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ITINERARI DI CULTURA ISPANOAMERICANA

CAPITOLO 2
“FÁBULA SON ESTAS INDIAS...”: GLI INIZI DEL RACCONTO AMERICANO

La conquista dell’America fa perno su 3 date fondamentali:


• 1492 → Colombo attraversa l’Atlantico per approdare sull’isola che chiamerà San Salvador
• 1519 → Hernán Cortés conquista il Messico
• 1532 → Francisco Pizarro inizia la conquista del Perù e si dirige verso Ecuador, Cile e
Paraguay

L’invasione americana viene suddivisa in 3 periodi:


➔ scoperta e conquista
➔ colonizzazione sistematica
➔ gigantesco e drammatico progetto di dominio

Questo progetto si basa su precisi assi: edificazione di città ed insediamenti minori, introduzione di
una nuova organizzazione del lavoro, imposizione di un sistema economico di tipo mercantile e
schiavista, messa a punto di un sistema educativo basato sull’evangelizzazione.
Ciò dimostra il tragico bilancio della scoperta dei territori americano, e questo può essere dimostrato
anche da testi che narrano questo fatto apocalittico, ad esempio: “Apu Inca Atawalpaman” [elogia
anonima scritta in quechua].
Mentre di segno opposto è quello che scrivono i conquistatori, i quali non parlano di apocalisse ma di
“genesi conoscitiva”, perché la conquista del Nuovo Mondo venne intesa come un passaggio alla
modernità.
Infatti, questa scoperta cambierà molto la coscienza occidentale.

Parallelamente si sviluppa la voglia di tramandare ciò che viene visto e spiegarlo a chi non lo può
vedere con i propri occhi, nasce quindi un’intensissima attività di scrittura.
Le scoperte sono un evento così destabilizzante e importante, tanto che lo storico Francisco López de
Gómara lo riesce a comparare solo agli accadimenti della Genesi.

L’idea di America viene restituita al lettore dal punto di vista del narratore, in base ai suoi interessi,
alle sue credenze e alle sue nozioni pregresse.
Ma bisogna comunque ricordare che le elaborazioni dei narratori oscillano tra realtà e
finzionalizzazione di ciò che viene trattato. Infatti, nei loro racconti, essi useranno il repertorio del
favoloso e del meraviglioso come codice espressivo.
Il fatto di raccontare cose spesso diverse dalla realtà porterà alla creazione di stereotipi.

Questo concetto di unione tra storia e finzione possiamo notarla in uno dei primi grandi narratori
della conquista: Bernal Diaz del Castillo con la sua “Historia verdadera de la conquista de la Nueva
España”.
Questo racconto dimostra di prendere ispirazione dal poema cavalleresco del Medioevo.
Un altro aspetto importante oltre alla finzione è l’utilizzo della similitudine, usata per cercare di
ridurre la diversità americana spiegandola attraverso il confronto con qualcosa di conosciuto.

I racconti delle scoperte erano considerati delle “historias”, ma con il passare del tempo e con
l’intervento di strumenti più adeguati si arriverà a parlare di “crónicas”. Questo per indicare la
soggettività di chi scrive.

Riassumendo, nella scrittura di questi testi ci si basa sullo studio di enciclopedie ma anche sulla
creatività e l’ingegno di chi scrive.

Gli scrittori fanno ricorso anche all’utilizzo dell’iperbole, cioè esagerano nella descrizione della
realtà usando espressioni che la amplificano. Questo per mettere in risalto la differenza del Nuovo
Mondo.
È proprio questa differenza che autorizza un popolo redentore, cioè quello spagnolo, a cercare di
ridurre questo scarto.
L’esposizione iperbolica tende quindi ad evidenziare ciò che è diverso.

Un altro autore che utilizza questa tecnica è: Hernán Cortés con le sue “Cartas de relaciones”, il
quale elabora delle figure che sono proprie della letteratura fantastica.
Si vuole rassicurare gli interlocutori occidentali sui risultati produttivi che hanno portato le scoperte
e si vuole convincerli di quanto sia opportuno trasformare delle semplici conquiste in un processo di
colonizzazione.
Cortés vuole descrivere la concretezza di una spedizione esplorativa e militare, ma spesso cade
nell’evasività e nell’indescrivibilità.
Ed è proprio l’utilizzo dell’iperbole e delle descrizioni iperboliche che porta al “superamento del
credibile”, in quanto uno dei due termini del paragone stesso viene annullato.
L’oggetto che viene descritto viene di conseguenza negato, esso stesso.
L’uso dell’iperbole arriverà paradossalmente a creare dei silenzi.

