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Tuareg
e dei Berberi del Nordafrica
Titolo originale:
Mrchen der Berber
a cura di Uwe Topper
Introduzione
I Berberi
No, io non sono Arabo! Cos suona il titolo di un libro
pubblicato di recente in Algeria da un Algerino. Non si
tratta di un paradosso, ma della pura e semplice realt:
sono infatti milioni i nordafricani di madrelingua diversa dall'arabo, che rivendicano la propria autonomia
linguistica e culturale rispetto al mondo arabo con cui
fin dall'indipendenza i governi dei loro paesi h a n n o
cercato di identificarsi, e con cui il mondo occidentale
di fatto li identifica.
Il peccato capitale dei Berberi - gli indigeni del Nordafrica - quello di non avere praticamente mai costituito, dai tempi di Massinissa e Giugurta a oggi, un'entit politica unita e autonoma (uno "Stato nazionale"),
accontentandosi di difendere l'indipendenza delle proprie trib o dei propri villaggi arroccati sui monti o in
mezzo al deserto, anche a costo di cedere le citt costiere e le regioni pi fertili ai conquistatori che, nel corso
dei millenni, si sono succeduti sul loro territorio (Fenici,
Greci, Romani, Vandali, Arabi, Turchi, Europei).
Dal canto loro, i conquistatori, sempre numericamente assai inferiori alle popolazioni locali, hanno di
solito finito per fondersi con esse, assorbendone usi,
costumi, tradizioni e dando vita a una cultura originale, che ha m a n t e n u t o sempre u n a caratteristica impronta nordafricana.
La stessa lingua araba, che oggi parlata dalla maggioranza della popolazione di questi paesi, assai moIX
dificata rispetto alla lingua classica e ai dialetti orientali, e ci proprio in seguito al lungo contatto con la lingua berbera. Gli "Arabi" del Nordafrica sono in maggioranza Berberi che hanno adottato la lingua araba.
Quanto al berbero, esso ancora oggi parlato da diversi milioni di persone disseminate su una vasta area
che va dai confini occidentali dell'Egitto (l'oasi di Siwa)
fino all'Oceano Atlantico, e dal mar Mediterraneo fino
ai margini meridionali del Sahara. La distribuzione di
questi parlanti assai diseguale dal punto di vista numerico. Vi sono piccole comunit berberofone isolate
costituite da poche centinaia o migliaia di persone (per
esempio in alcune oasi del deserto libico o in qualche
piccolo centro nel sud della Tunisia), mentre altrove
capita che il berbero sia la lingua di un insieme di villaggi (per esempio sulle alture del Gebel Nefusa in Tripolitania o nella regione algerina dello Mzab) e addirittura di intere regioni. In quest'ultimo caso i parlanti
possono essere addirittura centinaia di migliaia o anche milioni, come in Cabilia (una regione montuosa a
poca distanza da Algeri) o nella zona centrale e meridionale del Marocco.
Nel cuore del Sahara la lingua dei Tuareg rappresenta uno dei dialetti berberi meno contaminati dall'impatto con la lingua araba, e anche se il numero dei parlanti non in assoluto elevatissimo (si calcola che
raggiunga a stento il milione), la conoscenza di queste
popolazioni estremamente importante sia ai fini linguistici sia a quelli etnografici.
Per il loro carattere fiero e la capacit di convivere
da secoli con l'ambiente ostile del deserto, i Tuareg
hanno sempre colpito l'immaginazione degli europei,
che a m m i r a n o ancora in essi i nobili "uomini blu"
dall'enigmatico velo sul volto (la tagelmust). Purtroppo
questa visione romantica rischia di rimanere un lontano ricordo, dal momento che la cultura dei Tuareg
oggi seriamente minacciata ed concreto il pericolo di
X
Le fiabe
Eravamo tutti seduti intorno al fuoco, con i cugini, le
cugine, le zie e il vecchio zio malconcio e ripiegato nella
sua lunga jallaba rappezzata. Le braci del focolare liberavano il loro ultimo calore, esauste per lo sforzo costante
imposto dalle donne. Questo calore serviva per cucinare i
nostri pasti ma anche per il conforto di tutti noi.
La sera, dopo cena, mia zia ci distribuiva una manciata di fichi che ci asciugavano sulle labbra il gusto del
pasto. (...) Col lembo del vestito la zia ripuliva i resti di
sugo sui visetti rotondi e spensierati dei bimbi, i quali attendevano che la sua voce si levasse nel silenzio e nella
quiete della veglia.
Allora la voce faceva risonare alta la formula iniziale:
"Amashaho!... ". Sapevamo che a partire da quel momento ci si sarebbero spalancate le porte di un mondo immaginario e fatato. I nostri corpi si stringevano l'uno all'altro, perch l'abitudine ci aveva insegnato che un 'orchessa
poteva saltar fuori in ogni momento, in questi racconti,
abitati dallo strano e dal meraviglioso, e in cui gli uomini
e gli animali parlano la stessa lingua e si contendono il posto migliore.
Il racconto della Mucca degli orfanelli ci strappava
le lacrime, tanto erano tesi i fili della loro avventura.
Juh, per la sua furbizia era ai nostri occhi non solo
l'eroe della leggenda ma un vero eroe nazionale, a tal
punto lo consideravamo parte del mondo reale. Ne apprezzavamo la sfacciataggine, l'astuzia e l'intelligenza....
"C'era una volta un inverno molto freddo, la neve cadeva a larghe falde. .."eia famigliola si ritrovava intorno
al focolare dove ardeva la fiamma, e tutti in silenzio pendevano dalle labbra della vecchia. E i bimbi pi piccoli,
uno alla volta, si addormentavano...
XIV
In queste rievocazioni, a prima vista sdolcinate e nostalgiche, ma indubbiamente sincere, di due Berberi di
oggi sta tutto il rimpianto per una cultura tradizionale
minacciata, in cui le fiabe, i racconti, svolgevano un
ruolo di primo piano (Mouzaia 1986 e Chemime 1991).
Come ha dimostrato l'etnologa Camille LacosteDujardin in quello che finora un insuperato saggio
sulle fiabe berbere della Cabilia (1982), i racconti costituiscono un insostituibile archivio di usi, costumi, valori, visioni del mondo di una societ, sedimentati nel
tempo ma non immutabili, e spesso rideterminati con
il mutare dei tempi e delle situazioni.
Lungi dall'essere un semplice intrattenimento disimpegnato in un'epoca in cui non esistevano ancora radio
e televisione, le fiabe svolgevano innanzitutto una funzione di identificazione sociale, di trasmissione di valori e di ruoli, di istruzione dei giovani, di edificazione
religiosa. Non dimentichiamo che quella che noi oggi
pomposamente chiamiamo "mitologia classica" in origine non era altro che il contenuto delle "fiabe" che nutrivano i cuori e le menti degli antichi greci e latini.
Certo, esistono molti generi a seconda del contesto
narrativo, e ognuno tende a esaltare determinate funzioni. Nelle compagnie di giovanotti prevarranno i racconti faceti a fondo misogino, e viceversa in quelle di
sole donne non mancheranno le prese in giro dei maschi (funzione gratificante di identificazione nel gruppo); d'altro canto nelle confraternite religiose prevarr a n n o i racconti edificanti e moraleggianti (questi
ultimi non mancheranno anche nelle narrazioni materne ai figli); la tipica fiaba di incantesimo, in cui oltre al
resto vi una forte componente ricreativa, sar perlopi appannaggio di un pubblico infantile, e cos via.
Data questa variet non possibile tratteggiare una
fiaba-tipo. Esistono tuttavia alcune costanti. Infatti, la
fiaba, in quanto evocatrice di immagini le pi disparaXV
Bibliografia
Guido DAVICO BONINO (a cura di), Le pi belle fiabe italiane, Milano (Mondadori) 1988.
Brunamaria DAL LAGO, Il Regno dei Fanes. Racconto
epico delle Dolomiti, Milano (Mondadori) 1989.
Jean DELHEURE, Faits et dires du Mzab, Parigi 1 9 8 6 .
Jean DELHEURE, Vivre et mourir Ouargla, Parigi 1988.
Jean DELHEURE, Contes et lgendes berbres de Ouargla,
Parigi 1989.
Edmond DOUTT, Magie et religion dans l'Afrique du
Nord, Parigi 19842.
Charles de FOUCAULD e A. de CALASSANTI-MOTYLINSKI,
Textes touaregs en prose, Aix-en-Provence, 19842.
Leo FROBENIUS, Mrchen der Kabylen, 3 voli., Jena 192122.
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Glossario
Parte I
Fiabe di incantesimo
1. IL M O S T R O
Una giovane donna era rimasta sola col padre anziano. Quando, un giorno, questi cadde inanimato, venne creduto morto e deposto nella tomba. Sua figlia
gli portava tutti i giorni del cibo, e gli domandava:
Come posso venire da te, caro babbo?. Ed egli le
diceva: Figlia mia, fa' tintinnare i tuoi braccialetti
ed entrerai da me. La donna eseguiva e poteva cos
raggiungerlo e portargli del cibo.
Un giorno, uscita la figlia, ecco u n a iena bussare
con le zampe alla t o m b a dell'uomo e chiedere: Come posso venire da te, caro babbo?. E l'uomo rispose: Fa' tintinnare i tuoi braccialetti!. Allora la iena
fece un r u m o r e simile con le zanne e si intrufol nella tomba. A questo punto chiese: Dove devo cominciare a mangiare? Dai piedi o dalla testa?. Comincia dai piedi disse l'uomo.
Pi tardi arriv la figlia e chiese: Come posso venire da te, caro babbo?. E l'uomo: Figlia mia, il
nostro Signore ti dia forza. C' un animale selvatico
che mi sta divorando!. Fino a che p u n t o ti arrivata la sensibilit? chiese la figlia. Fino alle caviglie
rispose il padre.
Quando la figlia venne la volta successiva, chiese:
Caro babbo, fino a che punto ti arrivata la sensibilit? e questi rispose: La bestia arrivata a divor a r m i fino alle ginocchia. Q u a n d o t o r n la volta
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successiva: Fino all'inguine. E poi: Fino all'ombelico. E quando arriv al torace, il padre disse: Figlia mia, che il Signore ti aiuti, la fiera ti perseguiter per divorare te.
Allora la d o n n a a n d nell'accampamento e trov
u n a canna di palude. La sollev ed ecco un uccellino
posarvisi sopra cantando. O uccellino della canna,
che vedi, che scorgi? chiese la d o n n a . Vedo u n a
cosa grande come un chicco di miglio e sta venendo
qui! E dopo un po' torn a chiedergli: O uccellino
della canna, cosa vedi?. E l'uccellino rispose: Vedo
u n a cosa grande come un chicco di frumento. E la
volta successiva: Grande come un chicco di granturco. E la quarta volta: Grande come un montone. Pi viene vicino pi diventa grosso. La quinta
volta era gi grosso come un toro e la sesta come un
cammello. Allora la donna gett via la canna e fugg
da un contadino che in quel m o m e n t o stava a r a n d o
con u n a coppia di muli.
Amico, gli disse la tua protezione la protezione di Dio. Aiutami e mi potrai sposare!
Cosa posso fare io contro il mostro! L'unica speranza che ti aiutino i miei animali. Mettiti in mezzo alle d u e mule aggiogate. Ora, se il m o s t r o caricher da davanti, i miei animali lo afferreranno coi
loro denti, mentre se attaccher da dietro, lo colpiranno coi loro zoccoli. Il mostro infatti non riusc a
divorare la donna e le disse: Ehi, tu, apri la bocca e
parliamo!. E lei di rimando: Che cosa a b b i a m o in
c o m u n e di cui io possa parlarti?. Allora egli le gett
un pezzo di brace, colpendola su un dente e annerendoglielo. Dopodich le disse: Adesso ti posso riconoscere! Andr in giro per il paese travestito da taglialegna o da mercante, vendendo cucchiai o merci
varie, e ti ritrover. Tu n o n hai un bel niente da
poter vendere rispose la donna.
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fiumara, la caric su un cavallo e continu il trasferimento fino al nuovo posto dove collocare l'accamp a m e n t o . Qui t r o v a r o n o u n a m u l a che pascolava.
Guarda! disse il marito. di sicuro Allah che ci
fa d o n o di q u e s t a m u l a in sostituzione del n o s t r o
cammello. Presero la mula e la legarono a un paletto davanti alla loro tenda. Allora la mula disse alla
donna: Guarda i miei denti, con cui ti divorer!.
La donna fu colpita dalla p a u r a e fugg da suo marito. Guarda che la mula adesso vuole mangiarmi!
Leghiamo stretta la bestia! disse il contadino. E
cos fecero.
Dopo cena la donna chiam il suo cane, se ne and
fino all'acacia che si trovava nelle vicinanze e vi si nascose. Nel frattempo la mula rosicchi i suoi legacci,
si avvent sull'uomo e lo uccise. Lo inghiott, poi si
slanci sulla tenda e se la divor tutta. Quindi, furibonda, si mise a cercare la donna, ma non la trov.
All'alba comparvero dei cavalieri e videro la d o n n a
sull'albero. La aiutarono a scendere e le chiesero:
Che cosa successo?. stata quella mula laggi
rispose la donna. Ha divorato la nostra tenda e inghiottito mio marito. Con le sciabole sguainate i cavalieri si gettarono contro la mula gridando: Restituisci Ali come era!. Allora la mula lo restitu vivo.
La povera donna tuttavia mor dallo spavento, il suo
fegato era spezzato.
3. IL M E R C A N T E , L'IFRIT E I T R E V E C C H I
jinn? Egli rispose: Questa storia davvero stupefacente, e io ti faccio dono di un terzo del sangue del
mercante.
Allora si alz il secondo vecchio, quello che aveva
due cani, e disse: O signore, re dei jinn, questi due
cani sono i miei fratelli, e se io ti raccontassi come
successo che si sono trasformati in cani, e tu trovassi stupefacente la mia storia, mi faresti poi dono di
un terzo del sangue di questo mercante?. L'ifrit rispose: S, raccontamelo, e se lo trover stupefacente, ti far dono di un terzo del sangue di questo mercante.
Allora il vecchio prese a narrare la storia seguente:
Eravamo tre fratelli. Quando mor nostro padre, ci
lasci tremila dinari. Con essi aprii un negozio e cominciai a vivere di commercio. Un giorno dovetti intraprendere un lungo viaggio d'affari e affidai il negozio ai miei fratelli. Q u a n d o , d o p o l u n g h e
peripezie, fui finalmente di ritorno, non avevo pi
nulla con me, perch t u t t o era a n d a t o p e r d u t o nel
viaggio. I miei fratelli, per, non mi biasimarono, e
anzi divisero con me quello che nel frattempo avevano guadagnato col negozio. Allora lodai Dio di avermi dato questi fratelli, e ricominciai il mio commercio nel negozio.
Qualche tempo dopo, f u r o n o i miei fratelli a voler intraprendere un viaggio, e mi pregarono di and a r e c o n loro. Avevo un bel r i c o r d a r e loro le mie
sventure e gli incerti dei viaggi per affari: essi non si
lasciarono dissuadere e continuarono con insistenza
a pregarmi, finch cedetti. C o n t a m m o d u n q u e il den a r o che avevamo g u a d a g n a t o tutti e tre insieme,
u n a met la impiegammo nell'acquisto di merci, cavalli e animali da soma, e l'altra met la dividemmo
in tre parti uguali, in m o d o che ciascuno di noi rice18
vano, scherzavano e giocavano insieme. Mi colse allora l'ira e stavo per precipitarmi su di loro q u a n d o
essa prese un vaso con dell'acqua e mi asperse con essa dicendo: "Abbandona il tuo aspetto attuale e assumi l'aspetto di un cane!".
Divenni cos un cane e corsi fuori dalla porta ritrovandomi nella via dove c'era un macellaio, al quale rubai un pezzo di carne. Allora il macellaio mi cattur, mi leg e mi port a casa sua per uccidermi.
Sopraggiunse la figlia dell'uomo e si copr il volto
davanti a me. Poi chiese a suo padre: "Perch h a i
p o r t a t o qui quest'uomo?". Suo p a d r e disse: "Dov'
un uomo?". Essa rispose: "Questo cane un u o m o
che ha subito un incantesimo da parte di sua moglie.
Ma io posso liberarlo". All'udir ci, suo padre disse:
"Dio sia con te, figlia mia, libera quest'uomo!". Allora essa prese un recipiente con dell'acqua, recit degli scongiuri e mi asperse con un po' di quell'acqua.
Aggiunse poi queste parole: "Abbandona il tuo aspetto attuale e assumi il tuo aspetto originario e persisti
in esso!". Allora le baciai le mani e la pregai di gettare un incantesimo sulla m i a moglie malvagia, cos
come essa aveva fatto nei miei confronti. Essa prese
dal recipiente un po' dell'acqua su cui aveva recitato
gli scongiuri, me la diede e disse: "Va' da tua moglie,
e q u a n d o la troverai a d d o r m e n t a t a , aspergila con
l'acqua e la trasformerai in quello che vorrai!".
Io feci c o m e mi aveva detto, e la t r a s f o r m a i in
u n a mula. E questa mula che voi vedete qui accanto
a me, o re e signore di tutti i jinn, colei che un tempo stata mia moglie. Si rivolse quindi alla mula e
le chiese: vero ci che ho detto? e la mula fece
cenno col capo per significare che era vero.
Allora l'ifrit si alz, si scosse la polvere di dosso e
disse al terzo vecchio: Trovo stupefacente la tua storia e ti faccio d o n o dell'ultimo terzo del sangue di
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sero a p r e p a r a r e le armi in vista della guerra, il tignoso (Mohammed) disse: Andr io da solo!. Il capotrib gli disse: Come pensi di riuscire tu l dove
non arrivano gli uomini validi? Faresti meglio a restartene con il tuo burro!. Il tignoso rispose: Dammi solo un cavallo e me ne andr alla guerra!.
Ora, egli c o m b a t t insieme a loro per un giorno
intero, e sconfisse il servitore negro. Vergognandosi,
il negro and dalle fanciulle e disse: Tra di loro vi
u n o che combatte come il mio padrone. Allora esse
gli dissero: Prendi questa arancia! Se domani il tuo
avversario arriver e ti sconfigger, gettagli questa
arancia! Se egli la prender e la bacer, deve trattarsi del tuo padrone. Il negro la prese e la ripose.
Il giorno successivo, q u a n d o il tignoso si ripresent p e r c o m b a t t e r e c o n t r o di lui, il negro prese
l'arancia e gliela gett. Il suo p a d r o n e l'afferr e la
baci, poi tir via la pelle che gli copriva il capo e lasci scendere liberi i capelli. Allora il negro lo precedette ed entrarono in casa.
La gente li segu dicendo: Il tignoso entrato in
casa. Ma a questo punto egli si rivolse contro di loro e prese a combatterli. Quando raggiunse suo padre, lo colp e gli tagli la testa. Divenne quindi re e
la gente fu felice perch egli govern con rettitudine.
Dopo che li ho lasciati, sono subito venuto qui.
5. A H M E D U-N-AMIR
stone. Un giorno il giovane disse al maestro: Mio signore, non sono io a tingermi le mani di henn, questo avviene di notte, m e n t r e d o r m o . Al m a t t i n o ,
q u a n d o mi sveglio, le mani sono tinte di rosso. Allora il maestro disse: Sai cosa devi fare? e prosegu:
La p r o s s i m a notte, q u a n d o ti stendi per dormire,
prendi un vaso, mettici dentro u n a piccola lucerna a
olio accesa e mettici sopra un coperchio, in m o d o
che all'esterno non si veda alcuna luce. Poi sta' molto attento e non addormentarti, ma fai solo fnta di
dormire. S, mio signore disse lo scolaro e torn
a casa.
La sera egli fece come gli aveva consigliato il maestro. Verso mezzanotte giunsero degli angeli femmina, e gli tinsero le m a n i con l'henn. Allora egli ne
afferr una, ma le altre fuggirono.
Q u a n d o il giovane tolse il c o p e r c h i o dal vaso,
scorse u n a fanciulla. La fanciulla disse: O Ahmed,
lasciami andare! Tu non potresti esaudire il mio desiderio. Egli disse: Non ti lascer andare, visto che
per colpa vostra subisco ogni giorno delle bastonate. Ma la fanciulla torn a pregarlo: Lasciami andare, Ahmed! Tu n o n potresti esaudire il mio desiderio. Allora egli chiese: E qual il tuo desiderio?.
Essa rispose: Io ho bisogno di sette stanze, u n a
dentro l'altra, e devono potersi aprire tutte con u n a
chiave. Egli disse: Cos sar. Lei prosegu: Nessuno al di fuori di te deve poter entrare nelle stanze!. Egli disse: Mi sta bene.
La fanciulla abit quindi nella sua stanza, finch
egli ebbe costruito le sette stanze, dopodich si sposarono. Essi vissero insieme per molto tempo. Tutte
le volte che egli usciva, chiudeva a chiave le stanze e
nascondeva la chiave nel letamaio. A sua m a d r e egli
non aveva per detto che cosa si trovava nelle stanze. Essa aveva u n a gran voglia di entrarvi, ma non
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sapeva dove il figlio nascondesse la chiave. Un giorno u n a gallina, razzolando nel letame, port alla luce la chiave. La m a d r e la trov, schiuse le stanze u n a
dopo l'altra, finch giunse nell'ultima stanza e vide
la fanciulla. Costei si spavent moltissimo, ma ancora di pi si spavent la madre, che fugg via. Richiuse a chiave tutte le stanze e torn a mettere la chiave
nel letamaio.
Q u a n d o il giovane fu di ritorno, prese la chiave,
apr la p r i m a stanza e la trov bagnata. Nella seconda stanza l'acqua gli arrivava ai malleoli, nella terza
fino al polpaccio, nella q u a r t a fino alle ginocchia,
nella quinta fino alla coscia, nella sesta fino alla cintola, e nella s e t t i m a fino alle spalle. Allora vide la
fanciulla, che era seduta sul davanzale della finestra
e piangeva. Allora le chiese: Che cosa ti successo?. Essa disse: Nulla, solo che tua m a d r e venuta
fin qui. Ora aprimi subito la finestra, in m o d o che io
possa riprendermi un po'. Quando il giovane ebbe
aperto la finestra, la fanciulla voleva volarsene via;
egli le afferr in fretta la m a n o per tenerla ferma, ma
lei gli lasci in m a n o un anello. Poi si trasform in
u n a colomba e vol via, dicendo: Se tu vuoi, raggiungimi nel settimo cielo! e scomparve.
Il giovanotto usc, si compr un cavallo e si mise
in viaggio. Per tre anni and in giro per il paese. Un
bel giorno si imbatt nei piccoli di un falco immenso, che sembrava u n a casa volante quando si librava
nell'aria. Il giovanotto sgozz il suo cavallo e ne diede la carne ai piccoli del falco. Quando la loro m a d r e
fu di ritorno, vide i suoi piccoli che mangiavano contenti la carne, e quindi esclam: Chi ci ha fatto quest'opera di bene? Che venga fuori, e ci che egli desidera possa il nostro Signore concederglielo!. Allora
il giovanotto rispose dicendo: Sono stato io!. E
l'uccello replic: Che cosa desideri?.
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Il giovane rispose: Io desidero solo che tu mi porti f i n o al s e t t i m o cielo. Il volatile rispose: Sii il
benvenuto! e prosegu: Sali e mettiti a cavalcioni
sul mio dorso!. Il giovane sal e subito partirono in
volo. Quando il falco fu giunto al settimo cielo depose il giovane.
Il giovanotto si diresse allora verso u n a sorgente, e
vide un albero accanto a essa, su cui si arrampic.
Giunse u n a schiava negra per attingere acqua. Essa
vide il volto del giovane riflesso nell'acqua. Si mise
quindi a gridare: Sono cos bella e devo continuare
a portare l'acqua alla mia padrona?. Sollev in aria
il vaso e stava per fracassarlo a terra. Ma il giovane
la apostrof: Aspetta, aspetta! Quello che hai visto
il m i o viso! e p r o s e g u chiedendole: Di chi sei
schiava?. Ed essa gli disse il nome della sua padrona. Egli le ordin: Prendi questo anello e portalo alla t u a padrona!. La schiava prese l'anello e se ne
and. Quando fu giunta a casa, consegn l'anello alla padrona. Allora la p a d r o n a le disse: Prendi il mio
asino e caricalo di fieno, poi infila il giovanotto nel
fieno e portalo cos in casa!. La schiava and e fece
proprio ci che le aveva detto la padrona. Port cos
in casa il giovanotto che, qui giunto, usc dal fieno.
Ora, egli visse per un certo t e m p o insieme a sua
moglie. Essa and e gli fece vedere tutta la casa. Arrivata davanti a u n a botola del pavimento, disse: Tu
puoi entrare in tutte le stanze della casa, solo n o n
devi varcare mai questa porta!. Cos egli rimase con
lei e pass molto tempo.
Un giorno, era la grande Festa del Sacrificio, egli
disse tra s: "Per Dio, per u n a volta voglio guardare
al di l di questa porta che mi stato detto di n o n
aprire mai!". Egli vi and, la apr e vide sua m a d r e
sulla terra che teneva con u n a m a n o u n m o n t o n e ,
ma n o n riusciva a sgozzarlo. Allora essa esclam:
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Dove sei, mio Ahmed, aiutami a sgozzare il montone!. Dopodich si mise a piangere. Quando il giovanotto ebbe visto ci, fu preso da pena per la m a d r e e
balz gi. I venti lo ridussero completamente in polvere. Una goccia del suo sangue cadde sul m o n t o n e
e lo uccise, le dita caddero su di u n a roccia, e subito
ne s g o r g a r o n o c i n q u e sorgenti. Ma lui era m o r t o .
Andate in pace!
no a mezzanotte giunse un leone che voleva divorarli. Allora il principe nero prese la propria spada e uccise il leone. Poi gli tagli le orecchie e si mise a dorm i r e . Al m a t t i n o , il p r i n c i p e b i a n c o vide il leone
morto, si spavent e chiese al fratello: Cosa vuol dire tutto ci?. Allora il principe nero raccont come
avesse ucciso il leone che li voleva divorare.
Continuarono quindi a viaggiare nella foresta per
tutto il giorno, e anche la notte successiva giunsero a
u n a grotta, dove viveva un'orchessa. Il principe bianco voleva entrare subito, ma il fratello nero voleva
dissuaderlo. Allora l'orchessa venne fuori e li invit a
e n t r a r e . Essi d u n q u e e n t r a r o n o , m a n g i a r o n o u n a
p a p p a preparata dall'orchessa e si distesero per dormire. Ma l'orchessa aveva anch'essa due figli, che si
stesero su un bel t a p p e t o m o r b i d o , m e n t r e i d u e
principi dovettero d o r m i r e per terra. Non a p p e n a
anche l'orchessa si fu addormentata, il principe nero
si alz, trasfer i figli dell'orchessa dal tappeto in terra e mise suo fratello a dormire sul tappeto, su cui
anch'egli si distese e si addorment. Nella notte, l'orchessa si alz, prese il suo coltellaccio e tagli la testa ai due figlioli stesi per terra, perch credeva che
fossero i due forestieri. Poi torn a coricarsi e riprese a dormire. Ma il principe nero stava in guardia e
q u a n d o scopr quello che era successo, svegli il fratello e tutti e due se ne andarono di nascosto. Il principe nero si port anche via il paiolo dell'orchessa.
Viaggiarono t u t t a la m a t t i n a t a e g i u n s e r o a un
ampio fiume che attraversarono con l'aiuto dei loro
cavalli. Erano appena arrivati dall'altra parte quando videro l'orchessa che, s e g u e n d o le loro tracce,
aveva raggiunto la riva del fiume. Vedendo i due che
se ne stavano sull'altra sponda, essa domand: Come avete fatto ad arrivare di l?. E il principe nero
le rispose: Abbiamo nuotato sui nostri cavalli, altri33
Con un sospiro, la figlia del re invit la giovane negra a proseguire il suo racconto. Ed essa continu:
Quando il principe parl con tanta tristezza, i gioielli scoppiarono in singhiozzi nelle sue mani. Io passai
la notte nel castello senza farmi scoprire e al mattino
ritornai al fiume insieme al cammello, quando questo
port di nuovo le stoviglie a lavare.
Non credi, cara signora, che il dolore di questo
principe sia pi grande del tuo?
La principessa sospir ancora pi profondamente,
quindi chiese alla giovane negra: Domattina vieni a
prendermi presto e portami al fiume, dopodich seguiremo tutte e due il cammello. Ma di tutto ci non
fare parola con nessuno.
Come promesso, il mattino successivo la giovane
negra venne a prendere la figlia del re. Corsero al fiume e, quando videro arrivare il cammello sull'altra
sponda, lo guadarono, osservarono le stoviglie che si
lavavano da sole e seguirono quindi il cammello nel
suo c a m m i n o verso i monti. Anche questa volta la
roccia si apr, cosicch le due giovani poterono entrare nel castello. Si nascosero dietro u n a tenda e si misero ad aspettare che l'uccello bianco e quello nero
giungessero in volo e si immergessero nella vasca per
fare il bagno. Osservarono gli uccelli trasformarsi in
giovani e andare in u n a stanza dove aprirono il cofanetto dei gioielli. Ma quando il principe estrasse u n o
per u n o i monili, questi cominciarono a ridere di cuore e a parlarsi con allegria. Sbalordito, il principe domand: Di che cosa ridete?. Ed essi risposero: Ridiamo perch la nostra p a d r o n a qui!. Il principe,
per, non capiva il significato di queste parole e disse
con tono addolorato: Oh, se lei fosse qui, lei che la
pi bella di tutte, colei che io tanto amo!. A questo
p u n t o la figlia del re non pot pi trattenersi e balz
fuori dicendo al giovane: Essa qui e ti ama!. Cad40
8. A G G E L A M U S H
C'erano u n a volta un marito e u n a moglie che avevano u n a b a m b i n a . Essa era cos a m a t a e benvoluta
che i genitori non erano mai capaci di rifiutarle alcun desiderio. Ma l'uomo, poveretto, non possedeva
proprio nulla.
Si avvicinava la Festa del Sacrificio, in cui ciascuno gusta la carne che Dio ha fatto avere agli uomini,
ma il p o v e r u o m o non aveva pecore e si domandava
che cosa avrebbe potuto sacrificare per l'occasione.
Quando fu il giorno della festa, sul far del mattino
egli invoc: Nel n o m e di Dio, che Allah mi sia benevolo, giacch in Allah noi confidiamo!. Dopodich
usc nel giardino che aveva davanti alla casa, e vi
trov u n a lepre. In un balzo le fu addosso, la cattur
e, tenendola stretta in braccio, rientr in casa. And
da sua moglie e le disse: Prendi questa lepre, che
sacrificheremo per la festa!. La d o n n a prese la lepre, la ficc sotto u n a pentola rovesciata e la nascose
cos.
Dopo un po' arriv da quelle parti la b a m b i n a tutta contenta: Oggi, per la festa, ci sar della carne da
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mangiare!. Corse dal padre, gli baci il capo e domand: Babbo, d o v e il nostro arrosto della festa?.
Il p o v e r u o m o temette che la fanciulla potesse piangere; le rispose quindi: Figliola, chiedilo a t u a madre!. E la b i m b a corse allegramente dalla madre, le
baci il capo e d o m a n d : Mamma, dov' il nostro
arrosto della festa?. Anche la m a d r e temette che la
figlia potesse mettersi a piangere il giorno di festa; le
rispose quindi: Figliola, chiedilo a tuo padre!. Allora la b i m b a torn di corsa dal padre e pianse.
Il p a d r e la zitt: Fa' silenzio, b i m b a mia, n o n
piangere!. Q u a n d o anche la m a d r e vide la piccola
in lacrime, la chiam a s, e q u a n d o questa fu giunta, le disse: Fa' silenzio, figlia mia, non piangere! Ti
far vedere io il nostro arrosto della festa!. Allora la
piccola torn allegra e ridente. Va' un po' a vedere,
b i m b a mia! disse la madre. L'arrosto della festa
l, in c a m e r a , sotto la pentola! La fanciulla a n d
nella stanza e sollev un po' la pentola; ma q u a n d o
vide la lepre si spavent. Si ferm a guardarla, ma la
lepre scapp via. Allora la m a m m a si mise a gridare
e a inseguire all'aperto la fuggitiva; a sua volta, anche la b a m b i n a corse dietro alla m a d r e gridando.
Bisogna sapere che a quel t e m p o tutte le cose del
m o n d o avevano il dono della parola: potevano parlare le pietre, potevano parlare gli alberi, le strade: in
breve, tutto ci che vi era al mondo.
Mentre la d o n n a inseguiva la lepre, questa correva
lesta in avanti, e la donna le correva sempre appresso, finch si ritrovarono, lei e la figlia, in un luogo
selvaggio. E r a o r m a i notte fatta. La lepre, intanto,
era sparita.
A questo p u n t o la donna disse alla figlia: Arrampichiamoci su quest'albero, affinch gli animali selvatici n o n ci divorino!. Si a r r a m p i c a r o n o q u i n d i
sull'albero e dalla cima tennero d'occhio i dintorni.
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ch la cornacchia ritorn dal leone e gli disse: Innanzitutto promettimi solennemente che mi consenti di esigere per me due cose, e solo allora ti dir che
cosa si trova sull'albero!. Il leone rispose: Ti do solennemente la mia parola di concederti anticipatamente un diritto sulle due cose che tu nominerai semprech ci mi sia possibile. Allora la cornacchia
rifer: Signore, sull'albero si trova u n a donna incinta, che presto partorir e che ha accanto u n a figlia
ancora piccola.
Allora il leone disse agli animali: A chi riuscir
ad arrampicarsi su quest'albero e a p o r t a r m i gi la
donna, dar ci che desidera. Ma l'albero era altissimo e nessuno degli animali era in grado di arrampicarvisi t r a n n e un serpente, che disse al leone: Io
sono in grado di arrampicarmici. Il leone gli rispose: Allora fallo!. Il serpente cominci a salire e ben
presto raggiunse la donna; a questo p u n t o le disse:
Cara signora, per favore, mi porga da succhiare il
mignolo del piede!. La d o n n a gli porse il mignolo
del piede e il serpente cominci a succhiarlo, facendo risalire il veleno nel corpo della donna.
La b a m b i n a chiese alla madre: Mamma, fino a
dove ti arrivato adesso il veleno?. La m a d r e le rispose: Figlia, mi giunto fino alle ginocchia!. Dopo
un po' la piccola torn a domandare: Mamma, fino a
dove ti arrivato adesso il veleno?. La m a d r e le rispose: Figlia mia, mi giunto fino all'ombelico. Per
la terza volta la b a m b i n a domand: Mamma, fino a
dove ti arrivato adesso il veleno?. E di nuovo la madre rispose: Figlia, mi penetrato nel capo. Quindi
la donna ammutol e non disse pi u n a parola; ma il
serpente continu a succhiarla, finch la d o n n a rese
l'anima; a questo punto la disgraziata precipit in
basso in mezzo alle fiere che stavano ai piedi dell'albero, mentre il leone teneva loro lezione. Le belve si
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lamush, da conoscere le sue abitudini fin nei dettagli. Rimase quindi a vivere l.
Ma ora vi voglio raccontare di questo Aggelamush, che genere di vita conduceva: Aggelamush possedeva un n u m e r o incalcolabile di pecore, cammelle e
mucche, oltre a quantit enormi di frumento, orzo,
burro, miele; in poche parole, Aggelamush possedeva ogni ben di Dio. Inoltre, egli aveva u n a particolarit: che qualunque cosa ordinasse, questa si realizzava immediatamente. Quando, per esempio, voleva
mungere le sue pecore, gli bastava dire: Mungetevi,
mungetevi, mie pecore!. E le pecore si mungevano
da sole. Oppure esclamava: Mungetevi, mungetevi,
m i e cammelle! o: Mungetevi, mungetevi, mie
mucche! e gli animali eseguivano. Se diceva: Versati, versati dal secchio, latte!, ecco il latte versarsi
da s; se esclamava: Agitati, agitati, otre del burro!, questo si agitava; oppure: Rapprenditi, rapp r e n d i t i , burro!, q u e s t o si r a p p r e n d e v a . E t u t t o
quello che Aggelamush ordinava ai suoi animali, essi
lo eseguivano immediatamente. E r a anche solito dire alla ricotta: Ricotta, staccati da sola dall'otre del
burro!. Perch a mezzogiorno Aggelamush mangiava la ricotta. Questo era il genere di vita consueto di
Aggelamush.
La fanciulla lo osserv c o n t i n u a m e n t e fino a conoscere con assoluta precisione come si comportava. Cosicch, appena Aggelamush si addormentava,
essa prendeva un secchio e vi metteva del b u r r o e
della farina e con la pasta ottenuta faceva u n a specie
di gnocco. Quando poi Aggelamush era immerso in
un sonno profondo, prendeva del b u r r o e glielo spalmava su tutta la coda. Allorch al m a t t i n o Aggelam u s h si svegliava, si trovava sempre la coda spalmata di burro. Allora accendeva un fuoco, prendeva un
ceppo di legno acceso, se lo portava alla coda e ogni
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volta gridava: Aspetta! - tuo padre sia maledetto g u a r d a che ti brucio! M e n t r e io d o r m o , tu, c o d a
svergognata, te ne vai e mi consumi tutto il burro! Il
b u r r o solo p e r me, a n c h e il miele solo per me,
tutto quanto solo per me!.
La fanciulla ascoltava di nascosto tutte queste parole: le conosceva ormai con precisione. Una notte,
q u a n d o Aggelamush si fu a d d o r m e n t a t o , tir fuori
un secchio e lo riemp di b u r r o e di farina; ne fece
degli gnocchi, p e r la precisione ne fece dieci, e li
p o r t a c c a n t o ad Aggelamush. Q u a n d o lo vide in
p r e d a a un s o n n o p r o f o n d o , prese la pasta, u n o
gnocco alla volta, e ne strofin u n o sul naso, un altro
sulla coda, un terzo sul fianco sinistro, e cos via. Poi
se ne torn dal suo fratellino, che invece lasci dormire.
Per farla breve, la fanciulla ripet pi volte questo
trattamento ad Aggelamush. Finch u n a mattina Agg e l a m u s h si svegli e si ritrov a n c o r a u n a volta
completamente u n t o di pasta, scoppi in un accesso
d'ira, accese un fuoco e si tenne la coda nella fiamma. Allora il fuoco gli si appicc a tutto il corpo producendo u n a grossa fiammata. La fanciulla osserv
n a t u r a l m e n t e t u t t o con attenzione, e q u a n d o vide
che Aggelamush andava a fuoco, gli grid: Paglia,
paglia, Aggelamush!. Udendo queste parole, l'animale impazzito credette che il b u o n Dio gli stesse
parlando. Paglia, paglia, Aggelamush! Corse quindi in tutta fretta al deposito in cui era conservata la
paglia: anch'esso prese fuoco.
Mentre il fuoco si appiccava a tutto quanto, la fanciulla corse a versare altro olio su di lui che gi stava
bruciando. Il suo fratellino aveva portato dell'acqua,
ma lei gli sbarr la strada e gett via l'acqua e continu a versare olio su Aggelamush finch questi non
fu completamente carbonizzato.
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al t r a m o n t o r i p o r t a casa il b e s t i a m e , trov u n o
gnocco freddo. Chiam la sorella; ma gli rispose solo
un gatto: Miao, miao! Tua sorella l'ha portata via il
sultano!. Allora il poveretto cominci a piangere:
dove avrebbero dormito, adesso, lui e i suoi animali?
Il giovane si rivolse agli animali e disse loro: Miei
cammelli e buoi! A chi sar in grado di sfondare questa porta dar u n a grossa ciotola piena di grano!.
Udito quello che diceva il giovane, ogni a n i m a l e a
t u r n o prese la r i n c o r s a e si p r e c i p i t con la testa
contro la porta.
Ogni sforzo fu per vano, finch giunse il turno di
un montone, tutto rognoso, magro e diarroico. Mentre cominciava a caricare, il giovane rideva e gli gridava: I signori corridori tutti insieme non riescono
a far nulla e pensi di combinare qualcosa tu, signor
trottapiano!. Tuttavia il m o n t o n e fece r i s u o n a r e
con la sua testa un bel "crac" nella porta e irruppe
all'interno, fin nella corte. A questo p u n t o a n c h e il
giovane entr in casa, ma non vi trov la sorella. Cominci a piangere. Allora il gatto torn a dirgli: Tua
sorella l'ha portata via il sultano!.
Da allora il giovane continu a vivere nella casa di
Aggelamush per altri due anni. Ma trascorsi due anni, si mise in viaggio e, poich era assai avveduto,
p r e s e con s un b a s t o n e d ' a r g e n t o e u n o d'oro, e
inoltre un pettine d'oro e u n o d'argento. Si incamm i n e prese a girare il m o n d o alla ricerca della sorella. Cammina cammina, giunse a un fiume, in cui
vi era un cammello morto, che era crepato di rogna!
Estrasse allora il coltello e tagli via dall'animale un
pezzo di pelle, da cui ricav u n a sorta di copricapo;
fece in modo che esso gli coprisse del tutto la testa,
cos da s e m b r a r e un tignoso. Prosegu q u i n d i nel
suo cammino e giunse a un altro fiume, nei cui pressi vi era u n a sorgente; qui vide quattro donne che si
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C'era u n a volta un ragazzo povero, che sogn di sposare u n a bella fanciulla, e q u a n d o si svegli era cos
c o n t e n t o del sogno che part i m m e d i a t a m e n t e per
trovare la moglie a lui destinata. Viaggi a lungo per
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Fu cos che l'uomo pot riprendersi la moglie. Salirono in g r o p p a all'uccello e vennero subito ritras p o r t a t i a casa. Un a n n o d o p o il m a r i t o disse alla
moglie: Facciamo un pellegrinaggio fino a quel
s a n t ' u o m o che se ne sta sotto l'albero, per ringraziarlo della nostra fortuna!. Si recarono dunque in
pellegrinaggio fino a quell'albero, ma non vi trovarono il santo. Sulla via del ritorno incontrarono invece
il santo errabondo che per primo aveva dato il consiglio di andare fino a quell'albero. Il p o v e r u o m o gli
raccont di come avesse voluto ringraziare il santo,
ma l'errabondo gli disse: Non avresti dovuto farlo.
Nel preciso istante in cui tu hai preso questa decisione, quell'uomo stato ucciso dal jinn i cui figli erano
stati scottati.
10. L ' U O M O C O N L A P I P A
Un pescatore aveva cinque figli e u n a bellissima figliola. Un giorno la figlia scomparve, e nessuno sapeva dove potesse essere. Allora il pescatore disse ai
suoi figli: Mettetevi in c a m m i n o e cercate vostra sorella!. I cinque fratelli andarono sulla riva del mare,
si sedettero su u n o scoglio e si misero a riflettere sul
da farsi. Trascorsero l tre giorni. Il maggiore dei fratelli era un f u m a t o r e di kif, e ogni giorno sminuzzava
il suo mazzetto di canapa e se lo f u m a v a nella pipa.
