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zetetica

collana della Fondazione


Silvestro Marcucci

diretta da

Mario Caimi (Universidad de Buenos Aires)


Daniel Dahlstrom (Boston University)
Alfredo Ferrarin (Università di Pisa)
Luca Fonnesu (Università di Pavia)
Claudio La Rocca (Università di Genova)
Silvia Marcucci (Fondazione Silvestro Marcucci)
Hegel e la fenomenologia
trascendentale
a cura di
Danilo Manca, Elisa Magrì, Alfredo Ferrarin

Con contributi di
Andrea Altobrando, Michela Bordignon, Ilaria D’Angelo,
Daniele De Santis, Alfredo Ferrarin, Luigi Filieri,
Stéphane Finetti, Guido Frilli, Luca Illetterati, Elisa Magrì,
Danilo Manca, Federico Orsini, Giovanni Zanotti

Edizioni ETS
www.edizioniets.com

Il volume è stato pubblicato con il contributo


della Fondazione Banca del Monte di Lucca
e dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Pisa

© Copyright 2015
EDIZIONI ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
info@edizioniets.com
www.edizioniets.com

Distribuzione
PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]

ISBN 978-884674211-7
ISSN 0000-0000
Indice del volume

Prefazione di Alfredo Ferrarin 7

Unità e conoscenza. Notazione sulle epistemologie


di Husserl e Kant
Andrea Altobrando 25

Sintesi e dato. Husserl, Sellars e l’altro lato del “Mito”


Daniele De Santis 45

La forma dell’oggetto. Hegel e Husserl sui presupposti


della percezione
Luigi Filieri 63

L’auto-riferimento del corpo vivo. Abitudine e memoria


in Hegel e Merleau-Ponty
Elisa Magrì 81

Hegel e Husserl sull’immaginazione


Alfredo Ferrarin 101

Hegel e l’idea di filosofia come scienza rigorosa


Luca Illetterati 121

Hegel e Husserl sull’intelligibilità della filosofia


Danilo Manca 141

Fatto ed essenza. Idee per un confronto ontologico


tra Hegel e Husserl
Federico Orsini 161
6 Hegel e la fenomenologia trascendentale

Hegel e Husserl: due descrizioni antepredicative


della negazione
Michela Bordignon 179

Hegel contro Husserl. Sul tentativo adorniano


di una critica dialettica alle Ricerche Logiche
Giovanni Zanotti 201

L’idea di una dialettica fenomenologica. Per un confronto


tra Fink e Hegel
Stéphane Finetti 219

Etica dell’autonomia. L’idea di ragion pratica


in Hegel e Husserl
Guido Frilli 237

Solitudine e solipsismo: sulla critica sartriana


a Husserl e Hegel
Ilaria D’Angelo 255

Indice dei nomi 273

Gli autori 277


Unità e Conoscenza
Notazione sulle epistemologie
di Husserl e Kant
Andrea Altobrando

Introduzione
Secondo alcuni interpreti1, nella Critica della ragion pura sa-
rebbe riscontrabile un’apparente contraddizione tra l’esigenza,
più volte rimarcata da Kant2, di un’attività unificatrice delle ca-
tegorie dell’intelletto affinché ci sia conoscenza, da una parte, e
l’affermazione, contenuta nell’Analitica trascendentale, secondo
la quale «[l]e categorie dell’intelletto […] non costituiscono per
noi le condizioni alle quali ci vengono dati gli oggetti nell’intu-
izione; ci possono quindi ben apparire oggetti senza che deb-
bano necessariamente riferirsi a funzioni dell’intelletto e senza
che questo contenga le loro condizioni a priori»3. Al di là delle
questioni ermeneutiche relative al testo kantiano, è facile notare
che l’affermazione della possibilità di un’esperienza di oggetti a
prescindere dalle categorie dell’intelletto è fondamentalmente
in accordo con l’impostazione gnoseologica husserliana. Non
sempre, tuttavia, si nota che anche la necessità delle categorie
dell’intelletto affinché si dia conoscenza è in accordo con la ri-
flessione husserliana.
Normalmente, infatti, si insiste sull’idea secondo la quale
per Husserl esisterebbe una legalità del sensibile che prescinde
dall’attività sintetica dell’intelletto. È ormai una sorta di defi-
nizione acquisita e sedimentata, una definizione che potremmo

1 Cfr. L. SCARAVELLI, Scritti kantiani, La Nuova Italia, Firenze 1968, p. 247; M.


FICHANT, ‘L’espace est représenté comme une grandeur infinie donnée’. La radicalité de
l’esthétique, in «Philosophie», (56), 1997, pp. 20-48.
2 Cfr., e.g., KrV, A 92/B 125.
3 KrV, A 89/B 122.
26 Andrea Altobrando

chiamare, in senso positivo, “da manuale”, quella secondo la


quale per Kant i Begriffe formano le Anschauungen, mentre per
Husserl il rapporto sarebbe pressoché opposto.
Si potrebbe riassumere la differenza tra Husserl e Kant di-
cendo che, mentre Kant cerca l’unità del mondo in qualcosa
che va oltre la sfera sensibile, concepita per lo più come puro
brulicare impressionale, Husserl permetterebbe di trovare l’u-
nità del mondo nella sensibilità, mostrando che quest’ultima,
senza bisogno dell’apparato intellettuale, ossia linguistico-di-
scorsivo o predicativo, offre un cosmo che non è fatto di mere
impressioni sconnesse. Dal punto di vista husserliano, la legalità
dei fenomeni sta (innanzitutto) nel versante contenutistico degli
stessi, mentre per Kant la legalità sembra possibile solo per la
forma in cui i contenuti sono “immessi”.
In quanto si contrappongono in modo molto antagonistico
Husserl e Kant, si oblia tuttavia che, proprio all’altezza delle
Ricerche Logiche, ossia nell’opera che più si è prestata a inter-
pretazioni anti-trascendentaliste, anche per Husserl nella co-
noscenza vera e propria non si danno percezioni semplici e che
non si può dare conoscenza puramente percettiva. Certamente,
Husserl tende a voler attribuire la legalità che vige nei contenuti
della conoscenza ai contenuti stessi e non a forme che a questi
verrebbero imposte dall’intelletto. Né sembra presente nel suo
orizzonte epistemologico un ruolo produttivo dell’immaginazio-
ne. Ciò che permette la conoscenza è la legalità dei contenuti
dell’esperienza, a prescindere dalle operazioni soggettive, che,
in questa contrapposizione con Kant, vengono per lo più fatte
collassare su operazioni intellettuali4. Allo stesso tempo, però,

