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Mario Smargiassi

Solipsismo e intersoggettivit nella


fenomenologia trascendentale di Edmund
Husserl

1. Fenomenologia come egologia: il solipsismo trascendentale


2. L'intersoggettivit come problema fenomenologico: riduzione primordiale, empatia,
monadologia
3. Limiti della riduzione primordiale e intersoggettivit aperta
4. L'impossibilit del solipsismo e i due problemi fondamentali della teoria husserliana
dell'intersoggettivit
5. Bibliografia husserliana e sigle utilizzate nel testo

Questo articolo vuole essere un contributo all'analisi e chiarificazione di un'ambiguit


di fondo che sembra sottesa alla filosofia fenomenologico-trascendentale di Edmund
Husserl, al suo stesso impianto metodologico, ovvero quella tra solipsismo e
intersoggettivit. Se infatti a Husserl si spesso rimproverato, se non l'esito,
almeno il punto di partenza solipsistico, come una sorta di limite interno della sua
fenomenologia, altrettanto fuori discussione che lo stesso Husserl ha condotto una
riflessione approfondita e instancabile sul problema dell'intersoggettivit, come
testimoniano i volumi XIII, XIV e XV delle Gesammelte Werke.[1] Proprio la
conoscenza, ormai diffusa, degli inediti, della sterminata produzione manoscritta
cui Husserl in molti casi ha affidato l'elaborazione pi concreta delle tematiche
fenomenologiche, manifesta un risvolto paradossale: il filosofo che, apparentemente,
si arrovellato per lunghi anni sulla questione del solipsismo, muovendo da un io
monadico e chiuso, dunque esponendosi alle classiche aporie dell'idealismo soggettivo
(cos bene illustrate da Heidegger in Essere e tempo), altres, essenzialmente, un
pensatore radicale dell'intersoggettivit, della soggettivit plurale.[2] Di
quest'ultima, egli ha fornito non solo un vasto repertorio analitico, scandagliandone le
forme e le connessioni interne, ma anche esibito i fondamenti filosofici pi elementari
(e, come tali, decisivi), che affondano le loro radici nella vita percettiva, corporea e
temporale dell'io, e dunque nell'esperienza concreta. Ma il contributo di Husserl ad
una teoria dell'intersoggettivit come comunit monadica trascendentale (per
riprendere una nota espressione delle Meditazioni cartesiane) non si esaurisce
neppure in questa ricerca incessante delle origini, delle fonti concrete, degli strati
precategoriali e prescientifici che sottostanno ad ogni prodotto intersoggettivo gi

strutturato, gi costituito, e dunque per lo pi assunto come ovvio; ci che distingue


Husserl dagli altri fenomenologi dell'intersoggettivit (pensiamo qui a Sartre,
Merleau-Ponty, ma anche al primo Heidegger) non tanto l'assenza di un orizzonte
ontologico esplicito, quanto un'elaborazione filosofico-sistematica del nesso
strutturale che sussiste tra le categorie fenomenologiche di soggettivit,
oggettivit, intersoggettivit: per Husserl, queste categorie non corrispondono
propriamente a campi fenomenologici distinti (sebbene astrattivamente debbano
essere considerati tali), ma formano per cos dire il tessuto connettivo della
fenomenologia, una fitta rete di rimandi interni senza la quale ogni nostra esperienza
di cose risulterebbe incomprensibile.[3] Sotto questo profilo, ci sembra che qualcosa di
significativo sia andato perduto nella progressiva esistenzializzazione della
fenomenologia dopo Husserl; se il rifiuto dell'impostazione trascendentalistica ha
aperto indubbiamente nuovi orizzonti alla fenomenologia novecentesca, va anche
detto che questa impostazione non appare priva di rigore, nella misura in cui la
definizione della soggettivit concreta come intersoggettivit, sulla quale in linea
generale concorda il movimento fenomenologico post-husserliano, non solo fatta
propria da Husserl, ma in Husserl anche pi ampiamente illustrata ed argomentata.
[4] Ci premesso, vi davvero spazio nella fenomenologia husserliana per
un'assunzione del soggetto trascendentale come solus ipse? Fino a che punto il
problema del solipsismo in Husserl si differenzia da quello tradizionale, di impronta
cartesiana?[5] Esiste effettivamente un livello dell'esperienza del soggetto da cui
assente ogni riferimento ad altri soggetti? Come si configura il passaggio dalla
fenomenologia soggettiva alla fenomenologia intersoggettiva, dentro il medesimo
orizzonte trascendentale, se vero che per Husserl solo un'articolazione convincente
di tale passaggio potrebbe dissipare lo spettro del solipsismo, recuperando il senso
autentico della trascendenza dell'alter ego? Nelle pagine che seguono, solo un
primo inquadramento della problematica, cercheremo di verificare come dietro la
tensione essenziale del rapporto tra solipsismo e intersoggettivit si annunci non
un'unica questione, ma un contesto di esigenze diverse, anche se correlate. Illuminare
questi aspetti, significa ritrovare le ambiguit ed i limiti della filosofia trascendentale
fenomenologica, ma anche comprenderne meglio le possibilit operative.[6]

1. Fenomenologia come egologia: il solipsismo


trascendentale
Tra i luoghi comuni sulla fenomenologia husserliana, vi talvolta la convinzione che il
problema dell'intersoggettivit si affacci in Husserl come reazione o risposta
all'obiezione di solipsismo mossagli dai suoi avversari o, forse, dai suoi allievi,
insoddisfatti della svolta compiuta dal maestro in direzione dell'idealismo
trascendentale.[7] In realt, come ci si pu agevolmente rendere conto scorrendo il
primo dei tre volumi sull'intersoggettivit cui abbiamo accennato, la genesi del
problema intersoggettivo nella riflessione husserliana autonoma, per certi versi un
fattore che sollecita la stessa apertura trascendentale della fenomenologia,[8] ed
appare subito strettamente connessa alle esigenze di una teoria dell'oggettivit e della
ragione. Alcuni scritti del periodo 1905-1908 gi ravvisano chiaramente, anche se in
forma embrionale, il problema dell'alter ego e dell'empatia, e i nessi che legano la
costituzione fenomenologica dell'oggetto, della cosa, alla molteplicit dei flussi di
coscienza; significativamente, di questo periodo una breve riflessione di Husserl
sulla monadologia (Hu XIII, 5-sgg.), che sar tema di interesse centrale dai primi
anni '20 fino alle Meditazioni cartesiane. Nelle lezioni del 1910-11 Problemi

fondamentali della fenomenologia, Husserl abbozza un progetto di sistema


fenomenologico e la connessione tra i vari elementi fondata sull'acquisizione della
pluralit delle monadi (Hu XIII, 183); qui Husserl prende seriamente in
considerazione, per la prima volta, la possibilit di una estensione della riduzione
fenomenologico-trascendentale[9] alla sfera dell'intersoggettivit (Hu XIII, 189-190).
Questa estensione dunque di tipo immanente, imposta dalle stesse linee teoriche e
programmatiche della filosofia di Husserl, in quanto il mondo naturale da cui il
fenomenologo deve prendere le mosse immediatamente assunto come
intersoggettivo come mondo-per-tutti,[10] ed occorre trasformare il dato naturale
della pluralit degli ego in un campo fenomenologico rigorosamente elaborato.
Ma anche la questione del solipsismo, cos carica di ambiguit e di tradizione, non
riveste in Husserl una mera valenza polemica, di difesa della propria prospettiva
filosofico-trascendentale da palesi fraintendimenti o radicali incomprensioni. O
meglio, la polemica a tratti veemente, l'atteggiamento fermo e risoluto con cui Husserl
puntualmente respinge ogni tentativo di identificare la fenomenologia trascendentale
con una qualche forma di solipsismo, hanno un significato ed una legittimit di fondo
solo perch l'istanza solipsistica appare interna all'orizzonte metodologico della
fenomenologia;[11] in altri termini, nel porre la mia soggettivit trascendentale, il
mio io puro, come centro funzionale della donazione di senso e, quindi, della
costituzione di validit di ogni possibile essente, che Husserl deve sollevare la
questione del solipsismo, riconoscendola realmente come problema. La riduzione
fenomenologica o epoch , al principio e per ragioni essenziali, nient'altro che la
messa in luce della vita soggettiva originaria e dei suoi correlati intenzionali. Scrive per
esempio Husserl nelle Meditazioni cartesiane: L'epoch, come pu anche dirsi, il
metodo radicale e universale con il quale io colgo me stesso come io puro assieme alla
mia propria vita di coscienza pura, nella quale e per la quale per me l'intero mondo
oggettivo, nel modo appunto in cui esso per me. [...] Il mondo non per me in
generale altro di quello che esiste consapevolmente in tale cogito e che vale per me.
Esso ha il suo senso intero, universale e speciale, e il suo valore d'essere solo in base a
tali cogitationes (MC, 54).
dunque in quanto egologia, in quanto indagine rivolta innanzitutto alla soggettivit
(pura) del fenomenologo, all'io nel quale soltanto il mondo dato e da cui trae tutto
il suo senso, che la fenomenologia trascendentale pu (ed, entro certi limiti, deve)
presentarsi come una rinnovata filosofia del solus ipse. Husserl talmente
consapevole di ci, da ritenere che l'identificazione della fenomenologia con il
solipsismo sia qualcosa di pi di un semplice equivoco, e riposi su una sorta di
illusione necessaria, naturale; in Logica formale e trascendentale, significativo il
ricorso al concetto kantiano dell'apparenza trascendentale per designare la tesi
secondo cui la riduzione fenomenologica condurrebbe ad una forma di solipsismo,
seppure sui generis. Se tutto quello che pu avere valore d'essere costituito nel mio
ego, sembra allora che di fatto ogni esistere sia un semplice momento del mio proprio
essere trascendentale (LFT, 298-299). Il primo passo da compiere, allora,
distinguere con chiarezza i termini del discorso, mostrando che sotto la generica
etichetta di solipsismo si celano due problemi radicalmente differenti: Una
fenomenologia trascendentale pu dunque, a quanto pare, essere possibile solo come
egologia trascendentale. Come fenomenologo io sono necessariamente solipsista (als
Phnomenologe bin ich notwendig Solipsist), anche se non in quel senso comune e
ridicolo (lcherlich) che ha le sue radici nell'atteggiamento naturale; tuttavia lo sono
proprio in senso trascendentale (Hu VIII, 174). L'obiezione di solipsismo, almeno