Orbene, mentre costui, seduto cos sullo scoglio,
stava sminuzzando il mazzetto di canapa sopra un tagliere, i semi, che non servono al fumatore, caddero
in m a r e e un grosso pesce fece un balzo per acchiapparli e li divor. Quando giunse dagli altri pesci, essi
dissero: Dov' che sei diventato cos grasso? Dove
hai trovato un nutrimento cos buono?. Allora il
grosso pesce fece giurare agli altri pesci che gli avreb61
bero obbedito, e dopo che essi ebbero giurato li condusse presso lo scoglio su cui era seduto il figlio del
pescatore, il quale anche il giorno dopo torn a sminuzzare il mazzetto di canapa lasciando cadere i semi
in mare.
I pesci scattarono per afferrare i semi di canapa e
ne f u r o n o cos entusiasti che u n o di loro disse: Sveleremo al giovanotto dove potr ritrovare la sorella.
Il pesce grande fu d'accordo e cos disse al ragazzo
del pescatore: Ascoltami, giovane pescatore, ti devo
dire u n a cosa!.
Ti ascolto.
Tua sorella stata rapita da un ifrit che vive in alto, lass, sulle montagne, dentro u n a caverna.
Allora il giovanotto ringrazi e riprese a tagliare la
sua c a n a p a in m o d o da poterla f u m a r e , dopodich
se la f u m contento.
II terzo giorno convoc i suoi fratelli e raccont
loro quello che il pesce gli aveva svelato. Ma i fratelli
risero, e il s e c o n d o di et gli disse: In te p a r l a il
kif!. Tuttavia, dal m o m e n t o che non avevano niente
di meglio da proporre, decisero c o m u n q u e di andare
in m o n t a g n a . Sellarono i loro muli, presero con s
delle provviste e partirono.
Dopo aver cavalcato per molti giorni addentrandosi sempre pi nel deserto, i muli non ne poterono
pi di affrontare senza nutrimento i difficoltosi sentieri montani, e si dissero tra loro: Scrolliamoci di
sella i nostri cavalieri, a b b i a m o gi f a t t o fin troppo!. Il maggiore ud queste parole e mise sull'avviso
i fratelli, ma questi si limitarono a ridere, dicendo:
In te parla il k i f ! . A u n a brusca svolta della strada,
i muli fecero cadere di sella i loro cavalieri, tranne il
maggiore, che scese da solo di sella. Lamentandosi
per il dolore, i ragazzi si precipitarono verso u n a caverna e vi si riposarono tre giorni.
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cur alla f u n e la fanciulla, poi i fratelli la sollevarono. Quindi chiesero: Ce ancora qualcosa laggi?.
S grid lui. Qui ci s o n o a n c o r a oro, a r g e n t o e
pietre preziose! Allora calarono ancora molte volte
la fune ed egli vi assicur tutti i tesori che pot trovare nella caverna.
Alla fine egli aveva fatto piazza pulita, e i fratelli
avevano issato tutto. Allora egli grid: tutto, adesso tiratemi su!. Ma essi non calarono la fune e se ne
andarono.
Il giovanotto si mise a sedere, tir fuori la pipa e
f u m qualche boccata, finch, tranquillizzatosi, fu in
grado di riflettere. Ripensando per bene alla propria
situazione, osserv che la fanciulla che gli aveva dato
l'anello gli aveva parlato con sincerit, poich gli aveva detto di stare attento ai fratelli. Si ricord allora
dell'anello che costei gli aveva dato, lo rigir e pens a
lei. Immediatamente gli apparve davanti un jinn che
gli chiese quali fossero i suoi ordini. Fammi risalire
alla superficie! disse il giovanotto, e istantaneamente venne sollevato e si ritrov seduto sulle pendici del
monte su cui era salito giorni prima.
Dei suoi fratelli non vi era pi traccia: avevano sellato in tutta fretta le bestie ed erano ripartiti verso
casa insieme alle fanciulle e ai tesori. Ci indispett
assai il giovanotto, a tal punto che non volle pi tornare a casa, ma prosegu in un'altra direzione.
Cammin a lungo, finch giunse nei pressi di u n a
g r a n d e citt. Qui i n c o n t r un p a s t o r e e s c a m b i i
suoi vestiti con lui, quindi gli diede la sua spada e
p r e s e in c a m b i o u n a p e c o r a . Si r e c al t o r r e n t e ,
sgozz la pecora, ne ripul gli intestini e se li avvolse
intorno al capo, in m o d o che nessuno vedesse i suoi
lunghi capelli. In questo misero abbigliamento e con
l'aspetto di un tignoso, entr quindi in citt. Si rec
dai fabbricanti di dolci e chiese al capo della corpo65
principessa. No ammise la schiava. Allora la principessa le appiopp un secondo ceffone, questa volta
sull'altra guancia, e la conged.
Quando fu notte, si rec di soppiatto alla bottega
del fornaio e, g u a r d a n d o attraverso le fessure della
porta, vide il giovanotto che si toglieva dal capo la
parrucca di intestini di pecora e lasciava liberi i suoi
lunghi capelli. Si i n n a m o r di lui e ritorn in fretta
al palazzo. Si rec subito dal padre e gli disse: Caro
padre, tu non hai figli maschi ma solo noi, cinque figlie. Se dovessi morire, nessuno ti succederebbe sul
trono e il disordine regnerebbe nel tuo reame. Sposaci a cinque uomini dabbene, dopodich potrai scegliere tu stesso tra questi il tuo successore!.
Il sultano chiese tempo per riflettere, quindi disse
alla figlia, che era la pi piccola e la sua preferita:
Mi hai dato un b u o n consiglio. Domani annuncer
che m a r i t e r le mie figlie e che tutti gli u o m i n i in
condizione di sposarsi dovranno ritrovarsi nella mia
sala del trono. Quindi potrete scegliere voi stesse, figlie mie, il vostro sposo. E cos fu fatto. Il mattino
successivo in tutte le case dei pi ricchi, dei ministri
e dei giudici, cominci u n a festosa eccitazione; dovunque i migliori figlioli venivano rivestiti con abiti
di festa e condotti al palazzo del sultano. Quando fur o n o tutti r a d u n a t i nella sala del trono, il s u l t a n o
diede u n a mela e un fazzoletto a ciascuna delle sue
cinque figliole e disse: Colui cui darete il vostro fazzoletto e la vostra mela sar il vostro sposo. Allora
gli u o m i n i passarono in lunga fila davanti alle cinque principesse, e u n a dopo l'altra le principesse diedero la mela e il fazzoletto all'uomo di loro scelta.
Solo la principessina pi giovane conservava ancora
mela e fazzoletto, perch il garzone del fornaio non
era tra gli aspiranti.
Quando il sultano se ne accorse, chiese alla figlia
67
chiese: Portami il rimedio che pu risanare il sultano!. Il jinn disse: Subito, mio signore e padrone!
e in un batter d'occhio gli port la medicina.
Quando i quattro cognati fecero ritorno, dopo un
viaggio lungo e infruttuoso, il giovanotto si port davanti alla citt, si fece dare dal jinn vesti sontuose e
un bel destriero, e a n d incontro ai quattro. Incontrandosi, si scambiarono le formule di saluto, dopodich il giovanotto chiese ai suoi cognati - che non
lo avevano riconosciuto, perch si era tolto la parrucca di intestini - donde venissero e che cosa recassero con s. Al che essi presero a lamentarsi dell'insuccesso, e il giovanotto ascolt ogni cosa. Quindi
disse: Se mi date i fazzoletti che vi sono stati dati
dalle vostre spose, vi dar io il rimedio che cercate.
I q u a t t r o trovarono soddisfacente lo scambio e gli
d i e d e r o i fazzoletti in c a m b i o della m e d i c i n a . La
p o r t a r o n o quindi al sultano, che b e n presto ne fu
guarito.
Un a n n o dopo il sultano si a m m a l nuovamente,
si trov un'altra volta in pericolo di vita, e richiese
u n a nuova medicina. Anche questa volta invi alla
ricerca i quattro generi, e il tignoso non pot andare
con loro. Ma dal m o m e n t o che a n c h e questa volta
essi tornarono senza avere trovato nulla, il giovanotto a n d loro incontro un'altra volta con un altro travestimento e diede loro il rimedio in cambio delle
mele che essi avevano avuto dalle rispettive spose, e
ritorn, senza farsi riconoscere, al palazzo, dove si
fece di nuovo vedere come un tignoso. I quattro generi portarono al sultano il nuovo rimedio, grazie al
quale egli torn in salute.
Lo stesso avvenne u n a terza volta: il sultano si ammal correndo il rischio di morire e invi i generi a
cercargli il rimedio. E per la terza volta il giovanotto si
fece portare dal jinn il rimedio, and incontro ai quat69
tro cognati e chiese loro che cosa li preoccupasse. Anche questa volta essi non lo riconobbero, perch si era
ancora mostrato loro con un abito e un cavallo differenti. Dal m o m e n t o che ora essi non avevano pi nulla da dare in cambio, pretese da loro il mignolo della
m a n o destra, e i quattro accettarono.
Si a m p u t a r o n o i mignoli e li diedero al giovane in
cambio della medicina. Con questa essi curarono il
sultano. Quando il sultano si fu nuovamente rimesso,
fece chiamare i suoi generi e disse loro: Dal momento che voi mi avete portato questi rimedi da terre lontane, vi designer miei successori e spartir il mio regno fra voi. Allora i quattro dissero: Per il tignoso
non pu avere nulla, perch egli non ci ha accompagnati.
Allora il tignoso chiese: Dove sono i vostri fazzoletti e le vostre mele, che vi sono stati dati dalle principesse c o m e t e s t i m o n i a n z a del vostro m a t r i m o nio?. Essi n o n s e p p e r o cosa r i s p o n d e r g l i e il
giovanotto tir fuori le cinque mele e i cinque fazzoletti, e li fece vedere al sultano. Quindi disse: Signor
padre e nostro sovrano! Tutti gli uomini h a n n o cinque dita nella mano, osserva ora le mani dei tuoi generi!. Allora essi dovettero fargli vedere le mani, e il
sultano vide che mancavano loro i mignoli. Il giovanotto raccont quindi come fosse stato lui a procurare loro i rimedi in cambio di tutto ci.
Il sultano si meravigli assai e disse: Allora sarai
tu solo il m i o successore e il s o v r a n o del m i o regno!. A questo punto, il giovane si tolse la parrucca
di intestini di pecora e sciolse i suoi lunghi capelli,
in modo che questi potessero ondeggiare liberamente. Poi abbracci il sultano e gli chiese: Caro padre,
per favore lasciami p r i m a intraprendere un viaggio,
perch devi sapere che avevo gi u n a moglie p r i m a
di maritarmi con tua figlia. E devo liberare anche lei
70
Poi essa gli rivel il tradimento dei suoi fratelli e come lei avesse dovuto fare la serva nel castello per tutto l'anno. I due andarono dal vecchio pescatore che
r i c o n o b b e subito il figlio. Dopodich quest'ultimo
chiam i suoi fratelli e consegn loro il castello. Prese con s il padre, la sorella e la moglie e ritorn coi
suoi compagni nel suo regno.
Per strada pass a prendere l'altra regina, la sua
seconda moglie, facendo cos un ingresso trionfale
nella capitale. Q u a n d o mor il vecchio sultano, suo
suocero, sal lui al trono e regn per molti anni in
pace.
11. LA F I G L I A D E L JINN
C'era u n a volta un u o m o ricco che part per il pellegrinaggio lasciando a suo figlio u n a grande quantit
di beni e di luigi d'oro. Ma il figlio si diede al gioco e
perse tutto, le sue ricchezze e perfino i suoi terreni.
Gli rimase solo la tristezza per la perdita.
Prese allora la sua pistola e se ne and nel bosco,
intenzionato a spararsi. Qui giunse un jinn che gli
chiese perch volesse uccidersi, ed egli rispose: Mio
p a d r e mi ha lasciato molti beni che mi sono stati
portati via col gioco, e per questo voglio uccidermi.
Il jinn gli disse allora: Se tu fai un patto con me, ti
salver. Fecero il patto e il jinn gli disse: Un giorno
dovrai venire da me sui m o n t i e i n c o n t r a r m i ; nel
frattempo prendi dei sassi e riempine le stanze in cui
prima erano ammucchiate le ricchezze; poi chiudile
a chiave e rientraci solo al mattino presto!. L'uomo
fece q u a n t o gli e r a stato detto e la m a t t i n a dopo,
q u a n d o vi entr, trov le stanze piene come prima di
luigi d'oro.
Ora, q u a n d o il p a d r e r i t o r n dal pellegrinaggio,
73
suo figlio gli disse: Devo partire. Dove vuoi andare? chiese il padre, e il figlio gli raccont: Devo rispettare un patto concluso con un jinn. Quand'
cos, va' pure, figliolo! replic il padre.
Il giovanotto prese delle provviste e part. Quando,
in territorio selvaggio, giunse a u n a fonte, tir fuori
il suo pane e si mise a mangiare.
In quella arrivarono sette colombe che cominciarono a bere. Queste colombe in realt erano le figlie
del jinn con cui egli aveva concluso il patto. Finito di
bere, deposero il loro abito di piume e si trasformarono in fanciulle. Il giovanotto si avvicin, prese un
abito di p i u m e e lo nascose. Q u a n d o le altre se ne
volarono via, u n a dovette rimanere indietro: quella il
cui abito era stato portato via, perch era rimasta in
forma umana.
Essa si mise quindi a gridare: A colui che mi render l'abito di piume, possa Dio donare la ricchezza!. Al che il giovanotto le rese l'abito di p i u m e .
Dove sei diretto? gli chiese la colomba. O signora, disse egli io ho stretto un patto con un jinn e
mi tocca ora andare a trovarlo dove abita, in cima al
monte tale, che non so n e m m e n o dove si trovi. La
colomba gli rispose: Noi sette colombe siamo le figlie di quel jinn. Comunque si fece promettere che
l'avrebbe sposata, ed egli accett.
Essa gli indic il monte su cui suo padre viveva insieme alle figlie. Egli vi si rec, e appena giunto il jinn
gli si fece incontro, lo salut e lo preg di entrare in
casa. L egli trascorse la notte.
La mattina seguente egli lo prese con s e lo port
su un altro monte, e gli ordin di spianare quel monte fino a trasformarlo in u n a pianura. Il giovanotto
riflett a lungo su cosa dovesse fare per spianare la
montagna. Quand'ecco arrivare la figlia del jinn con
cui si era fidanzato, p o r t a n d o con s la colazione.
74
Ma egli non voleva mangiare nulla e continuava a riflettere. Allora essa gli disse: Chiudi gli occhi!.
Non fece in tempo a chiuderli e a riaprirli che vide il
m o n t e trasformato in u n a pianura. Non dire nulla
di tutto ci a mio padre! essa gli ordin.
Quando il jinn ripass di l, trov il monte trasform a t o in p i a n u r a . La m a t t i n a d o p o p o r t con s il
giovanotto su un altro monte e gli ingiunse di tagliare tutti gli alberi che vi erano per poterli sostituire
con delle b u o n e piante da frutto. Quando la fanciulla ritorn a portargli la colazione, lo trov immerso
in meditazione. Anche questa volta essa gli chiese di
chiudere gli occhi, e quando egli li riapr l'intera foresta era diventata un bel frutteto in cui crescevano
splendide piante da frutto di ogni qualit.
Quando il jinn ripass di l e vide il frutteto, disse
a sua moglie: Quest'uomo assai capace!. Ma la
moglie ribatt: tua figlia che gli fa vedere come
deve fare!. Allora il jinn rinchiuse la figlia e port
f u o r i con s il giovanotto. Port un sacco pieno di
p i u m e e lo svuot sulla m o n t a g n a , d o p o d i c h suscit un vento che sparpagli le piume per ogni dove. A questo punto egli ordin al giovanotto di raccogliere tutte le p i u m e e di rimetterle nuovamente nel
sacco. Allora il giovanotto si sedette e c o m i n c i a
pensare come poteva fare per recuperare tutte quelle
piume.
Attraverso un piccolo foro, un uccellino era riuscito
a infilarsi nella stanza in cui la figlia del jinn era prigioniera. Essa lo afferr e gli scrisse sulle ali delle parole magiche, dopodich lo lasci nuovamente libero
di volare. L'uccello vol fin dal giovanotto e cominci
a beccare un po' del suo pane. Allora il giovane cattur
l'uccello e cominci a spennarlo, ottenendo tante di
quelle piume da riempire tutto il sacco.
A questo p u n t o il giovanotto and dal jinn e gli re75
glie: Andiamo a far visita a mio padre e a mia madre!. Volentieri rispose la moglie. Montarono su
un mulo e partirono. Giunti in prossimit del villaggio del marito, la moglie disse: Ti aspetter qui int a n t o che tu spieghi ogni cosa ai tuoi. Dopodich,
t o r n a a p r e n d e r m i ! Ma n o n dimenticarmi! Sta' attento, quando torni, al m o m e n t o dei saluti: anche se
ti vorranno dare dei baci sulla bocca, tu salutali solo
con la mano. Se dovessero baciarti sulla bocca, ti dimenticheresti di me!.
Il marito stette bene attento: al m o m e n t o di salutare i suoi parenti si limit a salutarli con la mano,
ma da ultima giunse u n a sua vecchia zia, che gli arriv da dietro e lo baci sulla bocca. Immediatamente egli dimentic sua moglie.
Costei rimase afflitta per la lunga attesa, e q u a n d o
cap che non sarebbe arrivato, trasform per incanto
il mulo in u n a tenda, in cui cominci a servire il caff.
La gente di quei paraggi lo venne ben presto a sapere,
e tutti quelli che andarono da lei a prendere il caff
f u r o n o colpiti dalla sua bellezza, e ciascuno credeva
di poterla sposare. Uno di costoro, che avrebbe volentieri trascorso la notte con la donna, rimase a scherzare con lei dopo la cena. E q u a n d o essa si accorse di
quello cui lui mirava, gli disse: Metti fuori il gatto! e
si ritir. Egli prov a mettere fuori il gatto, ma tutte le
volte quello ritornava, fino a che si fece giorno. A quel
p u n t o l'uomo, stanco e spaventato, se ne and via.
Anche la notte successiva ci fu u n o con le stesse
intenzioni del primo. Si trattenne da lei fino a che
tutti f u r o n o andati a dormire, e a quel punto essa gli
diede un secchio e gli disse: Vai a prendere dell'acqua!. Ma q u a n d o costui stava per tirare f u o r i dal
pozzo il secchio pieno d'acqua, la corda si fece sempre pi lunga, al punto da non arrivare mai alla fine.
77
12. IL JINN DI I M Z U W U R T
Si r a c c o n t a che un giorno un r e m o t o a n t e n a t o di
Hajj Hassan Ahanshi degli Ait Tamlal port con s
un cane dal m e r c a t o di Tamanar. Questo cane era
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81
13. L A N E G R A C O N I D U E G O M I T O L I
Lo esamin e guard che non gli mancasse nulla. Allora prese la sua scure, tagli le sette teste e le port
dal re. E l giunto disse: Io ho ucciso il serpente! e
gli fece vedere le sette teste. Allora il re o r d i n :
Conducetelo nei bagni!. I m m e d i a t a m e n t e lo condussero nei bagni, dopodich si cominci subito a
fare i preparativi per le sue nozze con la figlia del re.
Mentre gi si festeggiavano le nozze, arriv il cane
bianco e port via il piatto che stava davanti al carb o n a i o . I servitori i n s e g u i r o n o il cane, che si era
messo a correre, e giunsero alla casa del giovanotto.
Allora dissero al giovane: Vieni subito dal re!. Il
giovane and con loro finch f u r o n o al cospetto del
re. Il re chiese: Perch hai m a n d a t o il t u o cane a
portare via il piatto dello sposo?. Il giovane rispose:
Egli non si meritato il piatto. Allora il re chiese
ancora: Perch?. Il giovane rispose: Quel piatto
se lo m e r i t a di pi il cane. Ancora gli fu chiesto:
Perch? ed egli rispose: Che cos'ha portato costui
come prova?. Gli risposero: Ha portato le sette teste. Il giovane disse: Osservate ben bene le teste,
n o n che m a n c h i loro qualcosa?. Vennero esaminate le teste e si scopr che m a n c a v a n o le sette lingue. Allora il giovane disse loro: Ecco qui le sette
lingue e il fazzoletto della figlia del re.
Allora p r e p a r a r o n o le nozze p e r il giovane, che
spos la figlia del re. Quando il re mor, divenne re
al suo posto.
15. L ' U O M O C H E A V R E B B E D O V U T O
SEMINARE FAVE
C'era u n a volta un uomo, che aveva due mogli e viveva contento insieme a loro. Un giorno esse dissero:
Caro marito, seminaci delle fave, in m o d o che in in87
se da dove venisse e che cosa intendesse fare. Il giovanotto disse: Io sono il figlio dell'orchessa che vive
in quella caverna laggi, e caccio la selvaggina per
fornirle n u t r i m e n t o . Allora il vecchio gli rispose:
Ma tu non sei un orco, bens un essere umano!.
Ora, quando il giovane torn nella caverna, raccont alla sorella di questo avvenimento, ed essa gli
disse: Dobbiamo fuggire, perch chiss che un giorno l'orchessa non ci divori. Quindi chiese all'orchessa: Madre, da che cosa si capisce che tu stai dormendo?. L'orchessa rispose: Quando sentirai dalla mia
pancia risuonare le voci degli animali - il ruggito dei
leoni e il grugnito dei cinghiali, l'ululato degli sciacalli e il canto degli uccelli - in breve tutti i rumori degli
animali, saprai che io sto dormendo. Allora la fanciulla prese l'astuccio con gli aghi da cucito, la cassettina col sale e il grosso paiolo, e q u a n d o ud rumoreggiare tutti gli animali nel ventre dell'orchessa, dest il
fratello e fugg con lui dalla caverna.
C a m m i n a r o n o p e r un po'; si fece chiaro, ed essi,
volgendosi a guardare indietro, videro l'orchessa che
si avvicinava a grandi passi. In fretta la fanciulla tir
fuori gli aghi da cucito e li gett alle proprie spalle,
ed ecco crescere un'intricata siepe di rovi. L'orchessa
ebbe grandissima difficolt a farsi strada, si strapp
tutti i vestiti e anche la pelle. Finalmente, per, riusc a passare oltre e torn ad avvicinarsi ai due fuggiaschi. Allora la fanciulla gett alle proprie spalle
del sale, che divenne un grande deserto abbacinante.
L'orchessa rischi di morire e si debilit assai, ma alla fine super anche questo e torn ad avvicinarsi ai
due fuggiaschi. Allora la ragazza gett alle proprie
spalle il grande paiolo, che divenne un'alta catena
montuosa, al di l della quale l'orchessa non riusc a
passare. A questo p u n t o i due giunsero a un fiume in
piena, che scorreva impetuoso e spumeggiante. Allo89
Torniamo ora a occuparci del fratello che era precipitato nel pozzo. Laggi egli si guard intorno e vide u n a luce e decise di andarle incontro. Strisci per
un lungo passaggio, e q u a n d o giunse al t e r m i n e ,
trov u n a fanciulla di incomparabile bellezza. Costei
gli disse: Vattene via in fretta, perch qui abita un
drago che, appena tornato, ti uccider. Il ragazzo le
rispose: Non ho p a u r a di nulla, io! Dimmi solo come si deve fare per uccidere il drago!. La fanciulla
rispose: Va' in quella sala, vi troverai u n a spada appesa alla parete: prendila! Se sarai in grado di tenerla in m a n o potrai anche ucciderlo. Altro mezzo non
c'. Il ragazzo a n d nella sala, prese la spada dalla
parete e attese il drago. Quando questi ritorn, il ragazzo lo colp producendogli u n a grave ferita. Allora
il drago gli disse: Colpiscimi un'altra volta!. Ma il
ragazzo disse: Fossi matto, ci tengo alla pelle!. E
cos il drago mor dissanguato.
Il ragazzo prese con s la fanciulla e la condusse al
fondo del pozzo, e proprio in quel m o m e n t o i due cavalieri stavano calando u n a corda per tirarlo su. Allora il ragazzo disse alla fanciulla: Sali pure tu per prima!. La fanciulla gli chiese con grande insistenza di
salire lui per primo, ma egli non si lasci convincere.
Allora essa gli consegn l'anello che aveva al dito e un
fazzoletto, e gli diede un bacio p r i m a di farsi tirare
fuori. Quando il principe ebbe estratto dal pozzo la
bellissima fanciulla, fu colmo di felicit. Anche il suo
servitore sper in un identico colpo di fortuna, ma
q u a n d o si accorse che stava tirando fuori dal pozzo il
ragazzo, lo lasci ricadere sul fondo. Dopodich i due
cavalieri, con le due fanciulle, se ne tornarono al castello del rispettivo padre e re, lasciando il ragazzo
nel pozzo. Costrinsero invece le fanciulle a non rivelare nulla, minacciando, altrimenti, di ucciderle.
Il ragazzo, frattanto, era tornato nella caverna dove
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riconosciuto vincitore. Allora le doppie nozze vennero festeggiate in p o m p a magna, il ragazzo ebbe in
sposa la fanciulla e sua sorella il principe. E q u a n d o
mor il re, divisero il regno in due parti uguali e regnarono in piena concordia.
C'era u n a volta un povero taglialegna al quale la moglie aveva p a r t o r i t o d u e figli. Tutti i giorni il
p o v e r u o m o andava nel bosco, tagliava la legna e la
t r a s p o r t a v a a spalle fino in citt, dal fornaio, e in
cambio riceveva due pani e un po' di denaro che bastava s e no per sopravvivere. Un giorno, recatosi
come al solito nel bosco per tagliare la legna, trov
un uccello, grazioso e mansueto, che si lasci prendere in mano. L'uomo pens di portarlo ai suoi figli
perch si divertissero con lui, e prese la via del ritorno. Quando arriv a casa cos in anticipo, senza pane n soldi, la moglie gli chiese che cosa fosse successo. Egli si limit a far vedere l'uccello, dandolo ai
figli, ma la moglie grid fino a che egli non torn nel
bosco a finire il suo lavoro.
I bambini presero a giocare con l'uccellino e gli
fabbricarono un nido con u n a cassettina, che piacque
molto al volatile, il quale si mise a cantare armoniosamente. Il giorno dopo i bimbi trovarono nella cassettina un uovo d'oro. Lo fecero vedere al padre, che
ne fu assai contento e si rec con esso da un ebreo nel
bazar degli orafi e glielo vendette a un prezzo vantaggioso; con questi soldi egli pot finalmente acquistare
cibi e indumenti di qualit, e, felice, port tutto a casa. Anche la mattina dopo i bimbi trovarono un uovo
d'oro nella cassetta dell'uccellino, e anche questa vol93
A questo punto l'ebreo prese con s la donna in casa e vissero insieme alcuni anni.
Nel frattempo i due ragazzi avevano continuato a
vagare, fino a giungere alla citt pi grande del paese, in cui era appena morto il re. Era stato per sentenziato: chi p e r p r i m o al m a t t i n o a t t r a v e r s e r la
porta per entrare in citt sar il nuovo re. Ora, i due
ragazzi passarono per primi attraverso la porta, vennero presi dalle guardie e condotti a palazzo. L essi
vennero presentati all'assemblea e tutti f u r o n o contenti dei bei giovanotti. Il maggiore fu fatto re, e suo
fratello minore giudice supremo. I due governarono
con piena soddisfazione di tutti gli abitanti e mai furono trovati un re migliore o un giudice pi giusto.
Dopo alcuni anni anche quell'uomo, il p a d r e dei
due ragazzi, ritorn dall'estenuante viaggio e fu assai triste q u a n d o trov la s u a casa a b b a n d o n a t a .
Chiese in giro e venne a sapere che sua moglie era
andata a stare da un ebreo, mentre i due figli non li
aveva pi visti nessuno. Se ne and davanti alla casa
dell'ebreo, si mise a fare un gran baccano reclamando la propria moglie. Ma questa prese a ingiuriarlo e
a dire: Portate via questo tizio, io n o n lo conosco,
deve essere impazzito!. E dal m o m e n t o che l'uomo
n o n voleva acquietarsi, l'ebreo fece c h i a m a r e le
guardie del mercato e lo fece imprigionare. Ma questi continu a gridare a tutti ad alta voce: Questa
d o n n a mia moglie, n o n moglie dell'ebreo!. Fu
allora condotto al cospetto del giudice, che per n o n
se la sent di emettere u n a sentenza, e dispose che i
tre contendenti venissero condotti alla capitale, davanti al re che aveva il giudice pi giusto.
Vennero quindi condotti al cospetto del re e di suo
fratello, il giudice, i quali riconobbero subito i loro
genitori. Ma sulle prime non dissero nulla. La donna
si lamentava del marito e continuava a ripetere che
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97
Racconti
17. L ' U O M O E I L G I G A N T E
scure e con un sol colpo abbatt l'albero al suolo. Allora l'Uomo tir il Gigante per il grembiule di pelle e
gli grid: Perch lo hai fatto? il mio divertimento
pi gradito e tu me lo hai rovinato! Se lo avessi voluto, avrei sbriciolato l'albero con un sol colpo!.
Il Gigante rispose: Non ti arrabbiare: ci sono tanti alberi in questo bosco, potrai divertirti con un altro. Per questa volta ti perdono, ma n o n farlo pi!
E adesso prosegu l'Uomo metti i tuoi piedi nelle
fessure dell'albero, in m o d o che io possa tirare fuori
la scure! Il Gigante infil i piedi nelle f e s s u r e
dell'albero e l'Uomo tir fuori la scure. Allora l'albero imprigion i piedi del Gigante come tra due mascelle, cosicch questi vi rimase intrappolato. A questo p u n t o l'Uomo afferr un randello e lo abbatt sul
Gigante. Poi se ne and, lasciando il Gigante prigioniero. Dopo un po' il Gigante riusc a liberarsi. Cerc
l'Uomo e q u a n d o lo trov gli disse: Perch mi hai
fatto questo?. L'Uomo rispose: Avrei potuto ucciderti, ma n o n l'ho fatto, e invece ti ho fatto dono della vita affinch tu mi ringraziassi!. Il Gigante non
insistette oltre. Offr all'Uomo la propria amicizia e
gli propose di vivere con lui nella sua capanna. L'Uomo acconsent.
Ma l'Uomo n o n cess di f a r e sfoggio della s u a
grande forza. Un giorno disse di voler preparare da
mangiare, ma dal m o m e n t o che mancava la legna da
ardere, il Gigante chiese all'Uomo di andare nel bosco a raccoglierla.
L'Uomo and nel bosco, ma invece di raccogliere
rami, leg insieme tutti gli alberi con u n a lunga corda. Q u a n d o al Gigante s e m b r che l'Uomo fosse
t r o p p o in ritardo, a n d a cercarlo. Lo trov e vide
che cosa aveva fatto. Quando gliene fece cenno, il taglialegna rispose: Non vorrei che tu mi chiedessi
tutti i giorni di andare a prendere legna. Per questo
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18. I L F A B B R I C A N T E D ' O R O
le case della citt. Ben presto gli abitanti cominciarono a t r a m u t a r e tutto in oro, e in questo m o d o divennero incredibilmente ricchi. Non ebbero pi bisogno di a r a r e , a b b a n d o n a r o n o l ' i n s e g n a m e n t o ,
divennero pigri e negligenti. Ben presto da loro il
grano divenne cos caro che ogni chicco era venduto
a peso d'oro; e dopo qualche tempo di grano n o n ce
ne fu proprio pi. Allora la gente prov a mangiare e
a respirare oro in polvere, ma ne morirono. La terra
invece diede u n o scrollone e fece precipitare le mura, e l'oro rimase sparpagliato sotto forma di pietre e
terra sbriciolata, e nessuno lo volle. Fu cos che la
grande citt cadde completamente in rovina e adesso non la abita pi nessuno.
19. I L C O N T A D I N O E I L R E
C'era u n a volta un re che aveva un figlia a lui assai cara. Un giorno, mentre era seduta sul balcone, il fazzoletto di seta in cui aveva avvolto il proprio anello le
cadde a terra senza che essa se ne accorgesse. In quel
m o m e n t o di sotto passava u n a mucca nera con u n a
macchia bianca sulla fronte, che ingoi il fazzoletto
con l'anello. Unica testimone u n a contadina che, trovandosi nei pressi, aveva visto tutto. Ora, q u a n d o la
principessa si accorse che il suo fazzoletto con l'anello
n o n c'era pi, pianse a lungo la sua perdita. Ben presto il re si avvide che la figlia era triste e gliene chiese il
motivo. Allora essa gli raccont che il suo fazzoletto di
seta e il suo anello erano scomparsi, e lei n o n sapeva
come. Il re fece subito annunciare per tutta la citt che
chi avesse saputo indovinare dov'erano il fazzoletto e
l'anello della principessa sarebbe dovuto venire a palazzo, dove lo attendeva u n a ricompensa.
Allora la contadina disse al marito: Va' dal re, trac104
cia linee magiche sulla sabbia come f a n n o gli indovini, e annuncia al re che gli oggetti perduti si trovano
nello stomaco di u n a vacca nera con u n a macchia
bianca sulla fronte. L'uomo si rec allora dal re, fece
finta di essere un indovino, e alla fine disse: Il fazzoletto e l'anello si trovano nello stomaco di u n a vacca
nera con u n a macchia bianca sulla fronte.
Il re fece passare in rassegna tutte le mucche del
palazzo finch trov quella descritta dal contadino.
Fece quindi venire il macellaio che dovette sgozzare
la mucca. Quando fu aperto lo stomaco, al suo interno vennero trovati il fazzoletto e l'anello. Allora il re
disse ai suoi visir: Ricompensate questo sapiente!.
Il contadino ricevette la sua ricompensa e se ne and
per la sua strada.
Un giorno u n a b a n d a di quaranta ladroni penetr
nella stanza del tesoro del re e p o r t via u n a g r a n
quantit di oggetti preziosi. Allora i visir dissero al
re: C' solo u n a persona che sia in grado di dire chi
ha depredato la stanza del tesoro, ed quel sapiente
che ha permesso il ritrovamento del fazzoletto con
l'anello della principessa.
Il re fece venire il contadino e gli disse: Uomo sapiente, la mia stanza del tesoro stata depredata. Tu
devi dirmi chi stato il ladro!. Il contadino rispose:
Lo scoprir, ma devi avere un po' di pazienza!.
Torn quindi a casa e disse alla moglie: Qualcuno
ha depredato la stanza del tesoro del re, e adesso il re
pretende che io scopra chi stato il ladro. Sei tu che
mi hai cacciato in questa difficile situazione, adesso
aiutami a venirne fuori!. La moglie rispose: Di' al re
che deve darti q u a r a n t a giorni di tempo, e un montone ogni giorno. Il contadino si ripresent al re e gli
chiese quaranta giorni di tempo e altrettanti montoni.
Il re acconsent e gli diede subito il primo montone.
In tutta la citt si sparse immediatamente la voce
105
che lo stesso sapiente che aveva scoperto l'ubicazione del fazzoletto e dell'anello della principessa era
stato incaricato di rintracciare i ladri del tesoro reale. Q u a n d o i ladroni ebbero notizia di ci, tennero
consiglio e decisero di m a n d a r e uno di loro a casa di
quel sapiente per scoprire se quell'uomo sapeva veramente qualcosa o no. Il ladrone and a casa sua e
si arrampic sul tetto per sentire quello che si diceva
all'interno.
Proprio in quel m o m e n t o il contadino arrivava a
casa col suo primo montone, e appena entrato disse
alla moglie: Eccone uno! alludendo al m o n t o n e .
Ma il ladrone sul tetto si disse: Mi ha visto! e decise di andarsene. Giunto dai suoi compagni, raccont
loro quello che era successo. Allora essi decisero di
m a n d a r e l'indomani un altro ladrone a casa del sapiente per poi riferire.
Il giorno dopo il contadino riport a casa un altro
montone, ed entrando disse alla moglie: Ecco qui il
secondo!. Il secondo ladrone si spavent perch anche lui pens che alludesse a lui, e fugg a rotta di
collo dai suoi compagni. E la stessa cosa si ripet nei
giorni che seguirono. Il quarantesimo giorno l'uomo
disse: Questo il q u a r a n t e s i m o e ultimo! e il ladrone sul tetto lo ud, scapp come tutti quelli che lo
avevano preceduto e rifer la cosa ai suoi compagni.
Allora essi tennero un lungo consiglio sul da farsi,
p e r c h e r a n o convinti che il sapiente avesse visto
o g n u n o di loro e potesse descriverli al re. Alla fine
decisero di recarsi di notte a casa del sapiente e di
corromperlo affinch non li tradisse.
Si recarono quindi di soppiatto quella notte a casa
del contadino e gli diedero u n a bella s o m m a di denaro. Questo te lo regaliamo se tu non riveli la nostra
identit al re. Questa notte riporteremo anche tutti gli
oggetti che avevamo rubato nella stanza del tesoro.
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Il contadino accett il denaro e promise loro di tacere. Il giorno dopo a n d dal re e gli disse: O mio signore! Nella tua stanza del tesoro ora presente tutto
quello che mancava. Ma non trad i ladroni.
Il re si accert da s che tutto fosse esatto e fece ricompensare generosamente quell'uomo.
Ma i visir erano invidiosi del contadino e sussurr a v a n o di n a s c o s t o che egli n o n fosse un sapiente
bens un semplice contadino. Naturalmente la voce
giunse al re, e chiese ai visir che cosa proponessero.
Dovremmo mettere alla prova quell'uomo! dissero
tutti quanti, e il re accett. Presero allora tre vasi e
misero nel primo del burro, nel secondo del miele e
nel terzo della pece, dopodich li sigillarono col coperchio e li collocarono in u n a stanza che chiusero a
chiave. Venne q u i n d i c h i a m a t o il sapiente e gli fu
chiesto: Che cosa c' in questa stanza? Se sei capace di dircelo ti riconosceremo come saggio!.
Il c o n t a d i n o riflett a lungo, f i n o a essere assai
stanco, e alla fine esclam: La p r i m a stata un burro, la seconda dolce come il miele, ma la terza nera
come la pece! alludendo con ci alle tre occasioni
in cui gli era stato richiesto di fare l'indovino.
Il re e i visir credettero che l'uomo avesse scoperto
il contenuto dei tre vasi, e dissero che era veramente
un sapiente. Lo r i c o m p e n s a r o n o n u o v a m e n t e e da
allora in poi lo tennero sempre nella pi alta considerazione.
20. I L P E S C A T O R E C H E A N D DAL R E
udienze. I sorveglianti gli chiesero: Perch sei venuto qui?. Egli rispose: Voglio fare un d o n o al re.
Allora lo condussero al suo cospetto.
Il pescatore si fece avanti, reggendo il pesce con le
due m a n i e si inchin davanti al re toccando terra con
la fronte. Il re disse: Dategli cento monete d'oro!. I
sorveglianti gli diedero ci che il re aveva comandato,
e il pescatore usc. Allora il visir disse al re: Ti ha dato un pesce e tu gli hai dato cento monete d'oro. In
questo m o d o la camera del tesoro si svuoter in fretta!. Il re rispose: Ormai l'ho fatto. Ma il visir prosegu dicendo: Richiamalo e chiedigli se quel pesce
maschio o femmina. Se il pescatore dice che un maschio, digli: "Portami anche u n a femmina!" e se dice
che u n a femmina, digli: "Portami anche un maschio!".
I sorveglianti richiamarono il pescatore, e q u a n d o
questi entr, il re gli chiese: Questo pesce maschio
o femmina?. Il pescatore si inchin e rispose: O
mio signore, esso ermafrodito, e quindi non n
maschio n femmina. Allora il re ordin: Dategli
cento monete d'oro per questa risposta!. I sorveglianti gli diedero di nuovo cento monete d'oro, e il
pescatore usc un'altra volta. Mentre attraversava
l'anticamera, gli cadde a terra u n a moneta d'oro. Egli
si chin e la raccolse. Il re e il visir lo videro. Allora il
visir disse al re: Hai visto, mio signore? Quest'uomo,
cui tu hai dato duecento monete d'oro, non ha saputo
resistere e si chinato a raccogliere un'unica moneta
d'oro che gli era caduta a terra. Non ha voluto lasciarla ai sorveglianti. Allora il re disse: Richiamatelo!.
1 sorveglianti richiamarono il pescatore, e per la terza
volta costui entr nella sala delle udienze. Il re gli disse: Io ti ho dato duecento monete d'oro, a te ne caduta in terra u n a sola e tu n o n hai saputo resistere e ti
sei chinato a raccoglierla. Il pescatore gli rispose:
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Che Dio ti dia la grazia, o mio signore! Non ho mancato in quanto al mio comportamento, dal m o m e n t o
che sulle monete d'oro sta scritto il nome del mio sovrano. Se io avessi lasciato stare la moneta d'oro, altri
l'avrebbero calpestata. per questo che ho sollecitamente raccolto da terra il nome del mio sovrano. Allora il re si rivolse al visir e gli disse: Di solito chi si
reca dal sovrano gli porta qualcosa per arricchirlo.
Quest'uomo si recato da noi e invece sta a noi arricchirlo. Gli vengano date altre cento monete d'oro. E
tu ordin al visir dagli trecento monete d'oro perch mi hai dato questi consigli.
Al p e s c a t o r e v e n n e r o quindi d a t e cento m o n e t e
d'oro, e dal visir egli ne ebbe altre trecento, cosicch
se ne torn a casa con seicento monete d'oro.
21. LA SCHIAVA F U R B A
Il taglialegna vendette come al solito la sua fascina al mercato e si port dietro la schiava fino a casa.
Q u a n d o essa vide q u a n t o p o c o aveva o t t e n u t o al
mercato per il legname, gli disse: Ecco, prendi questi dieci talleri e con essi compra tutto quello di cui
a b b i a m o bisogno; ma domani non portare al mercato la legna da ardere, portala a me!. L'uomo fece come essa gli aveva detto e il giorno dopo port a lei la
legna che aveva raccolto. La schiava esamin per bene la fascina e si accorse che era legno di aloe della
migliore qualit, troppo prezioso per usarlo come legna da ardere. Sarebbe stato molto meglio, pens,
usarlo per incensare gli ambienti. Perci diede ancora all'uomo del denaro per fare le compere, e anche
il giorno seguente si fece portare la legna. Separ il
legno pi pregiato da quello di m i n o r valore, dopodich confezion delle fascine col legno migliore, ne
fece un involto e le port in dono ai signori del governo e ai ricchi della regione. Tutti conti accambiarono con altri doni, a seconda delle loro ricchezze, e
cos la donna ottenne assai pi di quanto fosse il valore del legname sul mercato. And avanti parecchio
t e m p o in questo modo, e la schiava riusc a metter
via u n a considerevole s o m m a di denaro. Con esso
acquist un giorno un gruppo di case, le fece radere
al suolo e al loro p o s t o fece c o s t r u i r e un p a l a z z o
identico, fin nei minimi dettagli, a quello del re.