4 Infatti, sebbene successivamente alle Ricerche Logiche Husserl punterà sempre


più l’attenzione sul ruolo “trascendentale” delle operazioni soggettive nel farsi dell’e-
sperienza, questo non implica né che la struttura dei contenuti dell’esperienza derivi
dalle operazioni soggettive (rischio effettivamente corso nella Filosofia dell’aritmetica),
né che le strutture dell’esperienza in generale, ossia sia a parte subjecti che a parte objecti,
dipendano dalle “categorie intellettuali”. Si può inoltre notare che la considerazione
delle operazioni soggettive, in quanto parti essenziali del processo conoscitivo, non è
affatto assente nell’Husserl pre-trascendentale, come dimostrano, in particolare, gli stu-
di sullo spazio dell’ultimo decennio dell’Ottocento, in linea di continuità, almeno par-
ziale, coi quali stanno le più celebri lezioni su Ding und Raum, le quali sostanzialmente
Unità e Conoscenza 27

è necessario sottolineare che, sebbene siano i contenuti della


percezione che permettono innanzitutto la conoscenza, ciò non
significa che le percezioni da sole diano conoscenza. È questo
un aspetto dell’epistemologia husserliana che, come accennato,
si rischia spesso di trascurare e senza il quale, tuttavia, si perde
il senso stesso dello sforzo teoretico husserliano, volto anche ad
andare oltre alcune impasse kantiane pur condividendone alcu-
ni criteri e ideali.
Nelle pagine che seguono ci si limiterà a un confronto con
solo alcune delle idee dei due autori, al fine di mettere in luce
quello che si può sensatamente ritenere il fulcro dell’idea hus-
serliana di conoscenza, del ruolo che in essa gioca la sensibilità
e di come questa sia in relazione alla concettualità, per valutare,
infine, un punto sotto molti aspetti cruciale per stabilire la ca-
pacità da parte di Husserl di offrire (o meno) un’effettiva alter-
nativa rispetto a Kant: quello dell’appercezione trascendentale5.

1. Conoscenza e percezione
Notoriamente, la conoscenza è per Husserl un vissuto di ri-
empimento. Si ha conoscenza quando ciò che è inteso in modo

coincidono con l’inizio della concezione “trascendentale” della fenomenologia da parte


di Husserl. Le continuità e le discontinuità tra il “primo” e il “secondo” Husserl non
rientrano, comunque, tra gli interessi del presente contributo. Ci si può qui limitare a
notare che, sia negli studi di fine Ottocento che in quelli “trascendentali”, le operazio-
ni soggettive in discussione sono comunque, per lo più, operazioni “non”-intellettive,
ossia operazioni prevalentemente corporee e, comunque, pre-verbali. Inoltre, sebbene
le operazioni soggettive siano tutt’altro che inessenziali al processo conoscitivo, il loro
contributo alla manifestazione degli oggetti non deve farsi coincidere con una loro “for-
mazione” di questi ultimi.
5 È, a tal proposito, quantomeno necessario segnalare che per Kant le categorie
servono non solo, e forse non tanto, per “vedere” il mondo come fatto di, o popolato da,
oggetti più o meno ben definiti/individuati, bensì per comprendere le leggi che gover-
nano i mutamenti degli oggetti anche, se non soprattutto, nelle loro reciproche relazioni
all’interno di un sistema totale della “natura”. Insomma, per Kant uno dei fini principali
dell’Estetica e dell’Analitica trascendentale consiste nel “fondare” le scienze fisiche, oltre
che matematiche. Nelle analisi e nelle riflessioni husserliane concernenti la percezione
antepredicativa, invece, a essere messe in primo piano sono, innanzitutto, analisi relati-
ve alla geometria di singoli oggetti, con, peraltro, poche considerazioni riguardo al loro
movimento e mutamento.
28 Andrea Altobrando

vuoto è offerto “in carne e ossa” da un’intuizione corrisponden-


te e si vede il collimare tra le materie dei due atti6. Quest’ultimo
punto è di importanza capitale, perché solo tenendolo presente
è possibile capire come mai anche nella fenomenologia husser-
liana, sebbene venga riconosciuta un’autonomia del sensibile
rispetto all’intelletto categorial-discorsivo, senza quest’ultimo
non sia possibile parlare di conoscenza in senso vero e proprio7.
Per Husserl, infatti, c’è conoscenza se e solo se la (eventuale)
corrispondenza tra intuizioni e concetti è vista. In questo sen-
so, qualunque vissuto di riempimento, qualora non notato, non
potrebbe chiamarsi propriamente conoscenza. Procediamo, co-
munque, con ordine e consideriamo i diversi momenti che con-
corrono al vissuto di conoscenza.
Innanzitutto notiamo che una singola percezione, che è co-
munque sempre e innanzitutto da intendersi come un decor-
so di percezioni parziali, di per sé non è un atto propriamente
conoscitivo e può divenire tale, o, più precisamente, ricevere il
ruolo di verificatore di un’intenzione conoscitiva, solo se posta
in relazione a un altro atto da essa distinta8.
Nella semplice dinamica percettiva, certamente, non sono as-
senti momenti di vuoto, ma essi sono da considerare come parti
di un unico, dinamico atto percettivo. È la percezione spaziale
in quanto tale che si muove secondo una dinamica di costante
riempimento – e svuotamento – rispetto a quanto dalla perce-