finch si mantiene ad un sufficiente livello di generalit, sembra dunque cogliere un


aspetto reale della fenomenologia, nella misura in cui lo stesso Husserl afferma che,
accanto al solipsismo naturalistico (la cui natura cercheremo di determinare tra
breve), vi un solipsismo trascendentale fenomenologicamente legittimo,
addirittura necessario, purch fissato rigorosamente nella sua accezione e nei suoi
limiti. L'apparenza del solipsismo che la fenomenologia trascendentale proietta nel
suo movimento di autoconfigurazione andr dunque svelata e risolta in senso diverso,
a seconda che a produrla sia il residuo di un concetto pre- od extra-fenomenologico di
soggettivit, oppure un'arbitraria assolutizzazione della dimensione trascendentale
egologica a scapito di quella intersoggettiva.[12]
Il solipsismo che ha le sue radici nell'atteggiamento naturale pu essere ricondotto, in
ultima analisi, ad una concezione dogmatica dell'esperienza, ad un fraintendimento
essenziale dell'intenzionalit della coscienza; se infatti l'esperienza non un buco in
uno spazio di coscienza, attraverso il quale traluca un mondo esistente prima di ogni
esperienza, e se per me, per l'io che fa esperienza di qualcosa, l'essere esperito
l, con l'intero contenuto e il modo d'essere che l'esperienza gli attribuisce (LFT,
288), non si d possibile via di accesso (cognitivo) a questo essere se non quella che
l'esperienza stessa ci indica, nella struttura dei suoi rimandi intenzionali. In tale ottica,
l'esperienza di un alter ego, anzi di una molteplicit di soggetti diversi da me e con me
in relazione, non meno evidente ed affidabile dell'esperienza che ho delle cose; nella
Fremderfahrung, non mi data una semplice rappresentazione o immagine
dell'altro, ma l'altro stesso, l'altro come tale. Dubitare dell'esistenza di altri soggetti
mentre ne ho concreta esperienza dunque (fenomenologicamente parlando)
impossibile, poich solo l'esperienza, la forma peculiare della Fremderfahrung, che
pu rivelarmi l'altro come reale, come esistente. Se per solipsismo si intende la
negazione o il dubbio che altri vi siano, al di fuori della mia coscienza, occorre
osservare che sul piano trascendentale questo fuori, questa trascendenza degli
altri essa stessa un contenuto dell'esperienza, e nell'esperienza si delineano i criteri
di evidenza e le possibilit di verifica che il suo senso richiede. Posto dunque che ogni
esperienza ha il suo senso, condizioni di validit e limiti interni, nondimeno ci che
volta a volta viene esperito: le cose, l'io stesso, gli altri ecc. -- e tutto quello che ancora
resterebbe da esperire [...] -- assolutamente tutto incluso intenzionalmente nella
coscienza stessa come questa intenzionalit attuale e potenziale, la cui struttura posso
sempre interrogare (LFT, 289).
Anzich interrogare la struttura intenzionale della coscienza, il solipsista ingenuo
confonde l'immanenza trascendentale (che in s racchiude ogni possibile
trascendenza, come senso) con l'immanenza psicologica, e solo permanendo in
questo equivoco di fondo egli pu ritenere che l'esperienza di altri sia soggettiva in
senso limitativo e che la loro reale esistenza debba essere dimostrata (Hu XIII, 154).
Certo per Husserl la Fremderfahrung, nelle sue forme concrete, non mai definitiva
ed esige una continua verifica; un alter ego che inizialmente mi si dava in carne e
ossa, in presenza concreta, potrebbe in seguito rivelarsi un'illusione. In linea di
principio, la mia esperienza dell'alterit sempre presuntiva, esposta alla possibilit
del dubbio e della negazione, e dunque fallibile e finita;[13] ma ci non significa che
l'altro si riduca ad una variazione interna del mio flusso di coscienza, ad una mia
sintesi privata, n che il carattere intersoggettivo del mondo della vita abbia bisogno di
dimostrazione. Se il problema in discussione quello relativo all'esistenza fattuale
di soggetti diversi da me, di essa non si pu esibire una vera e propria prova; gli altri
mi sono dati nell'empatia e nei molteplici gradi della comunicazione intersoggettiva,

ogni Fremderfahrung inserita in un sistema aperto di possibili esperienze di


conferma. Tuttavia, la possibilit che io sia solo al mondo, nonostante tutta l'evidenza
empirica degli altri soggetti, non di per s assurda, non in contrasto con le leggi
essenziali della mia coscienza trascendentale e dunque rimane pensabile. Il contesto in
cui Husserl prende in considerazione, del tutto seriamente, tale possibilit, quello
della via cartesiana,[14] come specifico percorso di approccio alla soggettivit
trascendentale; non si tratta, bene sottolineare, di una pura possibilit logica, basata
sul principio di non contraddizione. Il solipsismo, ricompreso fenomenologicamente e
depurato dei tratti pi ingenui che gli derivavano dall'atteggiamento naturale, una
possibilit vuota, a favore della quale l'esperienza non dice nulla e contro la quale
dice tutto; ma non da escludere che la stessa esperienza che finora mi ha attestato
con continuit e coerenza un mondo intersoggettivo, una pluralit di ego, si mostri
improvvisamente riluttante a mantenere il suo stile consueto. Invitandoci a compiere
un esperimento mentale, Husserl ci prospetta una rottura integrale dei nessi percettivi
attraverso cui si costituisce, per noi, un mondo di cose e di uomini, e chiama
Weltvernichtung questa sorta di erosione e dissoluzione dei fondamenti della
certezza empirica.[15] Al limite, non avremmo che una serie di percezioni totalmente
sconnesse, un caos fenomenico, ed in tale condizione di radicale impoverimento
della vita cognitiva che l'ipotesi di un soggetto realmente solo (solus ipse, appunto)
diventa assai meno ridicola di quanto potesse apparire sulle prime. Scrive infatti
Husserl: Se io riconosco la possibilit di quella trasformazione in un mero caos di
fenomeni, in cui si dissolve ogni unit della credenza, cos che per me non si potrebbe
pi parlare di un mondo esistente empiricamente indubitabile, la conseguenza
necessaria da trarre che per me non si potrebbe nemmeno pi parlare di animali e
uomini esistenti (Hu VIII, 64).
A fronte di simili considerazioni, disseminate un po'ovunque nei testi husserliani e
certamente problematiche, ci si pu legittimamente chiedere se Husserl, anzich una
confutazione del solipsismo, ne abbia invece fornito una vera fondazione,
riconoscendo che ad un livello fenomenologico puro l'istanza solipsistica, anche nel
suo significato pi letterale, non pu essere contrastata in maniera definitiva.
Naturalmente, tutto dipende da ci che questa domanda, in ultima analisi,
sottintende; la questione del solipsismo, come detto, non offre un quadro
omogeneo, e forse proprio la filosofia fenomenologica pu aiutarci a districarne la
complessit. Per quel che abbiamo visto fin qui, Husserl riconduce la questione sul
terreno dell'esperienza: su questo terreno, indagato trascendentalmente, che si
disegnano le possibilit e i limiti di una teoria dell'intersoggettivit. Se l'ipotesi della
Weltvernichtung sembra portare nuova linfa teoretica alla possibilit di concepire un
soggetto solo, privo di mondo e di altri,[16] pur vero che a ci non si accompagna
alcun tentativo di svalutazione scettica della nostra effettiva esperienza dell'alterit;
nella misura in cui la possibilit del solipsismo per Husserl inconfutabile, ma vuota,
pienamente sensata come modificazione del tessuto esperienziale, ma proprio per
questo differita e inattuale, nulla ci impedisce di seguire le linee che l'esperienza
traccia e che, di fatto, sono l'unico percorso realmente alla nostra portata. In termini
pi precisi, il fatto che per me non si dia altra via d'accesso all'alter ego (e alle cose)
che quella di un'interrogazione continua dell'esperienza, e che l'essere dell'altro non vi
possa comparire come certezza assoluta, non vuol dire che questo essere sia dubbio in
s, o sotto tutti gli aspetti, come potrebbe affrettarsi a concludere uno scetticismo
dogmatico. Se lecito parlare qui di relativit della Fremderfahrung, il che
comporta una sua fallibilit di principio, nel senso che il concreto processo
dell'esperienza rimane l'unico fondamento per decidere dell'esistenza di altri soggetti,