Invi quindi un servitore dal sovrano e gli chiese
di venire al palazzo in qualit di ospite. Il re venne e
fu molto stupito q u a n d o si trov davanti al portone e
vide che era bello come il suo. Entr e si meravigli
ancor di pi perch anche all'interno il palazzo era
identico al suo. I servi portarono da mangiare e anche questo cibo era cucinato come quello che mangiava tutti i giorni. Allora entr la schiava, lo salut
r i s p e t t o s a m e n t e e gli chiese: O m i o signore, che
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22. IL M E D I C O S A G G I O
C'era u n a volta un re - bench in verit non vi sia vero re al di fuori di Allah -, e questo re amava il cibo
sopra ogni cosa. Ogni giorno ne mangiava immense
quantit e non era soddisfatto finch la pancia non
era p i e n a al p u n t o da poterci t a m b u r e l l a r e sopra.
Cos ingrass e, strato di lardo dopo strato di lardo,
divent r o t o n d o c o m e u n a botte e pieno c o m e un
sacco. A un certo punto non pot pi uscire all'aperto (andare a cavallo non gli riusciva pi gi da tempo) e se gli capitava di passeggiare qualche istante
nel giardino, sudava e ansimava come un mantice.
Ben presto dovette trascorrere l'intera giornata disteso sul sof, sentendosi poco bene. Quando infine
si accorse di essere malato, chiam il dottore e si fece somministrare i suoi rimedi, ma nessuno di essi
gli diede g i o v a m e n t o . Li prov u n o d o p o l'altro e
m a n d gi diverse medicine, ma sempre senza successo. Fece allora annunciare dai banditori per tutta
la citt che il medico che lo avesse guarito avrebbe
ottenuto in moglie sua figlia; ma chi non avesse avuto successo sarebbe stato decapitato.
N a t u r a l m e n t e , nessun medico si azzard a farsi
vedere a corte, poich tutti temevano per la propria
vita. Tra i consiglieri del re vi era per un u o m o saggio che, p u r non essendo un dottore, si rec un giorno in udienza dal re, lo baci e gli disse: O re, mio
signore, io sono medico e astrologo, e per guarirvi
devo osservare le stelle questa notte. Fatelo allora
ili
lutato e baciato il re, il saggio gli disse: O re, mio signore, promettetemi che non mi punirete e io vi com u n i c h e r u n a cosa. Il re gli p r o m i s e l'impunit
per ci che avrebbe detto, e l'uomo prosegu: Dovete sapere, o re, che io non sono un medico e neppure
un astrologo; ho dovuto ricorrere a quest'astuzia per
guarirvi, perch solo questo avrebbe funzionato: la
p a u r a della m o r t e , i pensieri e le p r e o c c u p a z i o n i .
Ora voi siete tornato in salute, e vi posso confessare
che io n o n so q u a n t o a lungo durer la vostra vita,
perch nessuno al di fuori di Allah conosce la lunghezza della vita degli uomini. Vi auguro u n a lunga
vita! Siate riconoscente ad Allah per la salute che vi
ha restituito, lodate l'Onnipotente per i suoi beni e
mantenete la promessa che avevate fatto di dare vostra figlia in moglie a colui che vi avesse guarito!.
Allora il re lo baci sulla fronte, gli perdon l'astuzia
e disse: Le nozze saranno tra otto giorni.
Quindi n o m i n ministro quell'uomo saggio e da
quel giorno govern con m o d e r a z i o n e e r i m a s e in
salute per tutta la vita. Sia lode a Dio che conserva
nelle proprie mani malattia e guarigione!
23. U N S A G G I O C O N S I G L I O
24. LA G R O S S A E R E D I T
f u r o n o cresciuti e c o m i n c i a r o n o a g u a d a g n a r e per
conto loro, ricavandone di che vivere bene, si adirarono col padre che aveva scialacquato tutti i suoi beni. Dal m o m e n t o che ora quell'uomo stava diventando anziano e imbelle ma n o n riceveva aiuti dai figli,
a n d da un a m i c o e gli disse: La pace sia con te,
mio caro amico, che Dio ti benedica! Vorrei da te un
consiglio su quello che dovrei fare perch i miei figlioli n o n mi a m a n o e mi f a n n o m a n c a r e ogni sostegno. Allora l'amico rispose: Che Dio ti dia clemenza! Tu devi dire cos ai tuoi figlioli: "Una volta ho
prestato u n a grossa s o m m a di denaro al mio amico,
o r a egli me la restituir". L'uomo lo r i n g r a z i e
torn a casa.
Qualche giorno pi tardi venne a visitarlo l'amico
p o r t a n d o con s u n a grande e pesante cassapanca.
Che Dio accresca il tuo bene! disse costui. Eccoti
indietro il tuo denaro. L'uomo mostr grande contentezza e disse ai suoi figli: Questo denaro che il
mio amico mi ha restituito lo lascio a voi in eredit.
Io controller solo che nulla vada perduto. Un terzo
di esso a n d r distribuito ai poveri e un terzo appartiene a ciascuno di voi.
Da allora in poi l'uomo fece la guardia alla cassapanca; se doveva assentarsi un attimo, chiudeva per
bene a chiave la porta della stanza. I suoi figli n o n
gli fecero m a n c a r e nulla, esaudirono ogni suo desiderio fino alla sua morte. In tal m o d o egli aveva nuov a m e n t e e d u c a t o al b e n e i suoi figlioli. Q u a n d o
mor, essi aprirono la cassapanca e la trovarono piena di sassi. Allora essi riconobbero che l'educazione
al bene e l'amore per i genitori sono meglio di qualunque ricchezza di questo mondo.
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25. LA G U A R I G I O N E D E L L ' A V A R O
Nel nostro paese viveva un t e m p o un u o m o cos avaro che dava da mangiare alla moglie solo zuppe brodose o minestrine annacquate. Addirittura, se arrivavano degli ospiti, si nascondeva e faceva dire da
sua moglie che lui non era in casa, in modo da n o n
dovere offrire loro il pane e il miele con cui si sogliono accogliere gli ospiti. E tuttavia non era cos povero come sembrava, anzi conservava oro e argento in
un nascondiglio sotto il materasso.
Un giorno i due fratelli della moglie vennero in visita alla sorella e le chiesero come se la passasse. Ed
essa si lament con loro della povert in cui versava
e del fatto che il marito la nutrisse solo con minestrine a n n a c q u a t e . Ci suscit l'ira dei fratelli, che si
misero d'accordo con la sorella per dare u n a lezione
a quell'avaraccio. La sorella acconsent.
I d u e fratelli a n d a r o n o allora al m e r c a t o e comprarono dell'oppio. Quindi cercarono il cognato e lo
invitarono a mangiare in u n a tenda del mercato. Fecero servire u n a portata dopo l'altra: montone arrosto, cuscus, dolci di mandorle. Mentre loro due n o n
m a n g i a r o n o quasi nulla, il cognato si avventava su
ogni portata, perch - si diceva - quello che regalato ha pi sapore. I fratelli lo a c c o m p a g n a r o n o fino
alla porta di casa, quindi si accomiatarono.
A casa l'uomo and a stendersi e cominci ben presto a dormire come un sasso, o meglio perse i sensi in
seguito alla grande quantit di oppio che aveva ingerito, senza saperlo, insieme al cibo. Quando fu buio, i
due fratelli ritornarono, portarono fuori l'uomo privo
di sensi, lo cucirono in un bianco lenzuolo, in cui lasciarono solo u n a piccola apertura all'estremit del
capo, e lo portarono al cimitero. Qui scoperchiarono
u n a t o m b a vuota e vi posero dentro l'uomo, proprio
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come avrebbero fatto con un cadavere. Poco alla volta, vuoi per il freddo della notte, vuoi per la scomodit
del trasporto, l'uomo cominci a riprendersi. A questo
p u n t o i due fratelli si travestirono: u n o si infil nella
pelle di u n a iena, e l'altro in quella di u n a pantera nera. Presero anche un manganello ciascuno e cominciarono, a turno, a somministrare u n a gragnuola di
colpi all'individuo avvolto nel lenzuolo fnebre. In
questo m o d o l'uomo si ridest completamente e riprese i sensi. Attraverso l'apertura che era stata lasciata
all'estremit del capo vide che si trovava al cimitero e
comprese subito la sua terribile situazione: le due figure animalesche che lo bastonavano n o n potevano
essere altro che Munkir e Nakir, i due angeli inquisitori. Quando, a questo punto, cominci a gemere e a
chiedere piet, i due uomini travestiti si fermarono
per un po' e cominciarono il loro interrogatorio:
Quando hai dato ai poveri quello che ti era possibile? . E l'altro chiese: Quando hai procurato a tua moglie un vestito nuovo o un pasto decente?. E cos via
con le domande, cui l'avaro poteva rispondere solo:
Ho tralasciato di farlo. Lo incalzarono a tal punto
da farlo scoppiare in lacrime. Allora lo percossero ancora pi forte di p r i m a fino a fargli perdere conoscenza un'altra volta. Si tolsero i travestimenti e riportarono a casa l'uomo privo di sensi. Alla sorella dissero:
Non preoccuparti, q u a n d o domattina si risveglier
sar guarito dall'avarizia! . E se ne andarono per la loro strada.
Quando, l'indomani, l'uomo torn in s e si fu, un
po' alla volta, ripreso dalle percosse, and al mercato
e acquist farina di qualit, miele e mandorle, carne
e frutta, in breve tutto quello che occorre a un u o m o
per m a n d a r e avanti la casa. A tutti i mendicanti che
incontr diede u n a ricca elemosina. Quando fu di ritorno con tutte queste buone cose da mangiare e le
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diede da cucinare alla moglie, essa fu felice della trasformazione. Non ebbe pi da lamentarsi, perch il
marito rimase generoso e liberale finch visse.
26. IL CAD E IL C A C C I A T O R E
27. L O S T R A N O D O N O N U Z I A L E
In u n a lontana citt viveva un tempo un vecchio saggio e devoto. Viveva solo col suo unico figlio, perch
la moglie era m o r t a p r e m a t u r a m e n t e . Il vecchio
provvedeva da s all'educazione del figlio, il quale
cos amava e rispettava suo padre.
Quando il figlio ebbe finito il corso di studio nella
scuola coranica del luogo, volle a n d a r e alla scuola
superiore di teologia nella capitale, e cominci quindi a parlarne col padre. Un giorno gli disse: Padre
mio! Che Dio ti prolunghi la vita fino a vedere tuo figlio diventare cad. Ho infatti intenzione di a n d a r e
alla scuola superiore di teologia nella capitale e studiare giurisprudenza e chiedo perci la tua approvazione insieme alla tua benedizione. Infatti tu hai sacrificato tutto per il mio bene, hai vegliato insonne
perch io potessi riposarmi, i n s o m m a sei stato per
me al contempo un padre e u n a madre!.
L'anziano genitore n o n era m a i a n d a t o a scuola
ma aveva i m p a r a t o a leggere nel libro della vita.
Quando suo figlio gli comunic il proposito di divent a r e giudice, lo osserv c o n i suoi occhi divenuti
stanchi e saggi per la lunga vita e gli disse: Figliolo,
io preferirei invece che tu restassi a vivere con me.
Sarebbe per me preferibile che tu allevassi pecore e
capre e vendessi carbone di legna piuttosto che vederti studiare e sciupare il tempo con l'intenzione di
diventare cad.
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sal il drappello. I cavalli fecero uno scarto e lasciarono cadere i loro cavalieri. Tutte le guardie e la gente del seguito fuggirono e il principe si trov all'improvviso solo, a tu per tu con la belva.
Allora Hassan estrasse la spada, si gett sul leone
e con un colpo preciso gli divise in d u e la testa. Il
leone croll a terra morto.
Q u a n d o le guardie videro ci, si a f f r e t t a r o n o a
tornare, ma il principe le scacci con un gesto irato.
Quindi, deposta l'ira, si rivolse al giovane che gli aveva salvato la vita e gli disse: "Ragazzo, ti devo la vita!
Per ricompensa potrai chiedere quello che vorrai".
H a s s a n rispose: "Mio signore! Io so q u a n t o tu
ami i tuoi cammelli colore del miele e dello zafferano. Ma io ho bisogno di cento di essi come dono nuziale per colei che a m o . R i m a n g o n o due sole soluzioni: o tu mi d a r a i ci c h e ti chiedo, o p p u r e mi
taglierai la testa per avere osato avanzare u n a richiesta cos spropositata".
Il principe si pass le dita nella barba, poi disse:
"Tu sei coraggioso e le tue richieste non meritano alcun biasimo. Ti dar volentieri ci che hai chiesto.
Ma sta' in guardia da quella gente che ti ha imposto
un simile dono nuziale! Essi vogliono la tua rovina".
Hassan toccava il cielo con un dito. Adesso poteva sposare colei che amava. Si rec dai genitori di
Zeinab e consegn loro i cento cammelli color zafferano. Ma le sue fatiche non erano ancora terminate.
Il padre di Zeinab fu molto stupito di vedere arrivare
Hassan coi cammelli, allora, furioso, disse: "I cento
cammelli che hai portato erano la condizione posta
dalla m a d r e di Zeinab. Anche a me spetta porre u n a
condizione. Dovrai portarmi due grossi sacchi pieni
di scorpioni vivi!".
Hassan rimase ammutolito dallo stupore q u a n d o
ud questa richiesta insensata. Che dono nuziale sin122
123
Storie facete
28. IL S U L T A N O E I B E R B E R I
29. IL M A E S T R O DI C O R A N O T R A I B E R B E R I
Lass in alto, in mezzo alle montagne, vivono numerose trib berbere che parlano solo il loro idioma, la
lingua tashelhit, e non conoscono u n a parola di arabo.
Del Corano e delle formule di preghiera h a n n o solo
u n a vaga idea. Ciononostante si sentono tutti musulmani. Durante la riunione annuale di u n a di queste
trib di montagna, i vecchi si trovarono a parlare ancora u n a volta di questa situazione di emergenza.
Non conosciamo n e m m e n o le parole precise della
preghiera disse un vecchio con la barba bianca.
u n a vergogna, poich noi siamo p u r sempre dei buoni
musulmani. Allora un giovane fece la proposta di
chiedere al sultano di m a n d a r e u n a persona colta, in
grado di istruirli almeno nelle cose essenziali.
Venne quindi inviata al sultano di Fez u n a delegazione di notabili che chiese l'invio di u n a persona colta. Il sultano fu lieto di questo zelo religioso e promise loro un maestro di Corano. Scelse quindi u n o di
quei sapientissimi uomini della rinomata universit
Qarawiyyin, e questi dovette andarsene sui monti insieme a quegli uomini. L'intera trib lo accolse con
grande gioia e gli diede ospitalit. Ora, quando giunse l'ora della preghiera pomeridiana, il maestro si
alz e convoc la gente per la preghiera. Tutti gli uomini eseguirono le abluzioni e si disposero in file seguendo le disposizioni del maestro. Davanti alla prima fila prese posto lui stesso per fungere da imam, e
stava gi per iniziare la preghiera quando si avvide
che il terreno su cui si trovava era ancora inzuppato
dall'ultima pioggia. Temendo di sporcare il proprio
abito bianco immacolato in quella fanghiglia, prese
un pezzo di u n a porta che si trovava nei pressi e lo pose dinanzi a s. Le assi erano per unite alla bell'e meglio e tra di esse vi erano delle fessure.
125
30.I
FIGLI DELL'AVARIZIA
Viveva un tempo in mezzo ai monti u n a trib berbera denominata dei Beni Shahih, che vuole dire Figli
dell'Avarizia. Ed e f f e t t i v a m e n t e essi e r a n o noti in
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31. LA P E L L E MAGICA
devo dire, caro signore? Se non va bene per u n a borsa, a n d r bene per u n a sacca. L'ebreo guard in cielo
e lo trov troppo lontano, poi osserv la terra e si accorse di trovarvisi lui stesso. Allora sospir e si rivolse
ancora a Juh, che voleva gi andarsene, gli diede la
pelle e disse: Tu volevi comprarla, forse ti servir a
qualcosa!. J u h se ne and a casa contento, gett la
pelle in un angolo e per qualche t e m p o non ebbe pi
preoccupazioni.
Ma questa f o r t u n a n o n d u r in eterno. Venne il
giorno in cui tutto fu speso e J u h n o n ebbe pi nulla da mettere sotto i denti. Dal m o m e n t o che si era
proprio all'inizio del periodo di festa, la miseria gli
pesava particolarmente. Riprese a frugare in tutti gli
angoli della casa e gli ritorn tra le mani la vecchia
pelle. Questa volta essa n o n poteva essergli d'aiuto,
pens; si sedette quindi sulla pelle e si mise a meditare. Improvvisamente gli venne u n a b u o n a idea, e
q u a n d o si alz la lisci ben b e n e e la depose nella
cassapanca, p e r c h ora era a n c h e lui convinto che
fosse d o t a t a di qualit magiche. Avrebbe avuto lo
stesso l a m p o di genio se n o n si fosse s e d u t o sulla
pelle?
Il giorno dopo era il primo giorno di festa, e tutti
indossavano i vestiti pi belli e delle scarpe nuove.
J u h usc nel vicolo e invit a colazione a casa sua
alcuni conoscenti, dicendo: Oggi si fa festa a casa
mia.
Costoro vennero, entrarono in casa e lasciarono le
scarpe, com' consuetudine, all'ingresso. Juh chiese
loro di prendere posto, dopodich se ne usc di nuovo. Raccolse tutte le scarpe, le port al mercato e le
lasci in pegno al commerciante in cambio di pane,
b u r r o e miele. Torn quindi a casa con ci che aveva
acquistato e lo diede alla m a d r e in cucina dicendo:
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deposit nella cantina di casa sua, mentre lui abitava al piano di sopra. Q u a n d o il prezzo del metallo
p r e s e a salire, l'ebreo lo v e n d e t t e senza avvisare
Juh. Un giorno J u h and dall'ebreo e gli disse:
il m o m e n t o di vendere il ferro, perch adesso il suo
valore salito!.
Ma l'ebreo rispose: Il ferro se lo sono mangiato i
topi. Al che J u h rispose: I topi n o n m a n g i a n o il
ferro. Ti porter davanti al cad!.
L'ebreo ribatt: Bene, a n d r e m o dal cad domattina presto. Adesso ancora notte.
Quando J u h se ne fu andato, l'ebreo si rec da solo dal cad, gli diede u n a bustarella e lo avvis che l'indomani sarebbe venuto Juh a reclamare giustizia. Il
cad disse: Domattina venite tutti e due!. La mattina dopo, J u h e l'ebreo a n d a r o n o dal cad. J u h raccont quello che era successo. Al posto dell'ebreo rispose il cad: Il ferro se lo sono mangiato i topi.
Quand'ero ancora bambino, mia m a d r e mise un pezzo di lardo sotto i mortai di ferro, ma lo stesso venne
un topo, fece un buco nei mortai e si mangi tutto il
lardo. Dunque i topi possono rosicchiare il ferro e tu
n o n puoi esigere nulla dall'ebreo.
Allora J u h usc, si rec dal pasci e gli chiese di
essere n o m i n a t o sorvegliante dei topi. Il pasci scrisse u n a licenza e vi appose il suo sigillo; questa licenza faceva di J u h il sorvegliante dei topi. J u h prese
la licenza e se ne and sulla piazza dove si radunavano coloro che cercavano lavoro. Ben presto trov anche u n a ventina di massicci lavoratori provenienti
dal Sahara (queste persone sono rinomate per la loro bravura nei lavori di scavo), con le loro zappe e
badili. J u h si rivolse a loro dicendo: Entrate al mio
servizio! Come ricompensa riceverete due talleri al
giorno. Gli u o m i n i f u r o n o d'accordo e lo seguirono.
Egli li condusse alla casa dell'ebreo e ordin: Porta132
n o n bevi e p e r t u t t o q u e s t o t e m p o hai d i g i u n a t o .
Qual il motivo di questo comportamento?.
Juh disse: Io sono J u h di Marrakesh e sono venuto fin qui da Marrakesh a piedi per misurarmi con
Juh di Fez. In questo luogo ho incontrato un u o m o
cui ho chiesto notizie di J u h di Fez. L'uomo mi ha
detto: "Mettiti qui e reggi il m u r o con la s c h i e n a
mentre io vado a chiamarlo". Se ne andato e mi ha
lasciato solo. Per tutto questo tempo ho continuato a
sostenere il m u r o con la schiena per timore che crollasse. Allora il commerciante gli disse: O signore,
l'uomo che ti ha lasciato solo, affidandoti l'incarico
di sostenere il m u r o con la schiena per evitare che
cadesse, era proprio J u h di Fez. Si m i s u r a t o lui
con te prima che tu potessi misurarti con lui.
Q u a n d o J u h ud queste parole, p r o r u p p e in pesanti b e s t e m m i e e giur che n o n avrebbe mai pi
menzionato il nome di J u h di Fez. Quindi prese la
sua sacca e il bastone da viaggio e rifece all'inverso
la strada che aveva fatto per venire.
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Storie di donne
32. I L P O T E R E D E L L E D O N N E
I
C'era u n a volta un orfanello, che n o n aveva n padre
n madre, ma solo u n a sorella sposata. Q u a n d o fu
adulto, le disse: Sorella mia, desidero sposarmi!. E
lei gli rispose: Fratello mio, n o n sei ancora abbastanza m a t u r o per il matrimonio!. E lui: E invece
s, lo sono!. Ma lei rimase della sua idea: No, non
sei ancora maturo. Sta' attento, il potere delle d o n n e
spietato!. Cosa intendi dire con "il potere delle
donne"? egli le chiese. Invece di dargli u n a spiegazione, essa gli forn un esempio molto istruttivo.
Ti far vedere con mio m a r i t o q u a n t o le d o n n e
siano potenti. Va' al mercato e c o m p r a m i un pesce!
D'accordo disse il giovane.
And al m e r c a t o e acquist un pesce. La sorella
prese il pesce, lo nascose sotto il vestito e and poi
col fratello da suo marito che stava arando nel campo p e r portargli il p a s t o di m e z z o g i o r n o . Q u a n d o
egli, completato un solco, giunse alla strada, essa gli
disse: Lascia il tuo cammello e vieni a mangiare!.
Gli porse il cibo, e m e n t r e lui m a n g i a v a gli disse:
Stanotte ho sognato che avremmo fatto u n a festa.
Egli le rispose: Se Dio ci sar clemente, un giorno
faremo u n a festa!. Allora prese lei l'aratro e ar per
un po', nascondendo nel frattempo il pesce in un solco. Finito che ebbe di m a n g i a r e , il m a r i t o riprese
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sedette sopra la botola della cantina a macinare fagioli. Il r u m o r e che fece apparve al prigioniero come un
r o m b o di tuono. Di tanto in tanto essa prendeva u n a
fiaccola e la passava rapidamente davanti alle fessure
della botola, in m o d o da fargli credere che ci fossero
dei lampi. Alla fine vers dell'acqua sopra l'apertura,
in m o d o che egli dovette cercare riparo in un angolo
da quella che credeva essere acqua piovana.
Di primo mattino vennero in visita alcuni uomini
del villaggio e gli chiesero: Come stai, poveruomo?.
Dio sia lodato, disse egli non mi m a n c a nulla.
Cercano solo di farmi passare per matto, ma io sono
in p i e n o possesso delle mie facolt. Dite un po', i
campi sono ancora nelle condizioni di ieri?
Perch, cosa successo?
Ha tuonato e lampeggiato cos forte e ha piovuto
cos tanto che deve essere tutto sottosopra!
Allora quelli gli dissero: Che Dio possa risanarti,
poveruomo!.
Credettero davvero che fosse pazzo e lo lasciarono
in cantina. Finirono per tirarlo fuori di l solo dopo
due settimane.
Il giovanotto riflett a n c o r a a lungo su q u e s t a
azione della sorella e si disse: Il potere delle donne
spietato, non mi sposer mai.
II
C'era u n a volta u n a bella donna, che si i n n a m o r
di un p o v e r u o m o . Essa gli disse: Ti sposer se tu
mi lascerai libera di fare quello che voglio con gli uomini. L'uomo fu d'accordo. Si sposarono e andarono a vivere insieme.
Un giorno la donna si port in casa un ebreo che
gi da tempo le faceva la corte, ma proprio mentre lui
cominciava a fare il cascamorto, si sent bussare alla
139
33. LALLA M A G H N I A
34. LA P R I N C I P E S S A G A Z Z E L L A
C'era u n a volta un re, il quale aveva sposato u n a jinniya (femmina di jinn) che gli aveva dato u n a bellissima figlia. Q u a n d o la regina mor, il re si rispos.
Da quel giorno in poi la giovane principessa a m m u 143
tol e nessuno fu pi capace di farla tornare a parlare. Allora il re suo padre la confin in u n a fitta boscaglia e fece circondare la foresta dalle guardie in
m o d o che nessuno potesse arrivare fino a lei.
Dalla seconda moglie il re ebbe tre figli maschi,
che lo resero assai felice. Quando i figli f u r o n o cresciuti, egli rafforz la guardia intorno alla foresta e
proib a chiunque, p e n a la morte, di r a c c o n t a r e ai
principi che essi avevano u n a sorella. Essi sapevano
s o l t a n t o che n o n era loro c o n s e n t i t o di p e n e t r a r e
nella parte pi ftta della foresta.
Quando il re mor, il maggiore dei principi disse ai
suoi fratelli: Voglio vedere questa foresta e scoprire il
suo segreto!. Usc di nascosto dal castello per evitare
che se ne accorgesse lo zio, fratello del precedente re,
che gli era succeduto sul trono. Egli era a cavallo, le
guardie dovettero lasciarlo passare, e cos si precipit
all'interno della foresta. Ben presto si ritrov in un
meraviglioso giardino, come non ne aveva mai visti;
gli giungevano all'orecchio musiche, voci e canti, ma
non riusc a vedere nessuno. All'improvviso il principe
si vide passare davanti u n a gazzella, che fugg fino a
u n a roccia. Questa si apr e la gazzella scomparve al
suo interno. Il principe volle inseguirla, ma non riusc
a trovarla da nessuna parte. Fu colto allora da u n a
smania febbrile di cacciare che lo fece vagare a lungo
per la foresta fino a farlo smarrire del tutto.
Dal m o m e n t o che il tempo passava e non lo si rivedeva ancora, il secondo principe decise di mettersi
in cerca del fratello, e il re suo zio lo lasci partire
sperando di rivederli presto entrambi. Ma al secondo tocc la stessa sorte del primo, e anche lui non fece pi ritorno. Allora il pi giovane dei tre principi
volle mettersi in viaggio alla ricerca dei suoi fratelli,
ma il re temeva per lui e non lo lasciava partire. Per
il principe ripet con tanta insistenza la sua richiesta
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trarre dalla prova, e il re fece comunicare il suo bando anche nei regni vicini. Passato qualche tempo si
vide di nuovo un principe che chiese di essere pres e n t a t o alla principessa. Per p r i m a cosa gli fecero
vedere le teste dei candidati uccisi sui merli del castello, dopodich gli ripeterono un'altra volta l'incarico e la condizione. Il principe non batt ciglio e si
dichiar pronto. Allora lo condussero dalla principessa muta.
Quando egli la vide, fu subito colto da un ardente
a m o r e per lei e pose le proprie condizioni: tutta la
corte doveva assistere, e nessuno al di fuori di lui poteva pronunciare u n a parola, pena la decapitazione.
Queste condizioni vennero accettate. Allora egli si ritir acconsentendo a effettuare la prova l'indomani.
Il giorno dopo la corte era r a d u n a t a al gran completo intorno al re e alla principessa, che stava al suo
fianco. Il principe entr e cominci il seguente racconto: Durante un viaggio, mi capitato di incontrare un falegname che aveva intagliato un manichino
nel legno, e questo manichino era somigliantissimo a
u n a donna, solo che era completamente rigido. Allora
l'artigiano and da un fabbro e gli fece fare delle articolazioni, cosicch il manichino pot muoversi come
un essere u m a n o . Quindi il falegname and con il suo
manichino da un sarto e gli fece cucire un abito meraviglioso su misura. And quindi da un profumiere e
lo fece aspergere di profumi. Ora il manichino sembrava proprio u n a d o n n a vera. Gli mancava solo l'autonomia nel muoversi. And allora da un sant'uomo,
e insieme a lui vi andarono tutti gli altri: il fabbro, il
sarto e il profumiere, perch erano come rapiti da
questa bella figura. Essi rivolsero al santo la richiesta
di animare la bambola, e il santo, alle cui richieste
Dio non aveva mai detto di no, promise di pregarlo di
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35. L'ASTUTA A I S H A
36. L A M O G L I E I N N A M O R A T A
37. IL M A G I C O C U S C U S
38. LA P O V E R A D O N N A E L ' O R C H E S S A
andarsene dalla fattoria, e si mise a fare lei tutti i lavori degli uomini. Un giorno, m e n t r e stava arando,
venne da lei u n ' o r c h e s s a e le chiese: Non h a i un
marito che possa arare al tuo posto?. E lei rispose:
Se n' a n d a t o via un m o m e n t o , ma t o r n a subito.
Sta' a t t e n t a che n o n ti incontri!. L'orchessa se ne
and, ma ritorn il giorno dopo.
E di nuovo vide la donna che arava e cominci a
intuire come stessero le cose. La sera scavalc la siepe spinosa che circondava la fattoria e si sedette acc a n t o alla c o n t a d i n a , che in quel m o m e n t o stava
spremendo dell'olio di argania. Tutti e sette i bambini le erano seduti intorno e guardavano con l'acquolina in bocca l'olio spremuto. Quando la donna vide
gli occhi cupidi dell'orchessa, cap immediatamente
che era venuta per papparsi i bambini. Disse quindi
al maggiore: Alzati e va' in casa a p r e n d e r e u n a
m a n c i a t a di f a r i n a tostata (che si m a n g i a insieme
all'olio)!. Il ragazzo aveva capito subito ci che voleva dire la m a m m a , e se ne and in casa. Quindi la
d o n n a disse al secondo figliolo: Va' anche tu a prendere un po' di farina!. E cos, u n o dopo l'altro fece
entrare in casa sei bimbi, ma il settimo era t r o p p o
piccolo e non comprese l'avvertimento; non ubbid e
non volle andare in casa. Allora si alz direttamente
la m a d r e e and in casa a prendere u n a grossa scure.
Nel f r a t t e m p o l'orchessa i m m e r s e il pi piccino
nell'olio, ve lo rigir e se lo mangi. Quindi si diresse
verso la casa, si chin e infil la testa nel vano della
porta. La contadina le stacc la testa con la scure.
Allora l'orchessa fece passare dalla porta la sua seconda testa: la contadina gliela decapit, e cos via
con la terza, la quarta, la quinta, la sesta e la settima
testa. Ma istantaneamente le teste ricrebbero. L'orchessa fece nuovamente passare la sua p r i m a testa
attraverso la porta, ma questa volta la donna non la
153
39. L E D O N N E A S T U T E
da lei a scendere nel pozzo. Mentre lui ancora cercava il bracciale, lei gli aveva gi preso i vestiti e li aveva rivenduti al mercato. Da solo il giovanotto n o n
poteva t o r n a r e f u o r i dal pozzo e si mise a gridare
aiuto. Ma per molto tempo non venne nessuno.
Alla fine giunse la terza sorella e aiut il giovane a
r i t o r n a r e f u o r i . Gli pose p e r u n a condizione: A
patto che tu mi sposi!. Il giovane rispose: Va bene,
nel n o m e di Dio! e si fece tirare fuori. Dopodich la
donna se ne and con lui da un ricco mercante, che
vendeva vestiti e oggetti per la casa. Perch disse
devi avere dei bei vestiti e arredarmi la casa, altrimenti n o n possiamo sposarci. Essa scelse bei vestiti, stoffe e gioielli, stoviglie e coperte, e gli disse: Resta qui intanto che vado a casa a prendere i soldi.
Port con s tutto quello che riusc a portare e lasci
solo il giovanotto. Dopo un po' di tempo, il commerciante si fece impaziente: Dove star tua moglie tutto questo tempo? chiese al giovanotto. Allora egli
confess che non era ancora sua moglie e che non la
conosceva. Allora il mercante chiam le guardie e fece gettare il giovanotto in prigione.
Quella notte la sorella minore se ne and al cimitero e dissotterr un b a m b i n o appena sepolto, lo avvolse nei panni da beb e con questo fardello si rec di
primo mattino dal mercante. Dov' mio marito?
chiese al mercante. In prigione! rispose quest'ultimo. Allora la donna divenne cattiva e assal il mercante, che fu costretto a difendersi. In quella la donna
lasci cadere a terra il fagotto e salt fuori il bambino. Era morto. Allora la donna lev un alto grido e accus il mercante di avere ucciso il suo unico figliolo.
Il mercante venne portato dal giudice e dovette pagare il prezzo del sangue per l'ucciso. Il giovanotto venne rimesso in libert. E dal m o m e n t o che la donna
provava dell'attrazione per lui, se lo spos.
155
40. C O M E FU C H E IL G A R Z O N E M A N G I A SAZIET
41. L ' A D U L T E R I O
42. LA BELLA D O N N A
quindi nulla da temere da parte sua. Vieni, spogliami e abbracciami!. Allora il giovane cominci a fare
ci che essa desiderava da lui, e q u a n d o l'ebbe spogliata ud all'improvviso un forte r u m o r e di tuono.
Allora la donna fu colta dal terrore e disse: Mio marito tornato adesso. Quando la porta si spalanc
ed entr un servo, la d o n n a mor di paura. A questo
punto, vedendo che la donna era morta, il giovane si
vergogn e si p e n t di essersi d e n u d a t o p e r c a u s a
sua. Il servo gli chiese: Hai posseduto la donna?. Il
giovane rispose: No. Allora il servo ribatt: Scegli
tu la tua condanna!. Il giovane fu assalito dal terrore e supplic il servo: Lasciami in vita!. Il servo rispose: Hai scelto tu stesso la tua condanna. Vivrai
per sempre e nel tuo petto arder sempre il desiderio
d i q u e s t a d o n n a che n o n h a i p o t u t o appagare!.
Quindi chiuse la porta e lasci solo il giovane.
159
Storie di animali
43. LA M U C C A D E I D U E O R F A N E L L I
Quando il leone ritorn e trov la pelle vuota, chiese a tutti gli animali chi fosse stato a liberare i fanciulli. Il cammello, il mulo e l'asino negarono di averlo
fatto, mentre il riccio ammise con orgoglio la sua impresa. Ti sfido a combattermi! disse al leone.
Il leone raccolse intorno a s tutti i grandi animali
e li dispose in un mucchio per la battaglia. Il riccio
prese con s le api, le vespe, le zanzare e altre bestioline che pungono, e le tenne nascoste. Quando inizi
la battaglia, il riccio grid: Voi zanzare, attaccate le
loro orecchie! e poi alle vespe: Pungeteli! e lo
stesso fece con le altre bestiole. Allora tutti i grossi
animali fuggirono, e il leone balz per primo nel suo
covo. Ma il riccio lo insegu. Prese u n a p i u m a della
gallina che cavalcava e la piant davanti alla tana del
leone. Tutte le volte che il leone guardava fuori, vedeva la p i u m a e pensava che il riccio fosse ancora l.
E dal m o m e n t o che non si fidava a uscire, mor di
fame.
44. IL R I C C I O E LO SCIACALLO
45. COS VA IL M O N D O
46. LA F I G L I A S T R A E IL R I C C I O
47. LA TARTARUGA
Un giorno la tartaruga se ne andava a spasso canticchiando. Un falco la ud, la afferr, la port in alto
nel cielo e la lasci cadere. Allora la tartaruga disse:
Ecco come vanno le cose, cara mia, u n o non vuole
tener chiusa la bocca, e la bocca chiude lui (cio la
sua vita)!.
La ud un u o m o ed esclam: Che meraviglia, add i r i t t u r a u n a t a r t a r u g a che parla!. La prese, la
port dal re e gliela don, dicendogli: Mio signore,
questa u n a tartaruga parlante!. Il re gli disse: Allora f a m m i vedere c o m e fa a parlare!. L'uomo si
diede da fare con lei dicendole: Parla, tartaruga!.
Ma la tartaruga si rifiut di parlare. Lui le disse: Di'
quello che hai detto quando ti ho trovata in campagna!. Ma lei si rifiut di parlare. Allora il re disse:
Prendetelo e tagliategli la testa! Non ancora nato
chi riesce a prendersi gioco di me mentre io sono ancora vivo. Allora lo presero e gli tagliarono la testa.
48. D A D O V E V E N G O N O L E C I C O G N E
49. P E R C H G L I ASINI H A N N O I L M U S O B I A N C O
50. C O M E S I O R I G I N A N O L E C A V A L L E T T E
Laggi nel m a r e vive un mostro gigantesco, che viene chiamato balena. Alcuni marinai raccontano che
u n a simile balena p u ingoiare un'intera nave; nella
pancia della balena buio pesto e per questo i marinai accendono un fuoco. La balena non p u sopportarlo e sputa fuori la nave.
Un giorno Giona, il profeta di Dio, venne ingoiato
da u n a balena. Egli predic nel ventre del mostro e
grazie a ci esso divenne pacifico e risput Giona.
Nel luogo in cui egli tocc terra, nei pressi dell'odierna rbat di Massa, alla foce del fiume Massa, si costru u n a cella e santific tutto il territorio. Qui vi fu
per molto tempo un santuario, costruito interamente di costole di balena, perch in questo luogo vanno
ad arenarsi molte balene morte. Il meglio delle balene l'ambra, che si trova nei loro intestini. Questa
s o s t a n z a preziosa, che si conserva p e r molti a n n i
senza irrancidire, serve per la fabbricazione di profumi. I pescatori di quel tratto di costa sezionano le
168
carcasse delle balene, p r e n d o n o l'ambra e la rivendono a caro prezzo, arricchendosi. Essi raccontano
che le balene, q u a n d o sono vecchie e sentono prossima la morte, n u o t a n o fino in m a r e aperto, dove si
trova u n a p i a n t a particolare. Ne m a n g i a n o p e r c h
sanno che essa provoca stitichezza, dopodich vanno ad arenarsi a terra e m u o i o n o . Lo dice l ' a m b r a
che nel loro corpo.
Quando i pescatori h a n n o fatto a pezzi la balena
m o r t a e ne h a n n o estratto l'ambra, dalla carne del
m o s t r o fuoriescono tantissimi vermi, che crescono
sempre pi fino a diventare cavallette. Le cavallette
diventano sciami e si precipitano su campi e orti e
divorano tutte le piante che trovano. Allora accorrono in folla i contadini e raccolgono le cavallette, le
salano e le vendono in grande quantit come nutrimento per la gente.
Nei primi secoli, i re pagavano u n a rendita mensile a quella trib del Sus che stanziata alla foce del
fiume Massa per il servizio che rendeva loro: questa
gente bruciava le balene morte, in modo che n o n potessero uscirne cavallette che avrebbero spogliato il
territorio. Ma da q u a n d o il re non paga pi per il sos t e n t a m e n t o di q u e s t a trib, a n c h e i suoi u o m i n i
n o n bruciano pi le balene, e da allora si verificano
spesso invasioni di cavallette. Queste bestie sono cos n u m e r o s e e voraci da arrivare fino alle m u r a di
Rabat, scavalcare le m u r a e penetrare nelle case pi
vicine. Sui campi e nei vigneti divorano tutto fino a
lasciarli spogli e non vi preghiera o lettura del Cor a n o che vi si opponga, perch q u a n d o Allah ha deciso, va fino in fondo.
169
51. G L I I N I Z I D E L M O N D O
n o n mancava loro nulla; solo di un albero non potevano mangiare, perch era il p r i m o albero che Allah
aveva posto nel Paradiso. Un giorno Iblis disse ad
Adamo: O Adamo, ti voglio mostrare l'albero della
vita, se tu mangerai dei suoi frutti diventerai onnisciente come gli angeli e vivrai in eterno. Ma Adamo
pens al divieto di Allah e rifiut con decisione.
Allora Iblis a n d da Hawa e cerc di persuaderla a
mangiare u n a mela del primo albero, ma anche lei rifiut. Allora Iblis ricorse a un'astuzia. Mise u n o specchio davanti al viso di Hawa e le chiese: Conosci
questa donna?. H a w a era stupefatta: non aveva m a i
visto il proprio viso e non sapeva di essere sempre lei.
Credette che oltre a lei nel Paradiso ci fosse un'altra
donna. Allora Iblis prosegu: Vedi com' bella questa
donna. Sicuramente un giorno Adamo la vedr e la
prender in moglie e si dimenticher di te. Allora
H a w a ebbe p a u r a e chiese un consiglio a Iblis. Egli
disse: Se tu mangi di quell'albero e dai da mangiare
anche ad Adamo di quella mela, egli non potr mai
pi dimenticarsi di te n prendere alcun'altra moglie.
Allora Hawa prese u n a mela di quell'albero, a n d
da Adamo e gli offr di mangiarne, dandovi nel fratt e m p o un morso deciso lei stessa e dicendo quant'era
b u o n o il suo sapore. Allora anche Adamo vi diede un
morso, ma il pezzo gli rimase conficcato in gola.
Da allora tutti gli uomini h a n n o il p o m o di Adamo. Il pezzo mangiato da Hawa, invece, le pass attraverso il corpo e torn fuori come sangue dal suo
sesso, ed per questo che le donne h a n n o un flusso
di sangue tutti i mesi.
A quel tempo erano ancora completamente nudi;
ora cominciarono a provare vergogna e si rivestirono. Allora Allah m a n d un angelo e li fece scacciare
172
52. D E L L A C A D U C I T D E I B E N I
DI QUESTO MONDO
53. I L S A R T O N E L L A CITT F E L I C E
54. AATIALLAH
sua figlia, e inoltre un cavallo carico di doni preziosi, potrei proprio considerarmi fortunato e lasciare il
paese.
Il secondo disse: Non dimenticare che a n c h e il
visir ha u n a bella figliola. Se mi desse lui la figlia in
sposa, e insieme un cavallo carico di doni preziosi,
anch'io lascerei il paese.
Il terzo invece disse loro: Io non b r a m o nulla delle ricchezze del re. Non vi vero re al di fuori di Allah, e io mi accontento di ci che Egli, mio creatore,
mi dona. Dopodich passarono a parlare di altri argomenti ancora, finch l'hashish ebbe fatto il suo effetto e i tre si f u r o n o addormentati.