6 Cfr. VI RL, p. 332 [HU 19/2, p. 367].


7 «Tutto il pensiero, e in particolare tutto il pensiero e la conoscenza teoretica si
effettua in certi atti che intervengono all’interno del discorso espressivo. In questi atti
si trova la fonte (Quelle) di tutte le unità di validità che si contrappongono a colui che
pensa come oggetti del pensiero e della conoscenza oppure come leggi (Gesetze) e basi
(Gründe) esplicative di tali oggetti, come le loro scienze e teorie corrispondenti» (VI
RL, p. 299 [HU 19/2, p. 537]).
8 A questo proposito, Rizzoli giustamente rileva che «[d]ie direkte Anschauung
eines Gegenstandes ist […] keineswegs selbst als Erkenntnis zu bezeichnen. Erst wenn
die Anschauung zur Erfüllung einer Bedeutungsintention dient, gewinnt sie ihren Er-
kenntniswert. Dass ihre Fülle als wahrmachende erfahren wird und somit den Gegen-
stand ‘als wahr’ erscheinen lässt, hängt ganz und gar davon ab, dass die Intuition hier
der Signifikation entspricht und mit ihr eine Deckungseinheit eingeht» (L. R IZZOLI,
Erkenntnis und Reduktion. Die operative Entfaltung der phänomenologischen Reduktion
im Denken Edmund Husserls, Springer, Dordrecht 2008, p. 116).
Unità e Conoscenza 29

zione stessa, di volta in volta, inteso. Qualora già a livello ante-


predicativo si innescasse una dinamica che tende a “conoscere”
l’oggetto, avremmo almeno due diverse situazioni possibili.
a. Una in cui una sorta di appetito conoscitivo si innesta to-
talmente nella mera percezione. In questo caso, non ci sarebbe
comunque nessuna intenzione che intende “vuotamente” come
l’oggetto sia, bensì nel soggetto agirebbe una qualche forma di
interesse o curiosità volta a vedere o scoprire come l’oggetto è.
Potremmo in tali casi parlare di una “percezione osservante”
o “esplorazione”, che corrisponderebbe a una “presa di cono-
scenza” (Kenntnisnahme) dell’oggetto9. Si tratterebbe di un de-
corso di vissuti che, in un certo senso, tende alla conoscenza di
un oggetto, ma da cui, in linea generale, sarebbero assenti sia
intenzioni immaginali rispetto alle parti ancora ignote dell’og-
getto, sia, a maggior ragione, intenzioni categoriali in senso pro-
prio, ossia linguistico-predicative. In un tale vissuto di esplora-
zione o di presa di conoscenza di un oggetto, dunque, non si
avrebbe alcuna verificazione o conferma di quanto inteso in
modo vuoto. Un semplice atto di percezione o, più in genera-
le, di presentazione, non ha pertanto valore conoscitivo, il che
equivale a dire, banalmente, che la presentazione di un oggetto,
di per sé, non è né vera né falsa. False o vere possono essere so-
lo le opinioni, le asserzioni, i giudizi al suo riguardo.
b. Si potrebbe ipotizzare che le opinioni sugli oggetti d’espe-
rienza non siano, di per sé, necessariamente predicative. Un al-
tro scenario possibile sarebbe, cioè, quello in cui la percezione è
chiamata a dare conferma a un’altra intenzione sensibile da essa
distinta, ma di carattere non presentativo, bensì rappresentati-
vo, ossia immaginativa10. Essa dovrebbe, cioè, contenere in mo-
do non propriamente presentativo il contenuto di cui si chiede
conferma intuitiva, ossia, appunto, per il quale si cerca la pre-
sentazione. In questo caso avremmo una divisone tra atti distin-

9 Cfr., e.g.: HU 11, pp. 8, 148-149; HU 31, p. 18 sgg.


10 Sarebbe qui da discutere in che senso un atto immaginativo possa fungere come
atto da riempire, essendo esso, propriamente parlando, non vuoto. Tale questione si
pone, tuttavia, oltre i limiti del presente contributo. Consideriamo qui una tale ipotesi
solo in linea di principio.
30 Andrea Altobrando

ti, e non un unico atto articolato in una pluralità di atti parziali.


Si potrebbe, dunque, senz’altro parlare di una sintesi di riempi-
mento, e sembrerebbe, pertanto, altrettanto legittimo sostenere
che si sia di fronte a un vissuto vero e proprio di conoscenza.
In realtà, per Husserl, affinché avvenga conoscenza è necessario
che le categorie, potremmo dire le “idee”, vengano in un qual-
che modo intenzionate in quanto tali, che intervenga un altro
atto capace di mostrarne l’aderenza alla realtà e, come si è sot-
tolineato in apertura al presente paragrafo, che il collimare tra
le materie d’atto delle due intenzioni sia visto in quanto tale.
Per questo motivo Husserl neppure considera una tale ipotesi.
Assumendo la versione più semplice di vissuto immaginativo,
ossia che si riproduca nella mente un oggetto, l’immagine men-
tale potrebbe vedersi più o meno corrispondere all’oggetto che
si pretende di conoscere, ma la strutturazione (anche categoria-
le) di quest’ultimo non sarebbe propriamente intesa in quanto
momento specifico. Pertanto, anche in questo caso la conoscen-
za in senso proprio andrebbe a mancare.
Ammesso, dunque, che anche Husserl, come Kant, ritiene
che solo attraverso una corrispondenza tra percezioni – o, più
in generale, tra presentazioni – e concetti – o enunciati – si dia
conoscenza, si tratta di vedere sotto quale punto di vista la pro-
spettiva husserliana si discosti da quella kantiana.

2. Identità dell’oggetto e intenzione d’identità


La prospettiva husserliana è normalmente considerata antite-
tica rispetto a quella kantiana in quanto, riconoscendo una lega-
lità del sensibile che non solo prescinde da e precede, ma anche
fonda i concetti, legittima la conoscenza von unten invece che
von oben. In tal modo, viene a cadere il bisogno di fondare le
categorie del sensibile nell’intelletto e, di conseguenza, il pro-
blema dell’accordo tra percezioni e concetti risulta, in buona
parte, risolto a valle. Nella prospettiva husserliana la peculiarità
della conoscenza consiste nella capacità di vedere nei contenu-
ti intuitivi le strutture espresse dai concetti. I concetti o, se si
preferisce, i giudizi, esplicitano rapporti e articolazioni che già
Unità e Conoscenza 31