in maniera mai definitiva e sempre rivedibile nei singoli casi, si tratta tuttavia di una
relativit essenziale: Il fatto che gli altri si costituiscano in me come altri l'unico
modo possibile in cui essi possono avere per me senso e valore di essere nelle loro
determinazioni. Poich gli altri hanno un tal senso in virt delle risorse di una costante
verificazione, anche vero che sono, questo io non posso non ammetterlo; per essi
sono pur esclusivamente in quel senso in cui sono costituiti (MC, 147). Solo in quanto
fallibile e finita (ed, entro questi limiti, legittima e fondata) la Fremderfahrung
possibile, l'essere estraneo, l'altro mi dato in questo modo e non pu darsi
altrimenti, per il suo stesso senso.[17] L'assunzione del solipsismo come vuota
possibilit, cui l'esperienza attuale non pu assegnare alcun peso, restituisce tutto il
valore della presenza effettiva degli altri nel contenuto della mia vita soggettiva; perci
l'ipotesi del solus ipse, in Husserl, ci appare s giustificata, ma anche depotenziata, cio
privata di quei risvolti scettici imbarazzanti che tradizionalmente le si associano e che,
in realt, tradiscono un'ingenua naturalizzazione della soggettivit.
Un altro aspetto della questione ha un carattere pi marcatamente metodologico ed
di gran lunga quello pi importante nella fenomenologia husserliana: quando infatti
Husserl parla di solipsismo trascendentale si riferisce sempre ad un momento
interno del metodo fenomenologico, che suscita questa apparenza in modo
necessario. In parole diverse, il nucleo autentico del solipsismo trascendentale non
riguarda tanto la possibilit teorica che il soggetto autoconsiderantesi sia solo
(possibilit che comunque Husserl riconosce fondata ed anche filosoficamente
significativa), quanto la determinazione di rapporti strutturali interni tra le sfere in cui
si articola il terreno complessivo dell'esperienza fenomenologico-trascendentale. Se
la riduzione fenomenologica, com' noto, mi lega indissolubilmente al flusso dei miei
vissuti, come originaria dimensione di evidenza cui non possibile sottrarsi senza
ricadere in forme insostenibili di dualismo gnoseologico, pu sembrare che il suo
primo ed unico oggetto sia il mio io, l'io trascendentale del filosofo e che solo questo
pu essere il suo oggetto (MC, 61). A questo punto, l'obiezione solipsistica che
potrebbe essere mossa alla fenomenologia trascendentale assume contorni pi chiari e
pertinenti, poich non ha di mira il problema fattuale dell'esistenza di altri uomini,
diversi da me, bens, fondamentalmente, l'estensione o la portata del campo
fenomenologico-trascendentale, le possibilit e i limiti di una filosofia che
consapevolmente si presenta come egologia, avendo nell'io il suo terreno nativo:
Se io che medito, mi riduco, mediante l'epoch fenomenologica, al mio assoluto ego
trascendentale, non sono allora divenuto il solus ipse e non rimango tale, fin tanto che
sotto il titolo fenomenologia, svolgo un'autoesplicazione conseguente? E la
fenomenologia, che voleva risolvere i problemi dell'essere oggettivo e darsi gi come
filosofia, non sarebbe allora da stigmatizzare come solipsismo trascendentale? (MC,
113). Solipsismo trascendentale, in tale ottica, vorrebbe significare che una
trattazione del problema dell'intersoggettivit all'altezza dei suoi nodi concettuali pi
importanti e delle sue articolazioni specifiche non sia possibile, per principio, entro un
quadro egologico, quale dichiaratamente quello della fenomenologia husserliana.
[18] Se questa obiezione fosse fondata, se cio l'intersoggettivit costituisse realmente
il punto debole della metodologia trascendentale fenomenologica, vi sarebbero
certamente seri dubbi sulla capacit di quest'ultima di dar vita, come auspica Husserl,
ad un programma filosofico integrale, in s compiuto, non bisognoso di apporti o
integrazioni dall'esterno (Idee, 917).
Comunque possano stare le cose in proposito, va detto che Husserl ha concentrato la
massima attenzione sul tema cruciale del passaggio da una fenomenologia

egologica ad una fenomenologia intersoggettiva, all'interno del medesimo orizzonte


trascendentale. Di fatto, l'apparenza del solipsismo trascendentale, nel senso
appena spiegato, del tutto naturale per chi non tiene conto che con l'espressione
sintetica di fenomenologia trascendentale si indicano in realt due gradi dello
svolgimento del lavoro filosofico, in una sequenza metodologica compatta, anche se
articolata; nel primo grado -- scrive Husserl nelle Meditazioni cartesiane -- si
dovr percorrere una prima volta [...] l'immenso dominio della esperienza
trascendentale di s, e per di pi in pura e semplice dedizione all'evidenza immanente
in questa esperienza lungo il suo corso concordante, laddove il secondo grado della
ricerca fenomenologica riguarderebbe [...] la critica dell'esperienza trascendentale e,
in conseguenza, dell'esperienza trascendentale in generale (MC, 61). Se la riduzione
fenomenologico-trascendentale, al suo inizio, deve porre come esistente unicamente
l'ego e ci che vi incluso come contenuto intenzionale, e dunque l'unica soggettivit
che possa definirsi realmente trascendentale-costitutiva la mia, rimane il fatto che
per Husserl il grado egologico della fenomenologia non [] ancora filosofico in
senso pieno (Ibidem). Affermazione assai significativa, che ci fa comprendere come
per Husserl l'estensione della riduzione fenomenologica al di l dei limiti della mia
sfera soggettiva, in direzione dell'intersoggettivit, non sia propriamente un
ampliamento della fenomenologia trascendentale (Hu XV, 17), del suo campo
tematico, ma una condizione essenziale affinch si possa parlare, a tutti gli effetti, di
una filosofia trascendentale fenomenologica. In altre parole, come Husserl spesso
sottolinea, un'esperienza condotta al livello solipsistico-trascendentale, in cui l'altro
non compare ancora o tutt'al pi vi assunto come mero fenomeno mondano, non
trascendentale in senso pieno, non raggiunge per ragioni di principio quella
dimensione filosofica fondamentale che la fenomenologia deve perseguire;
l'esperienza trascendentale, come tale, strutturalmente intersoggettiva.
Rispondendo alle pi classiche critiche anti-trascendentalistiche, quelle di
solipsismo e idealismo,[19] Husserl difende la coerenza di fondo del programma
fenomenologico-trascendentale, rilevando che l'idealismo fenomenologico, non solo
non dissolve l'essere del mondo e degli altri in rappresentazioni soggettive, ma offre
l'unica fondazione filosofica possibile del realismo empirico (Idee, 928); se corretto
asserire che il mondo reale relativo alla soggettivit trascendentale, assoluta nel
suo modo d'essere, tutto ci trova il suo pieno senso soltanto quando l'esplicitazione
dell'ego trascendentale portata fino al punto in cui l'esperienza, che esso implica, di
altri soggetti, viene ridotta all'esperienza trascendentale, quando cio risulta che la
soggettivit trascendentale in quanto datit della esperienza trascendentale non
significa soltanto, per chi compie la riflessione: io in quanto io-stesso trascendentale,
concretamente nella mia vita trascendentale di coscienza, ma anche i co-soggetti che si
rilevano come trascendentali nella mia vita trascendentale nella comunit del noi, che
insieme con loro viene alla luce. Nell'intersoggettivit trascendentale si costituisce
dunque il mondo reale, il mondo obiettivo, il mondo essente per chiunque. Il
mondo reale ha questo nesso sia che noi possediamo un esplicito sapere in merito sia
che non lo possediamo (Idee, 928-929).
Il nodo dell'apparenza trascendentale che erroneamente conduce ad identificare
fenomenologia ed egologia, pu sciogliersi ponendo in luce il significato metodologico
del solipsismo, come livello iniziale (necessario s, ma del tutto insufficiente)
dell'esperienza fenomenologico-trascendentale resa accessibile dalla riduzione.
Quest'ultima, considerata nella sua accezione pi ampia, non d come residuo il
mio ego trascendentale, la polarizzazione del mio flusso di coscienza e dei contenuti
oggettuali che vi si costituiscono; quando l'indagine si apre all'esperienza

trascendentale in generale, l'autentico residuo della riduzione fenomenologica non


pu che essere l'intersoggettivit trascendentale, la comunit trascendentale dei
soggetti (Hu XV, 73). Nelle intenzioni di Husserl, fenomenologia egologica
(solipsismo trascendentale) e fenomenologia intersoggettiva (intersoggettivit
trascendentale) sono momenti co-essenziali, che corrispondono a differenti livelli di
elaborazione e di complessit del campo fenomenologico dell'esperienza; se, pertanto,
l'intersoggettivit trascendentale la soggettivit trascendentale nel suo concreto
sviluppo, il solipsismo trascendentale solo uno stadio inferiore e come tale deve
essere rettamente concepito e delimitato in una considerazione metodologica (MC,
62). La critica dell'idealismo fenomenologico come solipsismo trascendentale
non sembra dunque consapevole di questa articolazione interna del metodo della
riduzione o epoch, e scambia la parte per il tutto, prendendo come definitivo ci che
costituisce solo un primo, provvisorio orientamento della riflessione; tra i motivi che
hanno potuto pi facilmente alimentare questo pregiudizio non va dimenticato il fatto
che nel primo volume delle Idee, l'unico pubblicato da Husserl, la problematica
dell'esperienza trascendentale si dipana dapprima in termini egologici e il tema
dell'intersoggettivit quasi completamente assente; ma allora se ci fosse stata una
pi profonda comprensione della mia esposizione, l'obiezione del solipsismo non
avrebbe dovuto investire l'idealismo fenomenologico bens soltanto l'incompletezza
della mia esposizione (Idee, 924, 926).
Ma per quale ragione la fenomenologia deve muovere da un livello solipsistico, e solo
in un secondo momento prendere in considerazione il problema dell'alter ego, del
mondo come mondo intersoggettivo? Non possibile, fenomenologicamente parlando,
individuare un movimento unico, che conduce da me all'altro e dall'altro a me, in una
sorta di dialettica originaria in cui nessuno dei due poli (l'io e l'altro) pu rivendicare
una posizione privilegiata? Perch, inoltre, non cominciare dall'alterit, dal fatto di
una differenza che precede e fonda il mio stesso io, sia essa da interpretare in senso
strettamente ontologico oppure esclusivamente etico? Certo sono possibili vari
approcci, ognuno dei quali presenta qualche inconveniente, e del resto Husserl non
sempre stato cos fedele al suo assunto del solipsismo metodologico come primo
passo da compiere in direzione di una filosofia dell'intersoggettivit;[20] ci sembra
tuttavia essenziale, prima di evidenziare gli eventuali limiti della prospettiva
husserliana, comprenderne lo spirito, l'esigenza che l'ha mossa, e sotto questo profilo
estremamente illuminante un passaggio di Logica formale e trascendentale, che
riportiamo per esteso: Io esisto come primo e prima di ogni cosa pensabile. Questo
io sono per me, per me che dico questo, e lo dico in piena comprensione, la base
primaria intenzionale per il mio mondo (der intentionale Urgrund fr meine Welt);
dove io non posso trascurare il fatto che anche il mondo oggettivo, il mondo per
tutti noi quale vale per me in questo senso, il mio mondo. [...] Che ci mi piaccia
o no, che ci mi possa o no parere inaudito (e per qualsiasi pregiudizio ci avvenga),
questo il dato di fatto primario che io debbo affrontare, e dal quale io, in quanto
filosofo, non posso mai distogliere lo sguardo (es ist die Urtatsache, der ich
standhalten muss, von der ich als Philosoph keinen Augenblick wegsehen darf). Per
filosofi apprendisti questo pu essere l'angolo oscuro in cui si agitano gli spettri del
solipsismo o anche dello psicologismo e del relativismo. Il vero filosofo, per, anzich
lasciarsene impaurire, preferir gettare luce sopra questo angolo buio (Hu XVII, 243244; LFT, 293).
L'io sono come dato di fatto primario (Urtatsache): chiaramente non si tratta di
un fatto bruto, teoreticamente inesplicabile; n di una mera occorrenza empirica,