Allora il re e il visir lasciarono il negozio e nell'uscire fecero un segno di riconoscimento sulla porta. La
mattina dopo fecero convocare i tre uomini al palazzo e li interrogarono, ma essi non erano in grado di ricordare quello che avevano detto la sera precedente.
Il re e il visir ebbero un bell'insistere nel dire che gli
uomini avevano desiderato il matrimonio con la figlia del re e con quella del visir, ma senza successo.
Allora il visir propose di far portare dei narghil, e
q u a n d o gli u o m i n i ebbero ripreso a f u m a r e , t o r n
loro la m e m o r i a . Il p r i m o a f f e r m di desiderare il
matrimonio con la figlia del re, il secondo ammise di
desiderare il m a t r i m o n i o con la figlia del visir e il
terzo confess di non b r a m a r e alcunch da parte di
chicchessia al di fuori di Allah, l'Onnipotente.
Allora il re stabil la dote di sua figlia e la diede in
sposa al primo fumatore, fu quindi il visir che stabil
la dote della figlia e la diede in sposa al secondo fumatore; dopodich il re si rivolse al terzo e diede ordine di decapitarlo sulla pubblica piazza, dicendo:
Per vedere se Allah ti pu salvare!.
Aatiallah (che vuole dire "Dio mi ha dato" ed era il
n o m e del terzo) venne gettato in prigione in attesa
181
del giorno del mercato, quando sarebbe stato giustiziato. Giunto il giorno dell'esecuzione, Aatiallah venne condotto per le vie della citt, in m o d o che tutti
gli abitanti potessero schernirlo, come era consuetudine. Alla fine gli fu chiesto se avesse un desiderio, e
Aatiallah rispose che voleva pregare Dio nella moschea. Ci gli fu concesso, ma vennero collocate delle guardie davanti alla p o r t a per evitare eventuali
tentativi di fuga.
Mentre Aatiallah pregava, si apr u n a fessura nella
parete. Aatiallah vi entr e si nascose alla vista delle
guardie; cerc quindi la salvezza nella fuga e abbandon il paese.
Anche i suoi due amici lasciarono il paese con le
loro mogli. Viaggiavano di giorno e d o r m i v a n o di
notte. Un giorno incontrarono Aatiallah e festeggiarono con lui l'incontro. Poi gli proposero di entrare
al loro servizio, prendendosi cura dei loro cavalli e
c o n d u c e n d o i cammelli delle loro spose. Aatiallah
accett la loro proposta a condizione di non essere
ricompensato con oro o argento; si sarebbe accontentato del cibo e delle bevande che gli avrebbero dato. Gli amici aderirono alla sua richiesta.
Un giorno la comitiva a cavallo si ferm a riposare
all'ombra di u n a collina. Le due donne avevano sete,
e cos i loro mariti partirono alla ricerca dell'acqua e
le lasciarono in custodia ad Aatiallah. L'attesa si protrasse a lungo, ma i due uomini non ritornavano ancora. Allora Aatiallah decise di andare a cercarli. Dopo un po' di t e m p o li trov che giacevano m o r t i
presso u n a fonte e cap che l'acqua di quella fonte
era avvelenata. Seppell l i due uomini e fece ritorno mestamente dalle due donne, cui raccont quello
che era successo.
La figlia del re e quella del visir p i a n s e r o i loro
sposi, ma la presenza di Aatiallah leniva le loro pene.
182
184
Vivevano un t e m p o due fratelli, u n o assai ricco e l'altro invece povero. Il fratello ricco coglieva ogni occasione per denigrare il fratello nei discorsi con i compaesani, cosicch la differenza appariva ancora pi
marcata. La moglie del povero ne era molto scontenta e domandava sempre dove fosse andata la b u o n a
sorte e se n o n sarebbe mai venuta da loro. N o n sapendo trovare u n a risposta, il marito si mise in viaggio per andare a porre a Dio la d o m a n d a .
C a m m i n a c a m m i n a , dopo molti giorni giunse al
mare. Qui incontr un penitente in ginocchio su u n a
roccia aguzza c o m e un chiodo in mezzo alle onde
spumeggianti del m a r e . Costui gli chiese che cosa
cercasse, e l'uomo rispose: Io cerco Allah, per fargli
u n a d o m a n d a sulla b u o n a sorte. Ors, allora, ribatt il penitente quando avrai trovato Allah, chiedigli p e r favore a n c h e q u a n d o g i u n g e r da me la
b u o n a sorte! L'uomo glielo p r o m i s e e si rimise in
viaggio.
Dopo molti giorni si imbatt, tra le sabbie del deserto, in u n a testa u m a n a , e avvicinandosi si accorse
che apparteneva a un u o m o sepolto fino al collo nella sabbia. Anche costui chiese al viaggiatore che cosa cercasse, e il viaggiatore gli rispose: Io cerco Allah, per fargli u n a d o m a n d a sulla b u o n a sorte. Se
lo incontri lo p r e g l ' u o m o sepolto nella s a b b i a
chiedigli a n c h e per q u a n t o t e m p o dovr resistere
cos sepolto. Il viaggiatore glielo promise e riprese
il cammino. Dopo molti giorni giunse sui monti spogli, dove viveva un eremita, e gli chiese ospitalit.
L'uomo viveva gi da lungo t e m p o nel suo romitaggio e veniva n u t r i t o in m a n i e r a prodigiosa: ogni
giorno un corvo gli portava un pane nero di segale e
un grappolo di uva nera. L'eremita invit il viandan185
56. I L N O M E S U P R E M O D I D I O
Ors, vecchio, raccontaci per favore la storia del sup r e m o tra i nomi di Dio! Non conosco u n a simile
storia. Ma s, ne conosci addirittura parecchie di
storie sul supremo tra i nomi di Dio! Per favore, raccontacene una! Ma allora voi conoscete il supremo
n o m e di Dio? No, vecchio, se lo conoscessimo, pot r e m m o con esso trasformare il mondo, perch colui
che conosce il s u p r e m o tra tutti i nomi di Dio potr
con esso impartire a tutti gli uomini e gli spiriti ordini
che dovranno essere eseguiti immediatamente. Allora certo che oggi nessuno conosce il supremo nome di Dio. E cos, rassicurato, posso passare a narrarvi di quellosheikh che lo conosceva.
Per sfuggire al diavolo sterminatore
cerco rifugio in Dio, clemente, misericordioso!
Uno di quei poveri che si sono dedicati interamente al c a m m i n o che porta a Dio viaggi in lungo e in
largo sulla terra i n t e n z i o n a t o a recarsi da un vecchio, che si diceva conoscesse il supremo tra tutti i
n o m i di Dio. Egli giunse al suo eremo al m o m e n t o
della preghiera di mezzanotte, e dopo la preghiera
chiese allo sheikh: Venerato m a e s t r o , p u o i insegnarmi il supremo n o m e di Dio?. Potr farlo solo
q u a n d o tu ne sarai degno rispose il maestro. Sar
lieto di m o s t r a r m e n e degno disse il darwish. Allora
188
il maestro disse: Recati alla porta della citt e osserva che cosa vi accade, poi torna a riferirmelo!.
Il darwish si rec alla porta della citt, si sedette e
attese. Giunse allora un a n z i a n o taglialegna, che
conduceva innanzi a s il suo asino carico di legna
da ardere. Un guardiano lo ferm, gli port via la legna e colp il vecchio.
Triste e indignato il darwish fece ritorno dal maestro e gli r a c c o n t cosa era successo. Quindi lo
sheikh gli chiese: Se tu avessi saputo il nome supremo di Dio, che cosa avresti fatto in quel frangente?.
Avrei chiesto la morte per il soldato! Al che il maestro prosegu: Vedi come sei indegno. Devi sapere,
figliolo, che stato proprio quel taglialegna a insegnarmi il supremo nome di Dio. E lui che lo conosce
non lo adopera per vendicarsi!.
Ors, vecchio, raccontaci ancora un'altra storia
sul n o m e supremo di Dio. Ne conosci cos tante! E
quand'anche io ve ne raccontassi altrettante, lo stesso voi non arrivereste a comprendere che cosa voglia
dire possedere il supremo tra i nomi di Dio. Non
importa, racconta, vecchio, vogliamo essere pazienti
e imparare! Non imparerete un bel nulla dai miei
discorsi, vi accadrebbe la stessa cosa che accadde a
quel povero che non riusc a eseguire n e m m e n o u n a
volta un incarico semplicissimo, nonostante si fosse
esercitato per ben sette anni nell'arte della persever a n z a e della continenza. Che cosa gli accadde,
vecchio? Orbene, dopo che costui ebbe trascorso
tutto questo tempo seguendo la via del darwish, ud
un giorno che nella lontana citt del Cairo viveva un
maestro che conosceva il nome supremo di Dio. Allora si mise in viaggio alla volta di questa citt, e,
giunto alla casa di riunione della c o m u n i t di quel
maestro, entr a far parte della schiera dei suoi discepoli e stette per un certo tempo al suo servizio. In
189
57. IL S A N T O IN P A R A D I S O
58. N O S T R O S I G N O R E K H A D I R
59. J U J U M A J U J
questo nome, Inshallah, i J u j u m a j u j sorgeranno dalla terra e p r e n d e r a n n o possesso dei paesi. allora
che comincer la fine dei tempi.
Altri n a r r a n o che i J u j u m a j u j sarebbero un popolo
di nani che vivranno agli estremi confini del tempo.
Ma a differenza dei giganti, essi non saranno un popolo straniero, bens i discendenti degli u o m i n i attuali. S a r a n n o piccoli come b a m b i n i , senza Dio, e
molto, m o l t o rapidi. S a r a n n o cos n u m e r o s i che,
quando giungeranno a un lago, in m e n che n o n si dica lo prosciugheranno bevendoci.
Come succeder che un giorno gli uomini diventer a n n o cos piccoli? Orbene, questo lo si p u osservare
gi al giorno d'oggi. Un tempo i denti da latte dei
bambini avevano tre molari per lato sia sopra che sotto, quindi dodici in totale, e p r i m a ancora addirittura
quattro per parte, vale a dire sedici molari, come i
denti di un adulto. Oggi invece nei denti da latte dei
bambini vi sono solo due molari per parte, sopra e
sotto, e quindi solo otto in totale, e un giorno i bambini avranno solo quattro molari, e capita gi adesso
che ci siano b a m b i n i che crescono dopo avere avuto
solo quattro molari. Allo stesso m o d o anche la forza e
la taglia degli uomini va diminuendo. Un giorno la
dentatura da latte non avr pi molari, e allora gli uomini resteranno piccoli come nani, che possono a
stento vedere oltre il bordo del paiolo stando sulla
p u n t a dei piedi. Questi sono i J u j u m a j u j . Il Mahdi dichiarer guerra a questi nani ed essi periranno.
60. I L D R A G O R O S S O D E L D U J J A N
Dujjan possiede un drago rosso che vive su un'isola nel m a r e e dice: Circonder la t e r r a in c a p o a
quattro giorni.
Dujjan e il suo drago rosso sono i corruttori degli
uomini alla fine del tempo. Gli uomini che vivranno
allora n o n c o n o s c e r a n n o pi a l c u n rispetto, n o n
avranno considerazione n e m m e n o dell'et e dei loro
genitori. Abbaieranno come cagnolini nel ventre delle cagne. I loro figli vorranno avere ragione rispetto
agli anziani.
Quando Dujjan si sar liberato e il suo drago avr
circondato la terra in quattro giorni, si ritirer nel
mare. Ogni suo passo sar lungo come venti passi.
Far risuonare u n a musica piacevole, che si sentir
a centinaia di chilometri di distanza. Molti uomini milioni - verranno attratti da quella musica e accorr e r a n n o per seguire Dujjan e il suo drago rosso. E
questi divider le acque del m a r e e vi si inoltrer, e
tutti coloro che lo seguiranno vi si inoltreranno con
lui. Poi il m a r e si riunir abbattendosi su di loro e
t u t t i a n n e g h e r a n n o . Coloro che n o n s e g u i r a n n o
Dujjan e il suo drago rosso non f a r a n n o ci in base a
u n giudizio pi consapevole; s e m p l i c e m e n t e , n o n
sar questo il loro destino. Vivranno ancora qualche
t e m p o . Poi verr Ges e li a b b a t t e r tutti. P e r c h
non vi saranno pi credenti tra gli uomini.
61. L A F I N E D E L M O N D O
m o l t o t e m p o che m a n c a u n a g r a n d e pioggia, il
m o n d o h a a n c o r a bisogno d i u n a g r a n d e pioggia.
Come al tempo del profeta Lot - che Dio lo benedica! Fu allora che cominci la sventura! Un fuoco abbagliante accec gli uomini. Non vi erano pi donne.
195
196
62. UNA P R O F E Z I A
198
63. L A P O R T A D E L R A V V E D I M E N T O
ANCORA APERTA
200
Parte II
1. IL C H I C C O FATATO
to. La febbre si impadron di lei. La madre in lacrime si avvicin p e r chiederle: Che cos'hai, figlia
mia? Sei appena uscita tutta allegra e in b u o n a salute. Che cosa ti stato detto di malevolo?. Allora la
figlia si confid ma pretese che sua m a d r e le spiegasse le parole di Settut.
Figlia mia, confess la m a d r e i tuoi sette fratelli si erano detti: "Se verr al m o n d o un ottavo fratello, fuggiremo via senza neanche vederlo, senza nepp u r e conoscerlo". Sono t r a s c o r s i o r m a i q u i n d i c i
anni da quando sono partiti, e n o n ne sappiamo pi
nulla. La ragazza dichiar: Voglio mettermi in cerca di loro per riportarli a casa. La m a d r e cerc di
trattenerla: A che servirebbe, a b b i a m o gi cercato
tanto. E mi resti solo tu. Ma la figlia rispose in tono
fermo: Dal m o m e n t o che n o n mi conoscono, n o n
fuggiranno davanti a me.
Allora la m a d r e le diede un cavallo, delle provviste
e u n a serva negra per accompagnarla. Le diede inoltre il "chicco fatato", che la figlia nascose nel corsetto, e le fece questa suprema raccomandazione: Sulla tua strada incontrerai due fontane. Una quella
delle schiave negre, l'altra quella delle bianche libere. Sta' attenta a non fare il bagno nella fontana dei
negri e a non bere la sua acqua! Saresti t r a m u t a t a in
negra!.
La ragazza promise di fare b u o n uso di tutti questi
consigli, e sal a cavallo.
Si mise quindi in viaggio a cavallo, seguita, a piedi, dalla negra. Di collina in collina, di tappa in tappa, la madre chiamava la figlia. La ragazza, che poteva u d i r l a grazie al chicco f a t a t o , le r i s p o n d e v a
allora per rassicurarla. E il chicco trasmetteva la sua
voce, per quanto debole e lontana.
Quando f u r o n o in vista delle fontane, la negra si
precipit verso l'acqua delle bianche, e vi fece il ba204
Sgozzarono dunque la negra. La bruciarono e dispersero le ceneri all'esterno. Poi portarono alla sorella dell'acqua a t t i n t a alla f o n t a n a delle b i a n c h e .
Essa se ne asperse. Il suo viso e il suo corpo ridivennero chiari come prima. I sette fratelli poterono ritornare a dedicarsi al loro passatempo preferito: la
caccia. La sorella preparava loro i pasti e accudiva
alla casa.
L'anno successivo, in primavera, nel luogo in cui
erano state disperse le ceneri della negra spunt un
cespo di malva. La ragazza lo tagli e con esso cucin un p i a t t o che diede da m a n g i a r e ai fratelli
q u a n d o t o r n a r o n o dalla caccia. M a n g i a r o n o t u t t i
con grande appetito. I sette ragazzi f u r o n o trasformati in colombi, e la ragazza in u n a colomba.
E tutti presero il volo nel cielo.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!
2. LUNJA, FIGLIA DI T S E R I E L
Lunja gliela serv. Poi and a sedersi sul piatto di legno che nascondeva l'imboccatura del sotterraneo.
Quand'ebbe finito di mangiare, Tseriel dichiar:
Questa sera ho deciso di tingere con l'henn tutti i
miei piatti di legno e tutte le mie ciotole. E si mise a
chiamarli per nome. Essi vennero da lei uno alla volta. Solo il piatto su cui era seduta Lunja non si mosse. L'orchessa lo chiam di nuovo. Ma la ragazza disse: Lascialo stare. A lui toccher domani. Oggi sono
t r o p p o b e n s e d u t a p e r s c o m o d a r m i . Tseriel, che
amava la figlia, non insistette, e non tard ad addormentarsi.
Lunja fece finta di dormire. In realt spiava il mom e n t o in cui avrebbe udito le grida di tutti gli animali inghiottiti dalla m a d r e nel corso della giornata.
Fu solo nel cuore della notte che ud le vacche e i vitelli muggire, le pecore e le capre belare, l'asino ragliare e le galline chiocciare. Ne approfitt per liber a r e il giovane dicendogli: Presto, sta d o r m e n d o .
Gambe in spalla!. Ma egli le rispose: Non partir
se tu non mi accompagni. Giacch per te che sono
venuto fin qui. Va bene disse lei. E uscirono.
Li arrest u n a siepe di spine. Lunja disse: O siepe
di miele e di b u r r o , lasciaci passare!. La siepe di
spine si apr per lasciarli passare, e poi si richiuse alle loro spalle. Essi si misero a correre, a correre con
tutte le loro forze. Ma apparve dinanzi a loro un fiume tumultuoso. Lunja supplic: O fiume di miele e
di burro, lasciaci passare!. Le acque del fiume si ritirarono davanti a Lunja e al giovanotto. E si richiusero u n a volta che questi ebbero raggiunto la sponda
opposta.
Tseriel si svegli mentre la figlia, dal colorito bianco c o m e la neve e vermiglio c o m e il sangue, stava
fuggendo. L'orchessa chiam: Lunja, Lunja!. Ma il
suo richiamo si perdeva nel vuoto. Essa si sporse al
211
suo padre e gli disse: Voglio sposare la negra. Come oseremo guardare in faccia i nostri vicini? si indign il padre. Tu vuoi il nostro disonore. Ma il
giovane disse ancora: La sposer o morr.
Fu cos che la spos. Lunja ricevette ricchi doni
d'ogni genere e venne assunta u n a nuova serva.
Il giovane attese la notte per spogliare la moglie
della pelle che velava la sua bellezza. Al mattino, la
serva fu la prima a essere stupita per tale belt. Venuta per portare la colazione agli sposi, ritorn annunciando a tutti: La signora non u n a negra! La
signora bianca c o m e la neve e vermiglia come il
sangue!.
Tutti accorsero per constatare il miracolo. Ora, il
giovane marito aveva un fratello minore che gli chiese: Come potuto succedere?. Mi bastato pron u n c i a r e le parole: "O figlia di negri, spogliati di
questa pelle!" rispose il fratello maggiore.
Il minore pens allora: "Se u n a negra si rivela u n a
vera bellezza, chiss cosa p o t r e b b e succedere con
u n a cagna?... Non si riveler u n a dea?".
Spos quindi u n a cagna. La notte, quando fu solo
con lei nella stanza nuziale, le disse: Figlia di cani,
spogliati di questa pelle!. Per tutta risposta essa cominci ad abbaiare furiosamente. Spogliati di questa pelle! ordin un'altra volta. Essa lo assal e lo divor.
Il mattino, q u a n d o la serva entr per salutare gli
sposi e servire loro la colazione, scopr la cagna che
vegliava g e l o s a m e n t e i resti dello sposo. La serva
fugg allora urlando: Il signore fatto a pezzi, la sig n o r a vi si accucciata sopra! Il signore fatto a
pezzi, la signora vi si accucciata sopra!.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!
214
nella pentola e il cuscus a cuocere al vapore. Si avvicin q u i n d i al sacco di lana. Cominci a scuotere
con forza la lana per farne cadere la polvere e la paglia. E disse al rospo: I bioccoli pi morbidi, i pi
bianchi, li impiegher per il tuo burnus. Quanto alla
lana pi ruvida, ne far u n a coperta che poi tinger.
E quest'inverno staremo al caldo.
Fece un m u c c h i o della lana migliore, rimise nel
sacco quella di qualit inferiore, si lav le mani e si
occup della cena. Quando fu pronta, pos a terra la
pentola e al suo posto mise sul fuoco un paiolo pieno d'acqua. La rana e il rospo cenarono in santa pace. Quand'ebbero finito, l'acqua bolliva. La r a n a vi
gett della cenere e mise a bagno la lana. Poi fece i
mestieri di casa. Il rospo, che era stanco, se ne and
a letto di buon'ora. La rana, pi in forze, tir fuori la
lana dal paiolo, la strizz e la mise a sgocciolare in
u n a cesta. Riemp la sacca delle provviste: focaccia e
carne. Infine, dovendosi alzare all'alba, and anche
lei a dormire.
L'indomani, q u a n d o si destarono, era ancora buio.
Si prepararono e fecero colazione in tutta fretta. La
rana, con la cesta sulle spalle, e il rospo, con la sacca
a tracolla e in m a n o lo strumento per battere la lana,
uscirono di casa alle prime luci dell'alba.
La strada che portava al fiume era in discesa. Essi
vi si diressero. Raggiunsero il fiume q u a n d o il sole
cominciava a farsi vedere. La rana pos il suo carico
di lana, il rospo appese fa sacca a un albero. E si misero al lavoro. Il rospo raccolse delle pietre e costru
u n o sbarramento per trattenere l'acqua. in questa
piccola pozza d'acqua che la rana doveva disfare la
lana, sfilacciarla in piccoli bioccoli, a m a n o a m a n o
che il suo sposo la batteva.
A mezzogiorno, tutta la lana era lavata. Pensarono
allora a m a n g i a r e . La r a n a disse al rospo: Va' in
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4. C H I DI N O I LA P I BELLA, O LUNA?
unirsi alla vita della corte. Quando ritorn dal bambino, esso era scomparso. Lo cercarono a lungo, ma
invano.
L'anno successivo essa ebbe un nuovo b a m b i n o ,
un b i m b o come il primo, dai bellissimi capelli d'oro.
In capo a quaranta giorni anch'esso scomparve. Il re
e la regina dissero allora al figlio: Risposati! Che
bene ci p u venire dalla figlia del serpente?. Ma il
principe, che riponeva in Dio le sue speranze, rispose al re e alla regina: Io ho scelto Jejjiga per se stessa, e n o n per i figli che mi avrebbe dato.
Uno dopo l'altro, la giovane principessa ebbe sette
figli, sette bimbi dai capelli d'oro, che f u r o n o tutti
rapiti q u a r a n t a giorni d o p o la nascita. Essa fu sop r a n n o m i n a t a "Colei che divora i suoi figli". Ma il
principe continuava ad amarla.
Otto anni erano trascorsi da quando Jejjiga aveva
lasciato la caverna del serpente per la corte del re,
q u a n d o u n a sera essa disse al principe: Domani,
c o n d u c i m i d a m i o p a d r e a f f i n c h egli m i p e r d o ni.... Egli la accontent. Appena arrivati alla caverna, il principe e la principessa videro sei fanciullini
dai capelli d'oro che giocavano e si inseguivano in
m a n i e r a incantevole. Un vecchio teneva in braccio il
settimo b i m b o dai capelli d'oro.
La principessa cercava con gli occhi il serpente.
Allora il vecchio si fece avanti e le disse: Non cercarlo, sono io. Molto tempo fa, u n a notte, ho messo
un piede su un serpente per disattenzione. Egli si
vendicato perch mi ha trasformato in serpente come lui. Ora per m o r t o e con lui m o r t o anche il
potere che aveva su di me. Disse inoltre: Il giorno
in cui mi hai lasciato per andare verso il tuo sposo ti
avevo raccomandato di n o n tornare indietro. Tu sei
ritornata e mi hai sorpreso mentre bevevo del sangue. Mi hai umiliato e io ti ho detto: "Te ne penti227
rai". Tese alla principessa il beb che aveva in braccio e si rivolse al principe: Sono io, o principe, che
sono venuto a cercare i tuoi figli u n o dopo l'altro
per punire mia figlia. Li ho allevati con tenerezza
come avevo allevato la loro madre. Per sette volte, o
principe, ti sei trovato davanti a u n a culla vuota e
non hai disperato e non hai umiliato mia figlia. Al
contrario, l'hai a m a t a e protetta. Ecco i tuoi figli...
Te li rendo. E sospinse verso di lui i sei fanciulli dai
capelli d'oro.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!
riuscivano a seguirla e venivano qualche volta a trovarla nei campi. Gli altri, li lasciava in custodia alla
maggiore, u n a bimbetta che la miseria e le preoccupazioni avevano reso gi matura.
La vedova abitava in u n a capanna, fuori del villaggio. Essa ne veniva via prima del levar del sole e non
vi faceva ritorno p r i m a del tramonto. solo di notte
che essa trovava il tempo di macinare l'orzo e il frum e n t o quotidiani, ed sempre di notte che tesseva,
al chiarore di u n a lanterna a olio.
La stagione dei fichi era fuggita. Sugli alberi non
vi erano quasi pi melagrane. Tra poco il freddo si
sarebbe presentato sulla soglia; la vedova lo sentiva.
Per questo, essa aveva cominciato col telaio u n a bella coperta in m o d o che i suoi piccini avessero caldo
in inverno, e passava le notti vegliando al telaio.
Una n o t t e le s e m b r di sentire nell'aria c o m e
l'odore delle olive e della neve. Aveva fatto cenare i
suoi bambini e aveva disteso per loro delle coltri vicino al focolare. Si accost al telaio pi presto del
solito, e vi entr tenendo in m a n o la lanterna a olio.
Continu a tessere, a tessere fin verso la met della
notte, preoccupata di non farsi sorprendere dall'inverno. I bambini dormivano. La c a p a n n a era immersa nell'oscurit. La rischiaravano debolmente il fuoco che ardeva al centro e la l a n t e r n a a olio posata
accanto al telaio. All'improvviso, la porta che era rimasta socchiusa venne sospinta e la vedova vide penetrare u n a sagoma gigantesca, formidabile. I piedi
calpestavano il suolo di terra battuta; la testa toccava il tetto di paglia. I capelli si rizzavano verso il cielo come un cespuglio spinoso. Era Tseriel.
Essa si diresse verso il telaio e vi entr. Si sedette
accanto alla vedova e le disse: Fatti in l, ti do u n a
m a n o io. E si mise a tessere. Tesseva, tesseva come
un demonio, m e n t r e la vedova tremava e pensava:
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aveva visto. La m a d r e le disse: Non ti avevo raccom a n d a t o di fare tutto quello che li avessi visto fare?
Imitali in tutto, succhia anche tu le canne della tomba per avere anche tu guance rosee e candide.
Cos fece Johra l'indomani. Ma appena accostata
la bocca alle canne, ricevette da esse un getto di fiele
e di sangue. Fece ritorno vomitando per strada. Allora sua madre, furiosa, prese un vecchio piatto sbrecciato, lo riemp di brace, raccolse dei legni secchi e
corse al cimitero per bruciare la tomba. Per privare
gli orfanelli di ci che la provvidenza aveva loro concesso.
Aisha la vide bruciare la tomba. Aisha era cresciuta; stava ora uscendo dall'adolescenza. Disse al fratello pi giovane: Dal m o m e n t o che h a n n o bruciato
la t o m b a di nostra m a d r e non ci resta che l'esilio.
Si infil nel corsetto un pezzo di focaccia, prese per
m a n o il fratello e p a r t i r o n o dritti d a v a n t i a loro.
C a m m i n a c a m m i n a , al crepuscolo giunsero a u n a
foresta. Passarono la notte tra i r a m i di u n a palma
da datteri. Al mattino si rimisero in viaggio. Chiedevano la carit di villaggio in villaggio. Per strada si
i m b a t t e r o n o in u n a fonte: il ragazzo vi bevve e fu
trasformato in u n a gazzella.
Allora Aisha si sfil la lunga cintura di lana e la
leg al collo della gazzella. E da allora temette per
suo fratello e n o n se ne separ mai. Cos, se lo portava dietro mentre chiedeva la carit, e ogni sera cercava un luogo impervio, un luogo sicuro in cui nascondersi con lui. All'alba si rimetteva in viaggio.
Ma ecco che un giorno, in un villaggio, un sultano
la not. Ingiunse ai suoi servitori di condurgliela. Aisha si mise a correre, a correre come il vento. Il suo
fratello-gazzella la seguiva da presso. Una palma da
dattero gigantesca si p a r loro dinanzi: u n a p a l m a
che da terra arrivava al cielo. La gazzella si stese ai
234
sultano. Ha bevuto o mangiato qualcosa, non so bene cosa, che l'ha cos trasformato in gazzella.
Allora lo Sheikh prese dell'acqua (perch era anche un mago), pronunci delle parole magiche e fece
bere un po' di quest'acqua alla gazzella. Dopodich
la asperse con essa dicendo:
Se sei nata gazzella resta gazzella
Se sei nata uomo, ridiventalo
Per la forza di Dio e degli amici di Dio!
Fu cos che Ali ritrov la sua forma u m a n a e che
sua sorella e lui conobbero infine la pace e la felicit.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!
7. LA PRINCIPESSA S U M I S H A
dall'alto del minareto chiamava i fedeli alla preghiera. Era mezzogiorno. I due viaggiatori erano coperti
di polvere e spossati. Avevano sete. Avevano fame. Si
f e r m a r o n o alla p r i m a p o r t a e chiesero in n o m e di
Dio u n a brocca d'acqua e un pezzo di focaccia. Una
vecchia serva port loro dell'acqua, u n a focaccia di
f r u m e n t o , dei fichi, dei datteri e u n a borraccia di
siero di latte. Bevvero e mangiarono, mangiarono e
bevvero, e si distesero su delle stuoie. Quando furono riposati, si bagnarono i piedi doloranti e si accinsero a ripartire. Appena usciti videro u n a moltitudine di corvi che volteggiavano s o p r a la casa pi
i m p o n e n t e e l'accerchiavano, s t r i n g e n d o l a q u a s i
d'assedio.
Cosa vengono a fare qui questi uccelli del malaugurio? chiesero a un passante i due amici. Dunque
non lo sapete? si stup il passante. Dovete essere
stranieri... Quella che vedete la dimora del nostro
signore. Alle finestre, ai muri e alle porte sono appese delle teste mozzate. Sono tutte queste teste che attirano i corvi. per esse, infatti, che questi uccelli
vengono qui ogni giorno. E dopo un lungo silenzio
il passante disse ancora: Un tempo, in questa citt,
vivevamo felici e tranquilli, perch il nostro signore
era il pi appagato di tutti gli uomini. Aveva u n a figlia bella come la luna nel cielo e dolce come l'erba e
il respiro dei fiori. Essa era la sua gioia. Viveva solo
per lei. Pazientemente le stava cercando u n o sposo
che fosse alla sua altezza e degno di regnare su di
noi un giorno, quand'ecco, all'improvviso, la nostra
principessa cadde a m m a l a t a di u n a grave malattia.
Da allora essa non parla, non sorride e deperisce in
c o n t i n u a z i o n e . E s che m a n g i a e beve. Ma t u t t o
quello che mangia, invece di andare a suo profitto,
va a profitto dei geni malvagi che si sono impadroniti di lei. Invano il padre ha chiamato maghi e fattuc243
chiere. Sheikh, scienziati, maghi e fattucchiere si sono dovuti riconoscere impotenti. Allora, disperato, il
n o s t r o signore ha p r o m e s s o la figlia in sposa a
chiunque l'avesse guarita, fosse anche stato un mendicante. Ma giur anche che tutti coloro che, dopo
aver visto la principessa, avessero fallito, sarebbero
stati decapitati, e la loro testa sarebbe stata data in
pasto ai corvi. Un gran n u m e r o di uomini giovani e
vecchi s o n o accorsi da tutti i paesi, spinti gli u n i
dall'amore, gli altri dall'avidit. Ma nessuno riuscito a guarire la nostra principessa e tutti ebbero la testa tagliata. Quelle che vedete da qui sono le loro teste. Il passante tacque, poi aggiunse: La sventura
sulla nostra citt.
Allora il giovane dalla statura imponente e dagli
occhi di falco dichiar: Guarir io la giovane principessa!. Fratello mio, grid Mehend, impallidito
non mi lasciare, tu che ho incontrato sulla mia via
mentre ero solo e lontano dal mio paese. Ricordati
che senza di te non sarei in grado di ritrovare colei
che cerco. Non temere rispose il giovane dagli occhi di falco. Sono sotto la protezione di Dio.
Poco dopo era al capezzale della principessa che
s e m b r a v a d o r m i r e . Egli le disse: O S u m i s h a , pi
bella della luna nel cielo, possa tu levarti davanti a
noi come un melo in fiore! Ascolta questa storia. Tre
fratelli, appena adolescenti, abbandonarono un giorno il tetto paterno per percorrere il mondo. Si amav a n o di un a m o r e assai tenero. P r i m a di lasciarli
partire, il p a d r e r a c c o m a n d loro solennemente di
a m a r s i s e m p r e e di n o n s e p a r a r s i mai. Essi glielo
promisero e si allontanarono. C a m m i n a r o n o a lungo, finch, u n a mattina, giunsero a u n a foresta. Era
immensa, quella foresta; in u n a giornata non riuscirono ad attraversarla tutta. La notte li sorprese ancora al suo interno. Dovettero rifugiarsi in u n a ca244
Sumisha, la principessa, chiuse lentamente le palpebre e spalanc la bocca: ne fuoriusc u n a lunga vipera nera che si dissolse in u n a nuvola di fumo: era la
fata malvagia che Sumisha aveva ingoiato inavvertitamente, u n a notte, bevendo l'acqua di u n a fonte.
Allora, le teste dei suppliziati f u r o n o deposte in
fretta e i corvi si allontanarono in voli pesanti e serrati. A tutte le finestre fecero la loro comparsa uccelli
delle isole. Il cielo cantava a squarciagola: Sumisha,
la nostra principessa, ritornata in vita; gli spiriti
malvagi l'hanno abbandonata!. E l'acqua lo diceva
alle radici, e le radici lo dicevano agli alberi che riprendevano questo canto con tutte le loro foglie. In
un frullo d'ali, i passerotti, le rondini, le colombe, i
fringuelli, i merli e via via fino agli scriccioli - tutti
uccelli che avevano abbandonato i giardini da tantissimo tempo - presero a volare verso la stanza di Sumisha. Allora gli uomini seppero che era tornato il
tempo della fiducia: ricominciarono a vivere e a lavorare. Le sorgenti, che la disgrazia aveva prosciugato,
ripresero a scorrere. L'erba e i fiori crebbero magnifici e folti. Allora, tutto il reame si prepar a celebrare
le nozze della principessa. I taglialegna abbatterono
tronchi enormi. Ciascuno offr il proprio f r u m e n t o
pi brillante e le donne prepararono cantando il cuscus delle nozze. Tra le danze e le risa vennero sacrificati dei vitelli e anche degli agnellini. Cominciarono i
festeggiamenti che durarono sette giorni e sette notti.
Infatti per sette giorni tamburi e tamburelli, pifferi e
clarinetti riempirono ogni dove di canti e ritmi. Per
sette giorni e sette notti la polvere da sparo fece sentire alta la propria voce, propagando la gioia fino ai
confini del regno, e i trilli delle donne si innalzarono
nel cielo come fuochi artificiali.
Per tutti questi giorni e queste notti, le m a n i del
sultano f u r o n o come fontane di abbondanza. I pove246
ri presero anch'essi parte ai festeggiamenti e si credettero alla pari dei privilegiati di questo mondo. Il
sultano fece distribuzioni di semola, di carne e di
spezie; diede abiti e calzature scarlatte ai mendicanti e fece doni alle moschee. Giacch a ognuno il sultano sembrava dire: "O tu, che hai condiviso la mia
pena, vieni e gioisci con me".
La sera delle nozze, Sumisha, meravigliosamente
a g g h i n d a t a sotto un lungo velo di tulle con stelle
d'oro che l'avvolgeva tutta quanta, attendeva pazientemente il suo sposo nella stanza nuziale, seduta su
soffici tappeti, con le candide m a n i ricoperte di anelli. Apparve allora Mehend, seguito dal giovane con
gli occhi di falco. Rivolgendosi alla principessa stupefatta, colui che l'aveva salvata le disse: O giovanetta pi bella della luna nel cielo, io n o n posso essere t u o sposo, p e r c h s o n o il Genio del m a r e e le
acque sono il mio regno. Ma ascolta la mia avventura: un giorno, per divertirmi, ho assunto la f o r m a di
un e n o r m e pesce. E stavo ridendo della mia metamorfosi quando mi sentii imprigionare nella rete di
un pescatore e venni estratto dall'acqua e gettato con
violenza sulla spiaggia. Il m i o d i b a t t e r m i fu vano.
Gi un coltello era alzato su di me q u a n d o sopraggiunse l'uomo che qui vedi. Egli offr il suo cavallo al
p e s c a t o r e e o t t e n n e me in c a m b i o . Poi si a d d o r m e n t p r o f o n d a m e n t e sulla sabbia. Approfittando
del suo sonno, ripresi la mia f o r m a u m a n a per vegliare su di lui. Egli aveva a b b a n d o n a t o i genitori e il
suo p a e s e p e r a n d a r e alla r i c e r c a di S u m i s h a , la
principessa lontana di cui Settut, la strega, gli aveva
rivelato l'esistenza. Sono sette anni che non ci lasciamo, lui e io, e c a m m i n i a m o in direzione di te, Sumisha, volgendo s e m p r e il viso a oriente. lui il t u o
sposo: figlio di re.
E il giovane dagli occhi di falco scomparve, la247
Allora, fingendo u n a forte febbre, convinsi mia madre che se la strega avesse preparato sotto i miei occhi un semolino io sarei guarito. Essa venne per ord i n e del s u l t a n o , m i o p a d r e . A p p r o f i t t a n d o del
m o m e n t o in cui stava r i m e s t a n d o il semolino, di
scatto le immersi la m a n o nel liquido bollente. Essa
url. "Non ti tirer f u o r i la m a n o finch n o n mi
avrai indicato la strada che porta a Sumisha" le dissi con fermezza. Allora, con la m a n o libera, essa mi
indic l'oriente. A tutti quelli che incontravo domandavo, instancabilmente: "Conoscete il paese di
S u m i s h a , figlia di Hitin?". E t u t t i i n d i c a v a n o a
oriente e rispondevano: "Va', va' sempre in direzione
del sol levante!". Avevo gi esaurito le mie provviste
e il d e n a r o che m i o p a d r e mi aveva c o n s e g n a t o ,
q u a n d o arrivai alla riva del mare. Un pesce enorme
si dibatteva vanamente in u n a rete, e il pescatore gi
levava su di lui il suo coltello q u a n d o offrii in cambio il solo bene che mi rimanesse: il mio cavallo. E
rimasi solo sulla riva, con il mio pesce. Le preoccupazioni, lo scoraggiamento mi attendevano al varco.
Il caso volle che mi addormentassi sulla sabbia tiepida e n o n mi ridestassi che al tramonto. Una m a n o
salda e tenera mi toccava la spalla, u n a voce suadente mi diceva all'orecchio: "Mehend, alzati e seguimi". Ora, il pesce era scomparso, e davanti a me
vi era il giovane dagli occhi di falco che doveva salvare tua figlia! Divenne come un fratello per me. Per
sette anni a b b i a m o errato per il mondo, alla ricerca
del tuo regno e di quanto di pi prezioso tu possedevi: tua figlia. Egli ha fatto di me l'uomo che tu vedi. Mi ha condotto fino al tuo palazzo, lui che trionfa sui misteri. E ora, o re potente e rispettato, tu
conosci la mia storia. Non legittimo che io vada
verso quel padre il cui delitto stato quello di avermi troppo a m a t o e verso quella madre che mi pian250
ge da tanti anni? Trattieni presso di te il nostro piccolo: sar il tuo erede. E lasciaci andare, tua figlia e
me, verso mio padre e mia madre.
Figliolo, rispose gravemente il sultano tutto ci
che hai appena detto giusto. Tratterr con me il principino. Egli sar la mia gioia. Non appena mia figlia
sar pi in forze vi metterete in cammino, quand'anche ci mi dovesse costare non poche lacrime.
Sumisha, ripresasi dal parto, pot intraprendere il
viaggio in primavera. Il sultano le diede u n a scorta
scelta e u n a lunga carovana di muli carichi di u n o
s p l e n d i d o c o r r e d o e di i n n u m e r e v o l i doni. E
Mehend, cullato dal passo del suo cavallo nero, pregustava strada facendo la gioia che avrebbe recato ai
suoi genitori e al suo popolo. "Mi c r e d e r a n n o
senz'altro morto" pensava ogni tanto con u n a certa
tristezza "e vi sono sorprese troppo forti che posson o f a r cedere u n c u o r e d i m a m m a logorato dalla
sventura e dall'attesa..." Giacch egli non sapeva che
sua m a d r e era stata avvisata del suo ritorno (ma poteva forse i m m a g i n a r e che col favore del cielo sua
m a d r e lo aveva seguito tappa per tappa, a dispetto
della distanza e del silenzio, per questi otto anni di
assenza, lunghi come un secolo?).
La povera regina aveva versato torrenti di lacrime
dopo la partenza del figlio per il paese di Sumisha, e
per giorni e giorni si era tenuta alla larga dalla luce e
dal cibo. Dio fin per muoversi a compassione e le
invi un sogno. E da allora essa conobbe la pace.
Era u n a notte di forte vento. La regina, spossata,
si era a p p e n a assopita q u a n d o vide, al posto della
breccia fatta nel m u r o dall'osso del cosciotto, un'alta
finestra tutta di m a r m o bianco. Davanti a questa finestra, in un'enorme giara, u n o slanciato melograno
era sbocciato al sole. La regina ud u n a voce che le
sussurrava nell'orecchio: Fintanto che quest'albero
251
giumenta azzurra veloce come un fulmine. E cercava di percepire la voce lontana della polvere mentre
Mehend, ardente di impazienza, spronava il suo cavallo nero, gridando alla sua interminabile scorta di
affrettarsi, dal m o m e n t o che le frontiere del regno
erano da poco in vista.
La regina, quel mattino, si era vestita di porpora.
La voce della polvere riempiva tutto il cielo. E la terra
tremava per il galoppo dei cavalli. Accanto all'albero
magico, essa pettinava con cura i suoi lunghi capelli
di seta. La speranza l'aveva m a n t e n u t a giovane e bella. E Mehend, abbagliato, la scorse di lontano.
In un baleno fu alle porte del palazzo.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!
