri. E ora, o re potente e rispettato, tu
conosci la mia storia. Non legittimo che io vada
verso quel padre il cui delitto stato quello di avermi troppo a m a t o e verso quella madre che mi pian250

ge da tanti anni? Trattieni presso di te il nostro piccolo: sar il tuo erede. E lasciaci andare, tua figlia e
me, verso mio padre e mia madre.
Figliolo, rispose gravemente il sultano tutto ci
che hai appena detto giusto. Tratterr con me il principino. Egli sar la mia gioia. Non appena mia figlia
sar pi in forze vi metterete in cammino, quand'anche ci mi dovesse costare non poche lacrime.
Sumisha, ripresasi dal parto, pot intraprendere il
viaggio in primavera. Il sultano le diede u n a scorta
scelta e u n a lunga carovana di muli carichi di u n o
s p l e n d i d o c o r r e d o e di i n n u m e r e v o l i doni. E
Mehend, cullato dal passo del suo cavallo nero, pregustava strada facendo la gioia che avrebbe recato ai
suoi genitori e al suo popolo. "Mi c r e d e r a n n o
senz'altro morto" pensava ogni tanto con u n a certa
tristezza "e vi sono sorprese troppo forti che posson o f a r cedere u n c u o r e d i m a m m a logorato dalla
sventura e dall'attesa..." Giacch egli non sapeva che
sua m a d r e era stata avvisata del suo ritorno (ma poteva forse i m m a g i n a r e che col favore del cielo sua
m a d r e lo aveva seguito tappa per tappa, a dispetto
della distanza e del silenzio, per questi otto anni di
assenza, lunghi come un secolo?).
La povera regina aveva versato torrenti di lacrime
dopo la partenza del figlio per il paese di Sumisha, e
per giorni e giorni si era tenuta alla larga dalla luce e
dal cibo. Dio fin per muoversi a compassione e le
invi un sogno. E da allora essa conobbe la pace.
Era u n a notte di forte vento. La regina, spossata,
si era a p p e n a assopita q u a n d o vide, al posto della
breccia fatta nel m u r o dall'osso del cosciotto, un'alta
finestra tutta di m a r m o bianco. Davanti a questa finestra, in un'enorme giara, u n o slanciato melograno
era sbocciato al sole. La regina ud u n a voce che le
sussurrava nell'orecchio: Fintanto che quest'albero
251

che vedi avr le foglie verdi, la salute di t u o figlio


p r o s p e r e r . Q u a n d o esso avr dei fiori, t u o figlio
gioir. Quando avr due frutti, tuo figlio si sposer.
Q u a n d o ne avr tre, t u o figlio avr un b a m b i n o . E
ogni volta che si accrescer la famiglia, tu vedrai apparire un nuovo frutto.
Appena sveglia, la regina fece aprire u n a finestra
nella s t a n z a di M e h e n d , al p o s t o della breccia, e
piantare in u n a giara un giovane melograno, che colloc in piena luce davanti alla finestra. Poi si fece
portare il letto, gli abiti e gli oggetti familiari accanto a questa finestra e a questo melograno.
L'albero crebbe. Conserv miracolosamente le foglie estate e inverno. Per sette anni, continu a produrre fiori. La m a d r e fiduciosa pensava: "Mio figlio
sta bene". E visse felice e tranquilla vicino a quest'albero.
Sul volgere dell'ottavo a n n o , si f o r m a r o n o d u e
melagrane. La m a d r e corse ad annunciare la notizia
al sultano: Nostro figlio ha incontrato la donna che
a m a e l'ha sposata!. Il sultano sorrise tristemente
senza osare contrariarla.
L'anno successivo apparve u n a terza melagrana:
Nostro figlio ha avuto un bambino disse la m a d r e
con aria trionfante al sultano. Nostro figlio ritorner. Pu darsi che sia addirittura gi in viaggio! Il
sultano n o n seppe cosa risponderle. Ma tale era la sicurezza della moglie che si mise a sognare i grandi
f e s t e g g i a m e n t i che avrebbe o r d i n a t o in o n o r e di
questo ritorno.
Mehend e Sumisha avevano lasciato lontano alle
loro spalle il paese d'Oriente. Quelle che venivano loro incontro erano ora le terre dell'Occidente.
La regina ripeteva ogni giorno, con aria fiduciosa:
S a r a n n o qui d o m a n i . E interrogava il cielo e la
strada, mentre Sumisha si lasciava portare dalla sua
252

giumenta azzurra veloce come un fulmine. E cercava di percepire la voce lontana della polvere mentre
Mehend, ardente di impazienza, spronava il suo cavallo nero, gridando alla sua interminabile scorta di
affrettarsi, dal m o m e n t o che le frontiere del regno
erano da poco in vista.
La regina, quel mattino, si era vestita di porpora.
La voce della polvere riempiva tutto il cielo. E la terra
tremava per il galoppo dei cavalli. Accanto all'albero
magico, essa pettinava con cura i suoi lunghi capelli
di seta. La speranza l'aveva m a n t e n u t a giovane e bella. E Mehend, abbagliato, la scorse di lontano.
In un baleno fu alle porte del palazzo.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!

8. IL FLAUTO D'OSSO

Nei tempi pi antichi, in uno sperduto villaggio della


Cabilia, viveva u n a famiglia composta da padre, madre e due figli. Il maggiore, Abderrahman, aveva dieci
anni. Il pi giovane, Hassan, ne aveva solo sette.
Quanto Hassan era bello, tenero e grazioso altrettanto
Abderrahman era brutto, subdolo, tetro e spiacevole.
D'inverno, durante le veglie, q u a n d o le porte erano chiuse e il bestiame dormiva sotto lo stesso tetto,
vicinissimo agli umani, la madre, seduta davanti al
fuoco, attirava a s la testolina graziosa del piccolo
Hassan e la appoggiava sulle sue ginocchia per accarezzarla a p i a c i m e n t o m e n t r e bisbigliava le tenere
ninne-nanne che nascevano nel suo cuore. Fuori, il
vento soffiava, accumulando contro le porte e le fin e s t r e p e s a n t i c u m u l i di neve. E il b a m b i n o , cos
cullato, si addormentava dolcemente, sotto l'occhio
malevolo del fratello.
253

Non che la m a d r e non amasse il figlio maggiore,


del quale pure si prendeva cura. Per lo viziava di meno, gli dispensava m e n o carezze, considerandolo gi
un ometto e volendolo preparare alla vita rude che lo
attendeva. Inoltre, va detto, non che ne fosse incantata. Ora, ecco che, all'insaputa della madre, la gelosia prese a germogliare nel cuore del figlio maggiore e
crebbe come u n a cattiva pianta, nera e spinosa.
Gli inverni e le primavere, le estati e gli autunni si
susseguirono, e il t e m p o trascorse. I b i m b i e r a n o
adesso degli adolescenti che conducevano al pascolo
le greggi sulle creste dei monti. Partivano all'alba,
p o r t a n d o con s u n a focaccia d'orzo, dei bei fichi
biondi, un uovo sodo e qualche volta delle olive, oltre a u n a borraccia di siero di latte. E trascorrevano
le loro giornate tra le montagne, vicino al cielo.
Il maggiore, Abderrahman, era cresciuto come un
bastone di aloe. Era lungo e gracile, e pallido come
la paura. Aveva la fronte bassa e chiusa, lo sguardo
s f u g g e n t e e u n a voce di cui n e s s u n o conosceva il
s u o n o o il colore, p e r c h egli era e t e r n a m e n t e di
u m o r nero. Talvolta la madre gli si accostava per dirgli: La tua fronte dura e nodosa come la radice di
un albero. Eppure hai un padre e u n a madre e non
m a n c h i di nulla. Non potresti imitare un po' tuo fratello? Guarda come il Signore l'ha creato aggraziato:
"La sua bellezza si fa beffe degli ornamenti, essa illumina i sentieri".
La m a d r e , accecata, n o n sospettava n e p p u r e di
gettare olio sul fuoco. Abderrahman detestava ferocemente il fratello. Hassan era troppo biondo, troppo roseo e troppo fortunato. Neppure il sole implacabile d'agosto, questo sole capace di abbattere un
somaro, impediva al suo colorito di essere diafano e
fresco, e ai suoi occhi di essere verdi e lucenti come
l'erba dei prati. Ma quelli che il fratello maggiore de254

testava erano soprattutto i suoi capelli, capelli lisci e


brillanti che la madre si dilettava ancora ad accarezzare davanti al fuoco. Tanta bellezza e grazia erano
un'offesa per Abderrahman e lo facevano soffrire. Il
povero H a s s a n , da p a r t e sua, n o n notava nulla. Il
fratello aveva un bel trattarlo con asprezza, picchiarlo qualche volta anche selvaggiamente e mangiare la
parte pi grande del pasto, lui non si lamentava di
nulla e continuava a far risuonare la m o n t a g n a dei
suoi canti e delle sue risa, perch era come gli uccellini, felice di vivere e colmo di spensieratezza.
Un giorno di tempesta, il fratello maggiore ritorn
a casa s e n z a il suo a m a b i l e c o m p a g n o . Le capre,
spaventate, si erano ribellate e disperse per la montagna. Avevano dovuto chiamarle e cercarle a lungo,
con la pioggia e il vento, i n c u r a n t i dei tuoni e dei
lampi. La violenza e la follia del tempo avevano finito per aver ragione del cuore nero del fratello maggiore?... Perch fu quel giorno che Abderrahman sospinse il suo giovane fratello gi da u n a r u p e . La
testolina graziosa a n d a s c h i a n t a r s i c o n t r o delle
grosse pietre, in f o n d o a un precipizio. Abderrahm a n si cal a ricoprire di terra il povero corpicino e
attese la fine della tempesta per fare ritorno a casa.
Dal m o m e n t o che i suoi genitori si stupirono al vederlo tornare solo, egli raccont loro di avere perso
di vista il fratello nella tormenta, e che questi doveva
essere stato trascinato via dal fiume, e aveva probabilmente trovato la sua t o m b a in un crepaccio. I genitori a l l a r m a t i chiesero l'aiuto dei loro p a r e n t i e
amici. Si f o r m cos u n a comitiva che part alla ricerca del bell'adolescente. Ma n nel fiume, n nelle
s c a r p a t e fu pi t r o v a t a t r a c c i a di colui che e r a la
bont e la grazia personificate.
Il padre e la m a d r e avevano perso in un colpo solo
la gioia dei loro occhi. La casa che rispecchiava il
255

b u o n u m o r e e il carattere solare del piccolo precipit


per sempre nel lutto. La madre fu colpita da u n a malattia grave che, se non se la port via, la lasci com u n q u e inferma. Il padre, che sembrava sopportare
il dolore con pi coraggio, divenne ben presto cieco.
Il fratello colpevole, ogni giorno pi cupo, che faceva? Si pentiva forse o, al contrario, si compiaceva,
nell'intimo, di essersi sbarazzato per sempre dell'essere delizioso che odiava?
Chi si ricordava ancora, a questo punto, del povero Hassan?... Molti anni erano passati. Il dolore dei
genitori non era pi cos vivo. Il ragazzo taciturno si
era fatto un u o m o che rifiutava ferocemente di prender moglie e fuggiva ogni compagnia. Il suo viso affilato e pallido come u n a pietra faceva paura ai b a m bini, che si m e t t e v a n o in salvo c o m e uccellini
spauriti non appena lo scorgevano.
Ma era scritto che il delitto di Abderrahman n o n
rimanesse per sempre ignorato, che la giustizia implacabile di Dio facesse luce.
Da molto tempo le piogge avevano dilavato la terra che ricopriva il corpo di Hassan, facendo affiorare
le sue ossa. Il sole le aveva calcinate, il vento le aveva
disperse. Gli a n i m a l i le avevano 'portate l o n t a n o .
Tutto quello che rimaneva era l'osso dell'avambraccio. Un giovane pastore not quest'osso bianco come
il gesso e ripulito al sole, un giorno che inseguiva
nella scarpata u n a capra fuggitiva. Lo raccolse e se
ne fece un flauto. Quando ebbe fatto sette buchi e intagliato l'estremit, volle ricavarne dei suoni. Ma app e n a port alla bocca il flauto, u n a voce cristallina si
mise a cantare:
O pastore, perch ridestarmi?...
Da dieci anni io dormivo...
Mio fratello Abderrahman m'ha sospinto
256

Dall'alto di una rupe


Nel precipizio.
La terra franata
Ha ricoperto il mio corpo.
Il pastore si rec al villaggio per fare udire sulla
pubblica piazza la voce meravigliosa del flauto. Da
molto t e m p o la m a d r e era m o r t a dal dispiacere. Il
padre cieco non usciva pi di casa. Ma il colpevole,
che passava di l per caso, comprese che il suo delitto era stato scoperto. Lasci immediatamente il villaggio per non farvi mai pi ritorno. Nessuno conobbe la fine del suo triste destino. Ma tutto quanto il
paese, informato dal flauto, cant la morte tragica di
Hassan, l'adolescente che Dio si era compiaciuto di
adornare di tutti i doni e di tutte le grazie.

9. I CAVALLI DI L A M P I E DI V E N T O

Che il m i o r a c c o n t o sia bello e si d i p a n i c o m e un


lungo filo!
C'erano u n a volta due gemelli che erano del tutto
identici: stessi capelli biondi, stessi occhi azzurri,
stessa carnagione chiara, stessa statura. Uno si chiam a v a Ahmed e l'altro Mehend. La loro m a d r e , per
distinguerli, aveva f o r a t o a u n o l'orecchio destro e
all'altro quello sinistro. Essi le erano cari come il cielo, dal m o m e n t o che era vedova e non aveva nessun
altro al mondo.
Il padre aveva lasciato loro qualche sostanza. App e n a ne f u r o n o in grado, i ragazzi a n d a r o n o nei
campi e custodirono le greggi. Vissero senza preocc u p a z i o n i fino all'adolescenza. M a u n giorno u n o
disse all'altro: Questa vita n o n mi piace. Recarmi al
mattino da casa ai campi e la sera dai campi a casa,
257

no! Sono stufo dei prati e del cielo di qui. Voglio scoprire il mondo. Ma, fratello, rispose l'altro nostra madre n o n ha che noi... Il p r i m o lo interruppe:
Tu veglierai su nostra madre, sulla nostra casa e sui
nostri beni. E io partir da solo sul mio cavallo di
lampi e di vento. Prender la m i a carabina, la mia
sciabola e u n o dei nostri levrieri, lasciando a te l'altro. Pianter un albero: fintantoch le sue foglie sar a n n o verdi, sta' sicuro che d o v u n q u e io mi trovi
sar in b u o n a salute. Se le vedrai ingiallire, allora
capirai che mi capitata u n a sventura, e volerai in
mio soccorso. Il levriero che ti lascio ti condurr fino a me.
Prese la sua sciabola, la sua carabina, il suo levriero e part sul suo cavallo di lampi e di vento.
E r a da poco in viaggio q u a n d o incontr due pastori di capre. E r a n o assai contrariati e agitati. Gli
dissero: Lo sciacallo ci m a n g i a t u t t o il b e s t i a m e .
Questa notte lo attenderemo al varco. Veglier con
voi dichiar il giovane. Se ci libererai da lui, ripresero i caprai ti daremo u n a capra.
Egli uccise lo sciacallo nel c u o r e della notte, al
m a t t i n o scelse la sua capra e disse ai pastori: Custoditela fino al m i o ritorno. Dopodich si allontan. Cavalcava da molto tempo quando lo fermarono dei pecorai: Per Dio, gli dissero uccidi
l'uccello predatore che afferra tra le sue grinfie i nostri agnelli!.
Nell'ora in cui il sole pi potente, l'ora calda in
cui i pastori si riposano sotto gli alberi, un'aquila discese dal cielo. Mentre stava per gettarsi in picchiata
su un agnello, ricevette un colpo mortale e si abbatt
al suolo, con le ali distese. I pastori presero a gridare: Che Dio rafforzi il tuo braccio. Noi ti siamo grati! Adesso, scegli la t u a pecora. Egli indic la pi
bella e disse: Custoditela f i n o al m i o ritorno. E
258

prosegu il suo viaggio. Continu ad andare, ad andare, ed ecco che lo scorsero dei m a n d r i a n i . Essi
corsero da lui, dicendogli: Dio che ti m a n d a per
liberarci da u n a tigre mostruosa che, ogni notte, divora u n o dei nostri animali!. Il giovane ebbe ragione a n c h e della tigre. I m a n d r i a n i gli d i e d e r o u n a
mucca (la pi bella). Ma egli disse loro: Custoditemela, ritorner.
E risal sul suo cavallo di lampi e di vento. Stava
percorrendo grandi distese aperte quando dei custodi di giumente si lanciarono per sbarrargli la strada:
La t u a f a m a giunta fino a noi gli dissero. Accetta la nostra ospitalit e uccidi il leone che non solo
di notte, ma anche di giorno ci sottrae le nostre giumente.
Il giovane si nascose dietro un albero e tese un'imb o s c a t a al leone. Ud da l o n t a n o il leone avanzare
ruggendo. Lo lasci avvicinare e mir alla sua fronte, p r o p r i o in mezzo agli occhi. Il leone croll e il
giovane ricevette u n a nobile giumenta. Ma disse a
coloro che gliela offrivano: Custoditela fino al mio
ritorno.
E si allontan sul suo cavallo di lampi e di vento.
Ma degli allevatori di cammelli lo bloccarono. Gli
dissero: Conosciamo le tue gesta da prode; hai ucciso u n a tigre, un leone. Ma un animale feroce, n o n
sappiamo quale (tigre, leone o pantera), ci sta decim a n d o il gregge. Se tu trionferai su di lui, ti d a r e m o
quello che vorrai.
Il giovane uccise l'animale (era u n a pantera), scelse u n a cammella e disse agli allevatori di cammelli:
Custoditemela, ritorner .
Dopodich si affid al suo cavallo di lampi e di
vento e si lasci trasportare da lui. Viaggi, viaggi,
giorno e notte, incessantemente.
Attravers fiumi, percorse pianure, valic monti.
259

Lasci in lontananza il suo paese, sempre pi distante alle sue spalle, e penetr in u n a contrada fertile e
verdeggiante. Un grande villaggio apparve alla sua
vista; egli vi entr. Un banditore stava proclamando
per le vie: Il sultano fa sapere: "A colui che liberer
il mio reame dal drago-dalle-sette-teste che impedisce alla gente e agli animali di avvicinarsi alla fonte,
c o n d a n n a n d o l i a m o r i r e di sete, a c c o r d e r quello
che domander".
Mehend si rec nel luogo in cui si r i u n i v a n o gli
anziani e i notabili. Si fece avanti e chiese: Informatemi: chi questo drago che c o n d a n n a alla sete
tutta la contrada?.
Uno di essi rispose: un drago che ha sette teste
e u n a coda temibile; se ne sta vicino alla fonte. L'uomo o l'animale che osa andare fin l perduto: viene
preso tra le sette teste e la coda del drago, e in un
lampo di lui n o n resta pi nulla.
Il giovane riflett e di nuovo chiese: Tra tutte le
ricchezze del sultano, qual la pi preziosa?. Sua
figlia, rispose il pi anziano dell'assemblea la sua
unica figlia che supera in bellezza tutte le fanciulle
del regno. B i a n c a e rosea, g r a z i o s a e a s s e n n a t a , i
suoi capelli sono morbidi e r a m a t i come quelli del
mais. Quanti pretendenti sono venuti invano da ogni
dove per sposarla! Il sultano n o n la d a r che a un
u o m o valoroso, capace di azioni da prode.
Domani, sul far del giorno, conducetemi al luogo
dove si trova il drago-dalle-sette-teste! e s c l a m
Mehend.
L'indomani all'alba era gi in piedi. Prese la sciabola, condusse con s un pastore col suo gregge per
attirare il drago. Segu quindi la via che portava alla
fonte, accompagnato dagli anziani e dai notabili. Al
loro avvicinarsi, la fonte si mise a ribollire e il drago
fece emergere u n a delle sue teste: il giovane la tagli.
260

Questa n o n u n a m i a testa disse il drago. E


Mehend replic: E questo non un mio colpo!. Il
drago mostr un'altra testa. Il giovane la mozz. Il
drago disse ancora: Questa non u n a mia testa! e
il giovane rispose: E questo non un mio colpo!.
Per sei volte il drago mostr u n a testa e questa testa fu m o z z a t a . Per sei volte disse: Questa n o n
u n a mia testa! e Mehend rispose: E questo non
un mio colpo!.
Alla fine il drago fece emergere la settima testa, di
tutte la pi mostruosa. Il giovane, afferrata la sciabola con entrambe le mani, la tagli di netto e la fece
volare lontano. I campi f u r o n o di nuovo irrigati. E le
d o n n e p o t e r o n o avvicinarsi alla f o n t e con le loro
brocche e i loro otri, e gli animali poterono dissetarsi. Gli anziani e i notabili, muti per l'ammirazione,
condussero Mehend dal sultano.
Figlio mio, che cosa mi chiederai? gli disse il sultano. Quello che mi chiederai lo otterrai. Non forse
vero che tu hai trionfato sul drago e che io avevo dichiarato: "Colui che ce ne liberer parli e avr quello
che vorr"? Ho u n a sola parola, io. Quello che ti
chieder tu me lo accorderai? insistette il giovane.
Te lo accorder ribad il sultano. Parla! Allora
voglia Dio ispirarti di darmi tua figlia in sposa!
Il sultano rimase un istante in silenzio, poi rispose: Dopodomani u s c i r a n n o dal m i o palazzo cento
fanciulle. Se tu riuscirai a riconoscere tra loro mia
figlia, prenditela, essa sar tua.
E fece bandire per tutto il reame: "Che novantanove fanciulle, dopodomani, indossino i loro abiti pi
ricchi, si adornino di tutti i loro gioielli e vengano al
mio palazzo cavalcando giumente azzurre!".
Il giorno stabilito, novantanove fanciulle, rivestite
d'oro e d'argento, col capo adorno di lunghi veli svolazzanti di seta a stelle d'oro, in sella a giumente az261

zurre veloci come il vento, uscirono dal palazzo, u n a


dopo l'altra. Un po' in disparte, tenendo accanto a s
il suo levriero, Mehend le osserv passare. Ogni volta che ne compariva una, il sultano gli chiedeva:
questa?. E il giovane rispondeva: No!.
Esse sfilarono lentamente davanti a lui, u n a pi
splendida dell'altra, senza che egli ne fermasse alcuna. Fu allora che comparve la centesima, vestita in
m o d o estremamente semplice. Essa usc da palazzo
a cavallo di u n a giumenta bianca che zoppicava legg e r m e n t e . Il levriero part p e r p r i m o e M e h e n d
scatt. Prese tra le braccia la fanciulla, cos bella che
intorno a lei t u t t o sembrava pi luminoso. La sollev in aria, la mise a sedere davanti a s sul suo cavallo di lampi e di vento, e la ricondusse a palazzo.
La festa di nozze dur sette giorni e sette notti. Il
sultano vi invit tutti i suoi sudditi. Alle novantanove fanciulle offr dei doni. Q u a n d o i festeggiamenti
ebbero termine, disse al genero, che era un grande
cacciatore: Potrai percorrere tutto il mio regno, andare dovunque vorrai, t r a n n e che dalla parte della
foresta, poich tutti coloro che h a n n o preso quella
direzione non sono pi tornati!.
Per qualche tempo, il giovane rispett questa raccomandazione. Partiva alle p r i m e luci dell'alba, accompagnato dal suo levriero, sul suo cavallo di lampi e di vento. Cacciava p e r t u t t a la giornata e n o n
faceva ritorno che al calar della sera. Ma q u a n d o ebbe percorso tutto il regno, esplorato tutti i boschi e
non gli rimaneva pi nulla da scoprire, cominci ad
annoiarsi. La principessa era felice e il sultano era
contento di lui. Ma Mehend, per parte sua, era stufo
di rivedere sempre le stesse praterie, le stesse montagne, gli stessi boschi, di ripassare per gli stessi sentieri. Una sera disse tra s: "Perch il sultano mi ha
vietato di avvicinarmi alla foresta, perch?... Non
262

che vi si celi qualche meraviglia e che lui non voglia


che io la veda?".
Si alz alle prime luci dell'alba, port con s il suo
levriero, sal sul cavallo di lampi e di vento e si allont a n nella direzione che n o n avrebbe m a i dovuto
prendere. Raggiunse la foresta nel m o m e n t o in cui il
sole faceva la sua comparsa; vi entr di slancio. Ne
attravers la parte pi fitta. Ne stava appena fuoriuscendo, quando ud il r u m o r e dell'acqua. Questo rum o r e lo condusse fino al fiume. Lo attravers ed
allora che gli apparve un giardino! In verit era il
giardino pi prodigioso che si possa vedere, dal momento che vi si trovavano tutti i frutti del paradiso e
tutti i fiori e tutti gli uccelli. Esclam: Adesso capisco perch il sultano temeva che io mi avvicinassi alla foresta!....
Avanzava lentamente, sul suo cavallo di lampi e di
vento, meravigliandosi di tanto ben di Dio. Tseriel,
l'orchessa, lo spiava ma lui non la vedeva. Quando fu
al centro del giardino, essa gli si mostr e gli disse:
Che tu sia il benvenuto, ben arrivato, Mehend, figlio mio! da t a n t o t e m p o che mi p a r l a n o di te e
che ti attendo!.
Lo afferr e lo inghiott. E inghiott pure il cavallo
di lampi e di vento e il levriero.
Allora, le foglie dell'albero che M e h e n d aveva
piantato prima della partenza si misero a ingiallire.
Ahmed, che le teneva d'occhio, se ne accorse subito.
Pens: "Mio fratello in pericolo". Corse verso la
m a d r e e le disse: capitata u n a sventura a mio fratello. Io parto. Preparami delle provviste per il viaggio e che le tue benedizioni mi accompagnino!.
Mont in sella al suo cavallo di lampi e di vento,
chiam il suo levriero, prese la sua sciabola, la sua
c a r a b i n a e, a s u a volta, si allontan. E r a a p p e n a
uscito dal villaggio che dei pastori di capre lo chia263

marono: La tua capra ha fatto figli, vieni a vedere i


tuoi capretti!. Ma lui rispose: Ritorner. E pens:
"Che fortuna! Dunque mio fratello passato di qua".
Pi avanti incontr dei pecorai. Essi gli dissero:
La tua pecora divenuta un gregge!. Egli rispose:
Lasciatemi andare, ritorner.
E continu ad andare, ad andare, sul suo cavallo
di lampi e di vento. Ma dei mandriani lo scorsero e
c e r c a r o n o - invano - di fermarlo: Prenditi la t u a
mucca e i tuoi vitelli!. Egli disse loro: Ritorner.
E pass oltre. Stava raggiungendo le grandi distese aperte che aveva attraversato suo fratello Mehend
quando accorsero dei guardiani di giumente: Eccoti tornato, finalmente! Prenditi la tua giumenta e i
suoi puledri. Ma egli grid loro: Ritorner!.
Fece loro segno di scostarsi e pass. Il suo cavallo
lo trasportava cos in fretta che a m a l a p e n a distingueva il paesaggio. Degli allevatori di cammelli scattarono per annunciargli con gioia: La tua cammella
e i suoi piccoli ti aspettano!. Ma egli pass davanti
a loro come un fulmine. Continu a viaggiare, notte
e giorno, gli occhi fissi sul levriero che sembrava volare, tanto correva. Tutto assorbito dalla speranza di
ritrovare il fratello, Ahmed si lasci portare dal suo
cavallo di lampi e di vento, attravers i fiumi, percorse le pianure e valic i monti. Quando, a sua volta, penetr in u n a verde e ricca contrada, il sole stava s o r g e n d o . Gli a p p a r v e un g r a n d e villaggio, il
villaggio che suo fratello aveva liberato dal drago.
Il levriero rallent la sua a n d a t u r a . Il cavallo lo
imit e il giovane vide avanzare verso di lui u n a folla
enorme. Eccoti dunque, finalmente, Mehend! gli
gridavano da ogni dove. Sei stato assente cos tanto! Eri tornato al tuo paese?... La figlia del sultano,
tua moglie, ha partorito un maschietto mentre tu eri
assente.
264

Sopraggiunse il sultano in persona: Da dove torni? gli chiese. Ero cos inquieto per te! Fu allora
che Ahmed parl. Vi sbagliate disse. Io non sono
Mehend, sono suo fratello gemello. Quando Mehend
part, p i a n t a m m o un albero. Dal m o m e n t o che le
sue foglie h a n n o cominciato a ingiallire, ho capito
che dovevo m e t t e r m i i m m e d i a t a m e n t e alla ricerca
di mio fratello.
Il sultano lo guard a lungo, e alla fine disse: Figliolo, t u o fratello viveva felice in mezzo a noi. La
sua f a m a lo aveva preceduto fin qui; la notizia delle
sue imprese era giunta fino a me. Nel corso del suo
viaggio aveva seminato il bene, ucciso u n o sciacallo,
un'aquila in volo, u n a tigre, un leone, u n a pantera.
Quando Dio ce lo mand, il drago-dalle-sette-teste ci
tiranneggiava e ci condannava a morire di sete. Tuo
fratello entr in questo villaggio mentre vi facevo annunciare: "A colui che ci liberer dal drago-dalle-sette-teste, dar quello che mi chieder". Egli riport la
vittoria su di lui e io gli diedi in sposa mia figlia, dai
capelli di seta, la mia unica figlia, cara ai miei occhi
quanto il firmamento e pi del mio regno e di tutti i
regni della terra. Sapevo che t u o fratello era un
grande cacciatore. Un giorno gli dissi: "Ecco il mio
regno; potrai percorrerlo tutto a tuo piacimento, andare a est, a ovest, a sud, a nord, andare dovunque
vorrai, tranne che dalla parte della foresta, poich di
tutti coloro che h a n n o preso quella direzione non
pi tornato nessuno!". Vivevamo in pace. Vivevamo
felici. Mia figlia stava per darci di l a poco un bambino. E speravamo di vedere il mio palazzo popolato
da principini e p r i n c i p e s s i n e q u a n d o t u o fratello
part per non fare pi ritorno. Pensammo: "Avr forse avuto nostalgia del suo paese?...". Adesso t e m o
che se ne sia andato dalla parte della foresta e gli sia
successo qualcosa!.
265

Ahmed lo ascolt e quindi ripart alla ricerca di


suo fratello senza n e m m e n o riposarsi. And a vedere il Vecchio Saggio e gli chiese, dalla soglia: Perch
il sultano ha vietato a mio fratello di avvicinarsi alla
foresta?. Perch nella foresta si trova il giardino di
Tseriel rispose il Vecchio Saggio. Se Mehend vi si
avventurato, essa lo avr inghiottito. Ma se tu riuscirai a sorprenderla e a tagliarle in due la testa, salverai t u o fratello, perch allora ti baster aprire con
delicatezza il ventre dell'orchessa e tirarlo fuori.
Ahmed risal sul suo cavallo di lampi e di vento,
chiam il suo levriero e si diresse verso la foresta. Vi
entr nell'ora pi calda. La attravers f r e m e n d o di
impazienza, guidato dal suo cane. Aveva appena oltrepassato il fiume che Tseriel gli apparve, immensa,
nel suo meraviglioso giardino: Che tu sia benvenuto, ben arrivato, Ahmed, figlio mio! gli grid con
gioia. da tanto tempo che attendevo la tua venuta! E si fece avanti, ma pi svelto di lei egli la colp
alla testa con la sua sciabola. Essa si rovesci e cadde a terra pesantemente.
Allora egli scese da cavallo, prese un pugnale affilato e apr con la m a s s i m a delicatezza il ventre di
Tseriel. Per primo, tir fuori il levriero, che distese al
sole. Poi suo fratello. E per finire il cavallo di lampi e
di vento. Erano tutti e tre deboli come uccellini, ma
il loro cuore batteva ancora. Conservavano a n c o r a
un soffio di vita. Ahmed distese il fratello su un giaciglio d'erba e si sedette a c c a n t o a lui p i a n g e n d o .
Piangeva e si lamentava: Fratello mio, che fare per
te?... Fratello mio, che fare per te?....
A un tratto, not due lucertoline che stavano lottando tra loro. Una colp l'altra, che cadde inanimata. Ahmed sussurr: Anche gli animali si f a n n o male a vicenda!. Ma la lucertola che lo u d rispose
sarcastica: Piangi per te, piangi la tua miseria, per266

ch io, se ho ucciso un mio simile, sar ben capace


di resuscitarlo!.
La lucertolina scelse un'erba, la spremette e fece
cadere due gocce verdi nelle narici del suo simile. La
lucertola priva di sensi starnut, apr gli occhi e cominci a muoversi. Ahmed pens: "Se la lucertola ha
resuscitato un suo simile, non pu darsi che anch'io
riesca a resuscitare m i o fratello?". Colse un ciuffo
della stessa e r b a e lo schiacci tra le dita. Diverse
gocce di un liquido verde c a d d e r o sul viso di
Mehend, colarono sulle palpebre e penetrarono nel
naso. Ahmed lo vide r i t o r n a r e in vita, aprire p i a n
piano gli occhi. Allo stesso m o d o rianim il cavallo
di lampi e di vento e il levriero. Dopodich, trascin
il cadavere dell'orchessa fino al fiume e ve lo gett.
Ritorn allora sui suoi passi meravigliandosi di tutte
le bellezze sparse intorno a lui.
Ahmed esplor il dominio di Tseriel e scopr la sua
casa sotto gli alberi. Vi erano ammassate tutte le sue
ricchezze: materassi, coperte, tappeti, cuscini, morbidi tendaggi e ogni sorta di frutti. Traboccava di fichi, di burro, di latte, di frumento, di olio e di uova.
Traboccava di fichi secchi, di uvetta, di datteri, di
mandorle e di noci. Egli se ne rallegr e corse a ritrovare il fratello nel giardino. Lo sollev, lo prese
tra le braccia e lo port fino alla dimora dell'orchessa. Lo distese con precauzione sulle coltri pi soffici
e lo osserv intensamente mentre dormiva. Gli vide
le guance pi piene e colorite: ne fu lieto e usc di
nuovo per cercare il cavallo di lampi e di vento e il
levriero che attendevano in giardino.
La n o t t e colse i d u e fratelli seduti u n o a c c a n t o
all'altro nella casa di Tseriel. Li trov intenti a m a n giare uova fresche, focacce di grano, b u r r o e miele.
Intenti a mangiare frutta e a bere latte. Si riposarono alcuni giorni. Poi, u n a mattina, ricordandosi del267

la giovane p r i n c i p e s s a e di suo p a d r e , il sultano,


m o n t a r o n o in sella ai loro cavalli di lampi e di vento.
Preceduti dai loro levrieri, a b b a n d o n a r o n o il giardino dell'orchessa, attraversarono il fiume e si inoltrar o n o nella foresta. La a t t r a v e r s a r o n o senza fretta,
come se stessero facendo u n a passeggiata; p r i m a di
mezzogiorno raggiunsero il villaggio. La notizia del
loro arrivo si propag rapidamente da u n a via all'altra. Uomini e bambini li acclamarono e li accompagnarono fino al palazzo.
Ho ucciso l'orchessa annunci Ahmed al sultano. Il fiume sta trascinando il suo cadavere verso il
mare!
Che Dio ti benedica, figliolo, e ti ricolmi dei suoi
benefici! Sei valoroso quanto tuo fratello! esclam
il sultano. E corse dalla figlia a portarle la lieta novella. La principessa pianse di gioia mentre mostrava suo figlio a Mehend. E la corte e tutto il regno festeggiarono il ritorno dei gemelli.
Ma l'indomani Ahmed disse: Mia m a d r e mi chiama. La sento in pena, e i nostri campi e il nostro bestiame mi aspettano. Anch'io ho nostalgia rispose Mehend. Voglio rivedere m i a m a d r e e portarle
mia moglie e mio figlio.
Invano il sultano cerc di trattenerlo.
All'ora in cui la calura si fa m e n o opprimente, la
giovane principessa, in sella a u n a giumenta azzurra
veloce come il vento, col figlioletto in braccio, usc
dal palazzo. La seguivano i due gemelli, sui loro Cavalli di lampi e di vento, accompagnati dai loro levrieri. Viaggiarono tutta la notte e tutto il giorno. Lasciarono lontano alle loro spalle il villaggio e la bella
contrada verdeggiante. Percorsero le pianure, attraversarono i fiumi, valicarono le montagne. Dopodich li scorsero degli allevatori di cammelli: Dov' la
mia cammella? grid loro Mehend.
268

Essi gliela condussero, attorniata dai suoi piccoli,


ed essa and a disporsi dietro i cavalli di lampi e di
vento. E i viaggiatori si allontanarono. Il frastuono
del loro passaggio corse come il vento e li precedette
al villaggio natio.
Ben p r e s t o videro sulla strada, a l l ' o m b r a di un
grande albero, u n a giumenta bianca e i suoi puledrini. M e h e n d r i c o n o b b e la s u a p r o p r i e t . Ne p r e s e
possesso e il viaggio prosegu.
La principessa e i due gemelli attraversavano ora
delle distese aperte. M e n t r e r a s e n t a v a n o un p r a t o
che costeggiava la strada, u n a bella mucca rossiccia,
seguita dai suoi vitelli, a b b a n d o n l'erba verdeggiante per unirsi alla giumenta e ai puledri. E il viaggio
prosegu.
La principessa, col suo piccino in braccio, e i due
gemelli continuavano ad avanzare senza sosta, ma
pi l e n t a m e n t e . Stavano r a g g i u n g e n d o il luogo in
cui Mehend aveva ucciso in volo un uccello rapace
q u a n d o videro, lungo un fossato pieno di fiori, u n a
pecora bianca e dolce, circondata da u n a moltitudine di agnellini. La pecora a b b a n d o n il fossato e si
un, coi suoi agnellini, alla m u c c a e ai vitelli. E il
viaggio prosegu ancora pi lentamente.
I gemelli sentivano gi nell'aria la vicinanza della
terra natia. Andavano e andavano, con gioia, sui loro
cavalli di lampi e di vento e la principessa, sulla sua
giumenta azzurra, condivideva la loro gioia.
II sole calava. Campi coltivati a fichi e olivi fiancheggiavano la s t r a d a che s t a v a n o p e r c o r r e n d o : e
qui li attendeva u n a capra nera; attorno a essa brucavano dei capretti pi lucidi della seta. Quando apparvero i viaggiatori, la capra si sistem dietro alla
pecora, e i suoi capretti, in fila indiana, la imitarono.
E la cavalcata riprese lenta, lentissima.
La principessa e i due fratelli avanzavano felici e
269

stanchi. Di tanto in tanto Mehend si voltava indietro


per contemplare il suo bestiame. Era ancora giorno
q u a n d o finalmente si present ai loro occhi il villaggio, ed essi vi fecero il loro ingresso seguiti da tutto
il bestiame che faceva loro da scorta.
Quando gli ultimi capretti ebbero varcato le porte
del villaggio, era gi notte.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!

10. L O S V E G L I O E I L S E M P L I C I O T T O

Che il m i o r a c c o n t o sia bello e si d i p a n i c o m e un


lungo filo!
Si narra che, nei tempi antichi, vivevano in un villaggio due vecchi (un u o m o e u n a donna), che avevano due figli ancora giovani, u n o lucido, sveglio, e
l'altro tutto candore: era un sempliciotto. Ora, questi
poveri vecchi n o n erano pi in grado di lavorare la
terra. Dissero un giorno ai figli: Adesso sarete voi
che lavorerete per noi. Andrete nei campi al nostro
posto e seminerete piselli e fave.
Un mattino, la m a d r e diede loro u n a focaccia di
frumento, delle uova sode, delle olive, dei fichi e u n a
bisaccia piena di piselli e fave che erano stati messi a
bagno il giorno p r i m a per farli germogliare pi in
fretta. Il padre consegn loro delle zappe e disse: Sapete dove si trova il nostro campo?... Prima lo zapperete, poi lo concimerete e infine lo seminerete.
I ragazzi si misero in cammino. Giocarono, giocar o n o p e r t u t t o il percorso, s g r a n o c c h i a n d o le fave
(erano quasi tenere). Sgranocchiarono anche i piselli. Dopodich si distesero al sole nel campo. Quando
non rimase loro pi n e m m e n o u n a fava n un pisello, mangiarono la focaccia, le uova, le olive e i fichi.
270

Prima di sera raccolsero dell'erba per il loro asino e


un po' di legna secca. E fecero ritorno a casa tutti
contenti con u n a bracciata di fieno e un'enorme fascina di legna.
Q u a n d o f u r o n o di r i t o r n o , il p a d r e chiese loro:
Come avete fatto?. Essi risposero: Abbiamo cominciato dalla parte alta del campo. Abbiamo tracciato dei solchi, e giorno per giorno scenderemo un
po' alla volta verso il torrente.
I ragazzi si recarono al c a m p o diverse mattine di seguito. Ma invece di zapparlo e seminarlo, giocavano e
sgranocchiavano i piselli e le fave. Una sera il padre
disse loro: A questo punto dovreste avere finito. Fino
a dove avete seminato?. Essi risposero: Le fave? Ne
abbiamo seminate fino al torrente. Il campo di fave
arriver di sicuro fino al torrente. Quanto a quello dei
piselli, arriver fino al ruscello!.
Durante l'inverno, appena si faceva vedere il sole,
il padre diceva ai due ragazzi: Andate un po' a vedere se i nostri piselli e le nostre fave crescono. Strappate le erbacce, date un'occhiata a tutto e fate ritorno p r i m a del b u i o e del f r e d d o . Lo sveglio e il
sempliciotto passavano tutto il giorno giocando come preferivano, e al ritorno magnificavano: Fave fino al torrente. Piselli fino al ruscello!.
Andarono avanti cos fino a primavera.
L'ape si mise a ronzare, l'uccello a cantare: era arrivata la stagione delle fave. Il padre disse ai ragazzi:
Le n o s t r e fave devono essere m a t u r e . Andate al
c a m p o a prenderne un po'.
Essi vi andarono, ma per dire al ritorno: Non sono ancora mature: il c a m p o esposto all'ombra.
Nel mese di maggio, tutte le fave della regione erano mature. Gli asini che le andavano a prendere tornavano stracarichi.
Le nostre sono sicuramente mature! affermaro271

no di nuovo i due vecchi. Domani andrete a raccoglierle.


Lo sveglio e il sempliciotto partirono all'alba col
loro asino, portando un setaccio e due grandi ceste.
Allora il sempliciotto chiese allo sveglio: Che fare?
Ti rendi conto che n o n abbiamo seminato le fave?.
Non ti inquietare rispose lo sveglio. Facciamo rotolare il nostro setaccio, dove si fermer, ci metteremo a raccogliere fave a pi non posso. il periodo
dell'abbondanza!
Lanciarono quindi il loro setaccio che cominci a
rotolare, rotolare. Essi lo seguirono e ben presto si
trovarono in mezzo a un campo, un campo!... Mai,
proprio mai avevano visto un simile ben di Dio!
E r a n o delle belle fave maltesi: ogni baccello era
lungo come un avambraccio. Attaccarono l'asino a
un albero e si misero a sbucciarle. Ne sbucciarono,
c o n t i n u a n d o a m a n g i a r n e , setacci su setacci, che
versavano poi nelle ceste. Ora, questo c a m p o miracoloso era quello dell'orchessa Tseriel. Costei ritorn
dalla caccia nel pomeriggio, trov l'asino e lo divor
in un sol boccone, lasciando solo le orecchie che attacc da u n a parte e dall'altra di un ramo. Di tanto
in tanto, lo sveglio diceva al sempliciotto: Va' a vedere se l'asino non si slegato. E il sempliciotto rispondeva: s e m p r e allo stesso posto. Vedo m u o versi le sue orecchie.
Andarono avanti tutto il giorno a sbucciare fave.
Sbucciarono e mangiarono fino a che non si resero
conto dell'ora. La notte li sorprese, ma le loro ceste
erano piene. Quando si accinsero a caricarle sull'asino, scoprirono che di esso n o n r i m a n e v a n o che le
orecchie! Si stavano chiedendo che cosa avrebbero
dovuto fare q u a n d o sopraggiunse Tseriel. Essa disse
loro con voce gioiosa: Siate i benvenuti, figlioli, sia272

te i benvenuti! Restate qui questa notte, ripartirete al


mattino.
La sua casa era nei pressi, nascosta da grandi alberi. Tseriel li fece entrare e chiese loro: Che cosa
m a n g i a t e ? Cuscus di g r a n o o c u s c u s di cenere?.
Io disse il sempliciotto voglio del cuscus di grano. L'orchessa replic bruscamente: Avrai del cuscus di cenere. Lo sveglio disse: A me, madre-nonna, da' p u r e quello che ti piacer. Fosse a n c h e
cuscus di cenere, lo manger. Tu, invece, avrai del
cuscus di grano.
L'orchessa serv la cena e si accinsero tutti e tre a
passare la notte. Fu in quella che lo sveglio, con la voce pi dolce che gli veniva, disse a Tseriel: Madrenonna, come fa a entrare in te il sonno? Da che cosa
potr riconoscere che tu starai dormendo, in m o d o
da non destarti, visto che qualche volta di notte mi capita di alzarmi e parlare senza accorgermene?.
Essa rispose: Quando u d r a i l'asino ragliare nel
mio ventre, i vitelli muggire, le capre e le pecore belare, q u a n d o u d r a i le m u c c h e muggire, le galline
chiocciare e tutti gli animali che ho inghiottito nel
corso della giornata emettere i loro gridi, allora sta'
sicuro che io dormo. Bene, madre-nonna! disse
lo sveglio che and a letto e fece finta di dormire.
In realt spiava Tseriel. Aspettava che si mettessero
a gridare tutti gli animali che essa aveva mangiato,
per potersi salvare. Fu solo nel cuore della notte che
ud l'asino ragliare, la pecora e la capra belare, la
mucca muggire e le galline chiocciare. Pens: "Sta
dormendo". Prese u n a corda e le leg insieme i piedi.
Suo fratello dormiva. Lo scosse e gli disse: Alzati, alzati, sbrighiamoci intanto che dorme!. Ma il sempliciotto brontol nel sonno: Lasciami dormire!.
Allora lo sveglio gli diede un pizzicotto per farlo
273

destare subito. Poi tir il paletto, socchiuse la porta


e scivol per p r i m o fuori.
Non dimenticare di tirarti dietro la porta! raccomand al fratello. Il sempliciotto scardin la porta
e se la caric sulla schiena.
Attraversarono il cortile e si trovarono di fronte a
u n a siepe di spine. Lo sveglio si apr un varco e disse
al fratello: Adesso pensa alle spine!. Il sempliciotto
depose la p o r t a p e r prendersi sulla schiena un cespuglio di spine.
Era notte. Lo sveglio correva sempre dritto davanti a s, senza voltarsi. Ma non cessava di dire al fratello: Corri, corri!.
Ma il sempliciotto non poteva correre altrettanto
in fretta: soffiava e sbuffava. Un pietrone ostruiva il
passaggio. Lo sveglio lo aggir e grid al fratello:
Bada alla pietra!. E il sempliciotto lasci il cespuglio e prese la pietra.
Lo sveglio correva, correva sempre. I n c o n t r un
ulivo: Bada all'ulivo! grid a n c o r a al fratello. Il
sempliciotto, che avanzava a fatica sbuffando, si sep a r dalla pietra per sradicare l'ulivo e caricarselo
sulle spalle.
Lo sveglio correva s e m p r e . All'alba raggiunse il
torrente, ma n o n os passarlo senza il fratello. Lo attese e lo vide arrivare sorreggendo l'ulivo.
Perch, fratello mio, t r a s p o r t i q u e s t o ulivo?
Sei tu che me lo hai detto. Io ti ho detto questo?
Ti ho detto di prenderti sulle spalle quest'ulivo? Io ti
ho gridato: "Bada alla pietra, b a d a all'albero...".
Avanti, posa il tuo ulivo!
Il sempliciotto lo prese per m a n o e cerc il guado.
Quando ebbero finito di attraversare il torrente faceva giorno. Poterono senza fatica ritrovare la strada
del loro villaggio.
C'era della gente che li stava cercando. Lo sveglio e
274

il sempliciotto scorsero da lontano il loro padre che si


appoggiava a un bastone. Gli corsero incontro e gli
confessarono di non avere mai seminato le fave n i
piselli. Gli raccontarono tutte le loro avventure: Siamo sfuggiti a Tseriel disse il sempliciotto. Eravamo
nel suo campo, intenti a sbucciare delle grosse fave.
Lei ha mangiato il nostro asino e ha attaccato le sue
orecchie a un ramo. La notte ci ha sorpresi e Tseriel ci
ha portati a casa sua. Lo sveglio aggiunse: Ho spiato il m o m e n t o in cui si sarebbero messi a gridare tutti
gli animali divorati dall'orchessa nel corso della giornata. Ho udito contemporaneamente l'asino ragliare
nel suo ventre, la capra e la pecora belare, la mucca e
il vitello muggire, le galline chiocciare. Allora ho svegliato mio fratello e ci siamo salvati.
Il padre disse loro: Quello che stato stato: io
n o n sarei mai riuscito a punirvi come Dio vi ha appena puniti. Andiamo presto a trovare vostra madre:
non ha cessato di piangere tutta la notte.
Quando le ebbero raccontato la loro avventura, la
m a d r e grid: Che mi importa dell'asino, che mi importa delle fave, dal m o m e n t o che mi siete stati restituiti!.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!

11. M I A M A D R E M I H A S G O Z Z A T O ,
MIO PADRE MI HA MANGIATO,
MIA SORELLA HA RADUNATO LE M I E OSSA

Si narra che un tempo, q u a n d o la carne era rara, cos rara che se la sognavano, un u o m o disse un giorno
alla moglie: Domani a v r e m o degli invitati. Comprer della carne al mercato perch tu possa farci un
b u o n cuscus delle grandi occasioni.
275

Si rec quindi al mercato al m a t t i n o presto e ritorn tenendo tra le mani u n a filza di pezzi di carne,
infilati come cipolle lungo lo stelo di un giunco. Era
della bella carne di montone tenera e grassa. La moglie aveva gi acceso il fuoco in cortile e preparato i
grani del cuscus, dei grani cos biondi che emanavano luce. Aveva sbucciato e lavato le verdure. Aveva
messo la carne a macerare nell'olio di oliva con ogni
sorta di aromi e spezie: la carne e le verdure riempivano u n a terrina. La donna vers il tutto nella pentola. Dopodich mise a cuocere il cuscus a vapore e
a n d t r a n q u i l l a m e n t e a sedersi sulla soglia
dell'uscio; suo marito sarebbe stato fiero di lei, il pasto sarebbe stato pronto all'ora giusta e prometteva
di essere eccellente.
In un attimo, un gradevole p r o f u m i n o cominci a
diffondersi nel cortile. La d o n n a si alz per controllare il sale. La carne era quasi cotta: ne prese un pezzetto e si allontan. Ma l'odore la seguiva, il b u o n
odore del sugo la avvolgeva e la richiamava irresistibilmente verso la pentola. La d o n n a attizz il fuoco,
aggiunse un ceppo, se ne and fino all'otre di pelle di
capra all'altro capo del cortile. Ma il vento le rigettava in viso il b u o n odore del sugo. Allora, torn sui
suoi passi, prese a girare, aggiunse ancora della legna e fin per sollevare il coperchio. Tir f u o r i un
pezzetto di carne, poi un altro. Un altro e ancora un
altro... Mangiava cos febbrilmente e in fretta che si
scott le dita e la lingua. E se almeno fosse stata soddisfatta la sua golosit! Ma si sarebbe detto che questa si faceva sempre pi esigente a m a n o a m a n o che
la donna tirava fuori un pezzo dopo l'altro. Decisa a
m a n g i a r n e un u l t i m o pezzo, la d o n n a a f f o n d p e r
l'ultima volta il cucchiaio nella pentola, ma non tir
fuori che verdure. Sconvolta, la donna lo introdusse
a n c o r a pi e pi volte d i s p e r a t a m e n t e : la p e n t o l a
276

non conteneva pi n e m m e n o un pezzo di carne! Allora la sventurata si sovvenne degli invitati che suo
marito doveva condurle. Che cosa avrebbe presentato loro? Mentre si strappava i capelli in preda all'angoscia, il suo figlioletto Ali spinse la porta ed entr.
Aveva appena finito di correre nei campi e di bere alla sorgente. E r a r o s e o e t u t t o t r a f e l a t o . Essa lo
sgozz come un agnello e lo fece a pezzetti, che si affrett a gettare nella pentola. Stava facendo sparire
le ultime tracce del suo delitto quando rientr la figlia maggiore, u n a ragazzina silenziosa e dolce. Zaina cap ma non disse motto, temendo probabilmente di fare la stessa fine. Si ritir triste in un angolo.
Poco dopo arriv il padre, in compagnia dei suoi
invitati. Il p a s t o era p r o n t o e il sugo m a n d a v a un
odore invitante. Mangiarono tutti di b u o n appetito,
a eccezione della fanciulla. Il marito si stup di non
vedere il piccolo, che amava come la pupilla dei suoi
occhi. Ma la moglie rispose: I miei genitori sentivano la sua mancanza. Sono venuti questa mattina a
cercarlo col loro asino.
Il m a r i t o si rimise a m a n g i a r e di b u o n a lena.
Quando non rimase pi un solo pezzo di carne n un
granello di cuscus, l'uomo, soddisfatto, offr ai suoi
ospiti della frutta e del caff. Dopodich li riaccompagn. E la moglie corse a riportare un setaccio che
le era stato prestato da u n a vicina.
Allora Zaina si accost al grande piatto di legno
che aveva contenuto il banchetto: adesso era vuoto.
Solo degli ossicini bianchi e fragili giacevano sparpagliati sul fondo: era tutto quello che rimaneva di
suo fratello. La fanciulla li raccolse con cura, li
asciug e li distese sul tetto. Quando f u r o n o ben secchi, li avvolse delicatamente in u n a tela fine e li nascose nel suo lettino.
Appena i suoi genitori si allontanavano, la fanciul277

la prendeva la tela sulle ginocchia e piangeva, piangeva il suo piccolo compagno. Fece cos ogni giorno.
Ora, avvenne che, per effetto delle lacrime che tutti i
giorni cadevano a dirotto su di loro, questi ossicini
finirono per saldarsi gli uni agli altri. E u n a mattina,
dalla tela scapp fuori un bell'uccellino che si pos
sul tetto e cant:
Mia madre mi ha sgozzato, sgozzato...
Mio padre mi ha mangiato, mangiato...
Mia sorella ha radunato le mie ossa.
La ragazzina riconobbe la voce del fratello e si mise a tremare. "Cosa far mio padre quando lo udr?"
si disse. Infatti ogni giorno il padre chiedeva: Dov'
il piccolo?. E la moglie rispondeva, sempre pi imbarazzata: dai miei genitori, torner presto.
Giunse il m o m e n t o in cui la d o n n a non pot pi
c o n t i n u a r e a rispondere: " dai miei genitori, torner presto". Perch il marito si stava insospettendo.
Dovette finire per dirgli, il giorno in cui si sent messa alle strette: Non so cosa ne sia di lui. Mia m a d r e
mi pa detto che scomparso.
La moglie aveva appena portato un grande piatto
di cuscus con carne e legumi, perch era giorno di
mercato. stato un giorno come questo, e alla stessa ora, che per la prima volta mi sono inquietato per
il piccolo disse l'uomo con voce cupa.
In quel m o m e n t o l'uccellino si pos sul tetto e si
mise a cantare:
Mia madre mi ha sgozzato, sgozzato...
Mio padre mi ha mangiato, mangiato...
Mia sorella ha radunato le mie ossa.
Il padre comprese tutto. Si alz, terribile, e avanz
278

verso la moglie. Ma allora l'uccellino cant di nuovo,


con la voce dolce del fanciullo:
Guardati bene dall'ucciderla, ucciderla...
Perch mia sorella piangerebbe, piangerebbe...
E sarebbe orfana.
L'uccello n o n torn pi sul tetto. La madre fu perd o n a t a . La fanciulla smise di t r e m a r e . Ma l ' u o m o
perse per sempre il gusto di vivere.

12. L A Q U E R C I A D E L L ' O R C O

Che il m i o r a c c o n t o sia bello e si d i p a n i c o m e un


lungo filo!
Si racconta che nei tempi antichi vi era un povero
vecchio che si ostinava a vivere e ad a t t e n d e r e la
m o r t e tutto solo nella sua casupola. Abitava fuori del
villaggio. E non entrava n usciva mai perch era paralizzato. Gli avevano trascinato il letto vicino alla
porta, e questa porta aveva un paletto che si tirava
con un cordino. Ora, questo vecchio aveva u n a nipotina, poco pi di u n a bimbetta, che tutti i giorni gli
portava il pranzo e la cena. Aisha veniva dalla parte
opposta del villaggio, m a n d a t a dai suoi genitori che
n o n p o t e v a n o p r e n d e r s i c u r a di p e r s o n a del vecchietto.
La fanciulla, recando u n a focaccia e un piatto di
cuscus, cantilenava appena arrivata: Aprimi la porta, padre mio Inubba, padre mio Inubba!. E il nonno rispondeva: Fa' r i s u o n a r e i tuoi braccialettini,
Aisha, figlia mia! .
La fanciulla faceva tintinnare u n o contro l'altro i
suoi braccialetti ed egli tirava il cordino. Aisha entrava, scopava la casetta, rifaceva il letto. Poi serviva
279

al vecchio il suo pasto, gli versava da bere. Dopo essersi l u n g a m e n t e intrattenuta accanto a lui, faceva
ritorno a casa, lasciandolo tranquillo e sul p u n t o di
addormentarsi. Ogni giorno la ragazzina raccontava
ai genitori come si era presa cura del n o n n o e che
cosa gli aveva detto per distrarlo. Il n o n n o era molto
contento q u a n d o la vedeva arrivare.
Ma un giorno, l'orco scorse la fanciulla. La segu
di n a s c o s t o f i n o alla c a s u p o l a e l'ud c a n t i l e n a r e :
Aprimi l a p o r t a , p a d r e m i o I n u b b a , p a d r e m i o
Inubba!. Ud il vecchio rispondere: Fa' risuonare i
tuoi braccialettini, Aisha, figlia mia!.
L'orco disse fra s: "Ho capito. Torner d o m a n i e
ripeter le parole della ragazzina; lui mi aprir e io
lo manger!".
L'indomani, poco p r i m a che arrivasse la fanciulla,
l'orco si present davanti alla casupola e disse con la
s u a voce p r o f o n d a : Aprimi la p o r t a , p a d r e m i o
Inubba, padre mio Inubba!. Mettiti in salvo, maledetto! gli rispose il vecchio. Credi che n o n ti riconosca?
L'orco torn a diverse riprese, ma ogni volta il vecchio indovinava chi fosse. Alla fine l'orco se ne and
a trovare lo stregone. Ecco, gli disse c' un vecchio immobilizzato che abita fuori del villaggio. Non
vuole aprirmi perch la mia voce profonda mi tradisce. Indicami il m o d o di avere u n a voce fine e chiara
come quella della sua nipotina.
Lo s t r e g o n e rispose: Va', cospargiti la gola di
miele e stenditi a terra al sole, con la bocca spalancata. Vi entreranno delle formiche e ti raschieranno
la gola. Ma un giorno non baster per farti schiarire
e affinare la voce!.
L'orco fece quello che gli aveva r a c c o m a n d a t o lo
stregone: c o m p r del miele, se ne riemp la gola e
280

a n d a s t e n d e r s i al sole, c o n la b o c c a a p e r t a . Un
esercito di formiche entr nella sua gola.
In capo a due giorni l'orco si rec alla casupola e
cant: Aprimi la porta, padre mio Inubba, padre mio
Inubba!. Ma il vecchio lo riconobbe ancora. Allontanati, maledetto! gli grid. Lo so bene chi sei!
L'orco se ne torn a casa.
M a n g i a n c o r a e a n c o r a il miele. Si distese p e r
lunghe ore al sole. Lasci andare e venire per la sua
gola legioni di formiche. Il quarto giorno, la sua voce era fine e chiara come quella della fanciulla. L'orco se ne and allora dal vecchio e cantilen davanti
alla sua casupola: Aprimi la porta, padre mio Inubba, p a d r e mio Inubba!. Fa' risuonare i tuoi braccialettini, Aisha, figlia mia! rispose il nonno.
L'orco si era m u n i t o di u n a catenella: la fece tintinnare. La porta si apr. L'orco entr e divor il povero vecchio. Dopodich indoss i suoi abiti, prese il
suo posto e attese la fanciulla per divorare anche lei.
Essa venne. Ma, appena giunta davanti alla casupola, not che del sangue colava sotto la porta. Pens: "Che cosa sar successo a mio nonno?". Sprang
la p o r t a dall'esterno e cantilen: Aprimi la porta,
padre mio Inubba, padre mio Inubba!. L'orco rispose con la sua voce fine e chiara: Fa' risuonare i tuoi
braccialettini, Aisha, figlia mia!.
La fanciulla, che n o n r i c o n o b b e in q u e s t a voce
quella del n o n n o , pos sul sentiero la focaccia e il
piatto di cuscus che aveva portato, e corse al villaggio a dare l'allarme ai suoi genitori.
L'orco ha m a n g i a t o il n o n n o a n n u n c i loro
piangendo. Gli ho sprangato la porta. E adesso che
faremo?
Il padre fece annunciare la notizia sulla pubblica
piazza. Allora ogni famiglia offr u n a fascina e da
ogni parte accorsero degli uomini per portare queste
281

fascine fino alla casupola e appiccarvi il fuoco. Invano l'orco cerc di fuggire. Fece forza con tutto il suo
peso sulla porta che resistette. Fu cos che bruci.
L'anno seguente, nello stesso luogo in cui l'orco fu
bruciato spunt u n a quercia. La chiamarono la
"quercia dell'orco". Da allora, la si mostra ai passanti.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!

13.I

SETTE ORCHI

Che il m i o r a c c o n t o sia bello e si d i p a n i c o m e un


lungo filo!
C'erano u n a volta, in u n a lontana contrada, un uomo e u n a donna che avevano un bambino. E r a n o gi
vecchi quando Dio fece loro dono di questo unico figlio. Lo chiamarono Mehend e vissero con gli occhi
sempre su di lui. Dio regnava nei cieli e il b a m b i n o
sulla t e r r a : a p p e n a M e h e n d l a m e n t a v a il m i n i m o
male i suoi genitori ne erano atterriti perch trepidavano all'idea di vederlo sparire. Tutto ci che al mondo vi era di bello e di b u o n o , glielo davano, se ne
avevano la possibilit. Lo n u t r i v a n o meglio di un
principino e vegliavano gelosamente su di lui. Non
permettevano che gli andassero vicino persone malvagie. Non sopportavano di vederlo toccare u n a spina. Lo videro cos crescere al riparo dal male, dalle
brutture e dai pericoli, ma con u n a grande passione
per la caccia.
Adolescente, prese ad andare a suo piacimento di
c a m p o in c a m p o e di bosco in bosco col fucile a tracolla. Un giorno incontr u n a creatura cos bella da
indurre chi la vedeva a benedire Dio per il fatto di
averla creata. Era bianca e rosea, luminosa, e i suoi
capelli folti e lunghi la coprivano d'oro fino alla vita.
282

Egli ne rimase abbagliato e pens: " come se vedessi la luce per la p r i m a volta. La mia vita e la mia anima sono in lei!".
La prese per m a n o e la condusse dai suoi genitori,
incurante del fatto che lei fosse u n a sconosciuta di
passaggio. Egli dichiar loro: Voglio sposare lei o
morir.
Il padre rispose: Figlio mio, io ti ho dato tutto, ti
ho accordato tutto fino a oggi. Mi sei pi caro del
m o n d o e della vita e caro quanto il firmamento, ma
questa ragazza io n o n l'accoglier. Scegliti u n a fidanzata tra le fanciulle del villaggio e posa la m a n o
su di lei. Non far caso n al denaro n ad altro. Ma
lasciarti sposare u n a v a g a b o n d a i n c o n t r a t a p e r la
strada, e di cui n o n sappiamo nulla, non posso tollerarlo: l'onore ce lo vieta, figlio mio, e il nostro n o m e
grande!.
Mehend prese per m a n o la fanciulla e si allontan
con lei senza dir motto. Quando ebbero fatto qualche passo, le disse: Siamo u n a cosa sola, tu e io.
Infatti egli credeva di essere riamato dalla fanciulla. Non sapeva che essa lo aveva stregato.
Percorsero un lungo tratto di strada e si addentrar o n o in piena campagna. Raggiunsero l'eremo, circondato da praterie, in cui abitava un Vecchio Saggio, amico del giovane. L'amico diede il benvenuto ai
visitatori e serv loro un b u o n pasto. Li invit a trattenersi presso di lui per tutto il tempo che avessero
voluto, ed e b b e cos p i e n a m e n t e agio, lui che e r a
perspicace, di studiare la ragazza. La osserv a lungo, con attenzione, e si stup di n o n subire il suo fascino. Alla fine pens: " bella fuori ma brutta dentro". E si ripromise di avvertire di ci quanto p r i m a
il suo giovane amico.
Approfitt di u n a m a t t i n a in cui si trovava solo
con lui nel giardino, per dirgli: Prima che sia trop283

po tardi, separati da questa ragazza. Non p u renderti felice perch n o n reca in cuore il bene. Come
osi sacrificare a lei i tuoi genitori, i tuoi vecchi genitori che h a n n o atteso cos a lungo la tua nascita e ti
h a n n o visto venire alla luce solo dopo aver veduto le
stelle a mezzod! La terra piena di donne!.
Ma M e h e n d rispose: Non esistono pi d o n n e al
m o n d o p e r chi ha visto questa!.
Che tu possa non avertene mai a pentire! gli disse a n c o r a il Saggio.
Dopo essersi ben riposati, Mehend e colei che egli
amava pi della luce lasciarono u n a mattina l'eremo
e proseguirono il loro cammino. Andarono dritti davanti a loro, vivendo di elemosine. Attraversarono
fiumi, valicarono alture. C a m m i n a r o n o , c a m m i n a rono fino a essere spossati e fecero il loro ingresso in
u n a c o n t r a d a che non era abitata da anima viva. La
ragazza dichiar: Sono molto stanca!.
Proprio allora scorsero in lontananza un filo di fumo. Mehend tese il braccio in quella direzione e disse alla compagna: Dev'esserci u n a casa laggi. Dirigiamoci l e trascorriamoci la notte.
Procedettero a fatica verso la casa, che era protetta da u n a siepe di spine. Mehend chiam: sulla soglia si fece vedere un u o m o grandissimo. Egli fece
entrare i due viaggiatori. E fu allora che Mehend e la
sua a m a t a scoprirono altri sei uomini identici al primo, in d i s p a r t e nella p e n o m b r a . La bella r a g a z z a
venne condotta a riposarsi in u n a stanza. E il maggiore dei fratelli disse al giovane: Tu e io ci misureremo nella lotta.
Mehend, che era agile e robusto, stord il suo avversario con u n a testata. Ma un altro si alz e disse:
Eccomi!- A sua volta esso fu abbattuto, e u n o dopo
l'altro lo f u r o n o tutti.
I sette fratelli giacevano in disordine e Mehend li
284

guardava chiedendosi che cosa gli convenisse fare di


loro, q u a n d o scorse u n a botola. Ne afferr l'anello e
tir: apparve u n a buca profonda. Vi discese e all'improvviso, dalla quantit di ossa u m a n e che ricoprivano il pavimento, cap di trovarsi nella casa dei sette orchi. Pens: "Mamma mia, m a m m a mia! Prima
che loro uccidano me, bisogna che io uccida loro!".
E fin i sette orchi. Dopodich gett i loro corpi nella
buca.
L'indomani, fin dal p r i m o m a t t i n o , M e h e n d
esplor la casa e la trov ricolma di u n a profusione
di ricchezze. Fece u n a passeggiata nel giardino, adibito per met a frutteto e per met a orto: la foresta
era l vicino, e la selvaggina era abbondante. Il giovane si sent al colmo della felicit. Si rec dalla sua
bella compagna e le disse: Quanta felicit ci attende! Ho ucciso i sette orchi. Tutte le loro ricchezze ci
a p p a r t e n g o n o : a b b i a m o cavalli, m u c c h e , c a p r e e
pollame. Ors, oggi il giorno delle nostre nozze!.
Per un certo tempo vissero felici e contenti. Ma un
giorno che Mehend era andato a caccia di buon'ora,
la sua sposa ud come un debole gemito. Tese l'orecchio: il suono veniva dalla botola. Tir l'anello: u n o
dei sette orchi era ancora vivo! Era ferito. La giovane donna lo cur e lo nutr. Gli tenne compagnia e
n o n richiuse su di lui la botola se n o n verso sera,
all'ora in cui il marito era solito fare ritorno.
M e h e n d r i t o r n a v a t u t t o c o n t e n t o dalla caccia.
Portava con s molta selvaggina. Ma trov la compagna a letto in preda alla febbre. Si mise a sedere acc a n t o a lei e le disse con tenerezza: Che cos'hai?
Questa mattina quando ti ho lasciata non scoppiavi
di salute come u n a melagrana, e non eri tutta sorridente?.
Essa rispose: Se tu mi ami, se ci tieni a vedermi
285

guarita, procurami la mela fatata che d l'eterna giovinezza.