che potrebbe essere diversa da quella che . Il prefisso ur- sta ad indicare, nel fatto, un
diritto, nel dato ontologico, una struttura originaria o condizione di senso. Anche se
Husserl, non senza qualche ironia, parla di oscurit, non sarebbe inopportuno
aggiungere che siamo comunque in presenza di una fattualit elementare: il mondo
per tutti, il mondo oggettivo e intersoggettivo, tale innanzitutto per me, e non
potrebbe essere altrimenti. Ovviet? Certo la fenomenologia , per molti versi, una
filosofia dell'ovvio, del dato, di ci che gi sempre qui, alla nostra portata; solo
che, in quanto filosofia, non si limita a ripeterlo cos com', ma deve trarne
implicazioni rilevanti, attraverso una chiarificazione radicale del suo senso.[21] Ed
ecco che, problematizzata, l'ovviet si trasforma in tema autonomo, in campo di
lavoro, e pu cos rivelare, contrariamente alle attese, una struttura ricca e
differenziata, con una serie di conseguenze interessanti sul piano filosofico pi
generale. proprio la mancata chiarificazione di questo dato di fatto primario che
genera l'apparenza del solipsismo e rende enigmatico il rapporto tra egologia e
intersoggettivit, nella fenomenologia trascendentale.[22] Scrive Husserl: La
soluzione di questo enigma sta nello svolgimento sistematico della problematica
costitutiva, che giace nel dato di fatto della coscienza del mondo che sempre esiste per
me, che sempre ha senso per me, e lo conferma a partire dalla mia esperienza, e poi
nelle indicazioni che procedono conformemente alla graduazione sistematica.
Prenderle in considerazione non significa e non pu significare altro che dischiudere
realmente le attualit e potenzialit (o abitualit) della vita racchiuse in questo stesso
dato di fatto della coscienza, nelle quali si costruito e continua a costruirsi
immanentemente il senso del mondo. Il mondo dato a noi costantemente, ma in
primo luogo dato a me. Ed a me dato anche il fatto che il mondo dato a noi, e ci
dato come uno e come lo stesso (LFT, 299).

2. L'intersoggettivit come problema fenomenologico:


riduzione primordiale, empatia, monadologia
Il nodo centrale della questione del solipsismo trascendentale da ricondurre alla
tensione che si instaura, dunque, all'interno della fattualit dell'io sono: il mondo
dato sia a me che a noi, la struttura intersoggettiva del mondo dell'esperienza un
fatto come lo l'io sono; tuttavia per Husserl il mio io, l'esperienza del mondo in
quanto mia, costituisce il punto di partenza necessario e inaggirabile di ogni
interrogazione sul senso del mondo e quindi non pu che rivendicare un certo
primato dal punto di vista del metodo.[23] Che infatti il mondo sia dato a noi,
dato in primo luogo a me, e ci nel contesto della riduzione fenomenologica vuol
dire: alla mia soggettivit trascendentale; se il mondo, in quanto intersoggettivo, non
fosse dato a me, cio nel campo fenomenologico dei miei vissuti, non potrei averne
alcuna esperienza.[24] Come abbiamo visto, nelle sue discussioni generali sul
problema del metodo, Husserl ha spesso sostenuto la tesi che l'autoriflessione del
filosofo cominciante debba svolgersi all'interno di un atteggiamento solipsistico; il
fenomenologo deve cominciare come solus ipse, anche se gli altri soggetti, come
soggetti di un mondo comune, sono un dato di fatto innegabile. Occorre ora fare
maggiore chiarezza sulle reali ragioni che hanno portato Husserl a questa convinzione,
secondo la quale il solipsismo trascendentale non solo apparenza da dissipare,
ma momento metodologico interno, da comprendere nella sua legittimit e nei suoi
limiti; l'apparenza, per quel che si potuto rilevare fin qui, non riguarda il
solipsismo trascendentale come tale, ma il fraintendimento del ruolo e della
funzione che esso ricopre nella fenomenologia. In particolare, dalle equivocazioni

(Missdeutungen) del senso e dell'operazione della riduzione fenomenologica sorge [...]


l'opinione che una fenomenologia pura sia possibile solo come egologia
trascendentale (Hu VIII, 181).
La necessit, per il fenomenologo, di cominciare come solus ipse il cammino
metodico che lo condurr, gradualmente, alla piena e concreta dimensione della
filosofia trascendentale, sta innanzitutto nell'ottica critica e giustificativa che
questa filosofia porta con s, come suo tratto essenziale. Non solo in Kant, ma anche in
Husserl, il trascendentale concerne la domanda sulle condizioni di possibilit
dell'esperienza, in quanto esse sono, al tempo stesso e in maniera necessaria,
condizioni di possibilit degli oggetti dell'esperienza;[25] nel linguaggio husserliano,
che ovviamente comporta anche una trasformazione concettuale profonda, ogni
oggetto o essere dotato di un qualche significato apprezzabile , gnoseologicamente,
una trascendenza, il cui senso deve essere interrogato muovendo dai vissuti di una
coscienza pura, trascendentale, in quanto dimensione fondativa ultima
dell'esperienza possibile (MC, 28). Nell'ottica trascendentale, la trascendenza (in
particolare la trascendenza del mondo, che l'epoch aveva posto tra parentesi)
non certo scompare, ma diventa il titolo di un problema di fondazione, e dunque cessa
di essere una trascendenza ingenua, di cui si ignorano le fonti di validit, le
strutture implicate, come avviene nell'atteggiamento naturale. Per quanto riguarda
l'intersoggettivit, che almeno provvisoriamente va considerata un problema parziale
all'interno dell'atteggiamento fenomenologico-trascendentale, ci significa che la
trascendenza dell'alter ego deve essere posta tra parentesi, restare sospesa (nella
sua validit), come ogni altra trascendenza che ci dato di incontrare nel campo
dell'esperienza; la stessa esigenza di una critica universale dell'esperienza possibile
che vieta al fenomenologo cominciante di fare uso, surrettiziamente, di qualsiasi
tesi naturale, per quanto ovvia possa apparire (ed, anzi, proprio perch tale appare).
in questo quadro di considerazioni che Husserl situa l'istanza solipsistica, nel suo
schietto significato trascendentale: Una critica universale delle esperienze in
generale, che mi compete come filosofo cominciante, o potrebbe sempre competermi,
pu essere solipsistica nell'unico senso corretto, per cui essa possibile solo come una
critica delle mie esperienze, che riconosce gli altri soggetti e le loro esperienze solo in
quanto esperiti delle mie esperienze (nur als erfahrene meiner Erfahrungen kennt) e,
stando essi criticamente in questione, non li presuppone come essenti (als kritisch in
Frage stehend, nicht als seiend voraussetzt) (Hu VIII, 66).
In prima battuta, quindi, il solipsismo trascendentale discende direttamente dalle
premesse della teoria husserliana della costituzione, e non altro che una
specificazione del metodo della riduzione fenomenologica, applicato a quel problema
particolare (cos esso pu essere considerato, inizialmente) rappresentato dalla mia
esperienza di altri uomini, dall'intersoggettivit. Quest'ultima, comunque intesa, non
pu essere semplicemente presupposta in quanto fattualit naturale, ma per avere
rilevanza sul piano filosofico deve essere compiutamente giustificata; per Husserl,
ci significa che occorre mostrare come l'intersoggettivit si costituisce nella mia
coscienza trascendentale, in quali forme essa si articola concretamente, attraverso
quali funzioni il suo senso pu diventare una stabile acquisizione conoscitiva.[26]
Sotto questo aspetto, l'accezione del solipsismo piuttosto debole, e rischia sul serio
di risultare fuorviante, poich dire che il fenomenologo comincia come solus ipse
equivale qui ad affermare, in sostanza, che dalla considerazione filosofica
fondamentale deve essere bandito ogni ricorso alla Fremderfahrung quale fatto
naturalmente accettato e, come tale, non bisognoso di giustificazione. Solipsismo, si

licet, la sospensione della validit ingenua degli altri soggetti, che precede l'analisi
costitutiva e la rende possibile; se infatti l'alter ego fosse presupposto all'analisi
fenomenologico-trascendentale volta a rivelarne il senso, si avrebbe chiaramente un
circolo in luogo di un procedimento fondativo, e dunque, ancor prima di intraprendere
l'analisi, va precisato con estremo rigore che il senso dell'altro (o degli altri)
dovr essere esplicitato interamente all'interno della considerazione fenomenologica,
cio puramente in quanto fenomeno. Ma allora, in quanto fenomeno, ovvero
come tema e problema della fenomenologia, l'altro pienamente incluso nella sfera
trascendentale e ad esserne propriamente escluso solo il presupposto dell'alterit.
[27]

