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Lezione 13

L'idealismo assoluto: Hegel

1) Il superamento della filosofia critica e la definizione dell'Assoluto


Abbiamo detto che con Kant si era raggiunto il culmine dell'Illuminismo, cioè il culmine di una
mentalità fondata sì sulla ragione, ma su una ragione astratta (dal latino ab-trahere, separare, o
meglio isolare) che vedeva il mondo come una serie di entità finite. Abbiamo detto che l'emblema
di tale mentalità è l'Enciclopedia, il maggior sforzo conoscitivo degli illuministi, nel quale tutta la
conoscenza umana è raccolta come le tessere di un mosaico, indipendenti l'una dall'altra: una
somma di saperi finiti, accostati, collezionati. Con la sintesi kantiana ci troviamo di fronte alla
massima espressione di una ragione che si pone di fronte al fatto, al finito.
La civiltà romantica – è bene chiamarla così, si tratta di un fenomeno complesso non
riconducibile ad un'elaborazione filosofica – si contrappone di fatto all'Illuminismo per il nuovo
tentativo di cogliere l'infinito, l'incondizionato, che nella terminologia romantica prende il nome di
Assoluto (dall'etimo latino ab-solutus, sciolto da vincoli, libero). Abbiamo anche detto come tale
aspirazione produca necessariamente un Romanticismo irrazionalista, che privilegia un approccio
intuitivo all'Assoluto, il cui mezzo è spesso l'arte, la religione, la poesia. C'è pero anche un
Romanticismo che tenta di cogliere l'Assoluto con la ragione: Fichte per primo, Schelling a seguire,
seguono tale strada; il primo, però, nel tentativo di mantenere il proprio pensiero in linea con la
filosofia kantiana, tende a spostare il limite del condizionato, in una progressione irrisolta per la
quale l'Io allarga costantemente la propria coscienza e libertà, senza per questo raggiungere mai il
compimento della coscienza infinita; il secondo naufraga in una concezione irrazionalistica, che fa
dell'arte il mezzo privilegiato per cogliere l'infinito. Con Hegel, invece, viene compiuto il passo
ulteriore e definitivo.
Il modo in cui Georg Wilhelm Friederich Hegel (1770-1831) arriva al congiungimento di finito
ed infinito passa attraverso una riforma radicale del concetto di ragione. Non a caso, l'operazione
hegeliana prende spunto da una critica a Kant ed alla ragione illuminista: ciò lo accomuna al resto
dei pensatori romantici, anche se per il resto è possibile pensare alla filosofia hegeliana come una
sintesi a sé, che prende spunto dalla temperie romantica, ma che si sviluppa in maniera
assolutamente autonoma rispetto alle concezioni romantiche, giungendo a configurarsi come una
sintesi totale della storia e del senso della filosofia, una sintesi di enorme portata e di estrema
difficoltà, che tenteremo di esporre enucleando i concetti base, senza alcuna pretesa di esaurire in
poche righe il senso e l'estensione dell'opera.
Tale esposizione prende le mosse dalle critiche che Hegel rivolge alla filosofia kantiana:
“L'intelletto riflettente si impadronì della filosofia. Occorre sapere esattamente cosa vuol dire
quest'espressione, che altrimenti si adopera in vari significati come termine di battaglia. Per
intelletto riflettente o riflessivo è da intendere in generale l'intelletto astraente e con ciò separante,
che persiste nelle sue separazioni.” L'intelletto kantiano astrae – ab-trahe, separa – i contenuti
della coscienza dalle cose, si attesta su un rigido dualismo tra soggetto e mondo. “Volto contro la
ragione, codesto intelletto si conduce quale ordinario intelletto umano o senso comune, e fa valere
la sua veduta che la verità riposi sulla realtà sensibile, che i pensieri siano soltanto pensieri, nel
senso che solo la percezione sensibile dia loro sostanza e realtà, e che la ragione, in quanto resta
in sé e per sé, non dia fuori che sogni” 1. Il dualismo kantiano riduce la filosofia al senso comune –
v. lezione 8 – che concepisce il mondo come una molteplicità di Gegenstäende contrapposti ad un
soggetto. Hegel associa la filosofia di Kant al pensiero dell'uomo ingenuo, il quale pensa che esista
la molteplicità e che essa sia irriducibile all'unità. “In questa rinuncia della ragione a sé stessa il
concetto della verità va perduto. La ragione viene ristretta a conoscere soltanto una verità
soggettiva, soltanto l'apparenza [v. il fenomeno di Kant] soltanto qualcosa cui la natura
dell'oggetto stesso non corrisponda. Il sapere è tornato ad essere l'opinione”2
C'è un'altra critica significativa che Hegel rivolge a Kant, e riguarda lo stesso metodo attraverso
il quale viene architettata la Critica della ragion pura. Leggiamo un passo tratto dall'Enciclopedia
delle scienze filosofiche: “Uno dei punti di vista capitali della filosofia critica è che prima di
procedere a conoscere Dio, l'essenza delle cose, ecc. si dovrebbe indagare la facoltà del conoscere
per vedere se sia capace di adempiere a quel compito: si dovrebbe apprendere a conoscere
l'instrumento [werkzeug] prima di intraprendere il lavoro che per mezzo [mittel] di esso deve
essere portato a termine; ché se l'instrumento fosse insufficiente, ogni altra fatica sarebbe
perduta”. Più avanti prosegue: “Questo pensiero è parso così plausibile che ha destato la maggiore
ammirazione e consenso ed ha ricondotto il conoscere dal suo interesse per gli oggetti e dal suo
occuparsi di questo, a se stesso, al formale”3. Dopo Kant, relegato il contenuto della conoscenza
all'ambito delle cose in sé, inconoscibili in quanto tali, ci si è concentrati sullo studio degli aspetti
relativi alla forma del conoscere, vale a dire l'intuizione, l'intelletto, la ragione, le categorie, ecc.
Tuttavia Hegel riprende: “Se non si vuole illudersi con parole, è facile vedere che altri instrumenti
possono ben indagarsi e giudicarsi in altro modo che non sia il lavoro stesso cui sono destinati; ma
l'indagine del conoscere non può accadere altrimenti che conoscendo: dacché indagare questo
cosiddetto strumento non è altro che conoscerlo. [...] Voler conoscere dunque prima che si conosca