Quello che colpisce non è solo l’utilizzo consistente dell’iperbole, ma anche la ripetizione degli
stilemi (stilema = elemento formale o linguistico che distingue la particolare scrittura di un autore).
Questa è una scelta voluta, in quanto ha due funzioni:
• generalizzare il contenuto
• semplificare il contenuto
Infatti, descrizioni e cifre sono approssimative e generiche.
In questo modo, non descrivendo l’oggetto di cui si parla (le Indie), il lettore è libero di aprire la
propria fantasia e di interpretarlo a proprio piacere.
Tutto ciò porterà a sapere poco per quanto riguarda la realtà americana. Ma allo stesso tempo,
questo modo di narrare, lascerà capire molto sulla categoria sociale, sulla cultura, sui pregiudizi e
sull’emotività.

Molto spesso gli autori di questi scritti tendono ad enfatizzare molto le loro imprese e decisioni,
facendo passare in secondo piano tutte le altre cose: l’importanza ricade su chi ha compiuto la
conquista, e non su come è avvenuta. Per questo, nelle loro opere, possiamo notare un forte
egocentrismo.
Un esempio può essere “Historia verdadera de la Conquista de la Nueva España” di Bernal Diaz.
Infatti nel capitolo XCV (capitolo nel quale si discute sulla prigionia di Montezuma come evento
conclusivo della conquista del Messico), l’autore pone particolare attenzione all’eroismo suo e de
suoi compagni. Questo eroismo è dato da:
• straordinarietà del nemico e del mondo in cui ci si trova
• legittimazione che deriva dall’intervento divino
La rappresentazione iperbolica rappresenta la magnificenza del ruolo di chi ha partecipato alle
conquiste (=rappresentazione iperbolica di sé stessi).

CAPITOLO 5
FRA “LUNGO PERIODO” E “CONGIUNTURA”. I TEMPI DELL’INDIPENDENZA DELL’AMERICA
SPAGNOLA

Nel 2010 si è tenuta la ricorrenza del Bicentenario dell’Indipendenza, e questo ha messo i paesi che
erano stati colonizzati di fronte al loro atto di nascita, per poi poter arrivare a formulare un proprio
progetto futuro che li ha portati fino alla transizione verso la democrazia il giorno d’oggi.
C’è però da ricordarsi che tutti i problemi che hanno caratterizzato questi paesi non sono ancora
totalmente superate. Ma allo stesso tempo una cosa è sicura: l’America latina è finalmente uscita da
quel periodo di dittature degli anni ‘60 - ‘70 e dalla crisi economico-finanziaria del ventennio
successivo.
L’America spagnola può quindi essere considerata come un “mondo in sé”, un mondo unitario e
plurale:
• unitario → perché saldato dalla lingua spagnola, dalla religione cattolico-romana e dal
radicamento di modelli di matrice ispanocattolica
• plurale → perché il castigliano convive con le lingue native, il cattolicesimo è caratterizzato
da forme di culto di origine amerindiana e africana, il sistema degli ordinamenti è costituito
da soluzioni locali che rispettano le consuetudini dei nativi.
Quindi, all’inizio dell’Ottocento, l’America spagnola si presenta come un impero pieno di ricchezze e
di grandissime dimensioni.
Ma di lì a poco, tutto questo sarebbe stato travolto da una fortissima crisi che avrebbe portato
l’America spagnola alla divisione in innumerevoli piccoli Stati.
Questi Stati si orienteranno verso il modello repubblicano e il liberalismo delle “rivoluzioni
atlantiche”.

Come è stato possibile tutto questo?


L’indipendenza dell’America è frutto del cortocircuito di fattori che basano le loro radici in
dinamiche di “lungo periodo”.
I vassalli ispanoamericani hanno sempre manifestato fedeltà alla Corona spagnola, ma in America
spagnola si è comunque sviluppata un’”americanizzazione” delle tradizioni introdotte dalla
penisola.
Questo portò alla creazione di una pluralità di società che erano legate alla Spagna, ma che nel
tempo diventavano sempre più americane.
Le trasformazioni indotte nel Nuovo Mondo porteranno al fenomeno biologico e socioculturale del
meticciato.