Se, tuttavia, la questione del solipsismo trascendentale si esaurisse in questi termini,


non si comprenderebbe perch essa sia stata cos spesso fonte di imbarazzo e di
perplessit per lo stesso Husserl, che vi ritornato continuamente lungo la sua
riflessione. In realt, le osservazioni precedenti trovano la loro pi precisa collocazione
all'interno di una stratificazione del concetto fenomenologico-trascendentale
dell'esperienza, per cui uno strato inferiore costituirebbe il fondamento originario
sul quale si innesta uno strato pi complesso (quello intersoggettivo), secondo uno
schema lineare. In vari passaggi della sua opera, Husserl esprime la convinzione che
per affrontare fenomenologicamente il problema dell'intersoggettivit non sia
sufficiente compiere la riduzione o epoch, che appunto riduce gli altri uomini a
puri fenomeni, ma occorra radicalizzare lo stesso procedimento riduttivo, in modo
da isolare uno strato della mia esperienza trascendentale in cui sia assente ogni
riferimento, diretto o indiretto, ad altri possibili soggetti, diversi da me (Hu XV, 536).
Solo muovendo da questa sfera ultra-ridotta, si potr poi risalire al fenomeno
dell'altro, ricostruendone totalmente la validit; il fenomenologo comincia come solus
ipse, in quanto de-costruisce la grammatica dell'intersoggettivit fin negli elementi pi
semplici, allo scopo di fissare il punto cruciale in cui si passa da un'esperienza privata
(puramente soggettiva) ad un'esperienza comune (realmente intersoggettiva), da
un mondo che soltanto mio ad un mondo che c' per tutti e i cui oggetti sono
disponibili a tutti. questa pretesa, in ultima analisi, che ci restituisce il senso pi
radicale, e pi problematico, del solipsismo trascendentale e che determina la
scansione della filosofia fenomenologica in due gradi: quello egologico e quello
intersoggettivo. Se vero che Husserl non ha sempre seguito questo tipo di
percorso, e numerose sono le analisi dell'intersoggettivit che muovono direttamente
dal fenomeno dell'alter ego, senza attraversare l'insidiosa frontiera del solipsismo
radicale, non va tuttavia dimenticato che all'ipotesi solipsistica egli ha dedicato fino
agli ultimi anni un grande interesse, dandone continue variazioni teoriche, e
alternando ambiguit irrisolte a precisazioni o ripensamenti anche importanti.[28]
Il luogo classico in cui si affaccia, con maggiore consapevolezza metodologica,
questo plesso problematico costituito, com' noto, dai 44-47 delle Meditazioni
cartesiane; qui Husserl introduce un'epoch peculiare[29] il cui scopo quello di
individuare una sfera di propriet o sfera appartentiva (Eigenheitssphre) dell'io,
nella quale l'esperienza di altri soggetti non gioca pi alcun ruolo: Noi escludiamo
innanzitutto dal campo tematico tutto ci che ora dubitabile, cio noi ora facciamo
astrazione da tutti i prodotti costitutivi dell'intenzionalit riferita mediatamente o
immediatamente alla soggettivit estranea e delimitiamo dapprima l'intero contesto
di quell'intenzionalit, attuale o potenziale, in cui l'ego si costituisce nel suo essere
proprio e costituisce le unit sintetiche da essa inseparabili e per ci stesso attribuite
alla sua propriet (MC, 116). Questa operazione astrattiva definita riduzione alla

mia sfera trascendentale di propriet oppure riduzione al mio concreto io-stesso


trascendentale (Ibidem), ma la terminologia oscillante, nelle stesse Meditazioni
cartesiane come in altri testi husserliani; il residuo della riduzione detto anche
mondo primordiale o sfera primordiale, perci Husserl parla talvolta di
riduzione primordiale[30] (Hu XV, 108, 125). La continuit con il metodo
fenomenologico-trascendentale e con l'epoch della tesi generale dell'atteggiamento
naturale assicurata nel senso che la nuova riduzione si inserisce nel campo
dell'esperienza trascendentale, degli Erlebnisse puri, astraendo da tutti i prodotti
intersoggettivi che vi erano, in qualche misura, inclusi. Anche dagli altri come
fenomeni devo innanzitutto prescindere, poich il loro senso mi si riveler
adeguatamente solo dopo aver delimitato, entro rigorosi confini, ci che
nell'esperienza inscindibilmente mio: In quanto trascendentalmente atteggiato, io
cerco innanzitutto di delimitare la sfera del mio-proprio al di dentro del mio orizzonte
trascendentale di esperienza. la sfera, dico dapprima, del non-estraneo. Comincio
poi a liberare astrattivamente questo orizzonte d'esperienza da ogni estraneit (MC,
118).
chiaro, in questi passaggi, come la polarit tra proprio ed estraneo
nell'esperienza trascendentale corrisponda per Husserl ad un preciso assetto
gerarchico delle funzioni intenzionali; di fatto, la sfera appartentiva del soggetto
deve essere preliminarmente individuata nella misura in cui essa costituisce il
fondamento, lo strato originario rispetto e di contro al quale ogni senso possibile di
estraneit, di alterit viene a determinarsi per me: Io non posso possedere
l'estraneo come esperienza, n quindi il senso mondo oggettivo [intersoggettivo] come
senso d'esperienza, senza avere quello strato in una esperienza reale ed effettiva,
mentre la reciproca non vale (MC, 118). dunque il proprio che fonda
l'estraneo, e non viceversa, e in questi termini sembrerebbe esclusa ogni
reversibilit del rapporto, ogni contributo da parte dell'estraneo a definire,
originariamente, la stessa natura del proprio. Ma prima di addentrarci a discutere
quello che senza dubbio un punto nevralgico della fenomenologia
dell'intersoggettivit, vale la pena di seguire pi dettagliatamente il percorso
husserliano, nelle sue movenze specifiche. Dopo aver introdotto, in maniera del tutto
generale, la riduzione alla sfera appartentiva, Husserl pone in luce un aspetto
paradossale della questione del solipsismo, cos come essa si presenta all'interno
dell'atteggiamento naturale: Nell'atteggiamento naturale della mondanit io trovo
distinti, sotto forma di contrapposizione, me e gli altri. Se astraggo dagli altri, intesi
nel senso usuale, io rimango solo. Ma una tale astrazione non radicale, un tale essersolo non altera per nulla il senso naturale e mondano dell'essere-esperibile-perognuno, senso che affetta anche l'io (inteso in maniera naturale) e che non andrebbe
perduto anche se una pestilenza universale non dovesse esistere che me soltanto
(MC, 116). Il solipsista ingenuo pu astrarre dagli altri, mettere in dubbio la loro
esistenza concreta, o ipotizzare una situazione vitale di completa solitudine, quale per
esempio potrebbe darsi a seguito di una pestilenza universale; ma a tale prospettiva,
solo apparentemente radicale, sfugge il nucleo filosoficamente essenziale della
questione, e cio il fatto che, anche se per una qualsiasi motivazione dovessi davvero
rimanere solo al mondo, se dunque non vi fossero pi altri uomini oltre me, questo
mondo, privo di altri, e io stesso, in quanto parte del mondo, conserveremmo intatto il
senso naturale dell'esperibilit-per-tutti. In parole diverse, e questo aspetto
occorrer approfondire pi avanti, l'intersoggettivit inseparabile dal senso stesso
dell'oggettivit, del mondo oggettivo, vi siano realmente degli altri oppure no.
E qui il problema fenomenologico dell'intersoggettivit, da parziale che potesse

apparire in prima istanza, manifesta il suo carattere filosofico-universale e, si potrebbe