1
G.W.F. Hegel, Scienza della logica, Laterza, Bari 1981
2
ibidem
3
G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Laterza, Bari 1978
è assurdo, non meno del saggio proposito di quel tale Scolastico di imparare a nuotare prima di
arrischiarsi nell'acqua”.
La critica non potrebbe essere più chiara, ma intendo focalizzare l'attenzione sui due termini
riportati in lingua originale in una delle precedenti citazioni. Parliamo della differenza che
intercorre tra strumento e mezzo, werkzeug e mittel. Nel testo hegeliano è presente questa duplice
concezione dell'intelletto come strumento – concezione che egli attribuisce a Kant – e come mezzo,
un tramite per la conoscenza. E' evidente che questa oscillazione semantica apre ad una diversa
interpretazione dell'intelletto: se si resta fedeli a Kant, l'intelletto è concepito come una facoltà
umana, soggettiva, uno strumento atto a conoscere la realtà; nell'accezione hegeliana, l'intelletto –
ma sarebbe meglio dire la ragione – si presenta come un medio, nel senso aristotelico del termine.
Si ricorderà che la dottrina del sillogismo è essenzialmente legata al concetto di termine medio, un
tramite per collegare in un ragionamento articolato categorie di differente estensione. La ragione
hegeliana si presenta come un tramite, presente nell'uomo così come in realtà più ampie, attraverso
il quale è possibile giungere a conoscenze di ordine superiore. Il tema risulterà più chiaro nel
processo di esposizione del sistema hegeliano.
Proseguiamo con una citazione tratta dalla Fenomenologia: “Attraverso tutto ciò [la storia della
filosofia, culminata con Kant] non solo lo spirito è passato nell'altro estremo della riflessione –
priva di sostanza – di sé in se stesso, ma ha sorpassato anche questo. Non soltanto la sua vita
essenziale è per esso perduta, esso è anche consapevole di tale perdita e della finitezza che ora
costituisce il suo contenuto”. Lo spirito illuminista ha chiuso la parabola della conoscenza,
limitandola al finito: ma questo finito è miserabile, e gli intelletti più attenti non si accontentano di
tale forma di conoscenza, che Hegel chiama spregiativamente “cibo per porci”.4
Abbiamo già discusso della reazione irrazionalista che segue la presa di coscienza della
limitatezza dell'intelletto illuminista. Hegel parla in maniera sprezzante della nuova filosofia, che
privilegia “non il concetto ma l'estasi, non la fredda e progressiva necessità della cosa, ma il
turgido entusiasmo”. Non è questa la strada che Hegel intende seguire. Una pesante critica è rivolta
anche alla filosofia che intende sostituire alla progressione della ragione una conoscenza immediata
ed intuitiva dell'infinito, come accade in Schelling. L'infinito schellinghiano assomiglia al cattivo
infinito stigmatizzato da Aristotele, un infinito indifferenziato, irreale, frutto di uno slancio mistico
più che del ragionamento. “Contrapporre alla conoscenza distinta e compiuta, o alla conoscenza
che si sta cercando o esigendo il proprio compimento, questa razza di sapere – che cioè
nell'Assoluto tutto è uguale oppure gabellare il suo Assoluto per la notte nella quale, come si suol
dire, tutte le vacche sono nere, tutto ciò è l'ingenuità di una conoscenza fatua.”