stanno nei contenuti sensibili. Tali rapporti e articolazioni, tut-


tavia, senza i concetti non potrebbero essere notati in quanto
tali.
Per marcare meglio la differenza rispetto a Kant, prendiamo
come esempio l’idea di identità. Ossia, chiediamoci come nella
percezione semplice si possa avere non solo un riscontro, ma un
effettivo costituirsi della categoria di identità – la quale, gros-
so modo, corrisponderebbe a una congiunzione delle categorie
kantiane di unità e di sostanza. Intendiamo, cioè, l’identità co-
me permanere di un medesimo soggetto in una pluralità di suoi
aspetti e di sue manifestazioni.
Come si è ricordato, la percezione di un oggetto non è mai
un atto “istantaneo”. Essa avviene, bensì, in un decorso tempo-
rale, nel quale l’appena percepito continua a rimaner presente
come ritenuto e come ciò che ancora percepisco. La percezione
di un medesimo oggetto avviene attraverso una pluralità di in-
tenzioni parziali, le quali, però, non devono essere portate a sin-
tesi da un ulteriore atto, bensì sono date fuse assieme nella to-
talità del riferimento oggettuale sin dal primo istante11. Ciò che
appare è inteso come lo stesso nel mutare delle sue apparizioni,
ma la coscienza di tale identità non implica un’apprensione pre-
ventivamente distinta della molteplicità delle sue apparizioni.
Come sottolineato da Lohmar12, questa coscienza dell’iden-
tità dipende, piuttosto, da una Deckung continua, che implica
tanto la coincidenza di porzioni del percepito tra un adombra-
mento e l’altro, quanto l’accordo tra i nuovi adombramenti e
quanto protenzionato durante gli adombramenti precedenti. È
per questo motivo che Husserl afferma:
Ma se riduciamo questa intuizione sintetica alla sua inten-
zione pura, non risulta l’intuizione pura della rappresentazione
oggettivamente semplice ma una continuità di contenuti intuiti-
vi nella quale ogni momento oggettuale viene a rappresentanza
ostensiva, ad un adombramento che cambia di continuo, e so-

11 Cfr. VI RL, p. 450 sgg. [HU 19/2, p. 678 sgg.].


12 Cfr. D. LOHMAR, Husserl’s Concept of Categorial Intuition, in D. Zahavi and F.
Stjernfelt (a cura di), One Hundred Years of Phenomenology. Husserl’s Logical Investiga-
tions Revisited, Kluwer, Dordrecht/Boston/London 2001, pp. 125-45.
32 Andrea Altobrando

lo la continuità della fusione d’identità costituisce il fenomeno


dell’unicità dell’oggetto13.
Queste sintesi di coincidenza valgono sia per riconoscimenti
di oggetti, sia per semplici configurazioni sensibili, limitatamen-
te rispetto alla figura, nel senso di Gestalt, di ciò che appare, al
di qua, potremmo dire, del senso, e quindi della funzione, che
tali oggetti o configurazioni ricoprono nell’insieme dell’espe-
rienza. Si tratta di quel piano degli oggetti che Husserl ritiene
della materia prima14. In tali casi ciò che viene costituito nella
sintesi d’identificazione è innanzitutto una certa regolarità mor-
fologica o figurale, dunque solo l’aspetto esteriore delle cose. Si
può anche a questo livello parlare di tipologie d’oggetti, ma fa-
cendo attenzione che in tal caso non si intende una loro classifi-
cazione per generi e specie che possa dire qualcosa di più di ciò
che, appunto, caratterizza la figura degli oggetti (ad esempio,
già le apprensioni di qualcosa come vivente o inanimato, pianta
o artefatto, ma anche piacevole o spiacevole, si pongono già ol-
tre la pura figura delle cose).
Per comprendere meglio la questione, proviamo a fare un
esempio: se ora osservo la pianta che ho di fronte e improvvisa-
mente al suo posto vedo apparire un totano o un disco in vinile,
sono portato a credere o che, per quanto possa essere scettico
nei confronti della magia, sia avvenuto qualcosa di molto simile
a un sortilegio, magari reso possibile da qualche nuova sofisti-
catissima tecnologia fantascientifica, oppure di essere stato dro-
gato e di essere ora in preda a un’allucinazione. Questo dipen-
de, però, non tanto dal fatto che quanto ora si presenta è di un
genere totalmente diverso (cefalopode o artefatto) rispetto alla
pianta (vegetale) – in questo senso, la mia tendenza a concepi-
re qualcosa come permanente o meno si situerebbe prima della
classificazione tipologica –, bensì dal suo mostrare caratteristi-
che morfologiche, o figurali, incongruenti rispetto a quella cosa
che ho identificato fino al momento precedente come pianta.
Non ho, infatti, visto la pianta trasformarsi in un oggetto d’altro

13 VI RL, p. 398 sgg. [HU 19/2, p. 629].


14 Cfr. HU 16, pp. 65-68.
Unità e Conoscenza 33

genere, il che, per quanto possa risultarmi strano, non mi risul-


terebbe del tutto incomprensibile: avrei, infatti, visto coi miei
stessi occhi il graduale divenire della figura. Ho, invece, visto
scomparire la pianta e apparire il totano (o il 33 giri). Non vi è
stata, cioè, gradualità del mutamento, la quale, tendenzialmen-
te, mi indurrebbe a vedere nel nuovo adombramento una nuova
forma del medesimo oggetto. Questa nuova forma mi risulte-
rebbe probabilmente incredibile proprio perché la vedrei avve-
nire e, quindi, la fede percettiva si troverebbe in contrasto con
le aspettazioni derivanti dal mio registro di tipologie oggettuali.
A “vincere” sarebbe comunque normalmente il livello, per co-
sì dire, più basilare, vale a dire quello di tipologie figurali, se-
condo le quali ciò che manifesta una continuità di mutamenti
graduali si impone, appunto, come un unico oggetto. Il cambio
improvviso di figura mi induce, invece, a ritenere di essere di
fronte a un altro oggetto. Questo sarebbe un esempio del fat-
to che l’idea di identità è suggerita dai contenuti dei fenomeni,
dalle Erscheinungen, e non dalle categorie dell’intelletto. Anche
perché, di per sé, l’idea di identità, così come la categoria di so-
stanza, sarebbe perfettamente compatibile con il cambio repen-
tino di figura di quanto appare. Questo significa che la legalità
figurale fonda la stessa possibilità della costituzione tipologico-
funzionale, ossia quella che va a includere una serie di aspetti
che si pongono oltre la semplice figura, come il movimento e
l’influsso rispetto al mondo circostante, etc., e che, in parte,
corrisponde a quanto Husserl chiama materia seconda.
L’esempio ora addotto serve sostanzialmente a mostrare che
l’idea relativa all’identità di quanto appare è fondata nella re-
golarità della sua manifestazione figurale e che un determinato
modo di apparire degli oggetti – in particolare, la coincidenza
costante tra adombramenti successivi e un certo stile morfologi-
co-figurale – motiva la percezione di una successione di appari-
zioni come corrispondenti a uno stesso oggetto.
Da questo esempio emerge, inoltre, un ulteriore aspetto della
questione, ossia il ruolo fondamentale della continuità spaziale:
ciò che sorprende nell’apparizione di una determinata configu-
razione sensibile rispetto a un’altra è che, appunto, una si so-
34 Andrea Altobrando

