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Come leggere Hard Times

Charles Dickens è come pochi altri scrittori al mondo un’icona culturale: i suoi romanzi
hanno formato generazioni di lettori che lo hanno amato e, a volte, odiato, perché come dice
Calvino sono dei classici. Di certo lo è anche Hard Times, romanzo atipico per la sua
brevità, che vide la luce nel giro di pochi mesi, per risollevare le finanze del suo autore.
Dickens rappresenta un modello con il quale un confronto è inevitabile e impegnativo, non è
possibile ricondurre Dickens a un solo stile.
“Il sole è tramontato su di me per sempre”, con queste parole Jhon Dickens congedava il
figlio Charles che era andato a fargli visita in prigione. Charles Dickens aveva solo dodici
anni quando suo padre venne arrestato per debiti e incarcerato. Tale evento fu destinato a
lasciare un segno nell’immaginazione del futuro romanziere, che lo portò a una precoce
maturità in una Londra che già presentava tutti i mali derivanti dalla massiccia
industrializzazione. La prigione diventa una delle metafore più vivide del macrotesto
Dickensiano, sia essa un reale luogo di reclusione o uno spazio simbolico. E’ un luogo
dall’aspetto sinistro e misterioso e che causa profonde frustrazioni nei confronti del regime
carcerario inglese e in particolare nei confronti del cosiddetto “separate sistem” ossia il
sistema che prevedeva che i detenuti fossero chiusi in celle singole, così da poter riflettere
sui propri errori, pentirsi, ma in realtà infliggeva pene crudeli rispetto all’entità dei reati e
metteva a rischio la sanità mentale di chi vi entrava. Ad accrescere il disagio per le difficoltà
finanziarie della famiglia ci fu anche l’esperienza di Dickens in una fabbrica di scarpe, che
metteva fine al sogno di proseguire gli studi universitari. Dickens viveva in piccoli alloggi,
separato dal resto della famiglia. anche la fabbrica, come Londra è vissuta come lo spazio
della segregazione e dell’alienazione interiore. Specialmente la fabbrica significa rinuncia
all’istruzione, che era cominciata molto presto. Conobbe i romanzieri inglesi del ‘700, lesse
libri come “mille e una notte” e “Don Chichotte”. Il senso della vergogna e del degrado
morale, che la vicenda familiare aveva imposto a un ragazzo appena adolescente, forgiano la
personalità dello scrittore, che farà della figura del gentiluomo, uno dei perni intorno ai
quali elaborare i romanzi. Facendo proprie le istanze della borghesia vittoriana, di sfidare il
potere detenuto dall’aristocrazia, Dickens crea una galleria di gentiluomini in parte ispirati
alla propria esperienza che gli permette di guardare alla figura del gentiluomo dall’esterno e
di capirne meglio la natura e il ruolo sociale. Il concetto di gentiluomo appare
definitivamente separato dall’appartenenza ad una determinata classe sociale. Herbert
riscrive il concetto di “gentleman” basandolo sulle qualità morali, sulla generosità e sulla
nobiltà d’animo. Dickens fonda gran parte del suo immaginario sulla polarizzazione fra
“true gentility” e “false gentility”: personaggi apparentemente nobili, si rivelano meschini, o
personaggi rozzi che nascondono nobiltà d’animo. Samuel Smiles scrive un libro fra i più
popolari dell’Inghilterra vittoriana, “Self Help”: il vero gentiluomo non è chi eredita un
titolo e ricchezze, ma chi possiede “Strength of purpose”. Nell’esaltare il lavoro e la
rettitudine, Smiles vuole dimostrare tramite esempi di personaggi illustri, che il successo
nella vita è dato si dall’impegno in attività nelle quali si investono energia e coraggio, ma
anche dal realizzare quella che chiama “self culture”. La Self culture diventa il tratto di chi
vive la contemporaneità e si nutre di cultura. Dickens appare l’incarnazione perfetta dello
smilesiano Self Made Gentlemant, colui che grazie alla conoscenza della sua città, all’
osservazione dei suoi abitanti e alla riflessione sul momento storico che il popolo inglese sta
attraversando, si fa interprete della sua epoca.