Il giovane non riusc ad addormentarsi tanto era
inquieto. Si rec di buon'ora dal Vecchio Saggio, suo
amico, che lo accolse con queste parole: Non ti avevo detto che da questa donna dal cuore nero non ti
poteva venire alcun bene? Come puoi essere ancora
abbagliato dal suo viso? Non sai che essa mira a toglierti la vita?. Se sei mio amico, rispose Mehend
indicami dove posso p r o c u r a r m i la mela fatata.
Nel giardino di Tseriel acconsent a dire il Vecchio
Saggio. Ma per non farti divorare dall'orchessa, dovrai s o r p r e n d e r l a m e n t r e sta m a c i n a n d o il grano:
avr i seni gettati indietro sulle spalle. Tu buttati su
di lei, afferra uno dei suoi seni e succhialo come farebbe un neonato. Essa ti dir con rabbia: "Ah, se tu
n o n avessi bevuto del mio latte, ti avrei divorato e
avrei divorato fin la terra che hai calpestato! Ma dal
m o m e n t o che hai bevuto del mio latte, che cosa posso fare per te?". Allora tu le chiederai di lasciarti cogliere la mela fatata. Va', e che Dio venga in aiuto di
colui che per u n a donna ha perso la ragione!
Mehend si allontan. Cammin a lungo prima di
scoprire il giardino di Tseriel. E r a l'ora pi calda;
l'orchessa, nuda fino alla cintola, con gli occhi chiusi, i seni gettati indietro sulle spalle, era intenta a
macinare del grano, cantando delle lugubri lamentazioni. Il giovane fece un balzo e chiuse la bocca intorno a u n o dei suoi seni. Essa grid: Sventurato!
Se tu non avessi bevuto del mio latte, ti avrei divorato e avrei divorato fin la terra che hai calpestato! Ma
dal m o m e n t o che lo hai fatto, che cosa posso fare
per te?. Madre-nonna, rispose Mehend mi hanno detto che tu avevi nel tuo giardino delle mele fatate, delle mele che conferiscono, ai fortunati che le
assaggiano, un'eterna giovinezza.
286

L'orchessa condusse il giovane verso un bell'albero


carico di frutti. Mehend colse tante mele quante ne
pot contenere il suo paniere e riprese la via di casa.
Appena ud il suo passo, la moglie richiuse la botola sull'orco e corse a buttarsi sul letto. Il giovane
sposo le si avvicin con estrema delicatezza e le consegn le mele fatate. Essa ne mangi e sembr tornare in vita, il che rassicur Mehend. Essa ritrov la
sua allegria e convinse lo sposo a ritornare a caccia
gi il giorno successivo. E cerc ogni scusa per mandarcelo anche parecchi giorni successivi.
Appena lui si era allontanato, la sposa dal viso luminoso saltava gi dal letto e si precipitava verso la
botola. Liberava l'orco e trascorreva tutta la giornata
in sua compagnia, dal m o m e n t o che l'orco tornava
nel suo nascondiglio solo al tramonto. Quest'ultimo,
per, u n a volta guarita la sua ferita, si stanc b e n
p r e s t o di questa vita e divenne pi esigente. Cos,
u n a mattina disse alla giovane donna: Ne ho abbastanza di stare sempre sul chi vive. Dobbiamo assolutamente m a n d a r e tuo marito in un luogo da cui gli
sia impossibile fare ritorno. Domani, n o n esitare a
dirgli: "Voglio che tu mi dia da bere l'acqua dei pi
alti ghiacciai. L'acqua per la quale si s c o n t r a n o le
m o n t a g n e " . Il suo a m o r e p e r te lo sconvolge a tal
p u n t o che lo indurr a salire verso le alture pi inaccessibili dove le aquile lo divoreranno.
Un'altra volta il giovane trov la sposa che tremava e batteva i denti. Si r a b b u i : Che cos'hai? le
chiese, atterrito. Non ti ho portato la mela fatata, la
mela dell'eterna giovinezza? E s che ti ho lasciata
gioiosa e in b u o n a salute quando sono partito per la
caccia.
Essa rispose con un sospiro: Se mi ami, se ci tieni a vedermi sorridere e camminare, d a m m i da bere
l'acqua per la quale si scontrano le montagne.
287

Mehend ritorn presso il suo vecchio amico e gli


disse con aria avvilita: Ecco che mi chiede l'acqua
per la quale si scontrano le montagne!. Il Saggio lo
fiss a lungo p r i m a di rispondere: Credimi, te lo giuro per questa b a r b a tutta bianca e per questo Dio che
ci ha creati, questa donna ce l'ha con la tua anima. Finir per strappartela. Ma dal m o m e n t o che tu vuoi
morire, ecco: prendi u n a giovenca, la pi bella che
troverai, e sgozzala sulla montagna. Le aquile scenderanno dal cielo per pascersene e la pi vecchia ti
verr in aiuto. Va' e che Dio ti renda la ragione!.
Il giovane si mise in cerca della giovenca pi grassa. La condusse sui monti e la sgozz. Nascosto diet r o un albero, attese le aquile. B e n p r e s t o le vide
scendere e le g u a r d m a n g i a r e . Esse m a n g i a r o n o ,
mangiarono a pi non posso. Allora quando f u r o n o
tutte sazie, il padre delle aquile parl: Se conoscessi
colui che ci ha fornito un cos bel banchetto, farei
tutto quello che mi chiederebbe.
Mehend si fece vedere e disse: Sono stato io. Vorrei che tu mi portassi sul pi alto ghiacciaio e mi
permettessi di prendere con me un po' di quest'acqua meravigliosa per cui si scontrano le montagne.
Il padre delle aquile lo prese sotto la sua ala e lo
sollev fino al Settimo Monte, di tutti il pi maestoso e il pi vicino al cielo. Attese che il giovane avesse
riempito il suo otre e poi lo riport dove lo aveva trovato, ai piedi dell'albero.
Mehend fece ritorno a casa in tutta fretta. Al calare
della notte la moglie ud il suo passo. Dopo aver riso e
scherzato con l'orco per tutto il giorno, essa ebbe app e n a il tempo di gettarsi sul letto: "E io che speravo
tanto di non rivederlo mai pi!" disse fra s, delusa.
Bevve l'acqua per la quale si scontrano le montagne e
cess di tremare. La febbre sembr abbandonarla,
288

con gran gioia di Mehend, che pot credere che la pace e la felicit fossero tornate per sempre.
Ma u n a mattina che il giovane marito era tornato
a cacciare, l'orco disse alla s u a bella c o m p a g n a :
Ascolta, tu e io a b b i a m o atteso troppo. Questa volta
m a n d e r e m o Mehend tra le fauci del leone. Quando
tuo marito ritorner questa sera, fngi di essere malata da morire e digli: "La mia ultima ora arrivata.
Nulla sarebbe in grado di salvarmi a parte, forse, un
po' di latte di leonessa contenuto in un otre di pelle
di leoncino legato con due peli sottratti ai baffi di un
leone".
L'orco e la giovane donna si sentirono felici e senza problemi per tutto il giorno, tanto erano sicuri di
sbarazzarsi presto di Mehend. Se ne stettero a lungo
in giardino a oziare al sole, e rientrarono solo all'ora
del p a s t o p e r c o n s u m a r e i n s i e m e u n a focaccia d i
f r u m e n t o cos bionda che emanava luce e bere u n a
terrina di latte. Dopodich la giovane donna prepar
il pasto della sera. L'orco m a n d gi di furia la cena
e, dirigendosi verso la botola, disse alla sua compagna: Questa volta, se farai le cose a m o d o e seguirai
le mie raccomandazioni, nulla pi si f r a p p o r r tra
noi due. duro, credimi, dormire tutte le notti solo
in questa buca u m i d a e nera come u n a tomba!.
La giovane donna attese che l'orco fosse scomparso per spogliarsi e andare a letto. Il marito non tard
a rientrare. Appena lo ud, essa si mise a gemere e a
piangere. Egli impallid e disse: Che hai, Dio mio,
ma che cos'hai? Quale sorte si accanisce contro di
noi? E s che non abbiamo distrutto un santuario! E
i miei genitori mi a m a n o troppo per perseguitarmi
con le loro maledizioni per il fatto che ti ho sposata
contro la loro volont.
Tra le lacrime, essa rispose: Sarebbe meglio che
ti rassegnassi a vedermi morire, questa volta. Sento
289

che solo un po' di latte di leonessa, contenuto in un


otre fatto di pelle di leoncino e legato con due peli
strappati dai baffi di un leone sarebbe, forse, in grado di rianimarmi!.
Mehend sent la gioia abbandonarlo per sempre.
Si alz all'alba, m o n t a cavallo e corse verso il suo
amico fedele: Ecco che adesso per vivere essa pretende del latte di leonessa contenuto in un otre fatto
di pelle di leoncino e legato con due peli strappati dai
baffi di un leone! disse con a n i m o oppresso.
Non capisci, sventurato, che essa vuole p e r tre
volte la tua morte, e che a volerla sono in due? Fino
a dove g i u n g e r il t u o a c c e c a m e n t o ? Credimi, c'
qualcuno che la ispira e la guida!
Ma il giovane lo i n t e r r u p p e con queste parole:
Voglio farle vedere per l'ultima volta di che cosa sono capace e fino a che p u n t o giunge il mio amore;
obbedire un'ultima volta al suo capriccio.
Il Saggio n o n insistette. Dal m o m e n t o che sei
contento di m o r i r e per lei, scegli u n a bella capra e
conducila nella foresta. Legala a un albero. Ben presto la sentirai belare e vedrai accorrere il leone e la
leonessa. Allora tu approfitta del m o m e n t o in cui sar a n n o intenti a sbranarla per introdurti nella loro tana e rapire loro due leoncini...
La capra che Mehend port con s nella foresta si
mise a belare a pi non posso. Le belve la udirono e
si fecero avanti ruggendo. Il giovane attese di vederle
attaccare la loro preda prima di lanciarsi verso la tana: vi si trovavano due adorabili leoncini. Ne nascose u n o nel c a p p u c c i o del burnus, m e n t r e l'altro lo
uccise e lo scuoi.
Le belve n o n lasciarono nulla della povera capra e
ritornarono soddisfatte alla loro tana. Il leone, satollo, si distese c o m o d a m e n t e e si addorment. Ma la
leonessa, da b u o n a madre, si mise a cercare i suoi fi290

gli. Non trovandoli, li chiam e si mise a ruggire in


m o d o lamentoso. Quand'ebbe pianto e chiamato invano, il giovane si fece vedere tenendo in m a n o un
otre di pelle di capra: Uno dei tuoi piccoli in mano mia le disse. Chiedimi tutto quello che vorrai
rispose la leonessa ma restituiscimi il mio piccolo.
Per p r i m a cosa, f a m m i prendere un po' del tuo latte
in questo otre, e inoltre approfitta del fatto che il tuo
signore, il leone, d o r m e per strappargli due peli dai
baffi e darli a me.
La leonessa obbed. Si lasci docilmente mungere.
Dopodich si avvicin con la massima circospezione
al leone per strappare due peli ai suoi nobili baffi.
Allora il giovane scopr il leoncino che teneva nascosto nel cappuccio del burnus e lo diede alla madre.
Mehend si allontan rapidamente. Si ferm solo il
tempo necessario a travasare il latte nell'otre di pelle
di leoncino e a legare questo otre con i peli del leone.
Tuttavia, invece di ritornare direttamente a casa sua,
il giovanotto fece sosta dal suo amico. Il Saggio, che
lo sentiva cupo e disorientato, si offr di accompagnarlo.
Cavalcarono in silenzio fianco a fianco, nel crepuscolo, e arrivarono che era gi buio. La casa era l,
dietro u n a siepe di aloe. Mehend e il suo amico att a c c a r o n o i cavalli a un albero e a t t r a v e r s a r o n o il
giardino senza far rumore. La luce filtrava attraverso le fessure della porta. Si avvicinarono e guardarono, u n o dopo l'altro, dal buco della serratura. Fu allora che videro! Videro l'orco e la giovane d o n n a
seduti u n o di fronte all'altra, alle due estremit di un
e n o r m e piatto di cuscus, annaffiato di sugo scarlatto
e guarnito di ali e cosce di pollo. Intorno a essi ardevano numerose lanterne. La giovane donna dal cuore nero si era agghindata per questa festa: aveva indossato il ricco abito delle sue nozze. La sua fronte
291

minuta scintillava come u n o specchio e i suoi capelli


sciolti la coprivano d'oro fino alla vita. L'orco semb r a v a o c c u p a r e t u t t o lo spazio. La sua testa m o struosa sfiorava le travi del soffitto e la sua contentezza era enorme. Le sue risate squassavano i muri:
l'orco e la sua bella c o m p a g n a celebravano la sera
delle loro nozze. Tra u n a risata e l'altra si dicevano:
Finalmente, grazie al leone, ci s i a m o liberati di
M e h e n d ; o che f o r t u n a , il leone ci ha liberati di
Mehend! .
L'orco e la giovane donna n o n cessavano di ridere
e di scherzare in mezzo alle lanterne accese! Stavano
gi per dirsi un'ennesima volta, tra u n a risata e l'altra: Mehend, lo a b b i a m o a f f i d a t o alle fauci di un
leone, quando la porta si apr bruscamente. Un colpo di sciabola tronc la testa all'orco e la fece volare
in pezzi. Allora, t e n e n d o s i sulla soglia, M e h e n d
guard la giovane donna e le disse con voce terribile:
Per te ho a b b a n d o n a t o padre e madre; per te mi sono esposto parecchie volte a morte certa, e tu mi hai
preferito un orco! Che Dio ti tradisca come tu hai
tradito me, p e r c h n o n meriti di m o r i r e p e r m a n o
mia. E, lasciando la giovane d o n n a in c o m p a g n i a
dell'otre di latte e del cadavere dell'orco, Mehend riprese con il suo amico il sentiero della foresta.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!

14. S T O R I A D E L B A U L E

Che il m i o r a c c o n t o sia bello e si dipani c o m e un


lungo filo!
C'era u n a volta un re - bench n o n vi sia altro re
all'infuori di Dio - e questo re aveva un figlio, teneramente amato, che gli disse: O re, mio padre, lascia292

mi a n d a r e al mercato a vedere i tuoi sudditi. Fai


come vuoi gli rispose il re.
Il principe se ne a n d dunque al mercato e disse a
tutti gli uomini: Voi n o n venderete n comprerete,
non comprerete n venderete finch non avrete capito questi indovinelli. Il primo: "Qual l'essere che al
mattino c a m m i n a su quattro zampe, a mezzogiorno
su due e la sera su tre?". Il secondo: "Qual l'albero
che ha dodici rami, su ognuno dei quali vi sono trenta foglie?".
Nessuno seppe rispondere. Tutti gli uomini rimasero muti. Il mercato si dissolse. Pass u n a settimana. Il g i o r n o del m e r c a t o si rivide il figlio del re.
Questi chiese: Avete trovato u n a risposta ai miei indovinelli?.
E anche questa volta tutti tacquero e si dispersero.
Chi doveva comprare non compr. E chi doveva vendere non vendette. Il mercato si dissolse. Ora, tra gli
u o m i n i cos r a d u n a t i si trovava il sorvegliante del
m e r c a t o . E r a assai povero e aveva d u e figlie: u n a
bellissima e l'altra, la pi giovane, mingherlina ma
piena di spirito. La sera, q u a n d o suo p a d r e fece ritorno, quest'ultima gli disse: Padre mio, con questo
sono due mercati che parti e torni a mani vuote. Perch?. Figlia mia, rispose il sorvegliante venuto
il figlio del re e ha proclamato: "Voi n o n venderete
n comprerete, non comprerete n venderete finch
n o n avrete capito il senso di quello che sto per dire". E che cosa vi ha chiesto di indovinare il principe? riprese la fanciulla.
Ci ha chiesto qual l'essere che al mattino camm i n a su quattro zampe, a mezzogiorno su due e la
sera su tre; qual l'albero che ha dodici r a m i , su
ognuno dei quali vi sono trenta foglie. La fanciulla
riflett un po' p r i m a di rispondere: facile, padre
mio: l'essere che al m a t t i n o c a m m i n a su q u a t t r o
293

zampe, a mezzogiorno su due e la sera su tre l'uomo. Al mattino della sua vita c a m m i n a carponi sulle
m a n i e sui piedi; quand' pi grande c a m m i n a sui
d u e piedi. Da vecchio, si a p p o g g i a a un b a s t o n e .
Quanto all'albero, l'anno: l'anno ha dodici mesi e
in ogni mese vi sono trenta giorni.
Pass u n a settimana. Il giorno del mercato si rivide il figlio del re. Questi chiese: E oggi avete indovinato?.
Parl il sorvegliante. Disse: S, signore. L'essere
che al mattino c a m m i n a su quattro zampe, a mezzogiorno su due e la sera su tre l'uomo. Al m a t t i n o
della sua vita c a m m i n a carponi sulle mani e sui piedi; q u a n d ' pi grande c a m m i n a sui d u e piedi; da
vecchio, si appoggia a un bastone. Quanto all'albero,
l'anno: l'anno ha dodici mesi e in ogni mese vi sono
trenta giorni.
Aprite pure il mercato! c o m a n d il figlio del re.
Quando venne la sera, il principe si accost al sorvegliante e gli disse: Voglio entrare in casa tua. Il
sorvegliante rispose: Va bene, signore.
E si avviarono a piedi. Il principe a f f e r m : Ho
fuggito il paradiso di Dio. Ho rifiutato ci che voleva
Dio. La strada lunga; portami o io porter te. Parla
o parler io.
Il sorvegliante rimase in silenzio. Incontrarono un
torrente. Il figlio del re disse: Fammi attraversare il
torrente o te lo far attraversare io.
Il sorvegliante, che non capiva nulla, n o n rispose.
Giunsero in vista della casa. Apr loro la figlia minore del sorvegliante (quella che era mingherlina ma
piena di intuito). Essa disse loro: Siate i benvenuti.
Mia m a d r e andata a vedere un essere che n o n aveva m a i visto. I miei fratelli colpiscono l'acqua con
l'acqua. Mia sorella si trova tra un m u r o e l'altro.
Il figlio del re entr. Vedendo la figlia pi bella del
294

sorvegliante disse: Il piatto bello ma ha un'incrinatura.


La notte trov tutta la famiglia riunita. Venne ucciso un pollo e si fece un cuscus delle grandi occasioni. Q u a n d o il pasto fu pronto, il principe disse:
Far io la divisione del pollo. Diede la testa al padre, le ali alle fanciulle, le cosce ai due maschi, il petto alla madre. E per s tenne le zampe. Tutti mangiarono e si apprestarono a passare la notte.
Il figlio del re si rivolse allora alla ragazza piena di
spirito e le disse: Avendomi tu detto: "Mia madre
a n d a t a a vedere un essere che non aveva mai visto"
vuol dire che u n a levatrice. Avendomi tu detto: "I
miei fratelli colpiscono l'acqua con l'acqua", significa che essi stavano innaffiando i giardini. E quanto
a tua sorella, "tra un m u r o e l'altro", essa tesseva la
lana, avendo dietro di s un m u r o e davanti a s un
altro muro: il telaio.
La fanciulla rispose: Q u a n d o vi siete messi in
viaggio, tu hai detto a mio padre :"Ho fuggito il paradiso di Dio". la pioggia che, per la terra, il paradiso di Dio: temevi dunque di bagnarti? E poi hai
detto: "Ho rifiutato ci che voleva Dio". la morte
che rifiutavi? Dio vuole che noi m o r i a m o , ma noi
n o n vogliamo. Alla fine hai detto a m i o padre: "La
strada lunga; portami o io porter te. Parla o parler io", perch la strada ti sembrasse pi corta. Come q u a n d o tu gli hai detto, allorch vi siete trovati
davanti il torrente: "Fammi attraversare il torrente o
te lo far attraversare io". Volevi dire: "Indicami il
guado o lo cercher io". Quando sei entrato in casa
nostra, hai guardato mia sorella e hai detto: "Il piatto bello ma ha un'incrinatura". Mia sorella effett i v a m e n t e bella, virtuosa, ma figlia di un
p o v e r u o m o . E poi hai diviso il pollo. A mio p a d r e
hai dato il capo: lui il capo della casa. A mia m a d r e
295

hai dato il petto: essa il cuore della casa. A noi figlie hai dato le ali: noi non resteremo qui, prenderemo il volo. Ai miei fratelli hai dato le cosce: essi sono
il sostegno, i pilastri della casa. E tu, per te hai preso
le z a m p e p e r c h tu sei l'invitato: sono i tuoi piedi
che ti h a n n o portato fin qui, sono loro che ti riporter a n n o a casa.
L'indomani il principe and a trovare il re suo padre e gli comunic: Voglio sposare la figlia del sorvegliante del mercato.
Il re si indign: Come potresti tu, figlio di re, sposare la figlia di un sorvegliante? Sarebbe un'onta. Diventeremmo la favola dei paesi vicini!. Se non sposo lei disse il principe non mi sposer mai.
Il re, che non aveva altri figli, fin per cedere: Se
l'ami, figlio mio, sposala!.
Il principe offr alla fidanzata oro, argento, ricche
stoffe di seta e ogni sorta di meraviglie. Ma le disse
a n c h e , con aria grave: Ricordati b e n e questo: il
giorno in cui la tua sapienza superer la mia, quel
giorno ci separeremo. Essa rispose: Far sempre
quello che vorrai.
Comunque sia, p r i m a del giorno delle nozze fece
chiamare il falegname e gli ordin un baule delle dimensioni di un uomo, col coperchio m u n i t o di piccoli fori. A questo baule essa rivest l'interno di raso;
vi sistem quindi il proprio corredo e lo port con s
in casa dello sposo.
Le nozze diedero luogo a festeggiamenti che durarono sette giorni e sette notti. Il re imband un enorme banchetto. Per molti anni il principe e la principessa vissero felici a palazzo. E q u a n d o il re mor,
suo figlio gli succedette.
Un giorno in cui il giovane re amministrava la giustizia, si presentarono a lui due donne con un bam296

bino che era conteso tra le due. Una diceva: mio


figlio! e l'altra, a sua volta: mio figlio!.
Si misero a gridare, a prendersi per i capelli. Il re
era perplesso. La regina, incuriosita, chiese informazioni a un servo. Costui le disse: Ci sono due donne
con un bambino che tutte e due rivendicano. Ciascuna aveva un bambino. Uno di questi piccoli morto,
e il re non riesce a scoprire qual la madre del bimbo ancora vivo. La regina riflett un istante. Dopodich rispose: Che il re dica semplicemente alle due
donne: "Far dividere in due il b a m b i n o e ciascuna
di voi ne avr u n a met". Allora u d r la vera madre
gridare: "Signore, non ucciderlo, in n o m e di Dio!".
Il servo corse a indicare al re l'astuzia che avrebbe
fatto trionfare la verit. Il re si volse al ministro e
disse: Porta u n a lama, in modo che possiamo dividere in due il bambino. No, signore! grid u n a
delle donne. Cos morir!
Allora il re consegn a lei il b a m b i n o e disse: Sei
tu s u a m a d r e , dal m o m e n t o che n o n hai voluto la
sua morte.
Poi il re and a trovare la regina e le disse: Ti ricordi quello che avevamo c o n v e n u t o il giorno del
nostro matrimonio?... Ti avevo detto: "Il giorno in
cui la t u a s a p i e n z a si riveler s u p e r i o r e alla mia,
quel giorno ci separeremo".
Essa rispose: Me ne ricordo. Ma accordami ancora u n a grazia: pranziamo insieme per un'ultima volta, dopodich partir.
Egli glielo concesse e aggiunse: Scegli quello che
pi ti piace nel palazzo e portalo via con te.
Essa prepar personalmente il pasto. Senza che il
re se ne accorgesse, gli s o m m i n i s t r un narcotico.
Egli mangi. Bevve. E all'improvviso si addorment.
Essa lo sollev e lo distese nel baule che chiuse poi
con cura. Quindi chiam i domestici e annunci loro
297

che sarebbe a n d a t a in vacanza presso la sua famiglia. Raccomand loro di trasportare con delicatezza il baule. E lasci il palazzo senza perdere di vista
il baule che la seguiva.
Una volta che fu a casa dei suoi genitori, la giovane regina apr il baule. Prese d e l i c a t a m e n t e tra le
braccia il suo sposo e lo distese sul letto. Seduta al
suo capezzale, attese pazientemente il suo risveglio.
Fu solo verso sera che il re apr gli occhi. Chiese:
Dove sono? E chi mi ha portato qui?. Essa rispose:
Sono stata io. Ed egli disse ancora: Perch?... Come sono arrivato qui?. Sorridendo essa rispose: Ricordati. Tu mi hai detto: "Guardati intorno, scegli
quello che pi ti piace nel palazzo e portalo via con
te". Ora, nel tuo palazzo nulla mi pi caro di te. Ti
ho preso, e ti ho portato via con me in un baule.
Il re e la regina si compresero. Fecero r i t o r n o a
palazzo, dove vissero felici fino alla morte.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!

15. 0 B U - I E D M I M , F I G L I O M I O !

Che il m i o r a c c o n t o sia bello e si d i p a n i c o m e un


lungo filo!
C'era u n a volta, in un villaggio, un u o m o che possedeva u n a pernice, u n a pernice che ai suoi occhi
era pi cara di qualunque cosa al mondo. Pi cara di
sua moglie e di sua figlia. Lui solo le si avvicinava,
lui solo le dava da bere e da mangiare. Aveva detto e
ripetuto a quanti gli stavano intorno che se la pernice gli fosse scappata sarebbe successo un disastro.
Quest'uomo era terribile. Nessuno era tentato di disobbedirgli, tranne la sua figlioletta, Reskia, che da
molto tempo desiderava vedere la pernice.
298

Una mattina, essa disse alla madre: Te ne prego,


lasciamela solo intravedere, solo intravedere!. E insistette tanto che la gabbia venne aperta e l'uccello
vol via. Non ci resta che andarcene, disse la madre, perch se tuo padre ci trovasse qui ci ucciderebbe!
La m a d r e r i e m p un p a n i e r e di provviste, prese
per m a n o la figlia e usc. C a m m i n a r o n o fino a sera.
La povera d o n n a era prossima a mettere al m o n d o
un figlio: si sentiva stanchissima, e altrettanto la sua
figlioletta. La notte le sorprese nel cuore della foresta. Dove a v r e b b e r o p o t u t o t r o v a r e un rifugio?...
Scorsero u n a palma da dattero cos alta da toccare
la terra e il cielo. Si arrampicarono lungo il tronco e
si nascosero tra i suoi rami.
A notte fonda, gli animali selvatici si r a d u n a r o n o e
si a m m a s s a r o n o ai piedi dell'albero: Sento odore di
umani! annunci il leone.
P r o p r i o in quell'istante la r a g a z z i n a bisbigli:
Mamma, mi scappa la pip. Trattienila! supplic
la madre. Non ce la faccio! rispose la bimba. Allora la m a d r e le porse le orecchie u n a dopo l'altra, mugugnando: Falla qui, tu che sei causa della mia rovina!.
Una goccia fin per cadere sui baffi del leone. Egli
rugg: Un essere u m a n o deve essersi nascosto sui rami pi alti della palma, ma chi salir per scoprirlo?.
Io, signore! dichiar la formica.
Essa si arrampic e morse la m a d r e a u n a gamba.
Ma la formica ne mor, perch venne schiacciata. Gli
altri animali attesero invano il suo ritorno. Allora il
serpente disse: Alla f o r m i c a successo qualcosa.
Tocca a me salire.
Strisci lungo l'albero e m o r s e la povera d o n n a
che cadde pesantemente.
Gli animali stavano per gettarsi su di lei e farla a
299

pezzi q u a n d o il leone diede ordine di allontanarsi.


Allora, volgendosi a lui, la coniglia gli rivolse questa
richiesta: Signore, io n o n p r e t e n d e r nulla della
madre. Se sei d'accordo, ti chieder solo il b a m b i n o
che essa porta in seno. Prendilo delicatamente, non
fargli alcun male. E dallo a me.
Il leone apr con delicatezza il ventre della madre,
ne trasse dolcemente il figlio e lo consegn alla coniglia.
Gli animali si divisero la povera donna. Ben presto,
di lei non rimasero che poche ossa e dei brandelli di
vestito nei quali la coniglia avvolse il neonato. Sul far
del giorno, gli animali si dispersero e la coniglia rimase sola. Allora volse lo sguardo verso l'albero e disse
alla bimba: Scendi, scendi adesso, tu che non hai pi
madre, tu che sei la causa della sua morte!.
Reskia scese. La coniglia r a d u n le ossa sparpagliate, scelse l'osso pi grosso e lo depose vicino a s.
Le altre le spezz, servendosi di u n a pietra, p e r
estrarne il midollo. Riemp di midollo l'osso che aveva posato vicino a s e lo porse alla bimba. Le affid
q u i n d i il fratello. Glielo mise in b r a c c i o e disse:
Ascolta, ascoltami bene, Reskia, e segui tutte le mie
prescrizioni. Tua m a d r e morta, ma ecco tuo fratello Ali. Portalo con te: tuo. Lungo il c a m m i n o che
dovrai percorrere, di tappa in tappa, nutrilo con un
po' di midollo ed esclama: "O gioia, mio fratello balbetta, mio fratello sorride!" e lo sentirai balbettare e
lo vedrai sorridere... "O gioia, mio fratello sta in piedi sulle sue gambette!" e lo vedrai reggersi in piedi.
"O gioia, mio fratello mette un piede davanti all'altro!" e lo vedrai fare un passo. "O gioia, mio fratello
un ometto: p o t r e b b e fare il pastorello!" e f a r le
corse intorno a te. "O gioia, mio fratello un adolescente!" e lo vedrai accanto a te come un giovane arbusto. "O gioia, mio fratello un uomo!" e lo scopri300

rai dietro a te. Hai capito bene?... Va' e che Dio sia
con te.
Reskia strinse forte a s il fratello e si allontan
piangendo. Piangendo avanzava attraverso gli alberi. Le apparve u n a radura; la fanciulla si ferm, mise
un po' di midollo t r a le l a b b r a del piccino ed
esclam: O gioia, mio fratello balbetta, mio fratello
sorride!.
E lo vide sorridere e lo sent balbettare. Allora cess di piangere e si rimise in cammino. Attravers la
foresta, tutta la foresta. Quando ne usc, appoggi il
piccino a un rialzo del terreno e disse: O gioia, mio
fratello sta in piedi!. E si meravigli di vederlo stare
dritto sulle sue gambette. Allora gli diede da mangiare ancora un po' di midollo e prosegu il viaggio. Seguiva la direzione dell'ombra e si sentiva pi coraggiosa p e r c h si era lasciata alle spalle la f o r e s t a e
non doveva pi temere gli animali selvatici. Accett
di riposarsi solo al tramonto, alle porte di un villaggio. Mise un po' di midollo sulle labbra del b i m b o ed
esclam: O gioia, mio fratello m e t t e un piede davanti all'altro!.
E lo vide m u o v e r e il suo p r i m o passo. Allora lo
sollev in b r a c c i o ed e n t r nel villaggio. E r a cos
stanca che si ferm davanti alla p r i m a casa per chiedere ospitalit. Le offrirono un b u o n pasto e le prep a r a r o n o un letto. Al levar del sole, ripart s e m p r e
nella stessa direzione. Accanto a un ruscello, depose
il fanciullo ed esclam: O gioia, mio fratello cammina!.
E lo vide c a m m i n a r e lungo il corso d'acqua. Gli
diede a n c o r a un po' di midollo e p r o s e g u i r o n o il
viaggio. L'ora della calura li sorprese sotto gli ulivi.
Reskia mangi dei fichi e un pezzo di focaccia. Poi
mise un po' di midollo sulle labbra di Ali ed esclam:
301

O gioia, mio fratello un ometto, potrebbe fare il


pastorello!.
E lo vide correre intorno agli alberi. Lo chiam. Si
distesero all'ombra e si a d d o r m e n t a r o n o . Un vento
fresco li ridest. Ripartirono e c a m m i n a r o n o a lungo, p e r monti e pianure. Fecero u n a breve sosta in
un c a m p o di fichi; in esso zampillava u n a sorgente;
vi si avvicinarono per bere nel cavo delle mani. E Reskia disse: 0 gioia, mio fratello un adolescente!.
E improvvisamente lo vide davanti a s come un
giovane arbusto. Gli diede ancora un po' di midollo e
ripartirono tenendosi per mano. Andarono, andarono, in direzione di un villaggio che scorgevano in
lontananza. Vi giunsero e Reskia offr al fratello ci
che le restava del midollo, e s c l a m a n d o : O gioia,
mio fratello un uomo, mio fratello un uomo!.
Reskia e il fratello e n t r a r o n o nel villaggio al tramonto. Notarono u n a vecchina che veniva avanti a
p o c h i passi da loro. La r a g g i u n s e r o e le dissero:
Madre, dacci un riparo, in n o m e di Dio!.
Essa apr loro la sua casa, diede loro da mangiare
del cuscus, del latte e della frutta, e prepar loro due
letti. D o r m i r o n o p r o f o n d a m e n t e . Il giovanotto si
svegli p e r p r i m o . And dalla vecchia e le disse:
Mia sorella e io v o r r e m m o vivere in questo paese.
Dove potrei trovare u n a casetta e del lavoro?.
La vecchia gli rispose: Io sono anziana, stanca,
sola al m o n d o e mi annoio. Rimanete con me, tu e
tua sorella. Essa bader alla casa m e n t r e tu ti occuperai del bestiame e coltiverai i campi.
Essi si stabilirono quindi presso di lei e vissero felici e contenti insieme alla vecchia. Ma quest'ultima
dopo un certo t e m p o mor e la loro felicit ebbe termine, sebbene essa avesse lasciato loro tutto quello
che possedeva: la sua casa, i suoi oliveti e i campi di
fichi, la sua porzione di foresta e il suo bestiame.
302

Una sera, Reskia affront decisamente il fratello e


gli disse: Ali, fratello mio, voglio che tu prenda moglie!. Egli rispose: Sorella mia, n o n siamo felici
noi due? Perch f a r entrare u n ' e s t r a n e a che ci potrebbe dividere?. Ma la sorella riprese: C' qualcuno che p u separarci?... Rassicurati: nulla al m o n d o
ci potr dividere. Gi da domani mi metter in cerca
per trovarti u n a fidanzata tra le fanciulle pi a m m o do del villaggio.
Il matrimonio fu fatto. E Zahua, la giovane sposa,
detest sua cognata e divenne gelosa di lei. Reskia
aveva un ascendente sul fratello, che non avrebbe intrapreso nulla senza chiederle consiglio e la circondava di mille attenzioni. Zahua non pot sopportarlo. Un giorno di primavera, l'odio a c c u m u l a t o nel
suo cuore n o n pot pi essere contenuto. E r a u n a
mattina. La giovane sposa e la fanciulla si trovavano
nei campi; nell'attraversare un prato, ciascuna di loro scopr, celate nell'erba, delle uova. Quelle che aveva trovato Reskia erano uova di quaglia. Ma Zahua
aveva messo le mani su uova di serpente... Tornarono a casa.
L'indomani, Z a h u a fece m a n g i a r e alla c o g n a t a
queste uova di serpente: esse si schiusero nelle viscere della povera fanciulla, che nel volgere di p o c h i
giorni vide il p r o p r i o ventre gonfiarsi e il colorito
scurirsi mentre il viso si copriva di macchie. Mentre
da parte sua Reskia n o n aveva alcun sospetto, u n a
sera Zahua tir a s in un angolo il suo sposo e gli bisbigli: Hai osservato t u a sorella? L'hai g u a r d a t a
bene?... Guarda il suo ventre che di giorno in giorno
si fa sempre pi grosso. Non avr qualcosa da rimproverarsi?.... Non ti vergogni? replic il fratello.
Come osi parlarmi cos di colei che ti ha data a me,
di colei che mi ha allevato? Non devo a lei se ora sono un uomo? Va bene prosegu la giovane donna.
303

Se n o n vuoi c r e d e r m i , d o m a n i di' a t u a sorella:


"Sento un p r u r i t o alla testa, g u a r d a un po' se c'
qualcosa". Appoggerai la testa sulle sue ginocchia,
come se fossi un bambino, e ascolterai con attenzione . E allora sentirai...
Poco t e m p o dopo, Ali vide sua sorella s e d u t a in
cortile al sole. Le si avvicin, si allung ai suoi piedi
e sprofond la testa nell'incavo delle ginocchia. Essa, con la m a s s i m a naturalezza, si mise ad accarezzargli i capelli. Egli r i m a s e cos, immobile, f i n o a
quando ud la vita fremere in lei. Dopodich si alz.
Attese la n o t t e p e r ritrovare s u a moglie e dirle:
Hai detto la verit!. Fa' di lei quello che vuoi rispose Zahua. Non possiamo tenerla con noi: ci coprirebbe di onta. Ci disonorerebbe agli occhi dei vicini e non o s e r e m m o pi rivolgerci ad anima viva in
questo villaggio.
Al d o r m m a l e quella notte. Si ridest all'alba.
Prese u n a c o r d a e se ne a n d a trovare la sorella:
Vieni con me le disse. Dobbiamo andare a tagliare della legna, n o n ne abbiamo pi.
Partirono e raggiunsero la foresta. Qui si trovava
u n a buca profonda: il giovane vi condusse la sorella
e ve la precipit senza dir motto.
Essa chiam e pianse, in un p r i m o m o m e n t o invano. Ma si diede il caso che passasse di l un cavaliere
di ritorno da un mercato nelle vicinanze. Egli la ud
piangere. Scese da cavallo e si mise a cercare da dove provenissero quei lamenti. Si guard intorno da
ogni parte e fin per scoprire la buca, al cui interno
scorse la p o v e r i n a che piangeva. Allora, si sfil la
lunga cintura di lana e gliela lanci, gridandole: Attaccatela bene ai fianchi!.
E si mise a tirare Reskia fuori della buca, a forza
di braccia. Non appena l'ebbe vicino a s, le chiese
spiegazioni ed essa parl. Disse: Mio fratello all'al304

ba mi ha detto: "Andiamo a tagliare della legna, non


ne abbiamo pi". Mi ha portata fin qui ed ecco che
cosa mi ha fatto! Io l'ho allevato. Gli ho trovato u n a
moglie. Sua moglie mi ha detestata dal primo istante, ma lui mi ha a m a t a e rispettata fino a oggi. Tutto
cambiato per me da quel mattino di primavera in
cui m i a cognata e io a b b i a m o scoperto delle uova
nel prato... Il mio ventre si va gonfiando ogni giorno
di pi, e il mio colorito si guasta. Ed ecco che il mio
a m a t o fratello mi getta in questa b u c a nel cuore della foresta e mi ci abbandona!.
Il cavaliere la osserv, la osserv a lungo in silenzio. Poi la fece salire davanti sul suo cavallo e la
port via con s. Le apr la sua casa e, appena si fu
riposata per bene, le disse: Tu e io, se vuoi, ci recheremo dal Vecchio Saggio. Lui, ne sono sicuro, ci riveler la verit.
Al Vecchio Saggio bast un'occhiata alla fanciulla
per annunciare: Quello che questa povera piccola
ha nel ventre sono dei serpenti. Qualcuno deve averle fatto mangiare delle uova di serpente. E che cosa posso fare per liberarla? d o m a n d il cavaliere.
Dalle da mangiare a forza u n a gran quantit di carne ai ferri che avrai salato e s a g e r a t a m e n t e , e n o n
darle da bere, p e r c h t u t t a la c a r n e d e s t i n a t a ai
serpenti. Se sar molto salata, avranno u n a gran sete. Quando questa fanciulla avr mangiato a saziet,
a p p e n d i l a p e r i piedi a testa in gi, c o n la b o c c a
aperta al di sopra di un bacile pieno d'acqua che dovrai rimestare con un bastone, in m o d o che, udendo
il r u m o r e dell'acqua, i serpenti accorrano e cadano
u n o dietro l'altro.
Il cavaliere riport a casa Reskia e le diede tanta
carne alla griglia q u a n t a ne pot mangiare. Poi l'appese al soffitto, proprio al di sopra di un i m m e n s o
piatto di legno pieno d'acqua. E si mise a rimestare
305

quest'acqua facendo un gran rumore. Uno dopo l'altro, sette serpenti vi caddero dentro. Il cavaliere continu ad agitare l'acqua. Ma, non vedendo comparire altri serpenti, si ferm. Sleg la fanciulla e la fece
stendere su un letto. Mentre si accingeva a uccidere i
serpenti e a gettarli via, essa lo supplic: Schiaccia
loro solamente la testa, ma n o n gettarli via!. Egli fece s e c o n d o i suoi desideri. Allora essa li prese, li
sal, li espose al sole, e q u a n d o f u r o n o completamente secchi li rinchiuse in un otre.
Poco t e m p o dopo, la bellezza di Reskia torn a
sbocciare in tutto il suo fulgore. Il suo colorito ridivenne chiaro e la sua bocca, color della melagrana, riprese a ridere. Ritrov i suoi occhi lucenti e i suoi capelli di seta, i suoi occhi che nessuno poteva
a m m i r a r e senza restarne ammaliato e la massa dei
suoi capelli che le arrivavano fino alla vita. Il cavaliere l'amava. La spos. Era ricco; possedeva numerosi
campi coltivati a ulivi e a fichi, boschi, vigneti, diverse case e un giardino, un giardino di montagna in cui
crescevano fiori di ogni sorta e in cui cantavano, sugli
alberi da frutta, uccelli di ogni specie. In questo giardino Reskia amava passeggiare per lunghe ore. Quanto a lui, al suo sposo, la circondava di tenerezze, la
colmava di doni per farle dimenticare le sue antiche
tristezze. Era sempre teso a soddisfare ogni suo minimo desiderio, felice se la vedeva allegra, infelice se la
vedeva cupa. Ma essa, tra tante ricchezze, e malgrado
un tale amore, non dimenticava suo fratello, giacch
accanto a lui aveva lasciato il suo cuore.
Reskia rimase incinta. Mise al m o n d o un maschietto e lo chiam Bu-Iedmim, che vuol dire "biancospino". Ma la nostalgia che aveva del fratello invece di
diminuire aumentava. E il tempo trascorse.
Il b i m b o aveva ora sette anni. Una mattina la madre gli disse: Ascolta, Bu-Iedmim, q u a n d o t u o pa306

dre rientrer a casa stasera, di ritorno dal mercato,


n o n dimenticarti di metterti a piangere davanti a lui
dicendo: "Tutti i bambini del m o n d o h a n n o degli zii
e li vanno a trovare, tranne me. Voglio che mi portiate da mio zio Al".
Il padre, rientrando, trov il figlio in lacrime. Ora,
egli lo amava con u n a tenerezza infinita. Questo
b a m b i n o era la sua vita. Gli domand: Bu-Iedmim,
figlio mio, che hai? Non sarai mica malato?. Voglio
a n d a r e da mio zio. Piccino mio, riprese il padre
tu non hai zii. Tua m a d r e l'ho trovata nel bosco.
Ma il bimbo prosegu: Io ho il mio zio Al, lasciami andare a trovarlo insieme alla m a m m a .
A sua volta, la m a d r e prese la parola. Disse: Sono
otto anni che non so pi nulla di mio fratello, lasciaci partire e Dio te ne render merito.
Il padre la guard e non disse u n a parola.
Reskia si alz all'alba. Si vest p o v e r a m e n t e , si
gett sulle spalle l'otre con i serpenti, prese il figlio
con u n a m a n o e un cestino di provviste con l'altra e
usc senza far r u m o r e . Era estate. La m a d r e e il figlio partirono a piedi come due mendicanti. Cammin a r o n o p e r d u e giorni, senza a r r e s t a r s i se n o n di
tanto in tanto sotto degli alberi o sulla riva di un ruscello per mangiare, bere e riposarsi. Il villaggio dello zio era vicinissimo, q u a n d o la m a d r e disse al
b a m b i n o : Siamo p r o p r i o stanchi. B u s s e r e m o alla
p r i m a casa che i n c o n t r e r e m o e c h i e d e r e m o che ci
p e r m e t t a n o di passarvi la notte. Tu, per, a p p e n a
avremo mangiato e ci accingeremo a passare la notte, n o n dimenticarti di dirmi: "Mamma, prima di add o r m e n t a r m i voglio u n a storia". Piangi e supplicami
fino a che non te ne avr raccontata una. Hai capito
bene?.
Reskia spi il fratello. Lo vide tornare dai campi al
calare della sera e dirigersi verso casa. Essa lo segu
307

e gli disse: Dacci asilo per questa notte, nel n o m e di


Dio!. Egli li fece entrare tutti e due, lei e suo figlio.
Mentre tutti si preparavano per la notte, Bu-Iedm i m si mise a fare i capricci: Ma s, raccontagli u n a
storia consigli il fratello. Il piccolo si addormenter, mentre noi ci distrarremo.
E Reskia cominci la sua storia: C'era u n a volta
u n u o m o che possedeva u n a pernice, u n a p e r n i c e
che lui amava pi di qualunque altra cosa al mondo;
pi di sua moglie e di sua figlia. Aveva detto e ripetuto a quanti gli stavano intorno che se la pernice fosse
scappata sarebbe successa u n a sciagura. La pernice
scapp. E la m a d r e e la figlioletta fuggirono per il
terrore. C a m m i n a r o n o , c a m m i n a r o n o a lungo. La
notte le sorprese nel cuore della foresta. La povera
donna era prossima a dare alla luce un figlio: era assai stanca. Gli animali selvatici si r a d u n a r o n o e se la
spartirono. Ma il leone risparmi il bimbo che essa
portava in grembo e lo diede alla coniglia. Anche la
fanciulla si salv. La coniglia le affid il neonato dopo molte r a c c o m a n d a z i o n i : era un maschietto. La
sorella lo strinse a s piangendo. Lo port in braccio
per giorni e giorni. Lo allev, lo nutr con il midollo
che la coniglia aveva estratto dalle ossa della m a d r e
stessa, e ne fece un uomo. Una sera, all'ingresso di
un villaggio sconosciuto, fratello e sorella incontrarono u n a vecchia. Le dissero: "Madre, dacci un riparo, in n o m e di Dio!". E s s a li accolse, li a m e li
a d o t t . E r a sola al m o n d o : m o r e n d o lasci t u t t i i
suoi beni ai due orfani. Il fratello e la sorella vivevano uniti e felici. Ma la sorella volle per il fratello u n a
felicit ancora pi perfetta. Gli trov u n a sposa, e la
giovane moglie riusc a dividere coloro che e r a n o
pi uniti delle dita di u n a mano. Detest a tal punto
la c o g n a t a che u n a m a t t i n a di p r i m a v e r a le fece
m a n g i a r e uova di serpente. Esse si schiusero nelle
308

viscere della sventurata che non aveva alcun sospetto. Allora, la giovane sposa disse al fratello: "Hai osservato tua sorella? incinta... Se vuoi convincertene, appoggia la guancia sul suo ventre e sentirai il
fremito della vita". Quelli che lui sent fremere erano
i serpenti, ma credette ben altro... E fu cos che egli
port con s la sorella nei boschi, la fece precipitare
in fondo a u n a buca e la abbandon senza dir motto.
Essa pianse. Pianse e si mise a chiamare. Dapprima
invano. Ma poi si trov a passare di l un cavaliere
che t o r n a v a da un m e r c a t o vicino: era Dio che lo
mandava. Liber la fanciulla. La port con s nella
sua dimora. La cur e la spos.
A m a n o a m a n o che Reskia parlava, vedeva farsi
sempre pi pallida la cognata e sempre pi pallido il
fratello, mentre la terra si schiudeva sotto di loro per
inghiottirli. Tir r a p i d a m e n t e f u o r i dall'otre i serpenti disseccati e, mostrandoli al figlio, fece udire
questa lamentazione:
O Bu-Iedmim, figlio mio,
Cosa mi ha fatto tuo zio Al!
Mi ha condotta nei boschi
E mi ha abbandonata!...

Al e la
nevano fuori solo le loro teste quando Reskia balz
verso il fratello. Lo afferr per i capelli, lo tir fuori,
mentre lasci che la cognata sparisse e la terra si richiudesse su di lei.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!

309

16. S T O R I A D E L V E C C H I O L E O N E
E D E L L O S T O R M O DI P E R N I C I

Che il m i o r a c c o n t o sia bello e si d i p a n i c o m e un


lungo filo!
Ai tempi in cui gli animali parlavano, un leone gi
anziano si riscaldava al sole sul fianco di u n a collina, quando capit di l uno sciacallo che disse al re
degli animali: Padrone, vuoi ritrovare l'agilit della
tua giovent?. Confesso che la cosa non mi dispiacerebbe rispose il leone. Allora, abbi un attimo di
pazienza. Sar ben presto di ritorno.
E lo sciacallo part alla ricerca di u n a bella pelle di
mucca, e non tard a scoprirla. Immerse questa pelle nell'acqua e la tagli in quattro parti uguali. Cominci quindi a fabbricare per il vecchio leone dei
mocassini che aderissero strettamente alle sue zampe. Lo sciacallo imprigion ogni zampa del leone in
un pezzo di pelle, imbevuto per bene d'acqua, che
aveva b a d a t o a cucire s t r e t t a m e n t e e ad allacciare
con delle stringhe di cuoio. Poi gli disse: Rimani al
sole quanto pi a lungo ti sar possibile. E non ti dimenticare di cambiare ogni tanto la posizione delle
zampe, in m o d o che i tuoi mocassini si secchino per
bene. Quando saranno secchi, alzati. Correrai come
n o n hai mai corso fino a oggi, e ti sentirai le ali ai
piedi. Non saprai pi come dimostrarmi la tua gratitudine.
Il leone era ingenuo. Espose coscienziosamente le
zampe al sole, b a d a n d o bene di cambiare ogni tanto
la loro posizione. Ora il sole era a picco. In tal modo
la pelle n o n ci mise molto a ritirarsi diventando pi
dura del legno. Dapprima il leone prov un po' di fastidio, poi un dolore, t a n t o pi vivo q u a n t o pi le
stringhe di cuoio gli penetravano nelle carni. Cerc
invano di liberarsi. In u n o sforzo s u p r e m o tent di
310

sollevarsi e rotol nel precipizio: se non mor fu un


vero miracolo
Incapace di muoversi e pi dolorante che se fosse
stato bastonato di santa ragione, impotente e inerme
come un agnello, il vecchio leone umiliato gemeva,
maledicendo, dal f o n d o del precipizio, lo sciacallo
che lo aveva tradito. Quand'ecco che u n o stormo di
pernici pass p e r caso sopra la s u a testa, f a c e n d o
frullare r u m o r o s a m e n t e le belle ali.
Che hai, nostro re, ti capitata u n a sventura?
chiesero le pernici dall'alto del cielo. E il leone raccont loro la sua triste avventura. Se ci prometti solennemente di n o n mangiarci ripresero quelle ti libereremo. Lo giuro rispose il leone.
Allora le pernici si posarono con grazia intorno a
lui per confortarlo. Poi trotterellarono fino alla fonte
l vicino per raccogliere nel becco l'acqua necessaria
ad ammorbidire i lacci di cuoio. Ma il loro becco ne
conteneva cos p o c a che dovettero fare t a n t i s s i m i
viaggi, cosa di cui esse non si lamentarono, tutt'altro, tanto le addolorava la sorte del loro sventurato
capo.
Alla fine i lacci si ammorbidirono. Le pernici poterono allora scioglierli senza troppa difficolt e sfilare i mocassini che torturavano il loro re. E b b e r o
anche la buona idea di bagnare le zampe del leone, il
che allevi il suo dolore e gli c o n s e n t di alzarsi.
Quando lo videro in piedi, ancora maestoso a dispetto dell'et e del cattivo trattamento che aveva appena
subito, le pernici si sentirono largamente ricompensate della pena che si erano date.
Che Dio vi benedica e vi dia il prestigio e la maest del leone, voi che a ragione venite chiamate "le
belle del paese"! disse il leone con la s u a voce
profonda.
311

Le pernici presero il volo. E da allora, il loro frullo


imita il ruggito del leone.
Poco tempo dopo, arriva lo sciacallo, impaziente
di impadronirsi della preda che, questa volta, era regale. Scorge il leone nella scarpata. Scende verso di
lui e dice: Come ti senti, o re degli animali? A giudicare da quello che vedo, le tue gambe ti h a n n o portato davvero l o n t a n o . Devi p r o p r i o avere ritrovato
l'agilit della tua giovinezza!.
Il leone si g u a r d b e n e dal r i s p o n d e r e , e fece il
morto. Lo sciacallo gli si avvicin fino a sfiorarlo. Allora il leone allung la sua zampa possente e afferr
lo sciacallo per la coda. Ma il f u r b o animale si dib a t t cos b e n e che riusc a scappare, lasciando la
coda nella zampa del leone. Sar facilmente in grado di riconoscerti, p o i c h tengo la t u a c o d a nella
mia zampa! gli disse con calma il leone.
Lo sciacallo corse come un fulmine a r a d u n a r e un
centinaio di suoi simili e annunci loro gioiosamente: Conosco un fico coperto di frutti maturi al punto giusto, fichi grossi come zucche. Chi vuole rimpinzarsene mi segua!.
Gli sciacalli, allettati, corsero pi veloci di lui e salirono sull'albero di fichi. Mentre essi si arrampicavano da un r a m o all'altro, lui, con u n a corda, legava
le loro code all'albero. Q u a n d o ebbe fissato tutte e
cento le code, si allontan e si mise a gridare come
un ossesso: Si salvi chi pu! Il proprietario dell'albero qui!. Gli sciacalli cercarono di fuggire. Presi
dal panico, tirarono con tutte le loro forze e finirono
per scappare lasciando la loro coda attaccata all'albero.
Fu cos che il leone si vide improvvisamente circondato da u n a moltitudine di sciacalli senza coda.
Ci voleva u n a bella abilit per riconoscere, in questo
caso, il suo nemico! Il leone, i m b a r a z z a t o , a n d a
312

trovare il Vecchio Saggio e gli raccont il tiro birbone che gli era stato giocato dallo sciacallo.
Non ti disperare gli disse il Vecchio Saggio perch a b b i a m o gi in pugno il t u o nemico. Procurati
un animale bello grasso, uccidilo e abbandonalo in
un c a m p o in cui gli sciacalli siano soliti passare. Nasconditi e osserva: li vedrai accorrere u n o dopo l'altro per mangiarselo. Uno solo di loro si avviciner
c o n u n a certa i n q u i e t u d i n e , c o m e s e fiutasse u n a
trappola. Mi raccomando, non lo mancare, perch
lui che ha voluto la tua morte!
Il leone ringrazi il Vecchio Saggio e si mise immediatamente in cerca della giovenca pi grassa. La
uccise. La fece a pezzi e l'abbandon ai piedi di un
ulivo. Nascosto dietro a un grosso albero, si mise ad
a t t e n d e r e . Uno, due, tre sciacalli si avvicinarono
all'animale con tutta naturalezza. All'improvviso, ne
not u n o che si faceva avanti con grande circospezione, guardava a destra e a sinistra, come se temesse di essere preso. Il leone fece un balzo e con la sua
zampa possente afferr l'avversario.
Finalmente ti tengo! gli disse.
E ne fece un sol boccone.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!

17. S T O R I A D I M O S H E D E L L E S E T T E F A N C I U L L E

E Dio gli disse: Poich non sei


stanco di perseguitare gli uomini sarai
a tua volta perseguitato dalla tua coda
Che il m i o r a c c o n t o sia bello e si dipani c o m e un
lungo filo!
Si narra che nei tempi antichi vi erano sette fan313

ciulle graziose come pernici: tra loro vi era poca differenza di et. La maggiore aveva quindici anni. La
pi giovane, Aisha, ne aveva solo sette. Aisha amava
starsene vicino al fuoco, cos vicino che aveva sempre i capelli impolverati di cenere e le sue sorelle la
soprannominavano: Aisha-Cenerella.
Queste piccine, ahim, non avevano pi la m a m ma. Il padre, in un p r i m o momento, cerc di prendersi cura di loro, ma era maldestro e il compito era
pesante. Si rispos. Come tutte le matrigne, a n c h e
questa matrigna non tard a detestare le orfanelle e
a esigere che il padre se ne sbarazzasse. E s che le
pi grandicelle aiutavano gi nei lavori dei campi,
c o n d u c e v a n o le greggi al pascolo, raccoglievano il
fieno, coglievano le v e r d u r e e i f r u t t i negli orti di
montagna, riempivano alla fonte lontana gli otri di
pelle di capra e portavano anche dalla foresta carichi
di legna secca. Le pi piccole zampettavano per casa
e cercavano di rendersi utili. Le poverine speravano
cos di d i s a r m a r e la malevolenza della m a t r i g n a ,
giacch avevano ben presente il proverbio: sempre
troppo grosso il pezzo di focaccia che sta in mano
all'orfano.
Solo Aisha rimaneva accanto al focolare e si accontentava di spingere nel fuoco i noccioli di olive
sparpagliati intorno a lei. Se ne stava l come un oggetto grazioso, con le manine intrecciate e i piedini
ripiegati sotto di s. Guardava le f i a m m e senza stancarsi. E ascoltava il vento. La cenere si posava come
u n a polvere argentea sul suo viso e sul suo vestito.
Nessuno si stupiva di vederla silenziosa e dolce, immobile per ore. La matrigna e il padre, ritenendola
troppo piccola per capire, non se ne preoccupavano
e parlavano davanti a lei in tutta libert. Aisha non si
allontanava se non malvolentieri dal fuoco, come se
temesse di perdersi qualche grave rivelazione. Giac314

ch Aisha-Cenerella era perspicace, e n o n perdeva


u n a parola degli aspri rimproveri che la matrigna riversava un giorno dopo l'altro sul capo del suo povero marito. La casa piena delle tue figlie gli diceva
c o n voce i n a s p r i t a . Circondano cos da vicino il
piatto di legno che riesco a malapena a far passare la
m i a m a n o e a prendere un po' di cibo. Dovrai scegliere tra le tue figlie e me: o via loro o via io!
Moglie mia! supplicava il padre. Moglie mia,
Dio voglia indurti alla ragione! Cosa farei delle mie
figlie pi piccole? La loro m a d r e morendo me le ha
affidate. Non hai un cuore? E non hai accettato questo carico q u a n d o ci siamo sposati?
Raddoppi le proprie attenzioni. Vizi follemente
la propria sposa, ma era come uno che danzasse davanti a un cieco. Una mattina, la matrigna affront il
padre con decisione: Marito, questa volta la mia pazienza esaurita. Questo giorno che splende l'ultimo che passer sotto questo tetto, se ci restano le
tue figlie.
Il p a d r e chin il capo. Gli sembrava che la terra
gli si aprisse sotto i piedi, perch amava questa donna. Sicura del suo potere, la matrigna riprese: Domani, di' alle tue figlie di alzarsi presto e di accompagnarti nella foresta in cerca di legna. E non avere
p a u r a di a d d e n t r a r t i con loro nel folto. Q u a n d o le
vedrai stanche, abbandonale al loro destino e torna
a casa. S o n o o r m a i grandicelle. Capiter b e n e un
passante che le prenda con s!.
Il p o v e r u o m o lott, preg, supplic ma fin per
cedere. Accoccolata accanto al fuoco, Aisha assistette m u t a alla propria disfatta. Come rovinare, lei, cos
piccola, i piani malvagi della matrigna?... Ci pens
su tutto il giorno e parte della notte. Si alz all'alba e
si prepar come le sue sorelle. Ma mentre la matrigna distribuiva le provviste - focaccia e fichi - Aisha
315

sgattaiol vicino al focolare, riemp in fretta il suo


corsetto di noccioli di oliva e segu docilmente il padre e le sorelle.
Nel c a m m i n a r e Aisha restava a p p o s i t a m e n t e un
po' indietro e nessuno se ne stupiva: era cos piccola!
In questo m o d o essa poteva infilare la m a n o nel corsetto e tirar fuori dei noccioli che poi disseminava
l u n g o il c a m m i n o . Il p a d r e e le figlie r a g g i u n s e r o
verso mezzogiorno il cuore della foresta. Si fermarono a mangiare accanto a u n a sorgente. E le fanciulle
si riposarono un po'. Aisha si teneva in disparte, appoggiata contro un albero: non abbandonava il padre c o n gli occhi. Arriv il m o m e n t o di m e t t e r s i
all'opera. Le piccine, incoraggiandosi a vicenda, raccolsero come potevano della legna secca. Si trovavano nel punto pi inestricabile della foresta quando,
all'improvviso, non videro pi il loro padre. Lo cercarono. Lo chiamarono sempre pi forte e si misero
a piangere. Allora Aisha radun le sorelle e disse loro: Non piangete. Nostro padre ci ha abbandonate
a causa della nostra matrigna. Ma io ho segnato la
strada con noccioli di olive. Aisha apr il cammino.
E al calare della notte le sette fanciulle bussavano alla porta del padre, con s o m m o dispiacere della matrigna che si disse: "Che astuzia dovr ancora architettare per essere finalmente sola in questa casa?".
Trascorsero alcune settimane in u n a pace ingannevole prima che sbocciasse in lei l'idea malefica che
inseguiva, p e r c h la m a t r i g n a dal c u o r e n e r o n o n
aveva deposto le armi. Una mattina si alz tutta allegra per annunciare gioiosamente alle orfanelle che i
loro zii e zie m a t e r n e le invitavano a u n a festa di
nozze, molto lontano, al di l delle montagne. Sarebbe stata necessaria u n a mula per portare i regali, e
conveniva c o m i n c i a r e a p r e p a r a r s i senza p e r d e r e
tempo.
316