4
G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, Bompiani, Milano 2000
Ma se si rifiuta tale visione, quale sarà allora la definizione dell'Assoluto? Hegel esprime il
nucleo della sua concezione in una frase rimasta emblema della sua filosofia: “Secondo il mio modo
di vedere, tutto dipende dall'intendere e dall'esprimere il vero (l'Assoluto) come soggetto”. Ma cosa
significa tale espressione?

2) L'Assoluto
I passi in cui Hegel tenta di delineare tale concetto sono ardui, così come è complessa l'idea che
tenta di rendere: “La sostanza viva è bensì l'essere il quale in verità è oggetto, o, ciò che è poi lo
stesso, è l'essere che in verità è effettuale, ma soltanto in quanto la sostanza è il movimento
dell'autoporsi, o in quanto essa è la mediazione del divenire altro da sé con se stessa . Il vero
divenire di se stesso, il circolo che presuppone e ha all'inizio la propria fine come proprio scopo e
che solo mediante l'attuazione e mediante la propria fine è effettuale”. La sostanza è dunque
contemporaneamente il movimento dell'autoporsi – il momento, cioé, dell'autocoscienza, in cui
l'intelletto si fa oggetto di se stesso, diventa visibile – e la mediazione del divenire altro da sé con se
stessa – il processo, ossia, nel quale la ragione riconosce se stessa in ciò che è altro da sé, il
rinvenimento della razionalità nella realtà. Questa duplice natura della ragione – intesa come
ragione umana e razionalità del reale – trova il proprio compimento nella realizzazione dell'unità
tra i due aspetti. L'Assoluto – inteso, più precisamente, come unità di soggetto e oggetto, di
razionale e reale – è presente in ogni momento di questo sviluppo, e le determinazioni singolari
non sono altro che momenti del suo sviluppo.
Ci avviciniamo lentamente ad una comprensione del concetto di Assoluto, che Hegel chiama
Idea, attraverso il riconoscimento di un principio già enunciato da Baruch Spinoza: ordo et
connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum. Ma Spinoza, come ricordiamo, poneva il
principio di tale comunanza in una realtà esterna – Dio – dotata di una sua autonomia e di una realtà
separata da quella del soggetto. Per Hegel la questione è più complessa.
“Dell'Assoluto si deve dire che esso è essenzialmente risultato, che solo alla fine è ciò che è in
verità; e proprio in ciò sta la sua natura, nell'essere effettualità, soggetto, o svolgimento di se
stesso”. Lungi dal rappresentare l'Assoluto come un che di indifferenziato, Hegel lo pensa come
uno sviluppo, il cui percorso è chiaramente visibile nella storia universale e nella storia della
filosofia. “Il vero è l'intero”, dirà in un passo successivo: perché tale sviluppo è compiuto, e solo
alla luce di tale compimento i momenti risultano definiti. Emerge qui con chiarezza la concezione
hegeliana dell'assoluto: l'infinito ed il finito non sono distinti. Ideale e reale, ragione e storia non
sono contrapposti, quindi la razionalità è presente in ogni momento dello sviluppo storico.
E' stato detto che Hegel è l'ultimo dei Greci, perché riprende due fondamentali intuizioni del
pensiero classico:
1. La natura non è mai semplicemente bruta materialità priva di razionalità: tutta la
natura è soggetta a leggi precise, la materia è animata da una logica ed è soggetta a regole
ferree; ha in sé quella che Hegel chiama ideale, cioè ha una razionalità.
2. La coincidenza di reale e razionale implica che l'uomo, in quanto prodotto della
natura, ha in sé la capacità di rispecchiare l'ordine naturale; il logos, la ragione, non è
semplicemente qualcosa di oggettivo, ma anche una caratteristica di cui il soggetto è
partecipe.
Tutto il reale è razionale, e dunque è comprensibile dall'uomo, che è il frutto più maturo
dell'evoluzione naturale, il momento in cui la natura comprende se stessa. L'uomo, con la sua
ragione può conoscere tutta la realtà, niente può sfuggire alla razionalità umana.