L’età vittoriana fu un’età di grandi cambiamenti, già verso il 1750, la rivoluzione industriale
aveva profondamente trasformato la società inglese, le campagne si spopolavano e
sorgevano agglomerati urbani. Quando la regina vittoria (1819- 1901), salì al trono nel
1837, alcune della più importanti riforme avevano già visto la luce. Il Catholic Relief Bill
restituiva ai cattolici i diritti civili e politici; i combinations act autorizzavano
l’associazionismo operaio, era stato esteso il diritto di voto e abolita la schiavitù; il factory
act regolava il lavoro nelle fabbriche (soprattutto quello dei bambini). Il sistema di
assistenza ai poveri veniva però peggiorato perché c’era un controllo severo sulle persone e
sulla loro sorte e ciò perché nei territori britannici la popolazione era più che raddoppiata.
La teoria di Maltus aumentava la preoccupazione, perché secondo essa, la popolazione
aveva un tasso di crescita geometrico, mentre la ricchezza cresceva a un tasso aritmetico,
quindi le risorse naturali erano destinate a finire e la popolazione si sarebbe ridotta alla fame
e alla carestia. Quindi era necessario un controllo delle nascite tra le fasce sociali più basse.
Hengels affermava che le condizioni erano peggiori di quelle delle prigioni e che era
preferibile essere rinchiusi nelle carceri, piuttosto che come poveri nelle Work Houses. Ciò
che Maltus non aveva previsto era la straordinaria crescita economica dell’Inghilterra; la
ricchezza della nazione si basava però sulla sofferenza del proletariato, che però poneva
problemi di ordine interno.
Definita come lo spartiacque della modernità, la rivoluzione francese ebbe un enorme
impatto sull’opinione pubblica vittoriana. Thomas Carlyle la considerava un evento
apocalittico della storia e i governatori britannici ne avrebbero dovuto trarre una lezione. Il
movimento operaio presentò una “Carta di rivendicazione dei diritti civili” e Carlyle
affermava che le masse dei lavoratori avevano bisogno di una Leadership che le guidasse
verso un benessere comune e orientò il pensiero vittoriano a una riflessione sulla condizione
storica e sul futuro dell’Inghilterra. La ricchezza inglese si basava sull’opposizione tra classi
sociali, fra lavoratori e industriali, tra deboli e forti. È significativo che proprio da questa
dicotomia maltusiana Charles Darwin derivasse la chiave di svolta dell’evoluzionismo,
teoria che scosse la società vittoriana. Avendo fra le mani il saggio di Maltus, Darwin trasse
l’idea principale sulla quale costruire la sua teoria dell’evoluzionismo. Osservando piante e
animali, si scorgevano le stesse dinamiche che si basavano sullo stesso principio della lotta
per la vita, che Maltus considerava alla base dell’esistenza umana. In “the origin of species”,
il netto contrasto con la credenza bibblica dell’uomo, diede spiegazione razionale a una
teoria che già si faceva strada negli ambienti della scienza. L’evoluzionismo guardava
indietro a milioni di anni, in cui la vita sulla terra si era trasformata secondo leggi naturali
che facevano sopravvivere la forma più adatta all’ambiente in cui si trova. Darwin diede una
sistemazione scientifica a migliaia di dati raccolti. L’evoluzionismo condizionò tutta
l’epoca vittoriana. Ai vittoriani veniva fornita una spiegazione scientifica del cambiamento
che essi sperimentavano nella quotidianità. Il pericolo che affidandosi al pensiero scientifico
e relazionale e venendo meno alla fede religiosa, la società non avrebbe più avuto principi
morali e si sarebbe autodistrutta.
I valori tradizionali su cui si basava la società vittoriana, la famiglia, il matrimonio, la
religione, l’impero non dovevano essere in discussione. Vi era un chiaro cambiamento in
atto, ma anche una resistenza a quel cambiamento, c’era una disarmonia, un disordine
dilagante.