Il progetto di una riforma in chiave eurocentrica promossa dalla nuova dinastia dei Borbone comincia
a suscitare malumori e sospetti che prepareranno il terreno all’Indipendenza attraverso il
rafforzamento del sentimento di americanità.
La Corona vuole eliminare l’”antico regime” ispanoamericano attraverso:
• razionalizzazione dell’amministrazione e del prelievo fiscale
• uniformazione degli ordinamenti giuridici
• riorganizzazione e liberalizzazione dei circuiti commerciali
• promozione dell’immigrazione dalla metropoli
• apertura nei confronti dei meticci
L’ostilità verso queste trasformazioni alimentò un forte ribellismo, possiamo trovare ad esempio la
rivolta guidata da José Gabriel Condorcanqui Noguera (discendente di Túpac Amaru) nel 1780-1781.
La rivolta ebbe luogo nella sierra meridionale del vicereame del Perù.
Questa rivolta fu molto esplosiva, tanto che alcune persone che inizialmente la appoggiarono non
tardarono a distaccarsene.
Condorcanqui fu giustiziato nel 1781, e l’anno successivo la censura si abbatté sui “Comentarios
Reales de los Incas” di Garcilaso de la Vega.
L’Indipendenza sarà raggiunta alla fine del 1824 in occasione della battaglia di Ayacucho.

Nelle città portuali e nelle aree più integrate comincia a svilupparsi il verbo del liberalismo, del
costituzionalismo, del liberismo economico e dell’abolizionismo.
Questo anche grazie agli avvenimenti che ancora oggi sono ritenuti come i più importanti:
l’Indipendenza dei coloni britannici del Nord America, la promulgazione della costituzione degli Stati
Uniti e l’avvio della Rivoluzione Francese.
Nel frattempo, a Saint-Domingue parte la rivolta dei “mulatti” e degli schiavi, che nel 1804 avrebbe
portato all’indipendenza e alla nascita della repubblica nera di Haiti.

Di fronte alle riforme, i vassalli ispanoamericani non mettono in discussione il legame con la
metropoli, ma optano invece per l’abitudine di depotenziare l’efficacia dei provvedimenti in nome
dell’antico detto “la ley se acata pero no se cumple” (= “la legge si accetta ma non si adempie”).
La Corona comincia invece una nuova stagione di espansione verso l’alta California, il Pacifico
settentrionale e l’entroterra nordamericano.

La fedeltà dei vassalli ispanoamericani alla Corona non viene messa in discussione neanche dalla crisi
che si apre dopo che la Spagna decide di allinearsi alla Francia del Direttorio, scelta che viene
guidata dalla volontà di mantenere al riparo la Penisola dal contagio rivoluzionario.
Con il senno di poi, questa si rivela una scelta suicida, perché dal 1796 la Spagna e il suo impero
risultano minacciate dall’azione militare britannica.
In questo modo, anche l’America spagnola risulta sempre meno controllabile dalla madrepatria.
Questo porterà all’eclissi della monarchia ispana nel 1808, quando le truppe francesi entrano nella
penisola e le abdicazioni di Carlo IV e del figlio Ferdinando aprono le porte all’arrivo di Giuseppe
Bonaparte. Gli ispanoamericani decideranno quindi di assumersi la responsabilità del governo locale.
Con l’aiuto degli inglesi, i resistenti conferiscono all’”Insurgencia” un’organizzazione politica,
costituendo una Junta centrale. All’inizio del 1810, la Junta centrale spagnola viene sostituita da un
Consiglio di reggenza. Ma la situazione militare è complicata, tanto che non tutti i territori
ispanoamericani aderiscono a questo nuovo organismo.
Buenos Aires e Caracas optano per l’Indipendenza della Penisola, questa scelta però aprirà una
grande frattura all’interno del mondo ispanoamericano, perché la maggior parte delle micro e
macroregioni rimangono legate alla metropoli.