E' bene porre un accento sul significato del termine reale quale compare in Hegel. Com'è noto, il
reale kantiano rimaneva una dimensione separata, inconoscibile: il campo di conoscibilità umana
restava limitato all'ambito del fenomeno. Tuttavia Kant ha in mente una precisa idea di reale, molto
vicina alla nostra sensibilità contemporanea, in quanto compone il mondo conoscibile di elementi
fisici, materialità considerate come entità sussistenti in sé e per sé. Piuttosto, Hegel concepisce un
reale di diversa natura: se è vero che l'Assoluto comprende la Natura come un momento essenziale,
è altrettanto vero che l'interesse hegeliano per la scienza fisica – la filosofia naturale – è del tutto
marginale. Scrive Abbagnano: “Il concetto di natura ha tuttavia nella dottrina di Hegel un funzione
chiave [...] Il principio stesso dell'identità di realtà e ragione pone infatti a questa dottrina
l'obbligo di giustificare e risolvere nella ragione tutti gli aspetti della realtà. Hegel respinge fuori
della realtà, quindi nell'apparenza, ciò che è finito, accidentale e contingente, legato al tempo e
allo spazio, e la stessa individualità in ciò che ha di proprio ed irriducibile alla ragione. Ma tutto
ciò deve pur trovare un posto [...] sia pure a mero titolo di apparenza. [...] da questo punto di vista,
la natura si configura come una “pattumiera” del sistema.
Perduto l'interesse per una concezione del mondo che privilegi la dimensione della materia,
Hegel apre il campo ad una visione più generale della realtà, nella quale i prodotti dello spirito
assumono un significato prioritario. Non è un caso che il progresso del pensiero scientifico abbia
tributato dei meriti significativi a Kant, ignorando pressoché del tutto Hegel, mentre la successiva
riflessione nel campo delle scienze umane è stata fortemente influenzata dal pensiero hegeliano.
Una ulteriore precisazione è necessaria per ciò che concerne il rapporto tra la filosofia kantiana e
l'individuo. Già nella citazione di Abbagnano riportata sopra è evidente come il rivelarsi
dell'Assoluto nella coscienza sia un fenomeno di livello superiore all'individuo singolo, che rientra
nel novero dell'accidentale. Hegel è molto chiaro a proposito: finché la prospettiva rimane quella
del singolo – dell'Unico, come lo chiamerà poi Max Stirner – la prospettiva universale rimane
irraggiungibile. Essa si rende possibile soltanto quando la Ragione si fa Spirito, presenza reale della
ragione nella storia e nelle istituzioni: è soltanto dalla prospettiva di uno Stato o di un Popolo che è
possibile concepire il compimento del percorso dell'Assoluto, e dunque il senso dei suoi momenti.
Volendo utilizzare una metafora spaziale, il processo attraverso cui la coscienza singola si fa prima
autocoscienza, poi ragione, poi Spirito può essere ben figurata come un'ascensione verticale,
un'ascesa progressiva ed irresistibile, che allarga l'orizzonte della visione ma che, nel contempo,
rende inessenziale la visione del particolare, dell'accidente. Per cogliere l'unità – l'infinito – la
Totalità, è necessario seguire la conoscenza anche oltre i limiti del singolo vissuto. E' nel singolo
che tale senso si rivela – in fondo, anche Hegel fu un uomo! - ma ciò può avvenire soltanto a patto
di sacrificare la particolarità individuale all'universalità.