La stessa regina vittoria era l’immagine vivente di tale contraddizione. L’ascesa al trono di
una donna era un elemento di novità e le sue simpatie whig, alimentavano speranze di
riforme; la regina però era troppo giovane e ci fu sostanzialmente continuità con il passato. I
primi anni del suo regno non furono semplici. A causa di una grave crisi economica degli
anni ’40 e a causa dei disordini provocati dal movimento cartista. Il “free tride act” diede
però origine a un regime economico liberistico che diede origine a un periodo di prosperità e
di prestigio. Anche per Jeremy Bentham e Stuart Mill il principio di utilità coincideva col
principio di felicità e solo la libera impresa poteva condurre alla più grande felicità.
Si capì ben presto che il pensiero sociale inglese doveva essere completato col concetto di
cultura per integrare un sistema solo utilitaristico e portare la nazione verso nuovi orizzonti.

Nel 1854, anno di pubblicazione di Hard Times, Charles Dickes era un romanziere
affermato e di fama indiscussa. Aveva già lavorato come cronista e fra il 1837 e il 1854
aveva scritto la maggior parte dei suoi romanzi; aveva anche avviato e dirigeva una rivista
Household Words e di ritorno da Birmingham cominciò a elaborare l’idea per un nuovo
romanzo da pubblicare a putate Household Words. In un viaggio aveva avuto occasione di
osservare il paesaggio industriale nella stagione invernale ed era stato colpito da uno
sciopero degli operai delle fabbriche tessili in atto già da parecchie settimane. Scrisse un
articolo per indagare sulla natura e le finalità dell’”economia politica”. Lo sciopero era teso
a ripristinare la percentuale tagliata ai lavoratori qualche anno prima e i datori di lavoro
avevano reagito con una serrata. Dickens vuole trovare una via di mediazione fra capitalisti
e lavoratori e afferma che le sole statistiche e i dati aritmetici, non possono sanare le dispute
sociali. Dickens afferma che la validità del pensiero economico viene meno quando non si
tiene conto del fattore “umano” e sfida teorie e dati degli economisti. Già Carlyle aveva
ammonito sulla pericolosità di affidarsi a dottrine che ignorano la complessità della vita
umana perché, diceva Carlyle “quei mostri senza anima (le macchine) non solo occupano gli
spazi degli uomini e delle donne sottraendo loro lavoro, ma si sostituiscono ai loro cuori e
alle loro menti”. Carlyle aveva ammonito i governanti ad occuparsi degli uomini e dei loro
diritti per evitare scontri sociali e rivoluzionari.
Proprio le conseguenze negative, generate da una ideologia che esalta le funzioni della
macchina-demone sono al centro di Hard Times, fra i romanzi vittoriani più incisivi per
quel che riguarda la denuncia degli effetti devastanti dell’industrializzazione sulla società
inglese. Il romanzo apparve in venti puntate settimanali su Household Words. Da una lettera
indirizzata a Elisabeth Gaskell, si comprende che Dickens avesse l’intero progetto già
compiuto. Con la Gaskell condivideva gli stessi interessi per argomenti sociali. I romanzi
industriali o “condition of England novel”, narrano storie in cui emergono contrapposizioni
che possono portare alla disgregazione della società, perché l’industrializzazione e
l’urbanizzazione rendono difficile il controllo delle masse operaie.
Dickens non può rimanere insensibile difronte al degrado fisico e morale di uomini e
donne che attratti nella città dalla possibilità di avere un lavoro, una casa, un futuro, si
trovano costretti a vivere nel malsano bassifondo cittadino, nelle work houses o nei
ricoveri per i poveri. Va detto inoltre che nelle città, accanto alle masse dei lavoratori,
conviveva un sottoproletariato che viveva di espedienti e che ingrossava le file della
criminalità urbana, per cui le classi più abbienti avevano una specie di follia verso la folla.
In Inghilterra, inoltre, si ricordavano ancora gli episodi più feroci della rivoluzione
francese. Dickens è consapevole delle conseguenze dei repentini cambiamenti della società
inglese nel giro di pochi decenni. Per Dickens è importante un’ analisi della condizione
dell’Inghilterra contemporanea.