L a s c i a n d o le fanciulle al c o l m o della s o r p r e s a ,
corse a far sapere la notizia al villaggio e a farsi prestare, di casa in casa, i ricchi abiti e i gioielli di cui
intendeva ornare le orfanelle. Tinse loro con l'henn
i capelli, le mani e i piedi. Cominci a macinare u n a
cesta di grano e a cuocere - come voleva la tradizione - il cestino pieno di frittelle che le fanciulle avrebb e r o p o r t a t o in o f f e r t a alla sposina. La m a t r i g n a
consegn loro inoltre dei panieri di uova sode, noci,
uvetta, arachidi e datteri. Se n o n l'avessero frenata
avrebbe dato loro tutto il miele e il burro della casa.
Dopodich fece il bagno alle sette fanciulle. Le vest,
le agghind, le p r o f u m . Le poverine non riconoscevano pi la loro matrigna e ingenuamente si rimproveravano in cuor loro di averla giudicata cos male.
Solo Aisha prevedeva giusto.
Il padre fece partire la mula e la carovana si allontan. Aisha era la sola a sapere che cosa significassero questo viaggio e l'allegria della matrigna. Standosene a c c a n t o al f u o c o aveva infatti colto oscuri
conciliaboli, aveva udito il padre parlare di un misterioso crepaccio, e la matrigna pretendere che egli vi
precipitasse, u n a dopo l'altra, tutte e sette le fanciulle, dopo averle spogliate dei vestiti e dei gioielli che
si erano fatte prestare.
Le orfanelle, in c a m p a g n a , e r a n o graziose come
fiori al sole. Il padre, invece, appoggiandosi a un bastone, avanzava quasi con riluttanza, seguito dalla
mula appesantita dai regali. Preoccupata di conservare il segreto e di prevenire questo nuovo pericolo,
Aisha si teneva il c u o r e c o n a m b o le m a n i , senza
osare alzare lo sguardo sul p o v e r u o m o che le conduceva alla morte.
Le fanciulle c a m m i n a r o n o di b u o n a lena. Ma verso m e z z o g i o r n o dissero di essere stanche. Faceva
caldo, il padre stese loro il burnus sull'erba, all'om317

b r a di un fico. Esse vi si sedettero in cerchio come


donnine, p r e o c c u p a t e di n o n sgualcire i loro begli
abiti di festa. Mangiarono, bevvero e appena si furono rifocillate ripresero il cammino, tanta era la fretta che avevano di giungere al villaggio della madre,
dietro la m o n t a g n a , dove r i s u o n a v a n o il c a n t o dei
flauti e il battito dei tamburi. Quanti giardini di fichi
e quanti campi di ulivi attraversarono! Quante greggi incontrarono!
Arriveremo p r i m a del calar del sole? domandavano di tanto in tanto al padre. E la sua risposta si
udiva a stento dietro la folta barba. La mula adesso
posava il piede con particolare prudenza perch avevano da poco fatto la loro comparsa delle rocce e il
luogo era impervio. Il padre si arrest davanti a un
crepaccio e disse alle figlie: Vedete questa buca?...
di qui che dovremo scendere per giungere al villaggio di vostra madre, se non vogliamo perderci il
c u s c u s e il c o n c e r t o di q u e s t a sera. Ma p e r n o n
strappare le vostre belle vesti e non rischiare di perdere i vostri gioielli, toglieteveli e tenete solo la camicia. Questa corda mi servir a calarvi gi; solida
e in grado di reggere il peso di un bue. Quando sarete arrivate, vi baster aprire le braccia per ricevere i
vestiti e i gioielli che vi lancer, oltre alle ceste di
ghiottonerie e al cestino delle frittelle. E a me non
rester che raggiungervi.
Tutte, tranne Aisha, si svestirono senza sospettare
nulla e a b b a n d o n a r o n o abiti e gioielli. Una dopo l'altra, il p a d r e le cal gi. R i m a n e v a Aisha, m i n u t a ,
graziosa e dolce. Era la sua preferita, gli costava sacrificare anche lei. Le si avvicin, ma essa gli disse,
abbassando gli occhi: Padre, allontanati un istante,
ti prego, perch non oso svestirmi davanti a te.
Egli sorrise mestamente e fece come essa voleva.
Allora Aisha si impadron rapidamente del cestino,
318

delle ceste, degli abiti e dei gioielli ammassati ai suoi


piedi e li gett alla rinfusa in fondo al crepaccio. Poi,
facendo passare la corda intorno a un picchetto, si
lasci scivolare gi. Appena ebbe ritrovato le sorelle,
tir lesta la corda in m o d o che il padre non potesse
raggiungerle.
Il p a d r e era gi di ritorno. Adesso era sul b o r d o
della buca. Ma dove si trovavano Aisha e tutti i regali? Dov'erano la corda, gli abiti sontuosi e i gioielli?
Tutto, perfino la mula, era scomparso! Aisha gli aveva giocato un tiro?... Cerc dietro alle rocce.
Chiam, chiam disperatamente, ma solo il vento gli
rispose, un vento che urlava a morte. Allora il padre
fece rotolare u n pietrone e n o r m e fino all'apertura
del crepaccio e prese la via del ritorno, vergognoso e
intimorito. Aveva a p p e n a consegnato alla m o r t e le
sue sette figliole seppellendole vive. Ma faceva asseg n a m e n t o sui p i a n i i m p e r s c r u t a b i l i di Dio. E pi
avanzava verso la sua dimora, pi il p o v e r u o m o tremava immaginandosi come l'avrebbe presa la matrigna. Vedendolo tornare senza la mula, a mani vuote
e il cuore pieno di tristezza, avrebbe avuto u n o scoppio d'ira e lo avrebbe subissato di sarcasmi e di ingiurie. Avrebbe avuto la forza di varcare la soglia di
casa sua?
Nella c a v e r n a in cui si t r o v a v a n o le orfanelle,
l'oscurit era completa. Mentre le sue sorelle piangevano e si disperavano, Aisha tastava le pareti nella
s p e r a n z a di scoprire u n a via d'uscita: la g r o t t a le
parve spaziosa. Ma la piccina n o n scopr nient'altro.
Per qualche giorno le fanciulle si nutrirono delle
ghiottonerie e delle frittelle. Ma ebbero sete. Allora
Aisha scav nel suolo col dito. Per f o r t u n a era u n a
sabbia molto umida. Scav, scav pi forte con tutte
e d u e le m a n i : con s u a g r a n d e gioia si f o r m u n a
polla d'acqua, e le fanciulle p o t e r o n o riempire dei
319

gusci d'uovo e placare la loro sete. Ma a un certo


punto, nonostante le economie di Aisha, le provviste
vennero a mancare. Le sorelle maggiori attorniarono la piccola e le dissero: Arrangiati per trovarci da
mangiare o m a n g e r e m o te, che sei la pi debole.
Aisha si rivolse a Dio e si rimise a grattare il suolo.
Gratt cos bene che le sue dita incontrarono u n a fava. La sbucci, ne fece sei parti e le distribu senza
tenere nulla per s. L'indomani ne trov altre due, e
le divise a n c o r a tra le sorelle. La fanciulla aveva
messo la m a n o su u n a miniera di fave. E il t e m p o
pass.
Un mattino che Aisha-Cenerella estraeva l'ultima
fava, u n a forte luce irruppe tra le sue dita attraverso
un minuscolo forellino. La piccina vi incoll ansios a m e n t e l'occhio e vide un f u o c o che b r u c i a v a al
centro di u n a grande sala. Accanto a questo fuoco,
su u n a pelle di pantera era coricato un enorme gatto
dal pelo fulvo. Si teneva tra le zampe la sua bella coda a p e n n a c c h i o e diceva, con aria irritata: Chi
che mi spia? Sento u n a presenza nella mia dimora.
Aisha tir prudentemente indietro l'occhio e si allontan, lasciando il gatto a prendersela con la coda che
non rispondeva.
Il bell'animale aveva l'abitudine di alzarsi all'alba
e partire per la caccia, e non rientrava prima di sera.
Allora, riattizzava il fuoco, si stendeva sulla pelle di
p a n t e r a e se la prendeva o s t i n a t a m e n t e con la sua
coda. Le diceva, caricandola di rimproveri e di graffi: O Mosh, d o v u n q u e tu sia e q u a l u n q u e cosa tu
faccia non sei mai solo. C' la tua coda che ti accompagna e ti spia. La tua coda presente come testimone indesiderato!.
Mosh, il gatto, non tornava mai durante il giorno.
Cos Aisha ne approfitt per arrischiarsi u n a mattina nel suo rifugio. Si meravigli che fosse illuminato
320

dalla luce del giorno e pieno di ricchezze: c'erano


fior di farina, fichi, datteri, noci e uva passa; c'era
olio, burro, miele e un mucchio di altre cose ancora.
Aisha, che era t o r m e n t a t a dalla f a m e , riemp u n a
ciotola di farina d'orzo abbrustolita, innaffiandola
generosamente d'olio e insaporendola con zucchero
di canna. Si impadron anche di un cestino di fichi e
corse dalle sue sorelle con questi cibi insperati. E
quel giorno nella grotta non vi fu che buona armonia e gioia.
Al calare della notte, Aisha si metteva di vedetta e
vedeva passare Mosh, maestoso e fulvo. Soffiava sulle braci, faceva crepitare il suo fuoco, disseminava
noccioli di olive intorno al focolare e si stendeva senza preoccupazioni sulla pelle di pantera. Ogni volta,
Aisha si illudeva che la nottata sarebbe trascorsa pacificamente e che il gatto non avrebbe tormentato la
sua povera coda. Ma bruscamente l'umore di Mosh
si faceva tempestoso e i suoi occhi m a n d a v a n o scintille. Allora diceva alla coda con t o n o minaccioso:
Chi entrato a casa mia e dov' la fava che avevo
preparato per la mia cena? Parla o piscer sul fuoco
p e r spegnerlo. E siccome essa n o n rispondeva, la
percuoteva con le zampe.
F i n c h Aisha n o n e b b e necessit di servirsi del
fuoco, non si inquiet per le minacce del gatto. Ma
dal giorno in cui le sue sorelle cominciarono a pretendere dei pasti veri, ebbe paura di vedere Mosh pisciare sulle braci. Ogni m a t t i n a aspettava ansiosam e n t e che egli lasciasse il s u o r i f u g i o p e r
introdurvisi. In un batter d'occhio preparava u n a focaccia di f r u m e n t o lucente come un luigi d'oro, oppure delle frittate che spalmava di miele. Si azzard
perfino a preparare il cuscus (aveva infatti scoperto
u n a giara piena di semola essiccata al sole). Passaro321

no cos alcune settimane, senza che Mosh fosse riuscito a far parlare la coda o a sorprendere Aisha.
Un pomeriggio di primavera, seduta in mezzo alle
sorelle nella caverna oscura, la fanciulla rifletteva
malinconicamente: "Se nostro padre non avesse fatto rotolare q u e s t o e n o r m e m a s s o al di s o p r a delle
n o s t r e teste, nella g r o t t a s a r e b b e c h i a r o c o m e da
Mosh; p o t r e m m o intravedere un po' di cielo e sar e m m o pi felici. Tra poco sar estate; ed cos tanto tempo che le mie sorelle non h a n n o visto la luce
del giorno... E invece lui e n t r a ed esce q u a n d o gli
pare! .
Aisha si ripromise di seguire ogni movimento del
gatto e di esplorare il suo rifugio palmo a palmo.
Quella sera Mosh rientr pi tardi del solito. Era
troppo scuro perch Aisha potesse scoprire qualcosa.
Ma non si perse d'animo e disse fra s: "Quello che mi
sfuggito stasera non mi sfuggir al levar del sole!".
Si mise di vedetta assai di buon'ora e vide, attraverso il b u c o g r a n d e c o m e u n a fava, M o s h che si
portava in un angolo della sala e scompariva dietro
u n a grossa pietra senza pi ritornare. Colma di speranza, Aisha si avvicin alla pietra, la tocc, le gir
intorno lentamente e cap che si muoveva. Ne scopr
il meccanismo segreto e prese la via dei campi.
Chi p u dire la sua meraviglia davanti al ruscelletto che scorreva rapido e allegro tra le canne? Vi si
b a g n il viso e sollev lo s g u a r d o verso gli alberi
maestosi che ridevano nel cielo chiaro con tutte le
loro foglie e i loro frutti. Aisha si trovava in un frutteto incantato in cui gli uccelli si rimpinzavano di albicocche, di pesche, di prugne, di pere e di nespole.
Si arrampic di r a m o in r a m o e mangi di tutti questi frutti fino ad avere l'impressione che albicocche,
pesche, pere, p r u g n e e nespole le uscissero dalle
orecchie e dalle narici. Allora pens alle sorelle. Ri322

v o l t a n d o le c o c c h e del vestito lo r i e m p di f r u t t i .
Nell'euforia della raccolta se ne mise fin nel corsetto.
Carica come un somaro, Aisha riusc a stento a raggiungere il rifugio del gatto. In un baleno fece cuocere la solita focaccia di f r u m e n t o rotonda e dorata come u n a l u n a e si a f f r e t t ad a n d a r e dalle sorelle,
t e n e n d o un cesto di f r u t t a sotto il braccio. Anche
quel giorno la grotta risuon delle grida di gioia delle sette fanciulle. E per tutta l'estate Aisha pot cos
nutrire le sorelle.
La mia fava o spengo il fuoco! minacciava Mosh
tutte le sere, senza portare a compimento la minaccia. Ma da molto t e m p o Aisha n o n se ne spaventava
pi. Aveva cessato di spiarlo dal b u c o grande come
u n a fava da q u a n d o aveva imparato le sue abitudini
e i suoi segreti. Ma lui non rinunciava all'idea di scop r i r e la p e r s o n a a u d a c e che si introduceva a casa
sua per mangiare le sue provviste e bruciare la sua
legna. Pi che mai esigeva dalla coda che questa gli
desse delle informazioni.
Quella sera d ' a u t u n n o segnata dal destino, Mosh
rientr pi cupo, pi nervoso del solito. Aleggiava per
l'aria un odore di neve precoce e Mosh temeva i primi
freddi. Fece un gran fuoco, vi si accost il pi possibile e si distese soddisfatto sulla pelle di pantera. Questa volta bisognava a ogni costo che la coda parlasse e
informasse il suo padrone. La prese risolutamente tra
le grinfie e le disse, fulminandola con gli occhi: Questa volta mi dirai chi osa entrare qui in mia assenza!
Mi dirai chi mi ha derubato della grossa fava che avevo tenuto da parte per cena! Parla o piscio sulle braci
e ti c o n d a n n o a morire di freddo.
Siccome essa taceva, si mise a riempirla di colpi, e
nel far ci si avvicin inavvertitamente e pericolosam e n t e al fuoco. Nel suo furore la percosse e la graffi cos forte che il pelo veniva strappato a ciuffi e
323

svolazzava per la sala. La fece roteare tanto che essa


sfior un tizzone a r d e n t e . In un l a m p o il f u o c o si
propag a tutta la pelliccia e trasform Mosh in u n a
torcia che saltava, si rotolava, si torceva nelle fiamme e rimbalzava. N e s s u n o ud le sue lugubri urla.
Mor tra disperati miagolii.
E n t r a n d o nel rifugio di Mosh, l'indomani, Aisha
fu colpita, fin sulla soglia, da u n o strano odore. Colta dall'inquietudine, torn sui suoi passi. Spi invano p e r q u a l c h e g i o r n o il r i t o r n o del gatto. E solo
q u a n d o vide le sorelle affamate che la assalivano come lupe e minacciavano di divorarla trov il coraggio di recarsi dal suo temibile vicino. Fece con circospezione il giro del rifugio: il f u o c o era spento; di
Mosh n o n restava altro che u n a scia di grasso e delle
ossa calcinate.
Allora Aisha-Cenerella chiam le sue sorelle. In un
attimo i resti del gatto f u r o n o seppelliti e la dimora
s p a z z a t a . Le o r f a n e l l e p r e s e r o p o s s e s s o delle ricchezze che Mosh aveva a m m a s s a t o nel corso di lunghi anni. Finalmente le poverine ebbero u n a casa da
cui n e s s u n o a v r e b b e p o t u t o scacciarle. Fecero
un'ispezione di tutti i loro beni e resero grazie a Dio
nel loro cuore: quanti tappeti, coperte e stoffe sontuose! E quante provviste! Aisha accese il fuoco e le
orfanelle m a n g i a r o n o e bevvero, bevvero e mangiarono con u n a gioia rinnovata.
E Aisha p e n s a v a , f a c e n d o vagare lo s g u a r d o
t u t t ' i n t o r n o : "Che felicit sar p e r le m i e sorelle
q u a n d o avr rivelato loro l'esistenza del ruscello e
del frutteto dagli innumerevoli uccelli canterini!".
Sotto i loro occhi stupefatti smosse la pietra. Un
fiotto di sole invase il rifugio e le sette fanciulle scapp a r o n o fuori e si misero a correre come gazzelle per
tutto il frutteto. Poi partirono, dritte davanti a loro,
fiutando il vento e dandosi alla pazza gioia.
324

Proseguirono nel loro cammino, meravigliandosi


di n o n incontrare anima viva. Apparvero loro le porte di u n a citt, delle porte enormi. Qual era questa
citt m o r t a che si stendeva sotto i loro occhi? Mentre avanzavano impietrite, scorsero sulla soglia di
u n a miserabile catapecchia un vecchio paralitico. La
sua bocca secca, circondata da u n a b a r b a irsuta si
schiuse per dire: Chi siete, belle fanciulle dalle gote
fresche e dagli occhi trasparenti, p e r avventurarvi
nella citt devastata da Mosh-il-Crudele? Non sapete
che tutti gli abitanti sono fuggiti davanti a lui che distruggeva greggi e bambini?.
Mosh morto! a n n u n c i a r o n o le sette fanciulle
con voce decisa. Mosh bruciato vivo nel suo rifugio! Dio sia lodato! esclam il vecchio. Ha avuto
la morte che da sempre lo attendeva!
E u n a gioia indicibile gli illumin lo sguardo. Riflett un po' p r i m a di proseguire: Ma, dal m o m e n t o
che Dio vi ha condotte qui, dal m o m e n t o che ha concesso alle vostre tenere bocche di portare u n a notizia cos importante, sedetevi in m o d o che io vi racconti u n a storia.
E le sette fanciulle f o r m a r o n o u n a ghirlanda intorno al vecchio che cominci cos: Figlie mie, Mosh era il signore e p a d r o n e onnipossente di questa
citt. E r a un principe di u n a bellezza meravigliosa
m a era a s p r o c o m e u n a l a m a oltre che sacrilego,
p e r c h volle sostituirsi allo stesso Iddio. Per avere
un esercito innumerevole, che sconfiggesse i regni
vicini e li asservisse, pretese dalle donne che mettessero al m o n d o figli senza posa. Ora, solo Dio che
concede i figli, li concede come intende lui e stabilisce il loro destino. Ma il nostro principe maledetto
n o n aveva a cuore altro che la rovina del paese: sem i n il male ventiquattr'ore su ventiquattro e fece
scorrere le lacrime. Dio lo avvert u n a prima volta di
325

b a d a r e a n o n offenderlo pi. Lo avvert a n c h e u n a


seconda volta, nella sua pazienza e m a n s u e t u d i n e .
Ma Mosh l'orgoglioso, Mosh l'empio, si fece beffe di
quei messaggi. Allora sopraggiunse un giorno un arcangelo che con un colpo d'ala trasform il bel principe crudele in Mosh, il gatto c o n d a n n a t o a essere
p e r s e g u i t a t o dalla s u a coda, m e n t r e nello stesso
istante la terra si apr per inghiottire il suo palazzo e
tutti i suoi splendori! Ma il principe, divenuto Mosh,
fu altrettanto sanguinario quanto era stato implacabile da u o m o . Costrinse i suoi sudditi a fuggire la
citt e addirittura tutta la regione. Sia lode mille volte a Dio che alla fine ce ne ha liberati, figlie mie!.
Le sette fanciulle fecero ritorno alla loro nuova dim o r a prima del calare della notte. Ma dov'era la caverna di Mosh?... Al suo posto era sorto u n o splendido
palazzo, quello stesso che la terra aveva inghiottito.
Le orfanelle vi a n d a r o n o ad abitare e fecero sapere a
tutto il paese che Mosh-il-Maledetto era morto, morto
tra le fiamme. E tutti coloro che erano fuggiti per il
terrore e avevano sofferto l'esilio fecero ritorno alle loro dimore e ai loro beni. E la citt e tutto il paese conobbero la pace e la prosperit di un tempo.
Le fanciulle, a eccezione di Aisha, sposarono principi venuti dai regni vicini. Aisha r e g n da sola
sull'impero di Mosh con giustizia e amore. Ma la sera non poteva impedire al suo cuore di riempirsi di
malinconia. D'inverno, amava sempre tenersi accanto al focolare gettando nel fuoco noccioli di olive, a
manciate, come q u a n d o era piccola e la cenere impolverava i suoi capelli. Che ne era stato di suo padre?... Era morto? Era riuscito a sfuggire a quel genio malvagio che era la moglie? E r a la v e n u t a del
padre quello che Aisha attendeva, contro ogni saggio
consiglio, per sposarsi anche lei? Perch il suo cuore
le diceva che era in c a m m i n o diretto da lei.
326

Una sera d'estate, un p o v e r u o m o imbiancato dalla polvere e vestito come un mendicante si present
alle porte del palazzo. Teneva in m a n o il bastone dei
pellegrini. Aisha gli corse incontro: Figlia mia, le
disse lui con voce umile non osavo sperare che mi
fosse d a t a la gioia di rivedere te e le tue sorelle!
Scacciato dalla mia stessa dimora e triste da morire,
non mi rimaneva che l'esilio e questo bastone da pellegrino. Dove indirizzare i miei passi e in quale acqua lavare la mia onta? Perch vi credevo morte, figlie mie! Poteva esistere qualcuno pi miserabile di
me?... Assalito da ogni parte dalle mosche del rimorso, a n d a v o verso il deserto, con gli occhi b r u c i a t i
dalle vie calcinate e dalle l a c r i m e vane. Fu allora
che, a p p a r e n d o tra le dune, un Vecchio Saggio mi
disse: "Uomo! le tue figlie sono ancora in vita. Dirigi
i tuoi passi verso contrade pi verdeggianti!".
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!

18. S T O R I A D E L L A P U L C E E D E L P I D O C C H I O

Che il m i o r a c c o n t o sia bello e si dipani c o m e un


lungo filo!
Nei tempi antichi, q u a n d o gli animali avevano la
parola, il pidocchio abitava in montagna. La pulce,
invece, aveva costruito la sua casa pi in basso, in
pianura. Ma un giorno si alz un forte vento che si
port via la casa del pidocchio. Questi si rec subito
dalla pulce con dieci soldi e le disse: Ecco tutte le
mie sostanze. Mettiamoci a vivere insieme. Essa acconsent. Allora i due sposi decisero, con questi dieci
soldi, di fare il pranzo di nozze. Ci pensarono su un
po' e si dissero: E adesso che cosa c o m p r e r e m o ?
Della carne? Per dieci soldi n o n ce ne venderanno.
327

Una testa? Non avremmo che delle ossa. Ci resta solo la possibilit di acquistare della trippa. Ne avremo
parecchia e m a n g e r e m o a saziet.
Il pidocchio a n d al mercato. La pulce si mise a
macinare il frumento. Quando il pidocchio fu di ritorno, trov la sposa che stava mettendo la pentola
sul fuoco. Lavarono insieme la trippa e la versarono
nella pentola. R i f o r n i r o n o di ceppi il focolare e la
pulce disse: Non ho pi acqua. Corro alla fontana.
Tu va' nella foresta a cercare della legna. Chi torner
per primo controller se c' abbastanza sale.
La pulce prese un otre di pelle di capra, e il pidocchio u n a fune. Uscirono insieme tirandosi dietro la
porta. La pulce se ne and davvero fino alla fontana.
Il pidocchio, invece, se ne a n d p o c o l o n t a n o , in
quel punto del villaggio dove si gettano i rifiuti per
raccogliervi qualche rametto: aveva fretta di arrivare
per primo e controllare lui se stava bene di sale.
Apre la porta, entra, lancia un'occhiata a destra e
a manca: proprio il primo! Allora, prende il mestolo, si avvicina alla pentola; sale su u n a pietra del focolare, solleva il coperchio, si sporge e i vapori lo
f a n n o cadere dentro!
D o p o p o c o arriva la pulce. Si g u a r d a i n t o r n o :
niente pidocchio! Tutta contenta, dice fra s: "Non
a n c o r a tornato. S e n t i a m o se sta bene di sale!". Assaggia quindi il brodo e lo trova salato al punto giusto. Quando immerge il mestolo per la seconda volta, vede galleggiarvi d e n t r o il suo sposo! Lascia
ricadere il mestolo, prende la pentola per i due manici e va a rovesciarla su un mucchio di letame. Dopodich si va a sedere poco discosto, tutta raggomitolata su se stessa. Il mucchio di letame crolla!
Passa il capraio, preceduto dal suo gregge. Vede la
pulce: Che hai, m a d a m a pulce? le chiede. Ohi,
ohi! Cosa mi successo! Il mucchio di letame crol328

lato. Il signore degli u o m i n i disceso agli inferi.


caduto nella pentola ed scomparso!
Il capraio getta lontano il suo vincastro. Le sue capre si disperdono e si sparpagliano per i sentieri.
Passa il portatore d'acqua che tornava dalla fontana tra i suoi due asini carichi. Domanda: Che hai,
m a d a m a pulce?. Che cos'ho? Ohi, ohi! Cosa mi
successo! Il capraio senza vincastro, il m u c c h i o di
letame crollato. Il signore degli uomini disceso agli
inferi. caduto nella pentola ed scomparso!
Il portatore lascia cadere i suoi otri pieni, si carica
sulle spalle i basti e a b b a n d o n a gli asini.
Una vicina, che si accingeva a cuocere delle focacce, esce di casa, con u n a focaccia cruda in ogni mano. A sua volta chiede: Che hai, m a d a m a pulce?.
Ohi, ohi! Che cos'ho? Cosa mi successo! Il portatore coi due basti, il capraio senza vincastro, il mucchio di letame crollato. Il signore degli uomini disceso agli inferi. c a d u t o nella pentola ed
scomparso!
La vicina si spiaccica u n a focaccia su ogni guancia.
La casa della vicina si sposta e chiede: Che hai,
m a d a m a pulce?. Che cos'ho? Ohi, ohi! Cosa mi
successo! La vicina con le focacce, il portatore coi
due basti, il capraio senza vincastro, il m u c c h i o di
letame crollato. Il signore degli uomini disceso agli
inferi. caduto nella pentola ed scomparso!
La casa crolla.
Arriva la sorgente: Che hai, m a d a m a pulce?.
Che cos'ho? Ohi, ohi! Cosa mi successo! La casa
crollata, la vicina con le focacce, il portatore coi due
basti, il capraio senza vincastro, il mucchio di letame crollato. Il signore degli uomini disceso agli inferi. caduto nella pentola ed scomparso!
La sorgente si inaridisce.
Passa di l u n a pecora. Anch'essa dice: Che hai,
329

m a d a m a pulce?. Che cos'ho? Ohi, ohi! Cosa mi


successo! La fonte disseccata, la casa crollata, la vicina con le focacce, il portatore coi due basti, il capraio senza vincastro, il mucchio di letame crollato.
Il signore degli uomini disceso agli inferi. caduto
nella pentola ed scomparso!
La pecora si avvicina a u n a siepe spinosa e vi appende il suo vello.
La siepe spinosa si sporge e chiede: Che hai, mad a m a pulce?. Ohi, ohi! Che cos'ho? Cosa mi successo! La pecora spogliata, la fonte disseccata, la casa crollata, la vicina con le focacce, il portatore coi
due basti, il capraio senza vincastro, il m u c c h i o di
letame crollato. Il signore degli uomini disceso agli
inferi. caduto nella pentola ed scomparso!
La siepe spinosa si sradica e finisce per precipitare nel fiume.
Il fiume si fa avanti e dice: Che hai, m a d a m a pulce?. Che cos'ho? Ohi, ohi! Cosa mi successo! La
siepe annegata, la pecora spogliata, la fonte disseccata, la casa crollata, la vicina con le focacce, il port a t o r e coi d u e basti, il c a p r a i o s e n z a vincastro, il
mucchio di letame crollato. Il signore degli uomini
disceso agli inferi. caduto nella pentola ed scomparso!
Il fiume straripa e provoca un'alluvione.
La terra trema. Una roccia chiede: Che hai, mad a m a pulce?. Ohi, ohi! Che cos'ho? Cosa mi successo! Il fiume straripato, la siepe annegata, la pecora spogliata, la fonte disseccata, la casa crollata, la
vicina con le focacce, il portatore coi due basti, il capraio senza vincastro, il mucchio di letame crollato.
Il signore degli uomini disceso agli inferi. caduto
nella pentola ed scomparso!
La roccia frana.
Parla ora il sole. Dice: Che hai, m a d a m a pulce?.
330

Che cos'ho? Ohi, ohi! Cosa mi successo! La roccia


franata, il fiume straripato, la siepe annegata, la pecora spogliata, la fonte disseccata, la casa crollata, la
vicina con le focacce, il portatore coi due basti, il capraio senza vincastro, il mucchio di letame crollato.
Il signore degli uomini disceso agli inferi. caduto
nella pentola ed scomparso!
Dei lampi squarciano il cielo. Le nuvole si aprono
in un diluvio di pioggia.
Che hai, m a d a m a pulce? chiede alla fine il mare. Che cos'ho? Ohi, ohi! Cosa mi successo! Il cielo in tempesta, il sole fuggito, la roccia franata, il fiume straripato, la siepe annegata, la pecora spogliata,
la fonte disseccata, la casa crollata, la vicina con le
focacce, il portatore coi due basti, il capraio senza
vincastro, il m u c c h i o di letame crollato. Il signore
degli u o m i n i disceso agli inferi. c a d u t o nella
pentola ed scomparso!
Allora il m a r e in tempesta si fa avanti e spazza tutto. Trascina via la roccia, la siepe spinosa e la casa
crollata. Porta via la pecora spogliata, la vicina con
le focacce, il portatore coi due basti, il capraio senza
vincastro. Inghiotte il m u c c h i o di l e t a m e crollato,
m a d a m a pulce e il signore degli uomini!
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!

19. R U N J A , L A F A N C I U L L A P I B E L L A
DELLA LUNA E DELLA ROSA

Che il m i o r a c c o n t o sia bello e si d i p a n i c o m e un


lungo filo!
C'era u n a volta un sultano che si disperava di non
avere figli. A dispetto della sua potenza e delle sue ric331

chezze, era infelice. Un giorno, in cui si sentiva il pi


povero degli uomini, part all'alba in pellegrinaggio.
Il santuario cui era diretto emergeva sfolgorante
tra l'erba dei campi. Mentre il sultano vi si avvicinava, un angelo se ne distacc p e r venirgli incontro e
dirgli: Dove conduci i tuoi passi cos di b u o n mattino, sultano? Non sei gi ricco e potente, che cosa
puoi desiderare di pi?.
Ahim, gemette il sultano non ho eredi, e se dovessi morire, i miei beni andrebbero a degli estranei.
L'angelo gli consegn u n a bella mela lucente e gli
disse: Da' la buccia di questa mela alla tua giumenta e la polpa a tua moglie. La sultana sar incinta e
metter al m o n d o un maschio. Ma guardatevi bene
dallo scegliere un n o m e per questo figlio p r i m a che
io sia tornato ad apparirvi.
Trascorsero nove mesi, e la sultana mise al m o n d o
un maschietto, che venne c h i a m a t o semplicemente
Principe. Quando fu grande abbastanza per andare a
scuola, il popolo volle che gli si desse un nome, e si
rec quindi al palazzo, gridando di lontano al sultano: La pace sia su di te, sultano! Veniamo per dare
un n o m e a t u o figlio, n o s t r o principe, che a n c o r a
n o n ne ha. Chiamatelo come vi piacer rispose il
sultano.
Proprio in quel m o m e n t o fece la sua comparsa
l'angelo, in mezzo alla folla impietrita. Egli disse: Il
b a m b i n o si chiamer Sheikh Smain. Poi scomparve.
Il principino si chiam Sheikh Smain e crebbe nel
bene. Fattosi adolescente, disse un giorno a suo padre: Nobile sultano, padre mio, amerei uscire e andare a caccia. Va bene, figlio mio rispose il sultano.
E c o m a n d a due servi fidati di scortare il giovane
cacciatore. Arrivato al primo bivio, il principe si rivolse ai suoi compagni: Separiamoci disse loro.
332

Prendete per di qua mentre io andr per di l, e ritroviamoci stasera sotto questo albero.
Al calare della notte, i servi arrivarono con il carniere pieno. Sheikh Smain aveva il suo vuoto. Essi
glielo riempirono e fecero ritorno con lui al palazzo.
L'indomani Sheikh S m a i n volle a n c o r a cacciare. E
questa volta lo a c c o m p a g n a r o n o altri due servitori.
Il principe si divise da loro al bivio e disse, tendendo
la m a n o : Andate per la vostra strada, mentre io andr per la mia e ritroviamoci qui questa sera.
Sheikh Smain fece qualche passo e scorse un perniciotto che zampettava sul sentiero. Lo segu e lo vide scomparire sotto u n a tenda. Si accost alla tenda
e disse a voce alta: Datemi la mia preda!.
Comparve u n a fanciulla, pi bella della luna e della rosa, che gli disse: Mi chiamo Runja. Questo perniciotto non appartiene a te pi di quanto appartenga a noi. E si ritir.
Il principe fece ritorno trasognato al palazzo. Finse u n a forte febbre e si mise a letto. Non mangi pi
e n o n parl pi. Fuori di s, il sultano chiam al capezzale dell'erede tutti i dottori e i maghi del paese.
Poich questi sfilarono tutti invano davanti al malato, il sultano fece annunciare: "A colui che guarir
l'erede al trono dar tutto quello che mi chieder".
Fu allora che si present un giovane: Portatemi
un chilo di candele disse. Io sono u n o scienziato e
vi dico che il principe parler e guarir.
Dopo avere acceso un b u o n n u m e r o di candele, ne
prese u n a e la mise proprio davanti a s. Rivolgendosi a essa, con voce suadente disse: Parla, candela, e
racconta la storia dei fratelli che vivevano insieme in
quel frutteto di m o n t a g n a dove si trovava l'uva rosata pi prodigiosa della terra. Parla, candela, o parler io. Ti ricordi, erano in tre: u n o era falegname,
l'altro sarto e l'ultimo poeta, che vegliavano a turno
333

per far la guardia al frutteto. Il poeta e il sarto dormivano q u a n d o il falegname not un esile arboscello
che s e m b r a v a d a n z a r e sotto la luna. Lo tagli e si
mise a scolpirlo, rivolto verso la luna, dandogli un
corpo e un viso di donna. A sua volta, il sarto si dest
e le fece u n a tunica. Alla fine, il poeta apr gli occhi e
scorse a c c a n t o a s questa b a m b o l a vestita. Pens:
"Il falegname le ha dato un corpo, il sarto un vestito.
Io, invece, p r e g h e r Dio di d a r l e u n ' a n i m a " . E la
b a m b o l a divenne u n a d o n n a di incomparabile bellezza. Al mattino, il falegname disse: "Questa d o n n a
mia, perch io le ho dato il corpo". Il sarto disse:
"Essa mia, perch io le ho dato l'abito". E il poeta
disse: "Essa mia, p e r c h io le ho d a t o l'anima".
Candela, tu che lo sai, dicci di chi questa donna.
Allora Sheikh Smain si alz e disse, spazientito, al
giovane scienziato: Taci. Non mi affaticare oltre: la
donna spetta al poeta che le ha dato l'anima. Che il
sultano, mio padre, mi dia in sposa R u n j a e io guarir.
L'indomani stesso, accompagnato da u n a ingente
scorta, il sultano si present, colmo di gioia, davanti
alla tenda. Ne uscirono sette uomini, maestosi e imponenti come querce: erano i fratelli della fanciulla
pi bella della luna e della rosa. Il sultano disse loro:
Mio figlio, Sheikh Smain, ha deciso di sposare vostra sorella o di morire. I sette fratelli a n d a r o n o a
cercare R u n j a . Il sultano pot cos c o n t e m p l a r l a a
piacimento e benedire Dio che aveva creato u n a bellezza cos sorprendente. E i t a m b u r i e i flauti annunciarono a t u t t o il paese il f i d a n z a m e n t o di Sheikh
Smain e della fanciulla pi bella che si potesse trovare sotto il sole.
Il principe era al colmo della gioia e il sultano, che
l'aveva creduto malato da morire, ne era assai lieto.
Solo Settut era verde di gelosia (la vecchia strega ce
334

l'aveva con Sheikh Smain dal giorno in cui, amministrando la giustizia, non si era precipitato da lei, lasciando perdere tutto, per occuparsi del suo eterno
processo). E cos, essa n o n aspirava ad altro che a
fargli del male.
Una mattina in cui Settut tornava a casa pi furiosa del solito, si tinse in fretta i capelli e le m a n i di
henn. Indoss gli ornamenti pi belli e part alla ricerca di Runja e dei suoi sette guardiani. Arriva il
sultano per portarsi via la nuora! annunci in tono
secco ai sette fratelli. Preparatevi a riceverlo. E se
ne torn a casa leggera, felice di essersi finalmente
potuta vendicare di Sheikh Smain.
Quand' cos, dissero mortificati i sette fratelli
poich il sultano non si cura n e m m e n o di avvisarci
in anticipo del suo arrivo e ci tratta senza riguardi,
partiremo senza perdere un momento. E quando arriver, trover solo il vento! R u n j a si affrett a scrivere qualche parola nascondendo poi il proprio messaggio sotto u n a pietra accanto al focolare, prima di
seguire docilmente i suoi fratelli. Questo messaggio
diceva: "La pace sia su di te, Sheikh Smain. Se mi
vuoi ancora come sposa, vieni a cercarmi nel paese
delle Indie".
Pi malefica del diavolo, Settut si compiacque di
f a r sapere al sultano che la f i d a n z a t a di suo figlio
aveva abbandonato il reame, che i suoi sette fratelli
avevano deciso di p i a n t a r e le t e n d e ai confini del
m o n d o e di promettere Runja a un principe infinitam e n t e pi valoroso e f o r t u n a t o di Sheikh S m a i n .
Toccato sul vivo, il sultano proib di informarne il figlio, perch temeva di vederlo nuovamente perdere
la voglia di mangiare e di bere. Fece anche sapere,
con discrezione, ai suoi sudditi: Colui che oser dire a mio figlio che la sua fidanzata l'ha lasciato per
un altro, sar decapitato.
335

Era destino, tuttavia, che la notizia dovesse arrivare ugualmente alle orecchie del principe. Una bella
sera due giovani stavano facendo il gioco delle arance davanti alla sua porta. Il perdente esclam all'improvviso: Questo b r u t t o tiro assomiglia m o l t o a
quello che h a n n o giocato a Sheikh Smain!. Ora,
Sheikh Smain era alla finestra. Si sporge e grida al
giovanotto: E qual questo bel tiro che mi avrebbero giocato? Me lo vuoi dire? Perch Sheikh Smain
s o n o io. Ebbene, la t u a f i d a n z a t a ha lasciato il
paese. I suoi fratelli l'hanno portata con s all'altro
capo del mondo.
Il principe pag le arance del perdente. Poi prese
il fucile e il cavallo, e part in tutta fretta verso la foresta. Ma dov'era la tenda che ospitava la fanciulla
pi bella della luna e della rosa?... Il principe stava
per fare dietrofront, q u a n d o u n a cosa attrasse la sua
attenzione: era, sotto u n a pietra, il messaggio che gli
aveva lasciato Runja. Egli lo lesse: "La pace sia su di
te, Sheikh S m a i n . Se mi vuoi a n c o r a c o m e sposa,
vieni a cercarmi nel paese delle Indie".
Il principe torn al palazzo senza perdere tempo,
riemp un sacco di monete d'oro e, tenendo per le redini il cavallo, annunci ai genitori che era risoluto a
ritrovare Runja, pi bella della luna e della rosa, o a
morire. Invano sua m a d r e cerc di trattenerlo con le
sue lacrime. Egli part. E lei lo segu a lungo con lo
sguardo.
And. And sul suo cavallo nero. Incontr un pastore: Pastore, non hai notato u n a carovana che si
portava via u n a fanciulla? gli grid Sheikh Smain.
Due giorni or sono passata u n a fanciulla pi bella
della luna nel firmamento. Essa mi ha gettato questo
anello con queste parole: "Da' questo anello al cavaliere che ti chieder notizie di me". Il principe si
336

mise l'anello al mignolo e diede al pastore u n a manciata di monete d'oro.


Viaggi notte e giorno, con la pioggia e col vento.
Attravers numerose contrade e penetr in un paese
desolato. Gli spalti della capitale e r a n o ornati, in
m o d o sinistro, di teste tagliate e infilzate su delle
picche. Il cavallo fece un balzo prodigioso e Sheikh
Smain si ritrov all'interno della citt. Un filo di fumo saliva nell'aria da u n a casa l vicino, il cui ingresso era guardato da un negro gigantesco. Il negro disse: Dove hai preso l'audacia di arrivare fin qui? Non
sai che sono io che ho r i d o t t o in rovina q u e s t a
citt?. Prendi la t u a sciabola rispose con calma
Sheikh Smain. Prendi la tua sciabola e battiamoci.
Il negro ebbe la peggio, cadde e il principe stava
per finirlo quando, con sua grande meraviglia, vide
questo negro trasformarsi e assumere le sembianze
di u n a d o n n a dalla nobile acconciatura. Essa supplic: Per Dio, non uccidermi. Come donna, sar la
tua schiava. Come negro, non avrai guardia del corpo migliore di me, perch mi batter per te fino alla
morte.
Sheikh Smain prese il negro per m a n o e si allontan con lui. Camminarono, c a m m i n a r o n o a lungo.
Al calare della notte, scorsero sulla collina u n a casupola illuminata. Vi abitavano sette fratelli con la loro
sorella, u n a giovane fanciulla, che osservavano con
inquietudine l'avvicinarsi dei viaggiatori. Il maggiore
disse: Se sono degli onesti viandanti, offriremo loro
l'ospitalit. Se sono dei malfattori, ci difenderemo.
Sheikh Smain e il negro entrarono. Un'adolescente dal viso dolce li accolse insieme ai fratelli e offr
loro della focaccia di frumento, della frutta e del latte. Questa giovane fanciulla nostra sorella spieg
il maggiore dei fratelli. Il re degli infedeli ce la vuole rapire e ogni giorno, per difenderla, ci b a t t i a m o
337

contro un esercito. Ma ci b a t t e r e m o cos fino alla


morte, perch nulla ci pi caro al m o n d o di questa
nostra sorella dal viso di latte e dai capelli color del
mais. Domani promise Sheikh Smain assisteremo non visti al combattimento.
L'indomani, vedendo che non vi erano n vinti n
vincitori il principe e il suo negro fedele presero le
loro sciabole e si unirono ai sette fratelli. L'esercito
del re degli infedeli fu decimato. I sette fratelli, che
non erano degli ingrati, si rivolsero a Sheikh Smain
e gli dissero: Grazie a te e al tuo valente compagno,
abbiamo trionfato. Prendi in sposa nostra sorella, te
la sei meritata. La p r e n d e r con gioia, rispose
Sheikh Smain ma solo al mio ritorno, perch ho un
impegno da assolvere lontano da qui.
Seguito dal suo negro fedele, Sheikh Smain prese
la via delle Indie. Per giorni e giorni c o n t i n u a r o n o
ad andare, meravigliandosi e disperandosi, a seconda delle circostanze, per ci che incontravano. Alla
fine penetrarono nel paese delle Indie. Una grande
spossatezza era nelle loro m e m b r a : non aspiravano
che a riposarsi del loro interminabile viaggio, e lo
stesso valeva anche per il loro cavallo. Incontrarono
u n a vecchia, vestita poveramente. Sheikh Smain le
rivolse la parola dolcemente, dall'alto della sua cavalcatura: Madre, le disse noi veniamo da molto
lontano e siamo stremati. Dacci ospitalit per questa
notte, nel n o m e di Dio. La vecchia li fece entrare
nella sua casa, e si disse desolata di non avere altro
da offrire che u n a focaccia d'orzo e u n a brocca d'acqua. Sheikh Smain le porse u n a manciata di monete
d'oro ed essa corse al villaggio ad acquistare verdure, carne e frutta. Cos pot preparare un pasto degno dei suoi ospiti e della loro grande fame.
Nel corso della notte, il principe, rivolto alla vecchia, le chiese: Madre, n o n sai se degli stranieri so338

no venuti a stabilirsi qui da poco tempo?. Qualche


giorno fa sono arrivati degli stranieri, figliolo, che
portavano con s u n a fanciulla pi bella della luna e
della rosa. Appena l'ha vista, il nostro sultano, abbagliato, l'ha sposata. Ma essa, a q u a n t o dicono, si
rinchiusa in u n a torre e non permette a nessuno di
avvicinarsi a lei. A coloro che cercano di farlo essa
scaglia delle pietre. Dicono addirittura che qualcuno
ne sia morto. Non vorresti vederla da p a r t e nostra? supplic Sheikh Smain. Figliolo, Dio mi testimone che io non chiederei altro che di darvi gioia,
perch siete stati tutti e due generosi con me. Ma come fare ad avvicinarmi a questa fanciulla, che dicono sia mezza matta? Quando la vedrai p r o n t a a
farti del male, gettale questo anello, ed essa ti ricever, ne sono sicuro aggiunse Sheikh Smain.
La vecchia si vest decorosamente e se ne and a
trovare il sultano. Gli disse: Questa notte ho sognato che riuscivo a convincere la tua giovane moglie ad
accettarti come sposo. Permettimi di cercare di persuaderla. Che Dio voglia prestarti ascolto e venirti
in aiuto! sospir il sultano. E le indic la via della
torre. La fanciulla era alla finestra, e metteva in mostra il viso pi meraviglioso che si possa vedere sotto
la luce di Dio. La vecchia le sorrise da lontano e le
fece segni di amicizia. Arrivata davanti alla torre, fece brillare nel sole l'anello che le aveva consegnato
Sheikh Smain e glielo lanci. R u n j a lo afferr al volo, lo riconobbe e accolse nella torre la messaggera.
La fanciulla era cos felice che a stento riusciva a
parlare. Va' dal sultano e digli che se vuole che io
scenda dalla m i a torre e sia veramente sua moglie
deve ordinare che la citt rimanga deserta per tutto
il giorno, dal m o m e n t o che io desidero percorrerla
in carrozza in lungo e in largo e non intendo essere
vista da nessuno. E raccomanda a Sheikh Smain di
339

tenersi pronto a rapirmi non appena passer davanti


alla sua casa.
La vecchia fece r i t o r n o dal s u l t a n o e gli disse:
Dio venuto in mio soccorso: la sultana acconsente
a divenire realmente la tua sposa e a scendere dalla
sua torre. Ma pretende che nessuno esca per strada
oggi in citt, dal m o m e n t o che intende passeggiare
in carrozza. Si compia la sua volont, Dio sia lod a t o p e r averti m a n d a t a ! Oggi n e s s u n o uscir in
strada per tutta la citt, pena la morte. E n e p p u r e
domani.
Allora la vecchia corse come il vento da Sheikh
Smain e dal suo b u o n negro che la attendevano con
impazienza. Preparati a partire grid con gioia al
principe. La fanciulla pi bella della luna e della rosa
passer in carrozza davanti alla porta e non avrai che
da prenderla al volo e affidarla al tuo cavallo nero.
Runja, pi bella della luna e della rosa, non tard
a passare di l. Sheikh Smain fece un balzo, la prese
in braccio, e il cavallo pi r a p i d o di un l a m p o li
port via tutti e due. A qualche passo di distanza li
seguiva il negro fedele.
Giunti che furono sulla sommit di u n a collina, il
p r i n c i p e e R u n j a scesero da cavallo p e r riposarsi.
Sheikh Smain appoggi la testa sulle ginocchia della
fidanzata e si addorment. Si ridest per di soprassalto perch u n a lacrima gli era caduta sulla guancia. Allora vide che la sua a m a t a stava piangendo.
Che hai? le disse. Non sei felice accanto a me?
Ma essa gli indic in lontananza dei cavalieri che sopraggiungevano, e m o r m o r timorosa: Ci inseguono. Stanno cercando me per riprendermi e riportarmi al sultano!. Sheikh S m a i n e r a gi b a l z a t o in
piedi: Non avere alcun timore disse teneramente
alla fanciulla. Con l'aiuto di Dio e del mio amico fedele li sconfiggeremo.
340

Il principe e colui che non lo abbandonava n di


giorno n di notte attendevano con la sciabola sguainata i cavalieri del sultano. E certamente gli angeli
guerrieri del cielo f u r o n o dalla loro parte, perch di
questo bell'esercito che veniva verso di loro in u n a
nuvola di polvere ben presto non rimasero che morti, feriti e qualche povero fuggiasco.
Sheikh S m a i n pot risalire t r a n q u i l l a m e n t e con
Runja in sella al suo cavallo nero, seguito dal negro
che faceva b u o n a guardia. Continuarono ad andare
cos, tutti e tre, giorno e notte, attraversando numerose contrade. Una mattina si spalanc alla loro vista un paese ridente, quello della fanciulla dai capelli color del m a i s e dal viso di latte che il p r i n c i p e
aveva conteso al re degli infedeli. Essa se ne stava
sulla soglia, in piedi, attorniata dai fratelli, rivestita
di lunghi veli di seta a stelle d'oro. Attendeva che il
suo sposo venisse a prenderla per m a n o e la portasse
via con s. Sheikh Smain apparve, la fece sedere acc a n t o a R u n j a sul suo cavallo nero, e p r o s e g u il
viaggio, sempre accompagnato dal suo fedele negro.
E continuarono a viaggiare, cos, tutti e quattro, per
giorni e giorni.
Il principe si avvicinava ora al suo regno. Appena
il suo cavallo nero ne ebbe varcato i confini, il negro
t o r n ad a s s u m e r e le s e m b i a n z e di u n a splendida
donna, dalla nobile acconciatura. Partito per riconquistare la fidanzata pi bella della luna e della rosa,
Sheikh S m a i n faceva d u n q u e ritorno insieme a tre
donne di u n a bellezza abbacinante. Mentre le teneva
tutte e tre sul suo cavallo nero e faceva insieme a loro il suo ingresso nella citt natale, la pi giovane
dal viso di latte gli disse: Io posso, se lo desideri,
edificarti un palazzo ancora pi imponente di quello
di tuo padre, il sultano. Quanto a me, disse R u n j a
io posso creare attorno al palazzo il giardino pi in341

caritevole, con fiori, f r u t t a e a d d i r i t t u r a gli uccelli


del paradiso. Se tu lo vuoi, disse alla fine la terza,
dalla nobile acconciatura io posso fare sgorgare in
tutto il giardino fonti abbondanti e limpide che non
si esauriranno n di giorno n di notte.
Gli abitanti della citt furono colti dallo spavento
quando, al levar del sole, videro ergersi davanti a loro il palazzo incantato nel bel mezzo di un folto parco e u d i r o n o il m o r m o r i o delle molteplici f o n t a n e
frammisto al canto di innumerevoli uccelli. Il muezzin, m e n t r e c h i a m a v a i fedeli alla p r e g h i e r a , p e r
l'impressione cadde dal minareto. E il sultano, ridestato di soprassalto da un r u m o r e inquietante, credette che qualche nemico fosse sotto le m u r a della
citt: "Chi sar in grado di procurarmi informazioni
corrette?" si chiedeva ansiosamente. Fu allora che
gli si present Settut, la vecchia strega. Essa gli disse: Andr io a cercare informazioni, sultano. E neppure il vento mi batter in velocit!.
Prese quindi un cesto di farina, a n d a piazzarsi
davanti all'ingresso del magico palazzo e cominci ad
accendere un bel fuoco di frasche in mezzo a tre grosse pietre. Poi impast la sua focaccia e la mise a cuocere nel piatto che aveva di proposito posto alla rovescia sul fuoco. Le tre mogli di Sheikh Smain la
osservavano dalla finestra. Rovescia il piatto, le
grid u n a di loro altrimenti la tua focaccia non cuocer mai! Io sono cieca, povera figlia mia rispose
Settut. Non potresti venire a darmi u n a mano?
Quella delle spose che aveva il potere di trasformarsi in negro scese e si fece avanti con nobile incedere, facendo risuonare i pesanti anelli che ornavano le sue caviglie.
Chi sei, figliola? chiese Settut col tono pi insinuante. Se devo giudicare dalla tua voce che dolce e dalla tua m a n o che perfetta, devi essere assai
342

bella e, se non bastasse, anche buona, perch ti occupi di u n a povera maldestra come me. Io sono la
moglie di Sheikh Smain. E le mie due compagne che
ti s o r r i d o n o dal b a l c o n e s o n o a n c h ' e s s e spose di
Sheikh Smain. Se non fossi cieca le potresti vedere.
Sheikh Smain! esclam Settut. Hai proprio detto
Sheikh Smain? Ma quello che hai appena nominato
il figlio della m i a cara sorella! Conducimi da lui
immediatamente, in m o d o che io sia la prima a salutarlo e a stringerlo contro il mio cuore!
La giovane d o n n a la prese per m a n o e la condusse
al cospetto del suo padrone. Settut si gett sul principe e lo abbracci. Facendogli mille moine, venne a
sapere da lui tutto quello che sperava di udire. Dopodich, si separ da lui e corse dal sultano veloce
come il fuoco. Sheikh Smain, tuo figlio, ritornato! gli a n n u n c i a n s i m a n d o . Ha p o r t a t o con s
R u n j a pi bella della l u n a e della rosa e d u e altre
giovani d o n n e , oltretutto di u n o splendore pari al
suo. E q u e s t o p a l a z z o che fa impallidire il t u o al
confronto, questi giardini incantevoli e queste fontane appartengono tutti a lui!
Il sultano prov un grande dispiacere a vedersi superato in tutto.
Sheikh Smain si considerava il pi appagato degli
u o m i n i : aveva ritrovato il suo paese. E viveva in
m e z z o a spose belle e a s s e n n a t e le quali, lungi
dall'invidiarsi e dal nuocersi a vicenda, si amavano.
Cos, non mancava ogni mattina di rendere grazie a
Dio, nel suo cuore, per tutto questo, col viso rivolto a
oriente.
Ma ecco che un bel giorno volle associare a questa
felicit suo padre, il sultano. Eccolo decidere di offrire un banchetto degno di lui. Allora, quella tra le
sue spose che aveva il viso di latte non dovette far altro che rigirare un anello d'oro che aveva al dito per
343

veder sorgere innumerevoli tavoli di legno pregiato,


ricoperti di grandi vassoi d'argento pieni di succulenti manicaretti. Davanti a un banchetto cos regale, il s u l t a n o impallid p e r lo s t u p o r e e l'invidia.
Mangi facendosi andare tutto di traverso e si sent
l a c e r a r e dagli artigli della gelosia. Giacch, lungi
dall'incantarlo, la meravigliosa bellezza delle sue
nuore era per lui invece u n a tortura. Cos, da quel
m o m e n t o , prese nel suo cuore vile la decisione di
sopprimere suo figlio, Sheikh Smain, e di rapirgli le
sue mogli e i suoi beni. Si sforz c o m u n q u e di sorridere q u a n d o disse al principe: Stasera sono stato
tuo ospite. Ma domani, lo sarai tu da me.
L'indomani, q u a n d o Sheikh S m a i n volle recarsi
dal padre, Runja, pi bella della luna e della rosa, lo
trattenne con queste parole: Mio signore, vedo del
sangue tra i tuoi parenti. Egli rispose: Si compiano la volont di Dio e quella di mio padre!. Ma alm e n o prosegu la giovane d o n n a prendi q u e s t o
anello e fallo cadere nel tuo piatto tutte le volte che
ti presenteranno u n a nuova portata.
Grazie all'anello prezioso, il principe sfugg a u n a
morte orribile. Il sultano, che si aspettava di vederlo
c a d e r e a t e r r a f u l m i n a t o al t e r m i n e del pasto, fu
enormemente deluso nel vedere il suo aspetto florido e il suo occhio vivace.
Non avevo o r d i n a t o di avvelenare t u t t o quello
che sarebbe stato offerto al principe? tuon davanti
ai suoi servi radunati.
Signore, risposero i servi tremebondi siete stato ubbidito, dal m o m e n t o che non vi nulla tra quello che ha m a n g i a t o il principe che non contenesse
del veleno, e che veleno!... Per avere assaggiato un
avanzo di carne, un povero mendicante morto sul
colpo: lo abbiamo visto diventare tutto nero e rotolarsi per terra, senza poterlo soccorrere.
344

Questa notizia parve placare un poco il sultano.


Sospir e si mise a pensare a un'astuzia per avere ragione di Sheikh Smain e di tutti gli angeli che vegliavano su di lui. Trascorsero settimane p r i m a che gli
venisse un'idea fruttuosa.
Ma un giorno si alz sollevato e ordin ai suoi uomini pi devoti di scavare in fretta numerose botole
nella sala dei ricevimenti. Queste botole vennero
riempite all'inverosimile di spade e pugnali e ricoperte di tappeti sontuosi. Nessuno avrebbe potuto sospettare che in questa nobile sala fosse disseminata
per ogni dove la morte. E il sultano si diceva, speranzoso: "Questa volta n o n mi sfuggir. Soccomber trafitto da spade e pugnali!". E, contento, se ne and a
trovare il principe per dirgli, nel m o m e n t o pi favorevole: Figlio mio, l'effetto della vecchiaia?... Le sere
mi s e m b r a n o sempre troppo lunghe. Domani, non
potresti venire a passare la sera con me? tanto che
non godo pi della tua piacevole compagnia!.
L'indomani, mentre Sheikh Smain si accingeva a
partire, la giovane moglie dal viso di latte e dai capelli
color del mais lo arrest: Mio signore, gli disse con
tenerezza vedo del sangue sui tuoi vestiti. Egli rispose: Si compiano la volont di Dio e quella di mio
padre!. Ma almeno prosegu la sposa prendi con
te in braccio questa piccola levriera: essa ti guider.
Ma, per Dio, seguila docilmente o sei perduto!
Il principe prese sottobraccio la cagnolina e si all o n t a n nell'oscurit. La lasci a n d a r e sulla soglia
della sala che doveva attraversare accanto al padre, e
la segu passo passo. Il sultano ebbe un bel cercare
di distrarlo: il principe n o n aveva occhi che per la
cagnolina. Alla fine essa si ferm. Sheikh Smain la
prese allora sulle ginocchia, si sedette nel punto che
essa gli aveva indicato e si mise a conversare col pa345

dre nel m o d o pi piacevole di questo m o n d o , raccontandogli del suo viaggio fino al paese delle Indie.
Bianco dalla p a u r a e dalla r a b b i a , il s u l t a n o lo
ascoltava appena. Respirava a fatica, e la gelosia lo
rodeva c o m e un f u o c o divoratore. Fu cos che
Sheikh Smain sfugg a questa m o r t e che sembrava
cos sicura.
Ma quanto pi il sultano si sentiva impotente contro suo figlio e le forze che lo proteggevano tanto pi
si esasperava il suo desiderio di stroncarlo. Una mattina, n o n p o t e n d o n e pi, a n d a trovare S h e i k h
Smain e gli chiese: Di grazia, esiste qualcosa in grado di sopraffarti? Forse la polvere da sparo, o il ferro, o la corda?.
Il principe, che si stava riposando accanto a u n a
fontana, nel suo magnifico giardino, rispose semplicemente: Io non temo n il piombo, n il ferro n i legami. Tutti i fucili del m o n d o potrebbero sparare
contro di me senza colpirmi; tutte le lame potrebbero
trafiggermi senza che io soccomba. E spezzerei qualunque legame, foss'anche fatto con pesanti catene.
Ma allora, qual la cosa che potrebbe avere ragione di te? Ce ne sar pure una!
Il principe riflett un po' p r i m a di rispondere. Disse: Qui, nella mia tasca, tengo u n a catenella d'argento. Se acconsentissi a consegnartela in m o d o che
tu possa avvolgermela intorno ai polsi, solo allora
sarei senza difesa. Ti prendi gioco di me riprese il
sultano. Come vuoi che ti creda? Prova. Quando
mi avrai legato con questa catenella dall'apparenza
cos fragile, mi vedrai in t u a balia e alla m e r c di
chiunque mi volesse far del male.
Tremante, il sultano prese la catenella e leg i polsi di suo figlio, che tent invano di liberarsi. Solo allora il principe si sovvenne di ci che gli aveva detto
la giovane moglie dalla nobile acconciatura per met346

terlo in guardia, q u a n d o si era avviato verso la fontana dove lo attendeva suo padre: Mio signore, gli
aveva gridato la sposa che aveva il potere di trasformarsi in un negro mio signore, vedo del sangue tra
i tuoi parenti e questa volta temo che nulla possa salvarti!. Ed era stato cos sventato da risponderle ancora: Si compiano la volont di Dio e quella di mio
padre!.
Una gioia diabolica pervadeva il sultano davanti a
questo figlio invulnerabile rimasto ormai senza pi
difesa. Si poteva essere cos stupidi o pazzi da consegnarsi tra le mani del proprio peggior nemico? Finalmente il sultano avrebbe potuto godere del palazzo incantato, dei giardini dalle molteplici fontane e delle
tre d o n n e meravigliose che vi regnavano! Delirante di
gioia, chiam i suoi servitori e ordin loro di cavare
gli occhi a Sheikh Smain e di metterglieli nelle tasche.
Il principe privo della vista rimase fermo, in piedi,
pi debole di un bambino, con i polsi segati e insanguinati dalla minuscola catenella che si era sforzato
disperatamente di rompere. Il sultano diede ordine
di caricarlo su un mulo e di condurlo nel folto della
foresta per farlo divorare dalle belve feroci.
Appena g i u n t o nel fitto della foresta, Sheikh
S m a i n disse al servo che lo a c c o m p a g n a v a : E tu
non avrai piet di me, n o n mi libererai i polsi, non
spezzerai questa maledetta catena che ha fatto di me
la pi miserabile tra le creature?.
Il servo lo liber e si ritir tutto confuso. E il povero
principe si sedette ai piedi di un albero e si mise a meditare. Stava sopraggiungendo la notte, u n a notte fresca. Sheikh Smain era solo col r u m o r e delle foglie e
del vento. Per difendersi non aveva che un bastone
posato accanto a lui e qualche pietra. Ma avrebbe poi
potuto servirsene? E r a cieco... All'improvviso percep, molto in alto, u n a sorta di lamento: era un'aqui347

la tutta spiumata che implorava i suoi piccoli di coprirla con le loro ali perch tremava di freddo. Niente da fare rispondevano feroci gli aquilotti. Puoi
tranquillamente morire di freddo, se vuoi. Quello che
succede a Sheikh Smain ci insegna che non bisogna
aspettarsi bont da parte dei genitori e che bisogna
trattarli senza piet. Maledetto sia il padre che ha cavato gli occhi del migliore dei principi e lo ha condotto nella foresta perch finisca in pasto alle bestie feroci! Sheikh Smain ha i suoi occhi nelle tasche
rispose in tono grave la vecchia aquila. Se vuole rivedere la luce del b u o n Dio, prenda un po' di foglie di
questo bell'albero al quale addossato, le mastichi e
poi se le sprema contro le palpebre. Dopodich, dovrebbe rimettere delicatamente ogni occhio al suo
posto e attendere. Di l a un momento, la luna rotonda gli apparirebbe tra le stelle, nel cielo, e domani la
luce del giorno lo abbaglierebbe al risveglio.
Sheikh S m a i n ascolt il d i s c o r s o della vecchia
aquila e preg Dio che si realizzasse quello che aveva appena udito. Tese le braccia e colse u n a manciata di foglie strappandole da un r a m o basso. E r a n o
foglie strette e lisce. Le mastic. Non appena ne ebbe spremuto il succo nelle orbite, prese delicatamente gli occhi e se li rimise, quello sinistro a sinistra e
quello destro a destra, con grande pazienza, per paura di sbagliare. Poi chiuse le palpebre e attese, trem a n d o per la speranza. Quando li riapr, un attimo
dopo, la luna lo guardava nel cielo trapunto di stelle.
Sheikh Smain ringrazi la vecchia aquila e rese grazie a Dio nel suo cuore. Quindi si avvolse stretto nel
burnus e si a d d o r m e n t felice, su un giaciglio di foglie
secche. La luce del b u o n Dio lo abbagli al risveglio.
Si alz. Colse un mazzo di foglie dell'albero miracoloso, riprese il suo bastone e si rimise in cammino.
And s e m p r e d r i t t o a t t r a v e r s o la foresta. Cam348

min, c a m m i n a lungo. Q u a n d o si vide davanti a


dei bei campi coltivati, si ferm per riprendere fiato.
Un vecchio, intento a spingere un gregge, lo not sul
bordo del sentiero e gli m a n d u n o sguardo pieno di
bont. Padre mio, gli disse il principe mi vorresti
come figlio? Tu sei anziano e ti vedo ancora costretto a lavorare. Figliolo, rispose il vecchio Dio
che ti manda, perch siamo soli, m i a moglie e io. I
nostri campi sono vasti, tu li coltiverai per noi e alla
nostra morte tutto quello che possediamo sar tuo.
Sheikh Smain e il b u o n vecchio entrarono nel villaggio. Si fermarono davanti alla p r i m a casa: era rustica ma tenuta bene; un bel fico le faceva ombra e la
rendeva accogliente. Dio ci ha m a n d a t o un figlio!
annunci dalla soglia il vecchio alla sua compagna.
Comparve u n a d o n n a anziana ma a n c o r a in forze.
Alz sul principe lo sguardo t r a s p a r e n t e e sorrise:
Sii il benvenuto, figliolo! gli disse prendendogli la
testa tra le sue mani scure. Avevamo u n a tale p a u r a
di morire soli. Potevamo augurarci un figlio pi ammodo?
Essa serv, nella stanza pi luminosa, un grande
piatto di cuscus innaffiato di latte. Al principe, che
aveva u n a gran fame, sembrava di non avere mai assaggiato cibo pi delizioso. Per festeggiare questo
incontro fortunato vi f u r o n o anche frutta e caff. E i
due vecchi e il principe resero grazie a Dio per avere
concesso un figlio a due anziani solitari e dei genitori a un giovane odiosamente tradito dal proprio stesso padre. Per tutti si apriva u n a vita nuova. Una vita
pacifica e dolce.
L'indomani, q u a n d o la vecchia si accingeva a fare
il b u r r o in u n a zucca svuotata che le serviva da zangola, Sheikh Smain si fece avanti e dichiar: Tutto
questo latte che vedi diventer burro. Gett quindi
nella zangola u n a delle foglie che aveva colto dall'al349

bero m i r a c o l o s o e t u t t o il latte si t r a s f o r m in un
enorme blocco di burro. Stupita, la vecchia chiam
le vicine: esse accorsero a frotte per constatare il miracolo e supplicare Sheikh Smain di venire da loro a
battere il burro. Ben presto il principe si vide attribuito l'epiteto di "Mehend che batte il burro", e la
sua popolarit si estese a tutto il regno.
Sheikh Smain conobbe la pace in mezzo a queste
persone semplici che lo amavano. Ma stava scritto
che dovesse conoscere altre tribolazioni. Se ne rese
conto il giorno in cui vide il padre adottivo estrarre
da un vecchio cassettone un fucile antiquato e arrugginito e cominciare a lucidarlo. Padre mio, disse
perch quest'arma? Figliolo, il nostro signore, il
sultano, vuole che a n d i a m o anche noi a batterci contro il negro che difende il palazzo e le mogli di suo
figlio. Giacch non gli basta aver dato in pasto alle
belve della foresta il nostro bel principe, dopo avergli fatto cavare gli occhi. Ecco che adesso insidia i
suoi beni e le sue mogli. Ma un negro terribile le dif e n d e f e r o c e m e n t e e le d i f e n d e r fino alla m o r t e .
Sventura agli imprudenti che gli si avvicineranno!
Padre mio, disse Sheikh Smain il tuo posto non
in combattimento. Mi batter io in vece tua. No,
figliolo. La mia vita volge al termine, mentre la tua
a p p e n a agli inizi. La m o r t e p u a n c h e p r e n d e r m i ,
n o n sarebbe u n a grande perdita. Partir io! riprese con maggiore ardore il principe. E la disputa
rischiava di prolungarsi, se la vecchia non vi avesse
posto fine. Partite tutti e due disse. Il padre vigiler sul figlio e io pregher perch mi siate resi al
pi presto.
Partirono dunque, il vecchio a r m a t o di un bastone
e il figlio di un fucile. Un negro gigantesco faceva la
guardia al palazzo incantato. Brandendo u n a scimitarra, menava gran fendenti a destra e a sinistra. Ap350

pena scorse attraverso u n o spioncino Sheikh Smain,


che si era reso irriconoscibile con u n a maschera, il
negro annunci alle due giovani donne, sue compagne, che all'interno del palazzo tremavano dal terrore: Sento l'odore del mio signore!. Ahim risposero quelle tristemente. Il nostro signore morto.
Cos, q u a n d o sentirai venir m e n o la tua forza, n o n
m a n c a r e di avvisarci, in m o d o che noi possiamo inghiottire il veleno che abbiamo preparato. Giacch
meglio m o r i r e che essere del p a d r e m o s t r u o s o del
nostro b e n e a m a t o signore.
Sheikh Smain, sciabola alla m a n o , si era aperto
un passaggio in mezzo alla folla stupefatta. Sento
l'odore del mio signore! disse di nuovo il negro, ma
q u e s t a volta con m a g g i o r e convinzione, alle d u e
d o n n e che osservavano dallo spioncino.
Allora Runja, pi bella della luna e della rosa, disse: Ecco u n a mela. Gettagliela: se egli se la porter
alle narici e se la metter in tasca, sar davvero lui.
Ma se la lascer a terra, non ci rester che morire.
Il negro gett la mela. Il giovane guerriero la raccolse, ne aspir a lungo la fragranza e se la fece scivolare in tasca. lui, p r o p r i o lui! Dio sia lodato!
e s c l a m a r o n o R u n j a e la sua c o m p a g n a dal viso di
latte.
E u n a grande speranza colm i loro cuori. Sheikh
Smain, adesso, si trovava a tu per tu col negro. Sottovoce gli disse: Uccidi un animale e riempi di sangue l'intestino; legatelo intorno al petto, sotto i vestiti. Io p e r f o r e r l'intestino con la m i a sciabola. Il
sangue si sparger sul tuo corpo: a questo punto, tu
fingiti morto e lasciati cadere a terra.
Quella notte il negro fedele sgozz un agnello, ne
riemp di sangue gli intestini e all'alba se li arrotol
intorno al petto nudo. Sheikh Smain si batteva come
un leone. Compiva tali e tanti atti di valore che non
351

si pot impedire che u n a voce si levasse e dicesse alla folla: Se volete che questo negro venga abbattuto, date a questo giovane valoroso l'armatura e il cavallo di Sheikh Smain, perch merita questo onore.
E vedrete che uccider il negro irriducibile.
Avvisato, il sultano diede al guerriero il cavallo e la
sciabola di suo figlio che credeva morto da tempo.
Sheikh Smain, in sella al celebre cavallo che gli
era valso tante vittorie, si accinse a piantare la sciabola nell'intestino gonfio di sangue. Il negro si accasci. Alcuni dei combattenti si staccarono dalla folla
per gettarsi pieni di odio su di lui, con la pretesa di
vendicare q u a l c h e c o n g i u n t o . Ma il g u e r r i e r o li
ferm. Ponendosi davanti alla vittima, disse a gran
voce: Quest'uomo morto e il suo cadavere spetta a
me. Che nessuno gli si avvicini!.
I m p a z i e n t e di i m p a d r o n i r s i del p a l a z z o e delle
mogli del figlio, il sultano convoc l'indomani i notabili della citt e disse loro: Ordino che voi dichiariate davanti ai miei sudditi che non vi alcunch di sacrilego nel fatto che io sposi le vedove di mio figlio;
ordino che voi proclamiate ad alta voce che al sultano consentito sposare le vedove del figlio. Va bene, signore risposero umilmente i notabili.
Una folla enorme si assiepava davanti al palazzo
che non era pi difeso da nessuno. Infatti il sultano
aveva i n n a l z a t o il suo s p l e n d i d o t r o n o d a v a n t i al
maestoso ingresso ed era circondato dai sette notabili che sembravano altrettanti bianchi colombi. Un
immenso clamore si alz: erano sei notabili, che gridavano, col viso rivolto al cielo: S, brava gente,
lecito, degno e giusto che il sultano sposi le vedove
di suo figlio!.
Una voce sola, inesorabile e fredda come u n a lama, si alz a sua volta per proclamare: Sventura al
padre che osa insidiare le sue nuore. Sventura al pa352

dre che osa sposare le vedove di suo figlio, perch


commette un sacrilegio!.
E questa voce era quella del settimo notabile. Il
sultano lanci u n o sguardo severo al guastafeste che
osava contraddirlo, e diede ordine ai suoi domestici
di bastonarlo di santa ragione. Per sette volte i primi
sei notabili dichiararono: La legge di Dio permette
l'unione del padre con le sue nuore. E per sette volte, la voce del settimo notabile proclam, sempre pi
patetica: Dio maledice l'unione del padre con le sue
nuore!. E per sette volte questo giusto venne bastonato di santa ragione e ricoperto di insulti.
Alla fine, Sheikh Smain lasci cadere la maschera
che lo rendeva irriconoscibile per chiunque non fosse il suo fedele negro, e si piazz davanti a suo padre. Sulla sua magnifica cavalcatura, appariva prestigioso come il f u l m i n e , temibile q u a n t o l'Angelo
della Morte. Scendi da questo trono! intim a suo
p a d r e , con voce s p r e z z a n t e . Perch n e c e s s a r i o
che sia fatta giustizia! Costrinse il sultano a sedersi
per terra come un mendicante e si serv del suo ginocchio come di un ceppo per tagliare la testa ai sei
notabili che avevano osato p r o c l a m a r e d i n a n z i al
cielo: "Dio p e r m e t t e l'unione del p a d r e con le sue
nuore". Al settimo disse: Uomo giusto, ti faccio dono di tutti i beni di questi empi.
Da ultimo si rivolse al padre e gli inchiod al muro le m a n i e i piedi. Con voce cupa ordin: Si accenda un fuoco lento sotto i suoi piedi, affinch bruci a poco a poco e si ricordi di tutti i suoi misfatti.
Padre indegno, prosegu dolorosamente il principe non sei tu che mi hai insegnato u n a simile crudelt? E la sorte che ora subisci tu, non la faresti subire a me se io cedessi alla piet? Ricordati dei tuoi
delitti contro di me: Non hai cercato per tre volte di
togliermi la vita? Dapprima hai fatto ricorso al vele353

no; un anello magico mi ha salvato. Allora hai pensato di farmi cadere in u n a botola colma di spade e
di pugnali dissimulata da sontuosi tappeti. Ed alla
mia levriera che devo il fatto di n o n essere morto,
trafitto da ogni parte. Alla fine, hai voluto sapere che
cosa mi potesse rendere impotente e innocuo quanto
un b a m b i n o , e sono stato t a n t o ingenuo da consegnarmi in m a n o tua e farmi incatenare dalla catenella d'argento che, sola, aveva il potere di immobilizzarmi. Mi hai cos avuto alla tua merc e mi hai fatto
cavare gli occhi. Mi hai consegnato in pasto alle belve: io, tuo figlio, cieco e disarmato. Ma questo ancora non ti bastava: hai corrotto i notabili, hai insidiato le mie spose e i miei beni!
E Sheikh Smain, sordo alle grida strazianti che gli
giungevano attraverso le alte fiamme, si allontan,
triste da morire.
Nel suo meraviglioso palazzo lo attendevano il negro fedele che, al vederlo, torn ad assumere le semb i a n z e di d o n n a dalla nobile a c c o n c i a t u r a . Ma il
canto delle molteplici fontane e degli innumerevoli
uccelli, la freschezza della sua sposa dal viso di latte
e dai capelli color del mais, la fedelt e l'amore del
suo popolo, oltre allo splendore di Runja, pi bella
della luna e della rosa, riuscirono a malapena a sedare il male segreto che gli rodeva il cuore.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!