La logica dialettica

Un importante risultato insito nel rifiuto dell'intelletto illuminista è il superamento della logica
classica. Com'è noto, essa sin dai tempi di Aristotele si basa sui due fondamentali principi di non
contraddizione e di identità. All'interno di questa tradizione tali principi sono proprietà
dell'intelletto, modalità esclusive del conoscere razionale. Si ritiene ad esempio che ogni
determinazione – ad es., l'idea di bene – possa essere identica a se stessa soltanto se essa non è
mescolata ad altro, se è estranea a qualsiasi relazione con il suo opposto. Nella logica hegeliana,
invece, la contraddizione – il presentarsi di ogni determinazione in relazione al suo contrario –
riveste un ruolo fondamentale. Hegel fa infatti derivare la logica dallo stesso movimento del Reale,
che si attua nella progressiva consapevolezza di sé che lo Spirito acquisisce.
Il cammino dell'Assoluto che si manifesta nella coscienza – o, è lo stesso, il cammino compiuto
dalla coscienza per ri-conoscere l'Assoluto – è figurato da Hegel in una delle sue opere
fondamentali, la Fenomenologia dello Spirito, che rappresenta, nelle parole dell'autore, la “scienza
dell'esperienza della coscienza”. In quest'opera appare la struttura attraverso cui Hegel riesce a
mostrare l'evoluzione del principio attraverso dei momenti determinati, le figure dello spirito.
L'alternarsi di tali figure segue uno schema segnato dai tre momenti essenziali della dialettica,
intesa da Hegel in un senso che richiama il senso platonico del termine: articolazione del reale e
legge di comprensione dello stesso. I momenti della dialettica sono:

 momento intellettuale astratto: ogni determinazione dell'Idea si presenta dapprima


come assolutamente separata ed opposta rispetto alle altre determinazioni. L'intelletto, per
conoscerla, la separa dal suo contrario, e la presenta come un'entità sussistente, autonoma e
indipendente rispetto alle altre;
 momento dialettico, o negativo razionale: ogni determinazione dell'intelletto, però, è
destinata a sopprimersi e diventare il proprio opposto. Essa, infatti, non potendosi definire
come opposto del proprio opposto, perde qualsiasi distinzione con esso, passa in esso, nega sé
stessa. L'isolamento delle determinazioni – l'isolamento in cui gli opposti diventano assoluti
opposti, sussistenti indipendentemente – fa sì che la determinazione si presenti identica al
proprio opposto, si contraddica.
 Momento speculativo, o positivo razionale: esso, nelle parole di Hegel, “concepisce
l'unità delle determinazioni nella loro opposizione”. E' il momento in cui gli opposti si
uniscono, ma non nel senso che essi risultano indistinguibili – questo, come abbiamo visto, è il
risultato del momento negativo razionale – ma nel senso che ognuno di essi, pur rimanendo un
opposto, viene riunito in un'unità che mantiene gli opposti togliendo la contraddizione. Hegel
utilizza un termine specifico per indicare tale unificazione, Aufhebung, un particolarissimo
termine tedesco che può essere utilizzato sia per dire togliere che conservare. Il momento
positivo razionale elimina gli opposti quali determinazioni assolute, ma nel contempo mantiene
la conflittualità tra gli opposti – ed il loro intrinseco dinamismo.

Le tappe dello Spirito – che Hegel denomina categorie – non sono altro che determinazioni
singolari, che esasperano la propria singolarità giungendo alla contraddizione di sé; il momento
positivo razionale crea una nuova categoria, che a sua volta si presenta come sussistente per sé,
dando inizio ad un nuovo processo. Ad esempio, lo Spirito si sviluppa secondo uno schema
triadico, dallo spirito soggettivo (ragione individuale) allo spirito oggettivo (che si è oggettivato
nelle istituzioni, nella moralità e nello Stato) sino a concludersi nello spirito assoluto, che conosce
sé stesso e le sue manifestazioni attraverso l'arte, la religione e la filosofia. Lo spirito oggettivo è
negazione dello spirito individuale, lo spirito assoluto, pur mantenendo la scissione tra soggettività
e oggettività, ne concepisce l'unione.