stituisca all’altra. Che due cose incongruenti appaiano in luoghi


diversi non sarebbe, di per sé, particolarmente sconvolgente.
Che una cosa si sostituisca a un’altra significa, invece, che “ne
prende il posto”. Se il totano apparisse improvvisamente a fian-
co alla pianta, potrei pur sempre pensare di non averlo notato
arrivare. Siccome, tuttavia, esso va a occupare quel luogo in cui
io vedevo la pianta fino all’istante precedente e su cui ho inin-
terrottamente puntato lo sguardo, sono portato a credere che lì
avrebbe dovuto continuare a esserci ciò che c’era, vale a dire la
pianta, ma la morfologia del totano mi rende ciò insostenibile
e, così, sono portato a credere che vi sia stata una sostituzione.
Quel che importa qui15 evidenziare è comunque solo che, affin-
ché avvenga la sintesi d’identità è necessario che a parte objecti
vi siano certe manifestazioni sensibili. Inoltre, si deve sottoline-
are che effettuare un’identificazione (= intendere identicamente
qualcosa) è diverso da intenderne l’identità (= intendere qual-
cosa in quanto identico). Dire che l’oggetto è inteso sin dall’ini-
zio e in ogni sua fase come “lo stesso” non significa che l’iden-
tità dell’oggetto sia ciò che si ha di mira, ovvero che quando si
vede un medesimo oggetto in una pluralità di apparizioni si stia
intendendo la sua Selbigkeit. Affinché si intenda qualcosa come
costantemente la stessa cosa, non è necessario che l’identità del
percepito sia intesa di per sé, ossia che venga posta come uno
dei significati precipui cui l’intuizione è chiamata a dare riem-
pimento, bensì essa avviene passivamente, senza che la si noti,
che su di essa si concentri l’attenzione e anche senza che l’inten-
zione diretta a tale oggetto abbia in sé la categoria di sostanza o
identità.

15 Per riflessioni più articolate e approfondite su questi temi, secondo prospettive

che provino a mettere a frutto anche l'insegnamento husserliano, senza tuttavia fermar-
si a esso, si rimanda a: L. BOI, Phénomenologie et Méréologie de la perception spatiale.
De Husserl aux théories Néo-Gestaltistes, in L. BOI, P. K ERSZBERG, P. and F. PATRAS
(a cura di), Rediscovering Phenomenology. Phenomenological Essays on Mathematical
Beings, Physical Reality, Perception and Consciousness, Springer, Dordrecht 2006; ID.,
Réflexions épistémologiques à propos de la perception spatiale, in «Metodo. International
Studies in Phenomenology and Philosophy», 1.1, 2013 (http://metodo-rivista.eu/index.
php/metodo/article/view/15); B. SMITH (a cura di), Foundations of Gestalt Theory, Phi-
losophie Verlag, München 1988.
Unità e Conoscenza 35

L’idea di sostanza può, dunque, derivare per astrazione a


partire da determinati decorsi fenomenici. Non ha nulla di ne-
cessario, né di extra-fenomenico. Certamente, nessuna singola
Erscheinung può dar conto dell’idea di sostanza, perché, in un
certo senso, una singola Erscheinung corrisponderebbe a un
singolo istante e, in quanto tale, starebbe al di fuori della carat-
terizzazione propriamente temporale – dunque non avremmo
mutamento di apparizioni e senza mutamento non sembra po-
tersi porre il problema della sostanza.
Nell’atto, poi, in cui l’identità di un oggetto è intenzionata
in quanto tale, dunque resa a sua volta oggetto tematico, tan-
to l’identità dell’oggetto, quanto la differenza tra i suoi adom-
bramenti vengono rese esplicite. È a questo livello, dunque, che
emerge la differenza tra una “conoscenza puramente sensibile”,
che, come si è detto sarebbe più propriamente da designare co-
me “presa di conoscenza” o, più semplicemente e forse anco-
ra più correttamente, “presa di coscienza”, e la conoscenza in
senso proprio, che per avvenire necessita di un passaggio attra-
verso la struttura significazionale e della messa in rilievo delle
categorie anche sintattiche di ciò che appare. La conoscenza,
cioè, passando attraverso il linguaggio e le sue forme, coglie la
struttura degli oggetti, la fa emergere e la mette, per così dire, a
disposizione di un’osservazione specifica a essa diretta.
A questo punto, è necessario notare che rispetto alla costi-
tuzione di oggetti a livello pre-categoriale, anche Kant (almeno
nella seconda edizione della Critica della ragion pura) riconosce
una forma di sintesi che, per certi aspetti, precede quella pura-
mente intellettuale: la sintesi figurale o synthesis speciosa16. Tut-
tavia, questa sintesi, per quanto sensibile, viene secondo Kant
operata dal soggetto, a partire dalla spontaneità di quest’ultimo.
La sintesi della molteplicità delle Erscheinungen avviene attra-
verso l’operazione “trascendentale” della facoltà immaginativa,
la quale segue le regole dettate dalle categorie dell’intelletto17.
Sebbene, dunque, in alcuni passaggi, come quello visto in aper-