20. S T O R I A DI B E L J U D H E D E L L ' O R C H E S S A T S E R I E L

Che il m i o r a c c o n t o sia bello e si d i p a n i c o m e un


lungo filo!
Viveva u n a volta in un certo villaggio un ragazzino
che si c h i a m a v a B e l j u d h , e q u e s t o B e l j u d h era
354

sempre in cerca di qualche scherzo per divertire e


prendere in giro i suoi simili.
Un bel giorno, si arrampic sul fico che cresceva
sul m a r g i n e del sentiero e si mise a gridare: Chi
vuole m a n g i a r e dei fichi, chi ne vuole? Il fico di
B e l j u d h carico di f r u t t i m a t u r i al p u n t o giusto.
Chi vuole mangiare dei fichi fuori stagione? Quelli
che vogliono m a n g i a r n e a c c o r r a n o : il p a r a d i s o di
Dio sceso in terra!.
Beninteso, il fico non aveva n e m m e n o un frutto.
Nell'ora pi calda, pass l'orchessa. C'era un sole
da far stramazzare un asino: Tseriel, l'orchessa, si recava a bere al ruscello che lambiva il fico. Essa ud
B e l j u d h che gridava: Chi vuole m a n g i a r e dei fichi?.... Tseriel era cieca ma gigantesca; la sua chioma si rizzava al cielo come un cespuglio. Tseriel disse: Cercavo proprio te!.
Protese il braccio verso l'albero, e afferr Beljudh
per un piede. Lo tir gi e lo rinchiuse in un otre.
Non avendo u n a corda, cerc a tentoni intorno a s
qualcosa per legarlo: le sue dita incontrarono delle
foglie di cipolla selvatica. Se ne serv per legare l'otre
che poi appoggi al fico. Poi si apprest a recitare la
sua preghiera del mezzod. Beljudh attese che essa
a n d a s s e al ruscello a fare le sue abluzioni, q u i n d i
ruppe il fragile legame e se ne usc. Raccolse dei sassolini, ne riemp l'otre, lo richiuse e poi si allontan.
Tseriel preg. Poi estrasse dal corsetto un pezzo di
focaccia e dei fichi. Mangi, bevve al ruscello, e alla
fine si diresse verso l'otre, mentre Beljudh raggiungeva u n a piccola sporgenza del terreno per non perdersi nulla della scena. Tseriel cerc di sollevare
l'otre. L'otre le c a d d e di m a n o . Disse tra s: "Che
cos'ha m a n g i a t o ? Per quale motivo B e l j u d h , che
era cos leggero un m o m e n t o fa, adesso cos pesante?". Alla fine riusc a caricarsi l'otre sulle spalle. Fe408

ce qualche passo, ma i sassolini si misero a punzecchiarle le spalle. Grid: Tira indietro le ginocchia,
Beljudh, mi fanno male contro la schiena!.
Da lontano, Beljudh le rispose scoppiando a ridere: Cosa vuoi da me, madre-nonna? Credevi davvero di riuscire a tenermi legato con foglie di cipolla
selvatica? Apri un po' il tuo otre, per vedere che cosa
c' dentro!. Furiosa, l'orchessa gett a terra l'otre. Il
legaccio si spezz e i sassolini schizzarono fuori e si
dispersero per ogni dove, ferendo Tseriel a un piede.
Che Dio ti tragga in inganno come tu hai tratto in
i n g a n n o me! grid. Un giorno toccher a te e ti
catturer.
Sperando di sorprendere Beljudh, l'orchessa n o n
mancava di tornare tutti i giorni dalle parti del fico.
Un bel mattino, Beljudh torn sul fico. Si arrampic sul r a m o pi alto e guardando non i suoi piedi
ma il cielo, si mise a gridare: Chi vuole mangiare
dei fichi, chi ne vuole? Il fico di Beljudh carico di
frutti m a t u r i al p u n t o giusto. Chi vuole mangiare
dei fichi fuori stagione? Quelli che vogliono mangiarne accorrano: il paradiso di Dio sceso in terra!.
Nell'ora pi calda, pass l'orchessa. Ud Beljudh
che gridava: Chi vuole dei fichi?.... Protese allora
il braccio tra i rami, e afferr Beljudh per un piede.
Lo rinchiuse in un otre e lo leg saldamente.
Questa volta non ti salverai! gli disse buttandosi
in fretta l'otre sulle spalle.
Invano Beljudh cerc di pungerla con i gomiti e
con le ginocchia. Per quanto si girasse e si rigirasse
nell'otre, non riusc a sfuggire all'orchessa.
Appena arrivata a casa, Tseriel palp Beljudh e
lo trov magrolino. Per farlo ingrassare, lo rinchiuse in una dispensa traboccante di miele, di burro, di
fichi secchi, di datteri e di noci, raccomandandogli:
409

Mangia tutto quello che vuoi. E gli chiuse la porta


in faccia.
Beljudh mangiava e dormiva, dormiva e mangiava. L'orchessa gli dava da bere attraverso un piccolo
sportello. Trascorsa u n a quindicina di giorni, si avvicin allo sportello e gli disse: Beljudh, figliolo,
porgimi la tua m a n i n a perch io veda se pi paffutella. Egli le allung il manico di un cucchiaio di legno. Sei sempre cos secco! gli disse indispettita.
E se ne and a caccia. Dopo qualche giorno, disse
di nuovo: Porgimi la tua m a n i n a , Beljudh, figlio
mio!. Egli le offr il manico di u n a scure. Ma l'orchessa dichiar: Ti do a n c o r a otto giorni. tutto
quello che Dio ti avr concesso di vivere: m a g r o o
grasso, fa lo stesso. Vado a invitare i miei parenti e a
cercare mia figlia Butellis che da sua zia.
L'indomani port con s Butellis. Butellis aveva un
occhio bianco (ci vedeva, cio, solo dall'altro). La vigilia del gran giorno, Tseriel si rivolse a lei e le disse:
Macina del frumento, prepara semola in quantit,
prepara i grani del cuscus, perch all'alba me ne andr a invitare le mie sorelle, i miei fratelli, le mie zie,
insomma tutta la nostra famiglia. Al ritorno passeremo dalla foresta e prenderemo della legna. Nel frattempo, tu accendi il fuoco e mettici sopra il pentolone
dei matrimoni. Dopodich, fa' uscire Beljudh dalla
dispensa, sgozzalo e gettalo nella pentola dopo averlo
fatto a pezzettini. Non dimenticarti il sale, il peperoncino, le spezie e gli aromi. E che sia tutto pronto per il
nostro arrivo.
Beljudh, con l'orecchio attaccato alla porta, non
si perdeva u n a p a r o l a delle r a c c o m a n d a z i o n i che
l'orchessa faceva alla figlia.
Tseriel usc all'alba. Butellis riordin la casa, accese il fuoco, sbucci parecchie grosse cipolle che poi
fece macerare in olio e peperoncino. Quindi mise sul
410

fuoco il pentolone dei matrimoni e si diresse verso la


dispensa. Ma appena ebbe aperto l'anta, Beljudh le
salt alla gola. La sgozz e la butt nella pentola. Rivest quindi i suoi abiti, si copr il capo col suo foulard, cinse la sua cintura e si occup del banchetto.
Fece cuocere il cuscus a vapore, poi lo imburr per
separarne con cura i granelli. Lo suddivise in tre immensi piatti di legno e n o n si dimentic di gettare
nel sugo u n a m a n c i a t a di spezie. Q u a n d o t u t t o fu
p r o n t o , siccome Butellis aveva un occhio b i a n c o ,
Beljudh per non farsi riconoscere si mise u n a benda sull'occhio: avrebbe fatto finta che il f u m o facesse
lacrimare il suo occhio perduto.
E Beljudh sal sul tetto per spiare l'arrivo dell'orchessa e del suo seguito. Da lontano li vide avanzare
recando con s tronchi d'albero e fascine. E r a n o novantanove. Con Tseriel erano cento: intorno a loro
c'era un gran viavai di orchetti e orchette.
Beljudh scese e si fece loro incontro. Imitando la
voce di Butellis diede a tutti il benvenuto. Gli orchi
si raccolsero intorno a un piatto di cuscus, le orchesse intorno a un altro, e gli orchetti e le orchette intorno a un terzo piatto. E si misero a mangiare con
grande appetito. Beljudh versava il sugo, serviva la
carne, portava da bere, si occupava di tutti. Le orchesse gli dissero: Ors, vieni a mangiare, Butellis!. Ma egli rispose amabilmente: Quando avrete
finito, zie. Prima voglio servirvi!.
N o n l o n t a n o dal focolare, nel cortile, i t r o n c h i
d'albero e le fascine che orchi e orchesse avevano recato formavano un enorme cumulo. Beljudh prese
un tizzone ardente e lo infil al centro del mucchio
di legna per darvi fuoco e prepararsi la fuga. Proprio
in quel m o m e n t o , u n ' o r c h e t t a , m a n g i a n d o , trov
l'occhio b i a n c o di Butellis. Tir la m a d r e p e r un
braccio e bisbigli: Mamma, l'occhio della cugina
411

Butellis!. Dai, mangia! le rispose la m a d r e . Ma


Forchetta riprese, a l z a n d o la voce: Ti dico che
l'occhio della cugina Butellis!.
L'occhio pass di m a n o in mano. E ciascuno disse:
l'occhio di Butellis!.
Beljudh prese allora u n a manciata di peperoncino in polvere e salt sul tetto gridando: Tseriel ha
mangiato sua figlia!.
Tseriel si era gi precipitata su di lui. Aveva appen a a f f e r r a t o B e l j u d h p e r u n piede q u a n d o questi
scoppi a ridere dicendo: Ah, ah! Ha preso u n a radice e crede che sia il mio piede!.
E s s e n d o cieca, essa moll la presa. B e l j u d h le
gett in faccia la manciata di peperoncino in polvere. Tseriel si pieg verso terra con gli occhi in fiamme. Orchi, orchesse, orchetti e orchette si stavano
gi lanciando in suo aiuto q u a n d o alte f i a m m e avvolsero il cortile. Tseriel e i suoi familiari ebbero il
loro da fare per spegnere l'incendio. Ed cos che
Beljudh riusc a sfuggire loro.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!

21. IL G A T T O P E L L E G R I N O

Che il m i o r a c c o n t o sia bello e si dipani c o m e un


lungo filo!
C'era u n a volta, in un villaggio, un gatto che sterm i n a v a tutti i topi del circondario. E r a b e n conosciuto e quando lo scorgevano - foss'anche da grande d i s t a n z a - topini e topine fuggivano a g a m b e
levate.
Per molto tempo rimase cos a mani vuote. Allora,
si mise a pensare al m o d o di attirare verso di s i topi. Per qualche giorno n o n si fece vedere in giro e fe412

ce circolare la voce che fosse andato in pellegrinaggio. Un bel mattino, usc, si fece vedere e fece annunciare sulla pubblica piazza e fuori dal villaggio:
Sono andato alla Mecca; mi sono purificato. Adesso onorer Dio. Non manger pi un solo topolino.
Mi sposer e inviter alla festa i miei amici e anche i
miei nemici. A tutti offro un banchetto. Chi mi vuole
bene, venga a f a r m i un saluto. Dovunque vi sia un
topo, venga a farmi visita, affinch ci riconciliamo e
diveniamo amici.
La notizia si sparse di villaggio in villaggio. I topini e le topine che si i n c o n t r a v a n o si dicevano l'un
l'altro: Avete sentito? Il gatto tornato dal pellegrinaggio! Si sposa e ci invita alle nozze! D o b b i a m o
portargli i nostri saluti e le nostre felicitazioni.
I topi erano pervasi di allegria e speranza: Dove
ti metteremo, o gioia! gridavano. Non conosceremo pi la paura. Potremo entrare e uscire a nostro
piacimento perch non dovremo pi temere, ormai,
il nostro unico nemico!
Per rendere onore al gatto pellegrino, i topi indossarono i loro abiti pi belli: delle bianche gandura,
dei burnus del Djerid. Si p o s e r o in capo degli alti
turbanti e si infilarono le scarpe pi nuove. Le topine, da parte loro, si truccarono con cura: si tinsero
di rosso le labbra con corteccia di noce. Si passarono del n e r o sugli occhi e del r o s a sulle g u a n c e .
Estrassero dai forzieri i loro ornamenti pi brillanti
e li indossarono: vesti di seta, veli di tulle. Si annodarono sulla fronte i foulard dalle lunghe frange e si
misero tutti i loro gioielli. Vestirono a festa anche i
loro piccoli. E poi, prepararono dei doni: uova, frutta, fichi secchi, noci, uvetta, datteri, grano, fave. Tutte misero in piccoli cesti quanto di pi prezioso possedevano per offrirlo al gatto pellegrino.
Da parte sua, quest'ultimo prepar con cura il suo
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ricevimento. Tappezz la casa di stuoie, tappeti, coperte. Sigill anche tutti i buchi. In un angolo colloc il proprio trono: lo ricopr di drappi scarlatti, lo
guarn di cuscini. Lasci u n a sola apertura, quella
attraverso la quale dovevano entrare i topi. Davanti
a questa apertura fece appostare un micetto con l'incarico di c o n d u r r e fino al t r o n o tutti i topi che si
presentavano. Dopodich pens alla sua toilette. Indoss u n a jallaba bianca come la neve e si avvolse intorno al capo il t u r b a n t e verde dei pellegrini. Prese
posto sul trono e attese i suoi invitati.
Per prime entrarono le topoline, che tenevano con
u n a m a n o i loro doni e con l'altra i loro piccoli. Seguivano, a gruppi, i topi. Dapprima il micetto condusse dal gatto pellegrino le topoline. Esse gli baciarono il capo e le mani e gli dissero: La pace sia su di
te, gatto pellegrino! Come stai, zio pellegrino? Dio
sia lodato perch sei tornato sano e salvo!.
A loro volta si fecero avanti i topi. Che la tua vita
sia lunga e prospera! gli dissero. Sia benedetto il
tuo pellegrinaggio! Possa tu far ricadere sul nostro
capo qualcuna delle grazie che hai riportato con te
dalla Mecca!
Siate i benvenuti rispose loro il gatto lisciandosi
lentamente i baffi. Eccomi di ritorno. Non abbiate
alcuna inquietudine, solo il bene ci u n i r d'ora in
poi. Ho giurato alla Mecca di non prendermela pi
con alcun topo. Alle topine pi timide disse con voce suadente: Avvicinatevi, avvicinatevi, mettetevi a
sedere senza timore accanto a me.
Il micetto ritirava tutte le offerte per poi metterle
in luogo sicuro. Ben presto la casa fu piena. Si form a r o n o dei gruppi. Le topine si confidavano tra loro: Vedete com' scritta chiaramente sul suo viso la
bont! Reca con s il paradiso e la pace!.
I topi e le topine erano in quantit tale che i tappe414

ti e le tappezzerie scomparivano sotto il loro numero. Ve n'erano di distesi, di appesi e di arrampicati


dappertutto, e perfino sul soffitto. Ve n'erano anche
a grappoli e a ghirlande; formavano delle catene intorno al trono. Allora, q u a n d o si fu assicurato che
tutti i topi dei dintorni avevano risposto al suo appello, il gatto pellegrino fece segno al micetto:
Chiudi la porta e tieniti pronto! gli disse con un tono che non ammetteva repliche. E che non si salvi
n e m m e n o un orecchio!
Cominci con le topine che si erano sedute accanto a lui, e in seguito inghiott u n o per uno tutti i topi
che, presi in t r a p p o l a , cercavano, v a n a m e n t e , di
uscire.
Un solo vecchio topo si era rifiutato di entrare. Se
ne stava in piedi, sull'ingresso, e osservava. Aspettava di vedere u s c i r e quelli che aveva visto e n t r a r e .
Grid al gatto pellegrino: Io n o n mi sono fidato di
te: la crusca non diventa farina, il nemico non diventa amico!.
Nel giro di due giorni migliaia di topi f u r o n o divorati. Lui solo sopravvisse.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!

22. IL F E G A T O D E L CAPPUCCIO

Quando io ero giovane mi dice l'ammirevole narratrice non capivo perch le madri amassero i propri figli pi di quanto questi ultimi le amassero a loro volta. Un giorno, mi rivolsi alla mia vecchia amica Gida
Nana per manifestarle il mio stupore per come la nostra vicina adorasse e proteggesse il suo disgraziato figlio da cui non riceveva che insolenze. Gida Nana, i
cui occhi chiari leggevano in tutte le cose e nei cuori,
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mi disse: "Figlia mia, tu non sai (ma sei ancora tanto


giovane!) che l'amore di una madre tanto pi forte
quanto pi questa madre ha sofferto e bevuto fiele per
suo figlio e per opera di suo figlio?... Ma sta' a sentire
questa leggenda che mi stata tramandata da mia
nonna, che l'aveva udita dalla sua, e cos via, risalendo di nonna in nonna, fino al principio dei tempi".
Nei tempi antichi, molto, molto t e m p o fa, vi era
un u o m o che viveva insieme alla sua vecchia madre
e alla s u a giovane moglie. Come nell'arca di No,
suocera e nuora non si potevano soffrire, e ogni min i m o incidente dava adito a interminabili dispute.
Se la m a d r e diceva bianco, immediatamente la nuora diceva nero e, conteso tra queste due furie, il pov e r u o m o era infelice. Se prendeva le parti della madre, in un baleno la sposa faceva fagotto e correva a
rifugiarsi dai suoi, lasciando il m a r i t o sconcertato.
Se dava ragione alla moglie, u n a grandinata di insulti e maledizioni si abbattevano su di lui: la madre,
p r e n d e n d o il cielo a testimone, lo sopraffaceva e lo
sbeffeggiava. Lo stuzzicava nel suo orgoglio di maschio, accusandolo di non vedere che attraverso gli
occhi di quella disgraziata di sua moglie. E per settimane, mesi, anni, l'uomo visse in un inferno.
Ma un giorno, la sposa lo prese in disparte e gli
disse: Marito mio, fintantoch tua m a d r e sar viva,
n o n avremo mai pace e n o n conosceremo la gioia.
D o b b i a m o d u n q u e ucciderla. D o m a n i , chiedile di
a c c o m p a g n a r t i nel bosco: raccoglierete della legna
secca. Quando la vedrai chinata, dalle un bel colpo
di scure sulla testa e non dimenticare, prima di seppellirla, di strapparle il fegato e di portarmelo come
prova della sua morte.
L'indomani, all'alba, il figlio disse alla madre: Ho
lasciato molta legna secca nella foresta e l'inverno si
416

avvicina. Prendi u n a corda e vieni con me; tra tutti e


due ne porteremo a casa un bel carico e domani toccher a mia moglie accompagnarmi.
La madre, senza sospettare nulla, prese u n a corda
e segu il figlio. La foresta era vicino al villaggio; vi
giunsero di b u o n mattino. Raccolsero legna e fecero
due fascine. Mentre la m a d r e si chinava per caricarsene u n a sulla schiena, il figlio la atterr con un colpo di scure. Trascin poi il cadavere verso un precipizio e qui gli apr l'addome per estrarne il fegato.
Quando lo ebbe avvolto con cura in un fazzoletto e
gettato, ancora caldo, in fondo al cappuccio del suo
burnus, n o n gli rest che seppellire la madre, cosa
che fece in tutta fretta.
Ma ecco che per strada due figli del male lo assalirono. Incuriositi dall'aspetto del cappuccio, avevano
scambiato il fegato della vecchia per u n a borsa piena d'oro. I d u e m a l f a t t o r i avevano gi sollevato il
randello q u a n d o il fegato balz fuori dal cappuccio,
si liber del fazzoletto e si mise a sussultare e a palpitare al suolo, a strisciare, a torcersi orrendamente,
a danzare fremente e impazzito, a saltare, a svolazzare da un assalitore all'altro implorando: Io l'ho
partorito, lui n o n mi ha partorito, o figli del male,
non uccidetelo!.
Per lo stupore, i m a l f a t t o r i lasciarono a n d a r e il
randello e si rivolsero all'uomo che tremava dal terrore. Allora, egli raccont loro la sua storia: O abitanti della terra, disse questo fegato che mi ha difeso, questo fegato che mi ha salvato, il fegato di
quella stessa m a d r e che ho appena ucciso e seppellito nella foresta. Lo avevo staccato ancora caldo per
portarlo a mia moglie che lo aveva preteso. Gi, perch per far piacere a mia moglie, ho assassinato mia
madre!.
E da allora, di villaggio in villaggio, per la Grande
417

e la Piccola Cabilia si racconta il miracolo del "fegato del cappuccio".

23. L ' U C C E L L O D E L L A T E M P E S T A

Che il m i o r a c c o n t o sia bello e si dipani come un


lungo filo!
In un villaggio remoto, molto, molto tempo fa, vivevano, in mezzo ai loro numerosi figlioli, un u o m o
e u n a donna. Dio aveva concesso pi figlie che figli,
ma i genitori, nella loro saggezza, n o n se n'erano lamentati. Il padre lavorava nei campi con solerzia. La
madre, per rivestire i suoi, trascorreva tutto il giorno, e anche u n a parte della notte, filando e tessendo.
Le figliolette si rendevano utili e trotterellavano per
casa: erano loro che andavano alla fontana a riempire b o r r a c c e e otri, che si r e c a v a n o nella f o r e s t a a
prendere piccoli carichi di legna secca, che lavavano
le stoviglie e preparavano di solito i pasti. I ragazzi
aiutavano nel lavoro dei campi e, d'estate, portavano
al pascolo le greggi in montagna. Agnelli e capretti
fornivano in parte n u t r i m e n t o per questa casa che
era invidiata nel circondario non solo per il suo buon u m o r e ma anche e soprattutto per il suo spirito di
carit.
Quando un mendicante chiedeva l'elemosina, nessuno faceva orecchie da mercante o rispondeva crudelmente: Dio provveder, giacch in questa famiglia il m e n d i c a n t e e r a c h i a m a t o "l'ospite di Dio".
Appena si udiva la sua voce, u n o dei fanciulli si alzava per andare da lui. Non appena si udiva salire, al
tramonto, il grande lamento: Il pane di Dio, uomini
di b u o n a volont, un fanciullo correva a p o r t a r e
all'ospite di Dio la sua parte di focaccia, di cuscus o
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di latte. per questo che regnava la letizia e ciascuno traeva proftto dal nutrimento.
Una sera d'inverno, u n a sera di tempesta, si ud la
voce potente di un mendicante, che sovrastava il frastuono della pioggia e del vento. Il pane di Dio, uomini di b u o n a volont! implorava questa voce.
La m a d r e guard i suoi figlioli e il marito, seduti
i n t o r n o al piatto da p o r t a t a di legno pieno fino al
bordo. Riemp quindi u n a scodella di cuscus, di verdure e di carne, e disse: Chi vuole andare a portare
questo allo sventurato che n o n ha p a u r a di uscire
con un tempo simile?. Vado io! disse Yamina, la
pi piccola delle ragazze. E, b u t t a t a s i sulle spalle
u n a vecchia coperta, a t t r a v e r s il cortile sotto lo
scroscio, apr la porta e disse all'ospite di Dio: Ecco
la tua porzione di cena!. Ma il mendicante prese la
scodella ancora calda, la pos sulla soglia, si caric
sulle spalle la fanciulla e s'invol con lei come un uccello sotto la tempesta.
Vol, vol a lungo, lontano da quel villaggio, lont a n o dal p a e s e di Yamina. Fu solo sul finire della
notte che sospese il volo e depose la bimba. La fece
sedere e mangiare al buio e le parl in questi termini: Dal m o m e n t o che sei caritatevole e buona, dal
m o m e n t o che non hai avuto p a u r a di venire da me
con q u e s t o t e m p o , ho voluto la tua felicit e ti ho
portata via con me. Vivrai al centro di un vero e prop r i o p a r a d i s o terrestre. Ti b a s t e r r i g i r a r e q u e s t o
anello che ti infilo alla m a n o sinistra perch ti sia accordato tutto quello che puoi desiderare. Abiterai in
un palazzo. Avrai vestiti di lusso e gioielli a profusione, e p e r a m i c i t u t t i i fiori che ti d i s p e n s e r a n n o ,
d'estate come d'inverno, i loro sorrisi e le loro grazie.
E i f r u t t i pi rari s a r a n n o in attesa di essere colti
dalla tua mano. Solo, quanto a me, che sono accanto
a te e ti parlo, non potrai mai vedermi, perch devo
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restare invisibile fino al giorno in cui sar liberato


da un sortilegio che mi stato gettato da u n o spirito
malvagio. Fino ad allora, piccola, n o n vedrai n il
mio viso n i miei occhi. Dormir s accanto a te, ma
senza che tu possa conoscere la m i a figura. Infatti
ogni giorno me ne andr prima dell'alba lasciandoti
addormentata, e non far ritorno che a notte inoltrata. Se accetti queste condizioni, se prometti di n o n
cercare di sorprendermi, non ti mancher nulla. La
m i a presenza ti sar p r e a n n u n c i a t a da u n a brezza
leggera. Veglier su di te e ti t e r r s e m p r e al m i o
fianco.
Yamina, che era a n c o r a u n a b i m b a , non poteva
capire. Io mi c h i a m o Yamina, ma te, c o m e devo
chiamarti?. Io sono l'Uccello della Tempesta. Allora accetto disse Yamina. E si a d d o r m e n t del sonno dell'infanzia.
L'indomani si svegli molto tardi e credette di sognare q u a n d o si vide sola, in un letto immenso, in
mezzo a seta, lana fine e piume. Yamina era in u n a
stanza meravigliosa. Distese mollemente il braccio e
scopr su un vassoio del caff, del latte, burro, miele,
ogni sorta di ghiottonerie e di dolci. Aveva fame: mai
nella sua bocca era entrato cibo pi delicato. Accanto al letto la attendevano dei vestiti, disposti in bella
vista, insieme a sciarpe preziose. Yamina, abbagliata, ci mise parecchio a fare la sua scelta. Indoss un
abito giallo come lo zafferano. Calz delle pantofoline che sembravano di corallo e usc per fare il giro
della sua d i m o r a . Attravers stanze e s t r e m a m e n t e
sontuose ma deserte; l'ultima si apriva sul pi indimenticabile dei giardini.
Yamina era v e r a m e n t e al c e n t r o di un p a r a d i s o
terrestre. Gli occhi n o n le bastavano per a m m i r a r e
tutto. Vi era ogni genere di frutta suscettibile di mat u r a r e sotto il sole di Dio, e c o n t e m p o r a n e a m e n t e
367

frutti autunnali, primaverili, invernali ed estivi. Si


facevano allegramente compagnia uva, fichi, arance,
prugne, pesche, albicocche, melagrane, nespole, fragole, mele e pere, per non parlare dei frutti venuti da
terre lontane e di cui n o n conosceva n e m m e n o il nome. Gli uccelli che volavano di r a m o in r a m o stordivano Yamina col loro canto.
Essa assaggi tutto, ozi lungo il ruscello, all'ombra delle palme. Prest ascolto al m o r m o r i o dei fiori
e si divert con i giochi dei pesciolini nell'acqua corrente. Colse gelsomini a manciate. Intrecci corone
e ghirlande e fin per addormentarsi sotto un alto albero nell'erba folta: sembrava un grande fiore giallo
disteso.
Quando si ridest, l'attendeva un pasto servito su
foglie di b a n a n o e di fico. Davanti al formaggio bianco, alle focacce, alle frittelle, al miele, alle mandorle,
ai datteri e alle noci, la fanciulla sospir: Che gioia
sarebbe la mia se fossero qui mio padre, mia madre,
i miei fratelli e le mie sorelle e potessero godere con
me di tutte queste delizie!.
Yamina fece ritorno al tramonto nel palazzo, lasciando il giardino con le braccia cariche di fiori. Cos passarono giorni, settimane e mesi. Quando la notte era pi fonda, u n a brezza leggera annunciava
l'Uccello della Tempesta. Era l, vicinissimo, e le chiedeva a bassa voce: Sei felice? Parla, c' qualcosa che
tu desideri nell'intimo del tuo cuore?. E la fanciulla,
semiaddormentata, rispondeva, girandosi verso la
parete: Non desidero nulla che gi n o n abbia.
Adesso Yamina era u n a fanciulla che conosceva la
noia nella sua splendida d i m o r a e p e r f i n o nel suo
giardino. Le g i o r n a t e le s e m b r a v a n o lunghe. N o n
aveva pi coscienza della sua fortuna. Vagava, bella
come la luna nel firmamento, attraverso tante meraviglie, senza pi stupirsi di nulla. E si sorprendeva a
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sospirare, a rimpiangere i giorni passati: la presenza


di suo padre e di sua madre, i giochi con i fratelli e le
sorelle sullo spiazzo del frantoio, la focaccia d'orzo,
il c u s c u s di f r u m e n t o , l'olio r o b u s t o e il s o n n o
profondo dell'infanzia. Era soprattutto quando rientrava nel suo palazzo solitario e si stendeva sul suo
letto t r o p p o vasto che sospiri grandi come o n d a t e
s c u o t e v a n o il suo petto, m e n t r e grosse lacrime le
scorrevano sulle guance. Per f o r t u n a il sonno n o n
t a r d a v a ad arrivare. Ma u n a sera, l'Uccello della
Tempesta sorprese questa mestizia che non avrebbe
mai sospettato. Si chin su di lei e le disse in un soffio: Perch piangi? Questo benessere non ti basta
pi?.... Vorrei rivedere la mia famiglia gemette
Yamina. Ero piccola quando ho lasciato i miei genitori e ora sono u n a donna! Partiremo questa notte
stessa disse l'Uccello della Tempesta. Ti do un mese per godere della compagnia di tuo padre, tua madre e dei tuoi fratelli e sorelle; per ritrovare il sapore
dell'acqua e del pane della tua infanzia. Tra un mese,
n un giorno pi n u n o meno, verr a cercarti. Ti riporter verso questa felicit che oggi sdegni ma che,
domani, sarai lieta di riscoprire.
Attese che la notte fosse completamente buia. Dopodich, si libr nel cielo, tenendo sul cuore Yamina
addormentata. Sembrava quasi che con le sue grandi ali fendesse delle coltri di seta nera. Vol, vol.
Poco prima dell'alba, depose dolcemente la fanciulla
sulla soglia della casa familiare.
Yamina sapeva che suo padre e sua madre non si
perdevano mai la preghiera dell'alba. Perci attese
pazientemente il loro risveglio per entrare in cortile
e presentarsi a loro. Figlia nostra! esclamarono.
Sei proprio tu, che o r m a i credevamo perduta per
sempre?... E da dove torni cos g r a n d e e bella, da
quale regno? E com' che ti trovi qui, ritta e bianca
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cos di primo mattino? Chi ti ha condotta qui, rivestita di questi abiti da principessa, tu che sei scomparsa tanto t e m p o fa, sotto u n a terribile tempesta,
lasciandoci per tutto ricordo u n a ciotola ancora calda e u n a brutta coperta bucata? stato il mendicante che mi ha portata via con s spieg Yamina
dopo avere abbracciato i genitori. Il mendicante se
involato con me nel firmamento e mi ha deposta in
un p a r a d i s o in cui n o n mi m a n c a v a che la vostra
presenza. Questo bisogno di tornare a vedervi e sentirvi si fatto cos aspro che ho finito per ottenere di
ritornare tra voi, ma solo per trenta giorni. Perch
esattamente fra trenta giorni mio m a r i t o torner a
cercarmi.
I suoi fratelli e le sue sorelle accorsero dai villaggi
vicini per festeggiare il suo ritorno. E la casa fu di
nuovo piena, come ai tempi felici dell'infanzia.
Per trenta giorni, Yamina conobbe la felicit di un
tempo, senza rimpiangere per un solo istante le delizie che aveva lasciato. Partecip ai lavori nei campi.
Si rec alla fontana, con la brocca sulla spalla. Mangi il cibo frugale ma g u s t o s o della m a d r e , bevve
l'acqua attinta all'otre di pelle di capra e d o r m su
u n a stuoia, per ritrovare il sonno innocente dei suoi
primi anni.
Ma ecco che, p o c h i giorni p r i m a del r i t o r n o
dell'Uccello della Tempesta, le sue sorelle le chiesero: Yamina, perch non fai che parlarci dello splendore di ci che ti circonda e non ci parli mai, invece,
di tuo marito? Vuoi partire senza dirci com'? Forse
tu non lo ami? Perch fuggito via senza farsi vedere dai nostri genitori? grande, b i a n c o come la
neve o nero come un corvo? Parla. giovane, vecchio e usa il tuo braccio come guanciale? bello come il chiarore della luna o tanto b r u t t o da doversi
velare la faccia?.
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Yamina fin per ammettere: Non so come sia perch non l'ho mai visto!. Sulle prime le sorelle non le
credettero. Yamina prosegu: Non l'ho m a i visto
perch un sortilegio gli proibisce di mostrarsi a me.
E non conoscer il suo volto fintantoch questo sortilegio peser su di lui, perch mi sono impegnata,
sposandomi con lui, a non cercare mai di sorprenderlo.
E tu, povera ingenua, esclamarono le sue sorelle
indignate hai vissuto tutto questo tempo senza mai
ardire di alzare lo sguardo su di lui! Chi se non tu,
sventurata, accetterebbe per marito un essere di cui
non potesse conoscere che la voce?
Yamina abbass il capo. Allora, la maggiore parl
a n o m e di tutte. Disse: Ascolta, se lo volessi, n o n
dovresti far altro che nascondere u n a candela accesa
nel fondo di un vasetto, e cos scopriresti il volto del
tuo sposo. Tutti gli animali della stalla - le mucche,
le pecore, gli agnelli e perfino l'asino - si misero allora a s u s s u r r a r e in m o d o che solo Yamina potesse
udirli: I tuoi parenti faranno la tua infelicit. I tuoi
parenti faranno la tua infelicit!.
Era arrivato l'ultimo giorno. All'ora di cena scoppi la tempesta attesa, simile a quella che un tempo
aveva portato via Yamina. Al culmine della tormenta
si ud u n a forte voce gridare: Il pane di Dio, uomini
di buona volont!.
Yamina era pronta: le sorelle le avevano consegnato u n a piccola candela che lei aveva fatto scivolare
nel corsetto. L'Uccello della Tempesta si lev in volo
con la sposa, avanz attraverso flutti d'inchiostro e
giunse al suo regno poco prima dell'alba.
La fanciulla si ridest nello splendore della sua
stanza tutta tappezzata di seta. Ma dov'era la meraviglia dei primi giorni? Non le restava pi nulla da
scoprire. Prese un abito a caso e sorrise tristemente
424

a tanta bellezza che n o n la accontentava pi. Pens:


"Forse sar pi felice nel mio giardino...". Ma anche
qui essa non si sent meglio, p e r c h n i fiori n i
frutti che pendevano in abbondanza dai rami, n gli
uccelli, i pesci e gli insetti dorati avevano pi il potere di sollevarla: Yamina non era felice e adesso sapeva il motivo della sua infelicit. Era turbata da quanto le avevano detto le sorelle. Invano gli animali le
avevano sussurrato: "I tuoi parenti f a r a n n o la tua infelicit. I tuoi parenti f a r a n n o la tua infelicit!". Nulla poteva lottare contro questa piccola candela nel
suo corsetto, che teneva desto in lei il fuoco di u n a
curiosit divorante. La sua vita di sogno non le bastava pi, ma si ricordava della sua promessa. per
questo che si sentiva dilaniata fin nell'intimo. Chi
poteva aiutarla a respingere la tentazione di conoscere u n a b u o n a volta il viso dello sposo, a mantenersi fedele alla parola data? Ahim, essa era sola,
sempre sola.
Venne il giorno in cui non riusc pi a trattenersi:
q u a l u n q u e cosa le parve preferibile alla sua sorte.
Fece r i t o r n o in c a m e r a al t r a m o n t o . E s t r a s s e dal
corsetto la preziosa candela, la accese e la colloc in
fondo a un vaso di inestimabile valore. Ricopr questo vaso con un piatto e lo colloc vicino al letto, a
portata di mano. Quella sera il sonno n o n voleva sap e r n e di venire da lei. Yamina a t t e n d e v a ansiosamente la brezza leggera che ogni notte le annunciava il ritorno del marito.
Appena percep che l'Uccello della Tempesta era
sulla soglia, volle scoprire la luce. Ma fece appena in
tempo a toccare il piatto che un vento furioso rovesci il vaso, spegnendo la candela. Yamina ud u n a
specie di ruggito. Attorno a lei faceva molto freddo.
Non era pi la seta che l'avvolgeva, bens un vento
malvagio che la ghiacciava fin nel suo cuore. Yamina
425

era in u n a foresta, alla merc della t e m p e s t a e del


freddo. Ud allora u n a voce ben nota, u n a voce cupa
come la morte, che le diceva: Hai m a n c a t o al tuo
giuramento. Hai interrotto la tua gioia. Non mi rivedrai mai pi. Anche tu, come me, hai udito gli animali che ti dicevano: "I tuoi parenti f a r a n n o la tua
infelicit. I tuoi p a r e n t i f a r a n n o la t u a infelicit!".
Ah! perch non hai prestato ascolto alla mucca, alla
capra, alla pecora, all'agnello e all'asino! Adesso, torna alla tua vita di un tempo: per aver voluto conoscere il mio volto, mi perdi tutto intero, tu che possedevi la mia voce e la mia presenza accanto a te.
Yamina pianse, supplic, ma invano. Per l'ultima
volta egli la prese tra le braccia. Se la caric in spalla
e la port con s attraverso la pioggia e i fulmini. Yamina parl, ma il vento copr la sua voce. L'Uccello
della Tempesta squarciava la notte con le sue grandi
ali. Lasci Yamina come un cencio sulla soglia della
casa di suo padre e si allontan.
Yamina vide morire il padre e la madre. Yamina si
separ dai fratelli e dalle sorelle ma non lasci mai
la casa. Attese giorni, settimane, mesi, stagioni intere; p e r a n n i attese il r i t o r n o dello sposo. Ma p e r
quanti temporali scoppiassero, essa n o n ud mai la
forte voce che, sovrastando la tempesta, dicesse: Il
pane di Dio, uomini di b u o n a volont!.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!

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Parte III

Fiabe dei Tuareg

Fiabe di incantesimo

1. T E S S H E W A , LA FANCIULLA
SPOSATA DAL F R A T E L L O

C'era u n a volta u n a ragazza che aveva madre, padre,


un fratello minore e un fratello maggiore gi ammogliato. Essa era solita lavarsi i capelli nella bacinella
del fratello maggiore. Continu cos finch un giorno egli, dovendo partire, prese la sua bacinella di rame, la lav per bene, e disse: A partire da questo
momento, se qualcuna, foss'anche mia madre, si laver la testa in questa bacinella, la sposer.
Quindi part e and lontano. Durante la sua assenza ci fu u n a persona che os lavarsi nella sua bacinella: la sorella minore. Sta' attenta, le ripeteva la
m a d r e capace di fare quello che ha detto!... Ma
ogni volta lei rispondeva: Suvvia, si mai visto un
fratello che sposa la sorella? e andava avanti a lavarsi.
Quando si dice, per, il caso: quella bacinella aveva un manico, e un capello della ragazza vi rimase
impigliato. Al ritorno il fratello ispezion la bacinella e lo scopr: Chi si lavato nella mia bacinella?.
Tesshewa fu la risposta. La notte stessa stesero il
contratto nuziale e il matrimonio venne celebrato.
All'alba, q u a n d o la tenda nuziale era ancora immersa nell'oscurit, Tesshewa usc e prese ad allontanarsi. Vai e vai, vai e vai, alla fine trov un albero
di tuwila e vi sal sopra. E da l non si mosse, n o n si
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mosse, non si mosse, finch si trasform in uccello.


E rimase sempre su quell'albero.
Finch un giorno (dopo la sua s c o m p a r s a i suoi
avevano perso la s p e r a n z a di rivederla), finch un
giorno, dicevamo, essa scorse il fratello minore che
pascolava il bestiame nella pianura. Scese dall'albero e lo c h i a m . Cominci a spulciarlo a f f e t t u o s a mente come sogliono fare tra loro i cognati. Lui aveva con s della m i n e s t r a di miglio f r e d d a e gliene
diede un po'. Essa mangi e poi riprese a spulciarlo,
e continu per tutto il pomeriggio.
Sul far della sera egli le disse: Adesso devo ritornare. E lei rispose: Domani porta qui di nascosto
delle forbici e un pettine: ti taglier i capelli e ti far
la treccia. Ma per evitare che q u a l c u n o si accorga
del taglio, tienti sempre riportato sul capo un lembo
della tunica. L'indomani essa gli tagli i capelli e
glieli acconci. Poi si dissetarono e rimasero accanto all'albero per tutta la giornata. Sul far della sera
egli torn all'accampamento tenendosi coperto il capo con un lembo della tunica. Qui giunto, tutti si dom a n d a r o n o : Ohib, e adesso che cos' successo a
questo giovanotto, che si copre cos il capo con un
lembo della tunica?. La cosa suscit u n a tale curiosit che finirono per afferrarlo e scoprirgli il capo
con la forza.
Gli dissero: Questa un'acconciatura come quelle che suole fare Tesshewa!. E lui: Ma no!. Allora
presero a percuoterlo, a percuoterlo per farlo confessare. Egli non confess. Tuttavia, seguendo pazientem e n t e le sue o r m e a r r i v a r o n o all'albero di tuwila.
Guardarono in su, tra i suoi rami, e lass se ne stava
appollaiata Tesshewa. I familiari avevano p o r t a t o
con loro u n a bacinella di r a m e piena d'acqua.
Suo p a d r e le disse: Tesshewa, Tesshewa, eccoti
dell'acqua: bevi!.
378

Ma lei gli rispose: Padre mio, mio suocero, n o n


la voglio. Bevila tu!.
Allora egli diede la bacinella alla madre.
Tesshewa, Tesshewa, eccoti dell'acqua: bevi!
Mamma mia, mia suocera, n o n la voglio. Bevila
tu!
Allora diedero la bacinella al fratello maggiore,
colui che l'aveva sposata.
Tesshewa, Tesshewa, eccoti dell'acqua: bevi!
Marito mio, mio fratello, non la voglio. Bevila tu!
La diedero allora al fratello minore, quello che lei
aveva rasato.
Tesshewa, Tesshewa, eccoti dell'acqua: bevi!
Fratello mio, mio cognato, non la voglio. Bevila tu!
La diedero infine alla c o g n a t a (la p r i m a moglie
del fratello maggiore).
Tesshewa, Tesshewa, eccoti dell'acqua: bevi!
Co-sposa mia, mia cognata, non la voglio. Bevila
tu!
In poche parole, si rifiut di scendere. Allora abbatterono l'albero, nella caduta essa rimase stordita
e poterono prenderla.
Non dobbiamo dimenticare che essa era diventata
un uccello. Cos la p r e s e r o e suo p a d r e la mise in
u n a tasca. Pass del tempo e lei crebbe al p u n t o di
non star pi nella tasca. La misero allora in un sacchetto. Dopo un po' non stava pi n e m m e n o nel sacchetto. La misero in un sacco. Anche nel sacco dopo
un po' non ci stava pi. La misero in u n a federa. Dopo un po' fu troppo grande anche per la federa. Allora la misero... in un asino. S, proprio dentro a un
asino.
All'alba ponevano un otre in groppa all'asino. Intanto le capre lo precedevano al pozzo. Quando Tesshewa e l'asino arrivavano a loro volta, se al pozzo
c'era qualcuno, se ne andavano sotto gli alberi e l ri379

manevano finch non se ne fosse andato. Andati via


tutti, l'asino raggiungeva il pozzo e lei ne fuoriusciva, dopodich riempiva l'otre, abbeverava le capre e
se ne andava. Tornati all'accampamento, l'otre veniva scaricato e l'asino restava libero.
Un bel giorno, per, il figlio del re si disse: "Adesso voglio proprio scoprire chi riempie l'otre posto su
questo asino e d da bere alle sue capre". Decise cos
di arrampicarsi su un albero per vedere bene dall'alto. Mentre sopraggiungeva l'asino, sal sull'albero.
Arrivato l'asino al pozzo, Tesshewa riemp l'otre e
prese dell'acqua per lavarsi.
Per fare ci si era tolta i vestiti, e il principe scese
e glieli prese, cos, quand'essa ritorn per rimetterseli, non li trov pi.
Allora disse: Tu che mi hai preso la gonna, rendimela e vedrai un m o d o di fissarla in vita migliore
di quello della madre di tua madre!. Ed egli gliela
lanci.
Tu che mi hai preso la sopravveste, rendimela e
vedrai un m o d o di fissarla in vita diverso da quello
della m a d r e di tua madre! Ed egli gliela lanci.
Tu che mi hai preso la camicia, rendimela e vedrai un m o d o di indossarla diverso da quello di tua
madre! Ed egli gliela lanci.
Tu che mi hai preso il velo, rendimelo e vedrai un
m o d o di coprirsi il capo diverso da quello di u n a sorella maggiore! Ed egli glielo lanci.
Tu che mi hai preso i sandali, rendimeli e vedrai
un m o d o di infilarli diverso da quello di u n a cugina! Ed egli glieli lanci.
Chi mi ha preso la tracolla, me la renda e vedr
un petto degno di indossarla e diverso da quello della m a d r e di sua madre! Ed egli gliela lanci.
Chi mi ha preso l'amuleto d'argento, me lo renda
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e vedr un m o d o di a n n o d a r l o al collo diverso da


quello di sua madre! Ed egli glielo lanci.
A q u e s t o p u n t o , il p r i n c i p e scese dall'albero,
m o n t in sella, fece salire in groppa Tesshewa, e ripartirono insieme. Giunti in vista dell'accampamento, essa si sfil il bracciale e lo lasci cadere, dicendo: Ahim, mi caduto il bracciale.
Aspetta, che vado a prendertelo.
No, lascia, nessuno pu toccarlo all'infuori di me!
E scese lei di sella, raccolse il bracciale, ma ne approfitt per rientrare nell'asino. Quando il principe
si volt non la trov pi. Scese di sella e prosegu a
piedi. Arrivato a casa, disse a suo padre: Ho deciso
di sposare questo somaro.
Ma, figliolo, cosa vuoi combinare con un somaro?
Ho deciso di sposare questo s o m a r o , l'asina di
Tal dei Tali.
A n d a r o n o a p r e n d e r e l'asina, la legarono e celebrarono le nozze, tenendo sempre l'asina l attaccata
per tutta la cerimonia. Quando, alla fine, il neo-sposo e n t r nella t e n d a nuziale, fecero e n t r a r e a n c h e
l'asina e la legarono a un sostegno della tenda, tutta
vestita e a g g h i n d a t a c o m e u n a sposa. Poco d o p o ,
Tesshewa usc dall'asina, indoss gli abiti nuziali,
sleg l'asina e la condusse fuori della tenda.
La mattina seguente avreste dovuto vedere come
si era trasformata l'asina: tutti quelli che entravano
nella tenda svenivano dalla meraviglia!
Proprio cos: chiunque arrivasse, sveniva, ed essa
lo r i a n i m a v a versandogli in viso qualche stilla del
sudore della sua fronte. Venne perfino il re, gli bast
un'occhiata e cadde svenuto. E anche a lui Tesshewa
dovette versare in viso qualche stilla del proprio sudore. Dopodich egli se ne and, e anche gli altri se
ne t o r n a r o n o a casa. Pass del tempo, e la luna di
381

miele ebbe termine. Il re d o m a n d al figlio: Hai finito la luna di miele?.


S.
Bene, allora possiamo metterci in viaggio. Preparati e va' a prendere il tuo cavallo.
Il principe and a prendere il cavallo, e partirono
a c c o m p a g n a t i da d u e dei loro schiavi. A un certo
punto, arrivarono a un pozzo assai profondo. (Bisogna sapere che il giorno in cui gli aveva fatto la treccia, la moglie gli aveva nascosto dei datteri tra i capelli.) Il padre gli disse: Calati nel pozzo!.
Ma, padre, ci sono gli schiavi per questo.
Non voglio bere acqua attinta da u n o schiavo.
E cos il principe si cal nel pozzo e p r o c u r lui
l'acqua da bere.
Adesso fatemi uscire!
Nemmeno per sogno!
E, cos dicendo, il re lo a b b a n d o n in f o n d o al
pozzo e se ne and. Il fatto che si era innamorato
di s u a n u o r a , della moglie del figlio. L a s c i a r o n o
quindi il cavallo attaccato vicino al pozzo, mentre il
re faceva ritorno. Q u a n d o li vide t o r n a r e senza il
marito, Tesshewa non rise pi.
In fondo al pozzo, il principe, a un certo punto, si
gratt la testa, e nel far ci trov i datteri nei capelli.
Ne mangi uno e lasci cadere il seme. Da questo seme spunt u n a palma, che prese a crescere in fretta
e senza interruzione. Egli vi si arrampic fino a raggiungere il b o r d o del pozzo. Anzi, no, dovette ridiscendere perch n o n ci arrivava. Dovette r i m a n e r e
in attesa ancora per un mese: solo allora pot risalire. Arrivato al b o r d o del pozzo, vide il suo cavallo
che lo stava osservando, e cos egli pot afferrare le
briglie e farsi sollevare e p o r t a r f u o r i di slancio
dall'animale. M o n t q u i n d i in sella e se ne a n d .
Quando f u r o n o a poca distanza dall'accampamento,
382

il cavallo si mise a nitrire. Al sentire questo suono,


Tesshewa si mise a ridere: Ah, ah, ah, ah, ah!.
Tutti accorsero chiedendosi: Che cosa ha fatto ridere costei? Che cosa l'ha fatta ridere?.
Essa per rispose: Ma io non ridevo affatto. Stavo solo c h i a m a n d o la mia schiava. E cos, dopo poco, tutti tornarono a casa. E a questo punto, q u a n d o
tutti se ne f u r o n o andati, ecco farsi avanti il figlio del
re. Arrivato, scese di cavallo, se ne stette fermo due
giorni per riprendere le forze, dopodich fece visita
a diverse persone, dicendo a ognuno: Intervenite
tutti alla festa che sto per dare.
Scav un pozzo p r o f o n d o chiss q u a n t e braccia;
sul fondo accese un fuoco, ricopr il tutto con u n a
coperta e vi colloc sopra u n a poltrona. A chi cercava di sedervisi diceva: No, no, no, no. Questo posto
riservato a mio padre.
Quando alla fine il padre arriv, lui and a mettersi su un angolo della coperta, senza sedersi. E quando il re stava per sedersi, afferr per un angolo la cop e r t a tirandogliela via di sotto, cos che c a d d e in
fondo al pozzo, in fondo in fondo.
Il racconto se n' andato, lo ha scacciato Kashe.

2. IL R A P I M E N T O DI KHAWATAN

C'era u n a volta u n a vecchia che aveva u n a figlia di


n o m e Khawatan. Costei aveva delle amiche, che un
giorno vennero da lei e le dissero: Vieni con noi a
raccogliere della taghoda. D'accordo disse, e partirono.
Mentre le altre raccoglievano la taghoda, lei se la
mangiava, e al suo posto metteva nel sacco dei pezzi
di carbonella. Quando i sacchi f u r o n o pieni, le ami383

che dissero: Chi non porta taghoda alla sua m a m m a


non vale niente!.
Accidenti a voi! Aspettatemi, che ne raccolgo un
po' per mia mamma!
Facciamo cos: f i n t a n t o c h sentirai il tintinnio
dei n o s t r i orecchini s a p r a i che noi s i a m o qui nei
pressi.
Ma esse a p p e s e r o ai r a m i le loro scodelle, e lei,
continuando a sentire il tintinnio prodotto dalle scodelle, credeva che le amiche fossero sempre l. Invece esse se n'erano andate, lasciandola sola.
Orbene, dopo che esse se ne f u r o n o a n d a t e lasciandola sola, arriv un jinn. Teneva la testa al livello del suolo e i suoi piedi arrivavano al cielo. Una
sua dormita durava la bellezza di sette anni. Costui
le disse: Spidocchiami, e al mio risveglio ti riempir il sacco. Suvvia, spidocchiami!. Va ricordato
che il suo sonno durava sette anni. Comunque sia,
essa lo spidocchi. In quella le si present u n a lucertola che le disse: Figliola, c o s a stai f a c e n d o
qui?.
Le mie amiche se ne sono andate via e io ho paura che questo J a b b a r mi divori! Il jinn si chiamava,
in effetti, Jabbar.
Allora la lucertola le disse: Bene, allora riempi il
mio sacco di taghoda e io ti riporter a casa. Cos
Khawatan si mise al lavoro per riempirle il sacco, e
q u a n d o questo fu pieno, la lucertola le disse: Bene,
vieni che ce ne andiamo!. La ragazza le sal in groppa, e via che se ne andarono.
Ma m e n t r e essa arrivava all'accampamento, Jabb a r si ridestava. Le cerc con lo s g u a r d o e le vide
laggi, lontane, ormai dentro all'accampamento. Un
passo, un altro, e gi le aveva raggiunte.
La madre disse a Khawatan: Chi sta agitando la
tenda da fuori?. Sar u n a lepre o u n a capra. Va'
384

fuori e dagliele! Mentre si alzava per uscire, la ragazza replic: Mamma, non vorrei che la lepre fosse inseguita da u n a iena, che potrebbe mangiarmi!.
Non fare storie! replic la madre, spingendola fuori. E quando fu fuori, J a b b a r le balz addosso.
E cos essa fu portata via di nuovo. Quando arriv
il fratello, D e r i m a n , chiese alle a m i c h e : Dov'
K h a w a t a n ? . stata r a p i t a da Jabbar! Allora il
fratello le preg: Ors, c a n t a t e m i u n a strofa che
evochi Khawatan. Ed esse cantarono:
Deriman, Deriman, abbi fede in Dio
Khawatan, Khawatan, non pi qui
Jabbar se l' presa, ora in altri paesi
Perch non pascolare il cammello grigio,
fargli ingrossare la gobba?
Riporter Khawatan, che ora in altri paesi...
Udendo ci, egli si mise a piangere, a piangere a
dirotto, e pianse fino a riempire di lacrime l'abbeveratoio di suo p a d r e . Poi c h i a m u n o schiavo e gli
disse: Ors, prepara per un viaggio il mio cavallo,
uno schiavo e me stesso!, poi, rivolto alle ragazze,
le esort: Fatemi gustare ancora un po' di quel canto!. Ed esse cantarono:
Deriman, Deriman, abbi fede in Dio
Khawatan, Khawatan, non pi qui
Jabbar se l' presa, ora in altri paesi
Perch non pascolare il cammello grigio
fargli ingrossare la gobba?...
Udendo ci, egli si mise a piangere, a piangere a
dirotto, fino a riempire nuovamente di lacrime l'abbeveratoio di suo p a d r e . A questo p u n t o t u t t o era
pronto, ed essi partirono.
385

Q u a n d o J a b b a r aveva r a p i t o K h a w a t a n , l'aveva
portata nella sua tenda. Deriman e il suo schiavo, in
sella a un cavallo e a un c a m m e l l o , p a r t i r o n o in
quella direzione.
Giunsero davanti a un albero vecchissimo, decrepito, da cui si levava un bellissimo rametto nuovo.
Deriman lo apostrof: 0 albero, possa colpirti la
maledizione di Dio riservata agli spergiuri se mentirai a questa domanda: chi pi bello tra me, il mio
schiavo, il mio cammello e il mio cavallo?.
Possa colpirmi la maledizione di Dio riservata
agli spergiuri se non dico il vero: tu, il tuo schiavo, il
tuo cavallo e il tuo cammello siete di pari bellezza,
ma vi supera tutti u n a fanciulla che passata di qui.
E stato sufficiente il tocco delle sue dita per farmi
spuntare questo nuovo ramo.
Proseguirono quindi il cammino. Giunsero davanti a un vecchissimo albero della gomma, o r m a i decrepito. Deriman lo apostrof: O albero, possa colpirti la maledizione di Dio riservata agli spergiuri se
mentirai a questa domanda: chi pi bello tra me, il
mio schiavo, il mio cammello e il mio cavallo?.
Tu, il tuo schiavo, il tuo cavallo e il tuo cammello
siete di pari bellezza, ma vi supera tutti u n a fanciulla che passata di qui proprio poco tempo fa. stato sufficiente che passasse di qui e mi toccasse con le
sue dita per farmi spuntare questo bellissimo ramo.
Ripresero quindi il cammino. Giunsero davanti a
u n a vecchia tenda, abitata da u n a donna molto anziana. La tenda era decrepita, malmessa e polverosa.
Quando fu al cospetto della vecchia, Deriman la salut: Che la pace sia su di voi! ripet tre volte. E la
vecchia rispose: Che la pace sia su di voi! Chi che
mi saluta cos?.
Desidero porti u n a d o m a n d a , vecchia: chi pi
386

bello tra me, il mio schiavo, il mio cammello e il mio


cavallo?
Tu, il tuo schiavo, il t u o cavallo e il tuo cammello
siete di pari bellezza, ma c' u n a fanciulla che vi supera tutti. stato sufficiente che toccasse con le sue
dita la t e n d a p e r f a r e a p p a r i r e q u e s t a bellissima
stuoia.
Riprese allora il cammino, mentre la vecchia, alle
sue spalle, m o r m o r a v a : Puoi r i n g r a z i a r e Dio di
avermi salutato correttamente, poco fa, se no avrei
divorato te, il tuo schiavo, il tuo cammello e il tuo
cavallo!.
Prosegu d u n q u e il c a m m i n o , e d o p o un po' abb a n d o n il c a m m e l l o e il cavallo, e si inoltr solo
con il suo schiavo nella zona vicina alla tenda di Jabbar.
Arrivarono cos da Khawatan, che li nascose sotto
il suo letto. Proprio in quel m o m e n t o sopraggiunse
Jabbar, lo sposo di Khawatan, il quale, appena arrivato, si stese sul letto, dopo aver messo due pentole
sul fuoco.
La pentola pi grossa cominci a dire: Kedel kedel. E l'altra: Kedel kedel. Ma la p r i m a continu:
C' gente sotto il letto!. Al che l'altra le disse: Kedel
kedel, ti venga un accidente! Cosa ti ha fatto Khawatan? Perch ce l'hai con lei?. Ma di nuovo la p r i m a
ricominci: Kedel kedel, c' gente sotto il letto!.
A questo punto J a b b a r chiese: Che cosa vogliono
queste pentole?. Vogliono pi fuoco. Alzati e va' a
mettere altra legna.
E intanto la pentola: Kedel kedel kedel, c' gente
sotto il letto!.
Che cosa vogliono queste pentole?
Kedel kedel, ti venga un accidente! Cosa ti ha fatto? Perch ce l'hai con lei?
Ma insomma, che cosa vogliono queste pentole?
387

Vogliono che le ritiri dal fuoco. Ci che J a b b a r


si affrett a fare.
Ma la p r i m a pentola riprese: Kedel kedel, c' gente sotto il letto!.
E l'altra: Kedel kedel, ti venga un accidente! Cosa
ti ha fatto? Perch ce l'hai con lei?.
E Jabbar: Cosa vogliono?.
Che prendiamo ci che contengono.
Ma la pentola grossa, quella della polenta di miglio, ricominci: Kedel kedel kedel, c' gente sotto il
letto!.
E l'altra, quella del sugo: Kedel kedel, ti venga un
accidente! Cosa ti ha fatto? Perch ce l'hai con lei?.
Cosa vogliono?
Che mangiamo.
E cos si misero a mangiare, e Khawatan diede del
cibo anche agli ospiti sotto il letto, i quali mangiarono a saziet ci che essa diede loro, restituendole poi
le ciotole. Quando f u r o n o andati a dormire, Khawatan chiese a Jabbar: Dimmi, Jabbar, dove si trova la
t u a anima?.
Se vuoi trovare la mia anima, devi aspettare che
venga ad abbeverarsi un'antilope femmina, poi che
ne arrivi un'altra, e dopo questa un'altra ancora. Finite le femmine, dovr arrivare un maschio, poi un
altro e un altro ancora. Finiti questi, dovr arrivare
u n a gazzella maschio poi un'altra e un'altra ancora,
dopodich arriver u n a femmina, poi un'altra, e infine l'ultima, zoppa, con un occhio solo, e anche con
un solo corno. Se colpirai il corno, esso cadr e si
romper. All'interno troverai un sacchetto. Dentro a
questo ce n' un altro, dentro a questo ce n' un terzo e in questo ce n' un quarto. Finiti i sacchetti, troverai dentro u n a scatola. Nella p r i m a ce n' u n a seconda, e poi u n a terza e u n a quarta. Finite le scatole,
388

nell'ultima troverai due capelli. Se spezzerai quello


nero, morir. Se spezzerai quello bianco, vivr.
Khawatan segu queste istruzioni, spezz il capello nero e Jabbar mor. Deriman e lo schiavo la presero e fecero ritorno con lei. Poco prima di arrivare la
nascosero in un sacco. Al loro arrivo si presentarono
le a m i c h e di K h a w a t a n p e r chiedere: Deriman,
dov' Khawatan?.
Khawatan non c'. Ors, ripetetemi quel canto.
Ed esse cantarono:
Deriman, Deriman, abbi fede in Dio
Khawatan, Khawatan, non pi qui
Jabbar se l' presa, ora in altri paesi.
Ed egli rispose:
Perch non pascolare il cammello grigio,
che ingrossi la sua gobba?
Riporter Khawatan, che ora in altri paesi...
Lo schiavo gli disse: Questo canto non mi basta.
C a n t a t e l o a n c o r a u n a volta. K h a w a t a n n o n qui
quest'anno. Infatti essa era nascosta nel sacco. Allora esse cantarono:
Deriman, Deriman, abbi fede in Dio
Khawatan, Khawatan, non pi qui
Jabbar se l' presa, ora in altri paesi.
Ed egli rispose:
Perch non pascolare il cammello grigio,
che ingrossi la sua gobba?
Riporter Khawatan, che ora in altri paesi...
389

E concluse: Tutto s o m m a t o il vostro canto proprio azzeccato. E fece uscire Khawatan dal sacco.
Ecco, il racconto se n' a n d a t o per di l, stato
Kashe che lo ha fatto scappare.
3. LA B E L L I S S I M A T E Y L A L E N E IL JINN

C'erano due fratelli che avevano u n a sorella minore


di nome Teylalen, mentre il padre e la madre erano
morti. Un giorno decisero di fare un viaggio verso il
sud. P o r t a r o n o quindi la sorella dalle altre d o n n e
della trib e chiesero loro: Siamo in partenza per
un lungo viaggio. Potete prendervi cura voi di nostra
sorella?. D'accordo fu la risposta.
Cos p a r t i r o n o , diretti verso il sud. Le d o n n e li
avevano rassicurati: Dal m o m e n t o che ce l'affidate,
state tranquilli che nessuno le torcer un capello, se
Dio vuole. Ora, mentre loro compivano questo lungo viaggio al sud, la sorella, crescendo, divenne pi
bella di tutte le altre donne. Cos, queste si dissero:
Guardate questa ragazza: q u a n d o arriveranno i nostri mariti e la vedranno, si i n n a m o r e r a n n o di lei e
non ne vorranno pi sapere di noi. Orbene, che cosa
si pu fare?.
Una disse: Impicchiamola!.
Ma le risposero: No, no, la si vedrebbe e ci prenderebbero.
Un'altra propose: Gettiamola in fondo a un pozzo!.
No, imputridirebbe e la scoprirebbero.
Una terza sugger: So io che cosa si deve fare. Bisogna prenderla, sigillarle la bocca con dei rovi e fare altrettanto con le sue orecchie, e infine portarla in
cima a quella montagna. L ci sono dei nidi di avvoltoi, e noi la getteremo in u n o di essi.
390

Fu cos che la presero, le tapparono bocca e orecchie, la portarono fino a un nido di avvoltoi, e ve la
gettarono dentro. Fatto ci, t o r n a r o n o al villaggio,
sacrificarono u n a c a p r a dalla cui pelle ricavarono
un otre, come p r e v e d o n o i riti f u n e b r i , dopodich
sotterrarono un mortaio per simulare u n a tomba.
Quando f u r o n o di ritorno i fratelli della ragazza,
chiesero alle donne: Dov' Teylalen?. Ed esse risposero: Fatevi forza: m e n t r e voi facevate questo
viaggio Teylalen mancata. Alla notizia essi si misero a piangere, si misero in lutto e non si mossero
pi dalla regione. Un giorno, uno di loro and a cogliere del foraggio p e r il cammello e q u a n d o fu ai
piedi del monte su cui si trovava Teylalen, gli si par
dinanzi un avvoltoio che gli cant: Teylalen, Teylalen se ne sta in un nido di avvoltoi, tra sputi e deiezioni di ogni genere!. Tese l'orecchio e l'avvoltoio
gli ricomparve dinanzi dicendo: Teylalen, Teylalen
se ne sta in un nido di avvoltoi, tra sputi e deiezioni
di ogni genere!.
Correndo e piangendo, egli si affrett allora a raggiungere i suoi compagni (i due fratelli si chiamavano u n o Khaydara e l'altro Minjolo), ai quali annunci: Mi a p p a r s o un avvoltoio che mi ha detto:
"Teylalen, Teylalen se ne sta in un nido di avvoltoi,
tra sputi e deiezioni di ogni genere!". Mentre era
ancora trafelato per la corsa, gli chiesero: E d o v e
che si trova?. Su quel monte laggi. Allora si misero in viaggio, e mentre andavano, si present loro
un avvoltoio che ripet: Teylalen, Teylalen se ne sta
in un nido di avvoltoi, tra sputi e deiezioni di ogni
genere!.
Si inerpicarono cos sulla montagna, fino ad arrivare in cima. Arrivarono dove si trovava la sorella, tra
sputi e deiezioni di ogni genere. La raccolsero, la riportarono all'accampamento, la lavarono e le tolsero
391

le spine. Poi presero il suo cammello, vi caricarono il


suo palanchino delle grandi occasioni, vi collocarono
delle coperte e uno splendido cuscino, dopodich se
ne andarono. Abbandonarono cos queste donne che
avevano gettato la loro sorella in un nido di avvoltoi.
Cammina, cammina, giunsero a un pozzo profondo. Fecero arrestare il cammello della sorella col suo
bel palanchino e si apprestarono a dar da bere alle
cavalcature. Ma, appena calato il recipiente per attingere l'acqua dal pozzo, qualche cosa lo afferr e lo
trattenne sul fondo. Essi gridarono: Qualunque cosa tu sia, lascia andare il secchiello e ti d a r e m o cento
cammelle.
Io ne ho ben pi di voi, e Dio ne ha pi ancora!
Q u a l u n q u e cosa tu sia, lascia a n d a r e il n o s t r o
secchiello e ti daremo cento vacche.
Io ne ho ben pi di voi, e Dio ne ha pi ancora!
Q u a l u n q u e cosa tu sia, lascia a n d a r e il n o s t r o
secchiello e ti daremo cento capre.
Io ne ho ben pi di voi, e Dio ne ha pi ancora!
Q u a l u n q u e cosa tu sia, lascia a n d a r e il n o s t r o
secchiello e ti daremo cento pecore.
Io ne ho ben pi di voi, e Dio ne ha pi ancora!
Q u a l u n q u e cosa tu sia, lascia a n d a r e il n o s t r o
secchiello e ti daremo Teylalen e il suo cammello.
Allora la cosa lasci a n d a r e il recipiente ed essi
poterono dar da bere al bestiame. Dissero per ai loro servitori: Abbeverate gli animali, e quando avremo finito ce ne a n d r e m o via portando con noi Teylalen e il suo cammello. Non la daremo certo a quella
stupida cosa che sta in fondo al pozzo.
Cos, finito che ebbero di abbeverare il bestiame,
diedero il segnale di partenza e dissero alla sorella:
Teylalen, fa' alzare il t u o cammello!. Ma q u a n d o
essa cerc di farlo rialzare, esso si rifiut. Lei lo
batt, lo batt fino a stancarsi, ma lui continu a ri392

fiutarsi. Arrivarono i fratelli e lo percossero cos forte da fargli mordere il fianco dal dolore, ma egli continu a rifiutare di alzarsi. Essi cominciarono ad avviarsi, ma avevano f a t t o p o c h i passi che Teylalen
cant loro: Khaydara, Minjolo, ve ne andate, mi abb a n d o n a t e qui!. Allora t o r n a r o n o indietro e picchiarono il cammello, lo picchiarono tanto da stancarsi, dopodich provarono di nuovo ad avviarsi, ma
anche questa volta udirono alle spalle la sorella che
cantava rivolta a loro: Khaydara, Minjolo, ve ne andate, mi a b b a n d o n a t e qui!. Tornarono di nuovo e
questa volta ridussero il cammello a mal partito a
furia di botte. Loro si stancarono di suonargliele, ma
lui rifiut di alzarsi. Cercarono di tirare via la sorella
dal palanchino, ma ebbero un bel tirare: rischiarono
di farla a pezzi ma n o n riuscirono a strapparla dalla
groppa del cammello. Era colpa di quella cosa appostata in fondo al pozzo, che era un jinn e che la tratteneva: aveva a f f e r r a t o un piede di Teylalen e u n a
z a m p a del cammello e li teneva stretti. Per farla breve, dopo un po', nonostante i suoi richiami, dovettero a b b a n d o n a r l a l. La ragazza continu a ripetere
fino allo stremo: Khaydara, Minjolo, ve ne andate,
mi abbandonate qui!. Ma essi ormai se n'erano andati lontano.
Arrivati in un luogo, decisero di fermarsi e di non
muoversi pi. Si gettarono a terra e piansero. Le cammelle cessarono di brucare, cessarono di defecare,
cessarono di fare rumore, non si nutrirono pi. Tutto
il loro bestiame cess di pascolare. Avevano u n o
schiavo, e anche lui si gett a terra accanto a loro.
Intanto, la cosa che stava in fondo al pozzo disse a
Teylalen: Chiudi b e n e gli occhi che esco dal pozzo!. Essa chiuse per bene gli occhi, e allora egli venne f u o r i dal pozzo e le disse: Puoi riaprirli: s o n o
uscito. Essa apr gli occhi e vide... cosa vide! Pensa393

te un po': un jinn sporco e pelosissimo che dal pozzo


le veniva incontro. Prese il cammello per il morso, lo
fece alzare e si incammin tenendolo cos.
Il jinn port con s la ragazza e avanz a lungo tenendo il cammello al passo finch giunsero in u n a
pianura vastissima. Qui egli le disse: Guarda, tu che
sei giovane e ci vedi bene, guarda in questa pianura
e dimmi che cosa vedi. Guarda, guarda. Cosa vedi?.
Vedo u n a tenda di tela circondata da piccoli di
cammello.
La nostra meglio! Guarda, guarda. Cosa vedi?
Vedo u n a tenda di pelli di m u c c a circondata da
vitelli.
La nostra meglio! Guarda, guarda. Cosa vedi?
Vedo u n a tenda di stuoie circondata da agnelli.
La nostra meglio!
Proseguirono ancora per un po', quindi lui le chiese: Guarda, guarda. Cosa vedi?.
Vedo u n a tenda di pelli di c a p r a c i r c o n d a t a da
capretti.
La nostra meglio! Guarda, guarda. Cosa vedi?
Vedo u n a tenda di corteccia con vicino u n a cagna zoppa e con un occhio solo.
la nostra. Avanti, dirigiamoci l!
E cos fecero: arrivarono quindi a questa tenda.
Quando f u r o n o giunti, il jinn disse a Teylalen: Chiudi gli occhi che faccio f e r m a r e il cammello. Essa
chiuse gli occhi ed egli fece fermare il cammello.
Il jinn le ordin: Entra!. La ragazza entr e si accorse che le cortecce racchiudevano al loro interno
intere contrade, numerose e ampie. Vi si installarono,
e q u a n d o anche la ragazza si fu sistemata, poco prima dell'alba del giorno dopo, il jinn part per la caccia. Bisogna sapere che il jinn dava la caccia agli esseri u m a n i con l'intenzione di cibarsene. Gira e rigira,
prima di sera uccise un uomo, lo port a casa, lo cu394

cin, ne mangi e ne diede da mangiare alla ragazza.