I vertici degli ambienti coloniali non sono però inclini ad un’equiparazione giuridica del mosaico
socio-etnico locale.
Quindi il primo tentativo di Indipendenza può essere considerato un flop, questo perché il
conservatorismo del mondo ispanoamericano ha conferito a questo processo i caratteri di una vera e
propria guerra civile.

Tramontata l’età napoleonica, la restaurazione di Ferdinando VII trasforma il conflitto oltre Oceano
in una guerra d’indipendenza.
In un primo tempo [1814-1819] è la madrepatria ad avere la meglio sui territori indipendentistici. Ma
nel 1819 solo alcuni Stati proclamano l’indipendenza: Argentina, Cile e Gran Colombia.
A far pendere l’ago della bilancia a favore dell’emancipazione del subcontinente sarà il
“pronunciamiento” del tenente colonnello Riego [1820] in occasione della partenza di battaglioni alla
volta delle Americhe.
Le milizie argentine e cilene riescono a sfondare il blocco realista in Perù, ma considerato il controllo
spagnola di quel territorio, l’Indipendenza viene dichiarata in un clima di incertezza [1821].
L’effettiva indipendenza del Perù si avrà dopo la battaglia di Ayacucho nel 1824.

Il luogo comune della presunta inadeguatezza dell’America latina rispetto all’occidente si fonda su
alcuni frammenti di realtà storica: Simón Bolivar presagisce il pericolo rappresentato dagli USA per i
nuovi Stati nati. Egli si è fatto promotore di una confederazione panamericana, capace di
controbilanciare gli Stati Uniti e di contrapporsi alla vecchia Europa. Ma il progetto effettivamente
non funzionerà.

L’adozione da parte dei nuovi Stati della forma repubblicana e del liberalismo va attribuita alla
volontà di stabilire una linea di separazione di ordine politico e giuridico rispetto all’ex madrepatria.
Questo è stato un compito molto difficile e dagli alti costi umani, tanto che i nuovi Stati
ispanoamericani sarebbero poi stati colpiti da altre tensioni centrifughe.
Questi Stati cercano un’appartenenza che oscilli fra tradizione amerindiana e legato ispano-cattolico.
Questa ricerca ha continuato ad assorbire le energie degli ambienti politico-intellettuali del
subcontinente.
Il panamericanismo di Bolivar trova oggi una sua traduzione nella piena istituzionalizzazione del
sistema degli Stati latinoamericani e nei processi di integrazione regionale.

CAPITOLO 6
ALLE ORIGINI DELLA RIVOLUZIONE MESSICANA

La “crisi di crescita” che investe il Messico nei primi decenni del XX secolo spinge i milieu politici ed
intellettuali a “prendere partito”. Questo spiega perché la Rivoluzione messicana sarà considerata la
prefigurazione dei processi che scandiranno la modernizzazione alternativa ai principi e ai valori
della “civilisation” di matrice liberale.

Per quanto riguarda la letteratura, essa ha continuato fino al giorno d’oggi a trarre ispirazione dalla
multiforme esperienza della Rivoluzione.
È risultato decisivo anche il contributo del muralismo [movimento che nasce negli anni ‘20 del
Novecento e che consiste nel dipingere muri di luoghi pubblici frequentati].
Il mito e l’antimito della rivoluzione messicana hanno permesso di argomentare su molteplici linee
narrative, ricche di connessioni e con diverse ideologie. Ciò farà capire la complessità e
l’articolazione spaziale e cronologica del fenomeno della rivoluzione.
Il punto di partenza per conoscere la Rivoluzione messicana è il 1910, anno in cui ricorre il Primo
centenario dell’Indipendenza dalla Spagna.
Il processo che ha portato il Messico all’indipendenza comincia nel 1821, quando esso si ritrova ad
ereditare il grande territorio della Nuova Spagna.
Ma tra il 1846 ed il 1848, il Messico si trova a dover affrontare una guerra contro gli USA, e la perderà
permettendo agli USA di acquisire il controllo del “Lejano Norte” (=spazio corrispondente ad ovest e
sudovest statunitensi).
Attorno al 1850 il Messico si trova quindi con metà territorio perso.
Proprio in questo quadro nasce l’idea di creare un’”America latina” per tradizione religiosa e legami
politici e culturali con l’Europa continentale.