8. IL FLAUTO D'OSSO
9. I CAVALLI DI L A M P I E DI V E N T O
no! Sono stufo dei prati e del cielo di qui. Voglio scoprire il mondo. Ma, fratello, rispose l'altro nostra madre n o n ha che noi... Il p r i m o lo interruppe:
Tu veglierai su nostra madre, sulla nostra casa e sui
nostri beni. E io partir da solo sul mio cavallo di
lampi e di vento. Prender la m i a carabina, la mia
sciabola e u n o dei nostri levrieri, lasciando a te l'altro. Pianter un albero: fintantoch le sue foglie sar a n n o verdi, sta' sicuro che d o v u n q u e io mi trovi
sar in b u o n a salute. Se le vedrai ingiallire, allora
capirai che mi capitata u n a sventura, e volerai in
mio soccorso. Il levriero che ti lascio ti condurr fino a me.
Prese la sua sciabola, la sua carabina, il suo levriero e part sul suo cavallo di lampi e di vento.
E r a da poco in viaggio q u a n d o incontr due pastori di capre. E r a n o assai contrariati e agitati. Gli
dissero: Lo sciacallo ci m a n g i a t u t t o il b e s t i a m e .
Questa notte lo attenderemo al varco. Veglier con
voi dichiar il giovane. Se ci libererai da lui, ripresero i caprai ti daremo u n a capra.
Egli uccise lo sciacallo nel c u o r e della notte, al
m a t t i n o scelse la sua capra e disse ai pastori: Custoditela fino al m i o ritorno. Dopodich si allontan. Cavalcava da molto tempo quando lo fermarono dei pecorai: Per Dio, gli dissero uccidi
l'uccello predatore che afferra tra le sue grinfie i nostri agnelli!.
Nell'ora in cui il sole pi potente, l'ora calda in
cui i pastori si riposano sotto gli alberi, un'aquila discese dal cielo. Mentre stava per gettarsi in picchiata
su un agnello, ricevette un colpo mortale e si abbatt
al suolo, con le ali distese. I pastori presero a gridare: Che Dio rafforzi il tuo braccio. Noi ti siamo grati! Adesso, scegli la t u a pecora. Egli indic la pi
bella e disse: Custoditela f i n o al m i o ritorno. E
258
prosegu il suo viaggio. Continu ad andare, ad andare, ed ecco che lo scorsero dei m a n d r i a n i . Essi
corsero da lui, dicendogli: Dio che ti m a n d a per
liberarci da u n a tigre mostruosa che, ogni notte, divora u n o dei nostri animali!. Il giovane ebbe ragione a n c h e della tigre. I m a n d r i a n i gli d i e d e r o u n a
mucca (la pi bella). Ma egli disse loro: Custoditemela, ritorner.
E risal sul suo cavallo di lampi e di vento. Stava
percorrendo grandi distese aperte quando dei custodi di giumente si lanciarono per sbarrargli la strada:
La t u a f a m a giunta fino a noi gli dissero. Accetta la nostra ospitalit e uccidi il leone che non solo
di notte, ma anche di giorno ci sottrae le nostre giumente.
Il giovane si nascose dietro un albero e tese un'imb o s c a t a al leone. Ud da l o n t a n o il leone avanzare
ruggendo. Lo lasci avvicinare e mir alla sua fronte, p r o p r i o in mezzo agli occhi. Il leone croll e il
giovane ricevette u n a nobile giumenta. Ma disse a
coloro che gliela offrivano: Custoditela fino al mio
ritorno.
E si allontan sul suo cavallo di lampi e di vento.
Ma degli allevatori di cammelli lo bloccarono. Gli
dissero: Conosciamo le tue gesta da prode; hai ucciso u n a tigre, un leone. Ma un animale feroce, n o n
sappiamo quale (tigre, leone o pantera), ci sta decim a n d o il gregge. Se tu trionferai su di lui, ti d a r e m o
quello che vorrai.
Il giovane uccise l'animale (era u n a pantera), scelse u n a cammella e disse agli allevatori di cammelli:
Custoditemela, ritorner .
Dopodich si affid al suo cavallo di lampi e di
vento e si lasci trasportare da lui. Viaggi, viaggi,
giorno e notte, incessantemente.
Attravers fiumi, percorse pianure, valic monti.
259
Lasci in lontananza il suo paese, sempre pi distante alle sue spalle, e penetr in u n a contrada fertile e
verdeggiante. Un grande villaggio apparve alla sua
vista; egli vi entr. Un banditore stava proclamando
per le vie: Il sultano fa sapere: "A colui che liberer
il mio reame dal drago-dalle-sette-teste che impedisce alla gente e agli animali di avvicinarsi alla fonte,
c o n d a n n a n d o l i a m o r i r e di sete, a c c o r d e r quello
che domander".
Mehend si rec nel luogo in cui si r i u n i v a n o gli
anziani e i notabili. Si fece avanti e chiese: Informatemi: chi questo drago che c o n d a n n a alla sete
tutta la contrada?.
Uno di essi rispose: un drago che ha sette teste
e u n a coda temibile; se ne sta vicino alla fonte. L'uomo o l'animale che osa andare fin l perduto: viene
preso tra le sette teste e la coda del drago, e in un
lampo di lui n o n resta pi nulla.
Il giovane riflett e di nuovo chiese: Tra tutte le
ricchezze del sultano, qual la pi preziosa?. Sua
figlia, rispose il pi anziano dell'assemblea la sua
unica figlia che supera in bellezza tutte le fanciulle
del regno. B i a n c a e rosea, g r a z i o s a e a s s e n n a t a , i
suoi capelli sono morbidi e r a m a t i come quelli del
mais. Quanti pretendenti sono venuti invano da ogni
dove per sposarla! Il sultano n o n la d a r che a un
u o m o valoroso, capace di azioni da prode.
Domani, sul far del giorno, conducetemi al luogo
dove si trova il drago-dalle-sette-teste! e s c l a m
Mehend.
L'indomani all'alba era gi in piedi. Prese la sciabola, condusse con s un pastore col suo gregge per
attirare il drago. Segu quindi la via che portava alla
fonte, accompagnato dagli anziani e dai notabili. Al
loro avvicinarsi, la fonte si mise a ribollire e il drago
fece emergere u n a delle sue teste: il giovane la tagli.
260
Sopraggiunse il sultano in persona: Da dove torni? gli chiese. Ero cos inquieto per te! Fu allora
che Ahmed parl. Vi sbagliate disse. Io non sono
Mehend, sono suo fratello gemello. Quando Mehend
part, p i a n t a m m o un albero. Dal m o m e n t o che le
sue foglie h a n n o cominciato a ingiallire, ho capito
che dovevo m e t t e r m i i m m e d i a t a m e n t e alla ricerca
di mio fratello.
Il sultano lo guard a lungo, e alla fine disse: Figliolo, t u o fratello viveva felice in mezzo a noi. La
sua f a m a lo aveva preceduto fin qui; la notizia delle
sue imprese era giunta fino a me. Nel corso del suo
viaggio aveva seminato il bene, ucciso u n o sciacallo,
un'aquila in volo, u n a tigre, un leone, u n a pantera.
Quando Dio ce lo mand, il drago-dalle-sette-teste ci
tiranneggiava e ci condannava a morire di sete. Tuo
fratello entr in questo villaggio mentre vi facevo annunciare: "A colui che ci liberer dal drago-dalle-sette-teste, dar quello che mi chieder". Egli riport la
vittoria su di lui e io gli diedi in sposa mia figlia, dai
capelli di seta, la mia unica figlia, cara ai miei occhi
quanto il firmamento e pi del mio regno e di tutti i
regni della terra. Sapevo che t u o fratello era un
grande cacciatore. Un giorno gli dissi: "Ecco il mio
regno; potrai percorrerlo tutto a tuo piacimento, andare a est, a ovest, a sud, a nord, andare dovunque
vorrai, tranne che dalla parte della foresta, poich di
tutti coloro che h a n n o preso quella direzione non
pi tornato nessuno!". Vivevamo in pace. Vivevamo
felici. Mia figlia stava per darci di l a poco un bambino. E speravamo di vedere il mio palazzo popolato
da principini e p r i n c i p e s s i n e q u a n d o t u o fratello
part per non fare pi ritorno. Pensammo: "Avr forse avuto nostalgia del suo paese?...". Adesso t e m o
che se ne sia andato dalla parte della foresta e gli sia
successo qualcosa!.
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10. L O S V E G L I O E I L S E M P L I C I O T T O
11. M I A M A D R E M I H A S G O Z Z A T O ,
MIO PADRE MI HA MANGIATO,
MIA SORELLA HA RADUNATO LE M I E OSSA
Si narra che un tempo, q u a n d o la carne era rara, cos rara che se la sognavano, un u o m o disse un giorno
alla moglie: Domani a v r e m o degli invitati. Comprer della carne al mercato perch tu possa farci un
b u o n cuscus delle grandi occasioni.
275
Si rec quindi al mercato al m a t t i n o presto e ritorn tenendo tra le mani u n a filza di pezzi di carne,
infilati come cipolle lungo lo stelo di un giunco. Era
della bella carne di montone tenera e grassa. La moglie aveva gi acceso il fuoco in cortile e preparato i
grani del cuscus, dei grani cos biondi che emanavano luce. Aveva sbucciato e lavato le verdure. Aveva
messo la carne a macerare nell'olio di oliva con ogni
sorta di aromi e spezie: la carne e le verdure riempivano u n a terrina. La donna vers il tutto nella pentola. Dopodich mise a cuocere il cuscus a vapore e
a n d t r a n q u i l l a m e n t e a sedersi sulla soglia
dell'uscio; suo marito sarebbe stato fiero di lei, il pasto sarebbe stato pronto all'ora giusta e prometteva
di essere eccellente.
In un attimo, un gradevole p r o f u m i n o cominci a
diffondersi nel cortile. La d o n n a si alz per controllare il sale. La carne era quasi cotta: ne prese un pezzetto e si allontan. Ma l'odore la seguiva, il b u o n
odore del sugo la avvolgeva e la richiamava irresistibilmente verso la pentola. La d o n n a attizz il fuoco,
aggiunse un ceppo, se ne and fino all'otre di pelle di
capra all'altro capo del cortile. Ma il vento le rigettava in viso il b u o n odore del sugo. Allora, torn sui
suoi passi, prese a girare, aggiunse ancora della legna e fin per sollevare il coperchio. Tir f u o r i un
pezzetto di carne, poi un altro. Un altro e ancora un
altro... Mangiava cos febbrilmente e in fretta che si
scott le dita e la lingua. E se almeno fosse stata soddisfatta la sua golosit! Ma si sarebbe detto che questa si faceva sempre pi esigente a m a n o a m a n o che
la donna tirava fuori un pezzo dopo l'altro. Decisa a
m a n g i a r n e un u l t i m o pezzo, la d o n n a a f f o n d p e r
l'ultima volta il cucchiaio nella pentola, ma non tir
fuori che verdure. Sconvolta, la donna lo introdusse
a n c o r a pi e pi volte d i s p e r a t a m e n t e : la p e n t o l a
276
non conteneva pi n e m m e n o un pezzo di carne! Allora la sventurata si sovvenne degli invitati che suo
marito doveva condurle. Che cosa avrebbe presentato loro? Mentre si strappava i capelli in preda all'angoscia, il suo figlioletto Ali spinse la porta ed entr.
Aveva appena finito di correre nei campi e di bere alla sorgente. E r a r o s e o e t u t t o t r a f e l a t o . Essa lo
sgozz come un agnello e lo fece a pezzetti, che si affrett a gettare nella pentola. Stava facendo sparire
le ultime tracce del suo delitto quando rientr la figlia maggiore, u n a ragazzina silenziosa e dolce. Zaina cap ma non disse motto, temendo probabilmente di fare la stessa fine. Si ritir triste in un angolo.
Poco dopo arriv il padre, in compagnia dei suoi
invitati. Il p a s t o era p r o n t o e il sugo m a n d a v a un
odore invitante. Mangiarono tutti di b u o n appetito,
a eccezione della fanciulla. Il marito si stup di non
vedere il piccolo, che amava come la pupilla dei suoi
occhi. Ma la moglie rispose: I miei genitori sentivano la sua mancanza. Sono venuti questa mattina a
cercarlo col loro asino.
Il m a r i t o si rimise a m a n g i a r e di b u o n a lena.
Quando non rimase pi un solo pezzo di carne n un
granello di cuscus, l'uomo, soddisfatto, offr ai suoi
ospiti della frutta e del caff. Dopodich li riaccompagn. E la moglie corse a riportare un setaccio che
le era stato prestato da u n a vicina.
Allora Zaina si accost al grande piatto di legno
che aveva contenuto il banchetto: adesso era vuoto.
Solo degli ossicini bianchi e fragili giacevano sparpagliati sul fondo: era tutto quello che rimaneva di
suo fratello. La fanciulla li raccolse con cura, li
asciug e li distese sul tetto. Quando f u r o n o ben secchi, li avvolse delicatamente in u n a tela fine e li nascose nel suo lettino.
Appena i suoi genitori si allontanavano, la fanciul277
la prendeva la tela sulle ginocchia e piangeva, piangeva il suo piccolo compagno. Fece cos ogni giorno.
Ora, avvenne che, per effetto delle lacrime che tutti i
giorni cadevano a dirotto su di loro, questi ossicini
finirono per saldarsi gli uni agli altri. E u n a mattina,
dalla tela scapp fuori un bell'uccellino che si pos
sul tetto e cant:
Mia madre mi ha sgozzato, sgozzato...
Mio padre mi ha mangiato, mangiato...
Mia sorella ha radunato le mie ossa.
La ragazzina riconobbe la voce del fratello e si mise a tremare. "Cosa far mio padre quando lo udr?"
si disse. Infatti ogni giorno il padre chiedeva: Dov'
il piccolo?. E la moglie rispondeva, sempre pi imbarazzata: dai miei genitori, torner presto.
Giunse il m o m e n t o in cui la d o n n a non pot pi
c o n t i n u a r e a rispondere: " dai miei genitori, torner presto". Perch il marito si stava insospettendo.
Dovette finire per dirgli, il giorno in cui si sent messa alle strette: Non so cosa ne sia di lui. Mia m a d r e
mi pa detto che scomparso.
La moglie aveva appena portato un grande piatto
di cuscus con carne e legumi, perch era giorno di
mercato. stato un giorno come questo, e alla stessa ora, che per la prima volta mi sono inquietato per
il piccolo disse l'uomo con voce cupa.
In quel m o m e n t o l'uccellino si pos sul tetto e si
mise a cantare:
Mia madre mi ha sgozzato, sgozzato...
Mio padre mi ha mangiato, mangiato...
Mia sorella ha radunato le mie ossa.
Il padre comprese tutto. Si alz, terribile, e avanz
278
12. L A Q U E R C I A D E L L ' O R C O
al vecchio il suo pasto, gli versava da bere. Dopo essersi l u n g a m e n t e intrattenuta accanto a lui, faceva
ritorno a casa, lasciandolo tranquillo e sul p u n t o di
addormentarsi. Ogni giorno la ragazzina raccontava
ai genitori come si era presa cura del n o n n o e che
cosa gli aveva detto per distrarlo. Il n o n n o era molto
contento q u a n d o la vedeva arrivare.
Ma un giorno, l'orco scorse la fanciulla. La segu
di n a s c o s t o f i n o alla c a s u p o l a e l'ud c a n t i l e n a r e :
Aprimi l a p o r t a , p a d r e m i o I n u b b a , p a d r e m i o
Inubba!. Ud il vecchio rispondere: Fa' risuonare i
tuoi braccialettini, Aisha, figlia mia!.
L'orco disse fra s: "Ho capito. Torner d o m a n i e
ripeter le parole della ragazzina; lui mi aprir e io
lo manger!".
L'indomani, poco p r i m a che arrivasse la fanciulla,
l'orco si present davanti alla casupola e disse con la
s u a voce p r o f o n d a : Aprimi la p o r t a , p a d r e m i o
Inubba, padre mio Inubba!. Mettiti in salvo, maledetto! gli rispose il vecchio. Credi che n o n ti riconosca?
L'orco torn a diverse riprese, ma ogni volta il vecchio indovinava chi fosse. Alla fine l'orco se ne and
a trovare lo stregone. Ecco, gli disse c' un vecchio immobilizzato che abita fuori del villaggio. Non
vuole aprirmi perch la mia voce profonda mi tradisce. Indicami il m o d o di avere u n a voce fine e chiara
come quella della sua nipotina.
Lo s t r e g o n e rispose: Va', cospargiti la gola di
miele e stenditi a terra al sole, con la bocca spalancata. Vi entreranno delle formiche e ti raschieranno
la gola. Ma un giorno non baster per farti schiarire
e affinare la voce!.
L'orco fece quello che gli aveva r a c c o m a n d a t o lo
stregone: c o m p r del miele, se ne riemp la gola e
280
a n d a s t e n d e r s i al sole, c o n la b o c c a a p e r t a . Un
esercito di formiche entr nella sua gola.
In capo a due giorni l'orco si rec alla casupola e
cant: Aprimi la porta, padre mio Inubba, padre mio
Inubba!. Ma il vecchio lo riconobbe ancora. Allontanati, maledetto! gli grid. Lo so bene chi sei!
L'orco se ne torn a casa.
M a n g i a n c o r a e a n c o r a il miele. Si distese p e r
lunghe ore al sole. Lasci andare e venire per la sua
gola legioni di formiche. Il quarto giorno, la sua voce era fine e chiara come quella della fanciulla. L'orco se ne and allora dal vecchio e cantilen davanti
alla sua casupola: Aprimi la porta, padre mio Inubba, p a d r e mio Inubba!. Fa' risuonare i tuoi braccialettini, Aisha, figlia mia! rispose il nonno.
L'orco si era m u n i t o di u n a catenella: la fece tintinnare. La porta si apr. L'orco entr e divor il povero vecchio. Dopodich indoss i suoi abiti, prese il
suo posto e attese la fanciulla per divorare anche lei.
Essa venne. Ma, appena giunta davanti alla casupola, not che del sangue colava sotto la porta. Pens: "Che cosa sar successo a mio nonno?". Sprang
la p o r t a dall'esterno e cantilen: Aprimi la porta,
padre mio Inubba, padre mio Inubba!. L'orco rispose con la sua voce fine e chiara: Fa' risuonare i tuoi
braccialettini, Aisha, figlia mia!.
La fanciulla, che n o n r i c o n o b b e in q u e s t a voce
quella del n o n n o , pos sul sentiero la focaccia e il
piatto di cuscus che aveva portato, e corse al villaggio a dare l'allarme ai suoi genitori.
L'orco ha m a n g i a t o il n o n n o a n n u n c i loro
piangendo. Gli ho sprangato la porta. E adesso che
faremo?
Il padre fece annunciare la notizia sulla pubblica
piazza. Allora ogni famiglia offr u n a fascina e da
ogni parte accorsero degli uomini per portare queste
281
fascine fino alla casupola e appiccarvi il fuoco. Invano l'orco cerc di fuggire. Fece forza con tutto il suo
peso sulla porta che resistette. Fu cos che bruci.
L'anno seguente, nello stesso luogo in cui l'orco fu
bruciato spunt u n a quercia. La chiamarono la
"quercia dell'orco". Da allora, la si mostra ai passanti.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!
13.I
SETTE ORCHI
Egli ne rimase abbagliato e pens: " come se vedessi la luce per la p r i m a volta. La mia vita e la mia anima sono in lei!".
La prese per m a n o e la condusse dai suoi genitori,
incurante del fatto che lei fosse u n a sconosciuta di
passaggio. Egli dichiar loro: Voglio sposare lei o
morir.
Il padre rispose: Figlio mio, io ti ho dato tutto, ti
ho accordato tutto fino a oggi. Mi sei pi caro del
m o n d o e della vita e caro quanto il firmamento, ma
questa ragazza io n o n l'accoglier. Scegliti u n a fidanzata tra le fanciulle del villaggio e posa la m a n o
su di lei. Non far caso n al denaro n ad altro. Ma
lasciarti sposare u n a v a g a b o n d a i n c o n t r a t a p e r la
strada, e di cui n o n sappiamo nulla, non posso tollerarlo: l'onore ce lo vieta, figlio mio, e il nostro n o m e
grande!.
Mehend prese per m a n o la fanciulla e si allontan
con lei senza dir motto. Quando ebbero fatto qualche passo, le disse: Siamo u n a cosa sola, tu e io.
Infatti egli credeva di essere riamato dalla fanciulla. Non sapeva che essa lo aveva stregato.
Percorsero un lungo tratto di strada e si addentrar o n o in piena campagna. Raggiunsero l'eremo, circondato da praterie, in cui abitava un Vecchio Saggio, amico del giovane. L'amico diede il benvenuto ai
visitatori e serv loro un b u o n pasto. Li invit a trattenersi presso di lui per tutto il tempo che avessero
voluto, ed e b b e cos p i e n a m e n t e agio, lui che e r a
perspicace, di studiare la ragazza. La osserv a lungo, con attenzione, e si stup di n o n subire il suo fascino. Alla fine pens: " bella fuori ma brutta dentro". E si ripromise di avvertire di ci quanto p r i m a
il suo giovane amico.
Approfitt di u n a m a t t i n a in cui si trovava solo
con lui nel giardino, per dirgli: Prima che sia trop283
po tardi, separati da questa ragazza. Non p u renderti felice perch n o n reca in cuore il bene. Come
osi sacrificare a lei i tuoi genitori, i tuoi vecchi genitori che h a n n o atteso cos a lungo la tua nascita e ti
h a n n o visto venire alla luce solo dopo aver veduto le
stelle a mezzod! La terra piena di donne!.
Ma M e h e n d rispose: Non esistono pi d o n n e al
m o n d o p e r chi ha visto questa!.
Che tu possa non avertene mai a pentire! gli disse a n c o r a il Saggio.
Dopo essersi ben riposati, Mehend e colei che egli
amava pi della luce lasciarono u n a mattina l'eremo
e proseguirono il loro cammino. Andarono dritti davanti a loro, vivendo di elemosine. Attraversarono
fiumi, valicarono alture. C a m m i n a r o n o , c a m m i n a rono fino a essere spossati e fecero il loro ingresso in
u n a c o n t r a d a che non era abitata da anima viva. La
ragazza dichiar: Sono molto stanca!.
Proprio allora scorsero in lontananza un filo di fumo. Mehend tese il braccio in quella direzione e disse alla compagna: Dev'esserci u n a casa laggi. Dirigiamoci l e trascorriamoci la notte.
Procedettero a fatica verso la casa, che era protetta da u n a siepe di spine. Mehend chiam: sulla soglia si fece vedere un u o m o grandissimo. Egli fece
entrare i due viaggiatori. E fu allora che Mehend e la
sua a m a t a scoprirono altri sei uomini identici al primo, in d i s p a r t e nella p e n o m b r a . La bella r a g a z z a
venne condotta a riposarsi in u n a stanza. E il maggiore dei fratelli disse al giovane: Tu e io ci misureremo nella lotta.
Mehend, che era agile e robusto, stord il suo avversario con u n a testata. Ma un altro si alz e disse:
Eccomi!- A sua volta esso fu abbattuto, e u n o dopo
l'altro lo f u r o n o tutti.
I sette fratelli giacevano in disordine e Mehend li
284
con gran gioia di Mehend, che pot credere che la pace e la felicit fossero tornate per sempre.
Ma u n a mattina che il giovane marito era tornato
a cacciare, l'orco disse alla s u a bella c o m p a g n a :
Ascolta, tu e io a b b i a m o atteso troppo. Questa volta
m a n d e r e m o Mehend tra le fauci del leone. Quando
tuo marito ritorner questa sera, fngi di essere malata da morire e digli: "La mia ultima ora arrivata.
Nulla sarebbe in grado di salvarmi a parte, forse, un
po' di latte di leonessa contenuto in un otre di pelle
di leoncino legato con due peli sottratti ai baffi di un
leone".
L'orco e la giovane donna si sentirono felici e senza problemi per tutto il giorno, tanto erano sicuri di
sbarazzarsi presto di Mehend. Se ne stettero a lungo
in giardino a oziare al sole, e rientrarono solo all'ora
del p a s t o p e r c o n s u m a r e i n s i e m e u n a focaccia d i
f r u m e n t o cos bionda che emanava luce e bere u n a
terrina di latte. Dopodich la giovane donna prepar
il pasto della sera. L'orco m a n d gi di furia la cena
e, dirigendosi verso la botola, disse alla sua compagna: Questa volta, se farai le cose a m o d o e seguirai
le mie raccomandazioni, nulla pi si f r a p p o r r tra
noi due. duro, credimi, dormire tutte le notti solo
in questa buca u m i d a e nera come u n a tomba!.
La giovane donna attese che l'orco fosse scomparso per spogliarsi e andare a letto. Il marito non tard
a rientrare. Appena lo ud, essa si mise a gemere e a
piangere. Egli impallid e disse: Che hai, Dio mio,
ma che cos'hai? Quale sorte si accanisce contro di
noi? E s che non abbiamo distrutto un santuario! E
i miei genitori mi a m a n o troppo per perseguitarmi
con le loro maledizioni per il fatto che ti ho sposata
contro la loro volont.
Tra le lacrime, essa rispose: Sarebbe meglio che
ti rassegnassi a vedermi morire, questa volta. Sento
289
14. S T O R I A D E L B A U L E
zampe, a mezzogiorno su due e la sera su tre l'uomo. Al mattino della sua vita c a m m i n a carponi sulle
m a n i e sui piedi; quand' pi grande c a m m i n a sui
d u e piedi. Da vecchio, si a p p o g g i a a un b a s t o n e .
Quanto all'albero, l'anno: l'anno ha dodici mesi e
in ogni mese vi sono trenta giorni.
Pass u n a settimana. Il giorno del mercato si rivide il figlio del re. Questi chiese: E oggi avete indovinato?.
Parl il sorvegliante. Disse: S, signore. L'essere
che al mattino c a m m i n a su quattro zampe, a mezzogiorno su due e la sera su tre l'uomo. Al m a t t i n o
della sua vita c a m m i n a carponi sulle mani e sui piedi; q u a n d ' pi grande c a m m i n a sui d u e piedi; da
vecchio, si appoggia a un bastone. Quanto all'albero,
l'anno: l'anno ha dodici mesi e in ogni mese vi sono
trenta giorni.
Aprite pure il mercato! c o m a n d il figlio del re.
Quando venne la sera, il principe si accost al sorvegliante e gli disse: Voglio entrare in casa tua. Il
sorvegliante rispose: Va bene, signore.
E si avviarono a piedi. Il principe a f f e r m : Ho
fuggito il paradiso di Dio. Ho rifiutato ci che voleva
Dio. La strada lunga; portami o io porter te. Parla
o parler io.
Il sorvegliante rimase in silenzio. Incontrarono un
torrente. Il figlio del re disse: Fammi attraversare il
torrente o te lo far attraversare io.
Il sorvegliante, che non capiva nulla, n o n rispose.
Giunsero in vista della casa. Apr loro la figlia minore del sorvegliante (quella che era mingherlina ma
piena di intuito). Essa disse loro: Siate i benvenuti.
Mia m a d r e andata a vedere un essere che n o n aveva m a i visto. I miei fratelli colpiscono l'acqua con
l'acqua. Mia sorella si trova tra un m u r o e l'altro.
Il figlio del re entr. Vedendo la figlia pi bella del
294
hai dato il petto: essa il cuore della casa. A noi figlie hai dato le ali: noi non resteremo qui, prenderemo il volo. Ai miei fratelli hai dato le cosce: essi sono
il sostegno, i pilastri della casa. E tu, per te hai preso
le z a m p e p e r c h tu sei l'invitato: sono i tuoi piedi
che ti h a n n o portato fin qui, sono loro che ti riporter a n n o a casa.
L'indomani il principe and a trovare il re suo padre e gli comunic: Voglio sposare la figlia del sorvegliante del mercato.
Il re si indign: Come potresti tu, figlio di re, sposare la figlia di un sorvegliante? Sarebbe un'onta. Diventeremmo la favola dei paesi vicini!. Se non sposo lei disse il principe non mi sposer mai.
Il re, che non aveva altri figli, fin per cedere: Se
l'ami, figlio mio, sposala!.
Il principe offr alla fidanzata oro, argento, ricche
stoffe di seta e ogni sorta di meraviglie. Ma le disse
a n c h e , con aria grave: Ricordati b e n e questo: il
giorno in cui la tua sapienza superer la mia, quel
giorno ci separeremo. Essa rispose: Far sempre
quello che vorrai.
Comunque sia, p r i m a del giorno delle nozze fece
chiamare il falegname e gli ordin un baule delle dimensioni di un uomo, col coperchio m u n i t o di piccoli fori. A questo baule essa rivest l'interno di raso;
vi sistem quindi il proprio corredo e lo port con s
in casa dello sposo.
Le nozze diedero luogo a festeggiamenti che durarono sette giorni e sette notti. Il re imband un enorme banchetto. Per molti anni il principe e la principessa vissero felici a palazzo. E q u a n d o il re mor,
suo figlio gli succedette.
Un giorno in cui il giovane re amministrava la giustizia, si presentarono a lui due donne con un bam296
che sarebbe a n d a t a in vacanza presso la sua famiglia. Raccomand loro di trasportare con delicatezza il baule. E lasci il palazzo senza perdere di vista
il baule che la seguiva.
Una volta che fu a casa dei suoi genitori, la giovane regina apr il baule. Prese d e l i c a t a m e n t e tra le
braccia il suo sposo e lo distese sul letto. Seduta al
suo capezzale, attese pazientemente il suo risveglio.
Fu solo verso sera che il re apr gli occhi. Chiese:
Dove sono? E chi mi ha portato qui?. Essa rispose:
Sono stata io. Ed egli disse ancora: Perch?... Come sono arrivato qui?. Sorridendo essa rispose: Ricordati. Tu mi hai detto: "Guardati intorno, scegli
quello che pi ti piace nel palazzo e portalo via con
te". Ora, nel tuo palazzo nulla mi pi caro di te. Ti
ho preso, e ti ho portato via con me in un baule.
Il re e la regina si compresero. Fecero r i t o r n o a
palazzo, dove vissero felici fino alla morte.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!
15. 0 B U - I E D M I M , F I G L I O M I O !
rai dietro a te. Hai capito bene?... Va' e che Dio sia
con te.
Reskia strinse forte a s il fratello e si allontan
piangendo. Piangendo avanzava attraverso gli alberi. Le apparve u n a radura; la fanciulla si ferm, mise
un po' di midollo t r a le l a b b r a del piccino ed
esclam: O gioia, mio fratello balbetta, mio fratello
sorride!.
E lo vide sorridere e lo sent balbettare. Allora cess di piangere e si rimise in cammino. Attravers la
foresta, tutta la foresta. Quando ne usc, appoggi il
piccino a un rialzo del terreno e disse: O gioia, mio
fratello sta in piedi!. E si meravigli di vederlo stare
dritto sulle sue gambette. Allora gli diede da mangiare ancora un po' di midollo e prosegu il viaggio. Seguiva la direzione dell'ombra e si sentiva pi coraggiosa p e r c h si era lasciata alle spalle la f o r e s t a e
non doveva pi temere gli animali selvatici. Accett
di riposarsi solo al tramonto, alle porte di un villaggio. Mise un po' di midollo sulle labbra del b i m b o ed
esclam: O gioia, mio fratello m e t t e un piede davanti all'altro!.
E lo vide m u o v e r e il suo p r i m o passo. Allora lo
sollev in b r a c c i o ed e n t r nel villaggio. E r a cos
stanca che si ferm davanti alla p r i m a casa per chiedere ospitalit. Le offrirono un b u o n pasto e le prep a r a r o n o un letto. Al levar del sole, ripart s e m p r e
nella stessa direzione. Accanto a un ruscello, depose
il fanciullo ed esclam: O gioia, mio fratello cammina!.
E lo vide c a m m i n a r e lungo il corso d'acqua. Gli
diede a n c o r a un po' di midollo e p r o s e g u i r o n o il
viaggio. L'ora della calura li sorprese sotto gli ulivi.
Reskia mangi dei fichi e un pezzo di focaccia. Poi
mise un po' di midollo sulle labbra di Ali ed esclam:
301
quest'acqua facendo un gran rumore. Uno dopo l'altro, sette serpenti vi caddero dentro. Il cavaliere continu ad agitare l'acqua. Ma, non vedendo comparire altri serpenti, si ferm. Sleg la fanciulla e la fece
stendere su un letto. Mentre si accingeva a uccidere i
serpenti e a gettarli via, essa lo supplic: Schiaccia
loro solamente la testa, ma n o n gettarli via!. Egli fece s e c o n d o i suoi desideri. Allora essa li prese, li
sal, li espose al sole, e q u a n d o f u r o n o completamente secchi li rinchiuse in un otre.
Poco t e m p o dopo, la bellezza di Reskia torn a
sbocciare in tutto il suo fulgore. Il suo colorito ridivenne chiaro e la sua bocca, color della melagrana, riprese a ridere. Ritrov i suoi occhi lucenti e i suoi capelli di seta, i suoi occhi che nessuno poteva
a m m i r a r e senza restarne ammaliato e la massa dei
suoi capelli che le arrivavano fino alla vita. Il cavaliere l'amava. La spos. Era ricco; possedeva numerosi
campi coltivati a ulivi e a fichi, boschi, vigneti, diverse case e un giardino, un giardino di montagna in cui
crescevano fiori di ogni sorta e in cui cantavano, sugli
alberi da frutta, uccelli di ogni specie. In questo giardino Reskia amava passeggiare per lunghe ore. Quanto a lui, al suo sposo, la circondava di tenerezze, la
colmava di doni per farle dimenticare le sue antiche
tristezze. Era sempre teso a soddisfare ogni suo minimo desiderio, felice se la vedeva allegra, infelice se la
vedeva cupa. Ma essa, tra tante ricchezze, e malgrado
un tale amore, non dimenticava suo fratello, giacch
accanto a lui aveva lasciato il suo cuore.
Reskia rimase incinta. Mise al m o n d o un maschietto e lo chiam Bu-Iedmim, che vuol dire "biancospino". Ma la nostalgia che aveva del fratello invece di
diminuire aumentava. E il tempo trascorse.
Il b i m b o aveva ora sette anni. Una mattina la madre gli disse: Ascolta, Bu-Iedmim, q u a n d o t u o pa306
viscere della sventurata che non aveva alcun sospetto. Allora, la giovane sposa disse al fratello: "Hai osservato tua sorella? incinta... Se vuoi convincertene, appoggia la guancia sul suo ventre e sentirai il
fremito della vita". Quelli che lui sent fremere erano
i serpenti, ma credette ben altro... E fu cos che egli
port con s la sorella nei boschi, la fece precipitare
in fondo a u n a buca e la abbandon senza dir motto.
Essa pianse. Pianse e si mise a chiamare. Dapprima
invano. Ma poi si trov a passare di l un cavaliere
che t o r n a v a da un m e r c a t o vicino: era Dio che lo
mandava. Liber la fanciulla. La port con s nella
sua dimora. La cur e la spos.
A m a n o a m a n o che Reskia parlava, vedeva farsi
sempre pi pallida la cognata e sempre pi pallido il
fratello, mentre la terra si schiudeva sotto di loro per
inghiottirli. Tir r a p i d a m e n t e f u o r i dall'otre i serpenti disseccati e, mostrandoli al figlio, fece udire
questa lamentazione:
O Bu-Iedmim, figlio mio,
Cosa mi ha fatto tuo zio Al!
Mi ha condotta nei boschi
E mi ha abbandonata!...
Al e la
nevano fuori solo le loro teste quando Reskia balz
verso il fratello. Lo afferr per i capelli, lo tir fuori,
mentre lasci che la cognata sparisse e la terra si richiudesse su di lei.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!
309
16. S T O R I A D E L V E C C H I O L E O N E
E D E L L O S T O R M O DI P E R N I C I
trovare il Vecchio Saggio e gli raccont il tiro birbone che gli era stato giocato dallo sciacallo.
Non ti disperare gli disse il Vecchio Saggio perch a b b i a m o gi in pugno il t u o nemico. Procurati
un animale bello grasso, uccidilo e abbandonalo in
un c a m p o in cui gli sciacalli siano soliti passare. Nasconditi e osserva: li vedrai accorrere u n o dopo l'altro per mangiarselo. Uno solo di loro si avviciner
c o n u n a certa i n q u i e t u d i n e , c o m e s e fiutasse u n a
trappola. Mi raccomando, non lo mancare, perch
lui che ha voluto la tua morte!
Il leone ringrazi il Vecchio Saggio e si mise immediatamente in cerca della giovenca pi grassa. La
uccise. La fece a pezzi e l'abbandon ai piedi di un
ulivo. Nascosto dietro a un grosso albero, si mise ad
a t t e n d e r e . Uno, due, tre sciacalli si avvicinarono
all'animale con tutta naturalezza. All'improvviso, ne
not u n o che si faceva avanti con grande circospezione, guardava a destra e a sinistra, come se temesse di essere preso. Il leone fece un balzo e con la sua
zampa possente afferr l'avversario.
Finalmente ti tengo! gli disse.
E ne fece un sol boccone.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!
17. S T O R I A D I M O S H E D E L L E S E T T E F A N C I U L L E
ciulle graziose come pernici: tra loro vi era poca differenza di et. La maggiore aveva quindici anni. La
pi giovane, Aisha, ne aveva solo sette. Aisha amava
starsene vicino al fuoco, cos vicino che aveva sempre i capelli impolverati di cenere e le sue sorelle la
soprannominavano: Aisha-Cenerella.
Queste piccine, ahim, non avevano pi la m a m ma. Il padre, in un p r i m o momento, cerc di prendersi cura di loro, ma era maldestro e il compito era
pesante. Si rispos. Come tutte le matrigne, a n c h e
questa matrigna non tard a detestare le orfanelle e
a esigere che il padre se ne sbarazzasse. E s che le
pi grandicelle aiutavano gi nei lavori dei campi,
c o n d u c e v a n o le greggi al pascolo, raccoglievano il
fieno, coglievano le v e r d u r e e i f r u t t i negli orti di
montagna, riempivano alla fonte lontana gli otri di
pelle di capra e portavano anche dalla foresta carichi
di legna secca. Le pi piccole zampettavano per casa
e cercavano di rendersi utili. Le poverine speravano
cos di d i s a r m a r e la malevolenza della m a t r i g n a ,
giacch avevano ben presente il proverbio: sempre
troppo grosso il pezzo di focaccia che sta in mano
all'orfano.
Solo Aisha rimaneva accanto al focolare e si accontentava di spingere nel fuoco i noccioli di olive
sparpagliati intorno a lei. Se ne stava l come un oggetto grazioso, con le manine intrecciate e i piedini
ripiegati sotto di s. Guardava le f i a m m e senza stancarsi. E ascoltava il vento. La cenere si posava come
u n a polvere argentea sul suo viso e sul suo vestito.
Nessuno si stupiva di vederla silenziosa e dolce, immobile per ore. La matrigna e il padre, ritenendola
troppo piccola per capire, non se ne preoccupavano
e parlavano davanti a lei in tutta libert. Aisha non si
allontanava se non malvolentieri dal fuoco, come se
temesse di perdersi qualche grave rivelazione. Giac314
L a s c i a n d o le fanciulle al c o l m o della s o r p r e s a ,
corse a far sapere la notizia al villaggio e a farsi prestare, di casa in casa, i ricchi abiti e i gioielli di cui
intendeva ornare le orfanelle. Tinse loro con l'henn
i capelli, le mani e i piedi. Cominci a macinare u n a
cesta di grano e a cuocere - come voleva la tradizione - il cestino pieno di frittelle che le fanciulle avrebb e r o p o r t a t o in o f f e r t a alla sposina. La m a t r i g n a
consegn loro inoltre dei panieri di uova sode, noci,
uvetta, arachidi e datteri. Se n o n l'avessero frenata
avrebbe dato loro tutto il miele e il burro della casa.
Dopodich fece il bagno alle sette fanciulle. Le vest,
le agghind, le p r o f u m . Le poverine non riconoscevano pi la loro matrigna e ingenuamente si rimproveravano in cuor loro di averla giudicata cos male.
Solo Aisha prevedeva giusto.
Il padre fece partire la mula e la carovana si allontan. Aisha era la sola a sapere che cosa significassero questo viaggio e l'allegria della matrigna. Standosene a c c a n t o al f u o c o aveva infatti colto oscuri
conciliaboli, aveva udito il padre parlare di un misterioso crepaccio, e la matrigna pretendere che egli vi
precipitasse, u n a dopo l'altra, tutte e sette le fanciulle, dopo averle spogliate dei vestiti e dei gioielli che
si erano fatte prestare.
Le orfanelle, in c a m p a g n a , e r a n o graziose come
fiori al sole. Il padre, invece, appoggiandosi a un bastone, avanzava quasi con riluttanza, seguito dalla
mula appesantita dai regali. Preoccupata di conservare il segreto e di prevenire questo nuovo pericolo,
Aisha si teneva il c u o r e c o n a m b o le m a n i , senza
osare alzare lo sguardo sul p o v e r u o m o che le conduceva alla morte.
Le fanciulle c a m m i n a r o n o di b u o n a lena. Ma verso m e z z o g i o r n o dissero di essere stanche. Faceva
caldo, il padre stese loro il burnus sull'erba, all'om317
no cos alcune settimane, senza che Mosh fosse riuscito a far parlare la coda o a sorprendere Aisha.
Un pomeriggio di primavera, seduta in mezzo alle
sorelle nella caverna oscura, la fanciulla rifletteva
malinconicamente: "Se nostro padre non avesse fatto rotolare q u e s t o e n o r m e m a s s o al di s o p r a delle
n o s t r e teste, nella g r o t t a s a r e b b e c h i a r o c o m e da
Mosh; p o t r e m m o intravedere un po' di cielo e sar e m m o pi felici. Tra poco sar estate; ed cos tanto tempo che le mie sorelle non h a n n o visto la luce
del giorno... E invece lui e n t r a ed esce q u a n d o gli
pare! .
Aisha si ripromise di seguire ogni movimento del
gatto e di esplorare il suo rifugio palmo a palmo.
Quella sera Mosh rientr pi tardi del solito. Era
troppo scuro perch Aisha potesse scoprire qualcosa.
Ma non si perse d'animo e disse fra s: "Quello che mi
sfuggito stasera non mi sfuggir al levar del sole!".
Si mise di vedetta assai di buon'ora e vide, attraverso il b u c o g r a n d e c o m e u n a fava, M o s h che si
portava in un angolo della sala e scompariva dietro
u n a grossa pietra senza pi ritornare. Colma di speranza, Aisha si avvicin alla pietra, la tocc, le gir
intorno lentamente e cap che si muoveva. Ne scopr
il meccanismo segreto e prese la via dei campi.
Chi p u dire la sua meraviglia davanti al ruscelletto che scorreva rapido e allegro tra le canne? Vi si
b a g n il viso e sollev lo s g u a r d o verso gli alberi
maestosi che ridevano nel cielo chiaro con tutte le
loro foglie e i loro frutti. Aisha si trovava in un frutteto incantato in cui gli uccelli si rimpinzavano di albicocche, di pesche, di prugne, di pere e di nespole.