And a caccia anche la notte successiva. Fu allora che
Teylalen fu avvicinata da u n a donna, un'artigiana,
che le disse: Ehi, tu, chi ti ha portata qui?.
Nient'altro che la stupidit dei miei fratelli maggiori. Eravamo arrivati a un pozzo e qualcosa ha afferrato il secchiello che avevano calato per prendere
l'acqua. Per liberarlo gli offrirono tante cose, e alla
fine fecero il mio nome. Cos la cosa lasci andare il
recipiente. Liberato il secchiello e abbeverati gli animali, il mio c a m m e l l o si rifiutato di alzarsi, e io
stessa n o n sono riuscita a staccarmi da lui. I miei
fratelli si misero a dargliele, e lo suonarono di santa
ragione, fino a stancarsene. Ma alla fine, stufi, finirono per andarsene.
Va bene disse la donna. Per, questa cosa, questo jinn, se u n a sera dovesse ritrovarsi senza nulla da
m a n g i a r e , m a n g e r e b b e te! Tuttavia posso darti un
consiglio che ti consentir di scappartene via, se lo
seguirai.
Dammelo!
Prendi il tuo cammello, mettigli il palanchino e
vattene.
D'accordo.
La d o n n a la pettin, la tinse con l'henn ed essa
pot partire. Prima per le fece questa raccomandazione: Se dovessi vedere la cosa che ti sta raggiungendo, devi dire: "O ragno, ricordati la nostra passata amicizia e costruiscimi un riparo con la tua tela".
Quando il ragno ti avr lasciata libera, rivolgi la stessa richiesta all'albero di henn.
D'accordo.
Mi spiace di n o n poterti a c c o m p a g n a r e , ma rischierei di far scoprire le mie tracce.
E cos la ragazza se ne and. Prese il suo cammello,
vi m o n t sopra e part. Cammina, cammina, mentre
395

lei si allontanava, il jinn rientr e chiese: Dov e Teylalen?.


Non s a p p i a m o dove sia a n d a t a . L'ultima volta
che l'abbiamo vista era nella sua tenda.
Adesso, quando la ritrovo, la divoro senza neanche lasciar cadere un osso a terra.
E part all'inseguimento. Cerca che ti cerca, alla fine la vide. Ma q u a n d o le fu vicino, essa disse: O ragno, ricordati la nostra passata amicizia e costruiscimi un riparo con la tua tela. Il ragno le costru un
riparo ed essa scomparve agli occhi del jinn.
Questi continu la ricerca fino a stancarsi. Lei attese a n c o r a un po' d o p o che lui se n'era a n d a t o ,
quindi disse: O ragno, ricordati la n o s t r a passata
amicizia e liberami. E il ragno la lasci andare. Lei
continu nella sua fuga, ma a un certo p u n t o il jinn
si volt, la vide e riprese a inseguirla. Ancora u n a
volta, per, quando se lo vide vicino, implor: O albero di henn, ricordati la nostra passata amicizia e
c o s t r u i s c i m i un r i p a r o coi tuoi r a m i . L'albero di
h e n n le forn un r i p a r o coi suoi r a m i , e il jinn la
perse nuovamente di vista.
Ebbe un bel cercare, ma q u a n d o si fu stancato senza averla trovata, dovette tornare indietro. Quand'era
gi da un po' sulla via del ritorno, si volt e la vide di
nuovo. Allora essa disse: Albero di henn, lasciami
andare; ragno, lasciami andare; e tu, cammello elegante come u n o struzzo, ricordati della nostra passata amicizia, salta con me nel fiume: dal giorno in cui
sei nato, ti ho lasciato libero di farti allattare da tua
madre, che Dio mi punisca se ti ho mai fatto soffrire
la f a m e privandoti del suo latte, anche q u a n d o mungevano le altre cammelle. Allora il cammello simile a
u n o struzzo lanci tre forti bramiti, quindi prese la
rincorsa e si tuff nel fiume, emettendo altri bramiti.
E tu, jinn? Anche tu hai cercato di far tuffare nel
396

fiume il tuo cavallo, ma esso ci caduto dentro e il


fiume lo ha portato via.
A questo punto il cammello di Teylalen lanci ancora un bramito, e questa volta lo ud lo schiavo di
Khaydara, u n o dei fratelli della ragazza, il quale corse ad a n n u n c i a r e : Minjolo, K h a y d a r a , ho sentito
bramire il cammello di vostra sorella!.
Tu menti! Perch ci ricordi questi tristi fatti? E
si avventarono su di lui pestandolo di santa ragione
fino a farlo finire per terra. Poi tornarono a coricarsi. Ma dopo un po' egli torn a dir loro: Fatemi quel
che vi pare, uccidetemi o lasciatemi in vita, ma io
sento bramire il cammello di vostra sorella.
E anche questa volta essi si avventarono su di lui
pestandolo di santa ragione fino a stancarsi. Lo lasciarono pi morto che vivo e tornarono a stendersi
dov'erano prima, q u a n d o arriv fino l il terzo bramito del cammello.
Come lo udirono, le cammelle si misero a bramire, ripresero a urinare e a far rumore. Anche i fratelli udirono questo grido e andarono incontro al cammello. Di corsa arrivarono al cammello, su cui stava
Teylalen col suo palanchino. Furono contenti da impazzire. C o n d u s s e r o poi c o n loro il c a m m e l l o e,
giunti all'accampamento, la fecero scendere e sistemare. E l si sistemarono anch'essi.
Il r a c c o n t o se n' a n d a t o , M u s a che l'ha f a t t o
fuggire, mentre Senji lo precede.

4. KHAYATAN, LA FANCIULLA V E N D U T A
DAI F R A T E L L I A UN JINN

Questa la storia di due uomini che vendettero a un


jinn la loro sorella.
C'erano due uomini che avevano u n a sorella di no397

me K h a y a t a n . Gli a n n i passavano; la r a g a z z a ora


aveva u n ' e t che le consentiva di m o n t a r e un bel
cammello, con u n a sella pregiata di Mauritania, di
avere un bel corredo, ogni genere di o r n a m e n t o e
splendide vesti.
Un giorno a r r i v a r o n o a un pozzo. Ma in questo
pozzo vi era un jinn che ne custodiva le acque. Vi calarono un recipiente e lo stavano gi ritirando pieno
d'acqua quando il jinn lo afferr senza lasciarlo pi
risalire. Lo implorarono: Lascia libero il secchio e
ti d a r e m o un cammello..., ti d a r e m o questo..., ti daremo quello.... Ma qualunque cosa gli nominassero, egli la rifiutava, fino a q u a n d o giunsero a promettergli u n a fanciulla. Gli dissero: ... ti d a r e m o
u n a fanciulla bellissima. Nelle loro intenzioni si
trattava di un trucco. Ma anche il jinn era un tipo
sveglio. E, l a n c i a n d o u n ' o c c h i a t a di sbieco, lasci
andare il secchio.
La fanciulla aveva fatto sosta col suo cammello a
poca distanza dal pozzo, e il jinn, facendo passare le
sue unghiacce attraverso la terra, arriv ad artigliare
il ventre del cammello. Non so bene in che modo, sta
di fatto che riusc ad artigliare anche la fanciulla, la
quale rimase come inchiodata alla sella mentre i fratelli facevano abbeverare tutto il loro bestiame.
A un certo punto, le dissero: Khayatan, fa' voltare
dall'altra parte il cammello, in m o d o che possa abbeverarsi anche lui. Essa cerc di farlo girare, ma senza riuscirci. Cerc allora di farlo alzare, ma a n c h e
questo invano.
Le dissero allora: E tu, che hai? Su, scendi di sella!, ma lei stessa n o n fu pi in grado di scendere dal
cammello. Cercarono di fare alzare l'animale con lei
in groppa, ma senza riuscirci. Cercarono di tirarla
gi a forza: macch, niente da fare. Ogni tentativo di
far qualcosa and a vuoto.
398

Io credo che l'unico modo di trarsi d'impiccio sarebbe stato lo "stratagemma della spada". un trucco che si a d o t t a c o n t r o i jinn e va eseguito con la
spada: si t r a t t a di f a r l a p a s s a r e sotto la p a n c i a
dell'animale bloccato. Se, per esempio, un animale
stato bloccato durante l'abbeverata, dicono che per
liberarlo si debba dare un colpo con la spada tra le
zampe dell'animale. I jinn, infatti, non a m a n o affatto le spade: le spade e, in generale, qualunque oggetto di ferro.
Dicevamo, dunque, che, per quanti tentativi facessero, n o n sortivano alcun risultato. Cos dovettero
arrendersi e si accinsero ad andarsene, abbandonando la sorella, che intanto si era messa a lanciare grida strazianti.
A nessuno di loro venne in mente di ricorrere allo
stratagemma che ho detto, che consiste nel far passare u n a spada sotto la pancia del cammello. La spada proprio un ottimo rimedio contro i jinn.
Comunque sia, visto che tutto era stato vano, la lasciarono e se ne andarono, mentre lei continuava a
gridare.
Q u a n d o i fratelli f u r o n o fuori dalla loro vista, il
jinn balz fuori dal pozzo e disse a Khayatan: Cosa
preferisci: che io ti tenga con me come u n a figlia o
che ti mangi?.
Preferisco che tu mi faccia da padre.
E cos il jinn la prese, la spost, mettendola sulla
testa del cammello, e prese il suo posto sulla sella
pregiata di Mauritania, su cui si pose rigido e impacciato.
Partirono, quindi, e proseguirono per un po'. A un
certo punto il jinn disse alla ragazza: Guarda, guarda, cosa vedi?.
Vedo u n a tenda molto, molto bella, ricoperta di
399

splendide coperte e attorniata da giovani cammelli


dal pelame bicolore.
La nostra ancora pi bella.
Cammina, cammina, dopo un po' giunsero in un'altra localit, ancora pi distante.
Guarda, guarda, cosa vedi?
Vedo u n a tenda molto, molto bella, bianca, attorniata da giovani torelli.
La nostra ancora pi bella.
Cammina, cammina, dopo un po' giunsero in un'altra localit, ancora pi distante.
Guarda, guarda, cosa vedi?
Vedo u n a tenda molto bella, attorniata da agnelli.
La nostra ancora pi bella.
Cammina, cammina, dopo un po' giunsero in un'altra localit, ancora pi distante.
Guarda, guarda, cosa vedi?
Vedo u n a t e n d a molto bella, a t t o r n i a t a da capretti.
La nostra ancora pi bella.
Cammina, cammina, dopo un po' giunsero in un'altra localit, ancora pi distante.
Guarda, guarda, cosa vedi?
Vedo una tenda molto, molto brutta, rivestita di
pezzi di corteccia e vicino alla quale si aggira u n a cagna pi morta che viva, con gli intestini che strascicano per terra.
la nostra, proprio la nostra!
Si diressero quindi verso la tenda, e vi entrarono.
La ragazza aveva p a u r a del jinn, che n o n le aveva
detto cosa la attendeva.
Lasciamo i due a questo punto, e vediamo che cosa era accaduto ai fratelli della ragazza. Essi erano
tornati al pozzo, ma n o n avevano trovato nessuno,
n e m m e n o u n a traccia. Niente di niente. Provarono a
chiedere in giro, ma nessuno li aveva visti partire.
400

Cerca di qua, cerca di l, alla fine pensarono che la


sorella non fosse pi in vita.
Passarono gli anni. Un giorno, alcune mucche di
loro propriet si trovarono a passare vicino alla ragazza. Essa ne ferm una, si tolse l'anello e glielo infil in un corno.
Quando la mucca fu di ritorno, i fratelli la munsero, e al termine dell'operazione si avvidero dell'anello. Capirono cos che Khayatan era ancora viva, e si
misero di nuovo alla sua ricerca. Uno di essi part in
sella a u n o splendido cammello nero, di n o m e Engal, in compagnia di u n o schiavo negro che montava
u n a giumenta.
Lungo la strada, a un certo punto, giunsero in u n a
localit dove vi era un accampamento. Il padrone si
rivolse ai suoi abitanti: Io ho questo cammello, ho
questo schiavo negro, questa sella da cammello, questa sella da cavallo, questo sacco di pelle, questa bacinella, questo scudiscio, queste briglie... e cos dicendo e n u m e r loro t u t t o quello che aveva, senza
dimenticarsi nulla, e concluse: Cosa pu esserci di
pi bello al mondo?.
Tutte queste cose sono veramente splendide, ma
quanto a bellezza vi batte u n a fanciulla che passata
di qui dieci anni fa.
Proseguirono allora il viaggio, e q u a n d o f u r o n o
pi distanti, il padrone disse: O Khayatan, Khayatan, dove sar adesso, con le sue belle labbra messe
sempre in risalto dal nero antimonio?. E lo schiavo
aggiunse: Perch non fare pascolare Engal fino a
fargli riempire ben bene la gobba per poi andare in
cerca del paese in cui si trova Khayatan?.
Cammina, c a m m i n a , q u a n d o giunsero in u n a localit dove vi era un accampamento, il padrone si rivolse ai suoi abitanti: Io ho questo, q u e s t o e
quest'altro: cosa pu esserci di pi bello al mondo?.
401

E la gente dell'accampamento rispose: Tutte queste cose sono veramente splendide, ma quanto a bellezza vi batte u n a fanciulla che passata di qui nove
anni fa.
Proseguirono allora il viaggio, e q u a n d o f u r o n o
pi distanti, il padrone disse: O Khayatan, Khayatan, dove sar adesso, con le sue belle labbra messe
sempre in risalto dal nero antimonio?. E lo schiavo
aggiunse: Perch n o n fare pascolare Engal fino a
fargli riempire ben bene la gobba per poi andare in
cerca del paese in cui si trova Khayatan?.
Cammina, c a m m i n a , q u a n d o giunsero in u n a localit dove vi era un accampamento, il padrone si rivolse ai suoi abitanti: Io ho questo cammello, questo cavallo, q u e s t o schiavo negro, q u e s t a sella da
cammello, questa sella da cavallo, questa bacinella,
e cos via: cosa pu esserci di pi bello al mondo?.
E la gente dell'accampamento rispose: Tutte queste cose sono veramente splendide, ma quanto a bellezza vi batte u n a fanciulla che passata di qui otto
anni fa.
Proseguirono allora il viaggio, e q u a n d o f u r o n o
pi distanti, il padrone disse: O Khayatan, Khayatan, dove sar adesso, con le sue belle labbra messe
sempre in risalto dal nero antimonio?. E lo schiavo
aggiunse: Perch n o n fare pascolare Engal fino a
fargli riempire ben bene la gobba per poi andare in
cerca del paese in cui si trova Khayatan?.
Cammina, cammina, quando giunsero in u n a localit dove vi era un accampamento, il padrone si rivolse ai suoi abitanti: Io ho questa sella da cammello,
questo cavallo, questo schiavo negro, e inoltre ci sono
io stesso: cosa p u esserci di pi bello al mondo?.
E la gente dell'accampamento rispose: Tutte queste cose sono veramente splendide, ma quanto a bel402

lezza vi batte u n a fanciulla che passata di qui sette


anni fa.
P r o s e g u i r o n o allora il viaggio, e q u a n d o f u r o n o
pi distanti, il padrone disse: O Khayatan, Khayatan, dove sar adesso, con le sue belle labbra messe
sempre in risalto dal nero antimonio?. E lo schiavo
aggiunse: Perch n o n fare pascolare Engal fino a
fargli riempire ben bene la gobba per poi andare in
cerca del paese in cui si trova Khayatan?.
(E cos via, s e m p r e d i m i n u e n d o gli anni: sapete
come vanno le cose nei racconti, tutta questione di
fantasia.)
Cammina, c a m m i n a , q u a n d o giunsero in u n a localit dove vi era un accampamento, il padrone si rivolse c o m e sempre ai suoi abitanti: Io ho questo,
questo e quest'altro. (Io penso che fosse un esped i e n t e p e r o t t e n e r e i n f o r m a z i o n i . ) Io ho q u e s t o
c a m m e l l o , q u e s t o cavallo, q u e s t o schiavo, q u e s t a
splendida sella, e cos via: cosa p u esserci di pi
bello al mondo?
E la gente dell'accampamento rispose: Tutte queste cose sono veramente splendide, ma quanto a bellezza vi batte u n a fanciulla che passata di qui tre
anni fa. (...)
Cammina, c a m m i n a , q u a n d o giunsero in u n a localit dove vi era un accampamento, il padrone si rivolse ai suoi abitanti: Io ho questo, q u e s t o e
quest'altro: cosa pu esserci di pi bello al mondo?.
E la gente dell'accampamento rispose: Tutte queste cose sono veramente splendide, ma quanto a bellezza vi batte u n a fanciulla che passata di qui un
a n n o fa.
P r o s e g u i r o n o allora il viaggio, e q u a n d o f u r o n o
pi distanti, il padrone disse: O Khayatan, Khayatan, dove sar adesso, con le sue belle labbra messe
sempre in risalto dal nero antimonio?. E lo schiavo
403

aggiunse: Perch n o n fare pascolare Engal fino a


fargli riempire ben bene la gobba per poi andare in
cerca del paese in cui si trova Khayatan?.
Cammina, cammina, q u a n d o giunsero in u n a localit dove vi era un accampamento, il padrone si rivolse ancora ai suoi abitanti: Io ho questo, questo e
quest'altro: cosa pu esserci di pi bello al mondo?.
E la gente dell'accampamento rispose: Tutte queste cose sono veramente splendide, ma quanto a bellezza vi batte u n a fanciulla che passata di qui nove
mesi fa.
Proseguirono allora il viaggio, e q u a n d o f u r o n o
pi distanti, il padrone disse: O Khayatan, Khayatan, dove sar adesso, con le sue belle labbra messe
sempre in risalto dal nero antimonio?. E lo schiavo
aggiunse: Perch n o n fare pascolare Engal fino a
fargli riempire ben bene la gobba per poi andare in
cerca del paese in cui si trova Khayatan?.
(...)

Cammina, cammina, q u a n d o giunsero in u n a localit dove vi era un accampamento, il padrone si rivolse ai suoi abitanti: Io ho questo cavallo, questo
cammello, q u e s t o schiavo, poi ci sono io stesso, e
inoltre questa sacca, questa bacinella, e cos via: cosa pu esserci di pi bello al mondo?.
E la gente dell'accampamento rispose: Tutte queste cose sono veramente splendide, ma quanto a bellezza vi batte u n a fanciulla che passata di qui tre
mesi fa.
P r o s e g u i r o n o allora il viaggio, e q u a n d o f u r o n o
pi distanti, il padrone disse: O Khayatan, Khayatan, dove sar adesso, con le sue belle labbra messe
sempre in risalto dal nero antimonio?.
Cammina, cammina, giunsero a un accampamento, e di nuovo il p a d r o n e si rivolse ai suoi abitanti,
chiedendo che cosa ci fosse al m o n d o di meglio di
404

tutte le sue propriet, del suo schiavo, di lui stesso e


di tutto il suo equipaggiamento.
E la gente dell'accampamento rispose: Tutte queste vostre cose sono veramente splendide, ma quanto a bellezza vi batte u n a fanciulla che passata di
qui due mesi fa.
Pi avanti, il padrone disse: O Khayatan, Khayatan, dove sar adesso, con le sue belle labbra messe
sempre in risalto dal nero antimonio?. E lo schiavo
aggiunse: Perch n o n fare pascolare Engal fino a
fargli riempire ben bene la gobba per poi andare in
cerca del paese in cui si trova Khayatan?.
Cammina, cammina, alla fine la raggiunsero, trovarono l'accampamento in cui si trovava Khayatan.
Era pomeriggio inoltrato, ed essa aveva appena finito di farsi fare la treccia. Quando f u r o n o all'accampamento, il fratello chiese agli abitanti: Io ho un cavallo, u n o schiavo, u n a sella da cavallo, u n a sella da
cammello, u n a sacca di pelle, poi ci sono io stesso.
Ora, viste tutte queste mie cose, che cosa pu esserci
di pi bello?.
E la gente dell'accampamento rispose: Tutte queste vostre cose sono veramente splendide, ma quanto a bellezza vi b a t t e u n a fanciulla che stata qui
questo pomeriggio a farsi fare la treccia. A questo
punto, si fecero dire con precisione dove avrebbero
potuto trovare la ragazza, e quando l'ebbero saputo,
vi si diressero. Trovandosi a poca distanza, nascosero le loro cavalcature - la giumenta e il cammello presso questa gente, e proseguirono a piedi.
Quando giunsero da lei, la trovarono sola, dal mom e n t o che il jinn non era nella tenda. Essa li nascose
sotto il letto, ed essi rimasero cos, distesi. A sera il
jinn fece ritorno e mise a cuocere la carne che aveva
p r o c u r a t o . Si trattava - credo - di selvaggina, u n a
405

gazzella o qualcosa del genere. Aveva fatto un giro a


controllare le tagliole.
Ora, mentre i due erano sempre stesi sotto il letto,
il jinn fece cuocere la carne, e poi la diede a Khayatan. Costei, stando seduta sul letto sotto il quale si
trovavano i due uomini, ne approfitt per dare loro
da m a n g i a r e . Finito che ebbero, le r e s t i t u i r o n o il
piatto vuoto, e lei lo rese al jinn. Questi le chiese:
Non sei ancora sazia?.
No, non sono sazia.
Allora gliene diede ancora u n a porzione, ed essa
la pass ai due sotto al letto. Questa volta essi le fecero capire di essere sazi. Naturalmente esprimendosi a gesti, perch non potevano parlare.
Mangi a n c h e lei e si sazi, d o p o aver d a t o da
mangiare ai due, poi a n d a r o n o a coricarsi. Mentre
Khayatan e il jinn dormivano, i due sotto il letto cominciarono a fare delle cose audaci, al limite dell'incoscienza. Dal m o m e n t o che il jinn era vicinissimo a
loro, e a momenti li toccava, essi presero a pungerlo
con un punteruolo. Se ne stavano sotto il letto, mentre il jinn si contorceva sul letto.
Ohim, misericordia! Questa notte nel letto c'
u n a formica, s, proprio u n a formica.
E i n t a n t o quei d u e c o n t i n u a v a n o a t o r m e n t a r l o
col punteruolo. Lo pungevano e lui si contorceva sul
letto. Questa notte nel letto c' u n a formica, eh s,
dev'esserci proprio u n a formica.
Alle p r i m e luci dell'alba (il sole n o n era a n c o r a
sorto), la ragazza gli chiese:
Babbo...
S?
Mi sapresti dire dove si trova la t u a a n i m a , in
m o d o che io possa mettervi anche la mia?
La mia anima... Dunque, devi cercare la gazzella
dal dorso infossato e con un corno solo. Poi prendi
406

un bastone, colpisci il corno con il b a s t o n e fino a


farlo cadere, e quindi raccogli il sacchetto che vi troverai dentro. In questo sacchetto ce n' un altro, in
questo ce n' un altro ancora, che ne contiene un altro, e cos via fino al decimo sacchetto. Nel decimo
ci sar u n a scatolina, e questa scatolina ne contiene
un'altra, in cui ve n' un'altra ancora, e cos via fino
alla decima. La decima scatolina contiene un capello
bruno: in esso racchiusa la mia anima.
Allora la fanciulla prese un bastone, and in cerca
della gazzella dal dorso infossato e con un corno solo, la trov e la prese. Sleg u n o per u n o i sacchetti e
ogni volta che ne apriva u n o ne trovava un altro, finch fu giunta al decimo, che conteneva u n a scatolina. Ma non era u n a scatolina sola: ce n'erano parecchie. Ogni volta che ne apriva u n a , ne trovava
un'altra al suo interno. Arrivata alla decima, vi trov
dentro il capello bruno. Lo prese e lo port con s fino all'accampamento.
Qui giunta, vide che il jinn quel giorno non era ancora uscito, e lo chiam: Babbo....
S?
Essa strapp il capello ed egli si accasci a terra.
Aveva tirato le cuoia.

5. A Y O R E T A Y O R T

Si racconta che c'era un u o m o che si fer a un ginocchio mentre tagliava un ramo di u n a pianta per darlo da mangiare alle capre. Si spezz cos la rotula e
ne fuoriuscirono due uova, che egli si affrett a raccogliere e a d e p o r r e in un l e m b o ripiegato della
stuoia principale della sua tenda.
A partire da quel momento, q u a n d o gli capitava di
lasciare legati dei capretti, li ritrovava dopo un po'
407

slegati; quando invece li lasciava liberi insieme alle


loro madri, al suo ritorno li trovava legati. La cosa si
ripet una, due, diverse volte: lasciava i capretti legati e li ritrovava slegati; li lasciava liberi insieme alle
madri e al ritorno li trovava legati...
Prov allora a guardare nella piega della stuoia, e
vi trov d u e b a m b i n i cos piccoli da p o t e r stare
all'interno di questo lembo ripiegato. Li tir fuori e li
depose a terra. Ed essi partirono.
Per strada i n c o n t r a r o n o u n a p e r s o n a che chiese
loro:
Dov' vostra madre?
Se n' andata dove la terra bucata per farvi un
rammendo.
E dov' vostro padre?
andato dove il cielo sta crollando per metterci
dei puntelli.
Dopodich proseguirono il cammino. Si chiamavano Ayor e Tayort.
Strada facendo si imbatterono in u n a pozza di orina di gazzella. Ayor si disse che non avrebbe proseguito senza bere da quella pozza. E cos - attenti bene a quello che accadde - depose l accanto le sue
frecce, e dopo un po' disse alla sorella: Tayort, ho
d i m e n t i c a t o le mie frecce vicino a quella pozza di
orina. S, le ho proprio dimenticate laggi.
Lascia, te le vado a prendere io.
No, no, le vado a prendere io.
Lascia, vado io.
Alla fine fu lui che torn indietro, e pot bere alla
pozza di orina. Ma in seguito a ci sub u n a trasformazione: divenne met u o m o e met gazzella. Eh s,
Tayort dovette proseguire il c a m m i n o portando con
s questa mezza gazzella.
A un certo p u n t o giunse dove si trovavano delle
vecchie che coglievano spighe di wajjag, e chiese lo408

ro: Mi sapete dire come si fa a separare un u o m o da


u n a gazzella?.
Certo che lo sappiamo.
E, preso un pesante pestello per il miglio, assestarono un colpo che fece andare l'uomo da u n a parte e
la gazzella dall'altra.
La fanciulla pot cos continuare il suo c a m m i n o
finch giunsero al palmizio del sultano di Agadez.
Arrampicatisi su u n a palma, si divertivano a tirare
gi i datteri: quelli ancora verdi sulle guardie, quelli
maturi sulla testa del sultano.
Se siete degli uccelli, volate via; se siete degli uomini, venite gi! Se avete sete, berrete; se avete fame, mangerete.
E Tayort rispose: Abbiamo sete, a b b i a m o fame;
a b b i a m o sete, abbiamo fame.
Scendi, Tayort!
Scender solo se mi darete u n a sopravveste. E
le diedero u n a sopravveste.
Scendi, Tayort!
Scender solo se mi darete u n a camicia.
Scendi, Tayort!
Scender solo se mi darete u n a gonna.
Scendi, Tayort!
Scender solo se mi darete il resto dell'abbigliamento.
Scendi, Tayort!
Scender solo se mi darete dei sandali.
Le diedero tutto quello che aveva chiesto, ed essa
scese dalla palma.
Scendi, Ayor!
Scender solo se mi darete dei pantaloni.
Scendi, Ayor!
Scender solo se mi darete u n a camicia.
Scendi, Ayor!
Scender solo se mi darete un turbante col velo.
409

Scendi, Ayor!
Scender solo se mi darete dei sandali.
Scendi, Ayor!
Scender solo se mi darete u n a spada.
Scendi, Ayor!
Scender solo se mi darete dei pantaloni.
Alla fine scesero tutti e due. Il sultano, quando fu
al cospetto di Tayort, ne rimase molto colpito. Egli
era gi sposato con Janegerfadan, e tuttavia, quando
vide Tayort, si disse che in t u t t a la vita n o n aveva
mai visto u n a donna pi bella di lei. E cos la spos.
Da allora in poi, Tayort prese l'abitudine di scoprirsi il bel seno q u a n d o era il m o m e n t o di mungere
le cammelle. Le dicevano: Tayort, fa' risplendere il
tuo bel seno!. E anche il sultano ripeteva: Tayort,
fa' risplendere il tuo bel seno in m o d o da facilitare la
mungitura!. Allora essa si scopriva il seno e le cammelle si lasciavano m u n g e r e volentieri. Al vedere
ci, il suo gemello Ayor a n d a v a a raccogliere la
schiuma del latte e se la beveva.
Le cose andarono avanti cos per un bel po', ma un
giorno la co-sposa di Tayort la prese da parte e le disse:
Tayort, vieni: a n d i a m o a bagnarci nello stagno.
No, non vado allo stagno. Io il bagno lo faccio nel
latte.
Suvvia, solo u n a risciacquata!
Ma io non voglio andarci a piedi.
Ti porter sulla schiena.
Non voglio scottarmi al sole.
Proweder anche a farti ombra.
E cos se la prese sulla schiena, la copr p e r c h
non prendesse sole, e la port fino allo stagno. Qui
giunte, si svestirono per entrare nell'acqua. Janegerf a d a n aveva deposto Tayort sulla riva dello stagno
dalla parte dove l'acqua era pi profonda, dopodich
cominci a spingerla un po' pi in l, sempre pi in
410

l, dicendole: Su, dai, fatti pi in l, c' ancora spazio tra qui e l'acqua. E cos, scivolando sempre pi
verso lo stagno, a un tratto, pluff, Tayort fin nell'acqua profonda. A questo p u n t o l'altra prese un grosso
macigno e glielo fece cadere sopra, proprio l dove
essa era scivolata in acqua.
Ci fatto, ripart e se ne torn all'accampamento
rivestita degli abiti di Tayort. E quando, scambiandola per la co-sposa, le dissero: Tayort, fa' risplendere il tuo bel seno! le cammelle invece di dare latte
diedero del pus. E quando Ayor venne per raccogliere la schiuma, essa lo batt col mestolo. Allora egli si
disse: "Costei non Tayort, no di certo".
La mattina dopo and allo stagno e si mise a cantilenare: Tayort, Tayort, mia Tayort!.
Essa rispose: Ayor, Ayor, mio Ayor! Se parlo l'acqua mi affogher; se taccio ti spezzer il cuore!.
Tornato a l l ' a c c a m p a m e n t o , diede l'allarme:
Tayort nello stagno! Tayort nello stagno!. Gli risposero: Se quello che dici u n a m e n z o g n a , ti
sgozzeremo con questo pugnale. Ti faremo la pelle.
Si fece quindi a c c o m p a g n a r e dalla gente dell'acc a m p a m e n t o , e con loro vennero capre, cammelli,
asini, mucche e ogni possibile essere vivente in grado di ingollare acqua, di bere e di muoversi. Ogni essere vivente venne con loro. Bevvero tutti insieme
l'acqua di quello s t a g n o e ne s v u o t a r o n o la m e t .
Ayor se ne stava un po' al di s o p r a e cantilenava:
Tayort, Tayort, mia Tayort!.
Essa rispose: Ayor, Ayor, mio Ayor! Se parlo l'acq u a mi affogher; se taccio ti spezzer il cuore!.
Alcuni la u d i r o n o , altri no. Di nuovo egli cant:
Tayort, Tayort, mia Tayort!.
Essa rispose: Ayor, Ayor, mio Ayor! Se parlo l'acqua mi affogher; se taccio ti spezzer il cuore!.
Questa volta tutti la udirono.
411

Si fece allora avanti un ariete e disse: Se mi lasciate fare u n a bella succhiata del latte di mia m a d r e
fino a farmi sgocciolare la schiuma dal muso, ve la
tirer fuori io. Succhi quindi il latte della m a d r e
fino a farsi sgocciolare la schiuma dal muso. Lanci
q u i n d i un grido, p r e s e la r i n c o r s a , p a r t e a n d a
sbattere contro il masso, ma questo n o n si smosse di
un millimetro.
Si fece allora avanti un toro e disse: Se mi lasciate fare u n a bella succhiata del latte di mia m a d r e fino a farmi sgocciolare la schiuma dal muso, ve la tirer f u o r i io. S u c c h i quindi il latte della m a d r e
f i n o a farsi sgocciolare la s c h i u m a dal m u s o . Poi
prese la rincorsa, part e a n d a sbattere contro il
masso, ma questo n o n si smosse di un millimetro.
Si fece allora avanti un cammello e disse: Se mi
lasciate fare u n a bella succhiata del latte di mia madre fino a farmi sgocciolare la schiuma dal muso, ve
la tirer fuori io. Succhi quindi il latte della m a d r e
f i n o a farsi sgocciolare la s c h i u m a dal m u s o . Poi
part alla carica e fin per dare un gran colpo con le
zampe contro il masso, ma questo non si smosse di
un millimetro.
Si fece allora avanti un caprone e disse: Se mi lasciate fare u n a bella succhiata del latte di mia m a d r e
fino a farmi sgocciolare la schiuma dal muso, ve la
tirer fuori io. Succhi quindi il latte della m a d r e
f i n o a farsi sgocciolare la s c h i u m a dal m u s o . Poi
prese la rincorsa, part e, lanciando un gran grido,
a n d a sbattere c o n t r o il masso, ma questo n o n si
smosse di un millimetro.
A questo p u n t o si fece avanti un m o n t o n e piuttosto male in arnese e interamente ricoperto di pulci:
era veramente incredibile la quantit di pulci che lo
infestavano. I pareri f u r o n o contrastanti:
Lasciatelo provare!
412

S, fatelo provare!
Ma no, fermatelo. Come pensate che possa farcela? Ci h a n n o gi provato senza riuscirci animali ben
pi robusti e validi!
S, fatelo provare!
No, fermatelo!
S, fatelo provare!
Alla fine, lo fecero tentare. Succhi quindi il latte
della m a d r e fino a farsi sgocciolare la schiuma dal
m u s o . Poi prese la rincorsa, part e, l a n c i a n d o un
gran grido, and a sbattere contro il masso, e riusc
a smuoverlo. Cos Tayort fu libera. La giovane era
stata salvata da quel piccolo a m m a s s o di pulci.
Le ridiedero i suoi vestiti e le chiesero: Cosa vuoi
che facciamo a Janegerfadan?.
Ebbene, fatela montare su un cammello cieco, legatela con delle funi a questo cammello cieco e fatelo condurre da u n a sorda cui darete del miglio in un
paniere. Attaccatela dunque al cammello!
Cos fu fatto: la legarono al cammello, diedero il
miglio in un p a n i e r e alla s o r d a e costei, a piedi,
port il cammello in mezzo a u n a macchia di alberi
spinosi.
Ehi, tu! diceva Janegerfadan. Finiscila di farmi
passare in mezzo alle spine!
Eh, no! Il miglio mio. Me l'ha dato il sultano!
E continuava imperterrita a portarla in mezzo alle
spine.
Ehi, tu! Finiscila di farmi passare in mezzo alle
spine!
Eh, no! Il miglio mio. Me l'ha dato il sultano!
Ehi, tu! Finiscila di farmi passare in mezzo alle
spine!
Eh, no! Il miglio mio. Me l'ha dato il sultano!
Vai e vai, J a n e g e r f a d a n era s e m p r e pi graffiata
dalle spine; a m a n o a m a n o che si staccavano pezzi
413

di carne, la sorda li raccoglieva e li metteva nel paniere.


Quante volte ti devo ripetere: "Finiscila di farmi
passare in mezzo alle spine"?
Eh, no! Il miglio mio. Me l'ha dato il sultano!
E la tortura continuava.
Ehi, tu! Finiscila di farmi passare in mezzo alle
spine!
Eh, no! Il miglio mio. Me l'ha dato il sultano!
Quando Janegerfadan fu di ritorno, le sue carni si
erano completamente staccate dalle ossa. Non ne rimaneva pi nulla. Tutto quello che era rimasto era
un mucchio di ossa spolpate. La sorda fece ritorno
all'accampamento, e poi se ne and.
Fecero a pezzettini le sue carni, le misero in u n a
pentola e ne diedero a Tayort. Ne mangi anche sua
madre, che trov l'anello di Janegerfadan e scoppi
in lacrime. E pianse, pianse a dirotto, senza interruzione.
Tayort ritrov il marito: Janegerfadan era stata infine separata dal sultano.
Il racconto se ne andato per di l; Ahalu gli blocca la strada per non farlo pi tornare.

6. LA FANCIULLA MALTRATTATA DAL PADRE

C'era u n a volta u n a ragazza orfana di madre, che viveva da sola col padre. Un giorno il padre si rispos
ed essa si trov cos con u n a matrigna, che aveva gi
delle figlie sue. Prima di morire, la madre della ragazza aveva detto alla mucca: Corna-in-gi, mi prometti di prenderti cura della mia bambina?. E l'animale aveva risposto: S!.
Il padre, p u r volendole bene, la maltrattava spesso, accecato dall'amore per la seconda moglie. E cos
414

la spediva in m a l o m o d o a p a s c o l a r e il b e s t i a m e ,
mentre permetteva alle figlie della moglie di restarsene a casa senza far nulla.
Quando si trovava nella boscaglia a pascolare, assalita dalla f a m e la fanciulla chiamava: Corna-ingi, Corna-in-gi, la m a m m a n o n ti aveva detto di
prenderti cura di me? e la m u c c a accorreva muggendo, le dava da mangiare e se ne tornava insieme
al resto del bestiame. Nutrita dalla mucca, la ragazzina faceva ritorno all'accampamento del padre. Qui
giunta, per, la m a t r i g n a e le sorellastre le davano
da mangiare solo raschiatura dei piatti invece di darle la polenta di miglio e nutrirla come si deve. Cos,
q u a n d o aveva bisogno di mangiare qualcosa durante
il giorno, se ne andava nella boscaglia e chiamava:
Corna-in-gi, Corna-in-gi, la m a m m a non ti aveva
detto di prenderti cura di me?.
Un giorno, trovandosi f u o r i d e l l ' a c c a m p a m e n t o
c o n u n a sorellastra, le disse: Mi p r o m e t t i che se
adesso ti faccio vedere u n a cosa tu non la farai sapere in giro?.
Va bene, non dir nulla.
Allora chiam la mucca. Anzi, prima disse: Io ho
u n a mucca che, quando la chiamo, mi d tutto quello di cui ho bisogno.
Prova a chiamarla!
Corna-in-gi, la m a m m a n o n ti aveva d e t t o di
prenderti cura di me?
La mucca accorse, e le diede del cibo, anche se in
piccola quantit, avendo notato l'altra ragazza. Dopodich fece dietrofront e scomparve. La ragazza offr il
cibo alla sorellastra, invitandola a mangiare. Senza
farsi vedere, questa ne fece aderire un po' all'unghia.
Dopo aver trascorso tutta la giornata al pascolo,
alla fine tornarono all'accampamento. E appena arrivate dai genitori, la sorellastra annunci: Guarda415

te un po' di che cosa si nutre questa ragazza! Venite


a vedere! Questo cibo le viene somministrato da u n a
mucca!.
Allora quella d o n n a , la m a t r i g n a della ragazza,
disse al marito: Se non ucciderai la mucca che d
da mangiare alla ragazza, non farti pi vedere nella
mia tenda: n o n mi lascer pi avvicinare da te. E
cos l'uomo dovette avviarsi in cerca della mucca.
Segu la figlia, che era andata a pascolare le capre.
Q u a n d o l'ebbe raggiunta, le disse: Chiama la t u a
mucca!.
Corna-in-gi, la m a m m a n o n ti aveva d e t t o di
prenderti cura di me?
La mucca accorse, ma q u a n d o vide l'uomo, torn
sui suoi passi, sempre correndo.
Allora il p a d r e le diede u n o s c h i a f f o e ripet:
Chiama la t u a mucca!. Fu tale la f o r z a dello
schiaffo che la ragazza svenne. Quando si riebbe, il
padre ripet: Chiama la tua mucca!.
Corna-in-gi, la m a m m a n o n ti aveva d e t t o di
prenderti cura di me?
La m u c c a accorse di b u o n grado, ma q u a n d o fu
vicina vide l'uomo a r m a t o di u n a spada e t o r n di
corsa sui suoi passi.
Questa volta il p a d r e prese a percuoterla selvaggiamente, dicendole: Chiama la tua mucca!.
La ragazza la chiam, la mucca accorse, e q u a n d o
fu vicina, il padre, con un colpo di spada, le tagli i
garretti, e, dopo averla cos ferita, la fin.
La fanciulla se ne and via in preda a un pianto dirotto. Pensava: "Ormai per me finita. A che pr vivere ancora? Finora c' stata questa mucca che mi ha
nutrita, ma adesso che morta, che ne sar di me?".
Alla fine prese la zucca vuota in cui teneva l'acqua, la riemp e se ne and lontano lontano, senza
fermarsi.
416

Cammina, cammina, giunse in un a c c a m p a m e n t o


abitato da donne dedite alla stregoneria. Quando vi
arriv, esse e r a n o assenti. C o m u n q u e essa pest il
miglio p e r f a r n e polenta, p r e p a r da m a n g i a r e e
scop le loro tende in attesa del loro ritorno. Quando f u r o n o arrivate, mangiarono, e finito di mangiare
la ragazza strofin i denti a ciascuna di loro, e quello
che venne via lo raccolse sulla m a n o porgendolo poi
loro affinch lo mangiassero.
Esse mangiarono tutto, e alla fine le dissero: Adesso va', incamminati verso le uova che si trovano nel
tal posto, e quando ci sarai arrivata, aprile. Se un vecchio ti sbarrasse il cammino, prendi un bastone e picchiaglielo sulla g a m b a per fargliela piegare, in m o d o
che tu possa passare. E quando sarai arrivata, va' verso le uova che non ti chiameranno, e n o n verso quelle
che ti chiameranno.
Essa segu queste istruzioni, si mise in viaggio e
q u a n d o fu a r r i v a t a lasci p e r d e r e le uova che la
c h i a m a v a n o p e r dirigersi verso quelle che n o n la
chiamavano. Ne riemp lo scialle e ripart.
Cammina, cammina, si ritrov in u n a pianura vastissima. Qui le venne fatto di esclamare: Fortunato
colui che potesse abitare qui con degli schiavi, dei
dipendenti, dei pastori e u n a gran quantit di bestiame: u n o che piantasse qui la sua tenda e si stabilisse
qui, in mezzo alla pianura!.
Mentre continuava a camminare in mezzo a questa pianura, le cadde un uovo, che si ruppe, lasciando fuoriuscire schiavi e cammelli. Si ferm allora a
rompere tutte le altre: ruppe un uovo e ne uscirono
m u c c h e e schiavi; ne r u p p e un altro e ne uscirono
dei vitelli con degli schiavi che se ne occupavano; ne
r u p p e un terzo e ne uscirono capre e relativi schiavi;
ne r u p p e un quarto e ne usc dell'argento; ne r u p p e
un quinto e ne usc dell'oro; ne ruppe un sesto e ne
417

uscirono cavalli e cavalieri; ne ruppe un settimo e ne


usc il suo sposo e la sua tenda; ne ruppe un ottavo e
ne uscirono delle schiave. Le schiave m o n t a r o n o la
tenda, ed essa and a stabilirvisi con il marito e con
le sue schiave.
Q u a n d o il p a d r e che l'aveva m a l t r a t t a t a venne a
conoscenza della sua nuova condizione, disse: Oggi
andr a far visita a mia figlia. S, oggi andr a far visita a mia figlia. Indoss u n a tunica di intestini di
asino, calz sandali fatti di zoccoli di asino, si mise
dei pantaloni fatti di pelle di pancia di asino e un velo fatto col posteriore di un asino, dopodich si mise
in viaggio per andare a trovarla.
Quando fu da lei, essa ordin alle schiave: Ors,
sgozzate il toro pi grosso! Sgozzatelo per m i o padre!. Ed esse lo sgozzarono, lo prepararono e lo cucinarono. Poi essa c o m a n d a u n o schiavo: Lava
mio padre! e subito venne accontentata. Quindi gli
diede u n a tunica di tessuto indaco di Kora, dei pantaloni di raso, u n a t u n i c a di t e s s u t o i n d a c o di
Keykey, un velo normale, u n o di tessuto indaco e un
paio di sandali.
Dopodich, gli fece servire la carne dagli schiavi, dicendo loro: Andate, date da mangiare a mio padre
carne finch ne vuole. Gli fece mettere a disposizione
splendidi letti e stuoie e gli fece servire la carne. Calzati dei sandali, and essa stessa a porgergli la carne.
Il p a d r e si mise a m a n g i a r e a q u a t t r o palmenti.
Dopo un po', la figlia gli chiese: Padre, ci sono ancora delle parti di carne che tu desideri p e r essere
soddisfatto?.
Dapprima il padre rispose: Il fegato e il cuore.
Ma poi, sopraffatto dalla vergogna per il m o d o in cui
veniva trattato da colei che tanto male da lui aveva
ricevuto, esclam: Terra, apriti sotto di me! Terra,
inghiottimi!.
418

Ma la figlia intervenne: No, terra! Non inghiottire mio padre!.


Dopo un po' la figlia gli chiese ancora: Padre, ci
sono ancora delle parti di carne che tu desideri per
essere soddisfatto?.
Il fegato e il cuore. E poi: Terra, apriti sotto di
me! Terra, inghiottimi!.
No, terra! Non inghiottire mio padre!
Pass ancora un po' e la terra cominci a inghiottirlo. Gi n o n si sentiva pi la voce del padre, inghiottito dalla terra, quando la figlia implor: Terra, ti prego, lascia andare mio padre! Quando gli ho
fatto quella domanda, non intendevo farlo vergognare del suo comportamento! Semplicemente, per essere soddisfatto desiderava ancora il fegato e il cuore del toro. Terra, lascia andare mio padre!.
La terra lasci allora libero il padre, e la figlia si
affrett a dirgli: Padre, quello che ti successo n o n
causato dalla mia domanda. Il fatto che da quando, ancora lattante, rimasi orfana e mia madre, morendo, mi lasci a te, il tuo comportamento nei miei
c o n f r o n t i stato influenzato dal t u o a m o r e per la
t u a nuova moglie, che per me era u n a m a t r i g n a e
non mi voleva bene; e sei arrivato al punto di uccidere la mia mucca....
Il padre si avvi per tornare al suo accampamento, e la figlia gli diede tutto quello che poteva: bestiame e altri doni. Arriv al p u n t o di fargli o m a g g i o
p e r f i n o di alcuni schiavi. Il p a d r e p a r t e m a r c i ,
marci a lungo, e mentre era ancora in cammino, a
un certo punto la terra lo inghiott.
Dopo qualche tempo, la notizia che la terra aveva
inghiottito suo p a d r e giunse alle orecchie della ragazza, che disse: E adesso, cosa far? Ors, terra,
cessa di tenere mio padre nelle tue viscere!. Ma le
fu risposto: Ohib, pensi forse che quello che fa la
419

terra quando inghiotte un u o m o lo possa fare senza


che ne sia a conoscenza l'Onnipotente?.
Queste parole la illuminarono, ed essa si sottomise alla volont divina.
Ecco, il mio racconto finito. Riavvolgi il nastro
che lo risentiamo.

7. LA F A N C I U L L A E LA M A T R I G N A CATTIVA

C'era u n a volta un u o m o che aveva u n a figlia. La


madre della ragazza era morta, e il padre si era ben
presto risposato con u n a d o n n a che aveva gi u n a figlia sua. Dopo che l'ebbe sposata, costei venne ad
abitare nella tenda che era stata della moglie morta.
Installata cos la nuova moglie, l'uomo se ne part
per u n a razzia. Era solito infatti fare razzie di mucche. Tra le bestie che si era cos procurato ce n'erano
una nera, u n a giallo-oro e u n a col muso bianco.
Partendo, l'uomo lasci la figlia con la d o n n a che
aveva sposato e che, c o m e si gi visto, aveva gi
u n a figlia propria. E, via il padre, questa donna ebbe
in suo potere la figlia. Le dava da mangiare solo insetti e cose disgustose; le lasciava la testa spettinata,
senza farle la treccia. Quanto a sua figlia, invece, se
la pettinava, le faceva la treccia, le faceva ogni genere di cosa piacevole, la nutriva a saziet.
Quando le ragazze erano al pozzo, la gente diceva:
Schifo-schifo ben pettinata, mentre Capelli-d'oro
tutta spettinata!.
Tornate a casa, la m a d r e chiese: Cosa h a n n o detto uomini e donne?.
H a n n o detto: "Capelli-d'oro t u t t a s p e t t i n a t a
mentre la racchia ben pettinata!".
La d o n n a prov allora a d a r da m a n g i a r e cose
buone e a pettinare per bene la figlia del marito, la420

sciando invece spettinata la propria figlia e dandole


da mangiare insetti.
Tornate che f u r o n o un'altra volta al pozzo, la gente
disse: Capelli-d'oro ben pettinata, mentre Schifoschifo tutta spettinata!.
A questo punto la donna non seppe pi che fare: la
sua mente era obnubilata. Alla fine decise di ricorrere a un sortilegio in conseguenza del quale la figliastra perse la ragione e and a vivere in un branco di
gazzelle.
La matrigna prese un mortaio e un pestello e and
a seppellirli in m o d o da simulare u n a tomba, affinch il padre, al suo ritorno, credesse che la figlia era
morta.
Essa aveva u n a cagna, chiamata Rosicchia-midollo. Quando pass il branco di gazzelle tra le quali vi
era la ragazza, la cagna corse verso di loro cercando
di riprenderla. Ma costei prese a cantare:
Va', va', va', Rosicchia-midollo,
tan-gangana
Non credermi gazzella
tan-gangana
stata la moglie del babbo
tan-gangana
Che mi ha cos ridotta
tan-gangana
Mentre lui era via per far razzia
tan-gangana
Per far razzia di mucche
tan-gangana
Una nera
tan-gangana
E quella nera mia
tan-gangana
Un'altra ha il muso bianco
421

tan-gangana
E un'altra giallo-oro
tan-gangana.
La c a g n a fece allora r i t o r n o a l l ' a c c a m p a m e n t o .
L'indomani la cosa si ripet. Quando pass il branco
di gazzelle, la donna incit la cagna: Su, su, Rosicchia-midollo, guarda le gazzelle!. La cagna raggiunse la ragazza trasformata in gazzella e cerc di afferrarla, ma essa torn a cantare:
Va', va', va', Rosicchia-midollo,
tan-gangana
Non credermi gazzella
tan-gangana
stata la moglie del babbo
tan-gangana
Che mi ha cos ridotta
tan-gangana
Mentre lui era via per far razzia
tan-gangana
Per far razzia di mucche
tan-gangana
Una nera
tan-gangana
E quella nera mia
tan-gangana
E quella giallo-oro mia
tan-gangana.
La cosa si ripet anche il giorno successivo: la ragazza pass ancora l vicino, la cagna le corse incontro cercando di afferrarla, ma la fanciulla le cant:
Va', va', va', Rosicchia-midollo,
tan-gangana
422

Non credermi gazzella


tan-gangana
stata la moglie del babbo
tan-gangana
Che mi ha cos ridotta
tan-gangana
Mentre lui era via per far razzia
tan-gangana
Per far razzia di mucche
tan-gangana
Una nera
tan-gangana
E quella nera mia
tan-gangana
E quella giallo-oro mia
tan-gangana.
Quando finalmente il padre della fanciulla fu di ritorno, chiese: Dov' la ragazza?.
Ahim, Allah grande, che Dio abbia piet di lei!
Essa morta. proprio morta. Questo il luogo dove giace. E mostrandogli il luogo in cui aveva sepolto mortaio e pestello, ripet: qui che giace.
L'uomo si sedette l accanto, e proprio in quella
passarono di l le gazzelle. E anche allora la cagna si
mise a correre, cercando di afferrare la ragazza, la
quale le cant:
Va', va', va', Rosicchia-midollo,
tan-gangana
Non credermi gazzella
tan-gangana
stata la moglie del babbo
tan-gangana
Che mi ha cos ridotta
tan-gangana
423

Mentre lui era via per far razzia


tan-gangana
Per far razzia di mucche
tan-gangana
Una nera
tan-gangana
E quella nera mia
tan-gangana
E quella giallo-oro mia
tan-gangana
E quella dal muso bianco mia
tan-gangana.

Il padre ud tutto. Si alz, and dalla donna e gliele suon di santa ragione. Quindi scacci lei e la figlia e le lasci sole nella steppa.
Eresse quindi u n a tenda bellissima. La rivest di
coperte. Vi colloc dei letti e della mobilia bellissima. Vi fece bruciare dell'incenso p r o f u m a t o .
And quindi verso il branco di gazzelle, lo aggir e
lo
sospinse verso la tenda
u m a n a . Q u a n d o la r a g a z z a p a s s vicino a q u e s t a
tenda cos bella non resistette alla tentazione di entrarvi per vedere che cosa vi fosse celato all'interno.
E q u a n d o fu dentro, prese ad aggirarsi rapita tra tutti questi mobili cos belli. Cos il padre riusc ad afferrarla e, u n a volta che l'ebbe presa, le pot tagliare
il
pelo di gazzell
su t u t t o il corpo. La rese n u o v a m e n t e presentabile
ed essa ridivent bella come un tempo.
Il racconto si f e r m a qui, Dominique. finito. Lo
ha scacciato Katia.

424

8. KUTYANGA, IL FRATELLINO ASTUTO


E LA V E C C H I A JINNIYA

Si racconta che c'era u n a volta u n a donna. Uno dopo


l'altro, essa aveva messo al m o n d o sette figli. Ma ogni
volta che ne partoriva uno, arrivava u n a jinniya che si
portava via il neonato. Finalmente ne nacque u n o che
non venne portato via. Si chiamava Kutyanga.
La jinniya si era p o r t a t a via, dunque, tutti i fanciulli, e li aveva radunati tutti in un posto, con l'intenzione di sgozzarli. Ma proprio il giorno in cui intendeva sgozzarli, il loro fratellino chiese alla m a d r e
notizie dei fratelli.
Tu hai dei fratelli maggiori, ma se li portati via
tutti u n a jinniya.
Il ragazzo, che aveva u n a capretta di nome Abla,
disse alla madre: Per favore, m a m m a , non mi sgozzare Abla, perch con lei che andr alla ricerca dei
miei fratelli maggiori.
Attese quindi che la capra fosse cresciuta. E quando fu cresciuta, part a cavallo della capra e raggiunse il luogo in cui si trovavano i suoi fratelli. Nascose
quindi la capra e prese ad aggirarsi nei dintorni, attendendo che si preparassero a dormire. Fu solo allora che si avvicin, quatto quatto.
La vecchia jinniya che li aveva rapiti li aveva dati
in moglie alle proprie figlie, che erano pari a lei in
perfidia. Approfittando del fatto che la jinniya era
andata a raccogliere fascine di legna con l'intenzione
di sgozzarli e cucinarseli, il ragazzino si intrufol da
loro e li avvert: Questa notte, proponete alle vostre
mogli uno scambio di indumenti.
E cos fecero: proposero alle mogli di scambiarsi
gli indumenti, ed esse accettarono.
Calata la notte, la jinniya si avvicin di soppiatto.
Al suo arrivo, le mogli si erano gi coperte il volto
425

col velo degli u o m i n i m e n t r e gli u o m i n i avevano i


fianchi cinti con la sopravveste delle donne. Sollev
la parte inferiore del velo (ricordiamoci che tutte le
donne, avendo messo il velo dei mariti, sembravano
degli uomini), sgozz col suo coltello quelli che credeva degli uomini e usc. Pass da u n a tenda all'altra
finch non ebbe sgozzato sette persone.
Q u a n d o la vide uscire per c e r c a r e altra legna,
Kutyanga and a ridestare e far fuggire i fratelli. La
vecchia, credendo di sgozzare i giovani rapiti, aveva
invece sgozzato le proprie figlie m e n t r e questi ultimi
erano rimasti incolumi.
Essa aveva anche un'altra figlia, non maritata, alla
quale disse: Domattina all'alba va' a destare le tue
sorelle che stanno dormendo accanto ai cadaveri dei
mariti. E l ' i n d o m a n i all'alba la figlia a n d a fare
quanto le era stato detto. Ma in ogni letto essa trov
u n a sola persona, e quando si rese conto di ci che
era successo, cominci a piangere a calde lacrime. A
giorno inoltrato sopraggiunse la vecchia, e la figlia le
disse: Mamma, nelle tende n o n ho trovato a n i m a
viva: in ognuna c'era solo u n a persona sgozzata.
Ahim, sono perduta. Solo Kutyanga pu avermi
giocato un simile tiro!
E cos dicendo ripart alla ricerca del ragazzo. Cerca che ti cerca, alla fine lo trov presso degli artigiani.
Avvicinandosi di soppiatto, riusc a catturarlo e a portarselo via. Lo port via e lo gett in un pozzo, dopodich and a raccogliere legna, non prima di avere
consegnato alla figlia un grosso randello con questa
raccomandazione: Adesso bada che non esca; se cerca di venir fuori, picchiaglielo sulla testa!.
Kutyanga, q u a n d o era stato catturato, aveva in tasca dei pezzetti di c a r b o n e di legna, e in f o n d o al
pozzo si mise ostentatamente a masticarli. La figlia
426

della jinniya che faceva la guardia gli chiese: Che


cosa stai mangiando?.
Dei datteri. Me li ha dati il sultano.
Fammeli assaggiare.
No. A m e n o che tu non entri qui facendo uscire
me. Solo q u a n d o sarai entrata te li far assaggiare:
te li dar appoggiandoli sulla camicetta che adesso
l, vicino al bordo del pozzo. Quando avrai finito di
mangiare i datteri, rientrer io e uscirai tu.
E cos fecero: la ragazza scese nel pozzo m e n t r e
lui ne usciva. Appena fuori brand lui il randello alto
sopra la testa, mentre lei, arrivata sul fondo, scopr
che non c'erano datteri, ma solo dei pezzi di carbonella.
Dove sono i datteri?
Sono qui.
E quando vide arrivare la madre di lei, Kutyanga
la avvis: Sta venendo qui t u a madre. S e n t e n d o
avvicinarsi la jinniya, la figlia la implor: Ahim,
sono perduta! Mamma, non mi bruciare! Ahim, sono perduta! Mamma, non mi bruciare!. Ma costei,
appena arrivata, cominci a gettare la legna nel pozzo. Ne gett un bel po', e alla fine le diede fuoco.
Kutyanga intanto se n'era andato per la sua strada. La jinniya si mise alla sua ricerca per vendicarsi.
Cerca che ti cerca, le capit di trovare u n a sorella
minore di Kutyanga, che gi da molto tempo si era
sposata ed era andata a stare con la famiglia del marito. In quel m o m e n t o si trovava in visita ai suoi genitori. E l la vecchia jinniya la trov, e le cav un occhio, rendendola guercia.
Q u a n d o la vide ridotta cos, Kutyanga le chiese:
Chi ti ha fatto questo?.
stata la jinniya.
Che sia maledetta! Adesso le far vedere io!
E p a r t alla sua ricerca. I n t a n t o , a n c h ' e s s a era
427

s e m p r e alla ricerca di lui. K u t y a n g a giunse in un


luogo in cui scav un pozzo profondo, terminato il
quale prese u n a coperta e la pose sull'imboccatura.
Celata in questo m o d o l'apertura, si mise ad aspettare l vicino.
Q u a n d o la vide arrivare, le disse: Mettiti t r a n quilla, sono qui che ti sto aspettando. Smetti di perseguitarmi e io voglio dimenticarmi tutto quello che
mi hai fatto. Siediti qui e discutiamo sul modo di sistemare con giustizia la nostra contesa.
La jinniya si avvicin, sal sulla coperta e si ritrov
in fondo al pozzo. Kutyanga prese della legna, ve la
gett dentro e le diede fuoco, facendola cos morire.
Aveva cancellato tutta la sua stirpe.