Hard Times costituisce un momento di riflessione sulla civiltà urbana e industriale
dell’Inghilterra vittoriana. Benché si svolga in una località immaginaria (Coketown), il
luogo è tipicamente inglese; nell’opera vengono drammatizzate le vicende della famiglia
Grandgrind, in una città manifatturiera. Le vicende si intrecciano con i destini di capitalisti e
operai, di gentiluomini e gente comune. Fra gli aspetti fondamentali c’ è la visione
dickensiana del mutamento del paesaggio naturale e della vita sociale a seguito della
massiccia presenza delle macchine nella vita quotidiana. È utile chiarire che Dickens non
era contrario al progresso che aveva condotto alla rivoluzione industriale. Il processo di
sostituzione del lavoro dell’uomo con l’energia prodotta dalle macchine a vapore era vissuto
dai vittoriani con orgoglio. Si pensi all’introduzione del treno, che aveva accelerato tutte le
attività umane: l’immagine della vaporiera che incede sicura con la sua scia di fumo diventa
il simbolo di un’epoca. La locomotiva metteva in discussione le categorie di spazio e di
tempo, il modo di vivere, di pensare, di raccontare il mondo e il linguaggio stesso.
La locomotiva però incarna anche tutte le paure e le incertezze, perché vengono meno valori
consolidati del passato. Nel testo dickensiano appare tutta la meraviglia per il nuovo mezzo
di trasporto che emana fascino, ma anche senso di distruttività. A volte il treno è associato
all’annullamento dell’individuo e alla morte, la stazione è il luogo delle ansie. Dickens
ammetteva senz’altro gli indubbi miglioramenti che la macchina aveva apportato, ma non
espresse mai una posizione chiara sul fenomeno dell’industrializzazione perché un
fenomeno di tali proporzioni presentava aspetti che non potevano sfuggire alla sensibilità di
uno scrittore, che sapeva cogliere i repentini cambiamenti cui la popolazione inglese
assisteva. La meraviglia suscitata da questo organismo vivente si trasforma in incanto da
fiaba, come suggeriscono le scelte del lessico e il riferimento alle mille e una notte: il
viaggio diventa un’avventura, l’immagine di Londra è quella di una città avvolta nella
nebbia, oscura, minacciosa: la Londra vittoriana raccoglie esperienze, ricordi, sensazioni di
un umanità variegata e plurale.
Dickens descrive molti aspetti della capitale britannica, dalla Londra degli intrattenimenti, a
quella dei quartieri più malfamati. La pluralità dei volti della città testimonia la pluralità dei
sensi di cui è portatrice. Dickens consegna al lettore una Londra trasfigurata, che racchiude
in sé le contraddizioni dell’epoca; c’è la ricerca di un’armonia generale. Dickens aveva
imparato a riconoscere i pregi e i difetti della metropoli inglese, aveva frequentato quartieri
borghesi, ma anche quartieri proletari, fabbriche ecc. In Dickens adulto appare un legame
con la città di cui conosce le abitudini e le metamorfosi. La versione che Dickens ci
consegna nei suoi romanzi è più vera della vera Londra e ricrea la città vittoriana per
eccellenza, un agglomerato caotico e contraddittorio. Dickens è consapevole dei mutamenti
che la città subisce, ma li piega ai propri scopi per adattarli alle sue storie e ai suoi
personaggi. La rappresentazione di Londra è potente e suggestiona generazioni di lettori e di
scrittori. Dickens trascorreva da ragazzo il tempo libero in una caffetteria, “COFFE
ROOM”, che letta dall’interno appariva “MOOR EFOC” e anche dopo molti anni, ogni
volta che entrava in una caffetteria gli tornava in mente quella scritta: ciò ci permette di
approfondire il realismo di Dickens che procede da dettagli apparentemente inutili, che
finiscono per trasfigurare il materiale originario, quindi la realtà alla rovescia è l’esito di una
rielaborazione dello scrittore, che trasforma in maniera creativa l’esistente. In Dickens si
intrecciano e si sovrappongono metafore e metonimia, quindi i lavoratori sono le macchine,
e le macchine come le città (irragionevoli, violente, malsane). I personaggi assumono le
stesse qualità dell’ambiente in cui vivono e gli ambienti riflettono le qualità fisiche e morali
di chi li abita, però se vuole raccontare la realtà nella sua complessità deve superare i limiti
del realismo, quindi deve usare un linguaggio capace di far emergere il non visibile. Sceglie
un idioletto per descrivere la complessa realtà, ne deriva la scelta di un idioletto con
metafore e metonimie. Il processo di revisione del metodo realista comincia già nel
cosiddetto on strike, composto contemporaneamente ad Hard Times. Dickens si rende conto
che raccontare la vita interiore della classe operaia significa per forza dover andare oltre le
apparenze e si rende conto che il metodo realista non da conto della verità perché esso si
limita a riferire ciò che sembra o ciò che è socialmente conveniente. Dickens non legge la
società inglese, ma la “scrive” secondo un disegno del tutto originale e ne nasce quindi un
testo tutto da interpretare.