dire, onnipervasivo. Scrive Husserl: Questo problema si presenta dunque, a tutta
prima, come un problema speciale, quello dell'esserci-per-me degli altri ed quindi il
tema della teoria trascendentale della esperienza dell'estraneo, ossia della cosiddetta
empatia. Ma subito si vede che l'importanza di una tale teoria molto maggiore di quel
che sembra a prima vista, in quanto essa parimenti fonda una teoria trascendentale
del mondo oggettivo e anzi in modo completo, specialmente riguardo alla natura
oggettiva (MC, 115).
In tale ottica, l'astrazione radicale che Husserl persegue con la riduzione
primordiale non pu limitarsi ad escludere dal campo tematico gli altri uomini
esistenti, ma deve riguardare, come gi visto, tutto ci che appartiene essenzialmente
al senso dell'estraneit, e dunque anche il concetto di una natura oggettiva, che
come tale contiene il rimando alla possibile esperienza (esperibilit) da parte di
persone umane.[31] Ci che da questa riduzione si delinea, nella sfera trascendentale
dell'ego, uno strato unitario e coerente del mondo fenomenico che prende il nome
di natura appartentiva (eigenheitliche Natur) e che si distingue nettamente dalla
natura intesa in senso stretto; mentre infatti quest'ultima si d come esperibile-pertutti, dalla prima stato per cos dire oscurato, metodologicamente, ogni riferimento
alla soggettivit estranea: essa dunque una natura puramente soggettiva,
esclusivamente mia propria (MC, 118-119). Si pu dire che, almeno nelle intenzioni di
Husserl, con la riduzione alla sfera appartentiva l'ipotesi solipsistico-trascendentale
abbia raggiunto la sua massima estensione e radicalit, in quanto dal mio campo di
esperienza dovrebbe essere stato espunto, non solo l'alter ego, quale che sia, ma il
senso stesso dell'alterit; d'altra parte, questa estrema solitudine dell'io (ben pi
profonda di quella che, ad esempio, poteva percepire un Robinson, ma ovviamente
assai meno incisiva sul piano esistenziale, visto che si tratta di un puro artificio della
riflessione[32] -- e forse neppure corretto parlare qui di solitudine, poich essa
presuppone almeno il concetto dell'alterit) dovrebbe consentire la visione diretta di
quel mondo primordiale che pu ritenersi, legittimamente, possesso concreto e
definitivo dell'ego o anzi [...] propriet dell'ego stesso (MC, 125), e che deve costituire
la base di ogni analisi intenzionale dell'esperienza dell'estraneo.
Husserl si rende conto di quanto sia importante caratterizzare positivamente questa
sfera trascendentale di propriet dell'io, poich proprio in quanto la si definisce come
dominio del non-estraneo, dall'estraneit sembra trarre il suo senso, da quella
estraneit che deve cadere interamente sotto l'epoch. A ben vedere, la sfera
appartentiva non un residuo semplice e indifferenziato, ad essa rimane connesso il
campo percettivo dell'esperienza sensibile e, soprattutto, il corpo proprio. Scrive
Husserl: Tra i corpi di questa natura colti in modo appartentivo io trovo poi il mio
corpo nella sua peculiarit unica, cio come l'unico a non essere mero corpo fisico
(Krper) ma corpo proprio organico (Leib), oggetto unico entro il mio strato astrattivo
del mondo; al mio corpo ascrivo il campo dell'esperienza sensibile, sebbene in modi
diversi di appartenenza (campo delle sensazioni tattili, campo delle sensazioni
termiche ecc.). Questo corpo la sola e unica cosa in cui io direttamente governo e
impero, dominando singolarmente in ciascuno dei suoi organi (MC, 119). In altri
termini, il corpo organico l'autentico elemento di singolarizzazione, tra gli oggetti del
mondo primordiale niente mi appartiene pi del mio corpo,[33] il quale, costituendo la
radice della vita attiva (dell'io posso) e della stessa percezione sensibile, non mai
puramente oggetto, bens espressione e incarnazione della soggettivit, corpo
proprio trascendentale.[34] Io sono innanzitutto il mio corpo, in un'appartenenza

radicale che anche sul terreno fenomenologico-trascendentale deve essere pensata


come identificazione, tuttavia ci non esaurisce, per Husserl, l'articolazione interna
della sfera di propriet, che comprende in s momenti altrettanto importanti e
qualificanti. Anche se il mio mondo, in quanto primordiale, ha perduto ogni punto
di riferimento intersoggettivo, ogni significato di estraneit, questo mondo
primordiale resta pur sempre una realt molteplice, strutturata, (relativamente)
complessa; quando Husserl parla di stranezze o di paradossi che si incontrano
nell'elaborazione fenomenologica della sfera appartentiva, certamente si riferisce
anche alla circostanza, assai significativa, che il solipsismo trascendentale,
operando un'astrazione dal vivo contesto dell'esperienza e tagliandone fuori uno strato
essenziale, non produce quelle conseguenze catastrofiche che forse ci si attendevano.
Sul piano descrittivo, che quello che qui interessa, molte strutture della vita dell'io
rimangono impregiudicate ed accessibili, le funzioni intenzionali del mio flusso di
coscienza mantengono una salda organizzazione, l'attivit percettiva ed esplicativa
pensabile anche rispetto ad una mera natura, che non reca pi in s l'impronta
dell'intersoggettivit. In particolare, un dato primo dell'esplicazione del mio
proprio orizzonte essenziale di essere, che io m'imbatta nella mia temporalit
immanente e quindi nel mio essere sotto forma di infinit aperta sia d'un corso di
Erlebnisse, sia di tutte le mie propriet che vi sono in certo modo incluse, alle quali
appartiene anche la mia attivit esplicativa (MC, 124). Ci, ovviamente, non significa
che tutto sia esattamente come prima, ma soltanto che un ben definito orizzonte di
potenzialit e attualit caratterizza la stessa prospettazione solipsistica della mia
soggettivit trascendentale; anche qui vi sono, entro certi limiti, delle trascendenze,
degli oggetti stabili (sebbene oggettivit e trascendenza, nella loro accezione
categoriale pi stretta, presuppongano l'intersoggettivit), e da questo rilievo Husserl
trae la convinzione che, senza aver preliminarmente dissodato il terreno
dell'esperienza primordiale, in cui si costituisce originariamente ogni senso di
propriet dell'io, sarebbe impossibile aprirsi ad una comprensione approfondita e
priva di ombre dell'intersoggettivit, come livello pi concreto della filosofia
fenomenologica. La trascendenza autentica, che implica l'alter ego, il mondo
intersoggettivo, si fonda sulla trascendenza immanente, intesa qui come mondo
primordiale, in un nesso di motivazione. Questa convinzione espressa chiaramente,
oltre che nella V delle Meditazioni cartesiane da noi esaminata, in Logica formale e
trascendentale: Questa prima natura o mondo, questa prima oggettivit non ancora
intersoggettiva, costituita come a me propria nel mio ego in un senso privilegiato, in
quanto essa ancora non nasconde in s nulla di estraneo all'io, nulla cio che superi,
mediante l'inserimento costitutivo di io estranei, la sfera dell'esperienza realmente
diretta, dell'esperienza effettivamente originale [...] . Per altro chiaro come in questa
sfera di propriet primordiale del mio ego trascendentale, debba giacere il
fondamento di motivazione per la costituzione di quelle trascendenze autentiche che
oltrepassano tale sfera, le quali sorgono dapprima come altri, come altri esseri
psicofisici ed altri ego trascendentali; e attraverso questa mediazione, rendono
possibile la costituzione di un mondo oggettivo del senso quotidiano: un mondo del
non-io, dell'estraneo all'io (LFT, 298).
Cos Husserl delinea un intero programma di ricerca: dalla sfera di propriet
primordiale, che corrisponde alla situazione (astrattiva) del solus ipse
trascendentale, possibile costruire, per gradi, senza mai abbandonare l'orizzonte
trascendentale, una teoria completa del mondo oggettivo, una fenomenologia di tutti i
significati della trascendenza, e una funzione chiave svolta qui, a quanto sembra,
dagli altri come soggettivit reali e realmente esperite. In particolare, la

costituzione della Fremderfahrung, come concreta esperienza di un essere


estraneo, di un alter ego, viene a fornire l'anello di congiunzione tra l'esperienza
pura, che soltanto soggettiva, e la categoria ontologica dell'oggettivit.
Naturalmente, questo nesso non implica che la sfera primordiale abbia una priorit
temporale rispetto alla sfera intersoggettiva, non si tratta qui di scoprire una genesi
che scorra nel tempo ma una analisi statica (MC, 127), e ci comprensibile se si
tiene presente che per Husserl il solipsismo non una condizione originaria da cui
l'io deve in qualche modo uscire, ma unicamente un'astrazione, un artificio metodico,
teso a fissare rapporti esplicativi tra le forme di esperienza del soggetto.[35] Il concetto
fenomenologico della monade, che include il campo di ci che io sono in me stesso
nella mia concretezza piena (MC, 126), va dunque rigorosamente distinto dal solus
ipse trascendentale, nel senso che l'io realmente concreto non pu essere l'io della
riduzione primordiale, ma l'io nell'intersoggettivit; solo ad un primo livello di
considerazione trascendentale la monade coincide con il solus ipse, ma in quanto
concreta, come vedremo, essenzialmente intersoggettiva, monade-tra-lemonadi. D'altra parte l'astrazione solipsistica ha senso, per Husserl, all'interno di una
ricognizione analitica dei diversi strati dell'intenzionalit, che nel loro implicarsi e
connettersi ci ridanno la piena concretezza della soggettivit trascendentale
fenomenologica.[36]
La tesi radicale di Husserl che la trascendenza dell'oggettivit costitutivamente
riferita alla trascendenza dell'alter ego, al carattere eccedente della Fremderfahrung,
all'impossibilit di inglobare l'altro nei miei schemi percettivi privati. Solo quando
esperisco un alter ego posso parlare propriamente di trascendenza; la costituzione di
un mondo oggettivo mediata dalla mia esperienza dell'altro: Qui l'unica
trascendenza che merita davvero questo nome, e tutto ci che altrimenti significa
trascendenza, come il mondo oggettivo, si fonda sulla trascendenza della soggettivit
estranea (Hu VIII, 495) .[37] Occorre quindi analizzare, in primo luogo, quale forma
di intenzionalit fa s che di un essere a me estraneo, trascendente, possa aversi,
nondimeno, esperienza, un'esperienza vera, che esibisce l'altro stesso e non una
sua rappresentazione; ovviamente il problema pu porsi, forse pi incisivamente, in
modo rovesciato e simmetrico, chiedendo come possa un essere esperito da me (e
dunque, nel linguaggio trascendentale, costituito in me), risultare qualcosa di diverso e
di pi profondo di un mero punto di intersezione [...] delle mie sintesi costitutive
(MC, 126). La trascendenza dell'altro non pone un limite insuperabile alle possibilit
della visione, del riempimento intuitivo, che pure esprimono l'irrinunciabile norma
metodica della fenomenologia, il principio di tutti i principi?[38] E,
correlativamente, ridotto ad oggetto di esperienza, a tema di un'attivit
intenzionale, l'altro non cessa propriamente di essere tale, cio un'autonoma ed
originale sorgente di vita soggettiva? Sembrerebbe allora che l'aporia dell'altro vada
innanzitutto riconosciuta come tale, nel punto cieco della percezione, e muovendo
da questa consapevolezza bisogner poi trovare lo spazio per una positiva
comprensione dell'estraneit. Del resto, la premessa (non, come si potrebbe pensare,
l'esito) della fenomenologia husserliana della Fremderfahrung che l'altro, per
definizione, rimane inaccessibile alla mia attivit percettiva immediata: Se il caso
fosse questo, se cio il proprio essenziale dell'altro (das Eigenwesentliche des
Anderen) si potesse attingere in maniera immediata e diretta, egli allora non sarebbe
che un momento della mia propria essenza (bloss Moment meines Eigenwesen) e in
conclusione egli stesso e io saremmo un'unica cosa (Hu I, 139, MC, 129). Da
quest'ultimo passaggio emerge con tutta chiarezza che Husserl non nega la
trascendenza dell'altro, nemmeno come trascendenza radicale; la sua esigenza