In questo contesto di instabilità causata dalla sconfitta contro gli Stati Uniti, emerge la figura di
Benito Juárez.
Egli guida il fronte liberale, promulgando le “Leyes de Reforma”. La sua fama ispira l’intervento
delle potenze europee (tra cui la Francia con Napoleone III), le quali vogliono tentare di ripristinare
l’ordine e la ripresa dei pagamenti.
Ma possiamo trovare anche un secondo fine: ripristinare l’impero, il cui titolo viene offerto a
Massimiliano d’Austria.
In questo modo, il “fantasma dell’Impero” si riaffaccia sul paese ispanoamericano. Ma questo non
durerà tanto, in quanto l’imperatore austriaco sarà lasciato solo a combattere contro i liberali di
Juárez e contro gli statunitensi.
Nonostante ciò, l‘instabilità politica continuerà a gravare sul Messico in un quadro di localismo e
regionalismo.

A stabilizzare la situazione in Messico interviene il regime autoritario di Porfirio Diaz. Egli, dal 1884
al 1911, riesce a tenere le redini del paese latinoamericano, aprendolo ad una prima fase di
globalizzazione.
Il “Porfiriato” agisce in nome del motto “ordine e progresso” ed apre le porte del paese agli
investitori stranieri.
Questa modernità instrada il Messico verso la civiltà delle ferrovie, delle industrie, del telegrafo e
dell’elettricità. Ma rimane il problema che questo sistema è a macchia di leopardo, quindi la varietà
di società in questo paese deve affrontare questo impatto traumatico.
Infatti, durante la vita del Porfiriato, possiamo trovare molte rivolte indigene con le quali si cerca di
opporsi agli investitori stranieri.
Il risultato di questa prima fase di industrializzazione può essere quasi considerato come un
fallimento, e all’inizio del XX secolo cominciano a diffondersi i primi scioperi operai e le ideologie
dell’anarchismo, del sindacalismo e del socialismo.

Nel settembre 1910 si è festeggiato il Primo centenario dell’Indipendenza, e per l’occasione Città
del Messico ha subito un intervento di europeizzazione. Questo perché la ricorrenza viene
interpretata da Diaz come un’occasione per far entrare il Paese nel cerchio delle nazioni
“civilizzate”.

Ma da lì a 2 mesi la situazione sarebbe totalmente cambiata, infatti cominciò un ciclo rivoluzionario


che avrebbe riportato alla ribalta tutto ciò che era rimasto emarginato o combattuto da Diaz.
Questo processo si convertì in una vera e propria guerra civile che portò il Messico in una situazione
di instabilità.
Gli anni intorno al 1910 sono quindi caratterizzati da una conflittualità sociale che ha favorito:
• radicamento delle ideologie nazionaliste
• attivismo del mondo cattolico
• ribellismo del mondo contadino
• irrobustimento di un’opposizione politica al regime di Diaz

A dare il colpo definitivo alla crisi del regime di Diaz è Francisco Madero. Egli era un ricchissimo
uomo del Nord (area più influenzata dalla modernizzazione e dal modello americano) ed egli
proponeva:
• liberaldemocrazia
• certezza del diritto
• libero esercizio del voto
• buona amministrazione
• avvio di un riformismo a favore del mondo del lavoro
Egli verrà però arrestato ed inviato al confino.
Ma la repressione organizzata dal regime di Diaz non ferma l’insurrezione. Al contrario, l’insurrezione
si diffonde a livello nazionale attraverso due principali correnti politiche:
• riformismo liberale di Madero
• “bandolerismo” (in italiano “banditismo”) ostile alla grande proprietà terriera di Villa

Madero non riesce però ad affermarsi, infatti si trova a dover fronteggiare il movimento contadino di
Emiliano Zapata.
Egli verrà assassinato nel 1913 dopo essere stato destituito dal generale Huerta.
Il progetto di Huerta si basava su una dittatura militare, contro la quale non si tardò ad organizzare
un’inserruzione.
In questo modo la ribellione si riaccende nel Nord, avviando da un lato il collasso del Porfiriato e
portando dall’altro alla ribalta i “caudillos” (persone di territori eterogenei fra loro).
Di questi movimenti fanno parte personaggi che diventeranno molto importanti nella storia del
Paese: Francisco Villa, Emiliano Zapata, Venustiano Carranza e Álvaro Obregón.