Fra i romanzi dickensiani della maturità, Hard Times è indubbiamente quello che appare di
immediata e più facile fruizione, per la sua brevità, linearità, ritmo veloce e stile chiaro.
Facilità però non significa mancanza di un progetto complesso e il romanzo è il genere più
adatto allo scopo che si prefigge. Hard Times si presenta con un impianto narrativo ben
definito, esso è costituito da tre libri i cui invertitoli appaiono subito come una dimensione
biblica. L’ironia prodotta dall’uso del codice biblico appare esplicita nel titolo del primo
capitolo: The one thing needfull che riecheggia il vangelo di Luca.
Con la scena iniziale di Hard Times pone subito le basi tematiche, linguistiche e strutturali
dell’intera narrazione. Questa scena coincide con l’intero capitolo primo che è molto breve
ed è ripartito in tre paragrafi (tripartizione simmetrica). L’incipit è fra i più memorabili della
letteratura inglese. Il discorso introduce la voce di un personaggio, all’inizio anonimo, che
accetta i principi del materialismo utilitaristico che egli ritiene essere l’unico valido
nell’educazione delle nuove generazioni. Minuziosa è la descrizione del luogo e del
personaggio: si tratta dell’aula di una scuola che appare spoglia, anonima, monotona:
l’oratore è descritto come l’ambiente in cui si trova. Il protagonista Dickensiano si presenta
come un essere più simile ad un animale che a un uomo (l’allusione è ovviamente
all’evoluzione darwiniana) che vuole dominare i più deboli con la forza. Il suo tratto più
vistoso è essere quadrato con riferimento chiaro alla geometria. L’accento è sempre sulla
parola chiave “facts”: i fatti sono generati direttamente dalla ragione e si affidano al
materialismo che non contempla ne emozioni ne fantasie.
Il secondo capitolo si intitola murdering the innocents ed allude agli effetti devastanti
che la lezione impartita da certi metodi educativi produce. Segue un capitolo in cui
viene adottato un discorso libero, senza il narratore. Qui si insiste sull’identità del
personaggio di Thomas Gradgrind. Egli si fa portavoce di un sistema che pone al
centro l’economia intesa come metodo scientifico. Secondo la visione utilitaristica,
ciò che conta è la soddisfazione della comunità e il risultato finale del benessere
generale, non importa se il processo verso tale risultato significa sofferenza per
alcuni. Gli uomini e le donne sono ridotti a meri numeri e cifre. Tutto ciò che
riguarda Gradgrind assume le stesse caratteristiche e forme del personaggio.
L’abitazione della famiglia è Stone Lodge e anch’essa rispecchia le convinzioni del
personaggio.
Il nome stesso di Gradgrind, dal verbo “to grind”, vale a dire, “ridurre in pezzi,
polverizzare, opprimere, indebolire gradualmente” e questo significato delinea bene i
personaggi di Lousia e Thom Gradgrind, i figli. Ai “facts” si contrappone la “fancy”,
per il tramite di una ragazzina: Sissy Jupe appartenente alla grande famiglia del circo.