9. T E R S H E D D A T E LE SUE COMPAGNE G E L O S E

C'era u n a volta u n a fanciulla di n o m e Tersheddat.


Bisogna s a p e r e che q u e s t a Tersheddat era o d i a t a
dalle sue compagne perch era pi bella di loro. Si
recarono a un pozzo, che apparteneva a un u o m o di
nome K a m e n d a . Qui giunte, le dissero: Ors, Tersheddat, aiutaci ad attingere acqua; Tersheddat, aiutaci ad attingere acqua e ti potrai lavare anche tu.
No, io faccio il bagno nel latte, non mi lavo con
l'acqua.
Suvvia, vieni a fare un bagno; dopo esserti lavata
con l'acqua, al t u o r i t o r n o p o t r a i s e m p r e risciacquarti col latte.
Essa si rifiut, ma le compagne insistettero a lungo, ed essa fin per andare ad attingere l'acqua. Mentre stava svolgendo questa operazione, le compagne
le diedero u n a spinta e la fecero cadere nel pozzo.
Poi fecero ritorno all'accampamento.
Cos Tersheddat era improvvisamente scomparsa.
428

N o n la si trovava pi. Vennero a c e r c a r l a a n c h e i


suoi genitori, ma n o n la t r o v a r o n o . P r o v a r o n o a
chiedere in giro ma non ottennero alcuna informazione utile. Tuttavia c o n t i n u a r o n o a cercarla senza
smettere, finch un giorno...
Bisogna sapere che la ragazza, stando nel pozzo,
si era t r a s f o r m a t a in un uccello. E cos un giorno
u n o schiavo di suo p a d r e , a d d e t t o al pascolo dei
cammelli, a n d a pascolarli e, nel suo girovagare,
pass p r o p r i o di l. E m e n t r e si trovava nei pressi
con i suoi cammelli, la vide, appollaiata su un albero. E lei, bench t r a s f o r m a t a in uccello, q u a n d o lo
vide prese a cantare:
Questo cammello di mio padre,
questa cammella di mia madre,
questo schiavo di mio padre,
e io sono Tersheddat
che le mie parenti hanno gettato
nel pozzo di Kamenda.
Lo schiavo tese l'orecchio, e di nuovo essa cant:
Questo cammello di mio padre,
questa cammellate di mia madre,
questo schiavo di mio padre,
e io sono Tersheddat
che le mie parenti hanno gettato
nel pozzo di Kamenda.
Per tre volte lo schiavo ud questo canto. E subito
si affrett all'accampamento. E q u a n d o vide i genitori della ragazza disse loro: Ho visto Tersheddat
appollaiata su un albero!.
Ma va' l, schiavo, e dove sarebbe Tersheddat,
scomparsa e trasformata in uccello?
429

Ors, venite tutti e due e ve la far vedere!


Ma va' l, e dove sarebbe Tersheddat?
Questo dialogo si ripet per tre volte, ma alla fine i
genitori della r a g a z z a p a r t i r o n o con lo schiavo e
quando f u r o n o arrivati, egli li fece arrestare in prossimit del luogo, al quale si diresse lui solo. Quando
lo vide avvicinare, l'uccello cant:
Questo cammello di mio padre,
questa cammella di mia madre,
questo schiavo di mio padre,
e io sono Tersheddat
che le mie parenti hanno gettato
nel pozzo di Kamenda.
Tesero l'orecchio, e di nuovo essa cant:
Questo cammello di mio padre,
questa cammella di mia madre,
questo schiavo di mio padre,
e io sono Tersheddat
che le mie parenti hanno gettato
nel pozzo di Kamenda.
Tesero ancora l'orecchio...
Quando ebbero udito pi volte il canto f u r o n o certi che fosse proprio lei. Tornarono all'accampamento
chiedendosi: E adesso c o m e f a r e m o a p r e n d e r e
questo uccello?. Eh, gi, come faremo?
Tennero consiglio per decidere il da farsi. Qualcuno sugger: Andate al pozzo in cui era caduta Tersheddat prima di trasformarsi in un uccello, erigetevi u n a bella t e n d a , rivestita di coperte, p r o p r i o
davanti all'imboccatura del pozzo. Con un po' di fortuna l'uccello decider di fare l il suo nido.
Cos fu fatto: eressero u n a tenda, l'uccello vi entr
430

e decise di costruirvi il suo nido. In tal m o d o poterono prenderla. La sorpresero nel nido che aveva costruito e la riportarono all'accampamento.
Qui giunti, la misero in u n a scatolina di cuoio, dal
m o m e n t o che era p r o p r i o piccola. Col tempo per
crebbe, a tal p u n t o che nella scatolina non ci stava
pi. La misero allora in u n a scatola pi grande. Pass dell'altro tempo, crebbe ancora e divenne troppo
grande anche per questa scatola. La misero allora in
un sacchetto, ma dopo un po' divenne troppo grande
a n c h e per il sacchetto. Si chiesero: Come f a r e m o
adesso?. La misero in un sacco pi grande, ma ben
presto lei super anche le dimensioni di questo sacco. E adesso che ne facciamo? La misero sotto un
letto. Ma lei continu a crescere e dopo un po' non ci
stava pi n e m m e n o sotto il letto.
E adesso che ne facciamo? Me lo dite che cosa ne
facciamo?
Q u a l c u n o p r o p o s e : Cercate un a s i n o g r a n d e e
grosso e mettetecela dentro.
Cos fu fatto: trovarono un asino e Tersheddat vi
entr dentro.
Vi era l vicino un pozzo, al quale la gente era solita attingere acqua. Venivano al pozzo, riempivano
gli otri, abbeveravano il bestiame, e facevano ritorno
dopo avere caricato gli otri sugli asini. Quel pomeriggio, quando fu certo che se ne fossero andati via
tutti, l'asino si rec al pozzo. Qui giunto, la fanciulla
usc fuori, diede da bere all'asino, si lav, lav i vestiti, dopodich m o n t in groppa all'asino e si diresse
all'accampamento. Quando fu nei pressi dell'accamp a m e n t o , rientr nell'asino che giunse solo, venne
scaricato degli otri pieni e se ne and per conto suo.
La cosa si ripet: la gente si rec di b u o n ' o r a al
pozzo, si disset, diede da bere agli asini e fece ritorno all'accampamento, e q u a n d o fu pomeriggio an431

che l'asino prese la via del pozzo, dove si replic lo


spettacolo.
Quando la cosa si ripet per la terza volta, la gente
cominci a chiedersi: Chiss chi d da bere a questo asino!. Non avevano mai visto la persona che si
trovava all'interno dell'asino stesso. Un giovanotto
disse: State un po' a vedere cosa vi faccio! Salir su
quell'albero per vedere chi d da bere all'asino e gli
riempie gli otri che porta sulla schiena.
Il giovanotto a n d d u n q u e ad appostarsi: si arr a m p i c sull'albero che si protendeva sul pozzo, e
quando tutti gli uomini se ne f u r o n o andati spunt
l'asino. Giunto che fu al pozzo, ne usc la ragazza
che gli diede da bere, riemp l'otre, si spogli e si
lav. Ma mentre lei, svestita, si lavava, il giovanotto
balz sui suoi abiti e se ne impadron.
Ridammi i miei vestiti!
No, non te li rido.
Ridammi i miei vestiti!
No, non te li rido, a m e n o che tu non mi dica che
mi ami e mi vuoi sposare. In tal caso ti render i vestiti.
Va bene, ti amo, sposami!
Allora lui le restitu i vestiti ed essa fece ritorno
all'accampamento.
Il giovanotto, tornato anche lui all'accampamento, a n n u n c i ai suoi genitori: Voglio sposare quel
vecchio somaro. Proprio cos. Disse: Voglio sposare quel vecchio somaro.
Ma come, figliolo? Vorresti sposare un'asina?
Infatti essi non sapevano che dentro all'asina vi era
u n a fanciulla, e credevano che lui volesse davvero
sposare un asino.
L'amo, mi trovo bene con lei, voglio sposarla.
I genitori, in lacrime, gli chiesero: Ma come? Vorresti sposare un'asina?.
432

Sposatemi a lei!
E cos prepararono la tenda nuziale e celebrarono
le nozze con l'asina. Una volta eretta la tenda vi legarono l'asina, celebrando cos il rito della sposa che
viene condotta nella tenda nuziale.
Quando gli invitati si furono dispersi, e lo sposo fu
rimasto solo con l'asina, la fanciulla se ne usc in tutta la sua bellezza e il suo splendore. Aveva un aspetto
veramente magnifico. Dopodich i due sposi diedero
u n a pacca all'asina che se ne and.
Orbene, alle p r i m e luci dell'alba, a p p e n a sveglia,
la m a d r e dello sposo and a fargli visita. Si era detta:
"Sar bene che corra a vedere se mio figlio ancora
vivo o se l'asino lo ha ucciso".
Ma appena giunta, le bast un colpo d'occhio per
vedere quanto quella fanciulla fosse bella. Fu tale lo
stupore che perse i sensi. Allora la fanciulla raccolse
alcune stille di sudore dalla fronte, ne asperse la suocera e la fece ritornare in s.
Anche il padre del giovane venne a vedere e cadde
privo di sensi. La fanciulla raccolse alcune stille di
sudore dalla fronte, ne asperse il suocero e lo fece ritornare in s. Quando fu il turno del fratello maggiore, anch'egli si mise a tremare e perse i sensi. La fanciulla raccolse alcune stille di sudore dalla fronte, ne
asperse il cognato e lo fece ritornare in s. Venne la
sorella maggiore del giovane e al vederla perse i sensi. La fanciulla raccolse alcune stille di sudore dalla
fronte, ne asperse la cognata e la fece ritornare in s.
Il racconto se n' andato via di corsa ed finito.

433

Racconti di animali

10. L O S C I A C A L L O E L A L E P R E

Vi racconter quello che successo allo sciacallo e


alla lepre.
C'erano u n a volta due amici, M o k h a m m e d e Fatimata. Mokhammed era lo sciacallo e Fatimata era la
lepre. F a t i m a t a aveva u n a m u c c a e M o k h a m m e d
aveva un bue. Un bel giorno, Fatimata rimase all'acc a m p a m e n t o , m e n t r e il suo c o m p a r e M o k h a m m e d
era a n d a t o al pozzo. Bisogna sapere che da molto
tempo Mokhammed era invidioso del fatto che Fatim a t a avesse a disposizione t a n t o latte m e n t r e lui
non poteva averne. Orbene, quel giorno in cui si rec
al pozzo, vi trov la mucca di Fatimata. La affront,
lott a lungo con lei finch riusc a farla cadere e a
ricoprirla di fango. Al ritorno dal pozzo, si mise a inseguire la mucca, gridando alla lepre: Ehi, tu, attenta a quell'animale feroce!. Allora la lepre, n o n
sapendo che si trattava della sua mucca ricoperta di
fango, la colp e la abbatt.
Morta la mucca, i due la tagliarono in pezzi e fecero essiccare la sua carne. Quindi, riempirono ciascuno il proprio sacco di questa carne secca e partirono.
Avevano d u e asini uguali, e a n c h e i sacchi e r a n o
identici. I sacchi, anche a osservarli bene, non si distinguevano l'uno dall'altro. Gli asini, anche a osservarli bene, n o n si distinguevano l'uno dall'altro. Si
misero dunque in viaggio e c a m m i n a r o n o fino a un
434

luogo in cui passare la notte. Qui giunti, lo sciacallo


rub, senza farsi scoprire, il sacco della sua amica
lepre. Ne estrasse tutta la carne che c'era dentro e lo
r i e m p di n u o v o con quei r e s i d u i di fieno che si
estraggono dallo stomaco dei ruminanti, lasciando
solo u n o strato di carne vicino all'apertura.
Quando torn la luce del giorno, caricarono i sacchi sugli asini e partirono. Erano gi in c a m m i n o da
un po' quando, a un certo punto, la lepre tast il
sacco e lo trov leggero come se non ci fosse dentro
nulla. Allora disse a Mokhammed: Amico, ho dim e n t i c a t o il m i o p u n t e r u o l o . Potresti t o r n a r e nel
luogo in cui a b b i a m o pernottato e riportarmi il punteruolo?. Ma certo rispose. Vado io perch sono
pi veloce. Tu ci impiegheresti di pi. E, fatto dietrofront, si mise in marcia fino a raggiungere quel
luogo. Ma per quanto cercasse, dovette tornarsene a
mani vuote.
Al ritorno era furente, e si rivolse a Fatimata dicendole: Bene, a questo punto le nostre strade si dividono. Tu non mi sei di alcuna utilit, e inoltre mi
hai ingannato: mi hai fatto fare u n a grande stancata
ma non avevi perso un bel nulla. E invece s, essa
rispose me l'ero proprio dimenticato.
Bisogna sapere che, mentre lo sciacallo era sulla
via del ritorno, la lepre, approfittando del tempo in
cui erano rimasti divisi, era balzata sull'asino dello
sciacallo che era carico di carne.
Dunque si separarono: lei se ne and in u n a direzione e lui in un'altra.
Cammina, cammina, lo sciacallo si imbatt in un
gruppo di Tuareg. Quando li vide and loro incontro
dicendo: Bene, bene: eccomi qua. A c h i u n q u e mi
porter u n a scodella piena di latte dar in c a m b i o
dei pezzi di carne.
I Tuareg a n d a r o n o da lui portandogli scodelle di
435

latte. Ottenne tanto latte, ma la carne n o n c'era pi.


Ignaro, cominci a tirare fuori i cinque pezzetti che
vi erano all'imboccatura del sacco, ma sotto di essi
non trov pi nulla.
I Tuareg lo presero, lo legarono al tronco di un albero e gli dissero: Adesso per punizione ti legheremo qui e ti riempiremo di bastonate. E gi bastonate, gi b a s t o n a t e f i n o a stancarsi. Alla fine se ne
a n d a r o n o lasciandolo legato.
Dopo tre giorni e tre notti riusc a rompere la corda e ad andarsene. Si mise in c a m m i n o f u r i b o n d o
nei confronti della lepre che lo aveva ingannato. La
cerc, la cerc, la cerc finch la trov seduta su un
albero, sotto il quale aveva acceso un fuoco per abbrustolire la carne, che faceva pendere dall'alto.
Da dove a r r i v i , M o k h a m m e d ? gli c h i e s e la
lepre. Ed egli rispose: Vengo da un a c c a m p a m e n t o
dove ho lasciato le mie cose: u n a gran quantit di
ricchezze e di bestiame. Se accetti di venire, ti ci
porto. No, non posso. Sto facendo questo lavoro.
Allora, f a m m i salire l sopra! D'accordo. E gli
cal u n a fune dicendogli: Afferrala!. Egli afferr
la f u n e e disse: La tengo! Tirami su!. Essa cominci a tirarlo su, ma a met strada egli disse: Soffoco!. Allora lo fece ridiscendere. Ma quando lo ebbe
calato (sul fuoco), egli grid: Brucio, brucio!. E la
lepre: Qualunque cosa io faccia tu trovi sempre da
ridire!. E lo lasci bruciare finch n o n le sembr
morto. Dopodich lo gett da parte. Dopo essersi assicurata che fosse veramente morto, lo trascin via
e lo lasci in terra.
Sopraggiunse u n a schiava, che passava da quelle
parti. Lo raccolse e si mise a saltare dalla gioia: Che
bellezza, che bellezza, avevo proprio bisogno di un
otre! Che bellezza, un otre!. Terminate queste manifestazioni di gioia, lo prese e lo mise in un vassoio
436

pieno di giuggiole. Arrivata sotto un albero, si ferm


per riposarsi all'ombra. Lasci quindi la pelle destinata a diventare un otre, insieme al vassoio e a un
bambino, e se ne and in giro.
Al suo ritorno, delle giuggiole non ne era rimasta
n e m m e n o una. Pens che se le fosse mangiate il bambino e gliele suon di santa ragione.
Dopo un po' lasci stare il bambino, prese la pelle
per l'otre e la port a u n a pozza d'acqua per bagnarla.
Qui giunta, la bagn e la riport poi da un'artigiana
per farla cucire. Arrivata dall'artigiana, le diede l'incarico di fabbricare un otre. L'artigiana prese a esaminare ben bene la pelle ma l'unico foro che trov fu
quello dell'occhio. Credendolo un buco, vi ficc dentro un punteruolo.
Lo sciacallo diede un balzo improvviso, ricadde
lontano e fugg di corsa, lasciando le due donne int e n t e a discutere, r e c l a m a n d o quello che avevano
perduto: u n a il suo punteruolo, l'altra il suo otre.
Lui se ne era andato, riprendendo il suo girovagare.
Qui finisce il racconto. Lo i n s e g u o n o M o k h a m med e Fatimata.

11. L A I E N A E L A L E P R E

C'era u n a volta u n a iena che aveva nascosto in u n a


b u c a i suoi piccoli. Ogni giorno sul far del m a t t i n o
partiva per la caccia e ritornava con u n a preda che
poi dava loro da mangiare. Ma un bel giorno... Un
bel giorno giunse u n a lepre, che scopr i cuccioli della iena soli, mentre la loro m a d r e era via. Entr da
loro ed essi le chiesero: Di dove sei, ospite?. Rispose: Io n o n sono un ospite, sono un vostro fratello
pi anziano. E come ti chiami? Il mio n o m e
Tutti-voi.
437

Rimasero a lungo in attesa, finch arriv la iena


col cibo. Di solito, la iena quando portava da mangiare non rivolgeva loro la parola, ma si limitava a
porgere il cibo, e se le chiedevano: Per chi questo? rispondeva: Per tutti voi. E ripartiva senza
n e m m e n o guardarli.
Quel giorno, q u a n d o essa arriv, i cuccioli, afferrando il cibo, le chiesero: Per chi questo?. Ed essa rispose: Per tutti voi. Allora essi lo presero e lo
diedero alla lepre. La lepre mangi senza dire nulla,
anche i cuccioli se ne rimasero quieti senza dir nulla, e la iena torn a cacciare. Attesero ancora a lungo
l'arrivo della iena. Essa torn un'altra volta recando
del cibo, e si limit a porgerlo loro. Per chi questo? Per tutti voi. Allora essi lo presero e lo diedero alla lepre. La lepre mangi la sua razione senza
curarsi degli altri.
Le cose andarono avanti cos per tanto, tanto tempo finch, un giorno, la iena tese l o r o il cibo e si
sent chiedere: Per chi questo cibo?. Per tutti
voi. Ma questa volta rimase l vicino e si sedette,
aspettando che avessero finito di mangiare. Dopodich li chiam: Uscite, fatevi vedere!. Ma essi risposero: Non possiamo. Cosa vi successo? Abbiamo fame! Ah, no! ribatt la iena. Io so bene
di avervi dato da mangiare come si deve. Cosa vi
successo? Tutto quello che trovavo nella savana ve lo
portavo. la lepre che venuta qui qualche giorno fa, dicendoci di chiamarsi Tutti-voi. E cos, ogni
volta che tu portavi del cibo, q u a n d o ti chiedevamo
per chi fosse ci dicevi che era per "tutti voi", e noi lo
p r e n d e v a m o e lo d a v a m o a lei, che se lo mangiava
senza curarsi di noi. Ora capisco! rispose la iena.
E adesso dov'? ancora qui.
Allora la iena disse: Vieni f u o r i , signor Tuttivoi!. Al che la lepre rispose: Un m o m e n t o solo che
438

arrivo. Aspetta che mi preparo. E dopo un po': Comincia a prendere i miei sandali. E fece sporgere in
fuori le sue orecchie. La iena, credendo che fossero
davvero i suoi sandali, afferr le orecchie e le gett
lontano, insieme alla loro proprietaria. Appena la lepre si trov nella savana, si mise a correre di gran
carriera, m e n t r e la iena non se ne curava, intenta
c o m ' e r a a controllare l'ingresso della t a n a . I suoi
cuccioli le dissero: Smetti di cercarla, l'hai f a t t a
uscire. Inutile continuare a chiedere di lei: l'hai gettata fuori insieme ai suoi sandali! Ti ha mentito: non
erano i suoi sandali, erano le sue orecchie!. A quel
punto la iena non ci vide pi dalla collera e si mise a
p e r c o r r e r e il paese in lungo e in largo alla ricerca
della lepre. E la lepre, da parte sua, si mise a correre
a tutta velocit.
Il racconto finito. Lo h a n n o cacciato Fatimata e
Mokhammed.

12. L ' E L E F A N T E E L O S C I A C A L L O

C' un racconto che voglio farvi, io Mokhammed Ag


Ghali. Si tratta di uno che si preso gioco del capo
degli animali della savana, vale a dire dell'elefante.
Colui che si prese gioco dell'elefante Mokhammed lo sciacallo. I due erano compagni inseparabili,
e andavano sempre insieme, fino a un certo giorno.
Essi avevano avuto l'idea di fare u n a passeggiata
nell'interno del paese, e cos se ne stavano a n d a n d o
a spasso. Cammina, cammina, ai due venne sete. In
quella trovarono u n a piccola pozza d'acqua. Ma questa piccola pozza n o n era sufficiente per dissetare
entrambi. L'elefante disse al suo compagno: Bevi tu
che n o n hai u n o stomaco molto capace. Lo sciacallo si accost alla pozza ma si limit a poche sorsate
439

rapide, bevve poco sostenendo che per lui era abbastanza. L'elefante lo esort: Bevi!, ma lui rispose:
Mi basta cos. Allora l'elefante con la sua proboscide prosciug tutta la pozza, lasciando soltanto del
fango. A questo punto ripresero il cammino.
Cammina, cammina, quando f u r o n o in un certo
punto, lo sciacallo disse: Elefante, io ho sete, n o n ce
la faccio pi ad andare avanti. Sento che morir. E
l'elefante di rimando: Be', ci devo pensare: al giorno
d'oggi non ci si pu fidare di nessuno, perfino gli amici tradiscono la fiducia di chi li ha rifocillati!.
Ma che dici! Come p o t r e i t r a d i r e la f i d u c i a di
u n o che mi ha fatto bere? Se mi fai bere, come potrei farti qualcosa di male?
Se non fosse che temo che tu tradisca la mia fiducia, l'unica soluzione sarebbe di farti entrare nel
mio stomaco per bere.
Non andr da nessuna parte. Mettimi l dove io
possa bere!
Va bene, vieni qui. E cos dicendo gli apr il proprio ano e lo fece entrare. Lo sciacallo l dentro trov
l'acqua e si mise a bere, a bere, a bere. Dopo un po', finito di bere, guard alla propria destra e vide i reni;
guard a sinistra e vide il grasso. Ne tagli via un pezzo. L'elefante gli chiese: Ehi, ehi, cosa stai facendo?. Ma lo sciacallo non se ne cur e torn a dilaniare le interiora. Di nuovo l'elefante ripet: Ehi, ehi,
vieni fuori, ti ho detto! Cosa stai facendo?. Ma anche
questa volta lo sciacallo non si cur di lui e continu a
tagliuzzare di q u a e di l. Quand'ebbe finito di lacerare le interiora, l'elefante cadde morto. E q u a n d o fu
sazio, lo sciacallo usc fuori.
In breve si sparse la voce che l'elefante era morto.
Il re degli animali, il leone, r a d u n i suoi sudditi dicendo loro: Venite qui tutti!. Essi vennero ed egli li
apostrof: Bene, adesso dovete tutti tagliare a pez440

zetti la carne dell'elefante, e ciascuno deve poi metterne un pezzo a bollire in u n a pentola sul fuoco. Gli
animali andarono, tagliarono in pezzi la carne, accesero il fuoco e vi misero sopra le pentole. Il leone prosegu: Adesso, dunque, tutte le pentole sono sul fuoco. Colui il cui pezzo di carne domattina non sar
ancora cotto si riveler l'uccisore dell'elefante, e sar
punito con la morte. Terminato che ebbero di mettere le pentole sul fuoco, andarono tutti a dormire.
Ma tu, sciacallo, proprio tu laggi, tu lo sai cosa ti
aspetta, e per tutta la notte non hai dormito.
Assaggia il p r o p r i o pezzo di c a r n e , c o r r e tra le
pentole, ne assaggia il contenuto, torna indietro, ed
solo il suo pezzo che n o n si decide a cuocere. Corre
di qui, corre di l, torna indietro, va di qua, va di l,
ma n o n c' p r o p r i o m e z z o di f a r c u o c e r e la c a r n e
della sua pentola. Va ad assaggiare quella della iena,
ed quasi pronta. La lascia, torna e si stende come
per dormire. Dopo un certo tempo, eccolo partire,
andare alla pentola della iena e rubarla. Dopo averla
rubata, la mise sul suo fuoco, poi prese la sua pentola e la port sul fuoco della iena. Quindi torn e si
addorment.
Poco prima dell'alba giunse il leone per passare in
rassegna le pentole e procedere all'assaggio; convoc
quindi tutti gli animali, facendoli alzare. Dopo averli
fatti alzare, disse: Bene, che ciascuno prenda la propria pentola e la deponga davanti a s. Vennero tutti
con le loro pentole, e ciascuno si sedette davanti alla
propria. Il leone le pass in rassegna u n a per u n a finch n o n le ebbe terminate tutte. Ritorn quindi indietro fino a quella della iena, l'unica ad avere la carne
non cotta.
Allora presero la iena e si misero a batterla di santa ragione, fino a farla morire. R e c i t a r o n o la preghiera su di lei, perch era stata punita con la morte.
441

13. L O S C I A C A L L O , L ' O T A R D A E L A I E N A

C'era u n a volta u n o sciacallo che, all'inizio, n o n aveva


altro cibo che le galline faraone. Ma allora le faraone
non potevano volare, in quel tempo non ne erano capaci. Lo sciacallo non doveva far altro che raggiungerle e mangiare, mangiare, mangiare. Quando era sazio,
se ne andava. E la mattina dopo tornava da loro per
mangiare.
Finch un giorno giunse da loro u n ' o t a r d a , che
chiese loro: Ma in conclusione, che cos' che vi sta
sterminando?.
Lo sciacallo.
E come ha fatto a sterminarvi?
Mangiandoci.
Ma perch vi mangia?
E cosa possiamo fargli noi? Non possiamo affrontarlo perch pi forte di noi: noi siamo deboli.
Ma non sapete volare?
No, no!
L'otarda disse allora: Guardate, la prossima volta
che lo vedrete arrivare, mettetevi tutte a schiamazzare, d o p o d i c h salite in c i m a a un albero, e a quel
punto n o n potr pi mangiarvi.
Ora, la mattina dopo arriv lo sciacallo, molto affamato, ma n o n aveva a n c o r a raggiunto le faraone
che queste si misero a schiamazzare e si affrettarono
a salire in cima a un albero. Egli chiese loro: Chi vi
ha insegnato a fare cos?. stato M o k h a m m e d coi-Pantaloni, l'otarda. Allora lo sciacallo part alla
ricerca dell'otarda. Cerca di qua, cerca di l, non riuscendo a trovarla decise di a n d a r e sotto un albero
della g o m m a trasudante g o m m a arabica e si seppell
sotto questo albero lasciando fuori solo le fauci.
Tu, otarda, q u a n d o passi di l, n o n stai t r o p p o a
442

controllare, dal m o m e n t o che n o n vedi altro che


g o m m a arabica.
Eccola dunque passare di l, alzare lo sguardo alla
cima dell'albero per contemplare la g o m m a arabica,
finendo cos per trovarsi sopra le fauci dello sciacallo. Con un balzo lo sciacallo le afferr u n a zampa.
L'otarda gli chiese: Caro amico, cosa vuoi da me,
per avermi afferrato in questo modo?. E lo sciacallo
rispose: con te che ce l'ho. Cerco proprio te.
Che cosa ti ho fatto?
Che bisogno avevi di insegnare a volare alle faraone? Esse sono il mio sostentamento. Adesso che
ti sei intromessa tu e hai insegnato loro a volare, io
morir di fame!
Volare non poi u n a cosa cos difficile. Te lo posso insegnare io, se vuoi, e potrai raggiungerle volando come fanno loro.
Va bene, insegnamelo.
Afferra la mia ala e voleremo tutti e due. Quando
saremo sopra quei pastori, essi diranno: "Guardate,
M o k h a m m e d che vola!". E tu dirai loro "Che Dio vi
benedica!".
Lo sciacallo a f f e r r allora l'ala dell'otarda e cominci a volare con lei. Quando f u r o n o in vista delle
p e r s o n e che, nella p i a n u r a , avevano r a d u n a t o le
greggi per la m u n g i t u r a del mezzod, si sent dire:
Guardate M o k h a m m e d che vola!.
Allora lo sciacallo disse: Che Dio vi benedica!.
(E n e l l ' a c c o m p a g n a r e il saluto c o n un gesto, si
stacc dall'ala dell'otarda.)
Lo sciacallo p i o m b sui Tuareg che lo presero e si
misero a picchiarlo, a picchiarlo fino a ridurlo a mal
partito. Gli fecero un solido recinto e ve lo legarono
dentro. Lo sciacallo rimase l cinque giorni, durante
i quali lo fecero bersaglio dei sassi che erano soliti
mettere nelle pentole in cui cuoceva il latte per fare
443

il formaggio, e degli ossi avanzati dai pasti. Il quinto


giorno la iena si trov a passare da quelle parti. Passando vicino allo sciacallo, lo vide e gli chiese: Come ti trovi qui? Cosa ci fai?.
Che Dio ti benedica! Sono satollo. Vedi gli avanzi
del latte, vedi gli avanzi della carne: non li posso pi
vedere.
Ora, la iena, m o l t o p r o b a b i l m e n t e , n o n aveva
mangiato nulla da diverso tempo, per cui disse allo
sciacallo: Mi faresti un favore se facessi stare qui
me per un paio di giorni, finch io non abbia placato
la mia fame. Lo sciacallo rispose: Non ti potrei don a r e nulla di meglio al m o n d o , dal m o m e n t o che
quando u n o si trova in un posto simile non vorrebbe
mai lasciarlo. Alla fine, per, la iena lo preg con
tanta insistenza che lo sciacallo accondiscese a cederle il suo posto. E cos la iena si trov legata al posto dello sciacallo, e lo sciacallo si ritrov libero.
I Tuareg si misero a gridare e a percuoterla, a percuoterla fino a scorticarle la schiena. Con la schiena
ferita, la iena rimase l fino al giorno in cui gli uomini tolsero l'accampamento. Allora caricarono su di
lei la pi anziana delle vecchie, insieme ai suoi capretti e a tutte le sue cose.
La iena stette tranquilla finch non fu sicura che
la gente si era gi messa in viaggio mentre loro erano rimasti indietro, poi disse alla vecchia: Calami
gi un capretto se vuoi che ti trascini in avanti per
un po'. Essa glielo cal e la iena lo mangi. And
avanti cos finch non f u r o n o finiti i capretti, dopodich la iena scaric la vecchia facendola cadere, le
addent u n a coscia e se ne and.
La iena si mise a cercare lo sciacallo. Cerca di qua,
cerca di l, finalmente, un giorno, entrambi si trovarono ad aggirarsi nei pressi dell'accampamento. Lo
sciacallo si accost all'accampamento, e lo stesso fece
444

la iena. Tuttavia fu lo sciacallo a vedere per primo la


iena. Si nascose allora dietro a un sasso e con questo
la colp. Spaventata, la iena se ne and via.
Pass ancora del tempo e la iena raggiunse lo sciacallo. Q u a n d o lo ebbe raggiunto, lo minacci con
forza, mettendolo in difficolt. Perch mi hai fatto
quello che mi hai fatto?
Lo sciacallo rispose: Lasciamo perdere questo;
piuttosto, per questa tua ferita, dovresti procurarmi
u n a pecora bella grassa e io potr curarti. Allora la
iena si mise in cerca, credendo a n c o r a alla parola
dello sciacallo che pure in precedenza l'aveva ingann a t a . Dopo un po' che era in giro, t o r n p o r t a n d o
u n a pecora bella grassa, le tolse la pelle, ne estrasse i
visceri, mentre lo sciacallo mise delle pietre sul fuoco. Q u a n d o q u e s t e f u r o n o rosse, le disse: Bene,
adesso ti metter u n a pietra sul dorso. Quando sentirai dolore, dovrai dire: " S o p p o r t o come m i o padre". Lo sciacallo mise un po' di grasso sulla ferita,
e vi pose sopra la pietra. E la pietra, crepitando, attravers lo strato di grasso e arriv a contatto della
ferita. La iena sopport stoicamente senza muoversi
e la pietra fin per caderle nel ventre.

14. L O S T R U Z Z O E I L R I C C I O

Ecco un racconto che narra quello che accadde tra


un riccio e uno struzzo.
Una volta il riccio disse: Caro struzzo, io ti batto
nella corsa. E lo struzzo di rimando: Sono io che ti
batto nella corsa. E cominciarono cos u n a discussione. Dopo aver lungamente discusso, lo struzzo n o n
era ancora convinto che il riccio potesse competere
con lui nella corsa, e gli disse: Va bene, facciamo co445

s: domani dall'alba al tramonto tu e io faremo u n a


corsa. Il riccio accett.
Il riccio a n d allora a c h i a m a r e i suoi amici, e
quando ne ebbe r a d u n a t o u n a quantit innumerevole, disse loro: Ciascuno di voi a n d r a sistemarsi in
un luogo prestabilito. Ho gi fissato io l'ordine in cui
dovrete mettervi. Quando lo struzzo passer accanto
a u n o di voi e dir: "Riccio!", voi rispondetegli: "Perdi il tuo tempo!". Ci detto, il riccio che aveva avuto
la discussione con lo struzzo se ne and.
Giunto che fu il momento, ebbe inizio la corsa. Lo
struzzo cominci a correre, a correre a pi non posso.
Quando, avendone abbastanza, chiam: Riccio!,
un riccio che era alla sua altezza gli grid: Perdi il
tuo tempo!. Egli aveva gi corso parecchio, ma riprese a correre. Ogni volta che si fermava da qualche
parte, chiamava: Riccio!, e ce n'era sempre uno che
gli rispondeva: Perdi il tuo tempo!.
Ormai lo struzzo era stremato dalla sete, sul punto di morire dalla fatica, eppure c'era sempre un riccio a c c a n t o a lui. Q u a n d o chiamava: Riccio!, ce
n'era s e m p r e u n o che gli rispondeva: Perdi il t u o
tempo!.
Alla fine, non potendone pi, lo struzzo si butt a
terra, vinto dalla stanchezza.
Qui termina il racconto.

15. L O S C I A C A L L O E L O S T R U Z Z O

C'erano u n a volta u n o sciacallo e u n o struzzo. Bisogna sapere che lo struzzo e lo sciacallo litigavano a
proposito delle giuggiole. Ora, essavevano un albero
di giuggiole, ed e r a n o soliti recarvisi, scuotere il
tronco della pianta e mangiare i frutti pi bassi che
avevano fatto cos cadere.
446

Venne per il giorno in cui tutte le giuggiole vicine


alla base erano state mangiate e sull'albero rimanevano solo quelle prossime alla cima. Ora, n lo sciacallo
n lo struzzo arrivavano a queste giuggiole. Allora lo
sciacallo disse: Senti un po', struzzo, facciamo u n a
gara!.
Che gara?
Una gara per vedere chi di noi due riesce a scavalcare il giuggiolo con un salto.
Va bene, facciamo questa gara!
Lo sciacallo disse allora: Comincer io. Solo che
q u a n d o sostengo u n a prova difficile non a m o che mi
si guardi. Facciamo cos: tu guarda di l e non guardare me. Se mi guardi, non riuscir a fare un b u o n
salto.
Era u n a menzogna: lo sciacallo sapeva bene quello
che diceva. Lo struzzo guard dall'altra parte e non
guard lo sciacallo. Lo sciacallo si mise a correre, oltrepass il giuggiolo, e non appena lo ebbe superato
gli disse: Ecco! Io l'ho saltato. Adesso tocca a te.
Solo allora lo struzzo si gir a guardare, e vedendo
lo sciacallo al di l dell'albero credette che avesse fatto un salto. A questo punto lo struzzo prese la rincorsa. Quando fu a poca distanza dal giuggiolo spicc il
salto e... patapunfete, fin impigliato tra i suoi rami.
Ora, cercando di tirarsi fuori, fece cadere delle
giuggiole, e lo sciacallo si mise a raccoglierle e a mangiare, a mangiare... Quando ebbe finito di mangiare,
disse allo struzzo: Divincolati, e vedrai che ricadrai
gi!. Lo struzzo si agit, col solo risultato di far cadere u n a gran quantit di giuggiole, che lo sciacallo si
affrett a mangiare. E la cosa and avanti cos per un
bel po': quando finiva di mangiare le giuggiole e ne
voleva ancora, lo sciacallo diceva all'amico: Divincolati e ne verrai fuori!. Lo struzzo si agitava, cadevano
le giuggiole e lo sciacallo le prendeva.
447

Q u a n d o fu sazio di giuggiole, lo sciacallo se ne


and, lasciando lo struzzo tra i rami dell'albero.

16. LA I E N A E LA Z U C C A

C'era u n a volta u n o sciacallo che era solito recarsi al


pozzo verso il t r a m o n t o , ma q u a n d o voleva p o r t a r
via quello che vi aveva trovato, per esempio qualche
capo di bestiame rimasto indietro rispetto al gregge,
arrivava u n a iena e glielo soffiava.
Un bel giorno si disse: "Che posso fare adesso a
questa iena?". Si mise allora in cerca e trov delle
grosse zucche usate come recipienti, ancora in buono stato. Le depose quindi vicino all'imboccatura del
pozzo.
Tu, iena, quando sei arrivata qui e hai visto quelle
grosse zucche, nella notte hai p e n s a t o che fossero
delle sagome di pecore. Avanzi ora q u a t t a q u a t t a ,
quatta quatta, fino a portarti molto vicino... Ed eccoti saltare e piombare di peso su u n a zucca. La zucca, che non ha appoggi, comincia a rotolare, e rotola, rotola, finch... patapunfete, finisce nel pozzo, e
tu con lei...
Allora la iena disse: Ahim, che sventura!.
E lo sciacallo rispose: E questo niente, aspetta
che arrivino i proprietari del pozzo!....

17. I L L E O N E E L ' A S I N O

Una volta tutti gli animali selvatici che vivono nella


savana si trovavano in u n o stesso posto, insieme al
loro re, il leone. Costui, a n d a n d o in giro, uccise un
asino veramente molto robusto. Lo port quindi indietro e lo gett in mezzo a loro, dicendo: Chi di voi
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me lo scuoier, mi p r e p a r e r la c a r n e e mi t i r e r
fuori i pezzi migliori? Per, se ne manger anche solo un pezzetto io me ne accorger e lo uccider. Gli
dar io stesso quel che si merita!.
Dopo questa premessa, tutti gli animali selvatici
dicevano di non essere in grado.
Salt fuori lo sciacallo, che disse: Per me va bene, solo, mettimelo laggi, in un posto in cui tu non
mi possa vedere. Il leone port l'asino in un luogo
dove non lo si potesse vedere, e lo sciacallo lo apr,
ne estrasse il c u o r e e se lo m a n g i . Dopo avere
estratto e mangiato il cuore, scuoi l'asino, lo smembr, prepar la carne e dispose per bene ogni parte.
A questo p u n t o chiam tutti gli altri, dicendo: Venite!. Vennero tutti, e tra essi il leone, che gli chiese:
Dov' la tale parte?. Eccola qui.
Dov' quest'altra parte? Eccola qui.
Dov' quest'altra parte? Eccola qui.
Dov' quest'altra parte? Eccola qui.
Alla fine chiese: E il cuore, dov'?. Il cuore, se
ne avesse avuto uno, n e m m e n o tu avresti potuto ucciderlo! Adesso d a m m i la mia paga.
Fu cos che tutti gli animali selvatici seppero che
non tutti gli asini h a n n o un cuore, perch se un asino forte come quello avesse avuto un cuore, nemmeno il leone avrebbe osato misurarsi con lui. Era stata
l'assenza del cuore che lo aveva reso possibile.

18. L O S C I A C A L L O E I L L E O N E

C'erano u n a volta u n o sciacallo e un leone, che abitavano in u n o stesso luogo allevando degli asini.
Un bel giorno lo sciacallo disse al leone: Vedi, in
questo m o m e n t o la cosa migliore da fare andarcene al sud, tu e io, per prendere del miglio. Ci portere449

mo dietro come merce di scambio le nostre madri,


p e r c h n o n servono pi a nulla o r a che s o n o vecchie. Il leone disse: D'accordo. E cos si misero in
viaggio verso il sud.
Proseguirono finch arrivarono in un luogo in cui
dovevano passare la notte, in u n a sorta di p i a n o r o
desertico, a u n a giornata di distanza dal paese del
sud. Lo sciacallo disse al leone: Guarda, questa notte, sar meglio legarle per evitare che ci scappino!.
Il leone disse: D'accordo. Cos il leone and verso
sua madre e la leg ben stretta con u n a corda, riducendola c o m e un salame. Lo sciacallo fece il giro
dall'altra parte, a n d verso la sua e la leg con u n a
specie di filo, dicendole: Sta attenta: q u a n d o f a r
notte, taglia il filo; ci ritroviamo lass, sulla cima di
quella m o n t a g n a . Io arriver col miglio e con tutti
gli asini. E lei rispose: Va bene. Dopodich, tornarono a dormire.
Al primo albeggiare, il leone si alz per destare lo
sciacallo: Sciacallo! Sciacallo! Sciacallo!. Lo sciacallo rispose: Eh....
Prima ancora di alzare la testa, lo sciacallo chiese:
Le due vecchie sono ancora qui, vero?. C' solo la
mia. Quella bastarda della mia deve essere riuscita
a fuggire. Allora part in cerca di tracce. Cerca di
qua, cerca di l, arriv fino a un certo p u n t o , poi
t o r n indietro, dicendo: Non c' pi. E ora che
faremo? chiese il leone. Tua m a d r e g r a n d e e
grossa, appariscente, ha un bel pelo. Sar meglio
partire, cominciare a vendere lei, e caricare gli asini
col miglio che ne ricaveremo. Q u a n d o t o r n e r e m o ,
venderemo poi l'altra. D'accordo disse il leone. E
cos, partirono e vendettero la m a d r e del leone.
Quando l'ebbero venduta, caricarono di miglio gli
asini e si rimisero in viaggio. Cammina, cammina, a
un certo punto il leone chiese allo sciacallo: E ades450

so dove ci a c c a m p e r e m o ? Dove m e t t e r e m o le tende?. Lo sciacallo rispose: Continuiamo senza fermarci finch saremo arrivati a un p u n t o d'acqua.
C a m m i n a , c a m m i n a , c a m m i n a , lo sciacallo, sap e n d o che in quel luogo, accanto a u n a grande pozza d'acqua, vi era u n a zona melmosa, disse al leone:
Tu fa' il giro da questa parte e va' a cercare un posto
adatto per accamparci. E mentre il leone faceva un
lungo giro, lui spinse gli asini portandoli in cima a
quell'altura su cui aveva d a t o a p p u n t a m e n t o alla
madre, dopodich torn dal leone facendo attenzione di n o n essere visto. Quando fu arrivato pi o meno a met strada, il leone ud lo sciacallo gridare...
O sciacallo, tu prima, mentre portavi via gli asini,
avevi tagliato a o g n u n o di loro la p u n t a delle orecchie, e avevi tagliato via anche le cocche di ogni sacco, eri tornato a questa palude melmosa e non avevi
fatto altro che conficcare nel fango le orecchie degli
asini e le estremit dei sacchi!
A q u e s t o p u n t o lo sciacallo grid: Ehi, leone!
Ehi, leone! Dai, corri qua, gli asini e i sacchi sono
stati inghiottiti dalla palude. Quando arriv, il leone pot solo dire: Che disastro!. Non vedeva infatti
che le orecchie degli asini. Lo stesso sciacallo si era
cosparso di fango e diceva: Ho rischiato io stesso di
essere inghiottito. E n t r a anche tu nel fango, per renderti conto!. Il leone accorse, e le orecchie che tirava, n o n essendoci l'asino, si staccavano e gli restavano in mano; si rivolse quindi alle cocche dei sacchi,
ma a n c h e queste, u n a volta tirate, gli restavano in
mano. A questo punto, disse allo sciacallo: Che disastro! E adesso, cosa faremo?. Eh, s. Ci capitata p r o p r i o u n a sventura! rispose lo sciacallo. A
questo punto ci conviene cercare un altro posto dove
sistemarci.
Partirono d u n q u e di l e andarono a stabilirsi sot451

to un grande albero, e da allora presero a compiere


le loro escursioni a partire da quel loro giuggiolo.
Quando il leone dormiva, lo sciacallo se ne andava, e... via di corsa, fino al luogo in cui lo attendeva
sua madre, che lo rimpinzava di pasta di miglio, dopodich tornava e si metteva a dormire. E a n d a r o n o
avanti cos finch il leone mor di fame.

19. L O S C O I A T T O L O S C A V A T O R E E L ' E L E F A N T E

Lo scoiattolo scavatore e l'elefante ebbero u n a lite.


Tu, elefante, avevi un toro, e tu, scoiattolo, avevi u n a
mucca.
Ora, la mucca dello scoiattolo un bel giorno partor un vitello. Ma l'elefante lo prese, lo mise sotto il
toro, dicendo: Il mio toro ha partorito! e a n d in
giro sostenendo con tutti questa versione dei fatti.
Lo scoiattolo allora si mise a p i a n g e r e a dirotto.
Pianse, pianse, pianse.
Venne allora proposto: Andate a cercare lo sciacallo, giudicher lui, Mastro Mokhammed. E cos
andarono a cercare lo sciacallo.
Lo sciacallo disse loro: E adesso, c o m e f a r a
giudicare? Portatemi del latte m u n t o dai vostri animali. Tu, elefante, va' a m u n g e r e il t u o toro, e tu,
scoiattolo, va' a mungere la tua mucca!.
Lo scoiattolo corse a prendere la sua scodella e si
mise a mungere il suo latte.
L'elefante, invece, disse: Ma il mio animale n o n
ha latte!. Ebbene, se non ha latte, come fa ad avere
un vitello?
Qui finisce il racconto.

452

20. IL L E O N E E LA CAPRA

C'era u n a volta un leone che aveva sposato u n a capra. Quell'anno c'era stata u n a carestia e tutti gli animali selvatici avevano lasciato il paese. E r a n o andati
in un'altra regione e il leone era rimasto solo con la
capra. Essa vagava di qua e di l cogliendogli le poche giuggiole sopravvissute alla siccit, oppure frutti
selvatici di agersemmi o altre cose ancora, in attesa
che passasse la stagione secca.
Trascorsa che fu l'estate, lo sciacallo disse che sarebbe sceso per vedere dove, nella regione, vi fosse
dell'acqua. Scese d u n q u e e prese ad andare di qua e
di l, finch giunse dove si trovava il leone. Quando
lo incontr, la capra non c'era, era in giro.
Allora, il leone gli chiese: Come va?.
Bene, grazie!
E com' la regione in cui ve ne siete andati tutti?
Ah, siamo andati a stare in u n a regione bellissima! Sono venuto per te, per venire a prenderti. Dal
m o m e n t o che hai s p o s a t o quello s c a r t o del regno
animale - basti pensare che gli uomini ne fanno un
sol boccone e poi se ne vanno -, ti far vedere le femmine che ci sono: la gazzella, la gazzella-dama, l'antilope-orice, l'antilope-adax: queste s che sono femmine adatte a te! Quando hai sposato questo scarto
del regno animale ti sei condannato inutilmente alla
fame. Gli uomini ne f a n n o un sol boccone e poi se
ne vanno.
Allora fermati qui. Quando arriver la uccider,
ce la mangeremo e poi partiremo insieme.
Tu, capra, sei sulla via del r i t o r n o e, vedendo lo
sciacallo che si dirige verso di te, ti viene in mente
un'idea: ti torna in m e n t e che poco p r i m a ti eri arrampicata su un albero con u n a fessura in cui avevi
visto del miele. Allora attraverso la fessura tu prendi
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il miele e lo porti via con un pezzo di legno. Mentre


stai arrivando con queste cose e sei ancora in cammino, il leone appare combattuto: stai forse andando da lui per farti uccidere?
Ora, q u a n d o la capra si ferm, il leone le chiese:
Da dove vieni? Cos'hai da camminare cos di fretta?.
Assaggia questo: laggi ci sono delle persone che
s p r e m o n o gli sciacalli e ne estraggono questa cosa
dolce, mentre tu te ne stai l senza far nulla!
Allora egli prese il miele e lecc, lecc, lecc.
Quindi chiese: Questa cosa dove l'hai trovata?.
quella cosa che gli uomini spremono fuori dagli sciacalli.
Allora il leone balz sullo sciacallo cercando di afferrarlo. Questi salt via dicendo: Io sono gi stato
spremuto! Sono gi stato spremuto!.
Ma il leone rispose: Preparati, bisogna spremerti
ancora di pi! e cos dicendo lo afferr e cominci
a spremere, a spremere... Quando gli ebbe fatto fuoriuscire gli e s c r e m e n t i che aveva nell'intestino, vi
mise dentro la z a m p a e se la lecc, ma all'assaggio
trov che non erano buoni.
Allora riprese a spremere, a spremere, m e n t r e lo
sciacallo continuava a dire: Sono gi stato spremuto!. Ma anche il leone ripeteva: Bisogna spremerti
ancora di pi! e a f u r i a di spremere fin per ucciderlo.
Il leone e la capra continuarono a vivere insieme.
Lo sciacallo era morto.

21. IL GALLO E LO SCIACALLO

C'era u n a volta un gallo, che se ne stava appollaiato


su un albero. Mancava poco all'alba ed egli si mise a
cantare il suo richiamo del mattino.
454

Uno sciacallo lo ud e, trotterellando, si diresse


verso di lui e si ferm sotto l'albero. Quindi gli disse:
Scendi gi e preghiamo insieme, visto che hai segnalato l'ora della preghiera.
Il gallo guard gi e si accorse che chi gli parlava
cos era lo sciacallo. Allora gli disse: Aspetto che
venga un marabutto, un imam p e r dirigere la preghiera.
E lo sciacallo: Chi il marabutto che da voi suole
dirigere le preghiere?. Il cane. Ah! Allora aspettatemi qui, che vado a fare le mie abluzioni.
Lo sciacallo part e non fece pi ritorno.

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Racconti faceti e con la morale

22. LA PIROGA

Questo un racconto, ma anche un indovinello riguardante u n a piccola piroga.


Questa piroga porta cento chili: solo cento chili
sono il carico che pu portare.
Ora, ci sono un u o m o con la moglie e due figli, e
tutti e quattro devono attraversare un fiume. Il marito pesa cento chili. La moglie pesa cento chili. I figli
pesano cento chili tra tutti e due.
Orbene, la sola cosa da fare questa: i due figli,
che in totale pesano cento chili, entrano insieme nella piroga. Q u a n d o s o n o arrivati sull'altra s p o n d a ,
u n o solo dei due rimane, e l'altro torna indietro.
Tornato indietro, rimane sulla sponda, mentre il
padre va lui dall'altro figlio, che era rimasto sull'altra
sponda del fiume. Qui scende e lascia la piroga al figlio, che cos pu tornare dalla madre e dal fratello.
Arrivato su questa sponda, prende con s il fratello e torna dall'altra parte. Arrivati dal padre, lascia
scendere ancora il fratello, e sar un solo ragazzo a
ritornare.
Arrivato dalla m a d r e , il ragazzo scende e lascia
entrare nella piroga la madre. Questa compir la traversata fino a giungere dal marito e dall'altro figlio
che gi erano dall'altra parte.
Qui giunta, d la piroga all'altro ragazzo, che era
gi l, e lei scende.
456

A questo punto l'altro ragazzo ritorna dal fratello.


Arrivato da lui lo prende con s.
E cos h a n n o tutti effettuato la traversata e sono
giunti all'altra sponda.

23. I L M E N T I T O R E

C'erano u n a volta due uomini, due fratelli, u n o pi


anziano e l'altro pi giovane.
Il fratello minore era un mentitore, ma proprio un
vero mentitore: non faceva altro che mentire. Era lui
che trovava il cibo per l'altro, che invece non mentiva mai.
Le cose andarono avanti cos a lungo, finch il fratello maggiore non ne ebbe abbastanza e disse al fratello: Senti un po', d'ora in poi non voglio pi cibo
p r o c u r a t o p e r m e z z o di m e n z o g n e . Tu resta p u r e
qui; io trover del cibo anche dicendo la verit.
Part, dunque, e and in giro continuando a dire
la verit dall'alba al tramonto. Ma agendo cos torn
senza avere trovato nulla. Dopo tre giorni trascorsi
senza trovare neppure un granello di cibo, il mentitore gli disse: Di questo passo m o r i r e m o di f a m e
senza profitto, non sei riuscito a ricavare un bel nulla. Adesso vieni e seguimi. Ed egli lo segu.
Partirono, dunque, e si recarono in un grande villaggio. Q u a n d o vi giunsero, la moglie del capo era
appena morta: da tre giorni era m o r t a la moglie del
g r a n d e capo. N e s s u n o rideva, n e s s u n o batteva il
tamtam, nessuno cantava: tutti, tutti, tutti tacevano.
Il mentitore arriv, cerc un posto dove fermarsi,
e quando si fu installato chiese: Che cosa successo al villaggio di questi tempi?.
morta la moglie del capo.
Da quanto tempo morta?
457

Da tre giorni.
Ebbene, volete che non sia capace di resuscitarla
dopo soli tre giorni?
Saresti davvero capace di resuscitarla?
Certamente!
Possiamo riferirlo al capo?
Riferiteglielo pure!
Il capo, quando fu avvisato di questo fatto, disse:
Andate a chiamarli!. Il mentitore se ne venne insieme al fratello maggiore. Il fratello maggiore era
sul p u n t o di morire dalla paura per la menzogna che
stavano sostenendo, ma il mentitore gli disse: Sta'
tranquillo, lascia fare a me.
Quindi il c a p o gli chiese: Dunque tu saresti in
grado di resuscitare questa donna?.
Certamente! r i s p o s e il m e n t i t o r e , e prosegu:
Adesso voglio che tu convochi tutti quanti gli abitanti: che vengano tutti domani affinch io resusciti
tua moglie.
Allora si batterono i tamburi nel villaggio e tutti si
r a d u n a r o n o per sentire l'annuncio: Domani la moglie del re resusciter! La moglie del re resusciter!
La moglie del re resusciter!. Tutti quanti udirono
la notizia: arrivato un u o m o che dice di poter resuscitare la moglie del re.
Pass la notte. Il mattino seguente la gente cominci ad affluire in massa, e in breve t e m p o furono radunati tutti quanti. Il mentitore chiese al re: Bene,
e per me che ricompensa prevista?.
Qualunque cosa tu vorrai, ma proprio tutto, tutto
quello che vorrai, io te lo d a r se resusciterai mia
moglie!
Siamo intesi!
Si misero allora tutti in cammino, alla volta del cimitero. Arrivati al cimitero, il mentitore si rivolse alla gente dicendo: Voi restate qui tutti quanti!. E la
458

gente si dispose ordinatamente in fila all'esterno. Lasciati tutti in fila, lui pass oltre ed entr nel cimitero. Si diresse alla t o m b a della donna, e cominci a
scavare dalla parte della testa. Scava che ti scava, arriv al legno della bara, e ne tir via tre pezzi. Dopodich si chin verso l'interno della t o m b a e stette l
chino p e r un po'. Dopo essere rimasto cos per un
certo tempo, si rialz, sollev la testa, si mise a ridere, poi torn ad abbassare la testa. Rimase cos ancora a lungo, dopodich torn a sollevare la testa e a
ridere. A questo punto, si alz e c h i a m a s il re.
Mentre il re gli si avvicinava, egli gli and incontro, e
q u a n d o f u r o n o faccia a faccia gli disse: Bene, tua
moglie resuscitata, non vi dubbio che sia resuscitata. Per ha detto che non si alzer e non verr fuori dalla t o m b a se non in compagnia di suo padre.
Bisogna sapere che il padre della donna era il precedente capo del villaggio prima che prendesse il potere il capo attuale. Cos, il mentitore prosegu: Suo
padre, appena resuscitato, dir certamente di tagliare la testa all'uomo che gli ha portato via il comando. Ora, che dici di fare?.
Il capo rispose: A questo punto ti dar la ricomp e n s a p a t t u i t a , h o visto che hai v e r a m e n t e f a t t o
quello che promettevi, ma adesso lasciala stare rinchiusa dove si trova. E cos l'uomo ritorn alla sepoltura, rimise a posto i pezzi di legno e ricopr la
tomba della donna, dopodich torn dal re.
A tutti coloro che chiedevano al re se sua moglie
fosse resuscitata, egli rispondeva: S, resuscitata,
davvero resuscitata.
Fecero quindi r i t o r n o al villaggio. Il re gli d o n
greggi in grande, grandissima quantit e lo invit ad
andarsene in fretta, t e m e n d o che i figli del d e f u n t o
re gli o f f r i s s e r o u n a q u a n t i t di b e s t i a m e a n c o r a
maggiore a patto che egli resuscitasse il loro padre.
459

E infatti, anche a questi figli giunse voce della cosa, e cos essi si misero a cercare l'uomo, con l'intenzione di offrirgli grandi quantit di bestiame purch
resuscitasse il loro padre. Quando il re sent ci, aument ancora il bestiame offerto al mentitore e lo fece fuggire nella notte.
Egli divenne incredibilmente ricco. Aveva ottenuto ricchezze smisurate.

24. IL F I G L I O D E L RE E IL F I G L I O D E L P O V E R O

C'era u n a volta il figlio di un re, che aveva stretto


u n a grande amicizia con il figlio di un povero. La loro era un'amicizia v e r a m e n t e assai stretta. Se suo
p a d r e gli c o m p e r a v a un cavallo, lui diceva c h e lo
avrebbe accettato solo a patto che ne comprasse u n o
anche per il suo amico. E il padre glielo comprava;
se gli faceva c o n f e z i o n a r e un abito, gli diceva che
doveva farne fare u n o anche per l'amico. E r a n o sempre insieme; i n s o m m a la loro amicizia era cos forte
che non se n'era mai vista u n a uguale.
Un bel giorno, per, il figlio del povero, l'amico
del figlio del re, ricevette un bigliettino da parte della moglie del re (che non era la m a d r e naturale del
suo amico), su cui era scritto: "Ti amo". Fece vedere
la lettera all'amico, il quale gli disse: Ricambia pure
il suo amore. Da parte mia, dal m o m e n t o che n o n
mia madre naturale, che mi importa?.
E cos egli stabil con lei u n a relazione appassionata. La possedeva tutte le notti in cui il re era via. A
quel punto si misero d'accordo su u n a cosa: bisogna
sapere che all'ingresso di casa vi era un grande vaso,
e allora, u n a volta che lui era da lei, essa gli disse:
Quando vieni qui, infila la m a n o nel vaso: se ci trovi u n a sola noce, puoi entrare, vuol dire che il re
460

via; se invece trovi due noci, torna indietro, vuol dire


che il re in casa.
Il giovanotto continu cos per diverso tempo, seguendo sempre queste indicazioni, fino al giorno in
cui la d o n n a gett le due noci perch quella notte il
re sarebbe rientrato, m a , per la fretta, u n a di esse
fin fuori dall'imboccatura del vaso e cadde di fianco
a esso. Quando giunse il giovanotto, infil la m a n o e
trov u n a sola noce. Allora entr e avanz a tastoni,
finendo sulla b a r b a del re, che diede un balzo e gli
afferr la mano. Tira di qua, tira di l, il giovanotto
riusc a svincolarsi ma il suo anello rimase nelle mani del re. Di corsa si rec dal suo amico, dal figlio del
re, e lo svegli.
Alzati!
Che cosa c'?
Domani sar morto. Tuo padre mi ha afferrato la
mano. Io sono riuscito a liberarmi ma non ho pi il
mio anello, che facilmente riconoscibile. Domattina mi metteranno a morte.
Non nulla. Dormi! Poco prima dell'alba sellerai
i nostri cavalli.
Il figlio del re dorm. Ma quell'altro, come avrebbe
potuto trovare il sonno in questa angoscia?
Poco p r i m a dell'alba a n d a prendere i cavalli, li
sell e chiam l'amico: Alzati! Su, alzati!. Montarono quindi a cavallo e il figlio del re gli disse: And i a m o in questa direzione: ho sentito dire che da
queste parti c' un luogo in cui u n a f e m m i n a di leopardo ha appena partorito. Presero quella direzione e continuarono a cavalcare...
I n t a n t o al villaggio, a p p e n a fu giorno, risuon il
t a m t a m e tutti quanti gli abitanti si radunarono, e si
fece un'assemblea in cui fu annunciato che il giovane cui apparteneva quell'anello doveva essere catturato e messo a morte. Tutti coloro cui il re mostrava
461

l'anello dicevano che era del tal giovanotto. S u o figlio e quell'altro giovane e r a n o introvabili. Perci
l'assemblea continu a lungo, e a lungo continuarono a suonare i tamburi.
I due erano in viaggio. Quando arrivarono alla tana, presero il cucciolo di leopardo, poi spronarono i
cavalli e ripartirono di gran carriera. Il figlio del re
teneva il piccolo leopardo. Al gran galoppo giunsero
davanti a suo padre. L'amico si arrest a u n a certa
distanza, mentre quello che teneva il cucciolo si arrest davanti a suo p a d r e e gli lanci in braccio il
piccolo leopardo, che gli si aggrapp.
II re ebbe un soprassalto: Che cos e questo? Che
cos' questo?.
Il fatto che io e lui a b b i a m o fatto u n a scommessa. Io gli avevo detto che se qualcuno fosse riuscito impunemente a toccare, al buio, il capo di mio
padre, io gli avrei portato un cucciolo di leopardo.
Lui partito e mi ha detto che riuscito a toccarti la
testa nel buio, e che quando ha cercato di ritrarre la
m a n o tu sei riuscito solo a portargli via l'anello. E
cos anch'io da parte mia sono partito per a n d a r e a
trafugare il cucciolo di leopardo.
Allora il re disse: vero. Quello che avete fatto
tutto vero. Ecco il vostro anello. Andate.

25. L ' U O M O DI K A N O E L ' U O M O DI K A T S I N A

C'erano u n a volta due uomini, u n o di nome Dan Kano (o "Uomo di Kano") e l'altro Dan Katsina (o "Uomo di Katsina"). A c i a s c u n o dei d u e era g i u n t a
all'orecchio la f a m a dell'altro per quanto riguarda il
furto e il malaffare. Cos un bel giorno si misero in
viaggio per incontrarsi. Quando f u r o n o faccia a faccia, u n o chiese all'altro: Tu chi sei?.
462

Io sono Dan Kano. E tu?


Io sono Dan Katsina.
E ciascuno disse all'altro: Stavo proprio cercando te.
Va bene. Allora stringiamo societ. E partirono
insieme.
C a m m i n a , c a m m i n a , a r r i v a r o n o in vista di un
gruppo di persone che formavano u n a grande carovana, e si erano fermate per u n a sosta. Come luogo
di sosta avevano scelto un sito accanto a un pozzo
vecchio e profondo.
Allora, u n o dei due ripieg u n a gamba e se la leg
alla coscia, p r e n d e n d o poi un b a s t o n e in m o d o da
sembrare con u n a g a m b a monca al ginocchio. L'altro, invece, chiuse gli occhi e vi fece a d e r i r e u n o
s t r a t o di g o m m a a r a b i c a , incollandoli con q u e s t a
g o m m a in m o d o da sembrare cieco. Dopodich, lo
zoppo si mise a guidare il cieco, e tutti e due si inc a m m i n a r o n o alla volta della carovana.
Qui giunti, salutarono e si sistemarono. Le persone della carovana venivano a vederli e li compiangevano: Guardate! Poveretti! Uno zoppo e l'altro cieco!. Diedero loro p e r f i n o un'elemosina e li fecero
mangiare.
Quando tutti f u r o n o addormentati, i due presero
le mercanzie - si trattava di tessuti - e le gettarono
in f o n d o al pozzo. A n d a r o n o avanti t u t t a notte, in
m o d o che alla fine avevano trasportato u n a grandissima quantit di merci. Poi tornarono al loro posto e
si addormentarono.
Quando gli altri si svegliarono, al mattino, fu tutto
un gridare: Oh, no! Sono passati di qui dei ladri!.
Si misero in cerca delle tracce, ma n o n trovarono
n e m m e n o un'impronta di qualcuno che fosse entrato nell'accampamento. C'erano solo le tracce del cieco e dello zoppo. Niente da fare! Non c'era nemme463

no u n a traccia di qualcuno che avesse lasciato l'accampamento. Macch! Alla fine si stancarono di cercare, tanto pi che m a n c a n d o le tracce era impossibile seguirle. Fecero quindi fagotto e partirono, per
andarsene via di l.
Anche il cieco e lo zoppo partirono. Seguirono gli
altri p e r d u e giorni, d o p o d i c h fecero r i t o r n o al
pozzo. Bene, disse Dan Katsina chi si caler nel
pozzo?
Io rispose Dan Kano.
No, no, disse Dan Katsina vado gi io!
E cos fu Dan Katsina che si cal nel pozzo. Una
volta gi, tir via tutti gli imballaggi delle merci e cominci a legare alla fune le merci prive di imballaggio. And cos avanti per un bel pezzo a legare alla
f u n e e far risalire le merci non imballate. Alla fine
n o n r i m a n e v a n o da p o r t a r e su che delle vecchie
stuoie consunte, qualche pezzo di cuoio e poche altre cose. Prese allora ad avvolgersi in esse, mettendosi poi in u n a rete legata alle corde, in m o d o che
u n a persona che lo avesse tirato su non se ne sarebbe accorta. Disse quindi al socio: Dopo questo carico resto solo io. Benone! e lo tir su, un po' alla
volta, fino a farlo uscire dal pozzo. Dopodich lo mise da parte. Eh, s! Tutti i carichi che aveva tirato su,
Dan Kano li aveva messi da parte nascondendoli in
un posto.
Dopo avere portato l'ultimo carico nel suo bagaglio, cominci a trasportare pezzi di legno e a gettarli nel pozzo. And avanti per un bel po', finch non
ne ebbe gettati parecchi, e diede fuoco al tutto.
Se ne t o r n quindi dove aveva lasciato i bagagli
ma scopr che il compare si era preso tutto quanto e
se n'era andato portandoselo via. Disse allora fra s:
"Gente, quest'uomo adesso avr bisogno di un asino
per t r a s p o r t a r e tutto il bagaglio!". E cos si mise a
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imitare il raglio di un asino. Ben presto l'altro venne


nella sua direzione, cercando di scoprire dove fosse
l'asino che sentiva ragliare. Fu cos che i due si incontrarono.
Salve!
Salve!
Ehi, tu! Non puoi portarti via tutto il bagaglio!
Va bene!
Allora decisero di dividersi il carico. Fatte le parti,
Dan Katsina disse a Dan Kano: Preferiresti forse
che io ti lasciassi in prestito la mia parte?.
S.
Gi, ma quando me la restituirai?
Il tal giorno, tra un anno a partire da oggi, n un
giorno pi n u n o meno.
D'accordo.
Cos Dan Kano part portandosi via anche la parte
dell'altro, e and a stare da un'altra parte. Quando si
accorse che mancava poco al giorno prestabilito, si
ritir nella tenda senza pi uscirne, dicendo ai familiari: Sentite, q u a n d o vedrete arrivare un u o m o dovrebbe arrivare domani -, mettetevi a piangere, a
piangere a dirotto, dicendo che io sono morto. Gli
direte che non ho lasciato nulla, poi mi laverete, mi
prenderete e, sotto il suo sguardo, mi avvolgerete in
un sudario, mi porterete al cimitero e mi deporrete
in u n a tomba, mentre lui rester a guardare, fino al
m o m e n t o di andarsene.
E cos, quando lo videro e si f u r o n o accertati che
era proprio il suo uomo, i suoi figli si misero a piangere, e anche le mogli si misero a piangere. Fu portata l'acqua per il lavaggio del cadavere, fu portato il
sudario, tutti piangevano e a n d a r o n o a prendere il
corpo, mentre solo il nuovo arrivato se ne stava seduto. Lo lavarono, lo avvolsero nel sudario, lo solle465

varono, lo trasportarono al cimitero e lo seppellirono. Finita la sepoltura, rientrarono a casa.