Carranza e Obregón (costituzionalisti) riescono a riprendere in mano le sorti del Paese. Ma


nonostante questo le rivendicazioni politiche e sociali riapriranno il conflitto, facendo entrare la
Rivoluzione messicana nella sua fase topica: 1915-1917.
Essi, per affermare il proprio controllo, sono costretti ad affrontare la questione sociale per
depotenziare la resistenza di Villa nel Nord e di Zapata nel Sud.

I movimenti di Villa e Zapata cominciano a declinare di fronte al consolidamento del progetto


“costituzionalista” di Carranza. Ma c’è da dire che Zapata riesce a dare prova di lungimiranza,
trasformando le rivendicazioni locali in una piattaforma nazionale che affronti tutte le questioni
importanti.
Infatti, la costituzione del 1917 è fortemente influenzata dalle idee di Zapata.
Questa costituzione delinea una democrazia dalla forte ispirazione nazionalistica, fondata sulla
divisione dei poteri e la separazione Stato-Chiesa. Si introduce anche l’istruzione pubblica e gratuita,
l’insegnamento libero ma laico e la tutela delle risorse primarie del Paese.

Nel 1919 Zapata viene assassinato, e questo getta un profondo discredito sulla figura di Carranza.
Carranza viene ucciso nel 1920, mentre Villa nel 1923.

All’inizio degli anni ‘20 del Novecento, José Vasconcelos vara un ambizioso progetto di
nazionalizzazione culturale e di diffusione capillare dell’istruzione di base attraverso la figura del
maestro rurale.
Questi sono anche gli anni in cui vengono promosse delle relazioni culturali fra gli intellettuali
messicani e i personaggi colti degli altri Paesi del subcontinente.
Inoltre, possiamo trovare anche un enorme conflitto con la Chiesa, il quale viene causato dalla
costituzione del 1917 (la quale limitava la presenza delle istituzioni ecclesiastiche nella società
messicana).
Questo conflitto porterà due conseguenze:
• rottura dei rapporti con la Santa Sede
• esplosione di una stagione di contrasti regionali fra i poteri civili e religiosi, gli interessi locali
e di classe

Negli anni ‘30 il Messico si trasforma in un laboratorio che cerca di avviare un progetto di
modernizzazione che ha come punto di riferimento Lázaro Cárdenas. Infatti, tra il 1934 e il 1940,
possiamo registrare alcuni grandi obiettivi prefissati nella costituzione del 1917:
• riforma agraria
• creazione delle proprietà rurali a uso collettivo
• nazionalizzazione del petrolio

Città del Messico diventa una grande capitale della cultura occidentale.
Quindi, in Messico, ci si accinge alla creazione di un regime “a partito unico” che regnerà fino al
2000 con il Partido Revolucionario Institucional.

Il fenomeno della Rivoluzione avrebbe però portato alla deformazione del processo di
modernizzazione, con varie conseguenze per il Paese:
• aumento notevole della popolazione
• ridefinizione degli equilibri interni
• gigantismo della capitale federale
• inizio di un imponente processo di emigrazione verso gli USA

Questa situazione viene spiegata con molta efficacia da Carlos Fuentes ne “La morte di Artemio
Cruz” [1962].
Il romanzo ripercorre dal punto di vista del protagonista la vicenda del Messico attraverso lo “stream
of consciousness”.
Il protagonista, ormai sul punto di morte, ritorna sui momenti fondanti della propria ascesa socio-
etnica. Egli è figlio illegittimo di un possidente morto e di Isabel Cruz, la “serva negra”. Lascia la sua
proprietà a 13 anni e viene seguito da un professore che gli insegna “le tre cose che sapeva”:
• leggere
• scrivere
• odiare i preti
La svolta si ha nel 1919, quando il giovane Cruz si presenta da un vecchio possidente di Puebla. Egli si
presenta in modo menzognero, riuscendo ad accostarsi alla sorella del figlio idealista di questo
possidente, proprio mentre il mondo contadino rivendica le terre e si oppone al ricatto
dell’indebitamento.
Il padre accetta di sacrificare sua figlia per Cruz, ma ogni ascesa sociale ha il suo prezzo da pagare.
Infatti Cruz vivrà tutta la sua vita segnata dal rifiuto della moglie e dalla morte del figlio nella guerra
civile.
Il deserto degli affetti si contrappone però all’integrazione di Cruz nel sistema di potere post-
rivoluzionario.