16 Cfr. KrV, B 151.


17 Cfr. KrV, B 153 sgg.
36 Andrea Altobrando

tura al presente contributo, Kant affermi la possibilità di espe-


rire oggetti a prescindere dalle categorie dell’intelletto, egli
comunque non giunge pressoché mai ad affermare che queste
ultime sono radicate in, o addirittura nascono dalla struttura dei
contenuti puramente sensibili – né, pertanto, che nella cono-
scenza noi portiamo a galla, attraverso l’articolazione concettua-
le, ciò che sta nei contenuti delle intuizioni.
Si potrebbe dire che dalle analisi di Husserl emerge che la
“fusione d’identità” fonda l’idea o, in termini kantiani, la cate-
goria di sostanza. Ciò si pone, per così dire, prima della com-
prensione fisica del mondo e concerne meramente la possibilità
di vedere oggetti, eventualmente anche mutevoli, ma comunque
riconoscibili come identici al mutare dei loro adombramenti. La
legge della sostanza sarebbe, per così dire, derivata dall’apparire
di oggetti come identici in una pluralità di apparizioni recipro-
camente fuse tra loro in modo spontaneo, ma per una sponta-
neità dei contenuti, e non dell’immaginazione.
Nella prospettiva husserliana lo schematismo della facoltà
immaginativa può forse sì essere ritenuto spontaneo, ma non
propriamente produttivo, bensì solo riproduttivo, in quanto le
sue regole derivano dai contenuti di esperienze effettive e non
da categorie apriori dell’intelletto. Questo permette di capire
non solo perché le categorie dell’intelletto possono trovare ri-
empimento intuitivo, bensì anche come nel processo propria-
mente conoscitivo si abbia di più che nella semplice dinamica
pieno/vuoto che si ha a livello di percezione antepredicativa:
nella conoscenza la struttura dei contenuti è resa tematica, e
sono le proprie idee anche rispetto a tali strutture che richie-
dono conferma nell’esperienza. A livello, invece, antepredica-
tivo ci sono, per lo più, solo aspettazioni derivanti dall’espe-
rienza passata rispetto a determinate tipologie (innanzitutto
figurali) di fenomeni o eventi, ma non si intenziona mai, né si
immagina, quale legge o struttura dovrebbe trovare conferma
o meno.
Si deve a questo punto notare che, anche ammesso che que-
sta fondazione sia corretta, e a prescindere dal fatto che una
fondazione analoga dovrebbe essere effettuata per tutte le cate-
Unità e Conoscenza 37

gorie della tavola kantiana18, resta comunque un’ulteriore que-


stione da affrontare, quella relativa a ciò che per Kant si situa
alla base delle stesse possibilità di sintesi categoriali: l’apperce-
zione trascendentale. Per far questo dobbiamo andare anche
oltre il detto husserliano e tentare di comprendere come, date
come premesse alcune sue idee e alcune sue analisi, si possa ri-
spondere all’esigenza per la quale Kant ha fatto appello all’ap-
percezione trascendentale. È, per certi aspetti, solo attaccando e
sconfiggendo quest’ultima che la proposta husserliana può dav-
vero ritenersi “alternativa” rispetto al kantismo.

3. Unità dell’esperienza e appercezione trascendentale


In generale, è necessario riconoscere che un sistema di cono-
scenza del mondo, ossia una scienza di quest’ultimo, implica, o
presuppone, che il mondo si configuri come esperibile secon-
do una qualche regolarità. Per essere cognitivamente esperibi-
le, il mondo deve seguire certe regole. Vi è, cioè, un’esigenza
di coerenza (rispetto a regole) e di unità che caratterizza l’espe-
rienza conoscitiva. Senza regole il mondo non sarebbe conosci-
bile. Coerenza, unità e regolarità sono condizioni di possibilità
dell’esperienza conoscitiva.
Che ci sia un mondo conoscibile è, tuttavia, qualcosa che
sappiamo dall’esperienza ed è, dunque, in fondo, una verità em-
pirica che non può essere considerata come necessaria. Anzi, se,
come emergerebbe dalle tavole kantiane, la necessità è una delle
categorie dell’intelletto, sarebbe piuttosto insensato chiedersi se
la conoscenza stessa sia necessaria. Non a caso, per Kant il sog-
getto della conoscenza in senso pieno, ossia il soggetto trascen-
dentale, sta al di fuori dello spazio del conoscibile e, dunque,
dell’applicabilità delle categorie. Nel quadro pre-categoriale
husserliano, ciò dovrebbe essere detto anche per il mondo e per
l’esperienza. Ossia, nel quadro husserliano dovremmo dire che

18 Come noto, questa è stata in parte l’impresa tentata dallo stesso Husserl, se-

gnatamente in Esperienza e Giudizio. Tale compito risulta però, per quanto mi è stato
possibile riscontrare, ancora incompiuto – né, certamente, è qui possibile assolvere a
esso.
38 Andrea Altobrando

tanto l’unità del soggetto quanto quella del mondo sono incosti-
tuibili – quantomeno mediante sintesi del molteplice.
Abbiamo ampiamente sottolineato che nello schema husser-
liano le categorie dell’esperienza sono forme di strutturazione
del rapporto soggetto-oggetto, ma non sono, come appunto a
volte sembra doversi derivare dagli scritti kantiani, applicati dal
soggetto all’esperienza, o, per meglio dire, dall’intelletto sulla
sensibilità. Concepite in questi termini “kantiani”, le categorie
risulterebbero una sorta di immissione di ordine in un qualcosa
di caotico19. Tuttavia, anche se togliessimo le categorie dall’in-
telletto e le ponessimo nei contenuti dell’esperienza (sensibile),
per solo successivamente riportarle nell’intelletto, resta il fatto
che l’esperienza, e conseguentemente la conoscenza, di oggetti
compositi, ossia composti da una pluralità di apparizioni, non
sarebbe possibile senza una qualche continuità tra tali appari-
zioni, ossia senza l’unità dell’esperienza. L’unità dell’esperienza,
dal canto suo, non può che necessariamente includere l’unità
del soggetto di tale esperienza, perché, altrimenti, non si po-
trebbe parlare sensatamente di una esperienza. Può forse l’e-
pistemologia fenomenologica husserliana (in particolare quella
pre-trascendentale) sottrarsi a tale vincolo?
In effetti, nell’esempio precedente della pianta-totano-vinile,
abbiamo detto che il mutamento repentino di forma accade sot-
to i miei stessi occhi. Gli occhi, dunque, devono essere gli stessi
prima e dopo il mutamento, altrimenti non si potrebbe vede-
re quest’ultimo. Ora, è ovvio che l’appercezione trascendentale
kantiana non è una questione di bulbi oculari, retine o cristal-
lini, bensì di quell’io trascendentale che permette la continuità
e l’unità del flusso di coscienza stesso. Altrettanto noto è che

19 Sebbene, come si è già detto, non è forse opportuno ritenere che questo sia il

modo più adeguato di interpretare Kant, pure è vero che in alcuni casi gli scritti kan-
tiani tendono decisamente in questa direzione e rischiano di non rendere giustizia ai
fenomeni. La differenza tra la prospettiva kantiana e quella husserliana è stata oggetto
di diversi studi di Vittorio De Palma, il quale tende a marcare un motivo “anti-idealista”
della filosofia husserliana e a contrapporlo in modo molto netto alla filosofia kantiana:
cfr. V. DE PALMA, Il soggetto e l’esperienza. La critica di Husserl a Kant e il problema
fenomenologico del trascendentale, Quodlibet, Macerata 2001; ID., Ist Husserls Phänome-
nologie ein transzendentaler Idealismus?, in «Husserl Studies», 21, 2005, pp. 183-206.
Unità e Conoscenza 39