Per Gradgrind gli allievi sono recipienti in attesa di essere riempiti e Sissy è solo un
numero, anzi Sissy Jupe (nome per metà francese e per metà un’abbreviazione) non è
neanche un nome. La struttura binaria del romanzo è modulata sull’ opposizione
facts- fancy. La fantasia è la capacità di vedere una cosa per un'altra e Gradgrind e la
sua concezione economica, utilitaristica negano tutto ciò che il romanzo pone a suo
centro e che indica come unica alternativa alla sterilità di un modello interpretativo
della realtà. Un esempio di siffatta immaginazione metaforica è la descrizione di
Coketown, la città industriale in cui si svolge l’azione. Coketown è locus infernale
del progresso vittoriano colto nel momento in cui si cominciano ad avvertire le
conseguenze negative della trasformazione del paesaggio naturale. L’individuo è
spersonalizzato e invece gli oggetti acquistano un animo; spiccano alcune metafore
animalesche che riassumono il rapporto fra la macchina e l’uomo vittoriano.
“Never wonder” (mai immaginare) è il refrain che riecheggia sia in casa Gradgrind
che in tutta Coketown che è regolata da solidi principi economici. Verso i libri, gli
abitanti di Coketown hanno un atteggiamento contrastante perché mostrano un certo
interesse per i libri e in particolare per i romanzi. A Coketown esiste una biblioteca
comunale dove i lavoratori, non ostante la stanchezza, si dedicano alla lettura di
storie e romanzi e vi trovano conforto che permette l’esercizio dell’immaginazione,
ma, in quel tipo di società, leggere è un’attività sovversiva. Il sistema di Gradgrind
fallisce definitivamente quando, difronte all’infelicità della figlia Louisa, Gradgrind
si renderà conto che la vita non è fatta solo di “wisdom of the head”, ma anche di
“wisdom of the heart”. Riconosciuta la necessità della fantasia per gli abitanti di
Coketown, essa viene simboleggiata dal circolo di Sleary e da Sissy Jupe e quando il
circo viene descritto, si ricorre proprio ad un linguaggio tipico.
Il sostenitore più accanito del sistema educativo di Gradgrind è Josiah Bounderby,
personaggio che viene descritto in maniera caricaturale e grottesca, che si vanta del
suo stato sociale che in realtà ha ottenuto dallo sfruttamento della sua forza lavoro.
Bounderby non perde occasione per ricordare la sua appartenenza al sistema città.
Egli racconta in termini melodrammatici la sua infanzia e proprio lui si fa autore di
una storia immaginata. Il suo è un comportamento fraudolento. Finisce per sposare
Louisa Gradgrind per imparentarsi con un membro del parlamento. Il figlio di
Gradgrind fuggirà con il circo e la figlia fuggirà dal marito, Bunderby si ritroverà
solo e ricoperto dal disprezzo degli abitanti. Nel romanzo c’è una certa ambivalenza
poiché lo scrittore non condanna il capitalismo e la ricca borghesia, ne difende i
diritti della classe operaia, ne offre un’alternativa valida alla visione utilitaristica. La
società è vista come “muddle”, complesso e caotico intrico di voci, sentimenti e
teorie. Si può quindi affermare che il romanzo è la storia di Thomas Gradgrind e di
tutti gli assertori della priorità delle scienze esatte; è la storia di Bunderby e di tutti i
self made man, che attribuiscono alle proprie capacità il successo. È la storia di
Louisa e di tutte le donne che non si ribellano alle convenzioni e annullano se stesse;
è il romanzo di Thom e di tutte le vittime di modelli educativi che manipolano le
menti senza lasciare spazio alla fantasia e all’immaginazione; è la storia di Sissy Jupe
e di tutti coloro, che, anche se sradicati dal nucleo famigliare di origine riescono a
conservare i propri valori; è la storia di Stephen Blackpool è di tutti gli operai in un
sistema che considera le persone solo come forza lavoro.
La riflessione sul mondo della fabbrica, da parte di Dickens avviene attraverso la
storia privata di Stephen Blackpool, operaio tessile, sposato con una donna dedita
all’alcol, ma innamorato di Rachael che viene licenziata.