CAPITOLO 7
DAL “PROTOBOOM” AL “BOOM”: TRA SOCIOLOGIA E LETTERATURA

Il romanzo ispanoamericano ha un inizio abbastanza tardivo, anche se la sua origine viene fatta
risalire alle lettere di Cristoforo Colombo.
Il primo vero romanzo ispanoamericano è “El Periquillo Sarniento” di Fernández de Lizardi,
pubblicato in Messico nel 1816.
Nonostante l’opera risulti fuori tempo rispetto alla letteratura europea, essa desta comunque un
forte interesse per il quadro vivido che ci offre della società messicana prima dell’Indipendenza.

Quindi i primi romanzi cominciano ad apparire nel XIX secolo, ma la piena maturità si raggiunge nella
seconda metà del Novecento: questo periodo è infatti caratterizzato da un’abbondante produzione e
dall’attività di scrittori di livello molto elevato.
La tendenza dei romanzieri del Novecento è quella di imitare le opere europee.

Con “Doña Bárbara” [1929] di Rómulo Gallegos, il romanzo ispanoamericano esce fuori dal contesto
e dal confine provinciale, ottenendo un enorme successo per la novità di incorporare mito e leggenda
nel romanzo.
Questo romanza sarà anche quello che determinerà il “boom” della narrativa ispanoamericana.
Emir Rodriguez Monegal dice che Gallegos, con il suo romanzo, dà inizio al “protoboom”.
Questo perché il libro inizialmente è stato pubblicato in Spagna, ma poi arriva in America
ripercuotendosi su una serie di autori del Nuovo Mondo: Quiroga, Azuela, Rivera.
Questi 3 autori, con le loro opere, avviano il rinnovamento della narrativa ispanoamericana.

Ma un cambio sostanziale si ha negli anni ‘40, quando la narrativa assimila il rinnovamento linguistico
delle avanguardie poetiche, presentando vari romanzieri: Asturias, Yáñez, Sábato, Carpentier,
Onetti.
Nella decade successiva possiamo trovare altri autori che cominceranno ad avere molta importanza:
Rulfo, Fuentes, Arguedas. Essi porteranno il romanzo ispanoamericano a livelli di altissimo prestigio.

Resta però il fatto che il prestigio letterario rimane circoscritto ad un ambito elitario, infatti gli
stranieri che leggono le opere sono solo intellettuali o specialisti.
Il “boom” non è né una corrente letteraria né un movimento artistico, ma è un fenomeno che si
colloca in un periodo in cui si è avuta una incredibile diffusione di opere di narratori latinoamericani.

Ciò che accomuna gli scrittori del “boom” è l’essere usciti fuori dai confini geografici, creando opere
in cui i sentimenti e le riflessioni del protagonista latinoamericano gli conferiscono caratteristiche
universali.
Gli scrittori scrivono opere aperte, dove il lettore non è più passivo ma diventa co-autore della
storia.

Motivi che hanno determinato il fenomeno “boom”:


➔ in Europa troviamo un terreno molto fertile, dove si favorisce un tipo di romanzo nuovo. Il
lettore si è stancato delle opere esistenzialiste e neorealiste
➔ trionfo della Rivoluzione cubana. Il 1º gennaio 1959 le truppe di Fidel Castro entrano
all’Avana. La figura di Castro affascina i giovani di tutto il mondo, i quali cominciano a
seguire con interesse ciò che succede in America latina.
Sempre a Cuba, nel 1961, le forze anticastriste cercano si sbarcare con l’intenzione di ribaltare il
governo rivoluzionario.
Questo è quindi un momento in cui l’America latina diventa centro di curiosità e tema di discussione
➔ importante è il ruolo dello spagnolo Carlos Barral. La sua attività di editore è così forte che
riesce ad offuscare la figura del poeta. Egli ha aperto le porte della sua casa editrice ai
giovani che volevano sfondare in ambito letterario.
Pubblicare a Barcellona con una casa editrice molto importante poteva aiutare molto i giovani
scrittori, questo perché era più facile arrivare alle città dell’America latina direttamente dalla
Spagna e non da Lima o Buenos Aires.