Rientrati che furono, Dan Katsina li apostrof: Io
a quest'uomo avevo fatto un prestito. Venivo appunto per vederlo, ma adesso morto. Non mi ha lasciato nulla?.
Nulla. Non ci ha lasciato n e m m e n o un pollo.
Be', a questo punto non mi resta che andarmene.
Partir questa notte stessa.
Non aspetti l'alba?
No, no.
Dopo aver cenato, part la sera stessa. Lo videro
partire, e lui se ne and. Ma arrivato alla tomba, si
mise a scavare con le mani. Scava, scava, arriv ai
piedi. Quando si accorse di aver messo allo scoperto
i suoi piedi, vi affond le unghie e si mise a fare il
verso della iena.
A questo punto l'altro credette che a scavare fosse
u n a iena, e proruppe in un grido disperato: Gente,
venite a difendermi! La iena mi mangia! Gente, venite a difendermi! La iena mi mangia!.
Allora Dan Katsina gli prese la m a n o e la tir fuori
con forza, dicendogli: Ehi, tu, q u a n d o si tratta di
rubare i miei beni, va tutto bene, ma quando arriva
u n a iena ti viene paura, eh? Uno che ha p a u r a di u n a
iena, come pu pensare di rubare i miei beni?.
E gi!

26. LA C O P E R T A

C'erano u n a volta, tanto tempo fa, due ricchi giovanotti arabi. Ciascuno di loro disse al padre: Padre,
d a m m i u n a gran quantit di merci: me ne andr in
un altro paese a venderle, e a ciascuno di essi il pa466

dre disse: Va bene. Li forn quindi entrambi di u n a


quantit enorme di mercanzie, ed essi partirono.
Arrivati in un paese lontano, ciascuno cerc u n a
casa dove sistemarsi. C'era tutto un quartiere abitato
da commercianti, e a u n o di loro venne indicata u n a
casa di straordinaria bellezza, superiore a tutte le altre, ma in cui fino ad allora chiunque fosse andato
ad abitare era poi m o r t o . Ciononostante egli disse
che ci sarebbe andato ad abitare.
Ma sta' attento! Questa casa contiene le foto di
tutte, ma proprio tutte le donne del villaggio, sia di
quelle sposate sia di quelle non ancora sposate. Inevitabilmente la foto di qualcuna finir per farti innam o r a r e , e si t r a t t e r di u n a che n o n p o t r a i avere.
Magari sar gi sposata e l'amore ti far morire.
Ciononostante egli disse che ci sarebbe andato ad
abitare, e lo fece. Entr, la esamin tutta, e giunto al
piano superiore, il suo sguardo fu calamitato, n pi
riusciva a staccarsene, dalla foto di u n a d o n n a , ritratta insieme al m a r i t o e col suo n o m e scritto sopra. In un balzo torn al piano di sotto, e q u a n d o fu
di sotto cadde contorcendosi come se lo avesse colto
u n a colica di fegato.
Accorse da lui u n a vecchia, che gli chiese: Che ti
successo, figliolo?.
Mi sono i n n a m o r a t o della tale, moglie del tale.
Ecco cosa mi successo.
Tirati su e fa' conto di essere guarito. Per questo
male la medicina posso procurartela io.
E allora, dov' la medicina che intendi procurarmi?
Lo so io.
E allora, se lo sai, procuramela! E cos dicendo
le diede cento monete d'oro.
La vecchia se ne and. Si rec al negozio del marito di quella d o n n a bellissima. Nel negozio esamin
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delle coperte di un tipo inconsueto per quella citt,


dopodich ritorn dal giovane che aveva lasciato, al
quale disse: Adesso alzati e vammi a comprare u n a
di quelle coperte. Allora il malato d'amore a n d a
comprare u n a di quelle coperte.
Quando poi torn, la vecchia prese la coperta, vi
fece u n a b r u c i a t u r a che lasci un b u c o al centro,
quindi se ne a n d dicendogli: Torner a trovarti.
And alla casa del marito della donna, vi entr e salut la moglie: Buongiorno, figliola, come va? Sai,
sono un'amica di tua madre, e anzi, alla lontana, sono anche tua parente. E trascorse con lei le ore della siesta.
Quando fu l'ora della p r i m a preghiera del pomeriggio, le chiese: Dov' un luogo p u r o in cui tu preghi?. Ed essa rispose: Vieni che ti porto nel luogo
in cui solito dormire mio marito. l che prego.
E la condusse sulla coperta del marito. La vecchia si
mise a pregare m e n t r e lei usc. Allora lei ne approfitt per tirar fuori la sua coperta e la stese sotto la
coperta del marito. Poi, finito di pregare, se ne and.
Si rec poi dal giovane e gli disse: Bene, la trappola preparata.
Benissimo!
Orbene, il m a r i t o di quella d o n n a , q u a n d o fu il
m o m e n t o di andare a dormire, sent qualcosa sotto
la coperta, la tir fuori e vide che si trattava della coperta comprata nel suo negozio da quel giovanotto.
"Vuoi vedere che quell'uomo se la intende con mia
moglie?" Roso dalla gelosia, l'uomo chiam la m o glie e la rimand a casa sua. La cacci di casa.
Il m a t t i n o dopo, la notizia della cacciata giunse
all'orecchio della vecchia, la quale allora and a trovare la madre di quella donna e le disse: Ho sentito
dire che tua figlia stata scacciata dal marito. Adesso aspetto che mia figlia mi dia altre notizie: conosci
468

le giovani, sono sempre loro che vengono a sapere le


novit. E prosegu: Venivo a sentire se p u venire
da me per un lavoro che ho da fare a casa: se viene
con me, mi aiuter a finirlo. Ed essa rispose: Va
bene.
Cos, agghind la giovane e la port via con s. La
port a casa di quel giovanotto, la fece entrare e ve la
chiuse dentro insieme a lui...
Ogni mattina, di buon'ora, la vecchia passava di
l, il giovane le dava cento monete d'oro, ed essa tornava a casa sua. Rimasero cos soli in quella casa,
senza vedere anima viva, per u n a settimana intera.
L'ottavo giorno, q u a n d o la vecchia p a s s di l di
b u o n mattino, l'uomo le disse: Adesso puoi riportare via la giovane. Essa la riport da sua madre, gliela riconsegn dicendole che avevano terminato il loro lavoro insieme.
R i t o r n a t a dal giovanotto, disse: Ors, ora sar
bene riaccomodare quello che abbiamo guastato.
In che modo possiamo risistemare le cose?
Questo pomeriggio, all'ora della seconda preghiera, vatti a sedere davanti all'ingresso della bottega
dell'arabo che il marito della donna. Quando sarai
seduto l dove ti ho detto, io vi passer davanti e tu, al
vedermi, mi salterai addosso, mi strattonerai con violenza, e solleverai il braccio come se volessi colpirmi.
A questo punto la gente intorno ti chieder: "Che cosa
ti ha fatto questa vecchia?". E tu risponderai loro:
"Questa vecchia... Avevo comprato u n a coperta da
quest'uomo, ma poi un b a m b i n o se l' messa addosso
e ha finito per bruciarla. Lei si fatta avanti dicendo
che conosceva qualcuno in questo villaggio che era in
grado di mettere u n a toppa dal disegno simile a quello della coperta. Io le ho chiesto quanto avrebbe voluto quest'uomo, lei mi ha detto u n a cifra e io gliel'ho
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data, insieme alla coperta, ma da allora non si fatta


pi vedere. u n a ladra!".
Fecero d u n q u e cos: il giovanotto and a sedersi
davanti all'ingresso della bottega del marito (il quale, ovviamente, lo detestava). Dopo un po' pass la
vecchia, sgranando il suo rosario. Appena la vide, il
giovanotto le salt addosso, la s t r a t t o n cos forte
che la fece cadere, e dopo averla strattonata, sollev
il braccio come per colpirla. A questo punto, le persone che c'erano nei pressi saltarono su di lui chiedendogli: Che cosa stai f a c e n d o ? Come m a i vuoi
uccidere questa vecchia?.
Questa vecchia u n a ladra, un'imbrogliona!
Perch? Che cosa ti ha fatto?
Avevo c o m p r a t o u n a coperta da te e si rivolse,
ci dicendo, al proprietario della bottega e q u a n d o
l'ho portata a casa se l' messa addosso un b a m b i n o
e ha finito p e r bruciarla. Questa vecchia si fatta
avanti dicendo che conosceva q u a l c u n o che era in
g r a d o di m e t t e r e u n a t o p p a dal disegno simile a
quello della coperta. Io le ho chiesto quanto avrebbe
voluto quest'uomo e gliel'ho dato, ma da allora n o n
si fatta pi vedere.
Allora chiesero alla vecchia: vero?.
Ebbene, s, vero.
E allora dov' la sua coperta?
Non so pi dove ho la testa. Questa coperta n o n
mi ricordo pi dove l'ho messa. Mi sono proprio dimenticata dove l'ho messa. Non sapevo che fare. Ho
avuto vergogna di tornare da lui. Adesso cercher di
ricordare. Pu darsi che mi torni in mente o che voi
mi possiate aiutare, dicendomi se da loro che l'ho
dimenticata. Ero tornata in u n a casa dove mi ricordavo d i essere stata, m a m i h a n n o detto che n o n
l'avevo lasciata l.
470

L'uomo da cui era stata acquistata le chiese: Non


che tu sei passata anche da casa nostra?.
S, ero passata anche di l, e vi avevo anche eseguito la preghiera, nella tua stanza, quella in cui sei
solito dormire.
Ebbene, e chi ti ha impedito di ritornare?
No, no. Io sono tornata ma mi h a n n o detto che
nella casa non c'era nessuna donna, e allora me ne
sono andata.
A questo punto l'uomo disse al giovane: Lasciala
stare. La tua coperta se l' dimenticata a casa nostra.
Ors, gente, siatemi tutti testimoni! Io ho sospettato
mia moglie di menzogna. Ho creduto che mi tradisse con quest'uomo, e che questi avesse dimenticato
da lei la sua coperta, perch sapevo che era stato lui
a comperarla. Ma a questo punto, dal m o m e n t o che
questa vecchia che l'ha dimenticata, far tornare
mia moglie. Vi c h i a m o a testimoni che la risarcir,
io che sono stato colpevole nei suoi confronti.
E cos fece ritornare sua moglie e ridiede alla vecchia la coperta.
Date retta a me, quello che sa fare quella vecchia,
n o n lo sa fare n e m m e n o il diavolo.

27.I

T R E P R E T E N D E N T I DELLA FIGLIA DEL CAPO

C'erano tre p e r s o n e che e r a n o in viaggio. Stavano


c o m p i e n d o un viaggio come sono soliti fare quelli
che si recano in Libia e a Tamanrasset per cercare
lavoro. Ciascuno di loro conosceva bene un mestiere. Questi tre amici, nel corso del loro viaggio, giunsero in un paese e si stabilirono da u n a vecchia che
vi risiedeva. Le dissero: Siamo dei poveracci in cerca di lavoro. Preferiamo fermarci da te mentre cerchiamo se c' qualche lavoro che possiamo fare.
471

Va b e n e . Mi b a s t a che p a g h i a t e il cibo che vi


dar.
E cos si stabilirono da lei, a n d a n d o e venendo dal
villaggio in cerca di lavoro.
Un bel giorno, nel villaggio essi incontrarono u n a
splendida fanciulla. Quando la videro cominciarono
a litigare. Ciascuno diceva: Oh, quant e bella questa
fanciulla. Voglio essere io a sposarla. Bisogna che mi
sforzi di trovare il m o d o di guadagnare del denaro e
poterla sposare!. Erano tutti e tre innamorati, e cos
cominciarono ad accapigliarsi tra loro. Continuarono a litigare durante tutta la strada del ritorno fino alla casa della vecchia dove si erano stabiliti. Essa
port loro da mangiare ma essi rifiutarono il cibo.
Cosa vi succede? chiese la vecchia.
Abbiamo visto u n a ragazza, o g n u n o d i noi h a
detto di esserne i n n a m o r a t o , e allora a b b i a m o cominciato a litigare.
E chi , di preciso?
la tale, figlia del tale.
Ah, la figlia del capo di questo villaggio. Lasciate fare a me. Ci penso io. Vado io dal capo a informarlo.
Va' pure.
E cos la vecchia and dal capo del villaggio e gli
disse: Alcuni giovanotti, ospiti miei, h a n n o visto
tua figlia e ciascuno di loro dice di essersene innam o r a t o , al p u n t o che si a c c a p i g l i a n o tra loro. Se
vuoi, te li vado a chiamare.
Valli a c h i a m a r e , in m o d o che io possa vedere
che tipi sono.
La vecchia part, torn dai giovanotti e disse loro:
Il capo ha detto che chi di voi a m a sua figlia deve
a n d a r e da lui. Allora essi si r e c a r o n o dal capo.
Quando f u r o n o al suo cospetto, egli disse loro: Riguardo a mia figlia, devo mettervi alla prova tutti e
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tre per scegliere il migliore. Dal m o m e n t o che tutti e


tre sostenete di esserne innamorati, bisogna che vi
sottoponga a u n a prova in cui u n o di voi prevalga
sui suoi compagni, affinch io mi renda conto di chi
sia il pi astuto e il pi degno di sposarla. Ora, che
cosa sa fare ciascuno di voi?.
Uno disse di essere un marabutto coltissimo, un
altro disse di essere un gran ladro e il terzo disse che
q u a l u n q u e cosa cercasse al m o n d o riusciva a ottenerla.
Bene, disse rivolto al m a r a b u t t o metter p e r
p r i m o te alla prova. Gli diede quindi da fare le cose
che sogliono fare i marabutti, dicendogli di farle in
pochissimo tempo. Ed egli esegu tutto come gli era
stato detto di fare. Bene, il tuo m o d o di fare veram e n t e ineccepibile. Siediti qui.
Pass quindi a colui che sosteneva di essere in grado di ottenere qualunque cosa desiderasse, e gli disse:
Riempimi la casa d'oro in brevissimo tempo!.
Dammi u n a notte di tempo. Se Dio vuole, domattina sar piena.
D'accordo.
Andarono a dormire, e l'indomani all'alba la casa
era piena d'oro. Se avesse fatto dei trucchi al mom e n t o di riempirla, usando per esempio dei semplici
sassolini, o se l'avesse realmente riempita d'oro, non
lo sappiamo...
A questo punto, restava da vedere in azione solo il
ladro. Il capo gli disse: Bene, per te che rubi: ti indicher un luogo pieno di gendarmi che f a n n o la guardia. Voglio vedere se tu riesci a portar via il loro tavolo, proprio quello su cui scrivono, che si trova in
quel posto supercustodito.
Prover. Vedr.
Part, and in un villaggio dove acquist degli indumenti femminili, sopravvesti dai colori sgargianti,
473

un grande recipiente e delle bottiglie di bevande alcoliche. Dopodich prese gli indumenti femminili, li
indoss e si travest da anziana venditrice di bevande alcoliche. Si rec quindi da quei gendarmi, che al
vederlo lo chiamarono: Ehi, tu, che cosa vendi?.
Bevande alcoliche.
E quanto costano? Quanto?
Costano tanto. E disse loro un prezzo. Essi videro che era conveniente, e dal m o m e n t o che amavano
molto l'alcol tutti ne acquistarono un po'. Rimaneva
il loro capo, ma anche a lui dette un po' di bottiglie:
alcune gliele vendette, altre gliele regal. Essi le bevvero tutte: bevve il capo della guarnigione, bevvero
tutti gli altri, e cos caddero tutti ubriachi. Il ladro
and dal capoguarnigione, il capo di tutti quanti, lo
spogli, gli sottrasse tutti i vestiti, li indoss e si allontan. And a prendersi il cavallo del capo, lo sell
e part, in sella a questo cavallo, vestito con i suoi
abiti. Arrivato dal capo del villaggio, arrest la sua
cavalcatura e gli disse: Eccoti qualcosa che anche
meglio della tavola: i vestiti del capo di quella guarnigione, che ho indosso, e il suo cavallo.
Va bene gli disse il capo. Hai compiuto questa
impresa in maniera impeccabile; direi anzi addiritt u r a in m o d o s t u p e f a c e n t e ! Se riesci a c o m p i e r e
u n ' a l t r a i m p r e s a del genere, ti do in sposa m i a figlia. E cos dicendo prese in consegna ci che il ladro gli aveva portato.
Dopodich gli disse: Orbene, il lenzuolo in cui
d o r m o si trova all'interno di casa mia, custodito da
mia moglie. Questa notte tu cercherai di rubarmelo,
e io ne sar al corrente. Se riuscirai lo stesso a rub a r m e l o , vieni a p o r t a r m e l o d o m a n i ! S a r allora
convinto che sei davvero un f u r b o da quattro cotte.
D'accordo. Appena sar notte sta' bene attento al
tuo lenzuolo.
474

Pass un po' di tempo, e q u a n d o fu buio il ladro


confezion un pupazzo a grandezza naturale: lo prep a r come si deve con della paglia, gli mise dei pantaloni, u n a bella tunica e un velo sul volto. Questo
pupazzo poteva reggersi in piedi anche se era inanimato. Egli lo colloc davanti a s e lo port con s.
Quando arriv alla casa del capo, questa non era ancora chiusa. Allora egli entr e and a mettersi vicino alla p o r t a della c a m e r a da letto del capo.
Quest'ultimo, q u a n d o entr in camera da letto, disse
alla moglie: Tu tieni d'occhio il lenzuolo, che n o n
venga il ladro a rubarmelo. Stanotte bisogner stare
molto attenti.
Nel m o m e n t o in cui egli stava f a c e n d o l ' a m o r e
con la moglie, accadde per che sulla porta si profilasse l'ombra di un u o m o immobile l fuori. Allora
and a prendere un bastone dicendo: lui che arrivato!. E mentre prendeva il bastone disse alla moglie: Tienimi tu il lenzuolo! Difendilo bene. Io vado
fuori per ucciderlo. E b r a n d e n d o il bastone colp il
p u p a z z o inanimato. Questo, lasciato andare dal ladro, cadde di sotto.
Ma mentre il capo era andato a colpire il pupazzo
e a controllare che questo cadesse di sotto, il ladro si
intrufol in camera e, fingendosi il marito, nell'oscurit si fece dare il lenzuolo dalla moglie e se ne and
via con esso.
Quando il capo fu ben certo che la sagoma non si
rialzasse pi, torn dalla moglie e le chiese: Dov' il
mio lenzuolo? Adesso quel disgraziato non c' pi:
morto.
Ma come, il lenzuolo non me lo hai appena preso
tu? Io non ce l'ho pi!
Che disastro! Ebbene, ha vinto lui, siamo d'accordo.
Andarono a d o r m i r e e l'indomani il ladro si pre475

sento a palazzo a w o l t o nel lenzuolo. Il capo gli disse: Se Dio vuole, dunque, sei tu che otterrai mia figlia in sposa. Ma m a n c a ancora u n a dimostrazione
di destrezza. Ora, se me la saprai eseguire, non ci sar a n n o pi esitazioni: mia figlia sar tua.
Che cosa devo fare?
Voglio che tu rapisca il cad, colui che rende giustizia. Quando lo avrai rapito devi portarmelo senza
che lui si sia reso conto che sei stato tu a rapirlo. E a
questo punto, niente storie, sar veramente finita.
Se Dio vuole, ci prover.
Quel pomeriggio a n d al m e r c a t o e c o m p r dei
piccioni, del cotone e molte di quelle vaschette in cui
la gente del mercato metteva olio e stoppini di cotone dandovi poi fuoco, vale a dire delle piccole lanterne notturne. Acquist anche un grande rosario bianco e degli abiti tutti bianchi per se stesso.
Aspett che fosse notte fonda e che tutti dormissero. And alla moschea, l'apr, vi entr, la dissemin
p e r ogni dove di lumini, in m o d o da illuminarla a
giorno. Prese poi i piccioni e li sparpagli nell'interno. E r a n o stati messi dentro grandi recipienti, parecchi alla volta, e vi producevano un r u m o r e "gluglu-glu-glu" che risuonava per tutta la moschea. Egli
si pose al centro, reggendo il rosario e sgranandolo.
Si era annerito le palpebre con il kohl e si pose a sedere in atteggiamento ieratico. Si era p r o f u m a t o e
aveva con s molte cose.
A un certo punto il cad si svegli nel cuore della
notte, chiedendosi: "Che cosa sta succedendo nella
moschea senza che io lo sappia?". Infatti la sua casa
era adiacente alla moschea. "Sta' a vedere che si recita u n a preghiera a m i a insaputa!" E cos si avvi
verso la m o s c h e a . M e n t r e si avvicinava alla m o schea, ud i r u m o r i che vi e r a n o all'interno, senza
riuscire a riconoscerli. Si disse: "Questo che sta av476

venendo oggi un miracolo di Dio!". Infil la testa


nell'interno e scorse u n a figura u m a n a bianca e gigantesca che teneva in m a n o un rosario. Non aveva
mai visto u n a scena simile. Il giudice ne fu spaventato. Cadde a terra e si mise a c a m m i n a r e a q u a t t r o
zampe. Non aveva mai visto quell'uomo. Quello gli
disse: Avvicinati. per te che sono venuto.
Ma chi sei?
Sono l'angelo Gabriele. Dio che mi ha inviato. I
buoni giudizi che dai e il t u o lavoro gli sono assai
graditi. Egli ha decretato che tu vada da lui, e ha inviato me a cercarti.
Ah, bene. Dal m o m e n t o che Dio che mi cerca,
che posso volere di pi oggi?
Tutto felice, si prostern, cadendo col viso al suolo. L'imbroglione gli disse: Quanto a te, il tuo destino gi deciso. Dio vuole solo vederti per conversare
con te, e io sono venuto a cercarti. In breve, and di
f r o n t e a lui, si mise a q u a t t r o z a m p e e gli disse:
Aspetta un a t t i m o che ti p r e n d o e ti carico sulla
schiena per portarti fino da Dio.
Benissimo. S o n o d'accordo. Dal m o m e n t o che
oggi mi sei venuto a prendere per portarmi da Dio,
rendiamo grazie a Dio!
Il ladro prese il suo sacco (aveva un sacco grande
come u n a persona), e gli disse: Adesso entraci dentro e allarga bene le gambe. Egli distese le gambe
u n a a destra, l'altra a sinistra, e il ladro prosegu:
Adesso sali a cavalcioni sulla mia schiena e voleremo in alto fino ad arrivare l dove si trova Dio. Allora, fintantoch mi vedrai avanzare cos, saprai che
staremo volando in cielo; quando poi lo avremo oltrepassato te ne accorgerai perch mi chiner.
Lo fece quindi salire in groppa e si mise a camminare a quattro zampe pian piano, pian piano, contin u a n d o a portarlo in giro finch fu giorno.
477

Al mattino, quando il capo usc dal palazzo, c'era


fuori solo lui, col cad sulla schiena. Arrivato davanti
al capo, si chin e lo fece rotolare gi, dicendogli:
Apri gli occhi: siamo arrivati al cospetto di Dio.
Quando il cad si guard intorno tutto quello che vide fu il capo.
Il l a d r o lo fece uscire e gli disse: Ecco q u a il
cad!.
Siamo d'accordo. Sei tu che hai ottenuto il diritto di sposare mia figlia.

28. IL SACCO DI M E N Z O G N E

C'era un u o m o che aveva due figlie e un figlio. Se ne


and a spasso e arriv in un luogo dove l'acqua fuoriusciva da u n a cavit della roccia. Vi i m m e r s e la
bocca per bere, ma mentre stava bevendo sent qualcosa che gli afferrava la barba. E r a un jinn. Lasciami a n d a r e la barba! gli disse, p r o m e t t e n d o g l i in
cambio questa o quella cosa, ma qualunque cosa gli
offrisse, il genio rispondeva: No! No! e concluse:
Quello che voglio che tu mi riempia un sacco di
menzogne. Tornatene a casa. Domani verr a trovarti. Se non mi avrai riempito di menzogne questo sacco, io vi uccider tutti e il mio sciacallo vi manger.
D'accordo.
Q u a n d o giunse a casa, il vecchio piangeva. Gli
chiesero: Cosa ti successo?.
C'era un jinn che mi ha afferrato la barba e mi ha
liberato a un patto: d o m a n i verr a trovarmi, e se
per allora non gli avr riempito un sacco di menzogne, ci uccider tutti e poi lo sciacallo che lo accompagna ci manger.
Allora la figlia minore gli disse: Pap, smetti di
478

preoccuparti. D o m a t t i n a tu e la m a m m a partirete,
lasciando qui solo me e il mio fratellino piccolo.
Trascorsero cos la notte, e all'alba se ne partirono
il vecchio padre, la m a d r e e la sorella maggiore della
ragazza. Anche a quest'ultima essa disse di partire. E
cos essi se ne a n d a r o n o . Rimase la ragazza con il
fratellino piccolo al suo fianco. Q u a n d o apparve il
jinn con il proprio sciacallo - lo sciacallo lo seguiva
c o m e un cane, e q u a n d o lui uccideva qualcuno, lo
sciacallo poi se lo mangiava -, q u a n d o arriv, dunque, il jinn la chiam:
Ehi, tu, ragazzina!
Eh?
Dov' tuo padre?
Mio padre partito insieme a degli uomini. Sono
a n d a t i in un p o s t o in cui il cielo sta cadendo, p e r
metterci dei puntelli.
Ah! E tua m a d r e allora?
La m a m m a andata con delle donne in un posto in
cui la terra si sta sdrucendo, per metterci u n a pezza.
E dov' tua sorella maggiore?
Mia sorella ieri era andata al pozzo, e nel ritorno
le era caduta u n a coscia, per cui adesso tornata indietro per cercarla.
A questo p u n t o la ragazza diede un pizzicotto al
bimbo, che si mise a piangere. Vedendolo piangere,
il jinn domand:
E adesso che cos'ha da piangere questo bambino?
Il motivo per cui adesso sta piangendo che ieri
a quest'ora gli avevamo dato dieci teste di sciacallo
per giocare e ballarci intorno, m e n t r e oggi prevede
di poterlo fare solo con la testa dello sciacallo che
con te.
All'udire queste parole, lo sciacallo corse via. E ve479

dendo fuggire lo sciacallo, anche il jinn ebbe p a u r a e


fugg pure lui.
E questo tutto.

29. LA CIVETTA

A proposito della civetta - o del barbagianni, non so


bene, c o m u n q u e uno dei due - dicono che il suo verso, che si sente di notte, dica: Nekk teqqiim da!
(Per me, rimasta sola!).
Un tempo la civetta era u n a donna con un marito
che l'amava assai. A quel tempo, la gente sapeva in
anticipo quanto era destinata a durare la propria vita. Ora, al m a r i t o venne a n n u n c i a t o che a v r e b b e
avuto ancora due anni di vita, mentre la moglie sarebbe m o r t a di l a un anno. Allora quest'uomo prese
u n a decisione, e poich era i n n a m o r a t o della moglie, le disse: Uno dei due anni che mi restano da vivere lo dono a te: tu vivrai ancora due anni, mentre
io ne vivr u n o solo; morir p r i m a di te.
Tutti f u r o n o molto impressionati da questo fatto,
e la voce arriv fino a un tale che ne fu oltremodo
colpito: per quanto u n a persona possa a m a r e un'altra, non le fa dono di met della propria vita.
Riflettendo su questa notizia che gli era stata riferita, il tale si disse: "Quanto amore ha per sua moglie
quest'uomo! Ma chiss se l'amore di questa d o n n a
per lui pari a quello di lui per lei?".
Pi ci pensava pi la cosa gli sembrava stupefacente. Era veramente a m m i r a t o che qualcuno potesse far dono di met della propria vita. Decise quindi
di andare a trovarlo, e si mise in viaggio per recarsi
da quest'uomo di cui aveva sentito parlare.
Lui era u n a persona sicura di s. Era un bell'uomo. Quando arriv dall'uomo che aveva donato alla
480

moglie met della propria vita, questi non era in casa. Chiese sue notizie e gli fu detto: Non qui. In
quella usc sua moglie che lo vide e se ne innamor.
Essa gli disse: Non voglio restare qui. Voglio venire via con te.
Ah, no! Non a n d r via con te. Ho p a u r a di t u o
marito.
Oh, mio marito... Non n e m m e n o il caso di parlarne. Verr via con te.
Egli rifiut, ma lei continu a blandirlo, a fargli la
corte, a blandirlo, a importunarlo. Dai e dai, alla fine
l'uomo part. Fugg con lei mentre il marito non era
ancora tornato.
Dopo un certo tempo, l'uomo che stava fuggendo
con la donna le disse: Facciamo sosta qui per riposare.
No! Se ci f e r m i a m o qui mio m a r i t o ci raggiunger subito. Meglio proseguire alla svelta p e r n o n
farci raggiungere.
Cos ripartirono e continuarono fino a un luogo in
cui, comunque, finirono per far sosta. Scesero, si sedettero, e mentre erano fermi in quel posto la moglie
scorse il marito che si stava dirigendo verso di loro
seguendo le loro tracce.
Gli disse quindi: Non te l'avevo detto che se ci
fossimo fermati quello ci avrebbe raggiunti? Eccolo
che arriva.
Egli r i m a s e ad attenderlo. Q u a n d o arriv, ci fu
u n a colluttazione tra il marito della d o n n a e l'altro
u o m o . La lotta si p r o t r a s s e p e r un bel po', f i n c h
l'uomo che aveva rapito la donna si arrese e cadde a
terra. Dopo averlo fatto cadere, il marito chiese alla
moglie: Passami il coltello che lo sgozzo!.
La moglie si rifiut. L'uomo, q u a n d o sent che la
d o n n a non avrebbe dato il coltello al marito, balz
su aggredendolo e facendolo cadere. A questo p u n t o
481

fu lui a chiedere alla donna: Dammi il coltello che ti


sgozzo il marito!.
Questa volta la donna gli pass il coltello. Quando
glielo ebbe dato, egli lo p u n t alla gola del marito legittimo della donna.
Ti rendi conto che sei morto? Non c' pi dubbio,
sei morto!
S.
A questo punto, l'uomo si rialz lasciandolo andare, e gli disse: Vedi, quello che voglio non ucciderti, e n o n n e p p u r e p r e n d e r m i t u a moglie. Quello
che mi ha mosso ci che hai detto tempo fa: come
hai potuto donare a t u a moglie met della tua vita,
dimostrandoti cos innamorato? Questa d o n n a non
dovrebbe a m a r e altri che te. E prosegu: Ecco che
il tuo proposito si mostrato inutile, perch questa
donna, p u r senza conoscermi, q u a n d o sono venuto
da lei ha deciso di venir via con me.
Ci detto, l'uomo se ne and, torn da dove era venuto.
Il marito torn a casa sua.
La lasciarono stare, ed essa rimase sola.

30. C H I IL P I O N E S T O ?

Si dice che vi siano due persone. Di queste due persone si vuole sapere quale sia la pi onesta.
Ci sono due amici, u n o che sta ad Agads e u n o
che sta a Tighazerin. Orbene, quello di Tighazerin
quel giorno decise di partire per andare ad Agads a
trovare il suo amico. Dal m o m e n t o che ad Agads
pu capitare di fare affari, prese con s cinquemila
reali. Si disse: "Aspetta che li metto in tasca, me ne
vado ad Agads, sbrigo i miei affari e vedo anche il
mio amico".
482

Part, si mise in c a m m i n o e a un certo p u n t o si


trov nella localit di Tin Tebezgin, in un luogo deserto. Qui giunto pens: "Per, se mi porto fino ad
Agads tutti i cinquemila reali rischio di sperperarli
in affari di nessun profitto. Far cos: ne p r e n d e r
quattromila, mi porter fuori strada e, approfittando del fatto che n o n c' nessuno che mi possa vedere, scaver u n a b u c a e ve li metter dentro. Li seppellir fino al m i o r i t o r n o , e allora p a s s e r a
riprendere i miei soldi". E cos fece: mentre nessuno
poteva vederlo, si allontan dalla strada, and in un
p o s t o dove scav u n a b u c a e seppell q u a t t r o m i l a
reali, tenendosene in tasca solo mille. Quindi ripart,
per andare ad Agads dal suo amico.
Gi, il suo amico. Anche lui quel giorno aveva preso la decisione di partire per andare dal suo amico di
Tighazerin. Anche lui prese cinquemila reali e li mise in tasca pensando che, quando fosse arrivato a Tighazerin, avrebbe p o t u t o fare acquisti di p r o d o t t i
della regione, oltre a vedere il suo amico. Quando fu
pressappoco a Tudu, i due si incontrarono.
Incontrandolo, l'amico gli disse: Guarda un po',
stavo venendo proprio da te!.
Ah, s? Anch'io stavo a n d a n d o a Tighazerin per
venire a trovarti, e a questo punto, dal m o m e n t o che
sono gi sulla strada, meglio che mi raggiunga tu
dopo a Tighazerin.
Va bene. D'accordo.
Quello che aveva in tasca mille reali riprese dunque il viaggio ed entr in citt.
L'altro, invece, che ne aveva con s cinquemila, riprese il c a m m i n o e quando si trov davanti al luogo
in cui l'altro aveva seppellito il suo d e n a r o , i suoi
quattromila reali, ebbe anche lui l'idea che se fosse
arrivato a Tighazerin avrebbe rischiato di dissipare i
suoi soldi. Si allontan dalla strada e Dio lo condus483

se davanti allo stesso albero sotto il quale l'amico


aveva seppellito i suoi quattromila reali. Qui giunto,
disse f r a s: "Bene, adesso scaver u n a b u c a e vi
metter i miei soldi". Scav la buca, e mentre stava
scavando si i m b a t t p r o p r i o nei q u a t t r o m i l a reali
dell'altro. Li vide, ma si limit a estrarre i suoi quattromila e a deporveli, dopodich ricopr il tutto e se
ne ripart alla volta di Tighazerin.
Qui giunto, vi rimase un certo tempo, mentre l'altro, che aveva seppellito i suoi soldi p r i m a di lui, dopo essere arrivato ad Agads, sulla via del ritorno, si
ferm alla buca e vi trov ottomila reali, ma si limit
a t i r a r f u o r i i suoi q u a t t r o m i l a , lasciando gli altri
quattromila dove stavano, e ricoprendoli di terra.
Arriv dove si trovava il suo a m i c o , ma n o n gli
disse: "Ho visto dei soldi". N o n gli disse assolutamente nulla.
Quest'ultimo, dopo un certo tempo, ripart, e arrivato nel solito luogo, trov che sotto terra c'erano
solo i suoi quattromila reali, gli altri non c'erano pi.
C'erano solo quelli che lui aveva messo prima.
A questo punto, si vuole sapere quale dei due sia il
pi onesto.

31. L E P E R S O N E N E L P O Z Z O

C'erano u n a volta u n a donna, suo marito, sua m a d r e


e sua suocera. Essi erano in viaggio e, quand'ebbero
sete, si fermarono a un pozzo profondo.
Ora, il marito reggeva la m a n o di sua madre, che,
appesa a lui, giungeva fino al fondo del pozzo. A sua
volta, la m a n o dell'uomo era a p p e s a a quella della
moglie, mentre la m a n o di quest'ultima la teneva la
m a d r e di lei.
Quando ebbero finito di attingere acqua dal pozzo
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e di trasportarla fino alla superficie, la d o n n a disse


al marito: Lascia a n d a r e la m a n o di tua m a d r e se
non vuoi che anch'io lasci andare la tua.
A questo punto, che far il marito?
Se lascia andare la m a n o della madre, questa cadr in fondo al pozzo e morr. D'altra parte, se invece m a n t e r r la presa, colei che odia la suocera lascer a n d a r e tutti e d u e - forse a m a gi un altro
u o m o -, e m o r r a n n o in due.
Altrimenti, che cosa pu fare adesso? Lo chiedo a
voi.

32. LA D O N N A E IL L E O N E

Una donna venne rapita: dei nemici la portarono via.


Strada facendo, essa riusc a fuggire. Trov un leone,
che la port in groppa fino al suo villaggio. I suoi ne
f u r o n o felici, e le chiesero: Chi ti ha riportata qui?.
Essa rispose: Mi ha trasportata fin qui un leone:
stato b u o n o nei miei confronti, peccato che gli puzzasse la bocca.
Il leone, acquattato nelle vicinanze, ud ci che lei
aveva detto e se ne and. Passarono alcuni giorni,
finch un giorno la d o n n a se ne and a raccogliere
legna. Incontr allora un leone che le disse: Prendi
un bastone e colpiscimi. Essa gli rispose: No, non
ti colpir. Un leone mi ha fatto del bene, non so se
sei stato tu o un altro. Il leone le disse: Sono stato
io. Ed essa replic: Non posso colpirti. Il leone
insistette: Colpiscimi o ti manger!. La donna prese un bastone e lo colp procurandogli u n a ferita. Allora il leone le disse: Adesso vattene.
Due o tre mesi dopo, il leone si trov nuovamente
a tu per tu con la donna. Il leone disse alla donna:
Vedi il posto dove mi hai colpito? guarito o no?.
485

La donna gli rispose: guarito. Il leone le chiese:


Il pelo ricresciuto?. E la d o n n a : S. Allora il
leone le disse: Una ferita si rimargina, ma u n a parola cattiva non guarisce mai. Preferisco un colpo di
spada alla lingua di una donna.
Quindi l'afferr e la divor.

33. L A M A S S I M A D A C E N T O M O N E T E D ' O R O

Un u o m o aveva duecento monete d'oro. Un giorno


afferm: A colui che mi insegner u n a massima utile dar cento monete d'oro. E u n o gli disse: Ti insegner io u n a massima utile.
E qual ?
meglio passare la notte con la collera che con il
rimorso.
E quello gli diede cento monete d'oro.
Quindi riprese a dire: A colui che mi insegner
u n a massima utile dar cento monete d'oro. Un altro: Ti insegner io u n a massima utile.
E qual ?
Quando rientri da un viaggio, non fermarti per la
notte a poca distanza dalla tua tenda.
Ora, avvenne che l'uomo dovette intraprendere un
viaggio, m e n t r e sua moglie aspettava un b a m b i n o .
Rimase in viaggio anche d o p o la nascita del figlio,
f i n c h questi n o n fu c r e s c i u t o e si fu f a t t o u o m o .
Q u a n d o ritorn, si un a u n a c a r o v a n a n u m e r o s a .
Cammina, cammina, giunsero a poca distanza dalla
localit in cui si trovava la sua tenda, prepararono la
cena e si accinsero a trascorrere la notte. Si ricord
allora della massima che aveva acquistato per cento
monete d'oro. Prese quindi la sua cammella, la sell,
part e arriv alla sua tenda nel cuore della notte.
Trov la moglie che dormiva con accanto un uo486

mo della sua stessa statura. Estrasse il pugnale e stava per piantarglielo nel ventre q u a n d o si sovvenne
della massima secondo cui " meglio passare la notte con la collera che con il rimorso". Rimise il pugnale nel fodero. R i m a s e fino al m a t t i n o in attesa
che l'uomo si alzasse per poi ucciderlo. Q u a n d o fu
mattina, ud sua moglie che diceva all'altro: Alzati e
prega Dio di far tornare tuo padre.
Da ci comprese che si trattava di suo figlio, per
cui disse: Ringrazio Dio di avere acquistato quella
massima per cento monete d'oro: essa ha salvato la
vita di mio figlio.

34. L ' U O M O C H E CERCAVA I L P A E S E


DOVE NON SI MUORE

Questa la storia di un u o m o che aveva u n a m a d r e


molto anziana. Egli pens di cercare un paese in cui
non si morisse mai. Decise di mettersi in viaggio alla
ricerca di questo paese in cui non si m u o r e mai, e se
nei paesi in cui giungeva vedeva delle tombe, non si
fermava ma proseguiva la ricerca di un paese in cui
n o n vi fossero cimiteri. Attravers tutti i paesi senza
trovarne uno in cui non vi fossero cimiteri. Un u o m o
gli disse: Dove te ne vai in continuazione? Hai viaggiato per tutti i paesi lasciando sola la tua vecchia
madre. Egli rispose: Io cerco un paese in cui n o n
vi siano cimiteri. E quello riprese: Se mi pagherai
il noleggio dei cammelli, ti far vedere un paese in
cui non vi sono tombe per i defunti. Al che egli rispose: Se tu mi farai vedere un paese in cui la gente
non m u o r e mai, ti dar tutti i beni che posseggo.
Si misero in viaggio insieme e a r r i v a r o n o in un
paese in cui n o n vi erano tombe per i defunti. Ferm a r o n o i cammelli presso questa gente. L'indomani
487

l ' u o m o che aveva f a t t o da guida chiese all'altro:


Adesso d a m m i ci che mi spetta perch ti ho fatto
conoscere un paese in cui n o n vi sono sepolture.
Questi gli diede tutti i beni che possedeva e quell'uomo part.
Il nostro si install in quel paese. Un giorno dovette andare in un luogo poco distante. Affid ai vicini
la m a d r e che stava dormendo.
Quando la videro addormentata, i vicini la sgozzarono, la fecero a pezzi e ne tennero u n a parte per il figlio. Quando questi fu di ritorno, gli dissero: Tua
madre era sul punto di morire, noi l'abbiamo sgozzata e ci siamo divisi la sua carne. Ce ne u n a porzione
anche per te. L'uomo riflett: "Cercavo un paese in
cui la gente non m u o r e mai e sono arrivato in un posto dove la mangiano!". E se la diede a gambe levate.

35. LA S T O R I A DI A M M A M E L L E N E DI E L I A S

Ammamellen aveva u n a sorella. Un indovino gli aveva predetto: Sta scritto che tu avrai un nipote che
sar superiore a te in intelligenza. Perci tutte le
volte che la sorella dava alla luce un maschio, egli lo
uccideva. Finch un giorno essa partor contemporaneamente alla sua schiava. Prese quindi la propria
creatura, la diede alla schiava e prese con s il figlio
di quest'ultima. Ammamellen arriv, lo prese e lo uccise.
Il figlio della p a d r o n a r i m a s e presso la schiava,
crebbe e si fece uomo. Il suo n o m e era Elias.
Ammamellen non lasci nulla di intentato per riuscire ad attirarlo in un tranello e ucciderlo. Elias era
superiore a lui, e Ammamellen non riusciva a ucciderlo.
Un giorno Elias giunse molto assetato da Amma488

mellen. Quest'ultimo sapeva dove si trovava l'acqua


nella montagna, ma non voleva fargliela vedere. La
montagna non serbava tracce, dal momento che il
suolo era completamente roccioso. Quando scendeva
la notte, Ammamellen andava coi suoi schiavi ad abbeverare le greggi. Bevevano di notte e ritornavano
mentre ancora tutti dormivano. Elias prese i sandali
degli schiavi, ne unse le suole di grasso e attese. L'indomani pot seguirli fino al luogo in cui si erano recati: il terreno calpestato dalle suole, ancorch roccioso,
conservava tracce di grasso, e cos egli riusc ad arrivare all'acqua. Ammamellen lo vide e lo segu di nascosto. Mentre Elias stava chinato a bere, vide riflettersi nell'acqua l'ombra di Ammamellen che, con la
spada sguainata, stava per colpirlo alla nuca. Fece allora un rapido balzo dall'altra parte e se ne fugg via.
Ammamellen fece ritorno alla sua tenda. Un bel
giorno, se ne and all'imboccatura di un vallone e vi
lasci delle tracce con le z a m p e di animali morti:
cammelle, capre, pecore e asini. Vi fece entrare anche tre vecchi cammelli, u n o c o n un occhio solo,
u n o con la rogna e u n o con la coda tagliata. Torn
alla sua tenda. L'indomani disse a Elias: Va' a vedere quel vallone: sappimi dire che cosa c' dentro.
Elias and a vedere il vallone e il suo contenuto, dop o d i c h t o r n da A m m a m e l l e n . Questi gli chiese:
Elias, hai visto il vallone?.
S.
Allora, cosa c' e cosa non c'? Ti piace o non ti
piace?
Mi piace, solo che ci sono delle tracce di animali
morti e di tre vecchi cammelli, u n o con un occhio
solo, u n o con la rogna e u n o con la coda tagliata.
Allora Ammamellen gli chiese: Come fai a scoprire
u n a d i f f e r e n z a f r a le tracce di un a n i m a l e vivo e
quelle di un animale morto?.
489

L'unghia di un animale vivo ritorna su se stessa


portandosi dietro della sabbia; quella di un animale
morto no.
E come fai a scoprire u n a differenza tra un cammello che ha un occhio solo e u n o che li ha tutti e
due?
Il cammello con un occhio solo strappa dagli alberi le foglie solo dal lato dell'occhio che ci vede.
E come fai a scoprire u n a differenza fra un cammello con la rogna e u n o senza?
Quello con la rogna si gratta contro tutti gli alberi che incontra, lasciando tracce di questo sfregamento.
E come fai a scoprire u n a differenza tra un cammello con la coda e u n o senza?
Lo sterco del cammello senza coda rimane in un
mucchio unico, mentre quello del cammello con la
coda viene disperso e sparpagliato dalla coda.
Un'altra volta, Ammamellen part e si rec in un
luogo dove raccolse erba in abbondanza, ne fece dei
fasci, li rivolt e disse a Elias: Domani andrete nel
tal luogo e porterete via i fasci d'erba che vi ho radunato. Detto questo, se ne a n d e, di nascosto, lo
precedette in quel luogo, se ne a n d verso un covone, vi entr e si a c q u a t t a s p e t t a n d o che arrivasse
Elias per ucciderlo.
Q u a n d o arriv Elias, raccolse tutti i fasci d'erba
tranne uno, a cui rifiut di avvicinarsi. I suoi compagni gli dissero: Perch hai raccolto questi covoni e
quello lo hai lasciato stare?. Ed egli rispose: Questo qui respira, mentre gli altri non respirano.
Udito ci, Ammamellen balz fuori, prese il giavellotto, glielo scagli contro ma lo m a n c . Allora
disse: Mi inchino a te, figlio di mia sorella, che mia
sorella ha partorito facendolo credere figlio di u n a
schiava.
490

Nota ai testi

Parte I
Le fiabe di questa parte provengono da: Uwe Topper,
Mrchen der Berber, Colonia, Eugen Diederichs Verlag,
1986. Quando questo autore non ha tradotto materiale
proprio ma partito da un testo berbero gi pubblicato, la traduzione stata fatta su quest'ultimo. I casi sono segnalati volta per volta.
1. Il mostro. Tradotta da Laoust (1949) n. 94, era stata raccolta presso i Bani Mtir a El Hajeb, nel Medio
Atlante. Nella trama, a prima vista piuttosto confusa,
di questa fiaba, sono contenuti alcuni elementi che
possono risalire a una remota antichit: in particolare
il tema del riconoscimento della morte e dell'atteggiamento nei suoi confronti. La raffigurazione della morte
sotto forma di una mula o di una giumenta (a Ouargla,
nel Sahara algerino: Tagmart) una immagine diffusa
nel mondo berbero, ma non solo: si veda per esempio il
sinistro personaggio di Spina de Mul nelle saghe ladine
delle Dolomiti (Dal Lago 1989). Al terrore della morte
che, sperimentata coi vecchi genitori, perseguita per
tutta la vita la donna, il figlio e il marito, si contrappone in questo racconto la speranza in una salvezza che
viene fornita dall'albero su cui la donna si arrampica,
evidente ripresa dell'antichissima immagine dell' "albero della vita". All'interno della favolistica berbera, l'intreccio trova interessanti corrispondenze con la fiaba
n. 12 della Parte II (La quercia dell'orco). Per l'espres491

sione finale "il suo fegato era spezzato", equivalente al


nostro "ne ebbe il cuore spezzato", si vedano le osservazioni alla fiaba n. 17 della Parte III.
2. L'acqua che non cade dal cielo e non sgorga dalla
terra. Questa fiaba, dettata a U. Topper da Abdullah
Unwar, riprende temi assai diffusi sia in Oriente sia nel
Nordafrica. In particolare, innumerevoli sono le fiabe
che contengono il "motivo di Turandot", con la domanda da risolvere pena la decapitazione. Per il particolare
dell'eroe che, nel corso di precedenti avventure, elabora un "indovinello" insolubile, si pu dire che, mutatis
mutandis, si abbia qui un corrispondente berbero della
fiaba italiana nota come II figlio del mercante di Milano
nella raccolta di Italo Calvino (1968).
3. Il mercante, l'ifrit e i tre vecchi. Narrata nel 1981 da
Si Hsan, un cantastorie professionale, sulla piazza Djemaa el Fna di Marrakesh. Essa ripete con notevole fedelt il testo di una celebre fiaba (Il mercante e il genio
delle Mille e una notte). Solo il racconto del terzo vecchio risale a una versione completamente diversa e abbreviata; per il resto, la stupefacente identit di alcuni
dettagli (per esempio il "ricavo decuplo" ottenuto dai
fratelli commercianti, o l'incantesimo opera non della
fata ma di una sua sorella, ecc.) la prova della grande
professionalit dell'esecutore. Circa la credenza, comune in tutto il mondo musulmano, della possibilit di irritare i jinn, invisibili, gettando sconsideratamente oggetti o acqua bollente, si pu vedere anche, pi avanti,
il racconto n. 9.
4. Il principe Mohammed che rap la figlia del capotrib dei nomadi. Tradotta dal testo in tashelhit di Hans
Stumme (1895), n. 7. Abbastanza curiosa la posizione in questa e in numerose altre fiabe berbere - delle persone affette da tigna, le quali, nonostante il loro aspetto
492

poco accattivante, finiscono spesso per prevalere su


tutti. Si veda anche, pi avanti, le fiabe n. 8 e n. 10 . Secondo la tradizione, un re di Tlemcen di nome El-Ablaq
El-Fertas ("L'Albino Tignoso") sarebbe il fondatore di
Oujda (R. Basset, Ndroma, Parigi 1901, p. 208). La trasformazione, qui poco chiara, dell'ifrit in un servitore
negro, pi comprensibile nella fiaba corrispondente
in Cabilia (n. 19, Parte II).
5. Ahmed U-n-Amir. Fiaba narrata a U. Topper da
Mohammed U-Lhajj nel 1985 e identica quasi parola
per parola alla n. 10 della raccolta di Hans Stumme
(1895). Il nome del protagonista, Ahmed U-n-Amir significa letteralmente "Ahmed Figlio-dell'Emiro". Sono
relativamente frequenti in Nordafrica i racconti il cui
protagonista un principe innominato o noto solo come Figlio del Sultano, eventualmente accompagnato
dal neutro Ahmed (o Mohammed), il nome pi diffuso
in ambito islamico, soprattutto tra i primogeniti. curioso, qui, che al nome non corrisponda di fatto una discendenza regale del giovane. Riguardo all'usanza di
tingere le mani con l'henn, va ricordato che essa frequentissima tra le donne mentre per gli uomini tale
operazione viene effettuata solo in casi eccezionali, p.
es. nella notte delle proprie nozze. Per questo la tintura
delle mani di Ahmed per opera degli esseri angelici ha
qui anche il significato diretto di annunciare il matrimonio. Con la sua ricchezza di simboli "forti" il racconto si presta comunque a letture allegoriche. Un tentativo di interpretazione (basato anche su altre
versioni) si trova in A. Bounfour, La parole coupe. Remarqu.es sur l'thique du conte, in Awal, 2 (1986), pp.
98-110.
6. Il re con un figlio bianco e uno nero. Raccontata a
U. Topper da Mohammed U-Lhajj, della trib degli
Haha. Compare qui con ampio risalto la dicotomia
493

bianco-nero (normalmente associata alla dicotomia libero-schiavo), estremamente frequente nei racconti
nordafricani. Assolutamente eccezionale invece la
circostanza che il ruolo positivo sia qui svolto dal nero
e non dal bianco. (In Marocco sono tuttavia tramandate le imprese di un "Sultano Nero" che avrebbe regnato
parecchi secoli fa e avrebbe assediato Tlemcen. Cfr. R.
Basset, Ndroma, p. 11 e App. IV.) Un particolare che
compare anche in numerose altre fiabe nordafricane
quello dell'arrestarsi degli orchi (o delle orchesse) di
fronte ai corsi d'acqua mentre stanno inseguendo gli
eroi del racconto. Ci sottolinea il carattere selvatico di
questi personaggi, cos estranei al mondo civile degli
umani da non sapere n e m m e n o nuotare, e questa
estraneit alle espressioni della "civilt" degli uomini
vale, in generale, anche per ogni altra creatura non
umana presente nelle fiabe. Per esempio, nel racconto
n. 4 della Parte III, il narratore sottolinea con sarcasmo
la scarsa abitudine a cavalcare del jinn rapitore di fanciulle, che se ne sta rigido e impacciato sulla sella pregiata di Mauritania. Questi esseri apprezzano, per, i
risultati che si ottengono con le arti degli uomini, per
cui, per esempio, non raro che l'eroe riesca a ingraziarseli liberandoli, con una perfetta rasatura, dal pelame lungo e incolto che li caratterizza.
7. L'uccello bianco e l'uccello nero. Fiaba raccontata a
U. Topper nel 1982 da Zahra bint Mohammed di Marrakesh. L'autore tedesco segnala una particolare variante turca da Istanbul - ampliata con una seconda
parte - messa per iscritto tra il 1939 e il 1947 da Boratav (Zaman zaman iginde, Istanbul 1958; trad. tedesca
di A. Uzunoglu-Ocherbauer, Tiirkische Mrchen, Frankfurt/M. 1982 (trad. it. di Oreste Bramati, Fiabe turche, Milano 1992). In essa si parla di un solo uccello
bianco, mentre gli altri due uccelli che vi ricorrono sono senza significato.
494

8. Aggelamush. La fiaba proviene da Hans Stumme


(1895), n. 16. In altre versioni marocchine della fiaba, il
nome della strana creatura su cui si incentra la storia
Al Amosh, vale a dire "Al il Gatto". Di un gatto vero e
proprio (denominato appunto Mosh, "gatto") si parla
nella versione algerina riportata nella Parte II di questa
raccolta col n. 17. La curiosa particolarit fisica del sovrano della seconda parte, che ha le corna, fa pensare
ad Alessandro Magno, noto nel mondo islamico come
Dhu 1-Qarnayn ("Quello dalle due corna"), nominato
perfino nel Corano (sura XVIII, 83 ss.). Un racconto algerino su "Gennaio, l'uomo dal corno" stato pubblicato nel 1903 nei Mmoirs de la Socit de Linguistique de
Paris da E. Doutt. Notevoli, comunque, in questa seconda parte, i richiami a motivi della mitologia classica, come la vicenda delle orecchie d'asino di re Mida, la
cui esistenza venne divulgata inconsapevolmente dal
suo barbiere che si liber del segreto in una buca del
terreno sulla quale in seguito crebbero delle canne che
con il loro fruscio ripeterono la notizia. A Ouargla
(Delheure 1989, 334 ss.) vi un analogo racconto, in
cui figurano delle orecchie di cane e la rivelazione
fatta da vermi della terra.
9. La donna che venne rapita da un jinn. Raccontata
da un giovane dei pressi di Igherm nell'Anti-Atlante.
Sulla credenza che, gettando oggetti o versando dell'acqua bollente alla cieca, si possa far male a un jinn, si
veda anche sopra, la fiaba n. 3. U. Topper, che ha raccolto il racconto, riferisce di avere udito in proposito
l'aneddoto che segue: Un appartenente alla nostra
confraternita gett via sbadatamente l'acqua calda rimasta nel recipiente dopo l'abluzione per la preghiera
notturna, e immediatamente ricevette uno schiaffo da
un essere invisibile. Per questo bisogna guardarsi dal
versare dell'acqua calda nell'oscurit. Una scena di
giudizio presso il re degli spiriti che assolve l'umano
495

perch ignaro di aver danneggiato uno spirito ricordata anche a Ouargla (J. Delheure 1988, p. 373). In
questo, come in altri racconti (n. 19 e 27, ma anche n.
35 della Parte III), compare un accenno a riti di geomanzia, divinazione ottenuta interpretando segni casualmente tracciati sulla sabbia. Su questa tecnica, ancora piuttosto diffusa nel m o n d o berbero, si pu
vedere, da ultimo, Casajus (1993).
10. L'uomo con la pipa. Fiaba raccontata a U.Topper
da un pescatore berbero della trib Haha sull'Atlantico
nel 1984. Come nella n. 54, anche qui risulta chiaro il
valore attribuito ai fumatori di hashish, che diventano
gli eroi della storia. In effetti gli stati di coscienza alterati indotti dalla droga possono essere - e nell'ambito
di certe comunit mistiche sono - considerati sintomo
di contatto con un mondo trascendente, ispirato. Questa lunga versione sembra comprendere l'unione di diversi nuclei narrativi, in cui sono presenti molti elementi diffusi in altre fiabe, berbere e non, per esempio
il travestimento da tignoso del protagonista o il suo abbandono in fondo a un pozzo da parte dei fratelli. Frequente nella favolistica berbera anche il modo di uccidere orchi e draghi per dissanguamento, evitando di
tagliare loro tutti gli arti (o, pi spesso, le teste), perch
dopo l'ultima amputazione essi ricrescerebbero.
11. La figlia del jinn. Tradotta sul testo di Renisio
(1932), pp. 188 ss. Anche questa fiaba riunisce in s numerosi motivi assai noti sia in ambito magrebino sia
altrove. Il tema del bacio che fa dimenticare la donna
amata si ritrova anche, per esempio, nelle fiabe n. 187
e n. 194 della raccolta dei fratelli Grimm.
12. Il jinn di Imzuwurt. Raccontata a U. Topper da
Mohammed U-Lhajj, della trib degli Haha. A proposito di questa fiaba, U. Topper riferisce di averla udita
496

narrare a pi riprese nel corso degli anni, per opera di


diversi abitanti di Ait Tamlal, anche se solo pochi
avrebbero trovato il coraggio di narrarla per intero. Le
capanne sul Capo vengono visitate anche in altre epoche da singoli o da gruppi che intendono pregare per la
fecondit.
13 .La negra con i due gomitoli. Tradotta dal testo in
tashelhit di Emile Laoust (1949), n. 98, pp. 99-100, il
quale lo aveva raccolto presso gli Ntifa a Tanant nel
1916. Molto diffuso in tutto il Nordafrica il tema della usurpazione della posizione della padroncina bianca
da parte di una schiava negra, anche se perlopi lo
scambio di colore della carnagione avviene in seguito
a un bagno in fontane riservate una ai bianchi e una ai
negri (si veda per esempio la fiaba n. 1 della Parte II).
La spietatezza con cui viene tradizionalmente punita
la serva emblematica di quanto fosse cruciale nella
societ tradizionale il rigido mantenimento dei ruoli.
Analoghe versioni europee (per esempio La ragazza
delle oche nella raccolta dei fratelli Grimm, n. 89) sono
invece incentrate sullo scambio di vestiti.
14. I due fratelli e l'ifrit. Dal testo in tashelhit di Hans
Stumme, Mrchen der Schluh von Tazerwalt (Leipzig
1895), n. 4. Notevoli sono le congruenze col racconto I
due fratelli dei fratelli Grimm (n. 60), dove l'eroe viene
aiutato non da un cane ma da un leprotto.
15. L'uomo che avrebbe dovuto seminare fave. Narrata a U. Topper da Erqia, un'anziana donna della trib
degli Haha. Il tema della persona che, invece di seminare e coltivare fave, se le mangia salvo poi andarle a
cercare nell'orto di un'orchessa, diffuso in tutto il
Nordafrica (si veda per esempio la fiaba n. 10 della Parte II). Quello delle creature magiche che per un furto
nell'orto si prendono la figlia della colpevole lo stesso
497

della Prezzemolina della tradizione italiana. La fanciulla che vive con l'orchessa qui non viene nominata; in
un racconto analogo raccolto da Laoust (1949), n. 97,
essa ha il nome di Lunja "del roccione". Su questo personaggio (altrove chiamato anche Runja, Nuja o simili), assai noto in Nordafrica, si possono vedere le fiabe
n. 2 e n. 19 della Parte II.
16. L'uccello dalle uova d'oro. Fiaba narrata a U. Topper da un giovane della trib degli Haha. Essa ben
nota in tutto il Nordafrica e anche altrove. Nonostante
la trama nel complesso diversa, vi accordo nel particolare dei due figli che mangiano le parti pi pregiate
dell'uccello fatato (il cuore e il fegato) con la fiaba n. 60
dei fratelli Grimm I due fratelli. Pressoch identica nella sostanza invece la fiaba yiddish n. 27 della raccolta
di Silverman Weinreich (1992). Ovviamente in
quest'ultima versione il malvagio che alla fine viene punito non un ebreo (il prototipo del malvagio nelle fiabe berbere), bens un "signorotto"consigliato da un
prete.
17. L'Uomo e il Gigante. Fiaba narrata a U. Topper
da Abdullah Unwar. Anche questo testo contiene motivi assai diffusi sia in Nordafrica sia altrove. In ambito
europeo, un confronto pu essere fatto con due racconti dei fratelli Grimm: Il coraggioso piccolo sarto (sette in
un colpo), n. 20 e II gigante e il sarto, n. 184, ciascuno
dei quali contiene una parte degli episodi del racconto
berbero.
18. Il fabbricante d'oro. Fiaba raccolta a Rabat da U.
Topper. Al contenuto morale del racconto (che potrebbe far parte della serie di miti relativi alla citt di Jedad
u ben Ad) si affianca una probabile reminiscenza della
tradizione alchemica araba.
498

19. Il contadino e il re. Fiaba raccolta a Rabat da U.


Topper. Il tema centrale, basato su una serie di equivoci e giochi di parole che consentono a una persona qualunque di passare per grande indovino, assai diffuso,
anche al di fuori del Nordafrica. Un esempio tra tanti il
Dottor Satutto dei fratelli Grimm (n. 98).
20. Il pescatore che and dal re. Raccolta a Rabat da U.
Topper. Bench le vicende siano nel complesso diverse,
una certa analogia si pu riscontrare con il racconto n.
101 della raccolta yiddish di Silverman Weinreich
(1992) Perch i capelli diventano grigi prima della barba:
anche in quest'ultima storia, infatti, vi un umile lavoratore, favorito dal re per il suo buonsenso e osteggiato
dai suoi consiglieri, il quale si cava d'impiccio in una circostanza proprio grazie all'identificazione delle monete
con l'effigie del sovrano e il sovrano stesso.
21. La schiava furba. Raccontata a U. Topper da Zahra bint Mohammed a Marrakesh nel 1982. Non a caso,
le fiabe che narrano l'abilit delle donne vengono solitamente narrate da donne. Nel mondo maschile, i racconti in cui la donna dimostra la propria bravura tendono solitamente a sottolinearne l'astuzia usata per
prendersi gioco degli uomini. Si vedano pi avanti le
fiabe n. 32 e n. 35.
22. Il medico saggio. Questa, come le due fiabe successive, Un saggio consiglio e La grossa eredit sono state raccontate a U. Topper a Rabat da giovani originari
dei monti circostanti.
23. Un saggio consiglio. Tradotta dal testo n. 66 di
Laoust (1949), raccolto presso gli Ntifa dell'Alto Atlante. La trama prende spunto da un tema assai diffuso
nella letteratura orale berbera di tipo gnomico, vale a
dire l'enunciazione delle tre cose migliori o - pi spes499

so - delle tre cose da evitarsi, ecc. Un lungo testo cabilo


raccolto da M. Mammeri nei suoi Pomes Kabyles anciens (Le mariage de Tartina, pp.226-257), consiste in
una sorta di competizione poetico-retorica tra vari animali e uccelli per aggiudicarsi l'amore della bellissima
Tanina, e contiene molti di questi "aforismi trimembri", p. es.: "Mio padre un giorno mi ha detto: un campo attraversato da troppi sentieri, un aratro traballante, una moglie con dei figli di primo letto, fuggiteli,
amici!"; "Tre cose fanno piangere il cielo: chi si reca
all'assemblea senza saper parlare; chi va di notte a rubare e si mette a cantare; chi testimonia su cose che
non ha veduto"; "tre cose fanno piangere il gatto: chi
sposa una racchia che fa la difficile; chi ricco e lascia
che i suoi parenti si nutrano d'erba; chi ha figli malvagi
e si vanta della prole", e cos via. La capacit di comporre rapidamente questi triplici aforismi (i cosiddetti
timsal), in rima su una parola data, era una dote molto
apprezzata per i depositari della cultura orale tradizionale, che in certi casi davano vita a vere e proprie "tenzoni oratorie" tra i "campioni" di diverse trib. (Si veda
al riguardo Allioui 1990.)
24. La grossa eredit. Raccontata a U. Topper a Rabat. Gi presente nella raccolta di storielle edificanti
del religioso Johannes Pauli, Schimpf und Ernst, Strasburgo 1522, dove peraltro dallo stesso fatto veniva
tratta una morale diversa.
25. La guarigione dell'avaro. Raccontato a U. Topper
dagli Haha, sul margine occidentale dell'Alto Atlante.
Secondo la religione islamica i defunti subiscono nella
tomba, subito dopo la morte, un primo giudizio in seguito a un interrogatorio da parte di due angeli,
Munkir e Nakir, e nel caso siano trovati meritevoli di
punizione vengono puniti in vario modo gi nella tomba; alla fine del mondo, poi, avr luogo il giudizio uni500

versale (su cui si veda la fiaba n. 61) con la definitiva


condanna all'inferno o ammissione al paradiso.
26. Il cad e il cacciatore. Raccontata a U. Topper da
Abdallah Unwar. Sul tema del ribaltamento di una sentenza ingiusta, cfr. anche la n. 19 della Parte III.
27. Lo strano dono nuziale. Raccontata a U. Topper
da Abdallah Unwar. Il tema dell'empiet dei cad, soggetti spesso alla tentazione, alla corruzione e al male,
assai diffuso a livello popolare e compare anche in altre fiabe (p. es. la n. 23, la 26, la 48 e la 52 della Parte I).
credenza comune che le tombe dei malvagi ospitino
spesso animali impuri (cani, serpenti, scorpioni). Si veda, per esempio, Yafi'i (1993) pp. 211-212.
28. Il sultano e i Berberi. Raccontata a U. Topper nelle tende degli Zayan nel Medio Atlante. La gag del vecchio con la barba bianca che non conosce abbastanza
l'arabo per esprimersi con eleganza molto riuscita. U.
Topper riferisce che "tutti gli ascoltatori si piegano in
due dalle risa quando viene narrato questo racconto
buffo. Di fatto, le tre parole che il vecchio riferisce alla
sua trib: pascolo, ariete e segale, hanno un bel suono,
mentre le espressioni riferite al re: ronzino, pastore e
asino, suonano in modo sgradevole".
29. Il maestro di Corano tra i Berberi. Raccontata, come la precedente, nelle tende degli Zayan nel Medio
Atlante. Anche questo racconto si incentra sulla incomprensione dell'arabo da parte dei Berberi. Una sorta di
rivincita sui colti cittadini, depositari di questa lingua,
privilegiata dalla religione ma troppo ostica per le popolazioni rurali.
30.I Figli dell'Avarizia. Raccontata a U. Topper dagli
Zayan nei pressi di Ummer Rbia nel Medio Atlante. Per
501

capire appieno il senso della storia, va tenuto presente


che il siero prodotto con la fabbricazione del burro
sempre assai abbondante e di scarsissimo pregio, al
punto che non si esita a darlo agli animali.
31 .La pelle magica. Sono qui raccolti alcuni degli infiniti episodi della saga di Juh, raccontati a U. Topper
da Si Hsan sulla piazza Djemaa el Fna a Marrakesh. Su
questo personaggio, ora tonto e ingenuo ora furbo e
smaliziato, esiste una letteratura immensa. Particolarmente significativa la raccolta di Mouliras (1987).
Racconti della serie sono presenti anche nel meridione
d'Italia, e in particolare in Sicilia, dove l'eroe ha prevalentemente il nome di Giuf (alcuni episodi sono compresi anche nelle Fiabe italiane di Calvino). Su questo
personaggio, in diverse tradizioni, si pu ora vedere
Corrao (1991) e Cohen Sarano (1990).
32. Il potere delle donne. Ambedue i racconti sono
stati raccolti da U. Topper a Asfi. Tipica espressione di
una societ maschilista, rappresentano un genere assai
diffuso. A essi si possono accostare le fiabe n. 35 e n. 39
della Parte I e la n. 26 della Parte III.
33. Lalla Maghnia. Leggenda narrata a U. Topper da
Zahra bint Mohammed, una donna di Marrakesh. Il
personaggio al centro del racconto una santa la cui
tomba ancor oggi venerata a Lalla Maghnia in Algeria. Una versione pi completa, ma sostanzialmente
aderente a questo testo, della leggenda di Lalla Maghnia riportata in A. Maraval-Berthoin (1927). Come si
pu vedere, nel mondo delle confraternite sufi non vengono apprezzate solo le virt religiose ma anche quelle
guerresche.
34. La principessa Gazzella. Fiaba narrata a U. Topper
da un giovane di Igherm nell'Anti-Atlante. Essa contiene
502

numerosi motivi assai diffusi, anche al di fuori del Nordafrica (p.es. la foresta interdetta e la caccia alla gazzella). Sul modo di far parlare la principessa muta, si veda
la nota alla fiaba cabila n. 19 della Parte II.
35. L'astuta Aisha. Narrata a U. Topper da Zahra bint
Mohamed di Marrakesh. Appartiene, come la n. 39 e la
n. 32, a quel genere che si compiace di descrivere le astuzie femminili nei confronti degli uomini. Il "personaggio" di Aisha comunque una figura che emerge a tal
punto in questo genere da vivere quasi di vita propria.
Su ci, cfr. M. Virolle-Souibs (1993), pp. 377-390.
36. La moglie innamorata. Racconto recitato a U. Topper a Rabat da giovani originari dei monti circostanti.
Numerosi racconti riferiscono le vicende penose di chi,
non potendoselo permettere, cerca affannosamente il
modo di sacrificare un animale in occasione della Festa
del Sacrificio (p.es. n. 5 e n. 8). Il tema viene qui per affrontato in un modo quasi farsesco che ne fa una specie
di "barzelletta".
37. Il magico cuscus. Raccontata a U. Topper nel
1985 da un giovane del Sus, che sosteneva trattarsi di
"un avvenimento autentico". Per la preparazione del
cuscus con la mano di un morto allo scopo di annullare
la volont dei mariti e altre pratiche magiche si pu vedere Doutt (1984), pp. 302 ss.
38. La povera donna e l'orchessa. Raccontata a U.
Topper da Erqia, una donna di circa settantanni della
trib Haha nell'Alto Atlante in lingua tashelhit. Per il
suo contenuto, essa si pu accostare alla fiaba n. 5 della Parte II, incentrata sul personaggio di una povera vedova che riesce, lavorando sodo e impiegando l'astuzia,
ad allevare e a salvare dall'orchessa i suoi numerosi fi503

gli (sette il numero magico di gran lunga pi frequente nelle fiabe).