Un'altra opposizione che appare nel romanzo è fra nature-art, dove art sta per prodotto
dell’uomo. La diversità fra ricchi e poveri è ancora più marcata perché Stephen Blackpool
non ha i soldi per divorziare, cosa che invece può fare Bounderby. È ovvio che fra Louisa e
Rachael c’è un’evidente diversità di classe sociale, ma questa diversità si riduce quando si
analizzano le storie di esse. Louisa è il prodotto tangibile del sistema educativo di Gradgrind
e del suo fallimento, quando Louisa può constatare di persona le condizioni di vita degli
operai, si rende conto della falsità delle teorie con cui è stata cresciuta e si rende conto del
concetto di “folla”. Sia Louisa che Rachael sono dotate di passione e intelligenza, ma non
possono esprimere la loro individualità. La vera eroina del romanzo è Sissy, perché non solo
è portatrice di valori religiosi e sostenitrice dell’utilità della fantasia, ma è anche colei che
da voce alle donne e agisce per loro conto.
L’incontro tra Sissy e Harthouse costituisce uno dei momenti più atipici del romanzo: una
ragazza di bassa estrazione sociale, semplice e dimessa, ma fiera e coraggiosa, si reca da un
aristocratico frivolo e gli intima di lasciare Coketown. Il suggerimento di abbandonare la
città è l’atto finale di un lungo dialogo fra due atteggiamenti e due visioni della vita opposte:
da una parte Sissy, modesta nell’aspetto fisico, ma determinata nel suo proposito di stabilire
un’armonia che Gradgrind, Bounderby e Harthouse hanno impedito nella vita di Louisa;
dall’altra parte Harthouse, immorale per sua stessa ammissione, subisce l’autorità di Sissy e
si lascia persuadere che lo scopo della sua vita a Coketown è venuto meno.
Ciò che trionfa in realtà è l’attitudine alla fantasia di cui Sissy e la gente del circo sono
dotati. Esse vivono secondo le regole della fancy. Infine Dickens si rivolge direttamente al
lettore esortandolo ad essere artefice del proprio destino. Per Dickens, se ogni individuo è
un mistero insondabile. L’unico modo per capire la realtà è affidarsi alla fantasia e alla
finzione letteraria. Solo così il lettore può ritrovare se stesso e conoscere tutte le esperienze
della condizione umana.
Hard Times si conclude con la negazione di una visione organica della realtà urbana e il
lettore sembra frustrato perché non c’è un finale gratificante. Del resto a Coketown, città
avvolta nella nebbia in cui il tempo è scandito dal rumore delle macchine, non ci può essere
che un finale vago e indefinito. La speranza è negata a Louisa, che è consapevole di non
essere stata educata all’esercizio della fantasia; è negata anche a Thom, che trova si salvezza
nel circo, ma poi muore in solitudine, lontano dagli affetti: è negata anche a Gradgrind che
nel riconoscere il fallimento della propria vita deve ammettere che “there is a wisdom of the
Head and that there is a wisdom of the Heart”; è negata anche a Bounnderby la cui morte
genera una serie di controversie legali. L’unica speranza di happy ending è riposta in Sissy.
La sua fiducia nel potere della fantasia le permette di sopravvivere al crollo del “sistema dei
fatti” che estende le sue norme economiche alla sfera privata ed emotiva.
In Hard Times, il fluire del tempo diventa il vero oggetto della riflessione Dickensiana.
Dickens in questo romanzo non si confronta tanto sui conflitti fra le classi sociali, quanto
sulla dimensione umana che non può essere rappresentata ingabbiando comportamenti e
sentimenti. La civiltà industriale non comporta solo spersonalizzazione perché c’è anche
un’umanità che vuole vivere secondo i propri desideri e le proprie fantasie.
E’ limitativa la definizione del romanzo come “condition of England novel” perché molto
ampi sono gli orizzonti e gli interrogativi posti al lettore: che senso ha la vita senza la
fantasia? C’è corrispondenza fra felicità e ricchezza? Quali sono i vantaggi della tecnologia
difronte alle esigenze spirituali dell’uomo? Questo è l’unico romanzo in cui Dickens riflette
a lungo sulla rivoluzione industriale.

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