Si arrampic di r a m o in r a m o e mangi di tutti questi frutti fino ad avere l'impressione che albicocche,
pesche, pere, p r u g n e e nespole le uscissero dalle
orecchie e dalle narici. Allora pens alle sorelle. Ri322
v o l t a n d o le c o c c h e del vestito lo r i e m p di f r u t t i .
Nell'euforia della raccolta se ne mise fin nel corsetto.
Carica come un somaro, Aisha riusc a stento a raggiungere il rifugio del gatto. In un baleno fece cuocere la solita focaccia di f r u m e n t o rotonda e dorata come u n a l u n a e si a f f r e t t ad a n d a r e dalle sorelle,
t e n e n d o un cesto di f r u t t a sotto il braccio. Anche
quel giorno la grotta risuon delle grida di gioia delle sette fanciulle. E per tutta l'estate Aisha pot cos
nutrire le sorelle.
La mia fava o spengo il fuoco! minacciava Mosh
tutte le sere, senza portare a compimento la minaccia. Ma da molto t e m p o Aisha n o n se ne spaventava
pi. Aveva cessato di spiarlo dal b u c o grande come
u n a fava da q u a n d o aveva imparato le sue abitudini
e i suoi segreti. Ma lui non rinunciava all'idea di scop r i r e la p e r s o n a a u d a c e che si introduceva a casa
sua per mangiare le sue provviste e bruciare la sua
legna. Pi che mai esigeva dalla coda che questa gli
desse delle informazioni.
Quella sera d ' a u t u n n o segnata dal destino, Mosh
rientr pi cupo, pi nervoso del solito. Aleggiava per
l'aria un odore di neve precoce e Mosh temeva i primi
freddi. Fece un gran fuoco, vi si accost il pi possibile e si distese soddisfatto sulla pelle di pantera. Questa volta bisognava a ogni costo che la coda parlasse e
informasse il suo padrone. La prese risolutamente tra
le grinfie e le disse, fulminandola con gli occhi: Questa volta mi dirai chi osa entrare qui in mia assenza!
Mi dirai chi mi ha derubato della grossa fava che avevo tenuto da parte per cena! Parla o piscio sulle braci
e ti c o n d a n n o a morire di freddo.
Siccome essa taceva, si mise a riempirla di colpi, e
nel far ci si avvicin inavvertitamente e pericolosam e n t e al fuoco. Nel suo furore la percosse e la graffi cos forte che il pelo veniva strappato a ciuffi e
323
Una sera d'estate, un p o v e r u o m o imbiancato dalla polvere e vestito come un mendicante si present
alle porte del palazzo. Teneva in m a n o il bastone dei
pellegrini. Aisha gli corse incontro: Figlia mia, le
disse lui con voce umile non osavo sperare che mi
fosse d a t a la gioia di rivedere te e le tue sorelle!
Scacciato dalla mia stessa dimora e triste da morire,
non mi rimaneva che l'esilio e questo bastone da pellegrino. Dove indirizzare i miei passi e in quale acqua lavare la mia onta? Perch vi credevo morte, figlie mie! Poteva esistere qualcuno pi miserabile di
me?... Assalito da ogni parte dalle mosche del rimorso, a n d a v o verso il deserto, con gli occhi b r u c i a t i
dalle vie calcinate e dalle l a c r i m e vane. Fu allora
che, a p p a r e n d o tra le dune, un Vecchio Saggio mi
disse: "Uomo! le tue figlie sono ancora in vita. Dirigi
i tuoi passi verso contrade pi verdeggianti!".
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!
18. S T O R I A D E L L A P U L C E E D E L P I D O C C H I O
Una testa? Non avremmo che delle ossa. Ci resta solo la possibilit di acquistare della trippa. Ne avremo
parecchia e m a n g e r e m o a saziet.
Il pidocchio a n d al mercato. La pulce si mise a
macinare il frumento. Quando il pidocchio fu di ritorno, trov la sposa che stava mettendo la pentola
sul fuoco. Lavarono insieme la trippa e la versarono
nella pentola. R i f o r n i r o n o di ceppi il focolare e la
pulce disse: Non ho pi acqua. Corro alla fontana.
Tu va' nella foresta a cercare della legna. Chi torner
per primo controller se c' abbastanza sale.
La pulce prese un otre di pelle di capra, e il pidocchio u n a fune. Uscirono insieme tirandosi dietro la
porta. La pulce se ne and davvero fino alla fontana.
Il pidocchio, invece, se ne a n d p o c o l o n t a n o , in
quel punto del villaggio dove si gettano i rifiuti per
raccogliervi qualche rametto: aveva fretta di arrivare
per primo e controllare lui se stava bene di sale.
Apre la porta, entra, lancia un'occhiata a destra e
a manca: proprio il primo! Allora, prende il mestolo, si avvicina alla pentola; sale su u n a pietra del focolare, solleva il coperchio, si sporge e i vapori lo
f a n n o cadere dentro!
D o p o p o c o arriva la pulce. Si g u a r d a i n t o r n o :
niente pidocchio! Tutta contenta, dice fra s: "Non
a n c o r a tornato. S e n t i a m o se sta bene di sale!". Assaggia quindi il brodo e lo trova salato al punto giusto. Quando immerge il mestolo per la seconda volta, vede galleggiarvi d e n t r o il suo sposo! Lascia
ricadere il mestolo, prende la pentola per i due manici e va a rovesciarla su un mucchio di letame. Dopodich si va a sedere poco discosto, tutta raggomitolata su se stessa. Il mucchio di letame crolla!
Passa il capraio, preceduto dal suo gregge. Vede la
pulce: Che hai, m a d a m a pulce? le chiede. Ohi,
ohi! Cosa mi successo! Il mucchio di letame crol328
19. R U N J A , L A F A N C I U L L A P I B E L L A
DELLA LUNA E DELLA ROSA
Prendete per di qua mentre io andr per di l, e ritroviamoci stasera sotto questo albero.
Al calare della notte, i servi arrivarono con il carniere pieno. Sheikh Smain aveva il suo vuoto. Essi
glielo riempirono e fecero ritorno con lui al palazzo.
L'indomani Sheikh S m a i n volle a n c o r a cacciare. E
questa volta lo a c c o m p a g n a r o n o altri due servitori.
Il principe si divise da loro al bivio e disse, tendendo
la m a n o : Andate per la vostra strada, mentre io andr per la mia e ritroviamoci qui questa sera.
Sheikh Smain fece qualche passo e scorse un perniciotto che zampettava sul sentiero. Lo segu e lo vide scomparire sotto u n a tenda. Si accost alla tenda
e disse a voce alta: Datemi la mia preda!.
Comparve u n a fanciulla, pi bella della luna e della rosa, che gli disse: Mi chiamo Runja. Questo perniciotto non appartiene a te pi di quanto appartenga a noi. E si ritir.
Il principe fece ritorno trasognato al palazzo. Finse u n a forte febbre e si mise a letto. Non mangi pi
e n o n parl pi. Fuori di s, il sultano chiam al capezzale dell'erede tutti i dottori e i maghi del paese.
Poich questi sfilarono tutti invano davanti al malato, il sultano fece annunciare: "A colui che guarir
l'erede al trono dar tutto quello che mi chieder".
Fu allora che si present un giovane: Portatemi
un chilo di candele disse. Io sono u n o scienziato e
vi dico che il principe parler e guarir.
Dopo avere acceso un b u o n n u m e r o di candele, ne
prese u n a e la mise proprio davanti a s. Rivolgendosi a essa, con voce suadente disse: Parla, candela, e
racconta la storia dei fratelli che vivevano insieme in
quel frutteto di m o n t a g n a dove si trovava l'uva rosata pi prodigiosa della terra. Parla, candela, o parler io. Ti ricordi, erano in tre: u n o era falegname,
l'altro sarto e l'ultimo poeta, che vegliavano a turno
333
per far la guardia al frutteto. Il poeta e il sarto dormivano q u a n d o il falegname not un esile arboscello
che s e m b r a v a d a n z a r e sotto la luna. Lo tagli e si
mise a scolpirlo, rivolto verso la luna, dandogli un
corpo e un viso di donna. A sua volta, il sarto si dest
e le fece u n a tunica. Alla fine, il poeta apr gli occhi e
scorse a c c a n t o a s questa b a m b o l a vestita. Pens:
"Il falegname le ha dato un corpo, il sarto un vestito.
Io, invece, p r e g h e r Dio di d a r l e u n ' a n i m a " . E la
b a m b o l a divenne u n a d o n n a di incomparabile bellezza. Al mattino, il falegname disse: "Questa d o n n a
mia, perch io le ho dato il corpo". Il sarto disse:
"Essa mia, perch io le ho dato l'abito". E il poeta
disse: "Essa mia, p e r c h io le ho d a t o l'anima".
Candela, tu che lo sai, dicci di chi questa donna.
Allora Sheikh Smain si alz e disse, spazientito, al
giovane scienziato: Taci. Non mi affaticare oltre: la
donna spetta al poeta che le ha dato l'anima. Che il
sultano, mio padre, mi dia in sposa R u n j a e io guarir.
L'indomani stesso, accompagnato da u n a ingente
scorta, il sultano si present, colmo di gioia, davanti
alla tenda. Ne uscirono sette uomini, maestosi e imponenti come querce: erano i fratelli della fanciulla
pi bella della luna e della rosa. Il sultano disse loro:
Mio figlio, Sheikh Smain, ha deciso di sposare vostra sorella o di morire. I sette fratelli a n d a r o n o a
cercare R u n j a . Il sultano pot cos c o n t e m p l a r l a a
piacimento e benedire Dio che aveva creato u n a bellezza cos sorprendente. E i t a m b u r i e i flauti annunciarono a t u t t o il paese il f i d a n z a m e n t o di Sheikh
Smain e della fanciulla pi bella che si potesse trovare sotto il sole.
Il principe era al colmo della gioia e il sultano, che
l'aveva creduto malato da morire, ne era assai lieto.
Solo Settut era verde di gelosia (la vecchia strega ce
334
l'aveva con Sheikh Smain dal giorno in cui, amministrando la giustizia, non si era precipitato da lei, lasciando perdere tutto, per occuparsi del suo eterno
processo). E cos, essa n o n aspirava ad altro che a
fargli del male.
Una mattina in cui Settut tornava a casa pi furiosa del solito, si tinse in fretta i capelli e le m a n i di
henn. Indoss gli ornamenti pi belli e part alla ricerca di Runja e dei suoi sette guardiani. Arriva il
sultano per portarsi via la nuora! annunci in tono
secco ai sette fratelli. Preparatevi a riceverlo. E se
ne torn a casa leggera, felice di essersi finalmente
potuta vendicare di Sheikh Smain.
Quand' cos, dissero mortificati i sette fratelli
poich il sultano non si cura n e m m e n o di avvisarci
in anticipo del suo arrivo e ci tratta senza riguardi,
partiremo senza perdere un momento. E quando arriver, trover solo il vento! R u n j a si affrett a scrivere qualche parola nascondendo poi il proprio messaggio sotto u n a pietra accanto al focolare, prima di
seguire docilmente i suoi fratelli. Questo messaggio
diceva: "La pace sia su di te, Sheikh Smain. Se mi
vuoi ancora come sposa, vieni a cercarmi nel paese
delle Indie".
Pi malefica del diavolo, Settut si compiacque di
f a r sapere al sultano che la f i d a n z a t a di suo figlio
aveva abbandonato il reame, che i suoi sette fratelli
avevano deciso di p i a n t a r e le t e n d e ai confini del
m o n d o e di promettere Runja a un principe infinitam e n t e pi valoroso e f o r t u n a t o di Sheikh S m a i n .
Toccato sul vivo, il sultano proib di informarne il figlio, perch temeva di vederlo nuovamente perdere
la voglia di mangiare e di bere. Fece anche sapere,
con discrezione, ai suoi sudditi: Colui che oser dire a mio figlio che la sua fidanzata l'ha lasciato per
un altro, sar decapitato.
335
Era destino, tuttavia, che la notizia dovesse arrivare ugualmente alle orecchie del principe. Una bella
sera due giovani stavano facendo il gioco delle arance davanti alla sua porta. Il perdente esclam all'improvviso: Questo b r u t t o tiro assomiglia m o l t o a
quello che h a n n o giocato a Sheikh Smain!. Ora,
Sheikh Smain era alla finestra. Si sporge e grida al
giovanotto: E qual questo bel tiro che mi avrebbero giocato? Me lo vuoi dire? Perch Sheikh Smain
s o n o io. Ebbene, la t u a f i d a n z a t a ha lasciato il
paese. I suoi fratelli l'hanno portata con s all'altro
capo del mondo.
Il principe pag le arance del perdente. Poi prese
il fucile e il cavallo, e part in tutta fretta verso la foresta. Ma dov'era la tenda che ospitava la fanciulla
pi bella della luna e della rosa?... Il principe stava
per fare dietrofront, q u a n d o u n a cosa attrasse la sua
attenzione: era, sotto u n a pietra, il messaggio che gli
aveva lasciato Runja. Egli lo lesse: "La pace sia su di
te, Sheikh S m a i n . Se mi vuoi a n c o r a c o m e sposa,
vieni a cercarmi nel paese delle Indie".
Il principe torn al palazzo senza perdere tempo,
riemp un sacco di monete d'oro e, tenendo per le redini il cavallo, annunci ai genitori che era risoluto a
ritrovare Runja, pi bella della luna e della rosa, o a
morire. Invano sua m a d r e cerc di trattenerlo con le
sue lacrime. Egli part. E lei lo segu a lungo con lo
sguardo.
And. And sul suo cavallo nero. Incontr un pastore: Pastore, non hai notato u n a carovana che si
portava via u n a fanciulla? gli grid Sheikh Smain.
Due giorni or sono passata u n a fanciulla pi bella
della luna nel firmamento. Essa mi ha gettato questo
anello con queste parole: "Da' questo anello al cavaliere che ti chieder notizie di me". Il principe si
336
bella e, se non bastasse, anche buona, perch ti occupi di u n a povera maldestra come me. Io sono la
moglie di Sheikh Smain. E le mie due compagne che
ti s o r r i d o n o dal b a l c o n e s o n o a n c h ' e s s e spose di
Sheikh Smain. Se non fossi cieca le potresti vedere.
Sheikh Smain! esclam Settut. Hai proprio detto
Sheikh Smain? Ma quello che hai appena nominato
il figlio della m i a cara sorella! Conducimi da lui
immediatamente, in m o d o che io sia la prima a salutarlo e a stringerlo contro il mio cuore!
La giovane d o n n a la prese per m a n o e la condusse
al cospetto del suo padrone. Settut si gett sul principe e lo abbracci. Facendogli mille moine, venne a
sapere da lui tutto quello che sperava di udire. Dopodich, si separ da lui e corse dal sultano veloce
come il fuoco. Sheikh Smain, tuo figlio, ritornato! gli a n n u n c i a n s i m a n d o . Ha p o r t a t o con s
R u n j a pi bella della l u n a e della rosa e d u e altre
giovani d o n n e , oltretutto di u n o splendore pari al
suo. E q u e s t o p a l a z z o che fa impallidire il t u o al
confronto, questi giardini incantevoli e queste fontane appartengono tutti a lui!
Il sultano prov un grande dispiacere a vedersi superato in tutto.
Sheikh Smain si considerava il pi appagato degli
u o m i n i : aveva ritrovato il suo paese. E viveva in
m e z z o a spose belle e a s s e n n a t e le quali, lungi
dall'invidiarsi e dal nuocersi a vicenda, si amavano.
Cos, non mancava ogni mattina di rendere grazie a
Dio, nel suo cuore, per tutto questo, col viso rivolto a
oriente.
Ma ecco che un bel giorno volle associare a questa
felicit suo padre, il sultano. Eccolo decidere di offrire un banchetto degno di lui. Allora, quella tra le
sue spose che aveva il viso di latte non dovette far altro che rigirare un anello d'oro che aveva al dito per
343
dre nel m o d o pi piacevole di questo m o n d o , raccontandogli del suo viaggio fino al paese delle Indie.
Bianco dalla p a u r a e dalla r a b b i a , il s u l t a n o lo
ascoltava appena. Respirava a fatica, e la gelosia lo
rodeva c o m e un f u o c o divoratore. Fu cos che
Sheikh Smain sfugg a questa m o r t e che sembrava
cos sicura.
Ma quanto pi il sultano si sentiva impotente contro suo figlio e le forze che lo proteggevano tanto pi
si esasperava il suo desiderio di stroncarlo. Una mattina, n o n p o t e n d o n e pi, a n d a trovare S h e i k h
Smain e gli chiese: Di grazia, esiste qualcosa in grado di sopraffarti? Forse la polvere da sparo, o il ferro, o la corda?.
Il principe, che si stava riposando accanto a u n a
fontana, nel suo magnifico giardino, rispose semplicemente: Io non temo n il piombo, n il ferro n i legami. Tutti i fucili del m o n d o potrebbero sparare
contro di me senza colpirmi; tutte le lame potrebbero
trafiggermi senza che io soccomba. E spezzerei qualunque legame, foss'anche fatto con pesanti catene.
Ma allora, qual la cosa che potrebbe avere ragione di te? Ce ne sar pure una!
Il principe riflett un po' p r i m a di rispondere. Disse: Qui, nella mia tasca, tengo u n a catenella d'argento. Se acconsentissi a consegnartela in m o d o che
tu possa avvolgermela intorno ai polsi, solo allora
sarei senza difesa. Ti prendi gioco di me riprese il
sultano. Come vuoi che ti creda? Prova. Quando
mi avrai legato con questa catenella dall'apparenza
cos fragile, mi vedrai in t u a balia e alla m e r c di
chiunque mi volesse far del male.
Tremante, il sultano prese la catenella e leg i polsi di suo figlio, che tent invano di liberarsi. Solo allora il principe si sovvenne di ci che gli aveva detto
la giovane moglie dalla nobile acconciatura per met346
terlo in guardia, q u a n d o si era avviato verso la fontana dove lo attendeva suo padre: Mio signore, gli
aveva gridato la sposa che aveva il potere di trasformarsi in un negro mio signore, vedo del sangue tra
i tuoi parenti e questa volta temo che nulla possa salvarti!. Ed era stato cos sventato da risponderle ancora: Si compiano la volont di Dio e quella di mio
padre!.
Una gioia diabolica pervadeva il sultano davanti a
questo figlio invulnerabile rimasto ormai senza pi
difesa. Si poteva essere cos stupidi o pazzi da consegnarsi tra le mani del proprio peggior nemico? Finalmente il sultano avrebbe potuto godere del palazzo incantato, dei giardini dalle molteplici fontane e delle
tre d o n n e meravigliose che vi regnavano! Delirante di
gioia, chiam i suoi servitori e ordin loro di cavare
gli occhi a Sheikh Smain e di metterglieli nelle tasche.
Il principe privo della vista rimase fermo, in piedi,
pi debole di un bambino, con i polsi segati e insanguinati dalla minuscola catenella che si era sforzato
disperatamente di rompere. Il sultano diede ordine
di caricarlo su un mulo e di condurlo nel folto della
foresta per farlo divorare dalle belve feroci.
Appena g i u n t o nel fitto della foresta, Sheikh
S m a i n disse al servo che lo a c c o m p a g n a v a : E tu
non avrai piet di me, n o n mi libererai i polsi, non
spezzerai questa maledetta catena che ha fatto di me
la pi miserabile tra le creature?.
Il servo lo liber e si ritir tutto confuso. E il povero
principe si sedette ai piedi di un albero e si mise a meditare. Stava sopraggiungendo la notte, u n a notte fresca. Sheikh Smain era solo col r u m o r e delle foglie e
del vento. Per difendersi non aveva che un bastone
posato accanto a lui e qualche pietra. Ma avrebbe poi
potuto servirsene? E r a cieco... All'improvviso percep, molto in alto, u n a sorta di lamento: era un'aqui347
la tutta spiumata che implorava i suoi piccoli di coprirla con le loro ali perch tremava di freddo. Niente da fare rispondevano feroci gli aquilotti. Puoi
tranquillamente morire di freddo, se vuoi. Quello che
succede a Sheikh Smain ci insegna che non bisogna
aspettarsi bont da parte dei genitori e che bisogna
trattarli senza piet. Maledetto sia il padre che ha cavato gli occhi del migliore dei principi e lo ha condotto nella foresta perch finisca in pasto alle bestie feroci! Sheikh Smain ha i suoi occhi nelle tasche
rispose in tono grave la vecchia aquila. Se vuole rivedere la luce del b u o n Dio, prenda un po' di foglie di
questo bell'albero al quale addossato, le mastichi e
poi se le sprema contro le palpebre. Dopodich, dovrebbe rimettere delicatamente ogni occhio al suo
posto e attendere. Di l a un momento, la luna rotonda gli apparirebbe tra le stelle, nel cielo, e domani la
luce del giorno lo abbaglierebbe al risveglio.
Sheikh S m a i n ascolt il d i s c o r s o della vecchia
aquila e preg Dio che si realizzasse quello che aveva appena udito. Tese le braccia e colse u n a manciata di foglie strappandole da un r a m o basso. E r a n o
foglie strette e lisce. Le mastic. Non appena ne ebbe spremuto il succo nelle orbite, prese delicatamente gli occhi e se li rimise, quello sinistro a sinistra e
quello destro a destra, con grande pazienza, per paura di sbagliare. Poi chiuse le palpebre e attese, trem a n d o per la speranza. Quando li riapr, un attimo
dopo, la luna lo guardava nel cielo trapunto di stelle.
Sheikh Smain ringrazi la vecchia aquila e rese grazie a Dio nel suo cuore. Quindi si avvolse stretto nel
burnus e si a d d o r m e n t felice, su un giaciglio di foglie
secche. La luce del b u o n Dio lo abbagli al risveglio.
Si alz. Colse un mazzo di foglie dell'albero miracoloso, riprese il suo bastone e si rimise in cammino.
And s e m p r e d r i t t o a t t r a v e r s o la foresta. Cam348
bero m i r a c o l o s o e t u t t o il latte si t r a s f o r m in un
enorme blocco di burro. Stupita, la vecchia chiam
le vicine: esse accorsero a frotte per constatare il miracolo e supplicare Sheikh Smain di venire da loro a
battere il burro. Ben presto il principe si vide attribuito l'epiteto di "Mehend che batte il burro", e la
sua popolarit si estese a tutto il regno.
Sheikh Smain conobbe la pace in mezzo a queste
persone semplici che lo amavano. Ma stava scritto
che dovesse conoscere altre tribolazioni. Se ne rese
conto il giorno in cui vide il padre adottivo estrarre
da un vecchio cassettone un fucile antiquato e arrugginito e cominciare a lucidarlo. Padre mio, disse
perch quest'arma? Figliolo, il nostro signore, il
sultano, vuole che a n d i a m o anche noi a batterci contro il negro che difende il palazzo e le mogli di suo
figlio. Giacch non gli basta aver dato in pasto alle
belve della foresta il nostro bel principe, dopo avergli fatto cavare gli occhi. Ecco che adesso insidia i
suoi beni e le sue mogli. Ma un negro terribile le dif e n d e f e r o c e m e n t e e le d i f e n d e r fino alla m o r t e .
Sventura agli imprudenti che gli si avvicineranno!
Padre mio, disse Sheikh Smain il tuo posto non
in combattimento. Mi batter io in vece tua. No,
figliolo. La mia vita volge al termine, mentre la tua
a p p e n a agli inizi. La m o r t e p u a n c h e p r e n d e r m i ,
n o n sarebbe u n a grande perdita. Partir io! riprese con maggiore ardore il principe. E la disputa
rischiava di prolungarsi, se la vecchia non vi avesse
posto fine. Partite tutti e due disse. Il padre vigiler sul figlio e io pregher perch mi siate resi al
pi presto.
Partirono dunque, il vecchio a r m a t o di un bastone
e il figlio di un fucile. Un negro gigantesco faceva la
guardia al palazzo incantato. Brandendo u n a scimitarra, menava gran fendenti a destra e a sinistra. Ap350
si pot impedire che u n a voce si levasse e dicesse alla folla: Se volete che questo negro venga abbattuto, date a questo giovane valoroso l'armatura e il cavallo di Sheikh Smain, perch merita questo onore.
E vedrete che uccider il negro irriducibile.
Avvisato, il sultano diede al guerriero il cavallo e la
sciabola di suo figlio che credeva morto da tempo.
Sheikh Smain, in sella al celebre cavallo che gli
era valso tante vittorie, si accinse a piantare la sciabola nell'intestino gonfio di sangue. Il negro si accasci. Alcuni dei combattenti si staccarono dalla folla
per gettarsi pieni di odio su di lui, con la pretesa di
vendicare q u a l c h e c o n g i u n t o . Ma il g u e r r i e r o li
ferm. Ponendosi davanti alla vittima, disse a gran
voce: Quest'uomo morto e il suo cadavere spetta a
me. Che nessuno gli si avvicini!.
I m p a z i e n t e di i m p a d r o n i r s i del p a l a z z o e delle
mogli del figlio, il sultano convoc l'indomani i notabili della citt e disse loro: Ordino che voi dichiariate davanti ai miei sudditi che non vi alcunch di sacrilego nel fatto che io sposi le vedove di mio figlio;
ordino che voi proclamiate ad alta voce che al sultano consentito sposare le vedove del figlio. Va bene, signore risposero umilmente i notabili.
Una folla enorme si assiepava davanti al palazzo
che non era pi difeso da nessuno. Infatti il sultano
aveva i n n a l z a t o il suo s p l e n d i d o t r o n o d a v a n t i al
maestoso ingresso ed era circondato dai sette notabili che sembravano altrettanti bianchi colombi. Un
immenso clamore si alz: erano sei notabili, che gridavano, col viso rivolto al cielo: S, brava gente,
lecito, degno e giusto che il sultano sposi le vedove
di suo figlio!.
Una voce sola, inesorabile e fredda come u n a lama, si alz a sua volta per proclamare: Sventura al
padre che osa insidiare le sue nuore. Sventura al pa352
no; un anello magico mi ha salvato. Allora hai pensato di farmi cadere in u n a botola colma di spade e
di pugnali dissimulata da sontuosi tappeti. Ed alla
mia levriera che devo il fatto di n o n essere morto,
trafitto da ogni parte. Alla fine, hai voluto sapere che
cosa mi potesse rendere impotente e innocuo quanto
un b a m b i n o , e sono stato t a n t o ingenuo da consegnarmi in m a n o tua e farmi incatenare dalla catenella d'argento che, sola, aveva il potere di immobilizzarmi. Mi hai cos avuto alla tua merc e mi hai fatto
cavare gli occhi. Mi hai consegnato in pasto alle belve: io, tuo figlio, cieco e disarmato. Ma questo ancora non ti bastava: hai corrotto i notabili, hai insidiato le mie spose e i miei beni!
E Sheikh Smain, sordo alle grida strazianti che gli
giungevano attraverso le alte fiamme, si allontan,
triste da morire.
Nel suo meraviglioso palazzo lo attendevano il negro fedele che, al vederlo, torn ad assumere le semb i a n z e di d o n n a dalla nobile a c c o n c i a t u r a . Ma il
canto delle molteplici fontane e degli innumerevoli
uccelli, la freschezza della sua sposa dal viso di latte
e dai capelli color del mais, la fedelt e l'amore del
suo popolo, oltre allo splendore di Runja, pi bella
della luna e della rosa, riuscirono a malapena a sedare il male segreto che gli rodeva il cuore.
Il mio racconto come un ruscello, l'ho raccontato a dei Signori!
20. S T O R I A DI B E L J U D H E D E L L ' O R C H E S S A T S E R I E L
ce qualche passo, ma i sassolini si misero a punzecchiarle le spalle. Grid: Tira indietro le ginocchia,
Beljudh, mi fanno male contro la schiena!.
Da lontano, Beljudh le rispose scoppiando a ridere: Cosa vuoi da me, madre-nonna? Credevi davvero di riuscire a tenermi legato con foglie di cipolla
selvatica? Apri un po' il tuo otre, per vedere che cosa
c' dentro!. Furiosa, l'orchessa gett a terra l'otre. Il
legaccio si spezz e i sassolini schizzarono fuori e si
dispersero per ogni dove, ferendo Tseriel a un piede.
Che Dio ti tragga in inganno come tu hai tratto in
i n g a n n o me! grid. Un giorno toccher a te e ti
catturer.
Sperando di sorprendere Beljudh, l'orchessa n o n
mancava di tornare tutti i giorni dalle parti del fico.
Un bel mattino, Beljudh torn sul fico. Si arrampic sul r a m o pi alto e guardando non i suoi piedi
ma il cielo, si mise a gridare: Chi vuole mangiare
dei fichi, chi ne vuole? Il fico di Beljudh carico di
frutti m a t u r i al p u n t o giusto. Chi vuole mangiare
dei fichi fuori stagione? Quelli che vogliono mangiarne accorrano: il paradiso di Dio sceso in terra!.
Nell'ora pi calda, pass l'orchessa. Ud Beljudh
che gridava: Chi vuole dei fichi?.... Protese allora
il braccio tra i rami, e afferr Beljudh per un piede.
Lo rinchiuse in un otre e lo leg saldamente.
Questa volta non ti salverai! gli disse buttandosi
in fretta l'otre sulle spalle.
Invano Beljudh cerc di pungerla con i gomiti e
con le ginocchia. Per quanto si girasse e si rigirasse
nell'otre, non riusc a sfuggire all'orchessa.
Appena arrivata a casa, Tseriel palp Beljudh e
lo trov magrolino. Per farlo ingrassare, lo rinchiuse in una dispensa traboccante di miele, di burro, di
fichi secchi, di datteri e di noci, raccomandandogli:
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21. IL G A T T O P E L L E G R I N O
ce circolare la voce che fosse andato in pellegrinaggio. Un bel mattino, usc, si fece vedere e fece annunciare sulla pubblica piazza e fuori dal villaggio:
Sono andato alla Mecca; mi sono purificato. Adesso onorer Dio. Non manger pi un solo topolino.
Mi sposer e inviter alla festa i miei amici e anche i
miei nemici. A tutti offro un banchetto. Chi mi vuole
bene, venga a f a r m i un saluto. Dovunque vi sia un
topo, venga a farmi visita, affinch ci riconciliamo e
diveniamo amici.
La notizia si sparse di villaggio in villaggio. I topini e le topine che si i n c o n t r a v a n o si dicevano l'un
l'altro: Avete sentito? Il gatto tornato dal pellegrinaggio! Si sposa e ci invita alle nozze! D o b b i a m o
portargli i nostri saluti e le nostre felicitazioni.
I topi erano pervasi di allegria e speranza: Dove
ti metteremo, o gioia! gridavano. Non conosceremo pi la paura. Potremo entrare e uscire a nostro
piacimento perch non dovremo pi temere, ormai,
il nostro unico nemico!
Per rendere onore al gatto pellegrino, i topi indossarono i loro abiti pi belli: delle bianche gandura,
dei burnus del Djerid. Si p o s e r o in capo degli alti
turbanti e si infilarono le scarpe pi nuove. Le topine, da parte loro, si truccarono con cura: si tinsero
di rosso le labbra con corteccia di noce. Si passarono del n e r o sugli occhi e del r o s a sulle g u a n c e .
Estrassero dai forzieri i loro ornamenti pi brillanti
e li indossarono: vesti di seta, veli di tulle. Si annodarono sulla fronte i foulard dalle lunghe frange e si
misero tutti i loro gioielli. Vestirono a festa anche i
loro piccoli. E poi, prepararono dei doni: uova, frutta, fichi secchi, noci, uvetta, datteri, grano, fave. Tutte misero in piccoli cesti quanto di pi prezioso possedevano per offrirlo al gatto pellegrino.
Da parte sua, quest'ultimo prepar con cura il suo
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ricevimento. Tappezz la casa di stuoie, tappeti, coperte. Sigill anche tutti i buchi. In un angolo colloc il proprio trono: lo ricopr di drappi scarlatti, lo
guarn di cuscini. Lasci u n a sola apertura, quella
attraverso la quale dovevano entrare i topi. Davanti
a questa apertura fece appostare un micetto con l'incarico di c o n d u r r e fino al t r o n o tutti i topi che si
presentavano. Dopodich pens alla sua toilette. Indoss u n a jallaba bianca come la neve e si avvolse intorno al capo il t u r b a n t e verde dei pellegrini. Prese
posto sul trono e attese i suoi invitati.
Per prime entrarono le topoline, che tenevano con
u n a m a n o i loro doni e con l'altra i loro piccoli. Seguivano, a gruppi, i topi. Dapprima il micetto condusse dal gatto pellegrino le topoline. Esse gli baciarono il capo e le mani e gli dissero: La pace sia su di
te, gatto pellegrino! Come stai, zio pellegrino? Dio
sia lodato perch sei tornato sano e salvo!.
A loro volta si fecero avanti i topi. Che la tua vita
sia lunga e prospera! gli dissero. Sia benedetto il
tuo pellegrinaggio! Possa tu far ricadere sul nostro
capo qualcuna delle grazie che hai riportato con te
dalla Mecca!
Siate i benvenuti rispose loro il gatto lisciandosi
lentamente i baffi. Eccomi di ritorno. Non abbiate
alcuna inquietudine, solo il bene ci u n i r d'ora in
poi. Ho giurato alla Mecca di non prendermela pi
con alcun topo. Alle topine pi timide disse con voce suadente: Avvicinatevi, avvicinatevi, mettetevi a
sedere senza timore accanto a me.
Il micetto ritirava tutte le offerte per poi metterle
in luogo sicuro. Ben presto la casa fu piena. Si form a r o n o dei gruppi. Le topine si confidavano tra loro: Vedete com' scritta chiaramente sul suo viso la
bont! Reca con s il paradiso e la pace!.
I topi e le topine erano in quantit tale che i tappe414
22. IL F E G A T O D E L CAPPUCCIO
Quando io ero giovane mi dice l'ammirevole narratrice non capivo perch le madri amassero i propri figli pi di quanto questi ultimi le amassero a loro volta. Un giorno, mi rivolsi alla mia vecchia amica Gida
Nana per manifestarle il mio stupore per come la nostra vicina adorasse e proteggesse il suo disgraziato figlio da cui non riceveva che insolenze. Gida Nana, i
cui occhi chiari leggevano in tutte le cose e nei cuori,
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23. L ' U C C E L L O D E L L A T E M P E S T A
di latte. per questo che regnava la letizia e ciascuno traeva proftto dal nutrimento.
Una sera d'inverno, u n a sera di tempesta, si ud la
voce potente di un mendicante, che sovrastava il frastuono della pioggia e del vento. Il pane di Dio, uomini di b u o n a volont! implorava questa voce.
La m a d r e guard i suoi figlioli e il marito, seduti
i n t o r n o al piatto da p o r t a t a di legno pieno fino al
bordo. Riemp quindi u n a scodella di cuscus, di verdure e di carne, e disse: Chi vuole andare a portare
questo allo sventurato che n o n ha p a u r a di uscire
con un tempo simile?. Vado io! disse Yamina, la
pi piccola delle ragazze. E, b u t t a t a s i sulle spalle
u n a vecchia coperta, a t t r a v e r s il cortile sotto lo
scroscio, apr la porta e disse all'ospite di Dio: Ecco
la tua porzione di cena!. Ma il mendicante prese la
scodella ancora calda, la pos sulla soglia, si caric
sulle spalle la fanciulla e s'invol con lei come un uccello sotto la tempesta.
Vol, vol a lungo, lontano da quel villaggio, lont a n o dal p a e s e di Yamina. Fu solo sul finire della
notte che sospese il volo e depose la bimba. La fece
sedere e mangiare al buio e le parl in questi termini: Dal m o m e n t o che sei caritatevole e buona, dal
m o m e n t o che non hai avuto p a u r a di venire da me
con q u e s t o t e m p o , ho voluto la tua felicit e ti ho
portata via con me. Vivrai al centro di un vero e prop r i o p a r a d i s o terrestre. Ti b a s t e r r i g i r a r e q u e s t o
anello che ti infilo alla m a n o sinistra perch ti sia accordato tutto quello che puoi desiderare. Abiterai in
un palazzo. Avrai vestiti di lusso e gioielli a profusione, e p e r a m i c i t u t t i i fiori che ti d i s p e n s e r a n n o ,
d'estate come d'inverno, i loro sorrisi e le loro grazie.
E i f r u t t i pi rari s a r a n n o in attesa di essere colti
dalla tua mano. Solo, quanto a me, che sono accanto
a te e ti parlo, non potrai mai vedermi, perch devo
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cos di primo mattino? Chi ti ha condotta qui, rivestita di questi abiti da principessa, tu che sei scomparsa tanto t e m p o fa, sotto u n a terribile tempesta,
lasciandoci per tutto ricordo u n a ciotola ancora calda e u n a brutta coperta bucata? stato il mendicante che mi ha portata via con s spieg Yamina
dopo avere abbracciato i genitori. Il mendicante se
involato con me nel firmamento e mi ha deposta in
un p a r a d i s o in cui n o n mi m a n c a v a che la vostra
presenza. Questo bisogno di tornare a vedervi e sentirvi si fatto cos aspro che ho finito per ottenere di
ritornare tra voi, ma solo per trenta giorni. Perch
esattamente fra trenta giorni mio m a r i t o torner a
cercarmi.
I suoi fratelli e le sue sorelle accorsero dai villaggi
vicini per festeggiare il suo ritorno. E la casa fu di
nuovo piena, come ai tempi felici dell'infanzia.
Per trenta giorni, Yamina conobbe la felicit di un
tempo, senza rimpiangere per un solo istante le delizie che aveva lasciato. Partecip ai lavori nei campi.
Si rec alla fontana, con la brocca sulla spalla. Mangi il cibo frugale ma g u s t o s o della m a d r e , bevve
l'acqua attinta all'otre di pelle di capra e d o r m su
u n a stuoia, per ritrovare il sonno innocente dei suoi
primi anni.
Ma ecco che, p o c h i giorni p r i m a del r i t o r n o
dell'Uccello della Tempesta, le sue sorelle le chiesero: Yamina, perch non fai che parlarci dello splendore di ci che ti circonda e non ci parli mai, invece,
di tuo marito? Vuoi partire senza dirci com'? Forse
tu non lo ami? Perch fuggito via senza farsi vedere dai nostri genitori? grande, b i a n c o come la
neve o nero come un corvo? Parla. giovane, vecchio e usa il tuo braccio come guanciale? bello come il chiarore della luna o tanto b r u t t o da doversi
velare la faccia?.
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Yamina fin per ammettere: Non so come sia perch non l'ho mai visto!. Sulle prime le sorelle non le
credettero. Yamina prosegu: Non l'ho m a i visto
perch un sortilegio gli proibisce di mostrarsi a me.
E non conoscer il suo volto fintantoch questo sortilegio peser su di lui, perch mi sono impegnata,
sposandomi con lui, a non cercare mai di sorprenderlo.
E tu, povera ingenua, esclamarono le sue sorelle
indignate hai vissuto tutto questo tempo senza mai
ardire di alzare lo sguardo su di lui! Chi se non tu,
sventurata, accetterebbe per marito un essere di cui
non potesse conoscere che la voce?
Yamina abbass il capo. Allora, la maggiore parl
a n o m e di tutte. Disse: Ascolta, se lo volessi, n o n
dovresti far altro che nascondere u n a candela accesa
nel fondo di un vasetto, e cos scopriresti il volto del
tuo sposo. Tutti gli animali della stalla - le mucche,
le pecore, gli agnelli e perfino l'asino - si misero allora a s u s s u r r a r e in m o d o che solo Yamina potesse
udirli: I tuoi parenti faranno la tua infelicit. I tuoi
parenti faranno la tua infelicit!.
Era arrivato l'ultimo giorno. All'ora di cena scoppi la tempesta attesa, simile a quella che un tempo
aveva portato via Yamina. Al culmine della tormenta
si ud u n a forte voce gridare: Il pane di Dio, uomini
di buona volont!.
Yamina era pronta: le sorelle le avevano consegnato u n a piccola candela che lei aveva fatto scivolare
nel corsetto. L'Uccello della Tempesta si lev in volo
con la sposa, avanz attraverso flutti d'inchiostro e
giunse al suo regno poco prima dell'alba.
La fanciulla si ridest nello splendore della sua
stanza tutta tappezzata di seta. Ma dov'era la meraviglia dei primi giorni? Non le restava pi nulla da
scoprire. Prese un abito a caso e sorrise tristemente
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Parte III
Fiabe di incantesimo
1. T E S S H E W A , LA FANCIULLA
SPOSATA DAL F R A T E L L O
2. IL R A P I M E N T O DI KHAWATAN
fuori e dagliele! Mentre si alzava per uscire, la ragazza replic: Mamma, non vorrei che la lepre fosse inseguita da u n a iena, che potrebbe mangiarmi!.
Non fare storie! replic la madre, spingendola fuori. E quando fu fuori, J a b b a r le balz addosso.
E cos essa fu portata via di nuovo. Quando arriv
il fratello, D e r i m a n , chiese alle a m i c h e : Dov'
K h a w a t a n ? . stata r a p i t a da Jabbar! Allora il
fratello le preg: Ors, c a n t a t e m i u n a strofa che
evochi Khawatan. Ed esse cantarono:
Deriman, Deriman, abbi fede in Dio
Khawatan, Khawatan, non pi qui
Jabbar se l' presa, ora in altri paesi
Perch non pascolare il cammello grigio,
fargli ingrossare la gobba?
Riporter Khawatan, che ora in altri paesi...
Udendo ci, egli si mise a piangere, a piangere a
dirotto, e pianse fino a riempire di lacrime l'abbeveratoio di suo p a d r e . Poi c h i a m u n o schiavo e gli
disse: Ors, prepara per un viaggio il mio cavallo,
uno schiavo e me stesso!, poi, rivolto alle ragazze,
le esort: Fatemi gustare ancora un po' di quel canto!. Ed esse cantarono:
Deriman, Deriman, abbi fede in Dio
Khawatan, Khawatan, non pi qui
Jabbar se l' presa, ora in altri paesi
Perch non pascolare il cammello grigio
fargli ingrossare la gobba?...
Udendo ci, egli si mise a piangere, a piangere a
dirotto, fino a riempire nuovamente di lacrime l'abbeveratoio di suo p a d r e . A questo p u n t o t u t t o era
pronto, ed essi partirono.
385
Q u a n d o J a b b a r aveva r a p i t o K h a w a t a n , l'aveva
portata nella sua tenda. Deriman e il suo schiavo, in
sella a un cavallo e a un c a m m e l l o , p a r t i r o n o in
quella direzione.
Giunsero davanti a un albero vecchissimo, decrepito, da cui si levava un bellissimo rametto nuovo.
Deriman lo apostrof: 0 albero, possa colpirti la
maledizione di Dio riservata agli spergiuri se mentirai a questa domanda: chi pi bello tra me, il mio
schiavo, il mio cammello e il mio cavallo?.