semmai quella di coniugare l'alterit con una forma di esperienza capace di


rispettarne il profilo.[39]
Nella fenomenologia trascendentale vige il principio (per lo pi implicito, a volte
esplicito, ma sempre operante) dell'unit dell'esperienza,[40] secondo il quale la vita
cognitiva del soggetto una tessitura unitaria, in cui nulla pu inserirsi realmente
dall'esterno, ovvero al di fuori di quelle connessioni regolate di un flusso di
coscienza che determinano, esse stesse, le possibilit e i limiti di ogni trascendenza
(intesa qui, nel senso pi ampio, come sinonimo di oggetto intenzionale). Ora, il
problema di fondo della Fremderfahrung che, se l'alter ego di per s non si risolve
in correlati intenzionali della mia propria vita e delle sue strutture regolate (Hu VIII,
189), anche vero che egli deve, se non risolversi, comunque manifestarsi, darsi in
evidenza, nella struttura di correlazione del mio ego trascendentale. In parole
diverse, l'altro deve essere cogitatum del mio cogito, affinch se ne dia esperienza, ma,
entro questa struttura di correlazione (ego-cogito-cogitatum), deve anche poter essere
esibito e riconosciuto come cogitans, come un essere che solo per me altro, ma
dal suo punto di vista non altro, bens io. quanto Husserl esprime con la
definizione dell'altro come cogitatum cogitans (Hu XIII, 463-464): una soggettivit
che, nel suo originario essere-per-s, non pu esaurirsi nel suo possibile essere-perme, neppure se il mio io in questione una soggettivit trascendentale, un io puro.
[41] D'altra parte, questa inesauribilit dell'altro alle mie sintesi costitutive non
una sorta di mistero impenetrabile, ma corrisponde, nella mia coscienza
trascendentale, ad una specifica forma di intenzionalit, che aprendo alla vita
soggettiva dell'altro lo coglie appunto come alter, nelle varie modalit in cui ci
possibile: non si esce, dunque, dalla teoria della costituzione[42] ma si tratta di
dipanare il paradosso della costituzione dell'estraneo (Hu XV, 551), anche nei suoi
tratti pi aspri, riportandolo ad una fenomenologia degli atti intenzionali e delle
differenti forme di evidenza che li caratterizzano.
Se, per Husserl, l'evidenza designa [...] l'operazione intenzionale della donazione
delle cose stesse (LFT, 196), anche vero che la cosa stessa si d in molti modi, a
seconda dell'atto che, di volta in volta, intenzionalmente, la prende di mira. Ogni
atto intenzionale, come modo di riferirsi alla cosa, all'oggetto, ha la sua forma di
evidenza (o, come altrimenti dice Husserl, di riempimento), che diversa da quella
che, altrettanto intrinsecamente, appartiene ad un altro tipo di atto. Ci sembra
consegnare il discorso fenomenologico dell'evidenza ad una molteplicit irriducibile, e
in linea di principio si tratta di un rilievo assolutamente corretto, che non sempre
stato valorizzato in sede di interpretazione del pensiero husserliano;[43] tuttavia, non
va dimenticato che a questo effettivo pluralismo della donazione Husserl ha
costantemente affiancato un grande interesse per la determinazione rigorosa di una
gerarchia fondativa tra le diverse tipologie di atti, accordando il primato alla
percezione come coscienza originale: Il modo primitivo della donazione della
cosa stessa la percezione. La presenza (das Dabei-sein) per me come percipiente,
per la coscienza l'esser-presente-ora: io stesso presso il percepito stesso (Ibidem).
La percezione , anche etimologicamente (percipere, wahrnehmen), una presa
diretta dell'oggetto, e come evidenza immediata (Hu VIII, 186) rappresenta la base
degli altri atti intenzionali, derivati, in quanto ad essa si riferiscono funzionalmente.
Ad esempio, un ricordo non meno evidente di una percezione (come invece
riteneva Hume), tuttavia la sua evidenza non immediata, poich, come coscienza
del passato, coscienza di una percezione passata, e dunque pu essere definito
una modificazione della modalit originaria del percepire. Ogni presentificazione

(Vergegenwrtigung) , come tale, modificazione di un'originaria presentazione


(Gegenwrtigung) e non possibile senza una percezione precedente (Hu XIII, 337).
Queste considerazioni sulla struttura degli atti intenzionali sono importanti per la
corretta definizione del rapporto tra autoesperienza dell'ego ed esperienza
dell'estraneit, poich per Husserl il soggetto esperisce se stesso originalmente e l'alter
ego solo indirettamente, attraverso il medium dell'empatia (Idee, 595): il carattere
strettamente mediato della Fremderfahrung la sua impossibilit di tradursi in
una vera e propria Wahrnehmung dei vissuti altrui, che comporterebbe una fusione
dei due flussi di coscienza e, conseguentemente, la loro totale indistinzione. L'empatia
(Einfhlung) ,[44] come atto che rende possibile il darsi di una soggettivit estranea
nella mia sfera dei vissuti, appartiene infatti alla classe delle presentificazioni
intuitive e, sotto questo profilo, pu essere assimilata all'Erinnerung, alla
presentificazione del passato, per un'analogia strutturale: se il passato una
modificazione del presente, un presente che non pu (pi) essere percepito, l'alter
ego un presente che non pu (mai) essere vissuto direttamente da me (Hu XV, 642).
Presentificare i vissuti dell'altro significa ri-viverli all'interno della mia prospettiva,
della mia vita soggettiva, e questo l'unico modo in cui posso averne esperienza, come
di vissuti realmente estranei. Senza empatia non ci sarebbe neppure alterit, rimarrei
confinato nella sfera appartentiva, e mi sarebbe per principio incomprensibile lo
stesso discorrere di una soggettivit altra, che tale pu essere solo in quanto si
conserva tutta la distanza che separa il presente presentificato dal presente
autenticamente percepito e vissuto in proprio (Hu XIV, 362) .[45] Ancora una volta,
l'analogia con il passato pu risultare efficace per cogliere la specifica fisionomia
analitica e trascendentale della Fremderfahrung: Il mio io trascendentale l'unico
ad essermi dato originariamente, cio dall'autoesperienza originaria, la soggettivit
estranea mi data nell'ambito della mia propria vita esperiente, cio nelle mie
esperienze empatiche, mediatamente, in maniera non originaria, ma tuttavia data, e
certamente esperita. Cos come il passato in quanto passato (Vergangenes als
Vergangenes) pu essere dato originariamente solo attraverso il ricordo, e il futuro
come tale solo attraverso l'attesa, analogamente l'estraneo in quanto estraneo pu
essere dato originariamente solo attraverso l'empatia (so kann Fremdes als Fremdes
ursprnglich nur gegeben sein durch Einfhlung). In questo senso datit originaria
ed esperienza sono la stessa cosa (Hu VIII, 175-176).
Ma, se cos, se nell'empatia l'altro una datit originaria, dobbiamo distinguere
con cura il concetto fenomenologico dell'originariet da quello dell'originalit;
proprio in quanto l'alter ego non mi accessibile originalmente (solo l'altro ha
esperienza diretta dei suoi vissuti), mi per accessibile originariamente, il che vuol
dire che la mia esperienza dell'altro , a tutti gli effetti, esperienza dell'altro. l'altro
in quanto altro che l'empatia, come forma peculiare di esperienza, mi dischiude; si
potrebbe anche dire l'altro in carne e ossa, poich di esperienza (originaria) si tratta,
e non di ragionamento, deduzione, conclusione (Hu XIV, 352) .[46] L'unica forma in
cui l'altro mi pu essere dato in carne e ossa, cio come altro, nell'impossibilit di
coglierlo in originale, cio nello stesso modo in cui l'altro si coglie da s,
direttamente, nella propria vita soggettiva: in caso contrario, come gi detto, non
sarebbe un io estraneo, bens un puro momento interno della mia coscienza.
L'evidenza della Fremderfahrung deve essere originaria, ma non pu esserlo nel
senso della percezione, dell'esperienza diretta; pertanto dev'esserci qui una certa
intenzionalit indiretta che proceda a partire dallo strato inferiore del mondo
primordiale posto sempre a fondamento; questa mediazione che rende

rappresentabile il momento della presenza secondaria (Mit-da), la quale non ancora