La filosofia del diritto e la storia

La sezione più feconda e vitale dell’intero sistema hegeliano – in virtù delle discussioni che essa
provocò nel prosieguo del dibattito filosofico – è senza dubbio quella dedicata allo spirito
oggettivo. In essa Hegel presenta una teoria della morale e dello Stato destinata a lasciare il segno,
interpretando in maniera innovativa i concetti di etica, diritto, storia.
Lo spirito oggettivo è il momento dell’interazione tra gli uomini, del consolidamento oggettivo
dei loro rapporti: gli uomini non sono più isolati, singole autocoscienze, bensì vivono nella
creazione di entità collettive. Il primo vincolo che gli uomini pongono tra loro è il diritto (Rechts):
ma esso è ancora qualcosa di limitato, in quanto pone gli uomini in rapporti di pura esteriorità, pure
norme di convivenza che vengono seguite semplicemente per timore della coazione, della sanzione
penale, del giudice, del tribunale o della prigione.
Il diritto, legato all’esteriorità, viene superato dalla morale, che è il momento in cui il rapporto
con l’altro passa per una convinzione interiore: il principio più alto di tale figurazione dello spirito
oggettivo è rappresentato dal motto ama il prossimo tuo come te stesso – in questo Hegel riprende
pienamente una delle formulazioni dell’imperativo categorico kantiano, per cui bisogna riconoscere
nell’altro un fine e non trattarlo mai come un mezzo. Però la morale, appunto perché fenomeno
interiore, è matrice di una serie di rapporti umani basati su convincimenti privati, su principi di
coscienza, in ultima, su sentimenti. Rispettando lo schema dialettico, anche questa figura dev’essere
superata, e ciò avviene con il passaggio all’eticità.
Essa rappresenta un mondo in cui il bene è concretamente realizzato, e in cui si sono congiunti il
potere imperativo ed esteriore del diritto e l’elemento interiore della morale; l’eticità consiste in una
serie di rapporti tra gli uomini che da una parte costituiscono vincoli oggettivi, ma dall’altra
vengono accettati dall’individuo come qualcosa di profondamente radicato nella sua coscienza,
qualche cosa cui egli partecipa. Prendiamo l’esempio della famiglia: essa è un rapporto fissato da
una precisa codificazione giuridica, ma la sottoscrizione di un simile contratto è libera, è una
determinazione volontaria dell’individuo che attribuisce essa un valore.
La famiglia non è che la forma più elementare della vita etica, cui culmine è lo Stato: “Lo Stato è
lo spirito nel quale ha luogo la prodigiosa unione dell’autonomia dell’individualità e della
sostanzialità universale. Il diritto dello Stato è quindi più alto degli alti gradi, è la libertà nella sua
concreta formazione, la quale cede ancora soltanto alla suprema verità dello Spirito universale" 5.
All’interno della vita regolamentata degli uomini – lo spirito oggettivo – non c’è niente al di sopra
dello Stato, l’individuo non può scavalcare lo Stato. Affinché si possa criticarlo, è necessario porsi
in una prospettiva di maggior generalità, cioè dalla prospettiva dello Spirito assoluto, ma all’interno
delle organizzazioni umane nessuna ha più universalità dello Stato. L’atteggiamento hegeliano nei
confronti dello stato richiama la decisione di Socrate di fronte al tribunale che lo condannò: Socrate
si sottopose sino all’ultimo al giudizio dello Stato; per Hegel, l’individuo non è nulla al di fuori
dello Stato.