Husserl è passato dalla totale negazione di un io trascendenta-


le alla sua ammissione20. Sebbene tale ammissione e il conse-
guente concetto di io trascendentale proposto da Husserl siano
tutt’altro che privi di problemi e ambiguità, resta il fatto che, sia
prima che dopo il cambio d’opinione da parte di Husserl sulla
plausibilità, se non addirittura sulla necessità, di ammettere una
soggettività trascendentale, non vi è mai nel quadro husserliano
l’idea che l’appercezione trascendentale fondi le categorie dei
contenuti d’esperienza e di conoscenza, né che la stessa conti-
nuità dell’esperienza avvenga tramite una vera e propria sintesi.
Possiamo dire che nel quadro husserliano è necessario, sì, un
soggetto trascendentale o un’appercezione trascendentale, nel
senso che il soggetto per il quale avviene la manifestazione di
oggetti non è il proprio stesso oggetto e, quindi, non è un con-
tenuto d’esperienza in senso stretto. Tuttavia, l’appercezione
trascendentale di cui si può legittimamente parlare da un punto
di vista fenomenologico altro non è che la coscienza stessa, os-
sia l’esperienza. Non dimentichiamo che per Husserl la coscien-
za è, innanzitutto e per lo più, un flusso di vissuti, dunque di
esperienze. Che tra i vari momenti di tale flusso vigano diverse
leggi di fondazione, ossia di congiunzione, fusione e, in genera-
le, legame o rapporto, è per Husserl indubbio. Tuttavia, anche
quando Husserl aggiunge un “io puro” quale centro perma-
nente – tanto permanente da esserci addirittura anche quando
“assente” o “fuori uso”21 – del flusso esperienziale, tale io non
viene considerato quale operatore delle congiunzioni tra i mo-
menti del flusso stesso, quasi che questo fosse un aggregato di
vissuti.
In generale, è necessario affermare che per l’unità della co-
scienza non si può parlare propriamente di sintesi, perché la co-
scienza o è di per sé continua, o non è una coscienza – così che
unità e continuità sembrerebbero implicarsi vicendevolmente.

20 A tale riguardo, non si può che rimandare al classico E. M ARBACH, Das Problem

des Ich in der Phänomenologie Husserls, Nijhoff, Den Haag 1974. Per una “integrazione”
rispetto alle tesi ermeneutiche di Marbach, ci si permette, inoltre, di rinviare ad A.
Altobrando, Husserl e il problema della monade, Trauben, Torino 2010, Cap. II.
21 Cfr. Idee I, p. 237 [HU 3/1, p. 192]; HU 14, p. 156.
40 Andrea Altobrando

A questo proposito, è qui necessario rimarcare che, nel quadro


husserliano, l’unità o il flusso di coscienza è l’equivalente del
soggetto trascendentale kantiano. Avendo in sé, però, i momen-
ti dell’esperienza o, meglio, essendo l’intero stesso di questi ul-
timi, la loro totalità (aperta), essa non porta diverse esperienze
e le relative Erscheinungen, ossia ciò che in tali esperienze com-
pare, a sintesi, bensì si costituisce nell’accadere stesso di queste
esperienze e dei loro contenuti.
È, pertanto, chiaro che l’unità e la continuità della coscienza
sono elementi necessari affinché ci siano esperienza e conoscen-
za. Ciò è tanto chiaro da essere banale, soprattutto in un’ottica
come quella husserliana per la quale, come appena sottolinea-
to, coscienza ed esperienza sono pressoché sinonimi. Tanto la
costituzione puramente percettiva di un oggetto nel mutare dei
suoi adombramenti, quanto la conferma o la verifica di un’in-
tenzione linguistica ad esso rivolta, implicano che vi sia una
continuità tra le diverse intenzioni, sia percettive che linguisti-
che o, più in generale, signitive. La continuità dell’esperienza,
tuttavia, non basta per fondare l’identità dei suoi contenuti.
Questa può essere determinata pressoché solo da caratteristiche
dei contenuti stessi. Pertanto, anche qualora ammettessimo un
io trascendentale che, in un qualche modo, fungesse da opera-
tore dell’unità della coscienza, ossia dell’esperienza, esso non
potrebbe comunque far sì che contenuti che non danno luogo a
una configurazione unitaria, ossia a una sintesi di identità, giun-
gano a farlo. Sono i contenuti stessi a determinare se la coscien-
za è coscienza di identità o di mutamento. Che essa sia una non
dice nulla di ciò di cui è coscienza – né conoscenza.
Possiamo pertanto dire che la continuità della coscienza è
senz’altro una condizione di possibilità dell’esperienza di ogget-
ti e della conoscenza. Tuttavia, la continuità e, in generale, la
struttura degli oggetti non è dipendente dalla continuità (o me-
no) della coscienza e dalle sintesi (intellettuali e non) operate da
quest’ultima. La coscienza, qualora intesa come lato soggettivo
dell’esperienza, si limita ad assistere ed, eventualmente, a testi-
moniare o a registrare ciò che ai o dei contenuti accade – com-
prese le loro sintesi figurali, che non vengono da essa spontane-
Unità e Conoscenza 41

amente operate, bensì innanzitutto recepite ed, eventualmente,


assimilate.
Come abbiamo accennato, inoltre, non c’è motivo di sup-
porre che la coscienza, nella sua struttura composita ma unita-
ria, sia il prodotto di una sintesi di coscienza ulteriore22. Anche
perché, altrimenti, finiremmo ovviamente in un regresso all’in-
finito. Se questo è abbastanza noto ed è stato notato, entro
una certa misura, già da Kant ed è stato poi l’oggetto di infi-
nite speculazioni a partire quantomeno da Fichte – infinite nel
senso per cui ancora oggi proseguono e non mostrano di voler-
si arrestare – non sempre si sottolinea che ciò vale anche per i
contenuti dell’esperienza, almeno nel caso di quella percettiva.
L’esperienza percettiva, infatti, non è digitale, né a parte objecti,
né a parte subjecti. L’idea di una composizione delle figure degli
oggetti a partire da un’immagine pointillistica di questi ultimi è
uno degli elementi del pensiero di Kant che, a ben vedere, più
sono in contrasto con l’impostazione husserliana. Essa, infatti,
sovrappone un’immagine geometrico-costruttiva ai dati dell’e-
sperienza sensibile23. Certamente, l’idea che le figure degli og-
getti possano costruirsi a partire da regole e che queste possano
concepirsi come istruzioni per l’esecuzione di riproduzioni di
oggetti risulta alquanto sensata e non pare abbia senso conte-
starla. Non c’è, tuttavia, neppure alcun motivo per credere che