Possa colpirmi la maledizione di Dio riservata
agli spergiuri se non dico il vero: tu, il tuo schiavo, il
tuo cavallo e il tuo cammello siete di pari bellezza,
ma vi supera tutti u n a fanciulla che passata di qui.
E stato sufficiente il tocco delle sue dita per farmi
spuntare questo nuovo ramo.
Proseguirono quindi il cammino. Giunsero davanti a un vecchissimo albero della gomma, o r m a i decrepito. Deriman lo apostrof: O albero, possa colpirti la maledizione di Dio riservata agli spergiuri se
mentirai a questa domanda: chi pi bello tra me, il
mio schiavo, il mio cammello e il mio cavallo?.
Tu, il tuo schiavo, il tuo cavallo e il tuo cammello
siete di pari bellezza, ma vi supera tutti u n a fanciulla che passata di qui proprio poco tempo fa. stato sufficiente che passasse di qui e mi toccasse con le
sue dita per farmi spuntare questo bellissimo ramo.
Ripresero quindi il cammino. Giunsero davanti a
u n a vecchia tenda, abitata da u n a donna molto anziana. La tenda era decrepita, malmessa e polverosa.
Quando fu al cospetto della vecchia, Deriman la salut: Che la pace sia su di voi! ripet tre volte. E la
vecchia rispose: Che la pace sia su di voi! Chi che
mi saluta cos?.
Desidero porti u n a d o m a n d a , vecchia: chi pi
386
E concluse: Tutto s o m m a t o il vostro canto proprio azzeccato. E fece uscire Khawatan dal sacco.
Ecco, il racconto se n' a n d a t o per di l, stato
Kashe che lo ha fatto scappare.
3. LA B E L L I S S I M A T E Y L A L E N E IL JINN
Fu cos che la presero, le tapparono bocca e orecchie, la portarono fino a un nido di avvoltoi, e ve la
gettarono dentro. Fatto ci, t o r n a r o n o al villaggio,
sacrificarono u n a c a p r a dalla cui pelle ricavarono
un otre, come p r e v e d o n o i riti f u n e b r i , dopodich
sotterrarono un mortaio per simulare u n a tomba.
Quando f u r o n o di ritorno i fratelli della ragazza,
chiesero alle donne: Dov' Teylalen?. Ed esse risposero: Fatevi forza: m e n t r e voi facevate questo
viaggio Teylalen mancata. Alla notizia essi si misero a piangere, si misero in lutto e non si mossero
pi dalla regione. Un giorno, uno di loro and a cogliere del foraggio p e r il cammello e q u a n d o fu ai
piedi del monte su cui si trovava Teylalen, gli si par
dinanzi un avvoltoio che gli cant: Teylalen, Teylalen se ne sta in un nido di avvoltoi, tra sputi e deiezioni di ogni genere!. Tese l'orecchio e l'avvoltoio
gli ricomparve dinanzi dicendo: Teylalen, Teylalen
se ne sta in un nido di avvoltoi, tra sputi e deiezioni
di ogni genere!.
Correndo e piangendo, egli si affrett allora a raggiungere i suoi compagni (i due fratelli si chiamavano u n o Khaydara e l'altro Minjolo), ai quali annunci: Mi a p p a r s o un avvoltoio che mi ha detto:
"Teylalen, Teylalen se ne sta in un nido di avvoltoi,
tra sputi e deiezioni di ogni genere!". Mentre era
ancora trafelato per la corsa, gli chiesero: E d o v e
che si trova?. Su quel monte laggi. Allora si misero in viaggio, e mentre andavano, si present loro
un avvoltoio che ripet: Teylalen, Teylalen se ne sta
in un nido di avvoltoi, tra sputi e deiezioni di ogni
genere!.
Si inerpicarono cos sulla montagna, fino ad arrivare in cima. Arrivarono dove si trovava la sorella, tra
sputi e deiezioni di ogni genere. La raccolsero, la riportarono all'accampamento, la lavarono e le tolsero
391
fiutarsi. Arrivarono i fratelli e lo percossero cos forte da fargli mordere il fianco dal dolore, ma egli continu a rifiutare di alzarsi. Essi cominciarono ad avviarsi, ma avevano f a t t o p o c h i passi che Teylalen
cant loro: Khaydara, Minjolo, ve ne andate, mi abb a n d o n a t e qui!. Allora t o r n a r o n o indietro e picchiarono il cammello, lo picchiarono tanto da stancarsi, dopodich provarono di nuovo ad avviarsi, ma
anche questa volta udirono alle spalle la sorella che
cantava rivolta a loro: Khaydara, Minjolo, ve ne andate, mi a b b a n d o n a t e qui!. Tornarono di nuovo e
questa volta ridussero il cammello a mal partito a
furia di botte. Loro si stancarono di suonargliele, ma
lui rifiut di alzarsi. Cercarono di tirare via la sorella
dal palanchino, ma ebbero un bel tirare: rischiarono
di farla a pezzi ma n o n riuscirono a strapparla dalla
groppa del cammello. Era colpa di quella cosa appostata in fondo al pozzo, che era un jinn e che la tratteneva: aveva a f f e r r a t o un piede di Teylalen e u n a
z a m p a del cammello e li teneva stretti. Per farla breve, dopo un po', nonostante i suoi richiami, dovettero a b b a n d o n a r l a l. La ragazza continu a ripetere
fino allo stremo: Khaydara, Minjolo, ve ne andate,
mi abbandonate qui!. Ma essi ormai se n'erano andati lontano.
Arrivati in un luogo, decisero di fermarsi e di non
muoversi pi. Si gettarono a terra e piansero. Le cammelle cessarono di brucare, cessarono di defecare,
cessarono di fare rumore, non si nutrirono pi. Tutto
il loro bestiame cess di pascolare. Avevano u n o
schiavo, e anche lui si gett a terra accanto a loro.
Intanto, la cosa che stava in fondo al pozzo disse a
Teylalen: Chiudi b e n e gli occhi che esco dal pozzo!. Essa chiuse per bene gli occhi, e allora egli venne f u o r i dal pozzo e le disse: Puoi riaprirli: s o n o
uscito. Essa apr gli occhi e vide... cosa vide! Pensa393
4. KHAYATAN, LA FANCIULLA V E N D U T A
DAI F R A T E L L I A UN JINN
Io credo che l'unico modo di trarsi d'impiccio sarebbe stato lo "stratagemma della spada". un trucco che si a d o t t a c o n t r o i jinn e va eseguito con la
spada: si t r a t t a di f a r l a p a s s a r e sotto la p a n c i a
dell'animale bloccato. Se, per esempio, un animale
stato bloccato durante l'abbeverata, dicono che per
liberarlo si debba dare un colpo con la spada tra le
zampe dell'animale. I jinn, infatti, non a m a n o affatto le spade: le spade e, in generale, qualunque oggetto di ferro.
Dicevamo, dunque, che, per quanti tentativi facessero, n o n sortivano alcun risultato. Cos dovettero
arrendersi e si accinsero ad andarsene, abbandonando la sorella, che intanto si era messa a lanciare grida strazianti.
A nessuno di loro venne in mente di ricorrere allo
stratagemma che ho detto, che consiste nel far passare u n a spada sotto la pancia del cammello. La spada proprio un ottimo rimedio contro i jinn.
Comunque sia, visto che tutto era stato vano, la lasciarono e se ne andarono, mentre lei continuava a
gridare.
Q u a n d o i fratelli f u r o n o fuori dalla loro vista, il
jinn balz fuori dal pozzo e disse a Khayatan: Cosa
preferisci: che io ti tenga con me come u n a figlia o
che ti mangi?.
Preferisco che tu mi faccia da padre.
E cos il jinn la prese, la spost, mettendola sulla
testa del cammello, e prese il suo posto sulla sella
pregiata di Mauritania, su cui si pose rigido e impacciato.
Partirono, quindi, e proseguirono per un po'. A un
certo punto il jinn disse alla ragazza: Guarda, guarda, cosa vedi?.
Vedo u n a tenda molto, molto bella, ricoperta di
399
E la gente dell'accampamento rispose: Tutte queste cose sono veramente splendide, ma quanto a bellezza vi batte u n a fanciulla che passata di qui nove
anni fa.
Proseguirono allora il viaggio, e q u a n d o f u r o n o
pi distanti, il padrone disse: O Khayatan, Khayatan, dove sar adesso, con le sue belle labbra messe
sempre in risalto dal nero antimonio?. E lo schiavo
aggiunse: Perch n o n fare pascolare Engal fino a
fargli riempire ben bene la gobba per poi andare in
cerca del paese in cui si trova Khayatan?.
Cammina, c a m m i n a , q u a n d o giunsero in u n a localit dove vi era un accampamento, il padrone si rivolse ai suoi abitanti: Io ho questo cammello, questo cavallo, q u e s t o schiavo negro, q u e s t a sella da
cammello, questa sella da cavallo, questa bacinella,
e cos via: cosa pu esserci di pi bello al mondo?.
E la gente dell'accampamento rispose: Tutte queste cose sono veramente splendide, ma quanto a bellezza vi batte u n a fanciulla che passata di qui otto
anni fa.
Proseguirono allora il viaggio, e q u a n d o f u r o n o
pi distanti, il padrone disse: O Khayatan, Khayatan, dove sar adesso, con le sue belle labbra messe
sempre in risalto dal nero antimonio?. E lo schiavo
aggiunse: Perch n o n fare pascolare Engal fino a
fargli riempire ben bene la gobba per poi andare in
cerca del paese in cui si trova Khayatan?.
Cammina, cammina, quando giunsero in u n a localit dove vi era un accampamento, il padrone si rivolse ai suoi abitanti: Io ho questa sella da cammello,
questo cavallo, questo schiavo negro, e inoltre ci sono
io stesso: cosa p u esserci di pi bello al mondo?.
E la gente dell'accampamento rispose: Tutte queste cose sono veramente splendide, ma quanto a bel402
Cammina, cammina, q u a n d o giunsero in u n a localit dove vi era un accampamento, il padrone si rivolse ai suoi abitanti: Io ho questo cavallo, questo
cammello, q u e s t o schiavo, poi ci sono io stesso, e
inoltre questa sacca, questa bacinella, e cos via: cosa pu esserci di pi bello al mondo?.
E la gente dell'accampamento rispose: Tutte queste cose sono veramente splendide, ma quanto a bellezza vi batte u n a fanciulla che passata di qui tre
mesi fa.
P r o s e g u i r o n o allora il viaggio, e q u a n d o f u r o n o
pi distanti, il padrone disse: O Khayatan, Khayatan, dove sar adesso, con le sue belle labbra messe
sempre in risalto dal nero antimonio?.
Cammina, cammina, giunsero a un accampamento, e di nuovo il p a d r o n e si rivolse ai suoi abitanti,
chiedendo che cosa ci fosse al m o n d o di meglio di
404
5. A Y O R E T A Y O R T
Si racconta che c'era un u o m o che si fer a un ginocchio mentre tagliava un ramo di u n a pianta per darlo da mangiare alle capre. Si spezz cos la rotula e
ne fuoriuscirono due uova, che egli si affrett a raccogliere e a d e p o r r e in un l e m b o ripiegato della
stuoia principale della sua tenda.
A partire da quel momento, q u a n d o gli capitava di
lasciare legati dei capretti, li ritrovava dopo un po'
407
Scendi, Ayor!
Scender solo se mi darete dei sandali.
Scendi, Ayor!
Scender solo se mi darete u n a spada.
Scendi, Ayor!
Scender solo se mi darete dei pantaloni.
Alla fine scesero tutti e due. Il sultano, quando fu
al cospetto di Tayort, ne rimase molto colpito. Egli
era gi sposato con Janegerfadan, e tuttavia, quando
vide Tayort, si disse che in t u t t a la vita n o n aveva
mai visto u n a donna pi bella di lei. E cos la spos.
Da allora in poi, Tayort prese l'abitudine di scoprirsi il bel seno q u a n d o era il m o m e n t o di mungere
le cammelle. Le dicevano: Tayort, fa' risplendere il
tuo bel seno!. E anche il sultano ripeteva: Tayort,
fa' risplendere il tuo bel seno in m o d o da facilitare la
mungitura!. Allora essa si scopriva il seno e le cammelle si lasciavano m u n g e r e volentieri. Al vedere
ci, il suo gemello Ayor a n d a v a a raccogliere la
schiuma del latte e se la beveva.
Le cose andarono avanti cos per un bel po', ma un
giorno la co-sposa di Tayort la prese da parte e le disse:
Tayort, vieni: a n d i a m o a bagnarci nello stagno.
No, non vado allo stagno. Io il bagno lo faccio nel
latte.
Suvvia, solo u n a risciacquata!
Ma io non voglio andarci a piedi.
Ti porter sulla schiena.
Non voglio scottarmi al sole.
Proweder anche a farti ombra.
E cos se la prese sulla schiena, la copr p e r c h
non prendesse sole, e la port fino allo stagno. Qui
giunte, si svestirono per entrare nell'acqua. Janegerf a d a n aveva deposto Tayort sulla riva dello stagno
dalla parte dove l'acqua era pi profonda, dopodich
cominci a spingerla un po' pi in l, sempre pi in
410
l, dicendole: Su, dai, fatti pi in l, c' ancora spazio tra qui e l'acqua. E cos, scivolando sempre pi
verso lo stagno, a un tratto, pluff, Tayort fin nell'acqua profonda. A questo p u n t o l'altra prese un grosso
macigno e glielo fece cadere sopra, proprio l dove
essa era scivolata in acqua.
Ci fatto, ripart e se ne torn all'accampamento
rivestita degli abiti di Tayort. E quando, scambiandola per la co-sposa, le dissero: Tayort, fa' risplendere il tuo bel seno! le cammelle invece di dare latte
diedero del pus. E quando Ayor venne per raccogliere la schiuma, essa lo batt col mestolo. Allora egli si
disse: "Costei non Tayort, no di certo".
La mattina dopo and allo stagno e si mise a cantilenare: Tayort, Tayort, mia Tayort!.
Essa rispose: Ayor, Ayor, mio Ayor! Se parlo l'acqua mi affogher; se taccio ti spezzer il cuore!.
Tornato a l l ' a c c a m p a m e n t o , diede l'allarme:
Tayort nello stagno! Tayort nello stagno!. Gli risposero: Se quello che dici u n a m e n z o g n a , ti
sgozzeremo con questo pugnale. Ti faremo la pelle.
Si fece quindi a c c o m p a g n a r e dalla gente dell'acc a m p a m e n t o , e con loro vennero capre, cammelli,
asini, mucche e ogni possibile essere vivente in grado di ingollare acqua, di bere e di muoversi. Ogni essere vivente venne con loro. Bevvero tutti insieme
l'acqua di quello s t a g n o e ne s v u o t a r o n o la m e t .
Ayor se ne stava un po' al di s o p r a e cantilenava:
Tayort, Tayort, mia Tayort!.
Essa rispose: Ayor, Ayor, mio Ayor! Se parlo l'acq u a mi affogher; se taccio ti spezzer il cuore!.
Alcuni la u d i r o n o , altri no. Di nuovo egli cant:
Tayort, Tayort, mia Tayort!.
Essa rispose: Ayor, Ayor, mio Ayor! Se parlo l'acqua mi affogher; se taccio ti spezzer il cuore!.
Questa volta tutti la udirono.
411
Si fece allora avanti un ariete e disse: Se mi lasciate fare u n a bella succhiata del latte di mia m a d r e
fino a farmi sgocciolare la schiuma dal muso, ve la
tirer fuori io. Succhi quindi il latte della m a d r e
fino a farsi sgocciolare la schiuma dal muso. Lanci
q u i n d i un grido, p r e s e la r i n c o r s a , p a r t e a n d a
sbattere contro il masso, ma questo n o n si smosse di
un millimetro.
Si fece allora avanti un toro e disse: Se mi lasciate fare u n a bella succhiata del latte di mia m a d r e fino a farmi sgocciolare la schiuma dal muso, ve la tirer f u o r i io. S u c c h i quindi il latte della m a d r e
f i n o a farsi sgocciolare la s c h i u m a dal m u s o . Poi
prese la rincorsa, part e a n d a sbattere contro il
masso, ma questo n o n si smosse di un millimetro.
Si fece allora avanti un cammello e disse: Se mi
lasciate fare u n a bella succhiata del latte di mia madre fino a farmi sgocciolare la schiuma dal muso, ve
la tirer fuori io. Succhi quindi il latte della m a d r e
f i n o a farsi sgocciolare la s c h i u m a dal m u s o . Poi
part alla carica e fin per dare un gran colpo con le
zampe contro il masso, ma questo non si smosse di
un millimetro.
Si fece allora avanti un caprone e disse: Se mi lasciate fare u n a bella succhiata del latte di mia m a d r e
fino a farmi sgocciolare la schiuma dal muso, ve la
tirer fuori io. Succhi quindi il latte della m a d r e
f i n o a farsi sgocciolare la s c h i u m a dal m u s o . Poi
prese la rincorsa, part e, lanciando un gran grido,
a n d a sbattere c o n t r o il masso, ma questo n o n si
smosse di un millimetro.
A questo p u n t o si fece avanti un m o n t o n e piuttosto male in arnese e interamente ricoperto di pulci:
era veramente incredibile la quantit di pulci che lo
infestavano. I pareri f u r o n o contrastanti:
Lasciatelo provare!
412
S, fatelo provare!
Ma no, fermatelo. Come pensate che possa farcela? Ci h a n n o gi provato senza riuscirci animali ben
pi robusti e validi!
S, fatelo provare!
No, fermatelo!
S, fatelo provare!
Alla fine, lo fecero tentare. Succhi quindi il latte
della m a d r e fino a farsi sgocciolare la schiuma dal
m u s o . Poi prese la rincorsa, part e, l a n c i a n d o un
gran grido, and a sbattere contro il masso, e riusc
a smuoverlo. Cos Tayort fu libera. La giovane era
stata salvata da quel piccolo a m m a s s o di pulci.
Le ridiedero i suoi vestiti e le chiesero: Cosa vuoi
che facciamo a Janegerfadan?.
Ebbene, fatela montare su un cammello cieco, legatela con delle funi a questo cammello cieco e fatelo condurre da u n a sorda cui darete del miglio in un
paniere. Attaccatela dunque al cammello!
Cos fu fatto: la legarono al cammello, diedero il
miglio in un p a n i e r e alla s o r d a e costei, a piedi,
port il cammello in mezzo a u n a macchia di alberi
spinosi.
Ehi, tu! diceva Janegerfadan. Finiscila di farmi
passare in mezzo alle spine!
Eh, no! Il miglio mio. Me l'ha dato il sultano!
E continuava imperterrita a portarla in mezzo alle
spine.
Ehi, tu! Finiscila di farmi passare in mezzo alle
spine!
Eh, no! Il miglio mio. Me l'ha dato il sultano!
Ehi, tu! Finiscila di farmi passare in mezzo alle
spine!
Eh, no! Il miglio mio. Me l'ha dato il sultano!
Vai e vai, J a n e g e r f a d a n era s e m p r e pi graffiata
dalle spine; a m a n o a m a n o che si staccavano pezzi
413
C'era u n a volta u n a ragazza orfana di madre, che viveva da sola col padre. Un giorno il padre si rispos
ed essa si trov cos con u n a matrigna, che aveva gi
delle figlie sue. Prima di morire, la madre della ragazza aveva detto alla mucca: Corna-in-gi, mi prometti di prenderti cura della mia bambina?. E l'animale aveva risposto: S!.
Il padre, p u r volendole bene, la maltrattava spesso, accecato dall'amore per la seconda moglie. E cos
414
la spediva in m a l o m o d o a p a s c o l a r e il b e s t i a m e ,
mentre permetteva alle figlie della moglie di restarsene a casa senza far nulla.
Quando si trovava nella boscaglia a pascolare, assalita dalla f a m e la fanciulla chiamava: Corna-ingi, Corna-in-gi, la m a m m a n o n ti aveva detto di
prenderti cura di me? e la m u c c a accorreva muggendo, le dava da mangiare e se ne tornava insieme
al resto del bestiame. Nutrita dalla mucca, la ragazzina faceva ritorno all'accampamento del padre. Qui
giunta, per, la m a t r i g n a e le sorellastre le davano
da mangiare solo raschiatura dei piatti invece di darle la polenta di miglio e nutrirla come si deve. Cos,
q u a n d o aveva bisogno di mangiare qualcosa durante
il giorno, se ne andava nella boscaglia e chiamava:
Corna-in-gi, Corna-in-gi, la m a m m a non ti aveva
detto di prenderti cura di me?.
Un giorno, trovandosi f u o r i d e l l ' a c c a m p a m e n t o
c o n u n a sorellastra, le disse: Mi p r o m e t t i che se
adesso ti faccio vedere u n a cosa tu non la farai sapere in giro?.
Va bene, non dir nulla.
Allora chiam la mucca. Anzi, prima disse: Io ho
u n a mucca che, quando la chiamo, mi d tutto quello di cui ho bisogno.
Prova a chiamarla!
Corna-in-gi, la m a m m a n o n ti aveva d e t t o di
prenderti cura di me?
La mucca accorse, e le diede del cibo, anche se in
piccola quantit, avendo notato l'altra ragazza. Dopodich fece dietrofront e scomparve. La ragazza offr il
cibo alla sorellastra, invitandola a mangiare. Senza
farsi vedere, questa ne fece aderire un po' all'unghia.
Dopo aver trascorso tutta la giornata al pascolo,
alla fine tornarono all'accampamento. E appena arrivate dai genitori, la sorellastra annunci: Guarda415
7. LA F A N C I U L L A E LA M A T R I G N A CATTIVA
tan-gangana
E un'altra giallo-oro
tan-gangana.
La c a g n a fece allora r i t o r n o a l l ' a c c a m p a m e n t o .
L'indomani la cosa si ripet. Quando pass il branco
di gazzelle, la donna incit la cagna: Su, su, Rosicchia-midollo, guarda le gazzelle!. La cagna raggiunse la ragazza trasformata in gazzella e cerc di afferrarla, ma essa torn a cantare:
Va', va', va', Rosicchia-midollo,
tan-gangana
Non credermi gazzella
tan-gangana
stata la moglie del babbo
tan-gangana
Che mi ha cos ridotta
tan-gangana
Mentre lui era via per far razzia
tan-gangana
Per far razzia di mucche
tan-gangana
Una nera
tan-gangana
E quella nera mia
tan-gangana
E quella giallo-oro mia
tan-gangana.
La cosa si ripet anche il giorno successivo: la ragazza pass ancora l vicino, la cagna le corse incontro cercando di afferrarla, ma la fanciulla le cant:
Va', va', va', Rosicchia-midollo,
tan-gangana
422
Il padre ud tutto. Si alz, and dalla donna e gliele suon di santa ragione. Quindi scacci lei e la figlia e le lasci sole nella steppa.
Eresse quindi u n a tenda bellissima. La rivest di
coperte. Vi colloc dei letti e della mobilia bellissima. Vi fece bruciare dell'incenso p r o f u m a t o .
And quindi verso il branco di gazzelle, lo aggir e
lo
sospinse verso la tenda
u m a n a . Q u a n d o la r a g a z z a p a s s vicino a q u e s t a
tenda cos bella non resistette alla tentazione di entrarvi per vedere che cosa vi fosse celato all'interno.
E q u a n d o fu dentro, prese ad aggirarsi rapita tra tutti questi mobili cos belli. Cos il padre riusc ad afferrarla e, u n a volta che l'ebbe presa, le pot tagliare
il
pelo di gazzell
su t u t t o il corpo. La rese n u o v a m e n t e presentabile
ed essa ridivent bella come un tempo.
Il racconto si f e r m a qui, Dominique. finito. Lo
ha scacciato Katia.
424
9. T E R S H E D D A T E LE SUE COMPAGNE G E L O S E
e decise di costruirvi il suo nido. In tal m o d o poterono prenderla. La sorpresero nel nido che aveva costruito e la riportarono all'accampamento.
Qui giunti, la misero in u n a scatolina di cuoio, dal
m o m e n t o che era p r o p r i o piccola. Col tempo per
crebbe, a tal p u n t o che nella scatolina non ci stava
pi. La misero allora in u n a scatola pi grande. Pass dell'altro tempo, crebbe ancora e divenne troppo
grande anche per questa scatola. La misero allora in
un sacchetto, ma dopo un po' divenne troppo grande
a n c h e per il sacchetto. Si chiesero: Come f a r e m o
adesso?. La misero in un sacco pi grande, ma ben
presto lei super anche le dimensioni di questo sacco. E adesso che ne facciamo? La misero sotto un
letto. Ma lei continu a crescere e dopo un po' non ci
stava pi n e m m e n o sotto il letto.
E adesso che ne facciamo? Me lo dite che cosa ne
facciamo?
Q u a l c u n o p r o p o s e : Cercate un a s i n o g r a n d e e
grosso e mettetecela dentro.
Cos fu fatto: trovarono un asino e Tersheddat vi
entr dentro.
Vi era l vicino un pozzo, al quale la gente era solita attingere acqua. Venivano al pozzo, riempivano
gli otri, abbeveravano il bestiame, e facevano ritorno
dopo avere caricato gli otri sugli asini. Quel pomeriggio, quando fu certo che se ne fossero andati via
tutti, l'asino si rec al pozzo. Qui giunto, la fanciulla
usc fuori, diede da bere all'asino, si lav, lav i vestiti, dopodich m o n t in groppa all'asino e si diresse
all'accampamento. Quando fu nei pressi dell'accamp a m e n t o , rientr nell'asino che giunse solo, venne
scaricato degli otri pieni e se ne and per conto suo.
La cosa si ripet: la gente si rec di b u o n ' o r a al
pozzo, si disset, diede da bere agli asini e fece ritorno all'accampamento, e q u a n d o fu pomeriggio an431
Sposatemi a lei!
E cos prepararono la tenda nuziale e celebrarono
le nozze con l'asina. Una volta eretta la tenda vi legarono l'asina, celebrando cos il rito della sposa che
viene condotta nella tenda nuziale.
Quando gli invitati si furono dispersi, e lo sposo fu
rimasto solo con l'asina, la fanciulla se ne usc in tutta la sua bellezza e il suo splendore. Aveva un aspetto
veramente magnifico. Dopodich i due sposi diedero
u n a pacca all'asina che se ne and.
Orbene, alle p r i m e luci dell'alba, a p p e n a sveglia,
la m a d r e dello sposo and a fargli visita. Si era detta:
"Sar bene che corra a vedere se mio figlio ancora
vivo o se l'asino lo ha ucciso".
Ma appena giunta, le bast un colpo d'occhio per
vedere quanto quella fanciulla fosse bella. Fu tale lo
stupore che perse i sensi. Allora la fanciulla raccolse
alcune stille di sudore dalla fronte, ne asperse la suocera e la fece ritornare in s.
Anche il padre del giovane venne a vedere e cadde
privo di sensi. La fanciulla raccolse alcune stille di
sudore dalla fronte, ne asperse il suocero e lo fece ritornare in s. Quando fu il turno del fratello maggiore, anch'egli si mise a tremare e perse i sensi. La fanciulla raccolse alcune stille di sudore dalla fronte, ne
asperse il cognato e lo fece ritornare in s. Venne la
sorella maggiore del giovane e al vederla perse i sensi. La fanciulla raccolse alcune stille di sudore dalla
fronte, ne asperse la cognata e la fece ritornare in s.
Il racconto se n' andato via di corsa ed finito.
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Racconti di animali
10. L O S C I A C A L L O E L A L E P R E
11. L A I E N A E L A L E P R E
arrivo. Aspetta che mi preparo. E dopo un po': Comincia a prendere i miei sandali. E fece sporgere in
fuori le sue orecchie. La iena, credendo che fossero
davvero i suoi sandali, afferr le orecchie e le gett
lontano, insieme alla loro proprietaria. Appena la lepre si trov nella savana, si mise a correre di gran
carriera, m e n t r e la iena non se ne curava, intenta
c o m ' e r a a controllare l'ingresso della t a n a . I suoi
cuccioli le dissero: Smetti di cercarla, l'hai f a t t a
uscire. Inutile continuare a chiedere di lei: l'hai gettata fuori insieme ai suoi sandali! Ti ha mentito: non
erano i suoi sandali, erano le sue orecchie!. A quel
punto la iena non ci vide pi dalla collera e si mise a
p e r c o r r e r e il paese in lungo e in largo alla ricerca
della lepre. E la lepre, da parte sua, si mise a correre
a tutta velocit.
Il racconto finito. Lo h a n n o cacciato Fatimata e
Mokhammed.
12. L ' E L E F A N T E E L O S C I A C A L L O
rapide, bevve poco sostenendo che per lui era abbastanza. L'elefante lo esort: Bevi!, ma lui rispose:
Mi basta cos. Allora l'elefante con la sua proboscide prosciug tutta la pozza, lasciando soltanto del
fango. A questo punto ripresero il cammino.
Cammina, cammina, quando f u r o n o in un certo
punto, lo sciacallo disse: Elefante, io ho sete, n o n ce
la faccio pi ad andare avanti. Sento che morir. E
l'elefante di rimando: Be', ci devo pensare: al giorno
d'oggi non ci si pu fidare di nessuno, perfino gli amici tradiscono la fiducia di chi li ha rifocillati!.
Ma che dici! Come p o t r e i t r a d i r e la f i d u c i a di
u n o che mi ha fatto bere? Se mi fai bere, come potrei farti qualcosa di male?
Se non fosse che temo che tu tradisca la mia fiducia, l'unica soluzione sarebbe di farti entrare nel
mio stomaco per bere.
Non andr da nessuna parte. Mettimi l dove io
possa bere!
Va bene, vieni qui. E cos dicendo gli apr il proprio ano e lo fece entrare. Lo sciacallo l dentro trov
l'acqua e si mise a bere, a bere, a bere. Dopo un po', finito di bere, guard alla propria destra e vide i reni;
guard a sinistra e vide il grasso. Ne tagli via un pezzo. L'elefante gli chiese: Ehi, ehi, cosa stai facendo?. Ma lo sciacallo non se ne cur e torn a dilaniare le interiora. Di nuovo l'elefante ripet: Ehi, ehi,
vieni fuori, ti ho detto! Cosa stai facendo?. Ma anche
questa volta lo sciacallo non si cur di lui e continu a
tagliuzzare di q u a e di l. Quand'ebbe finito di lacerare le interiora, l'elefante cadde morto. E q u a n d o fu
sazio, lo sciacallo usc fuori.
In breve si sparse la voce che l'elefante era morto.
Il re degli animali, il leone, r a d u n i suoi sudditi dicendo loro: Venite qui tutti!. Essi vennero ed egli li
apostrof: Bene, adesso dovete tutti tagliare a pez440
zetti la carne dell'elefante, e ciascuno deve poi metterne un pezzo a bollire in u n a pentola sul fuoco. Gli
animali andarono, tagliarono in pezzi la carne, accesero il fuoco e vi misero sopra le pentole. Il leone prosegu: Adesso, dunque, tutte le pentole sono sul fuoco. Colui il cui pezzo di carne domattina non sar
ancora cotto si riveler l'uccisore dell'elefante, e sar
punito con la morte. Terminato che ebbero di mettere le pentole sul fuoco, andarono tutti a dormire.
Ma tu, sciacallo, proprio tu laggi, tu lo sai cosa ti
aspetta, e per tutta la notte non hai dormito.
Assaggia il p r o p r i o pezzo di c a r n e , c o r r e tra le
pentole, ne assaggia il contenuto, torna indietro, ed
solo il suo pezzo che n o n si decide a cuocere. Corre
di qui, corre di l, torna indietro, va di qua, va di l,
ma n o n c' p r o p r i o m e z z o di f a r c u o c e r e la c a r n e
della sua pentola. Va ad assaggiare quella della iena,
ed quasi pronta. La lascia, torna e si stende come
per dormire. Dopo un certo tempo, eccolo partire,
andare alla pentola della iena e rubarla. Dopo averla
rubata, la mise sul suo fuoco, poi prese la sua pentola e la port sul fuoco della iena. Quindi torn e si
addorment.
Poco prima dell'alba giunse il leone per passare in
rassegna le pentole e procedere all'assaggio; convoc
quindi tutti gli animali, facendoli alzare. Dopo averli
fatti alzare, disse: Bene, che ciascuno prenda la propria pentola e la deponga davanti a s. Vennero tutti
con le loro pentole, e ciascuno si sedette davanti alla
propria. Il leone le pass in rassegna u n a per u n a finch n o n le ebbe terminate tutte. Ritorn quindi indietro fino a quella della iena, l'unica ad avere la carne
non cotta.
Allora presero la iena e si misero a batterla di santa ragione, fino a farla morire. R e c i t a r o n o la preghiera su di lei, perch era stata punita con la morte.
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13. L O S C I A C A L L O , L ' O T A R D A E L A I E N A
14. L O S T R U Z Z O E I L R I C C I O
15. L O S C I A C A L L O E L O S T R U Z Z O
C'erano u n a volta u n o sciacallo e u n o struzzo. Bisogna sapere che lo struzzo e lo sciacallo litigavano a
proposito delle giuggiole. Ora, essavevano un albero
di giuggiole, ed e r a n o soliti recarvisi, scuotere il
tronco della pianta e mangiare i frutti pi bassi che
avevano fatto cos cadere.
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16. LA I E N A E LA Z U C C A
17. I L L E O N E E L ' A S I N O
me lo scuoier, mi p r e p a r e r la c a r n e e mi t i r e r
fuori i pezzi migliori? Per, se ne manger anche solo un pezzetto io me ne accorger e lo uccider. Gli
dar io stesso quel che si merita!.
Dopo questa premessa, tutti gli animali selvatici
dicevano di non essere in grado.
Salt fuori lo sciacallo, che disse: Per me va bene, solo, mettimelo laggi, in un posto in cui tu non
mi possa vedere. Il leone port l'asino in un luogo
dove non lo si potesse vedere, e lo sciacallo lo apr,
ne estrasse il c u o r e e se lo m a n g i . Dopo avere
estratto e mangiato il cuore, scuoi l'asino, lo smembr, prepar la carne e dispose per bene ogni parte.
A questo p u n t o chiam tutti gli altri, dicendo: Venite!. Vennero tutti, e tra essi il leone, che gli chiese:
Dov' la tale parte?. Eccola qui.
Dov' quest'altra parte? Eccola qui.
Dov' quest'altra parte? Eccola qui.
Dov' quest'altra parte? Eccola qui.
Alla fine chiese: E il cuore, dov'?. Il cuore, se
ne avesse avuto uno, n e m m e n o tu avresti potuto ucciderlo! Adesso d a m m i la mia paga.
Fu cos che tutti gli animali selvatici seppero che
non tutti gli asini h a n n o un cuore, perch se un asino forte come quello avesse avuto un cuore, nemmeno il leone avrebbe osato misurarsi con lui. Era stata
l'assenza del cuore che lo aveva reso possibile.
18. L O S C I A C A L L O E I L L E O N E
C'erano u n a volta u n o sciacallo e un leone, che abitavano in u n o stesso luogo allevando degli asini.
Un bel giorno lo sciacallo disse al leone: Vedi, in
questo m o m e n t o la cosa migliore da fare andarcene al sud, tu e io, per prendere del miglio. Ci portere449
so dove ci a c c a m p e r e m o ? Dove m e t t e r e m o le tende?. Lo sciacallo rispose: Continuiamo senza fermarci finch saremo arrivati a un p u n t o d'acqua.
C a m m i n a , c a m m i n a , c a m m i n a , lo sciacallo, sap e n d o che in quel luogo, accanto a u n a grande pozza d'acqua, vi era u n a zona melmosa, disse al leone:
Tu fa' il giro da questa parte e va' a cercare un posto
adatto per accamparci. E mentre il leone faceva un
lungo giro, lui spinse gli asini portandoli in cima a
quell'altura su cui aveva d a t o a p p u n t a m e n t o alla
madre, dopodich torn dal leone facendo attenzione di n o n essere visto. Quando fu arrivato pi o meno a met strada, il leone ud lo sciacallo gridare...
O sciacallo, tu prima, mentre portavi via gli asini,
avevi tagliato a o g n u n o di loro la p u n t a delle orecchie, e avevi tagliato via anche le cocche di ogni sacco, eri tornato a questa palude melmosa e non avevi
fatto altro che conficcare nel fango le orecchie degli
asini e le estremit dei sacchi!
A q u e s t o p u n t o lo sciacallo grid: Ehi, leone!
Ehi, leone! Dai, corri qua, gli asini e i sacchi sono
stati inghiottiti dalla palude. Quando arriv, il leone pot solo dire: Che disastro!. Non vedeva infatti
che le orecchie degli asini. Lo stesso sciacallo si era
cosparso di fango e diceva: Ho rischiato io stesso di
essere inghiottito. E n t r a anche tu nel fango, per renderti conto!. Il leone accorse, e le orecchie che tirava, n o n essendoci l'asino, si staccavano e gli restavano in mano; si rivolse quindi alle cocche dei sacchi,
ma a n c h e queste, u n a volta tirate, gli restavano in
mano. A questo punto, disse allo sciacallo: Che disastro! E adesso, cosa faremo?. Eh, s. Ci capitata p r o p r i o u n a sventura! rispose lo sciacallo. A
questo punto ci conviene cercare un altro posto dove
sistemarci.
Partirono d u n q u e di l e andarono a stabilirsi sot451
19. L O S C O I A T T O L O S C A V A T O R E E L ' E L E F A N T E
452
20. IL L E O N E E LA CAPRA
C'era u n a volta un leone che aveva sposato u n a capra. Quell'anno c'era stata u n a carestia e tutti gli animali selvatici avevano lasciato il paese. E r a n o andati
in un'altra regione e il leone era rimasto solo con la
capra. Essa vagava di qua e di l cogliendogli le poche giuggiole sopravvissute alla siccit, oppure frutti
selvatici di agersemmi o altre cose ancora, in attesa
che passasse la stagione secca.
Trascorsa che fu l'estate, lo sciacallo disse che sarebbe sceso per vedere dove, nella regione, vi fosse
dell'acqua. Scese d u n q u e e prese ad andare di qua e
di l, finch giunse dove si trovava il leone. Quando
lo incontr, la capra non c'era, era in giro.
Allora, il leone gli chiese: Come va?.
Bene, grazie!
E com' la regione in cui ve ne siete andati tutti?
Ah, siamo andati a stare in u n a regione bellissima! Sono venuto per te, per venire a prenderti. Dal
m o m e n t o che hai s p o s a t o quello s c a r t o del regno
animale - basti pensare che gli uomini ne fanno un
sol boccone e poi se ne vanno -, ti far vedere le femmine che ci sono: la gazzella, la gazzella-dama, l'antilope-orice, l'antilope-adax: queste s che sono femmine adatte a te! Quando hai sposato questo scarto
del regno animale ti sei condannato inutilmente alla
fame. Gli uomini ne f a n n o un sol boccone e poi se
ne vanno.
Allora fermati qui. Quando arriver la uccider,
ce la mangeremo e poi partiremo insieme.
Tu, capra, sei sulla via del r i t o r n o e, vedendo lo
sciacallo che si dirige verso di te, ti viene in mente
un'idea: ti torna in m e n t e che poco p r i m a ti eri arrampicata su un albero con u n a fessura in cui avevi
visto del miele. Allora attraverso la fessura tu prendi
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455
22. LA PIROGA
23. I L M E N T I T O R E
Da tre giorni.
Ebbene, volete che non sia capace di resuscitarla
dopo soli tre giorni?
Saresti davvero capace di resuscitarla?
Certamente!
Possiamo riferirlo al capo?
Riferiteglielo pure!
Il capo, quando fu avvisato di questo fatto, disse:
Andate a chiamarli!. Il mentitore se ne venne insieme al fratello maggiore. Il fratello maggiore era
sul p u n t o di morire dalla paura per la menzogna che
stavano sostenendo, ma il mentitore gli disse: Sta'
tranquillo, lascia fare a me.
Quindi il c a p o gli chiese: Dunque tu saresti in
grado di resuscitare questa donna?.
Certamente! r i s p o s e il m e n t i t o r e , e prosegu:
Adesso voglio che tu convochi tutti quanti gli abitanti: che vengano tutti domani affinch io resusciti
tua moglie.
Allora si batterono i tamburi nel villaggio e tutti si
r a d u n a r o n o per sentire l'annuncio: Domani la moglie del re resusciter! La moglie del re resusciter!
La moglie del re resusciter!. Tutti quanti udirono
la notizia: arrivato un u o m o che dice di poter resuscitare la moglie del re.
Pass la notte. Il mattino seguente la gente cominci ad affluire in massa, e in breve t e m p o furono radunati tutti quanti. Il mentitore chiese al re: Bene,
e per me che ricompensa prevista?.
Qualunque cosa tu vorrai, ma proprio tutto, tutto
quello che vorrai, io te lo d a r se resusciterai mia
moglie!
Siamo intesi!
Si misero allora tutti in cammino, alla volta del cimitero. Arrivati al cimitero, il mentitore si rivolse alla gente dicendo: Voi restate qui tutti quanti!. E la
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gente si dispose ordinatamente in fila all'esterno. Lasciati tutti in fila, lui pass oltre ed entr nel cimitero. Si diresse alla t o m b a della donna, e cominci a
scavare dalla parte della testa. Scava che ti scava, arriv al legno della bara, e ne tir via tre pezzi. Dopodich si chin verso l'interno della t o m b a e stette l
chino p e r un po'. Dopo essere rimasto cos per un
certo tempo, si rialz, sollev la testa, si mise a ridere, poi torn ad abbassare la testa. Rimase cos ancora a lungo, dopodich torn a sollevare la testa e a
ridere. A questo punto, si alz e c h i a m a s il re.
Mentre il re gli si avvicinava, egli gli and incontro, e
q u a n d o f u r o n o faccia a faccia gli disse: Bene, tua
moglie resuscitata, non vi dubbio che sia resuscitata. Per ha detto che non si alzer e non verr fuori dalla t o m b a se non in compagnia di suo padre.
Bisogna sapere che il padre della donna era il precedente capo del villaggio prima che prendesse il potere il capo attuale. Cos, il mentitore prosegu: Suo
padre, appena resuscitato, dir certamente di tagliare la testa all'uomo che gli ha portato via il comando. Ora, che dici di fare?.
Il capo rispose: A questo punto ti dar la ricomp e n s a p a t t u i t a , h o visto che hai v e r a m e n t e f a t t o
quello che promettevi, ma adesso lasciala stare rinchiusa dove si trova. E cos l'uomo ritorn alla sepoltura, rimise a posto i pezzi di legno e ricopr la
tomba della donna, dopodich torn dal re.
A tutti coloro che chiedevano al re se sua moglie
fosse resuscitata, egli rispondeva: S, resuscitata,
davvero resuscitata.
