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L LIBRO William Dalrymple per Adelphi

Compagnia delle Indie, storia da


riscrivere
Non fu il governo britannico a colonizzare ma una società privata

La potenza delle grandi società private condiziona i governi delle nazioni e spesso
ne determina le decisioni. Ma non è fenomeno solo di oggi, anzi la storia testimonia
che nel tempo se ne sono viste di peggio. Nell'ultimo anno del Cinquecento
nasceva a Londra la Compagnia delle Indie Orientali. La fondavano un centinaio di
impudenti commercianti con lo scopo di acquisire il monopolio delle preziose merci
che lasciavano i mercati del lontano Oriente per approdare in Europa.
L'inarrestabile ascesa della Compagnia Britannica delle Indie Orientali è narrata
con impareggiabile precisione e stile pregnante dallo storico inglese William
Dalrymple in Anarchia, tradotto da Saverio D'Onofrio ed edito con la consueta
eleganza da Adelphi ne che sarà presentato il 10 settembre a Cortina nella
rassegna Una montagna di libri.Anarchia è dunque la spregiudicata storia di una
società che in nome del denaro brutalizza e calpesta ogni etica e valore umano. Il
commercio ha la sua etica? Ed è quella secondo cui si può annientare la ricchezza
e la storia antichissima di una Nazione? Eppure la Compagnia delle Indie conserva
nell'immaginario un valore quasi mitico. È sconcertante osservare che fin
dall'esordio, la Spa londinese fu autorizzata dalla sua patente costitutiva a
"muovere guerra". Ma fu il 1756 l'anno in cui la Compagnia delle Indie Orientali
«cessò di somigliare anche lontanamente a un'impresa mercantile convenzionale,
commerciante n sete e spezie, per tramutarsi in qualcosa di assai più insolito.Nel
giro di pochi mesi, i suoi duecentocinquanta impiegati, sostenuti da un esercito di
ventimila soldati indiani reclutati in loco, erano diventati governanti effettivi delle più
ricche province moghul. Una società di capitali multinazionale era in procinto di
trasformarsi in un'aggressiva potenza coloniale». Nel 1803 l'esercito privato della
Compagnia di uomini armati ne contava dieci volte tanti e l'India a sud di Delhi,
capitale moghul, era ormai sotto controllo della City. «Si sente ancora dire che gli
Inglesi conquistarono l'India», rileva con tono quasi sdegnato Dalrymple. «In realtà
non fu il governo britannico che iniziò a dilaniare l'India, un pezzo alla volta, a metà
del diciottesimo secolo, ma una società privata pericolosamente non
regolamentata, basata in un ufficio di sole cinque finestre a Londra e gestita in India
da un predatore aziendale violento, assolutamente spietato e, a tratti, mentalmente
instabile: Robert Clive».La Compagnia era ben organizzata e altrettanto efficiente.
Questo bastava constatare dagli azionisti in Gran Bretagna, dove solo a metà del
diciannovesimo secolo si cominciò ad avvertire un senso di imbarazzo per modi
brutali e loschi con cui veniva esercitato il commercio nelle Indie e alla pressione
esercitata dalla potenza commerciale della Compagnia che condizionava
spudoratamente le scelte di governo e corrompeva gli uomini della politica.Un
esempio, quello di far valere il denaro nelle scelte politiche e militari di una
Nazione, peraltro replicato in ogni tempo e in ogni latitudine.Il quesito implicito
risultante dal libro di Dalrymple è questo: se è giustificato l'obiettivo di una società
privata di perseguire il lucro, è legittimo perseguirlo in maniera illegittima? Anche la
risposta è scontata: «La domanda vecchia di trecento anni, su come bilanciare il
potere e i rischi delle grandi multinazionali non ha ancora ricevuto una risposta
definitiva: non è chiaro in quale modo lo Stato possa proteggere adeguatamente sé
stesso e i suoi cittadini dagli eccessi delle grandi imprese.Nessuna società di
capitali contemporanea riuscirebbe a replicare la violenza e l'incredibile potenza
militare della Compagnia delle Indie Orientali e creare di farla franca, ma molte
hanno cercato di eguagliare il suo successo nel piegare i propri fini l'autorità
statale».Il ponderoso volume (634 pagine) è alleggerito da un linguaggio narrativo
accattivante e corredato da un interessante apparato di immagini.. ©
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