22 Cfr. V RL, p. 145 [Hu 19/1, p. 363-364]: «L'io fenomenologicamente ridotto non

è quindi nulla di peculiare che si trovi sospeso al di sopra dei molteplici vissuti, ma si
identifica semplicemente con la loro propria unità di connessione. […] I contenuti han-
no […] i loro modi, determinati secondo leggi, di confluire insieme, di fondersi (versch-
melzen) in unità più comprensive e, nella misura in cui essi in questo modo si unificano e
formano un'unità, si è già costituito l'io fenomenologico o l'unità della coscienza, senza
che sia necessario un autonomo principio egologico, portatore di tutti i contenuti, che
li unifichi tutti». Cfr. anche D. ZAHAVI, The Three Concepts of Consciousness in Logische
Untersuchungen, in «Husserl Studies», 18/1, 2002, pp. 53-54: «[T]he relation between
a single experience and the ego could be described in terms of a part-whole relation-
ship […], the ego is not something that floats above the manifold of experiences, but is
simply identical with their unified whole. But even though the experiences are in fact
unified, this unification is not due to the synthesizing contribution of the ego. On the
contrary, such a contribution would be superfluous since the unification has already
taken place in accordance with intra-experiential laws».
23 Si veda, in particolare, il modo in cui Kant concepisce la costituzione delle gran-

dezze estensive negli Axiome der Anschauung (cfr. KrV, A 162 sgg./B 202 sgg.).
42 Andrea Altobrando

queste regole di costruzione derivino dall’intelletto e non siano,


invece, estratte dai contenuti stessi dell’esperienza sensibile già
prima che questa venga sottoposta ad analisi. Si tratterebbe,
cioè, di strutture che innervano gli oggetti e che, se colte, per-
mettono di ri-produrli24.
Possiamo quindi dire che la continuità della coscienza è con-
dizione necessaria, ma non sufficiente, di qualunque conoscen-
za possibile. L’altro elemento necessario, però, sono i contenuti
e i legami che essi mostrano, ossia il loro conformarsi a regole o
meno. Tali legalità, almeno a livello sensibile, non dipendono,
tuttavia, direttamente dalle strutture intellettuali o, più in gene-
rale, dalla continuità delle noesi operate dalla soggettività. La
regolarità della coscienza, o, quantomeno, la sua unità, peraltro,
potrebbero anche essere ammesse pur restando essa immersa
in un mondo caotico – sebbene in questo caso, ovviamente, il
mondo non si presterebbe ad essere conosciuto25. Pertanto, la
continuità della coscienza (e la presenza di determinate struttu-
re noetiche) e la regolarità dei fenomeni sono assieme le condi-
zioni necessarie e sufficienti affinché si possa dare conoscenza.
La conoscenza, tuttavia, non è necessaria agli oggetti che si co-
noscono in quanto tali, bensì solo al loro essere conosciuti. Il
che è tanto banale quanto dire che io non sono necessario alla
stanza in cui sono ora, bensì solo al mio “starci”. Così, come la

24 Un problema, ovviamente, per quanto riguarda le grandezze estensive è che esse,

se lasciate sussistere come continue e, allo stesso tempo, come infinitamente scompo-
nibili “in sé”, lascerebbero supporre che gli oggetti sensibili abbiano “davvero” una
potenza infinita e che, contrariamente a quanto Kant è pronto ad ammettere, l’idea di
infinito non deriva dal mondo sovrasensibile.
25 L’idea che non sia del tutto impossibile un’esperienza caotica sembra implicare,

inoltre, che l’unità dell’appercezione trascendentale è fondata nei contenuti e non vi-
ceversa. Questa idea sembra effettivamente essere stata quantomeno considerata dallo
stesso Husserl: cfr. Hu 16, p. 288 sgg. Si potrebbe immaginare una tale situazione come
uno scorrere disordinato di sensazioni senza orientamento spaziale costante, come una
sorte di vertigine totale in cui, come nota anche Sommer, oltre alla capacità di appren-
dere un “mondo”, si perderebbe anche il senso di sé (cfr. M. SOMMER, Husserl und der
frühe Positivismus, Klostermann, Frankfrut a/M 1985, p. 239 sgg. Ovviamente, una tale
ipotesi dovrebbe essere meglio approfondita di quanto sia possibile. Per un tentativo re-
cente in tal senso, cfr. M. SUMMA, Spatio-temporal Intertwining. Husserl’s Transcendental
Aesthetic, Springer, Heidelberg 2014, pp. 67-77. La prospettiva di Summa è, tuttavia,
non necessariamente in accordo con la prospettiva che qui si è provata a delineare.
Unità e Conoscenza 43

stanza senza di me sarebbe senz’altro un po’ diversa di quanto


non sia con me, ma ciò non implica che io sia necessario non
solo alla sua esistenza, bensì neppure alla sua forma e struttura,
allo stesso modo non ci sono molti motivi per credere che l’og-
getto abbia tra le sue caratteristiche essenziali quello di essere
conosciuto26.
Se è vero che interrogarsi sulla necessità o meno dell’espe-
rienza non ha alcun senso o, detto altrimenti, se quest’interroga-
zione va oltre i limiti di senso di cui l’intelletto è capace, allora
si potrebbe ritenere necessario andare oltre l’Analitica verso la
Dialettica. Un tale passaggio, tuttavia, non è davvero necessario.
Si può anche accontentarsi dei limiti della conoscenza e ridursi
ad analizzare e a parlare di ciò che nell’esperienza effettivamen-
te si dà. Ovviamente, a sua volta, la scelta relativa al “fermarsi”
o al “procedere” non può essere necessaria né in una direzione,
né nell’altra.

26 A proposito, non si può che ricordare la critica di Perry all’illusione derivan-

te dall’egocentric predicament: cfr. R.B. PERRY, The Ego-Centric Predicament, in «The


Journal of Philosophy, Psychology and Scientific Methods», Vol. 7, No. 1, 1910, pp. 5-14.

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