5
G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma-Bari 1973
“Lo Stato, in quanto la realtà della volontà sostanziale, che esso ha nell’autocoscienza
particolare elevata alla sua universalità, è il razionale in sé e per sé”6. I pezzi del mosaico della
società civile si fanno la guerra l’uno con l’altro; gli elementi della società civile – partiti, sindacati,
associazioni, gruppi religiosi, consorzi di produzione – sono sempre entità parziali. È infatti
difficile sostenere che uno di questi elementi possiede in sé un elemento di universalità, cioè di
regolamentazione generale dei rapporti tra i suoi membri, superiore all’universalità – e dunque alla
razionalità, perché razionale vuol dire universale – dello Stato. Quindi esso è la suprema
incarnazione della razionalità: può essere inadeguato, può non piacere, però storicamente
costituisce la più avanzata forma di relazione tra gli uomini. “Lo Stato in sé e per sé è la totalità
etica, la realizzazione della libertà, ed è finalità assoluta della ragione che la libertà sia reale” 7.
Ma la libertà di cui sta parlando qui Hegel non è la libertà del singolo, la libertà interiore – che
Hegel reputa sterile, in quanto è finalità assoluta della ragione che la libertà sia reale – ma di
quella che si manifesta nell’organizzazione dei rapporti umani. E garantire la libertà nella
convivenza significa ricercare l’universalità, muovere verso un modello di convivenza il più
possibile universale. La libertà reale, concreta, è nello Stato, non è la libertà come arbitrio: se sono
sottoposto a leggi razionali, ciò vuol dire che sono sottoposto alla ragione che posso ritrovare
dentro di me, dunque non dipendo da un’entità esterna, sono libero.
“Ma poiché è molto più facile scoprire un difetto che intendere l’affermativo, si cade facilmente
nell’errore di dimenticare al di sopra dei suoi aspetti singoli l’organismo interiore dello Stato
stesso. Lo Stato non è un’opera d’arte: esso sta nel mondo e quindi nella cerchia dell’arbitrio,
dell’accidentalità, dell’errore: un cattivo comportamento può svisare da molti lati, ma l’uomo più
odioso, il reo, un ammalato, uno storpio, sono sempre ancora uomini viventi. L’affermativo, la vita
esiste malgrado il difetto, e questo affermativo importa qui” 8. Lo Stato, in quanto è la forma storica
che ha raggiunto l’universalità dei cittadini su un territorio, contiene in sé il maggior grado di
razionalità possibile. Queste affermazioni, sottoposte a forzatura, hanno permesso di fare di Hegel
un conservatore, un reazionario: in realtà la sostanza delle affermazioni di Hegel sullo Stato
conducono alla conclusione che, indipendentemente dalla forma particolare assunta da esso, una
situazione regolamentata in uno Stato è comunque preferibile a quello stato di natura che Hobbes
sintetizzava nel detto homo homini lupus.
Una volta che gli uomini si sono organizzati nello Stato entra in gioco il rapporto tra gli Stati,
cioè la storia universale. Questa ha una sua razionalità, come la natura: per Hegel sarebbe infatti
assurdo pensare che, mentre la natura segue leggi precise che la fisica può indagare, la storia

6
ibidem
7
ibidem
8
ibidem
costituisce un altro mondo in cui non vale la razionalità. Ma bisogna essere molto attenti per
cogliere tale razionalità nella storia: Hegel a questo proposito fornisce alcuni interessanti spunti di
riflessione.
In primo luogo, il concetto di astuzia della ragione: c’è una razionalità nella storia che
l’individuo può anche non condividere, di cui l’individuo, al limite, potrebbe anche non rendersi
conto. Noi tutti, ad esempio, siamo soggetti alle leggi di gravità, ai principi della meccanica ed alle
regole termodinamiche, ma tale coinvolgimento è spesso inconsapevole. Allo stesso modo,
possiamo agire storicamente come Napoleone o Garibaldi, senza essere consapevoli di essere parte
di un flusso storico ordinato da leggi razionali, ma ciononostante tali leggi sussistono di per sé. Ad
esempio, Napoleone attraverso la sua azione mirava all’espansione della potenza francese e
conseguentemente ad un consolidamento del suo dominio; in realtà ciò che ottenne fu una
diffusione sul territorio europeo di un’efficiente codice civile, antifeudale e moderno. Allo stesso
modo, Garibaldi anelava ad un’Italia repubblicana, ma ottenne l’unificazione dell’Italia sotto la
corona sabauda. C’è una razionalità così profonda della storia che persino i grandi protagonisti,
osservati attraverso la lente dell’incessante divenire, appaiono come strumenti in mano ad una
razionalità superiore, che si prende gioco di loro mentre questi portano acqua al suo mulino.
In secondo luogo, Hegel si discosta fortemente da Kant e dai pensatori illuministi riguardo
all’atteggiamento di fronte alla storia. “Nella storia non ci sono pretori”, afferma, intendendo con
ciò che il divenire storico non può essere giudicato o guidato da principi, tribunali della ragione o
ideali eterni: la storia è un campo in cui le diverse individualità collettive si scontrano, la bilancia
del dominio si sposta ora su un popolo, ora su un altro, in uno stato di perenne conflitto che
garantisce il dinamismo ed il divenire. Per cui Hegel ritiene impensabile – in quanto irrazionale – il
proposito kantiano della “pace perpetua”. Eraclito disse: “polemos [la guerra] è padre di ogni cosa,
di tutto è signore”. Nel pensiero hegeliano la guerra è una dimensione fondamentale ed invalicabile
della storia umana, è la sua cifra essenziale, e come tale, è ineliminabile, a dispetto di ogni
proposito di pace universale.

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