Fecero quindi r i t o r n o al villaggio. Il re gli d o n
greggi in grande, grandissima quantit e lo invit ad
andarsene in fretta, t e m e n d o che i figli del d e f u n t o
re gli o f f r i s s e r o u n a q u a n t i t di b e s t i a m e a n c o r a
maggiore a patto che egli resuscitasse il loro padre.
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E infatti, anche a questi figli giunse voce della cosa, e cos essi si misero a cercare l'uomo, con l'intenzione di offrirgli grandi quantit di bestiame purch
resuscitasse il loro padre. Quando il re sent ci, aument ancora il bestiame offerto al mentitore e lo fece fuggire nella notte.
Egli divenne incredibilmente ricco. Aveva ottenuto ricchezze smisurate.
24. IL F I G L I O D E L RE E IL F I G L I O D E L P O V E R O
l'anello dicevano che era del tal giovanotto. S u o figlio e quell'altro giovane e r a n o introvabili. Perci
l'assemblea continu a lungo, e a lungo continuarono a suonare i tamburi.
I due erano in viaggio. Quando arrivarono alla tana, presero il cucciolo di leopardo, poi spronarono i
cavalli e ripartirono di gran carriera. Il figlio del re
teneva il piccolo leopardo. Al gran galoppo giunsero
davanti a suo padre. L'amico si arrest a u n a certa
distanza, mentre quello che teneva il cucciolo si arrest davanti a suo p a d r e e gli lanci in braccio il
piccolo leopardo, che gli si aggrapp.
II re ebbe un soprassalto: Che cos e questo? Che
cos' questo?.
Il fatto che io e lui a b b i a m o fatto u n a scommessa. Io gli avevo detto che se qualcuno fosse riuscito impunemente a toccare, al buio, il capo di mio
padre, io gli avrei portato un cucciolo di leopardo.
Lui partito e mi ha detto che riuscito a toccarti la
testa nel buio, e che quando ha cercato di ritrarre la
m a n o tu sei riuscito solo a portargli via l'anello. E
cos anch'io da parte mia sono partito per a n d a r e a
trafugare il cucciolo di leopardo.
Allora il re disse: vero. Quello che avete fatto
tutto vero. Ecco il vostro anello. Andate.
C'erano u n a volta due uomini, u n o di nome Dan Kano (o "Uomo di Kano") e l'altro Dan Katsina (o "Uomo di Katsina"). A c i a s c u n o dei d u e era g i u n t a
all'orecchio la f a m a dell'altro per quanto riguarda il
furto e il malaffare. Cos un bel giorno si misero in
viaggio per incontrarsi. Quando f u r o n o faccia a faccia, u n o chiese all'altro: Tu chi sei?.
462
no u n a traccia di qualcuno che avesse lasciato l'accampamento. Macch! Alla fine si stancarono di cercare, tanto pi che m a n c a n d o le tracce era impossibile seguirle. Fecero quindi fagotto e partirono, per
andarsene via di l.
Anche il cieco e lo zoppo partirono. Seguirono gli
altri p e r d u e giorni, d o p o d i c h fecero r i t o r n o al
pozzo. Bene, disse Dan Katsina chi si caler nel
pozzo?
Io rispose Dan Kano.
No, no, disse Dan Katsina vado gi io!
E cos fu Dan Katsina che si cal nel pozzo. Una
volta gi, tir via tutti gli imballaggi delle merci e cominci a legare alla fune le merci prive di imballaggio. And cos avanti per un bel pezzo a legare alla
f u n e e far risalire le merci non imballate. Alla fine
n o n r i m a n e v a n o da p o r t a r e su che delle vecchie
stuoie consunte, qualche pezzo di cuoio e poche altre cose. Prese allora ad avvolgersi in esse, mettendosi poi in u n a rete legata alle corde, in m o d o che
u n a persona che lo avesse tirato su non se ne sarebbe accorta. Disse quindi al socio: Dopo questo carico resto solo io. Benone! e lo tir su, un po' alla
volta, fino a farlo uscire dal pozzo. Dopodich lo mise da parte. Eh, s! Tutti i carichi che aveva tirato su,
Dan Kano li aveva messi da parte nascondendoli in
un posto.
Dopo avere portato l'ultimo carico nel suo bagaglio, cominci a trasportare pezzi di legno e a gettarli nel pozzo. And avanti per un bel po', finch non
ne ebbe gettati parecchi, e diede fuoco al tutto.
Se ne t o r n quindi dove aveva lasciato i bagagli
ma scopr che il compare si era preso tutto quanto e
se n'era andato portandoselo via. Disse allora fra s:
"Gente, quest'uomo adesso avr bisogno di un asino
per t r a s p o r t a r e tutto il bagaglio!". E cos si mise a
464
26. LA C O P E R T A
C'erano u n a volta, tanto tempo fa, due ricchi giovanotti arabi. Ciascuno di loro disse al padre: Padre,
d a m m i u n a gran quantit di merci: me ne andr in
un altro paese a venderle, e a ciascuno di essi il pa466
27.I
un grande recipiente e delle bottiglie di bevande alcoliche. Dopodich prese gli indumenti femminili, li
indoss e si travest da anziana venditrice di bevande alcoliche. Si rec quindi da quei gendarmi, che al
vederlo lo chiamarono: Ehi, tu, che cosa vendi?.
Bevande alcoliche.
E quanto costano? Quanto?
Costano tanto. E disse loro un prezzo. Essi videro che era conveniente, e dal m o m e n t o che amavano
molto l'alcol tutti ne acquistarono un po'. Rimaneva
il loro capo, ma anche a lui dette un po' di bottiglie:
alcune gliele vendette, altre gliele regal. Essi le bevvero tutte: bevve il capo della guarnigione, bevvero
tutti gli altri, e cos caddero tutti ubriachi. Il ladro
and dal capoguarnigione, il capo di tutti quanti, lo
spogli, gli sottrasse tutti i vestiti, li indoss e si allontan. And a prendersi il cavallo del capo, lo sell
e part, in sella a questo cavallo, vestito con i suoi
abiti. Arrivato dal capo del villaggio, arrest la sua
cavalcatura e gli disse: Eccoti qualcosa che anche
meglio della tavola: i vestiti del capo di quella guarnigione, che ho indosso, e il suo cavallo.
Va bene gli disse il capo. Hai compiuto questa
impresa in maniera impeccabile; direi anzi addiritt u r a in m o d o s t u p e f a c e n t e ! Se riesci a c o m p i e r e
u n ' a l t r a i m p r e s a del genere, ti do in sposa m i a figlia. E cos dicendo prese in consegna ci che il ladro gli aveva portato.
Dopodich gli disse: Orbene, il lenzuolo in cui
d o r m o si trova all'interno di casa mia, custodito da
mia moglie. Questa notte tu cercherai di rubarmelo,
e io ne sar al corrente. Se riuscirai lo stesso a rub a r m e l o , vieni a p o r t a r m e l o d o m a n i ! S a r allora
convinto che sei davvero un f u r b o da quattro cotte.
D'accordo. Appena sar notte sta' bene attento al
tuo lenzuolo.
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sento a palazzo a w o l t o nel lenzuolo. Il capo gli disse: Se Dio vuole, dunque, sei tu che otterrai mia figlia in sposa. Ma m a n c a ancora u n a dimostrazione
di destrezza. Ora, se me la saprai eseguire, non ci sar a n n o pi esitazioni: mia figlia sar tua.
Che cosa devo fare?
Voglio che tu rapisca il cad, colui che rende giustizia. Quando lo avrai rapito devi portarmelo senza
che lui si sia reso conto che sei stato tu a rapirlo. E a
questo punto, niente storie, sar veramente finita.
Se Dio vuole, ci prover.
Quel pomeriggio a n d al m e r c a t o e c o m p r dei
piccioni, del cotone e molte di quelle vaschette in cui
la gente del mercato metteva olio e stoppini di cotone dandovi poi fuoco, vale a dire delle piccole lanterne notturne. Acquist anche un grande rosario bianco e degli abiti tutti bianchi per se stesso.
Aspett che fosse notte fonda e che tutti dormissero. And alla moschea, l'apr, vi entr, la dissemin
p e r ogni dove di lumini, in m o d o da illuminarla a
giorno. Prese poi i piccioni e li sparpagli nell'interno. E r a n o stati messi dentro grandi recipienti, parecchi alla volta, e vi producevano un r u m o r e "gluglu-glu-glu" che risuonava per tutta la moschea. Egli
si pose al centro, reggendo il rosario e sgranandolo.
Si era annerito le palpebre con il kohl e si pose a sedere in atteggiamento ieratico. Si era p r o f u m a t o e
aveva con s molte cose.
A un certo punto il cad si svegli nel cuore della
notte, chiedendosi: "Che cosa sta succedendo nella
moschea senza che io lo sappia?". Infatti la sua casa
era adiacente alla moschea. "Sta' a vedere che si recita u n a preghiera a m i a insaputa!" E cos si avvi
verso la m o s c h e a . M e n t r e si avvicinava alla m o schea, ud i r u m o r i che vi e r a n o all'interno, senza
riuscire a riconoscerli. Si disse: "Questo che sta av476
28. IL SACCO DI M E N Z O G N E
preoccuparti. D o m a t t i n a tu e la m a m m a partirete,
lasciando qui solo me e il mio fratellino piccolo.
Trascorsero cos la notte, e all'alba se ne partirono
il vecchio padre, la m a d r e e la sorella maggiore della
ragazza. Anche a quest'ultima essa disse di partire. E
cos essi se ne a n d a r o n o . Rimase la ragazza con il
fratellino piccolo al suo fianco. Q u a n d o apparve il
jinn con il proprio sciacallo - lo sciacallo lo seguiva
c o m e un cane, e q u a n d o lui uccideva qualcuno, lo
sciacallo poi se lo mangiava -, q u a n d o arriv, dunque, il jinn la chiam:
Ehi, tu, ragazzina!
Eh?
Dov' tuo padre?
Mio padre partito insieme a degli uomini. Sono
a n d a t i in un p o s t o in cui il cielo sta cadendo, p e r
metterci dei puntelli.
Ah! E tua m a d r e allora?
La m a m m a andata con delle donne in un posto in
cui la terra si sta sdrucendo, per metterci u n a pezza.
E dov' tua sorella maggiore?
Mia sorella ieri era andata al pozzo, e nel ritorno
le era caduta u n a coscia, per cui adesso tornata indietro per cercarla.
A questo p u n t o la ragazza diede un pizzicotto al
bimbo, che si mise a piangere. Vedendolo piangere,
il jinn domand:
E adesso che cos'ha da piangere questo bambino?
Il motivo per cui adesso sta piangendo che ieri
a quest'ora gli avevamo dato dieci teste di sciacallo
per giocare e ballarci intorno, m e n t r e oggi prevede
di poterlo fare solo con la testa dello sciacallo che
con te.
All'udire queste parole, lo sciacallo corse via. E ve479
29. LA CIVETTA
moglie met della propria vita, questi non era in casa. Chiese sue notizie e gli fu detto: Non qui. In
quella usc sua moglie che lo vide e se ne innamor.
Essa gli disse: Non voglio restare qui. Voglio venire via con te.
Ah, no! Non a n d r via con te. Ho p a u r a di t u o
marito.
Oh, mio marito... Non n e m m e n o il caso di parlarne. Verr via con te.
Egli rifiut, ma lei continu a blandirlo, a fargli la
corte, a blandirlo, a importunarlo. Dai e dai, alla fine
l'uomo part. Fugg con lei mentre il marito non era
ancora tornato.
Dopo un certo tempo, l'uomo che stava fuggendo
con la donna le disse: Facciamo sosta qui per riposare.
No! Se ci f e r m i a m o qui mio m a r i t o ci raggiunger subito. Meglio proseguire alla svelta p e r n o n
farci raggiungere.
Cos ripartirono e continuarono fino a un luogo in
cui, comunque, finirono per far sosta. Scesero, si sedettero, e mentre erano fermi in quel posto la moglie
scorse il marito che si stava dirigendo verso di loro
seguendo le loro tracce.
Gli disse quindi: Non te l'avevo detto che se ci
fossimo fermati quello ci avrebbe raggiunti? Eccolo
che arriva.
Egli r i m a s e ad attenderlo. Q u a n d o arriv, ci fu
u n a colluttazione tra il marito della d o n n a e l'altro
u o m o . La lotta si p r o t r a s s e p e r un bel po', f i n c h
l'uomo che aveva rapito la donna si arrese e cadde a
terra. Dopo averlo fatto cadere, il marito chiese alla
moglie: Passami il coltello che lo sgozzo!.
La moglie si rifiut. L'uomo, q u a n d o sent che la
d o n n a non avrebbe dato il coltello al marito, balz
su aggredendolo e facendolo cadere. A questo p u n t o
481
30. C H I IL P I O N E S T O ?
Si dice che vi siano due persone. Di queste due persone si vuole sapere quale sia la pi onesta.
Ci sono due amici, u n o che sta ad Agads e u n o
che sta a Tighazerin. Orbene, quello di Tighazerin
quel giorno decise di partire per andare ad Agads a
trovare il suo amico. Dal m o m e n t o che ad Agads
pu capitare di fare affari, prese con s cinquemila
reali. Si disse: "Aspetta che li metto in tasca, me ne
vado ad Agads, sbrigo i miei affari e vedo anche il
mio amico".
482
31. L E P E R S O N E N E L P O Z Z O
32. LA D O N N A E IL L E O N E
33. L A M A S S I M A D A C E N T O M O N E T E D ' O R O
mo della sua stessa statura. Estrasse il pugnale e stava per piantarglielo nel ventre q u a n d o si sovvenne
della massima secondo cui " meglio passare la notte con la collera che con il rimorso". Rimise il pugnale nel fodero. R i m a s e fino al m a t t i n o in attesa
che l'uomo si alzasse per poi ucciderlo. Q u a n d o fu
mattina, ud sua moglie che diceva all'altro: Alzati e
prega Dio di far tornare tuo padre.
Da ci comprese che si trattava di suo figlio, per
cui disse: Ringrazio Dio di avere acquistato quella
massima per cento monete d'oro: essa ha salvato la
vita di mio figlio.
35. LA S T O R I A DI A M M A M E L L E N E DI E L I A S
Ammamellen aveva u n a sorella. Un indovino gli aveva predetto: Sta scritto che tu avrai un nipote che
sar superiore a te in intelligenza. Perci tutte le
volte che la sorella dava alla luce un maschio, egli lo
uccideva. Finch un giorno essa partor contemporaneamente alla sua schiava. Prese quindi la propria
creatura, la diede alla schiava e prese con s il figlio
di quest'ultima. Ammamellen arriv, lo prese e lo uccise.
Il figlio della p a d r o n a r i m a s e presso la schiava,
crebbe e si fece uomo. Il suo n o m e era Elias.
Ammamellen non lasci nulla di intentato per riuscire ad attirarlo in un tranello e ucciderlo. Elias era
superiore a lui, e Ammamellen non riusciva a ucciderlo.
Un giorno Elias giunse molto assetato da Amma488
Nota ai testi
Parte I
Le fiabe di questa parte provengono da: Uwe Topper,
Mrchen der Berber, Colonia, Eugen Diederichs Verlag,
1986. Quando questo autore non ha tradotto materiale
proprio ma partito da un testo berbero gi pubblicato, la traduzione stata fatta su quest'ultimo. I casi sono segnalati volta per volta.
1. Il mostro. Tradotta da Laoust (1949) n. 94, era stata raccolta presso i Bani Mtir a El Hajeb, nel Medio
Atlante. Nella trama, a prima vista piuttosto confusa,
di questa fiaba, sono contenuti alcuni elementi che
possono risalire a una remota antichit: in particolare
il tema del riconoscimento della morte e dell'atteggiamento nei suoi confronti. La raffigurazione della morte
sotto forma di una mula o di una giumenta (a Ouargla,
nel Sahara algerino: Tagmart) una immagine diffusa
nel mondo berbero, ma non solo: si veda per esempio il
sinistro personaggio di Spina de Mul nelle saghe ladine
delle Dolomiti (Dal Lago 1989). Al terrore della morte
che, sperimentata coi vecchi genitori, perseguita per
tutta la vita la donna, il figlio e il marito, si contrappone in questo racconto la speranza in una salvezza che
viene fornita dall'albero su cui la donna si arrampica,
evidente ripresa dell'antichissima immagine dell' "albero della vita". All'interno della favolistica berbera, l'intreccio trova interessanti corrispondenze con la fiaba
n. 12 della Parte II (La quercia dell'orco). Per l'espres491
bianco-nero (normalmente associata alla dicotomia libero-schiavo), estremamente frequente nei racconti
nordafricani. Assolutamente eccezionale invece la
circostanza che il ruolo positivo sia qui svolto dal nero
e non dal bianco. (In Marocco sono tuttavia tramandate le imprese di un "Sultano Nero" che avrebbe regnato
parecchi secoli fa e avrebbe assediato Tlemcen. Cfr. R.
Basset, Ndroma, p. 11 e App. IV.) Un particolare che
compare anche in numerose altre fiabe nordafricane
quello dell'arrestarsi degli orchi (o delle orchesse) di
fronte ai corsi d'acqua mentre stanno inseguendo gli
eroi del racconto. Ci sottolinea il carattere selvatico di
questi personaggi, cos estranei al mondo civile degli
umani da non sapere n e m m e n o nuotare, e questa
estraneit alle espressioni della "civilt" degli uomini
vale, in generale, anche per ogni altra creatura non
umana presente nelle fiabe. Per esempio, nel racconto
n. 4 della Parte III, il narratore sottolinea con sarcasmo
la scarsa abitudine a cavalcare del jinn rapitore di fanciulle, che se ne sta rigido e impacciato sulla sella pregiata di Mauritania. Questi esseri apprezzano, per, i
risultati che si ottengono con le arti degli uomini, per
cui, per esempio, non raro che l'eroe riesca a ingraziarseli liberandoli, con una perfetta rasatura, dal pelame lungo e incolto che li caratterizza.
7. L'uccello bianco e l'uccello nero. Fiaba raccontata a
U. Topper nel 1982 da Zahra bint Mohammed di Marrakesh. L'autore tedesco segnala una particolare variante turca da Istanbul - ampliata con una seconda
parte - messa per iscritto tra il 1939 e il 1947 da Boratav (Zaman zaman iginde, Istanbul 1958; trad. tedesca
di A. Uzunoglu-Ocherbauer, Tiirkische Mrchen, Frankfurt/M. 1982 (trad. it. di Oreste Bramati, Fiabe turche, Milano 1992). In essa si parla di un solo uccello
bianco, mentre gli altri due uccelli che vi ricorrono sono senza significato.
494
perch ignaro di aver danneggiato uno spirito ricordata anche a Ouargla (J. Delheure 1988, p. 373). In
questo, come in altri racconti (n. 19 e 27, ma anche n.
35 della Parte III), compare un accenno a riti di geomanzia, divinazione ottenuta interpretando segni casualmente tracciati sulla sabbia. Su questa tecnica, ancora piuttosto diffusa nel m o n d o berbero, si pu
vedere, da ultimo, Casajus (1993).
10. L'uomo con la pipa. Fiaba raccontata a U.Topper
da un pescatore berbero della trib Haha sull'Atlantico
nel 1984. Come nella n. 54, anche qui risulta chiaro il
valore attribuito ai fumatori di hashish, che diventano
gli eroi della storia. In effetti gli stati di coscienza alterati indotti dalla droga possono essere - e nell'ambito
di certe comunit mistiche sono - considerati sintomo
di contatto con un mondo trascendente, ispirato. Questa lunga versione sembra comprendere l'unione di diversi nuclei narrativi, in cui sono presenti molti elementi diffusi in altre fiabe, berbere e non, per esempio
il travestimento da tignoso del protagonista o il suo abbandono in fondo a un pozzo da parte dei fratelli. Frequente nella favolistica berbera anche il modo di uccidere orchi e draghi per dissanguamento, evitando di
tagliare loro tutti gli arti (o, pi spesso, le teste), perch
dopo l'ultima amputazione essi ricrescerebbero.
11. La figlia del jinn. Tradotta sul testo di Renisio
(1932), pp. 188 ss. Anche questa fiaba riunisce in s numerosi motivi assai noti sia in ambito magrebino sia
altrove. Il tema del bacio che fa dimenticare la donna
amata si ritrova anche, per esempio, nelle fiabe n. 187
e n. 194 della raccolta dei fratelli Grimm.
12. Il jinn di Imzuwurt. Raccontata a U. Topper da
Mohammed U-Lhajj, della trib degli Haha. A proposito di questa fiaba, U. Topper riferisce di averla udita
496
della Prezzemolina della tradizione italiana. La fanciulla che vive con l'orchessa qui non viene nominata; in
un racconto analogo raccolto da Laoust (1949), n. 97,
essa ha il nome di Lunja "del roccione". Su questo personaggio (altrove chiamato anche Runja, Nuja o simili), assai noto in Nordafrica, si possono vedere le fiabe
n. 2 e n. 19 della Parte II.
16. L'uccello dalle uova d'oro. Fiaba narrata a U. Topper da un giovane della trib degli Haha. Essa ben
nota in tutto il Nordafrica e anche altrove. Nonostante
la trama nel complesso diversa, vi accordo nel particolare dei due figli che mangiano le parti pi pregiate
dell'uccello fatato (il cuore e il fegato) con la fiaba n. 60
dei fratelli Grimm I due fratelli. Pressoch identica nella sostanza invece la fiaba yiddish n. 27 della raccolta
di Silverman Weinreich (1992). Ovviamente in
quest'ultima versione il malvagio che alla fine viene punito non un ebreo (il prototipo del malvagio nelle fiabe berbere), bens un "signorotto"consigliato da un
prete.
17. L'Uomo e il Gigante. Fiaba narrata a U. Topper
da Abdullah Unwar. Anche questo testo contiene motivi assai diffusi sia in Nordafrica sia altrove. In ambito
europeo, un confronto pu essere fatto con due racconti dei fratelli Grimm: Il coraggioso piccolo sarto (sette in
un colpo), n. 20 e II gigante e il sarto, n. 184, ciascuno
dei quali contiene una parte degli episodi del racconto
berbero.
18. Il fabbricante d'oro. Fiaba raccolta a Rabat da U.
Topper. Al contenuto morale del racconto (che potrebbe far parte della serie di miti relativi alla citt di Jedad
u ben Ad) si affianca una probabile reminiscenza della
tradizione alchemica araba.
498
numerosi motivi assai diffusi, anche al di fuori del Nordafrica (p.es. la foresta interdetta e la caccia alla gazzella). Sul modo di far parlare la principessa muta, si veda
la nota alla fiaba cabila n. 19 della Parte II.
35. L'astuta Aisha. Narrata a U. Topper da Zahra bint
Mohamed di Marrakesh. Appartiene, come la n. 39 e la
n. 32, a quel genere che si compiace di descrivere le astuzie femminili nei confronti degli uomini. Il "personaggio" di Aisha comunque una figura che emerge a tal
punto in questo genere da vivere quasi di vita propria.
Su ci, cfr. M. Virolle-Souibs (1993), pp. 377-390.
36. La moglie innamorata. Racconto recitato a U. Topper a Rabat da giovani originari dei monti circostanti.
Numerosi racconti riferiscono le vicende penose di chi,
non potendoselo permettere, cerca affannosamente il
modo di sacrificare un animale in occasione della Festa
del Sacrificio (p.es. n. 5 e n. 8). Il tema viene qui per affrontato in un modo quasi farsesco che ne fa una specie
di "barzelletta".
37. Il magico cuscus. Raccontata a U. Topper nel
1985 da un giovane del Sus, che sosteneva trattarsi di
"un avvenimento autentico". Per la preparazione del
cuscus con la mano di un morto allo scopo di annullare
la volont dei mariti e altre pratiche magiche si pu vedere Doutt (1984), pp. 302 ss.
38. La povera donna e l'orchessa. Raccontata a U.
Topper da Erqia, una donna di circa settantanni della
trib Haha nell'Alto Atlante in lingua tashelhit. Per il
suo contenuto, essa si pu accostare alla fiaba n. 5 della Parte II, incentrata sul personaggio di una povera vedova che riesce, lavorando sodo e impiegando l'astuzia,
ad allevare e a salvare dall'orchessa i suoi numerosi fi503
lingua tashelhit. Molto simile il racconto yiddish Come Giuda Halevi sal in cielo da vivo di Silverman
Weinreich (1992) pp. 286-287, n. 129, di lontane origini
talmudiche. Il modo familiare - e qui quasi scanzonato
- di trattare con lo stesso Padreterno effettivamente
abbastanza caratteristico del mondo giudaico pi che
di quello islamico, perci mi sembra che per questo
racconto si possa pensare a un'origine ebraica. Non va
comunque dimenticato che un'analoga familiarit con
Dio tipica anche del mondo dei mistici musulmani.
58. Nostro signore Khadir. Narrata a U. Topper da un
pescatore della trib degli Haha. Khadir (o Khidr) sarebbe, secondo la tradizione, il personaggio di cui parla
- senza farne il nome - il Corano nella sura XVIII, 6582, di cui la prima parte di questa fiaba quasi una traduzione letterale. Questo personaggio (il cui nome vuol
dire "il verde", riconducibile forse a un'antica divinit
della vegetazione) particolarmente caro ai mistici
islamici, secondo i quali egli sarebbe il capo soprannaturale dei 40 abdal ("santi") presenti in ogni momento
sulla terra (i "quaranta compagni" del racconto). Diverse avventure lo vedono protagonista in Yafi'i (1993),
pp. 123 ss. e passim.
59. Jujumajuj. Questa fiaba, come pure le quattro
successive, stata narrata a U. Topper da un pescatore
della costa atlantica in lingua tashelhit. Mentre le figure di Gog e Magog (=Jujumajuj) sono diffuse in tutto il
mondo islamico, dal momento che ne parla gi lo stesso Corano (Sura della caverna, XVIII, 94 e Sura dei profeti, XXI, 96), specificamente berbera sembra la previsione dell'avvento, alla fine dei tempi, di u n a
moltitudine di nani. La descrizione di questi esserini,
"che possono a stento vedere oltre il bordo del paiolo
stando sulla punta dei piedi", coincide in modo impressionante con quella dei nani dell'escatologia cabila,
510
"sette dei quali potranno giocare in un amud (recipiente della capacit di circa 5 litri)". Cfr. C. Lacoste-Dujardin (1993) pp. 363-375.
60. Il drago rosso del Dujjan. Narrata a U. Topper da
un pescatore. Questa fiaba aderisce pi della precedente all' escatologia musulmana tradizionale (gi elaborata a partire dai hadith) che prevede un unico essere
mostruoso ribelle a Dio, il Dajjal, in Marocco anche
Dujjal/Dujjan (cfr. anche, sopra, la n. 41), cui si opporranno vittoriosamente Ges, figlio di Maria, e il Mahdi.
In Cabilia, il corrispondente Tsejjal pu essere un nano, oppure quella moltitudine di nani che nella fiaba
precedente sono invece identificati con Gog e Magog.
Cfr. C. Lacoste-Dujardin (1993) pp. 363-375.
61. La fine del mondo. Narrata a U. Topper da un pescatore. Tutto il materiale di questo racconto trae
spunto da brani coranici. Su Lot, in particolare la sura
XXVI, 160-175, dove si parla di "una pioggia: terribile
pioggia", alludendo alla pioggia di fuoco che distrusse
Sodoma. L' epressione "Non vi erano pi donne" del
racconto allude probabilmente al peccato dei Sodomiti, ricordato nello stesso brano del Corano: "V'accosterete voi ai maschi di fra le creature? E abbandonerete
le spose che per voi ha creato il Signore?"(trad. di A.
Bausani, Firenze, Sansoni, s. d. [1961]). Da No prende
il nome la sura LXXI. Sono ricordati nel Corano anche
la bilancia (VII, 8 e LV, 7) e il libro delle azioni compiute (XVII, 13-14).
62. Una profezia. Narrata a U. Topper da un vecchio
pescatore nei pressi di Mogador (1973). Su Sidi Megdul e altre credenze e usanze religiose dei pescatori
berberi della regione, cfr. E. Laoust (1923). Secondo
Topper, il brano che comincia con "Il bel porto sar allora..." e finisce con "una noce schiacciata dalla zampa
511
9.I cavalli di lampi e di vento. A proposito dell'epiteto del cavallo, anche in una fiaba raccolta da Mokrane
Chemime, Adar iteddu s azar, 1991, p. 32 (Mhemmed At
Seltan) si descrive una cavalcatura "le cui zampe anteriori sono (veloci come) il vento, quelle posteriori (come) il lampo".
10. Lo sveglio e il sempliciotto. Interessanti confronti si
possono fare con la fiaba n. 15 della Parte I, dove il tema
pi esteso rispetto al nostro, che assume un semplice
aspetto di racconto didascalico sulla necessit dell'obbedienza, unita al "tutto bene ci che finisce bene".
11. Mia madre mi ha sgozzato, mio padre mi ha mangiato, mia sorella ha radunato le mie ossa. Anche qui
(come nelle fiabe n. 8 e n. 22) l'assenza delle formule di
rito all'inizio e alla fine fa capire che questa non viene
intesa come una vera e propria fiaba, bens come la
narrazione di un fatto tragico realmente accaduto. Un
episodio analogo si ritrova nelle fiabe dei fratelli
Grimm (n. 47, Il ginepro), e perfino tra i racconti yiddish dell'Europa orientale. Cfr. la fiaba di Moyshele e
Sheyndele in Silverman Weinreich (1992), n. 24, col ritornello Ucciso da mia madre, mangiato da mio padre e
da Sheyndele: quando ebbero finito, mi succhiarono il
midollo dalle ossa e le buttarono dalla finestra. Un'analisi di questo tema del cannibalismo parentale e della
reincarnazione del bimbo in un uccello, sulla scorta
anche delle versioni internazionali, in S. Zoulim, Du
cannibalisme parental. A propos de l'oiseau funebre, in
Libyca 28-29 (1980-81), pp. 193-197.
12. La quercia dell'orco. Questa versione nordafricana della storia di Cappuccetto Rosso interessante perch si pone in certo qual modo a met strada tra la fiaba europea e un racconto dall'aspetto decisamente
autoctono, anzi considerato estremamente antico co517
me quello della fiaba n. 1 della Parte I. Questa ambivalenza tra fiabe di aspetto originale e possibili contaminazioni con tradizioni anche assai lontane costante in
quasi tutti i racconti del Nordafrica. Il vecchio che la
fanciulla va a visitare qui suo nonno, mentre nel ritornello usato per farsi aprire la porta si parla di un
"padre". Questo ritornello, riportato per esteso nel Fichier priodique del 1976 in appendice a una versione
della fiaba assai simile (in cui per si parla sempre di
un padre e una figlia), diventato molto popolare presso i giovani da quando stato musicato dal cantante
Idir (Canciani 1991, p. 130).
13.I sette orchi. Sul tema del tradimento dell'eroe da
parte di una donna in combutta con un orco creduto
morto, cfr. anche la fiaba n. 14 della Parte I. Il trucco
con cui l'eroe riesce a sfuggire all'ira dell'orchessa ricorre frequentemente nelle fiabe nordafricane. Esso si
basa sulla condizione di "parentela di latte" che si viene
ad acquisire con la balia. Bastano poche gocce per instaurare un rapporto per molti versi simile a quello tra
madre e figlio. Ancora oggi tra due persone di diverso
sesso che hanno avuto la stessa balia il matrimonio
impensabile, come tra fratello e sorella.
14. Storia del baule. Il genere letterario dell'indovinello assai diffuso in tutto il territorio berbero e in
particolare in Cabilia. Per un quadro generale della situazione si possono consultare ora i tre volumi di Devinettes berbres curati da Fernand Bentolila (1986), che
contengono materiale proveniente dal Marocco (meridionale, centrale, Rif), dall'Algeria (Cabilia e Mzab) e
dai Tuareg di Niger e Mali. Tra gli indovinelli contenuti in questo racconto, non pu non destare una certa
impressione quello che riecheggia la domanda che la
Sfinge pose a Edipo. Che difficilmente si tratti di una
aggiunta di Fadhma o Taos Amrouche - dotate entram518
un bimbo particolarmente piccolo (ma astuto e audace), tant' che spesso l'eroe di tali fiabe soprannominato "met", "dimezzato" o simili.
Il tema del racconto della statua portata in vita, narrato per far tornare la parola a un principe (o una principessa), assai diffuso in Nordafrica (si veda la fiaba
n. 34 della Parte I o la n. 7 di questa), e la sua diffusione arriva fino in Europa orientale, dove esso attestato, per esempio, nella fiaba yiddish Saggezza o
fortuna?, in Silverman Weinreich (1992), p. 27. notevole osservare lo stretto accordo di quest'ultima versione con quella del presente racconto, dal momento che
anche in essa, il narratore non si rivolge direttamente
al malato ma ostenta di parlare a un candeliere.
Il "gioco delle arance", ancora oggi diffuso tra i giovani in Cabilia, consiste nel far rotolare delle arance
come fossero bocce su un terreno pi o meno inclinato.
Colui che con la sua arancia riesce a colpirne un'altra
si impossessa di tutte le arance gi giocate.
Il nome del protagonista, Smain, e i toni quasi mistici
con cui egli dichiara ripetutamente: "Si compiano la volont di Dio e quella di mio padre!" fanno pensare che in
questa fiaba si siano innestati, su un racconto sostanzialmente analogo a quello della n. 4 della Parte I, elementi della storia di Ismaele (in cabilo: Smail, ma spesso
vi sono scambi -U-n finali, p. es. l'angelo Azrail/Azrain),
primogenito lungamente atteso da Abramo e da questi
condotto al sacrificio: secondo la tradizione islamica fu
lui, e non Isacco, che venne sottoposto a questa prova
(Corano XXXVII, pp. 101 ss.). Una bella composizione
poetica cabila incentrata su questo sacrificio riportata
da M. Mammeri nella raccolta Pomes Kabyles anciens,
pp. 272 ss.
20. Storia di Beljudh e dell'orchessa Tseriel. Le vicende del personaggio di Beljudh (o Bel Ajjud; in Marocco
anche Hamerqejjud) corrispondono in parte a quelle
521
trasgressione all'unico divieto imposto e un finale amaro per il/la protagonista. E come quest'ultima fiaba,
suscettibile di u n a lettura allegorica (la condizione
umana dopo il peccato di Adamo ed Eva).
Parte III
Le fiabe di questa parte sono state tradotte dai testi tuareg pubblicati in: Dominique Casajus, Peau d'ne et autrescontes Touaregs, Parigi, L'Harmattan,1985 (nn. 1-9);
Petites Sceurs de Jsus, Contes touaregs de l'Air, Parigi,
SELAF, 1974 (nn. 10-31); Adolphe Hanoteau, Essai de
grammaire tamachek', Algeri, 1859 (nn. 32 -35).
1. Tesshewa, la fanciulla sposata dal fratello. Raccolta
presso Ghaisha Ult Khamed, detta Tata, degli Iberdiyanan, una trib vassalla dei Kel Ferwan (Air). L'inizio
della storia presenta molte analogie (ritrovamento di
un capello, nozze col fratello e fuga) con un racconto
cabilo, Zalgoum, presente nella raccolta Tellem chaho
di M. Mammeri (1980), il cui seguito tuttavia differente. In un'altra versione di Zalgoum, pubblicata nel
Fichier Priodique del 1976, compare anche - abbreviato - il particolare della ragazza che si riveste prima
di uscire dal suo rifugio. Quello che stato qui tradotto
con "pettine" in realt uno strumento per dividere le
ciocche di capelli prima di fare delle treccine, che costituiscono di solito l'elemento fondamentale dell'acconciatura maschile tradizionale, lasciando tuttavia rasata
gran parte del capo.
2. Il rapimento di Khawatan. Raccolta nel 1980 presso
Adama, artigiana di Tedu (vicino ad Agadez). Presso i
Tuareg assai diffusa la credenza nell'esistenza di esseri
giganteschi, denominati jabbar, che sarebbero una categoria particolare di jinn caratterizzata dalle dimensioni
523
chiara in questa fiaba l'equazione tra natura selvaggia e mancanza di cura personale, per cui cessando di
pettinarsi i capelli la fanciulla perde quasi del tutto la
natura umana, mentre il taglio del pelame, unito agli
agi della civilt (l'interno di una tenda), basta a ridonarle un aspetto umano.
8. Kutyanga, il fratellino astuto e la vecchia jinniya.
Raccolta nel 1979 presso Emuman, artigiano dei Kel
Tisemt. la versione tuareg del celebre racconto cabilo
di Meqidesh, cui dedicata un'approfondita analisi da
parte di Lacoste-Dujardin (1982).
9. Tersheddat e le sue compagne gelose . Raccontata
nel 1989 ad Agadez da un'artigiana. Presenta molti
punti di contatto con la n. 1, anche se vi figurano elementi dei racconti successivi. Nel suo complesso richiama anche molte altre fiabe berbere, come La jeune
fille et ses six soeurs di Ouargla (Delheure 1989, pp. 118
ss.), in cui le nozze finali avvengono con una cagna invece che con un'asina.
10. Lo sciacallo e la lepre. Raccontata a Niamey nel
1963 da Mokhammed Ag Ghali. Nella prima parte contiene diversi elementi frequenti nelle storie del genere
della n. 25, in cui due imbroglioni fanno societ e tentano continuamente di ingannarsi a vicenda (tipica in
particolare la sostituzione del contenuto dei sacchi).
11. La iena e la lepre. Raccontata a Niamey nel 1963
da Mokhammed Ag Ghali. Racconto basato sul gioco
di parole col nome del protagonista (il pi illustre antecedente ne l'omerico Ulisse-Nessuno). Frequente anche in altre fiabe lo stratagemma di squagliarsela facendosi buttare via, vuoi - come qui - facendo
scambiare le orecchie con i sandali, vuoi facendo finta
di essere morto. Nei racconti cabili del genere di Meqi526
diffusa nell'area tuareg e nell'Africa occidentale. G. Calame-Griaule segnala - nel volume da cui tratta la fiaba - che altrove il dilemma di solito tra la sorella e la
moglie (qualche volta tra la sorella, la moglie e la suocera). Qui molto ben inserito anche il timore dell'uomo per la propria stessa vita.
32. La donna e il leone (di Salem ag Mohammed,
trib degli Isaqqamaren, Ahaggar). Questo racconto,
come pure il successivo, vale a illustrare proverbi e modi di dire diffusi tra i Tuareg, ma anche presso altre popolazioni berbere. Che una ferita nel fisico guarisca
molto meglio di un'offesa nell'animo proverbio noto
anche altrove in Nordafrica, per esempio in Cabilia:
"Le ferite si cauterizzano e guariscono; le ingiurie scavano e scavano sempre di pi". Sempre in Cabilia si
hanno echi della presente storiella in alcuni proverbi:
" in assenza del leone che si dir che la sua bocca ha
un cattivo odore", oppure: "Chi oser dire al leone: 'La
tua bocca ha un cattivo odore?'".
33. La massima da cento monete d'oro (di Bedda ag
Idda, trib degli Ifoghas, Azger). Anche la massima
proverbiale al centro di questo racconto diffusa altrove in Nordafrica, per esempio in Cabilia: " preferibile
coricarsi col dispiacere che risvegliarsi col rimorso".
Una versione assai simile, che prevede l'acquisto di tre
massime, di cui l'ultima e pi importante suona: "La
superbia della sera (as)serbala alla mattina", compare
in una raccolta toscana del secolo scorso: Nerucci
(1891), n. 53,1 tre consigli.
34. L'uomo che cercava il paese dove non si muore (di
Bedda ag Idda, trib degli Ifoghas, Azger). Il mito
dell'uomo alla ricerca di un mezzo per assicurare l'immortalit a s e ai propri cari antichissimo e assai diffuso, da Gilgamesh in poi. L'inevitabile fallimento qui
532
533
Indice
VII
XXIII
XXVI
Introduzione
Bibliografia
Glossario
FIABE DEL POPOLO TUAREG
Parte I
1. Il mostro
2. L'acqua che non cade dal cielo e non sgorga
dalla terra
3. Il mercante, l'ifrit e i tre vecchi
4. Il principe Mohammed, che rap la figlia
del capotrib dei nomadi
5. Ahmed U-n-Amir
6. Il re con un figlio bianco e uno nero
7. L'uccello bianco e l'uccello nero
8. Aggelamush
9. La donna che venne rapita da un jinn
10. L'uomo con la pipa
11. La figlia del jinn
12. Il jinn di Imzuwurt
13. La negra con i due gomitoli
537
85
87
93
98
103
104
107
109
111
113
114
116
118
17.
18.
19.
20.
21.
22.
23.
24.
25.
26.
120 27.
L'Uomo e il Gigante
Il fabbricante d'oro
Il contadino e il re
Il pescatore che and dal re
La schiava furba
Il medico saggio
Un saggio consiglio
La grossa eredit
La guarigione dall'avaro
Il cad e il cacciatore
Lo strano dono nuziale
Storie facete
124 28. Il sultano e i Berberi
125 29. Il maestro di Corano tra i Berberi
126 30. I Figli dell'Avarizia
128 31. La pelle magica
Storie di donne
137
140
143
149
150
151
152
154
156
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Storie di animali
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Il chicco fatato
Lunja, figlia di Tseriel
Storia della rana
Chi di noi la pi bella, o luna?
Aisha, figlia mia, una pozza in cui spegnere
queste fiamme!
6. La mucca degli orfanelli
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La principessa Sumisha
Il flauto d'osso
I cavalli di lampi e di vento
Lo sveglio e il sempliciotto
Mia madre mi ha sgozzato, mio padre mi ha
mangiato, mia sorella ha radunato le mie ossa
La quercia dell'orco
I sette orchi
Storia del baule
0 Bu-Iedmim, figlio mio!
Storia del vecchio leone e dello stormo
di pernici
Storia di Mosh e delle sette fanciulle
Storia della pulce e del pidocchio
Runja, la fanciulla pi bella della luna
e della rosa
Storia di Beljudh e dell'orchessa Tseriel
Il gatto pellegrino
Il fegato del cappuccio
L'Uccello della Tempesta
P a r t e III
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Lo sciacallo e la lepre.
La iena e la lepre
L'elefante e lo sciacallo
Lo sciacallo, l'otarda e la iena
Lo struzzo e il riccio
lo sciacallo e lo struzzo
La iena e la zucca
Il leone e l'asino
Lo sciacallo e il leone
Lo scoiattolo scavatore e l'elefante
Il leone e la capra
il gallo e lo sciacallo
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La piroga
Il mentitore
Il figlio del re e il figlio del povero
L'uomo di Kano e l'uomo di Katsina
La coperta
I tre pretendenti della figlia del capo
Il sacco di menzogne
La civetta
Chi il pi onesto?
Le persone nel pozzo
La donna e il leone
La massima da cento monete d'oro
L'uomo che cercava il paese dove non si muore
La storia di Ammamellen e di Elias
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