39. Le donne astute. Raccontata a U. Topper da Si
Hsan nella Djemaa el Fna di Marrakesh. Il racconto - che
appartiene allo stesso genere della fiaba n. 32 e delle altre ivi ricordate - gi apparso in Justinard (1926), pp.
49 ss. col titolo Le tre sorelle, ed commentato in VirolleSouibes (1993), pp. 377-390. A Ouargla vi una versione
molto simile, che per si conclude male per colei che ha
ecceduto nel prendersi gioco del prossimo (Delheure
1989, pp. 258 ss.)
40. Come fu che il garzone mangi a saziet. Questa
storia stata narrata a U. Topper ad Asfi. A questo stesso genere di astuzie che consentono ai servitori di farsi
una bella mangiata alle spalle dei padroni appartiene,
per esempio, la fiaba La saggia Gretel dei fratelli
Grimm (n. 77), gi presente nella raccolta del religioso
Johannes Pauli, 1522, cit., la cui trama peraltro corrisponde in modo pi preciso alla versione cabila presente nel Decamerone nero di L. Frobenius (Astuzia femminile, pp. 237-238). L'episodio di bestialit perpetrato
con l'asina rimanda a pratiche non ancora scomparse
nelle campagne (si veda anche il racconto Ainichthem
dello stesso Decamerone nero). Probabilmente nell'intenzione di evitare episodi del genere che va vista l'origine del tab ancor oggi vigente in Cabilia (Algeria): in
questa regione non viene tollerata la presenza di asini
femmina, per cui non esiste un allevamento locale di
asini, che vengono acquistati nelle regioni circostanti.
41. L'adulterio. Fiaba narrata a U. Topper da un vecchio pescatore della trib degli Haha. Essa presenta una
certa rassomiglianza col motivo di Adamo ed Eva (cfr.
pi avanti, n. 51), anche se qui esplicitamente segnalato che fu l'uomo e non la donna a venire meno a un patto
504

(cosa questa piuttosto notevole se si considera il basso


concetto che la societ tradizionale ha della fedelt delle
donne). Il prigioniero della caverna (che compare anche
nella fiaba n. 60), il Dujjan, corruzione del nome arabo
Dajjal, "Il (sommo) impostore", con cui si designa tradizionalmente una sorta di Anticristo, un personaggio che
far la sua comparsa, secondo l'escatologia musulmana,
prima della fine del mondo. Sulla figura del Dajjal si pu
vedere Noja (1988), pp. 60 ss.
42. La bella donna. Narrata dallo stesso vecchio pescatore delle fiabe n. 51 e n. 52 . chiaro il valore allegorico dell'intero racconto. Come riporta U. Topper, i
simboli presenti in esso andrebbero cos intesi: Il giovane sta per ben Adam, l'uomo; la bella donna l-'aql,
l'intelletto, creato da Dio e caduco come tutte le cose
create; la casa sta per la dunya, questo mondo; il servo,
'abd, un angelo; il padrone di casa, da cui tutto e tutti
dipendono, non si fa vedere affatto. Egli Rabb, colui
che ci sostenta, Iddio.
43. La mucca dei due orfanelli. Questa versione proviene dal Sus ed stata messa per iscritto da Laoust
(1921), pp. 245-248. una delle fiabe pi amate e diffuse tra le popolazioni berbere, compresi i Tuareg (cfr.
qui la n. 6 della Parte III). Per la Cabilia, oltre alla versione di Mouliras (1893-98), pp. 330-340, si veda anche la n. 6 della Parte II, dove presente anche l'altro
motivo che talora si sostituisce a quello della mucca
che sostenta i due bimbi con il suo latte, vale a dire
quello delle due canne cresciute sulla tomba della madre morta e ripiene l u n a di miele e l'altra di burro. Il
Corano condanna severamente chi defrauda gli orfani:
Sura delle Donne, IV, 10: "In verit coloro che consumano iniquamente i beni degli orfani, consumano fuoco nei loro ventri e saranno alimento del fuoco dell'Inferno".
505

44. Il rccio e lo sciacallo. Raccontata a U. Topper


nell'Alto Atlante. Per un'altra versione, quasi identica,
nel Rif, cfr. Justinard (1926), pp. 40 ss. Sempre molto
apprezzato in ambito berbero, nei racconti il riccio
prevale per la sua astuzia e il suo coraggio anche su
animali in teoria pi forti e pericolosi. Lo zimbello preferito, in numerosissime fiabe, proprio lo sciacallo.
Questa considerazione per il riccio nel mondo berbero
discende probabilmente dall'utilit di questo animale,
che viene talora tenuto vivo nelle case per liberarle da
insetti, scorpioni scarafaggi ed eventualmente serpenti
e vipere. Il nome stesso con cui viene designato in Marocco, bu-mohammed, "Quello di Maometto", sembra
indice di una particolare considerazione del riccio come colui che aiutato da Dio.
45. Cos va il mondo. Dal testo in lingua tashelhit in
Laoust (1922), p. 243, dalla trib dei Ntifa. Uno degli
innumerevoli episodi della saga del riccio e lo sciacallo.
Il particolare del pozzo con un animale che esce e l'altro che va a fondo gi presente in Le loup et le renard
di La Fontaine (libro XI, fiaba VI).
46. La figliastra e il rccio. Dal testo riportato in Hans
Stumme (1895), n. 27. Un racconto assai simile, in cui
un riccio salva alcune persone catturate da un leone, si
trova anche nello Mzab (in Delheure 1986, pp. 314-316).
47. La tartaruga. Tradotta a partire dal testo riportato in Hans Stumme (1895), n. 31. C. Grottanelli mi ha
fatto rilevare la curiosa coincidenza che si pu rilevare
con un episodio del racconto mande Surro Sanke riportato nel Decamerone Nero di L. Frobenius (1971, pp.
215 ss.), in cui pure vi la necessit di mostrare che un
teschio dotato di parola. Se l'eroe di quest'ultima fiaba riesce alla fine ad avere una risposta e a salvare la
propria vita, curioso che il teschio dapprima continui
506

a ripetere: "Perch ho parlato troppo", e alla fine dica


solo: "La bocca, la bocca!", quasi che si trattasse della
testa tagliata al protagonista del racconto berbero...
48. Da dove vengono le cicogne. Narrata a U. Topper
da un pastore degli Zayan. Sono piuttosto frequenti nel
mondo berbero le leggende relative all'origine di diversi animali (perlopi uccelli), visti come esseri umani
trasformati nello stato attuale in seguito a qualche loro
malefatta. Si veda anche, p. es., la fiaba n. 29 della Parte III.
49. Perch gli asini hanno il muso bianco. Narrata a
U. Topper da Erqia, anziana donna della trib Haha
nella primavera del 1985. Ben nota, e addirittura proverbiale in tutto il Nordafrica, la sottomissione degli
asini a qualunque percossa, viene spiegata dai Berberi
di Ouargla, nel Sahara algerino, come punizione per
un'insubordinazione dell'asino del Profeta. Per questa
spiegazione, insieme a una versione in poesia della presente storia, si veda Delheure (1988), pp. 246-253.
50. Come si originano le cavallette. Narrata a U. Topper
da Erqia, una donna della trib Haha sulla settantina negli anni '80. Delle leggende relative alla citt di Massa ha
trattato con una certa ampiezza R. Montagne (1924): sia
riguardo ai miti escatologici che prevedono qui la nascita del Dajjal e del Mahdi, sia riguardo alle credenze sulle
balene, connesse a un culto, in questa localit, del profeta Giona. Entrambe queste credenze, gi riportate da
Ibn Khaldun (XIV sec.) e da Giovanni Leone Africano
(XVI sec.), sembrano avere un'origine assai remota.
51. Gli inizi del mondo. Narrata a U. Topper da un vecchio pescatore della trib Haha sulla costa atlantica. La
storia di Adamo ed Eva ricordata in diversi punti del
Corano (per esempio 2, 30-37; 7, 11-27). Rispetto alla
507

storia biblica, nella tradizione islamica il nome di Caino


(Qabil), ricalcato su quello di Abele (Habil). Anche nel
Corano l'angelo ribelle (Iblis) non punito per aver cercato di rivaleggiare con Dio ma per aver rifiutato di sottomettersi all'uomo. Il racconto aderisce in gran parte al
testo coranico (anche per l'episodio di Caino e Abele: sura V, 27-31, dove si parla pure del corvo che fa capire le
prescrizioni relative al seppellimento dei morti, secondo una versione di origine, sembra, talmudica). Innovazioni berbere sembrano essere il movente della gelosia
per il peccato di Eva e la lunga peregrinazione di Adamo
ed Eva separati dopo la cacciata dal paradiso terrestre.
Per altre versioni berbere di queste storie, cf. J. Delheure
1986, pp. 277 ss. (Mzab) e L. Frobenius 1971, pp. 11 ss.
(Cabilia).
52. Della caducit dei beni di questo mondo. Dello
stesso vecchio pescatore della fiaba precedente. L'episodio narrato nel Corano, XXXIV, 14 dove viene attribuito a Salomone il fatto di essere rimasto appoggiato
al bastone dopo la morte finch un "animale della terra" (termite? verme?) non lo ebbe rosicchiato facendolo cadere. Questo mito unito a quello della citt di
Ad, la cui distruzione a opera dei venti ripetutamente
ricordata nel Corano stesso (p. es. XLVI, 21-28). Tale
storia viene facilmente accostata alle numerose credenze di una citt sotto la sabbia nei pressi di Massa, citt
da cui dovrebbero uscire, alla fine del mondo, il Dajjal,
il Mahdi e Ges figlio di Maria (cfr. R. Montagne 1924,
pp. 112 ss.). A detta di U. Topper, di questo mito esisterebbe addirittura una redazione eseguita solo in una
"lingua arcana" (in gebundener Sprache).
53. Il sarto nella citt felice. Narrata da Abdullah
Unwar a U. Topper, che segnala una versione analoga
del XIII secolo, proveniente da Baghdad. In essa, la moglie del darwish cui era toccata questa singolare espe508

rienza gli diede addirittura dei figli, che egli rincontr


dopo molti anni nella sua vita "terrena", il che rafforzava il carattere realistico del racconto. La sostanza del
racconto presenta analogie con la fiaba n. 5 o la n. 23
della Parte II (si veda il commento a quest'ultima), anche se qui la trasgressione non un peccato di curiosit
ma di avidit.
54. Aatiallah. Fiaba moraleggiante raccontata a U.
Topper da Abdullah Unwar. A giudicare dal tema - l'assoluto abbandono al volere di Dio, senza cercare di intervenire attivamente nei suoi disegni - l'origine quasi sicuramente sufi.
55. I due fratelli. Favoletta sufi, narrata a U. Topper
da un Berbero della regione intorno a Sefru (Medio
Atlante). diffusa in numerose redazioni in tutto il
Maghreb, e una sua variante (/ due fratelli che andarono
al diavolo) compare perfino in una raccolta di racconti
yiddish dell'Europa orientale (Silverman Weinreich
1992, p. 102).
56. Il nome supremo di Dio. Racconto sufi raccolto da
U. Topper presso un giovane di Safi. La mistica islamica
ha elaborato diverse teorie riguardo i nomi di Dio ("il
Clemente", "il Misericordioso", ecc.), fissati nel numero
canonico di 99 (in realt esistono svariate raccolte di 99
nomi da parte di diversi autori, per cui il numero complessivo di fatto superiore), cui se ne aggiungerebbe
un centesimo e sommo, noto solo a pochissimi eletti, la
cui conoscenza conferirebbe poteri quasi soprannaturali. Alcuni degli episodi qui riportati compaiono gi in
una raccolta del mistico yemenita del XIV sec. Abdallah
ibn Asad al-Yafi'i (Yafi'i 1993, pp. 61-62 e 149-150).
57. Il santo in Paradiso. Raccontata a U. Topper da
un pescatore sulla costa atlantica, trib degli Haha, in
509

lingua tashelhit. Molto simile il racconto yiddish Come Giuda Halevi sal in cielo da vivo di Silverman
Weinreich (1992) pp. 286-287, n. 129, di lontane origini
talmudiche. Il modo familiare - e qui quasi scanzonato
- di trattare con lo stesso Padreterno effettivamente
abbastanza caratteristico del mondo giudaico pi che
di quello islamico, perci mi sembra che per questo
racconto si possa pensare a un'origine ebraica. Non va
comunque dimenticato che un'analoga familiarit con
Dio tipica anche del mondo dei mistici musulmani.
58. Nostro signore Khadir. Narrata a U. Topper da un
pescatore della trib degli Haha. Khadir (o Khidr) sarebbe, secondo la tradizione, il personaggio di cui parla
- senza farne il nome - il Corano nella sura XVIII, 6582, di cui la prima parte di questa fiaba quasi una traduzione letterale. Questo personaggio (il cui nome vuol
dire "il verde", riconducibile forse a un'antica divinit
della vegetazione) particolarmente caro ai mistici
islamici, secondo i quali egli sarebbe il capo soprannaturale dei 40 abdal ("santi") presenti in ogni momento
sulla terra (i "quaranta compagni" del racconto). Diverse avventure lo vedono protagonista in Yafi'i (1993),
pp. 123 ss. e passim.
59. Jujumajuj. Questa fiaba, come pure le quattro
successive, stata narrata a U. Topper da un pescatore
della costa atlantica in lingua tashelhit. Mentre le figure di Gog e Magog (=Jujumajuj) sono diffuse in tutto il
mondo islamico, dal momento che ne parla gi lo stesso Corano (Sura della caverna, XVIII, 94 e Sura dei profeti, XXI, 96), specificamente berbera sembra la previsione dell'avvento, alla fine dei tempi, di u n a
moltitudine di nani. La descrizione di questi esserini,
"che possono a stento vedere oltre il bordo del paiolo
stando sulla punta dei piedi", coincide in modo impressionante con quella dei nani dell'escatologia cabila,
510

"sette dei quali potranno giocare in un amud (recipiente della capacit di circa 5 litri)". Cfr. C. Lacoste-Dujardin (1993) pp. 363-375.
60. Il drago rosso del Dujjan. Narrata a U. Topper da
un pescatore. Questa fiaba aderisce pi della precedente all' escatologia musulmana tradizionale (gi elaborata a partire dai hadith) che prevede un unico essere
mostruoso ribelle a Dio, il Dajjal, in Marocco anche
Dujjal/Dujjan (cfr. anche, sopra, la n. 41), cui si opporranno vittoriosamente Ges, figlio di Maria, e il Mahdi.
In Cabilia, il corrispondente Tsejjal pu essere un nano, oppure quella moltitudine di nani che nella fiaba
precedente sono invece identificati con Gog e Magog.
Cfr. C. Lacoste-Dujardin (1993) pp. 363-375.
61. La fine del mondo. Narrata a U. Topper da un pescatore. Tutto il materiale di questo racconto trae
spunto da brani coranici. Su Lot, in particolare la sura
XXVI, 160-175, dove si parla di "una pioggia: terribile
pioggia", alludendo alla pioggia di fuoco che distrusse
Sodoma. L' epressione "Non vi erano pi donne" del
racconto allude probabilmente al peccato dei Sodomiti, ricordato nello stesso brano del Corano: "V'accosterete voi ai maschi di fra le creature? E abbandonerete
le spose che per voi ha creato il Signore?"(trad. di A.
Bausani, Firenze, Sansoni, s. d. [1961]). Da No prende
il nome la sura LXXI. Sono ricordati nel Corano anche
la bilancia (VII, 8 e LV, 7) e il libro delle azioni compiute (XVII, 13-14).
62. Una profezia. Narrata a U. Topper da un vecchio
pescatore nei pressi di Mogador (1973). Su Sidi Megdul e altre credenze e usanze religiose dei pescatori
berberi della regione, cfr. E. Laoust (1923). Secondo
Topper, il brano che comincia con "Il bel porto sar allora..." e finisce con "una noce schiacciata dalla zampa
511

di un cammello" potrebbe provenire da Afkir Mohand


Awzal, "un celebre veggente morto pi di un secolo fa"
(alludendo probabilmente all'autore di Awzali 1960).
La profezia della venuta da Massa del Mahdi, o Bab-nSa'a ("Signore dell'Ora") estremamente antica ed
gi riferita da Ibn Khaldun nella sua Muqaddima ("Prolegomeni", cap. Ili, 50) e da Giovanni Leone Africano.
Le altre fonti islamiche riferiscono comunque che il
Mahdi verr "da occidente" (cfr. Noja 1988, p. 61).
63. La porta del ravvedimento ancora aperta. Narrata
a U. Topper dal capo di una confraternita religiosa nella
piana del Sus. La parola tawba ("ravvedimento") ricorre
nel Corano, e d il nome alla sura IX. Secondo il poeta
religioso berbero al-Awzali, vissuto nel XVIII sec. (1960,
w. 316-317), la porta del ravvedimento (imi n tubt) per il
singolo resta aperta fino ai rantoli dell'agonia. A questo
punto la porta del pentimento si chiude; se si fa ancora
prova di contrizione, non sar pi accettata e non vi
sar pi possibilit di pentimento fino al giorno in cui il
sole si lever a occidente. L'interruzione e l'inversione
del corso normale del sole prevista da molti racconti
escatologici. In Cabilia il "rivolgimento della terra" viene per normalmente inteso come un fuoriuscire nel
mondo superiore degli esseri del sottosuolo (LacosteDujardin 1993, p. 369).
Parte II
Le fiabe di questa parte provengono da: MargueriteTaos Amrouche, Le grain magique. Contes, pomes, proverbes berbres de Kabylie, Paris, Maspro, 1966.
1. Il chicco fatato. Assai nota in tutta la Cabilia, ma
anche altrove in Nordafrica, questa fiaba stata gi
pubblicata in numerose raccolte (se ne veda p. es. una
512

versione marocchina al n. 13 della Parte I). La versione


pi estesa forse quella di Belaid At Al ( 1956). La figura
della malvagia vecchia Settut (spesso con connotazioni
di vera e propria strega) frequente nelle fiabe cabile.
La contrapposizione tra bianchi/liberi e negri/schiavi
(quest'ultimo concetto espresso in berbero da un unico vocabolo, akli), sempre molto sentita e compare in
questa fiaba esaltata al massimo. Il tema umoristico degli animali al pascolo che, commossi, piangono e non
possono brucare, tranne uno sordo che ingrassa, presente anche in altre fiabe. Un'eco di questo tema inserita nel finale della fiaba marocchina n. 8 della Parte I.
2. Lunja, figlia di Tseriel. Il personaggio dell'orchessa,
che in Cabilia assume il nome proprio di Tseriel, una
presenza immancabile nei racconti di tutto il Nordafrica. Il nome proprio Lunja, qui attribuito a una sua figlia
(in verit di natura sostanzialmente umana), ritorna sotto varie forme: anche Runja o Nuja - in diversi racconti per denominare la bella che l'eroe va a cercare lontano e strappa a un'orchessa (sul personaggio cfr. ora
Michael Peyron, An unusual case of bride quest: the Maghrebian "Lunja" tale and its place in universal folklore, in
Langues et littratures 5, 1986, pp. 49-66). Non escludo che al nome della protagonista sia connesso quello di
Lghunja, una bambola costituita da un mestolo ricoperto di abiti femminili che viene ritualmente portata in
processione in periodo di siccit per implorare la pioggia ("Fidanzata di Anzar", dove Anzar il nome della
pioggia). Il fatto che il suo fidanzato in molti racconti
venga rapito e sia quasi morto ma poi ritorni in vita un
chiaro rimando agli antichi miti sulla fertilit. L'attraversamento di un fiume facilitato magicamente ai protagonisti del racconto da un uso di parole educate ("dolci") connesso con un proverbio cabilo: "Con la lingua
dolce anche un fiume diventa un rigagnolo".
513

3. Storia della rana. Questa gustosa scenetta ricalca


nella sua seconda parte, con toni evidentemente burleschi, il motivo del botta e risposta tra la massima bellezza pennuta (Tannina) e i vari uccelli (e animali), che si
trova in Mammeri, Pomes Kabyles anciens , pp. 227-257
e nella Legende des oiseaux, Fichier de Documentation
Berbre, 83, III, 1964. La rana considerata il prototipo della bruttezza femminile: si veda il proverbio: "Lo
scarafaggio si sposato: ha sposato la rana". La leggenda vuole che il corvo sia diventato tutto nero per aver tenuto per s un deposito che gli era stato affidato.
4. Chi di noi la pi bella, o luna?. In questo racconto,
su un inizio affine a quello di Biancaneve si inserisce un
tema assai diffuso anche tra le fiabe italiane: quello della fanciulla allevata da un essere mostruoso (serpente,
drago, lucertolona, donna con testa bovina, ecc.), e da
questi successivamente punita - e alla fine perdonata in seguito alla dimenticanza del pettine al momento di
sposare un principe. Si veda, p. es., il commento di Italo
Calvino (1968) alla storia Testa di bufala, che ricorda come ne sia nota una versione fin dal Seicento nel Pentamerone di Giambattista Basile (I, 8). Interessante la variante presente nelle fiabe dei fratelli Grimm (n. 3, La
figlia di Maria), in cui la bellissima fanciulla allevata
dalla Madonna in Paradiso.
5. Aisha, figlia mia, una pozza in cui spegnere queste
fiamme! Un breve racconto, dalla tematica assai simile
a quella della fiaba n. 38 della Parte I. Anche qui una
povera vedova riesce, lavorando sodo e impiegando
l'astuzia, ad allevare e a salvare dall'orchessa i suoi numerosi figli. Non a caso sia questa fiaba sia quella della
prima parte sono state narrate da donne, in quanto tali
bene a conoscenza del peso delle incombenze - qui descritte minuziosamente che ricadono sulle spalle della donna berbera. Sarebbe inconcepibile per il mondo
514

dei maschi, nella societ islamica, l'idea di una donna


che riesca a cavarsela cos brillantemente anche in questi frangenti pur essendo priva dell'assistenza di un
maschio adulto (padre, marito o fratello). Il racconto
costituisce dunque una sorta di compensazione gratificante per le donne che lo narrano e si rispecchiano nelle azioni della protagonista, eroica sia nelle fatiche
quotidiane sia in circostanze fuori dall'ordinario. Un
interessante parallelo a questa storia si ha tra i Tuareg,
i quali tramandano la vicenda di una colossale e bellissima jinniya (in tuareg talhint), che sarebbe comparsa
a un uomo di nome Shisshi e ne avrebbe copiato pedissequamente ogni gesto, compreso quello - fatale per la
sua capigliatura - di porsi in capo un tizzone acceso.
Ancora oggi essi chiamano "jinniya di Shisshi" chiunque sia solito imitare sempre ci che fanno gli altri (Le
gnie de Cicci, in Foucauld 1984, pp. 294-295). Questa
stessa entit misteriosa nota a Ouargla come Tswiryet, "L'Immagine" o, forse meglio, "Il Miraggio" ed
assai temuta. Anch'essa ripete (riflette?) ogni azione e
pu essere vinta inducendola con l'inganno ad accostarsi a braci ancora accese (J. Delheure 1988, p. 369).
6. La mucca degli orfanelli. Su questa fiaba, assai diffusa in tutto il mondo berbero, cfr. il commento a quella corrispondente raccolta in Marocco, Parte I, n. 43.
Nel corso del racconto viene accennato un proverbio
che la stessa Amrouche riferiva altrove per esteso: "Come il piccolo dell'asino: al mattino incanta; a sera delude". La fata-guardiana del pozzo, che si incontra nella
storia, ricorda la credenza assai diffusa in Cabilia, secondo la quale ogni cosa, soprattutto nell'ambito della
casa o delle sue adiacenze, sarebbe posta sotto la cura
di un A'essas ("Guardiano"), il quale la custodisce per
conto di Dio, che ne l'unico vero proprietario, mentre
gli uomini l'hanno solo in affidamento temporaneo.
Normalmente invisibili, i Guardiani possono prendere
515

dimora in rocce o piante particolari, che divengono oggetto di mille riguardi.


7. La principessa Sumisha. L'espressione "occhi di falco" indica particolare bellezza dello sguardo. Il falco
(Lbaz) in Cabilia considerato un uccello quasi fiabesco, degno sposo della mitica Tanina, simbolo di suprema bellezza tra tutti gli animali. In questo racconto sono presenti, oltre a motivi originali, anche numerosi
"luoghi comuni" della favolistica berbera. Per esempio,
lo stratagemma di immergere nell'acqua bollente la mano della persona (spesso una vecchia) da cui si desiderano ottenere informazioni, oppure il racconto della statua muliebre portata alla vita e contesa tra gli uomini
che hanno contribuito a costituirla, gi visto in una fiaba marocchina (Parte I, n. 34) e presente anche, pi
estesamente, nella n. 19, pi avanti.
8. Il flauto d'osso. Un tratto interessante di questa
fiaba (come pure della n. 11 e della n. 22) l'assenza
delle formule di rito all'inizio e alla fine ("Che il mio
racconto sia bello e si dipani come un lungo filo!" e "Il
mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei
Signori!"), il che fa capire che questa non viene intesa
come una vera e propria fiaba, bens come la narrazione di un fatto realmente accaduto.
L'elogio fra virgolette che la madre fa del figlio pi
grazioso "la sua bellezza si fa beffe degli ornamenti, essa illumina i sentieri" proviene da una ninna-nanna
che nel libro di T. Amrouche era riportata per esteso
dopo la fiaba n. 10: Stella del mattino, te ne prego, Percorri i cieli / Alla ricerca del mio bambino / E raggiungilo
l dove riposa. // Lo troverai ancora nel sonno: / Sistemagli delicatamente il cuscino / E guarda che non gli manchi nulla. / Il Signore lo ha creato pieno di grazia, / La
sua bellezza si fa beffe degli ornamenti, / Essa illumina i
sentieri.
516

9.I cavalli di lampi e di vento. A proposito dell'epiteto del cavallo, anche in una fiaba raccolta da Mokrane
Chemime, Adar iteddu s azar, 1991, p. 32 (Mhemmed At
Seltan) si descrive una cavalcatura "le cui zampe anteriori sono (veloci come) il vento, quelle posteriori (come) il lampo".
10. Lo sveglio e il sempliciotto. Interessanti confronti si
possono fare con la fiaba n. 15 della Parte I, dove il tema
pi esteso rispetto al nostro, che assume un semplice
aspetto di racconto didascalico sulla necessit dell'obbedienza, unita al "tutto bene ci che finisce bene".
11. Mia madre mi ha sgozzato, mio padre mi ha mangiato, mia sorella ha radunato le mie ossa. Anche qui
(come nelle fiabe n. 8 e n. 22) l'assenza delle formule di
rito all'inizio e alla fine fa capire che questa non viene
intesa come una vera e propria fiaba, bens come la
narrazione di un fatto tragico realmente accaduto. Un
episodio analogo si ritrova nelle fiabe dei fratelli
Grimm (n. 47, Il ginepro), e perfino tra i racconti yiddish dell'Europa orientale. Cfr. la fiaba di Moyshele e
Sheyndele in Silverman Weinreich (1992), n. 24, col ritornello Ucciso da mia madre, mangiato da mio padre e
da Sheyndele: quando ebbero finito, mi succhiarono il
midollo dalle ossa e le buttarono dalla finestra. Un'analisi di questo tema del cannibalismo parentale e della
reincarnazione del bimbo in un uccello, sulla scorta
anche delle versioni internazionali, in S. Zoulim, Du
cannibalisme parental. A propos de l'oiseau funebre, in
Libyca 28-29 (1980-81), pp. 193-197.
12. La quercia dell'orco. Questa versione nordafricana della storia di Cappuccetto Rosso interessante perch si pone in certo qual modo a met strada tra la fiaba europea e un racconto dall'aspetto decisamente
autoctono, anzi considerato estremamente antico co517

me quello della fiaba n. 1 della Parte I. Questa ambivalenza tra fiabe di aspetto originale e possibili contaminazioni con tradizioni anche assai lontane costante in
quasi tutti i racconti del Nordafrica. Il vecchio che la
fanciulla va a visitare qui suo nonno, mentre nel ritornello usato per farsi aprire la porta si parla di un
"padre". Questo ritornello, riportato per esteso nel Fichier priodique del 1976 in appendice a una versione
della fiaba assai simile (in cui per si parla sempre di
un padre e una figlia), diventato molto popolare presso i giovani da quando stato musicato dal cantante
Idir (Canciani 1991, p. 130).
13.I sette orchi. Sul tema del tradimento dell'eroe da
parte di una donna in combutta con un orco creduto
morto, cfr. anche la fiaba n. 14 della Parte I. Il trucco
con cui l'eroe riesce a sfuggire all'ira dell'orchessa ricorre frequentemente nelle fiabe nordafricane. Esso si
basa sulla condizione di "parentela di latte" che si viene
ad acquisire con la balia. Bastano poche gocce per instaurare un rapporto per molti versi simile a quello tra
madre e figlio. Ancora oggi tra due persone di diverso
sesso che hanno avuto la stessa balia il matrimonio
impensabile, come tra fratello e sorella.
14. Storia del baule. Il genere letterario dell'indovinello assai diffuso in tutto il territorio berbero e in
particolare in Cabilia. Per un quadro generale della situazione si possono consultare ora i tre volumi di Devinettes berbres curati da Fernand Bentolila (1986), che
contengono materiale proveniente dal Marocco (meridionale, centrale, Rif), dall'Algeria (Cabilia e Mzab) e
dai Tuareg di Niger e Mali. Tra gli indovinelli contenuti in questo racconto, non pu non destare una certa
impressione quello che riecheggia la domanda che la
Sfinge pose a Edipo. Che difficilmente si tratti di una
aggiunta di Fadhma o Taos Amrouche - dotate entram518

be anche di una profonda conoscenza della cultura


classica - emerge dal fatto che nel corso della succitata
indagine curata da Bentolila un identico indovinello
stato raccolto, dalla bocca di "illetterati", in quattro localit berbere ben distanti tra loro (Rif, Niger, Mzab,
Cabilia), e questo sembra rimandare con ogni verosimiglianza a un'antichissima tradizione del mito. Quanto all'intreccio complessivo del racconto - un duello a
colpi di astuzia tra il re e la regina, con la conclusione
favorevole a quest'ultima, che, scacciata, stordisce e
porta con s il marito -, esso molto diffuso anche in
Europa. Una versione italiana si pu trovare nella III
delle Sessanta novelle popolari montatesi di Gherardo
Nerucci (1891), anch'essa - non a caso - narrata da una
donna. Una versione yiddish si trova in Silverman
Weinreich (1992), pp. 203-205.
15. O Bu-Iedmim, figlio mio! Un altro "classico" della
letteratura orale cabila, gi riportato, tra l'altro, da Belaid At Al (1956) e da M. Mammeri in Machaho!...
(1980). L'inizio presenta strette analogie con l'avvio della fiaba n. 8 della Parte I (Aggelamush), che peraltro appare composita e contiene anche il materiale del gatto
Mosh (qui col n. 17). Il tema delle uova di serpente inghiottite da una cognata che si schiudono nel suo corpo
e l'eliminazione dei serpentelli dalla bocca della donna
appesa a testa in gi si ritrova gi nella n. 219 delle Trecentonovelle di Franco Sacchetti (fine del XIV sec.).
16. Storia del vecchio leone e dello stormo di pernici.
Altra coppia "classica" nella favolistica berbera quella
formata dal leone e dallo sciacallo (cfr. anche la n. 18
della Parte III), in cui lo sciacallo sfida con l'inganno
l'autorit del leone e ricorre a ogni trucco per sfuggire
(non sempre con successo) alla punizione. Il trucco
della coda tagliata diffuso in tante versioni (p. es. Justinard 1926, pp. 46 ss., ma anche in La Fontaine: Le re519

nard ayant la queue coupe, libro V, fiaba V); nella fiaba


n. 12 della Parte III si vedr un altro modo di fuggire
alla punizione. In evidente connessione con questo racconto il proverbio cabilo: "Il leone invecchiato dagli
sciacalli picchiato".
17. Storia di Mosh e delle sette fanciulle. A differenza
della fiaba marocchina n. 8 della Parte I, qui sono sette
sorelle quelle che finiscono per godere delle ricchezze
di questo "gatto mammone" berbero. interessante osservare come la prerogativa della protagonista, Aisha,
fosse quella di starsene tutto il giorno accanto al fuoco,
che una ben nota caratteristica dei gatti, ricordata in
un indovinello cabilo: hann/zann/ur yetfaraq tiggura
l-lkann (" dolce/fa le fusa/e non si stacca dall'angolo
del focolare"). Sui gatti, con riferimento anche alle vicende di Mosh, vi in Cabilia anche il proverbio: '"Chi
il tuo testimone, gatto?' 'La mia coda'".
18. Storia della pulce e del pidocchio. Questo racconto, che in verit il pretesto per una filastrocca "ad accumulo", ricorda molto Pidocchietto e Pulcettina, fiaba
n. 30 della raccolta dei fratelli Grimm, e trova un'interessante corrispondenza in una filastrocca siro-libanese raccolta, oltre un secolo fa, da H.H. Jessup (1874,
pp. 321-325). Qui la "nobile pulce" (noble Flea) che
finita nel fuoco ed una "distinta cimice" (brilliant
Bug) che intona il lamento, cui si uniscono, con drammatici atti di cordoglio, un corvo, una palma, un lupo,
un fiume, un pastore col suo gregge, una madre col padre e la figlia, nonch tutta la citt.
19. Runja, la fanciulla pi bella della luna e della rosa.
Il particolare iniziale della mela da mangiare solo in
parte per ottenere la nascita di un figlio si ritrova in numerose altre fiabe cabile. Solitamente a questa consumazione parziale del frutto corrisponde la nascita di
520

un bimbo particolarmente piccolo (ma astuto e audace), tant' che spesso l'eroe di tali fiabe soprannominato "met", "dimezzato" o simili.
Il tema del racconto della statua portata in vita, narrato per far tornare la parola a un principe (o una principessa), assai diffuso in Nordafrica (si veda la fiaba
n. 34 della Parte I o la n. 7 di questa), e la sua diffusione arriva fino in Europa orientale, dove esso attestato, per esempio, nella fiaba yiddish Saggezza o
fortuna?, in Silverman Weinreich (1992), p. 27. notevole osservare lo stretto accordo di quest'ultima versione con quella del presente racconto, dal momento che
anche in essa, il narratore non si rivolge direttamente
al malato ma ostenta di parlare a un candeliere.
Il "gioco delle arance", ancora oggi diffuso tra i giovani in Cabilia, consiste nel far rotolare delle arance
come fossero bocce su un terreno pi o meno inclinato.
Colui che con la sua arancia riesce a colpirne un'altra
si impossessa di tutte le arance gi giocate.
Il nome del protagonista, Smain, e i toni quasi mistici
con cui egli dichiara ripetutamente: "Si compiano la volont di Dio e quella di mio padre!" fanno pensare che in
questa fiaba si siano innestati, su un racconto sostanzialmente analogo a quello della n. 4 della Parte I, elementi della storia di Ismaele (in cabilo: Smail, ma spesso
vi sono scambi -U-n finali, p. es. l'angelo Azrail/Azrain),
primogenito lungamente atteso da Abramo e da questi
condotto al sacrificio: secondo la tradizione islamica fu
lui, e non Isacco, che venne sottoposto a questa prova
(Corano XXXVII, pp. 101 ss.). Una bella composizione
poetica cabila incentrata su questo sacrificio riportata
da M. Mammeri nella raccolta Pomes Kabyles anciens,
pp. 272 ss.
20. Storia di Beljudh e dell'orchessa Tseriel. Le vicende del personaggio di Beljudh (o Bel Ajjud; in Marocco
anche Hamerqejjud) corrispondono in parte a quelle
521

dell'eroe cabilo Meqidesh, che si misura anch'egli con


un'orchessa cieca e con sua figlia guercia. A quest'ultimo dedicata un'approfondita analisi da parte di Lacoste-Dujardin (1982). Rispetto al furbo Meqidesh,
Beljudh pi sventato e sciocco. Un parallelo assai
stretto si ha col Pierino Pierone che II bambino nel sacco nella omonima fiaba italiana (per la precisione friulana) della raccolta di I. Calvino, dove, per motivi di latitudine, l'albero da cui l'eroe si prende gioco della strega
non un fico ma un pero.
21. Il gatto pellegrino. Fin dall'antico Egitto l'eterna
lotta tra gatti e topi ha dato lo spunto a fiabe e leggende. Una vicenda analoga alla nostra Le chat et le vieux
rat di La Fontaine (libro III, fiaba XVIII). Uno studio
specifico su questo racconto e sulla sua collocazione
nel panorama delle letterature : El-Mostafa Chadli,
"Le chat plerin": un essai de traitement smiotique", in
Langues et littratures 2, 1982, pp. 29-46.
22. Il fegato del cappuccio. Che questo racconto non
venga inteso come una vera e propria fiaba, bens come
la narrazione di un fatto tragico realmente accaduto
non solo desumibile dall'assenza delle frasi di rito
all'inizio e alla fine (come nelle fiabe n. 8 e n. 11), ma
esplicitamente segnalato nell'introduzione. Il modo in
cui le madri cabile sono pronte a ogni sacrificio pur di
accontentare i propri figli proverbiale, come ricorda
il detto: "Il figlio di una Cabila sta meglio del figlio di
un re".
23. L'Uccello della Tempesta. Nonostante un contesto
a prima vista differente, questa fiaba si pu considerare una riuscita versione (al femminile) di Ahmed U-nAmir (n. 5 della Parte I): anche qui vi sono infatti le
nozze con un'personaggio misterioso e restio a farsi vedere, il trasporto in una splendida dimora celeste, la
522

trasgressione all'unico divieto imposto e un finale amaro per il/la protagonista. E come quest'ultima fiaba,
suscettibile di u n a lettura allegorica (la condizione
umana dopo il peccato di Adamo ed Eva).
Parte III
Le fiabe di questa parte sono state tradotte dai testi tuareg pubblicati in: Dominique Casajus, Peau d'ne et autrescontes Touaregs, Parigi, L'Harmattan,1985 (nn. 1-9);
Petites Sceurs de Jsus, Contes touaregs de l'Air, Parigi,
SELAF, 1974 (nn. 10-31); Adolphe Hanoteau, Essai de
grammaire tamachek', Algeri, 1859 (nn. 32 -35).
1. Tesshewa, la fanciulla sposata dal fratello. Raccolta
presso Ghaisha Ult Khamed, detta Tata, degli Iberdiyanan, una trib vassalla dei Kel Ferwan (Air). L'inizio
della storia presenta molte analogie (ritrovamento di
un capello, nozze col fratello e fuga) con un racconto
cabilo, Zalgoum, presente nella raccolta Tellem chaho
di M. Mammeri (1980), il cui seguito tuttavia differente. In un'altra versione di Zalgoum, pubblicata nel
Fichier Priodique del 1976, compare anche - abbreviato - il particolare della ragazza che si riveste prima
di uscire dal suo rifugio. Quello che stato qui tradotto
con "pettine" in realt uno strumento per dividere le
ciocche di capelli prima di fare delle treccine, che costituiscono di solito l'elemento fondamentale dell'acconciatura maschile tradizionale, lasciando tuttavia rasata
gran parte del capo.
2. Il rapimento di Khawatan. Raccolta nel 1980 presso
Adama, artigiana di Tedu (vicino ad Agadez). Presso i
Tuareg assai diffusa la credenza nell'esistenza di esseri
giganteschi, denominati jabbar, che sarebbero una categoria particolare di jinn caratterizzata dalle dimensioni
523

enormi. Questa credenza rafforzata, se non originata,


dall'esistenza, in diverse localit del Sahara, di enormi
"monumenti" costituiti da tumuli di pietre di varie forme e grandi dimensioni (edebni) che per la loro forma
fanno pensare a tombe di giganti (per esempio la Tomba
di Tin Hinan ad Abalessa). Scavi archeologici compiuti
su alcuni di questi monumenti mostrano che effettivamente essi di solito contengono sepolture preistoriche.
3. La bellissima Teylalen e il jinn. Raccolta nel 1980
presso Kauja, degli Iberdiyanan. Il particolare dei ragni
che con la loro tela sottraggono l'eroe alle ricerche dei
nemici assai antico e diffuso. Ben nota in tutto il
mondo islamico la vicenda di Maometto che, nel corso dell'egira, in fuga con il suo compagno Abu Bakr,
avrebbe trovato riparo in una caverna al cui ingresso
un ragno tess miracolosamente una tela in pochissimo tempo sviando le ricerche dei Coreisciti (cfr. al-Tabari 1992, p. 125). poi caratteristico di molte fiabe
berbere che l'eroina in fuga si sottragga all'orchessa o
al jinn attraversando il fiume. Il carattere selvatico di
questi personaggi non consente loro di nuotare (cfr.
Parte I, n. 6).
4. Khayatan, la fanciulla venduta dai fratelli a un jinn.
Narrata nel 1977 a Makhmud Khawad da Khaled
Mokhamed. Interessante qui la digressione sul valore
del ferro come protezione dai jinn e dai cattivi spiriti.
tale la considerazione delle propriet del ferro che la
sua lavorazione viene delegata, nella societ tuareg, a
una particolare "casta", quella degli inaden (quelli che
in questi racconti vengono chiamati "artigiani", ma
spesso il termine viene tradotto con "fabbri" per sottolineare questo loro monopolio della lavorazione dei
metalli). Tale credenza non limitata ai soli Tuareg ma
assai estesa nel mondo berbero. Diffusissima , per
esempio, la pratica di porre oggetti di ferro accanto a
524

un defunto per evitare danni a lui o alla sua famiglia.


Engal, qui nome proprio del cammello, significa "cammello grigio scuro", ed usato come nome comune per
descrivere il cammello di Deriman nella fiaba n. 2 di
questa Parte III.
5. Ayor e Tayort. Raccolta nel 1979 presso Tazubila
Ult Delu, artigiana di Gufat. In tuareg ayor significa
"piccolo di gazzella" maschio, e tayort il suo femminile. Per il contesto originario dello strano "interrogatorio" iniziale con risposte strampalate, privo di una sua
funzionalit in questo racconto, si veda pi avanti la
fiaba n. 28. Il particolare di Tayort che scopre il bel seno al momento della mungitura legato alla credenza
che la vista delle cose belle predisporrebbe gli animali
a produrre di pi e meglio (per l'antichit di queste credenze si veda p. es. l'episodio biblico di Gen. 30, 35-41).
Il motivo dell'animale pi brutto e debole, che riesce l
dove hanno fallito esemplari ben pi prestanti piuttosto diffuso nelle fiabe berbere. Lo si gi incontrato,
per esempio, nella n. 8 della Parte I.
6. La fanciulla maltrattata dal padre. Raccolta presso
la narratrice della fiaba precedente. Per il motivo della
mucca cui affidato il sostentamento dell'orfanella, cfr.
la fiaba n. 43 della Parte I e commento relativo. Nel corso del racconto si ricorda che "le schiave montarono la
tenda, ed essa vi si and a stabilire con il marito e con le
sue schiave". La tenda nuziale un elemento fondamentale per le donne tuareg: essa appartiene a loro e non al
marito (che in caso di separazione dovr tornare a quella dei genitori o farsi ospitare da una sorella). Le molteplici implicazioni culturali della tenda presso i Tuareg
sono al centro del saggio di Casajus (1987).
7. La fanciulla e la matrigna cattiva. Raccolta nel
1977 presso Bogenda, schiavo degli Iberdiyanan. Molto
525

chiara in questa fiaba l'equazione tra natura selvaggia e mancanza di cura personale, per cui cessando di
pettinarsi i capelli la fanciulla perde quasi del tutto la
natura umana, mentre il taglio del pelame, unito agli
agi della civilt (l'interno di una tenda), basta a ridonarle un aspetto umano.
8. Kutyanga, il fratellino astuto e la vecchia jinniya.
Raccolta nel 1979 presso Emuman, artigiano dei Kel
Tisemt. la versione tuareg del celebre racconto cabilo
di Meqidesh, cui dedicata un'approfondita analisi da
parte di Lacoste-Dujardin (1982).
9. Tersheddat e le sue compagne gelose . Raccontata
nel 1989 ad Agadez da un'artigiana. Presenta molti
punti di contatto con la n. 1, anche se vi figurano elementi dei racconti successivi. Nel suo complesso richiama anche molte altre fiabe berbere, come La jeune
fille et ses six soeurs di Ouargla (Delheure 1989, pp. 118
ss.), in cui le nozze finali avvengono con una cagna invece che con un'asina.
10. Lo sciacallo e la lepre. Raccontata a Niamey nel
1963 da Mokhammed Ag Ghali. Nella prima parte contiene diversi elementi frequenti nelle storie del genere
della n. 25, in cui due imbroglioni fanno societ e tentano continuamente di ingannarsi a vicenda (tipica in
particolare la sostituzione del contenuto dei sacchi).
11. La iena e la lepre. Raccontata a Niamey nel 1963
da Mokhammed Ag Ghali. Racconto basato sul gioco
di parole col nome del protagonista (il pi illustre antecedente ne l'omerico Ulisse-Nessuno). Frequente anche in altre fiabe lo stratagemma di squagliarsela facendosi buttare via, vuoi - come qui - facendo
scambiare le orecchie con i sandali, vuoi facendo finta
di essere morto. Nei racconti cabili del genere di Meqi526

desh invece tipico far credere che la gamba afferrata


dall'avversario sia in realt una radice.
12. L'elefante e lo sciacallo. Raccontata a Niamey nel
1963 da Mokhammed Ag Ghali. Come nelle fiabe n. 13
e n. 16, nell'ordalia conclusiva emerge quella competizione tra i due predatori, lo sciacallo e la iena, che vede
di solito quest'ultima soccombere allo sciacallo. Nella
societ tradizionale tuareg chi era chiamato a discolparsi di una grave accusa doveva affrontare una prova
del fuoco come leccare lame arroventate, camminare
sul fuoco o immergere una mano nell'acqua bollente.
13. Lo sciacallo, l'otarda e la iena. Raccontata a Niamey nel 1963 da Akru. Dai due episodi che compongono il racconto, emerge una gerarchia di astuzia (l'otarda che batte lo sciacallo, il quale a sua volta sconfigge
la iena), inversamente proporzionale al grado di antipatia (e pericolosit) che i Tuareg attribuiscono ai singoli animali.
14. Lo struzzo e il riccio. Raccontata a Niamey nel
1963 da Akru. Racconto sostanzialmente simile a La lepre e il porcospino, n. 188 della raccolta dei fratelli
Grimm, dall'andamento praticamente identico. Notevole come tra gli animali prescelti vi sia accordo riguardo al riccio, mentre il secondo sempre l'animale
veloce per antonomasia, vale a dire la lepre in Europa e
lo struzzo in Africa.
15. Lo sciacallo e lo struzzo. Raccontata ad Azel nel
1969 da Zennu. Contrariamente agli altri racconti dello
sciacallo (con il riccio, il leone, la iena, ecc.), solitamente ben rappresentati anche nel resto del mondo
berbero, questo della gara di salto fatta con lo struzzo
non sembra molto diffuso al di fuori dell'area tuareg e
saheliana.
527

16 .La iena e la zucca. Raccontata a Tighazerin nel


1969 da Elkhaji Ssoni. Una variante originale alle numerosissime fiabe che si concludono con il rivale nel pozzo. (Come la n. 45 della Parte I, pi aderente al modello
tradizionale).
17. Il leone e l'asino. Raccontata a Tighazerin nel
1969 da Elkhaji Ssoni. In questa favola il cuore viene
usato come simbolo del coraggio. Noi diremmo il "fegato" (bench "coraggio" derivi proprio da "cuore").
Presso i Berberi "cuore" e "fegato" sono termini spesso
intercambiabili nell'uso figurato, e non raro l'uso di
"fegato" come sede dell'affetto e della tenerezza. (Ci
spiega anche meglio il perch della presenza del fegato
nella fiaba n. 22 della Parte II.)
18. Lo sciacallo e il leone. Raccontata a Tighazerin
nel 1969 da Elkhaji Ssoni. Bench diversa nella concatenazione dei fatti, questa fiaba ricorda molto la n. 16
della Parte II, con un leone non tanto furbo in balia dei
tiri di uno sciacallo. Sempre dello stesso genere la fiaba
n. XIV (libro III) di La Fontaine Le lion devenu vieux.
19. Lo scoiattolo scavatore e l'elefante. Raccontata a
Tighazerin nel 1969 da Dogo. Questo modo di ribaltare
una sentenza ingiusta e basata su pretese assurde avanzando pretese altrettanto assurde estremamente antico nella tradizione favolistica nordafricana. Gi dall'antico Egitto ci nota la storia di Verit e Menzogna, in cui
l'onesto vede riconosciuta la propria innocenza solo
quando il figlio incolpa il suo accusatore di delitti altrettanto assurdi. Per una situazione analoga, cfr. la n. 26
della Parte I.
20. Il leone e la capra. Raccontata a Tighazerin nel
1969 da Elkhaji Ssoni. Il miele di cui tratta la storia
528

miele d'api, bench tra i Tuareg sia pi comune un


miele vegetale estratto da certe variet di tamerice.
21. Il gallo e lo sciacallo. Raccontata a Tighazerin nel
1969 da Elkhaji Ssoni. Fiaba sostanzialmente identica
a Le coq et le renard di La Fontaine (libro II, fiaba XIV).
Il termine impiegato per il richiamo del mattino ha solitamente il valore specifico di richiamo (da parte del
muezzin) alla preghiera dell'alba. Il gallo e il pollame in
generale sono tradizionalmente considerati un cibo
tab dai Tuareg, e la spiegazione che viene data per
questo interdetto alimentare proprio che questo animale servirebbe per il richiamo alla preghiera dell'alba
nel deserto, dove non si trovano muezzin.
22. La piroga. Raccontata a Niamey nel 1963 da Akru.
Un ben noto racconto-indovinello, di probabile origine
scolastica per via del calcolo dei pesi (espressi in chili)
invece della pi diffusa prova di ingegno su come traghettare indenni un lupo, una capra e un cavolo o simili.
23. Il mentitore. Raccontata a Tighazerin nel 1969 da
Elkhaji Ssoni. Il tema dei due fratelli, uno dei quali dice sempre il vero mentre l'altro mente sempre, antichissimo. Lo troviamo, infatti, gi nella letteratura
dell'antico Egitto, nel racconto L'accecamento di Verit
per opera di Menzogna (bench poi la trama sia assai diversa).
24. Il figlio del re e il figlio del povero. Raccontata a
Tighazerin nel 1969 da Elkhaji Ssoni. Il tema della fiaba sarebbe molto diffuso, a detta di G. Calame-Griault,
tra i Tuareg e in Africa occidentale.
25. L'uomo di Kano e l'uomo di Katsina. Raccontata
a Tighazerin nel 1969 da Elkhaji Ssoni. Il tema dei due
furbacchioni disonesti che si incontrano e cercano
529

sempre di giocarsi dei tiri mancini assai diffuso. A


Ouargla esso stato inserito nel ciclo di Juh (Djeha de
Ouargla et Djeha de Ngouga) con uno svolgimento in
gran parte identico a questo racconto tuareg (Delheure
1988, pp. 278 ss.). Kano e Katsina sono due citt della
Nigeria verso le quali si dirigono a volte i commerci dei
Tuareg (in particolare, a Kano si producono i tessuti
color indaco del caratteristico velo degli "uomini blu").
Il motivo del finto seppellimento frequente nei racconti tuareg, e vi addirittura un gioco infantile per
mostrare il proprio coraggio ( m u d d u r a n - m u d d u r a n )
che consiste nel farsi coprire di sabbia e resistere il pi
a lungo possibile sotto terra.
26 .La coperta. Raccontata a Tighazerin nel 1969 da
Elkhaji Ssoni. Appartiene, come la fiaba n. 32, la n. 35
e la n. 39 della Parte I, a quel genere che si compiace di
descrivere le astuzie femminili nei confronti degli uomini. Vi sono qui per alcune interessanti particolarit:
innanzitutto, la casa in cui nessuno riesce a superare
vivo una notte: un motivo assai diffuso (nelle Fiabe italiane di Calvino il motivo conduttore di Giovannin
senza paura), che tuttavia solo qui presenta come deterrente non un orco o un'oscura presenza bens il pericolo di "morire d'amore"; inoltre vi l'elemento moderno
delle fotografie, che mostra come le fiabe non rimangano immutabili al di fuori del tempo ma integrino progressivamente elementi del mondo circostante.
27.I tre pretendenti della figlia del capo. Raccontata a
Tighazerin nel 1969 da Elkhaji Tambo. Notevolissime
le congruenze con la fiaba n. 193 dei fratelli Grimm II
ladro maestro, dove il furbacchione, nell'ultimo episodio, invece di fingersi l'angelo Gabriele, si spaccia per
San Pietro. L'unico particolare divergente il quadro
generale: una dimostrazione di abilit fine a se stessa
invece che mirata a ottenere la mano della figlia del ca530

po del villaggio. Tale quadro generale (tre fratelli uno


dei quali ottiene in sposa la figlia del re) invece presente nella fiaba n. 33 II maestro ladro di Silverman
Weinreich (1992), anche se qui le singole prove sono
assai differenti. Il particolare del furto del lenzuolo si
trova anche in una fiaba piemontese (Crich e Croch, in
Davico Bonino 1988, 12).
28. Il sacco di menzogne. Raccontata a Tighazerin
nel 1969 da Elkhaji Ssoni. Il genere di fiaba "assurda"
in cui si accumula una serie di fatti insensati non frequente nel mondo berbero, mentre tipica della tradizione yiddish, in cui simili racconti solevano essere fatti per la festa di Purm (cfr. Silverman Weinreich 1992,
pp. 41 s. Nella stessa raccolta, a p. 135, vi il caso di un
personaggio costretto a riempire un sacco di parole.
Bench in modo diverso, anche qui l'eroe riesce a cavarsi brillantemente d'impaccio).
29. La civetta. Raccontata ad Azel nel 1969 da Zennu.
Un'altra fiaba (come la n. 48 della Parte I) in cui l'origine di un dato animale viene fatta risalire alla mutazione subita da un essere umano come punizione di un
torto commesso. Il motivo dell'uomo innamorato che
cede met della propria vita restante (in questo caso
vent'anni su quaranta) alla moglie che ciononostante lo
tradisce si trova anche in Cabilia: Aini in Frobenius
(1971), pp. 45 ss.
30. Chi il pi onesto? Raccontata a Tighazerin nel
1969 da Dogo. Fiaba a dilemma, diversa nel dettaglio
ma simile nella sostanza, in particolare per via dell'interrogativo finale, a Les deux amis di La Fontaine (libro
Vili, fiaba XI).
31. Le persone nel pozzo. Raccontata a Tighazerin nel
1969 da Elkhaji Ssoni. Altra fiaba a dilemma, piuttosto
531

diffusa nell'area tuareg e nell'Africa occidentale. G. Calame-Griaule segnala - nel volume da cui tratta la fiaba - che altrove il dilemma di solito tra la sorella e la
moglie (qualche volta tra la sorella, la moglie e la suocera). Qui molto ben inserito anche il timore dell'uomo per la propria stessa vita.
32. La donna e il leone (di Salem ag Mohammed,
trib degli Isaqqamaren, Ahaggar). Questo racconto,
come pure il successivo, vale a illustrare proverbi e modi di dire diffusi tra i Tuareg, ma anche presso altre popolazioni berbere. Che una ferita nel fisico guarisca
molto meglio di un'offesa nell'animo proverbio noto
anche altrove in Nordafrica, per esempio in Cabilia:
"Le ferite si cauterizzano e guariscono; le ingiurie scavano e scavano sempre di pi". Sempre in Cabilia si
hanno echi della presente storiella in alcuni proverbi:
" in assenza del leone che si dir che la sua bocca ha
un cattivo odore", oppure: "Chi oser dire al leone: 'La
tua bocca ha un cattivo odore?'".
33. La massima da cento monete d'oro (di Bedda ag
Idda, trib degli Ifoghas, Azger). Anche la massima
proverbiale al centro di questo racconto diffusa altrove in Nordafrica, per esempio in Cabilia: " preferibile
coricarsi col dispiacere che risvegliarsi col rimorso".
Una versione assai simile, che prevede l'acquisto di tre
massime, di cui l'ultima e pi importante suona: "La
superbia della sera (as)serbala alla mattina", compare
in una raccolta toscana del secolo scorso: Nerucci
(1891), n. 53,1 tre consigli.
34. L'uomo che cercava il paese dove non si muore (di
Bedda ag Idda, trib degli Ifoghas, Azger). Il mito
dell'uomo alla ricerca di un mezzo per assicurare l'immortalit a s e ai propri cari antichissimo e assai diffuso, da Gilgamesh in poi. L'inevitabile fallimento qui
532

presentato con un'ironia che ne rende pi agevole l'accettazione.


35. La storia di Ammamellen e di Elias. La fiaba stata
tradotta a partire dalla versione tuareg del nord (Azger)
riportata da Hanoteau, n. 7, pp. 146 ss. Il particolare della predizione iniziale, necessario per una migliore comprensione del racconto, aggiunto sulla scorta della versione presente nella raccolta di ag-Khamidun, p. 72.
Tutte le popolazioni tuareg conoscono un ciclo di racconti su Ammamellen (noto anche col nome di Aligurran o Arigullan), cui vengono riconosciute grandi doti di
intelligenza e astuzia, in eterna competizione col nipote
Elias (altrove: Edeselegh) che finisce per sconfggerlo
proprio su questo terreno. Tra le numerose prove che
quest'ultimo deve superare, non mancano episodi di
astuzia gi conosciuti anche in altre tradizioni, anche
assai lontane nel tempo e nello spazio. Per esempio,
un'identica capacit di indovinare caratteristiche e difetti fisici di un cammello da pochi indizi sul terreno veniva gi attribuita dal persiano al-Tabari (morto nel
923) ai figli di Nizar, uno degli antenati di Maometto
(Tabari 1992, p. 26). Il tentativo di uccidere il concorrente scagliandogli una lancia che viene schivata, seguito dal riconoscimento della sua superiorit, presenta
una sconcertante analogia con l'episodio biblico di David e Saul (1 Sam. 18, 10-13). Per una prima valutazione
complessiva del ciclo di Ammamellen ed Elias, si veda
M. Aghali-Zakara-J. Drouin (1979), pp. 89 ss.

533

Indice

VII
XXIII
XXVI

Introduzione
Bibliografia
Glossario
FIABE DEL POPOLO TUAREG

Parte I

F i a b e dei Berberi del M a r o c c o


Fiabe di incantesimo
5
9
13
22
28
32
37
41
58
61
73
78
82

1. Il mostro
2. L'acqua che non cade dal cielo e non sgorga
dalla terra
3. Il mercante, l'ifrit e i tre vecchi
4. Il principe Mohammed, che rap la figlia
del capotrib dei nomadi
5. Ahmed U-n-Amir
6. Il re con un figlio bianco e uno nero
7. L'uccello bianco e l'uccello nero
8. Aggelamush
9. La donna che venne rapita da un jinn
10. L'uomo con la pipa
11. La figlia del jinn
12. Il jinn di Imzuwurt
13. La negra con i due gomitoli
537

85
87
93

14. I due fratelli e 'ifrit


15. L'uomo che avrebbe dovuto seminare fave
16. L'uccello dalle uova d'oro
Racconti

98
103
104
107
109
111
113
114
116
118

17.
18.
19.
20.
21.
22.
23.
24.
25.
26.
120 27.

L'Uomo e il Gigante
Il fabbricante d'oro
Il contadino e il re
Il pescatore che and dal re
La schiava furba
Il medico saggio
Un saggio consiglio
La grossa eredit
La guarigione dall'avaro
Il cad e il cacciatore
Lo strano dono nuziale

Storie facete
124 28. Il sultano e i Berberi
125 29. Il maestro di Corano tra i Berberi
126 30. I Figli dell'Avarizia
128 31. La pelle magica
Storie di donne
137
140
143
149
150
151
152
154
156
157
158
538

32.
33.
34.
35.
36.
37.
38.
39.
40.
41.
42.

Il potere delle donne


Lalla Maghnia
La principessa Gazzella
L'astuta Aisha
La moglie innamorata
Il magico cuscus
La povera donna e l'orchessa
Le donne astute
Come fu che il garzone mangi a saziet
L'adulterio
La bella donna

Storie di animali
160
162
163
163
166
166
167
168

43.
44.
45.
46.
47.
48.
49.
50.

La mucca dei due orfanelli


Il riccio e lo sciacallo
Cos va il mondo
La figliastra e il riccio
La tartaruga
Da dove vengono le cicogne
Perch gli asini hanno il muso bianco
Come si originano le cavallette

L'inizio e la fine del mondo: storie mistiche


170
174
177
180
185
188
191
191
193
194
195
197
199

51. Gli inizi del mondo


52. Della caducit dei beni di questo mondo
53. Il sarto nella citt felice
54. Aatiallah
55. I due fratelli
56. Il nome supremo di Dio
57. Il santo in Paradiso
58. Nostro signore Khadir
59. Jujumajuj
60. Il drago rosso del Dujjan
61. La fine del mondo
62. Una profezia
63. La porta del ravvedimento ancora aperta
Parte II
Fiabe dei Berberi dell'Algeria

203
209
215
221
228
230

1.
2.
3.
4.
5.

Il chicco fatato
Lunja, figlia di Tseriel
Storia della rana
Chi di noi la pi bella, o luna?
Aisha, figlia mia, una pozza in cui spegnere
queste fiamme!
6. La mucca degli orfanelli
539

239
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7.
8.
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10.
11.

279
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12.
13.
14.
15.
16.

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17.
18.
19.

354
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365

20.

21.
22.

23.

La principessa Sumisha
Il flauto d'osso
I cavalli di lampi e di vento
Lo sveglio e il sempliciotto
Mia madre mi ha sgozzato, mio padre mi ha
mangiato, mia sorella ha radunato le mie ossa
La quercia dell'orco
I sette orchi
Storia del baule
0 Bu-Iedmim, figlio mio!
Storia del vecchio leone e dello stormo
di pernici
Storia di Mosh e delle sette fanciulle
Storia della pulce e del pidocchio
Runja, la fanciulla pi bella della luna
e della rosa
Storia di Beljudh e dell'orchessa Tseriel
Il gatto pellegrino
Il fegato del cappuccio
L'Uccello della Tempesta

P a r t e III

Fiabe dei Tuareg


Fiabe di incantesimo
377
383
390
397

1.
2.
3.
4.

407
414
420
425

5.
6.
7.
8.

540

Tesshewa, la fanciulla sposata dal fratello


Il rapimento di Khawatan
La bellissima Teylalen e il jinn
Khayatan, la fanciulla venduta dai fratelli
a un jinn
Ayor e Tayort
La fanciulla maltrattata dal padre
La fanciulla e la matrigna cattiva
Kutyanga, il fratellino astuto
e la vecchia jinniya

428

9. Tersheddat e le sue compagne gelose


Racconti di animali

434
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442
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448
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454

10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.

17.
18.

19.
20.
21.

Lo sciacallo e la lepre.
La iena e la lepre
L'elefante e lo sciacallo
Lo sciacallo, l'otarda e la iena
Lo struzzo e il riccio
lo sciacallo e lo struzzo
La iena e la zucca
Il leone e l'asino
Lo sciacallo e il leone
Lo scoiattolo scavatore e l'elefante
Il leone e la capra
il gallo e lo sciacallo

Racconti faceti e con la morale


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488

22.
23.
24.
25.
26.
27.
28.
29.
30.
31.
32.
33.
34.
35.

La piroga
Il mentitore
Il figlio del re e il figlio del povero
L'uomo di Kano e l'uomo di Katsina
La coperta
I tre pretendenti della figlia del capo
Il sacco di menzogne
La civetta
Chi il pi onesto?
Le persone nel pozzo
La donna e il leone
La massima da cento monete d'oro
L'uomo che cercava il paese dove non si muore
La storia di Ammamellen e di Elias

491 Nota ai testi

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