La caratteristica più importante del “boom” è quindi quella della capacità di raggruppare ed
integrare elementi eterogenei. Si tratta di un’unità fatta di differenze.

Gli scrittori si propongono nelle loro opere come dei “creatori” e “intellettuali”.
Ma mentre questo atteggiamento sarà la costante negli autori del “boom”, l’adesione agli ideali
politici della Rivoluzione cubana comincia a marcare delle differenze:
• Guillermo Cabrera Infante si allontana da Cuba fisicamente, politicamente e
ideologicamente. Egli rifiuta il concetto castrista di letteratura come militanza e propaganda
politica
• García Márquez, nonostante sia amico con Fidel Castro, rifiuta di fare delle sue opere uno
specchio della realtà politica. Egli preferisce le mediazioni del mito
• Carlos Fuentes ritiene che il compito del narratore sia in parte letterario e in parte politico,
questo perché il pubblico si rivolge agli autori per conoscere la verità
• Julio Cortázar dice che la letteratura non deve farsi portavoce diretta della politica, perché
tutti i romanzi traducono la visione che l’autore ha della realtà
• Vargas Llosa afferma che i temi sorgono dall’inconscio e i mezzi espressivi dalla parte
razionale dello scrittore.

Il “boom” è quindi stato determinato da una serie di circostanze eterogenee, e si è concretizzato in


autori di vocazione politica di sinistra.
Tutto questo ha determinato anche il fatto di dar rilievo a tutto ciò che è ispanoamericano ed il
successo dei giovani narratori spinge sempre più gente ad indagare sulla letteratura ispanoamericana.

Qualche scrittore rivede la propria opera in chiave americanista, ad esempio Sábato: dopo aver
pubblicato “El túnel” [1948] in uno spagnolo rigidamente peninsulare, egli decide di argentinizzare il
testo adattandolo al lettore americano.
Non si capisce però perché una casa editrice argentina pubblichi la versione in castigliano
peninsulare, mentre la versione americanizzata venga poi pubblicata dalla filiale di una casa editrice
spagnola.
L’unica spiegazione è che comunque il “boom” sia stato ingigantito e alimentato anche da un fattore
prettamente commerciale.
Ma oltre a fini commerciali, l’americanizzazione del linguaggio ha anche fini politici. Infatti il
romanzo deve necessariamente riscattare e rivalutare le varianti linguistiche americane, rendendo
loro la dignità dovuta.

Secondo Carlos Fuentes, il romanzo deve costituire una vera creazione. Il linguaggio ha
un’importanza fondamentale, qualsiasi siano le scelte effettuate.
L’importanza della forma espressiva si può notare in “Tres tristes tigres” di Guillermo Cabrera
Infante, dove il linguaggio diventa il vero protagonista dell’opera.

Il problema politico sembra essere la maggior preoccupazione degli scrittori: la denuncia sociale è
sempre presente nei romanzi di questo periodo.

Inizialmente, la Rivoluzione cubana indirizza verso sinistra la maggior parte degli scrittori del
“boom”. Ma in un secondo momento, un episodio fa fare marcia indietro ad alcuni intellettuali che
inizialmente appoggiavano Castro.
Lo scrittore Heberto Padilla, vincitore del premio UNEAC nel 1968, viene successivamente priato
dello stesso premio per aver espresso delle opinioni sul panorama culturale e sulla Rivoluzione.
Nel 1971 viene arrestato, e dopo un mese di prigionia decide di organizzare una conferenza dove fa
un’ autocritica eccessiva, ripudiando la sua opera e denunciando i conoscenti che avevano avuto un
atteggiamento controrivoluzionario.
Molti intellettuali decidono quindi di scrivere una lettera di protesta contro l’ingiusto arresto di
Padilla. Si rendono conto di quanto sia importante una democrazia reale.

Proprio dopo questo caso, alcuni autori decidono di dissociarsi dagli ideali della Rivoluzione cubana.
Cuba ha un ruolo importantissimo perché da una parte determina la nascita del “boom”, e dall’altra
ne decreta la fine.

Tirando le somme, il “boom” è sicuramente stato un fenomeno utile dal punto di vista culturale,
perché ha dato dignità ad una produzione letteraria che non era considerata e ha permesso al grande
pubblico di scoprire un nuovo mondo narrativo.

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