la presenza stessa n pu mai diventare presenza primaria (Selbst-da). Si tratta qui
dunque di una specie d'atto di rendere-com-presente, d'una specie di
appresentazione (MC, 129). Appresentazione qui sinonimo di
presentificazione, dove Husserl fa per notare, subito dopo, che essa gi presente
in qualsiasi esperienza del mondo esterno e dunque, di per s, non caratteristica
della Fremderfahrung (MC, 130); di fatto, in ogni percezione di una cosa spaziale ci
che propriamente presente, in originale, unicamente un lato della cosa, mentre il
lato posteriore solo appresentato, cio intenzionato in maniera indiretta, come
tema di una percezione possibile. Ci che attualmente percepisco non esaurisce il
senso dell'oggetto percepito, perch vi sono sempre altre prospettive da cui l'oggetto
pu essere visto; per questa ragione la percezione, che pure si vuole conoscenza
immediata della cosa, costituisce nondimeno un processo che si dipana nel tempo e
che mai pu considerarsi realmente chiuso. Non basta quindi sottolineare la
mediatezza dell'Einfhlung in quanto Fremderfahrung, anche la percezione
immediata di una cosa esterna tale solo relativamente. Ci che fa la differenza la
modalit del riempimento, poich mentre il lato posteriore della cosa pu essere
disvelato da una percezione successiva e portato nella forma della coscienza
originale, questa possibilit esclusa a priori nel caso dell'alter ego, la cui datit,
sebbene originaria, non pu mai trasformarsi in esperienza diretta, pena la
dissoluzione dell'altro nel mio flusso di coscienza e nelle unit sintetiche da esso
inseparabili: L'esperienza dell'altro non una mera anticipazione, essa si riempie
infatti costantemente. Ma il riempimento (Erfllung) non mai, e non pu essere, una
vera apprensione percettiva della soggettivit estranea (wirklich
wahrnehmungsmssige Erfassung der fremden Subjektivitt) (Hu XIV, 489) .[47]
Come abbiamo visto, il fondamento motivante per la costituzione dell'alterit
dovrebbe trovarsi all'interno della sfera dell'esperienza primordiale, cio in un
contesto di solipsismo trascendentale. Ora, una funzione essenziale in proposito
assolta dal corpo proprio, che oltre ad essere il centro del mio mondo circostante
cosale, per Husserl condizione di possibilit di ogni comprensione dell'estraneo: Se
mi domando come sono esperiti ed esperibili corpi estranei come tali, e perci animali
e altri uomini come tali, nell'ambito universale della mia percezione del mondo, la
risposta : il mio corpo gioca in questo ambito, cio dal punto di vista dell'originaria
conoscenza empirica, il ruolo del corpo originario (Urleib) da cui deriva l'esperienza
di tutti gli altri corpi (Leiber) (Hu VIII, 61). Nella mia sfera primordiale, mi colgo
come soggettivit incarnata, Leiblichkeit, e se un alter ego deve essere esperito come
tale, ci pu accadere solo quando il suo corpo si presenta nel mio campo di
percezione; l'intersoggettivit, nella sua struttura fenomenologica pi elementare,
una relazione inter-corporea, un appaiamento (Paarung) tra due corpi,[48] in cui il
senso intenzionale di corpo organico, corpo soggettivo, viene trasferito all'altro, o
meglio a quel Krper che, attraverso questo trasferimento di senso,
(Sinnesberschiebung) diventa per me, propriamente, il Leib di una soggettivit
estranea (Hu I, 143; MC, 133). Naturalmente, affinch la pretesa costituzione non si
riveli una mera tautologia, importante chiarire le modalit di questo passaggio.
Cosa, in concreto, rende quel corpo che mi appare percettivamente l, non un
qualunque corpo fisico tra gli altri nel mio mondo-ambiente, ma un secondo corpo
organico? chiaro innanzitutto che solo una somiglianza, interna alla mia sfera di
primordialit, tra quel corpo e il mio pu fare del primo un altro corpo (MC, 131).
L'analogia, la somiglianza che mi fa cogliere l'altro non come genericamente
estraneo, ma come altro io, innanzitutto riferita alla sfera della sensibilit: nel

mio mondo primordiale, un corpo fisico si presenta come simile al mio corpo organico.
Come nel caso del ricordo, anche per l'empatia la percezione gioca dunque un ruolo
fondamentale: se, come abbiamo appurato, dell'altro non si d propriamente
percezione, anche vero che senza uno strato di Krperlichkeit, di percepibilit
corporea che funga da fondamento per l'apprensione di una seconda Leiblichkeit,
l'altro non sarebbe esperibile nemmeno come soggetto, persona, spirito.[49]
Ora, il nucleo di questa intuizione di somiglianza che dovrebbe tradursi in esperienza
di una soggettivit estranea non riguarda soltanto il corpo in quanto corpo percepito,
ma anche in quanto corpo mobile. in relazione al movimento corporeo, alla
percezione come attivit corporea che si definiscono le coordinate elementari della
Fremderfahrung, nonch la stessa possibilit di articolare una pluralit di prospettive
da cui guardare al mondo esterno. Scrive infatti Husserl: Il mio corpo fisico, in
quanto riferito a se stesso, ha i suoi modi di datit del qui centrale; ogni altro corpo,
compreso il corpo dell'altro ha il modo del l. Questa orientazione verso l sottost
alla libera variazione in virt delle mie cinestesi. In tal modo, nella mia sfera
primordiale costituita l'unica natura spaziale attraverso il mutamento delle
orientazioni; questa costituzione ha anzi luogo in quanto la natura riferita
intenzionalmente alla mia corporeit fungente percettivamente (MC, 136) .[50] La
variabilit della posizione del mio corpo, per cui sono in grado di muovermi
liberamente nello spazio, tra le cose, fa s che ogni qui possa mutarsi in un l, il
vicino in lontano e viceversa; ma in questa universale fluidit dei riferimenti
spaziali-percettivi il mio corpo mantiene sempre la funzione del qui, di un qui,
precisamente, che pu dirsi assoluto, nella misura in cui non posso allontanarmi dal
mio corpo e vederlo, per cos dire, dall'esterno (Idee, 552). Il tema fenomenologico
della cinestesi di estremo interesse non solo perch ci permette di caratterizzare,
strutturalmente, la coscienza trascendentale di percezione come coscienza corporea,
approdando cos ad una sorta di concretizzazione del trascendentale stesso,[51] ma
anche perch, come vedremo, i limiti della sfera primordiale e della costituzione
solipsistica della cosa spaziale vi sono strettamente implicati. Ad ogni modo, per
Husserl, la Paarung dei due corpi (del mio corpo e di quello che si dir, poi, il corpo
dell'altro) nel campo percettivo primordiale induce in me un'appresentazione, di tipo
analogico, dei vissuti che potrei avere se mi trovassi l, se fossi al posto del corpo
organico estraneo che ho di fronte, se potessi osservare il mio corpo da una posizione
diversa da quella che attualmente occupo; ma, ed qui che si concentra il paradosso
della Fremderfahrung come intersoggettivit incarnata, ci impossibile proprio
nella misura in cui io sono qui, inseparabile dal punto zero dell'orientamento
costituito per me, necessariamente, dal mio corpo proprio (Ibidem). Se non avessi
alcuna cognizione del mio corpo in quanto liberamente mobile, organo della volont
del soggetto, non potrei comprendere il senso da attribuire alla prospetticit delle cose
nello spazio, ma senza questa comprensione preliminare non potrei nemmeno pensare
come modificabile la mia condizione di centro del mondo spazio-temporale
orientato. Di fatto, questa modificazione dell'io, che fa tutt'uno con l'esperienza di
un alter ego, espressa da Husserl con la formula, non priva di problemi, del comese-io-fossi-l[52] (Hu I, 147; MC, 137). L'altro non dunque tale solo perch i suoi
vissuti non possono essermi dati in un'esperienza originale; ci che lo rende
irriducibilmente altro, pur nella tensione dell'analogia, del come me, della
soggettivit, proprio il suo originario situarsi in un contesto che, per principio,
non pu essere il mio:[53] semplicemente un'altra monade, un'altra prospettiva sul
mondo. L'altro appercepito in appresentazione come io di un mondo primordiale,
ossia come io di una monade nella quale originariamente costituito ed esperito il suo

corpo organico nel modo del qui assoluto, anzi come centro funzionale del dominio
che esso esercita. Quindi, in questa appresentazione, il corpo, che appare nella mia
sfera monadica nel modo del l e che viene appercepito come corpo fisico estraneo,
come corpo organico dell'alter ego, costituisce l'indizio dello stesso corpo, ma nel
modo del qui come lo esperisce l'altro nella sua sfera monadica (MC, 137).
Il problema di fondo che Husserl cerca di dominare e risolvere nella sua dottrina
trascendentale dell'Einfhlung quello dell'attribuzione, al corpo organico estraneo,
di vissuti propri, anzi di un'intera sfera di interiorit, come vita percettiva, psichica,
personale, ed infine, nella sua concretezza, trascendentale. Ci dovr avvenire per
gradi, ma chiaro come in primo piano sia da porre la capacit espressiva del corpo;
se ci che dell'altro percepisco originalmente il suo corpo, nondimeno nell'approccio
empatico contestualmente posta (mitgesetzt) un'interiorit molteplice che procede
sviluppandosi in maniera tipica; essa dal canto suo richiede poi una corrispondente
esteriorit (Hu XIV, 249). Il primo contenuto determinato della Fremderfahrung
ovviamente l'intellezione della corporeit organica dell'altro e degli specifici modi di
comportamento che la caratterizzano fenomenicamente: la comprensione del corpo
altrui come centro di sensazioni e latore di liberi movimenti, la differenziazione di
campi sensibili pi o meno coordinati tra loro (esperienza visiva, tattile, acustica), le
molteplici dinamiche espressive (nel volto, nella gestualit) cui si associa
naturalmente un particolare stato d'animo, che pu essere di gioia, dolore, ecc. A
partire da questo livello, si costituiscono poi gli eventi psichici superiori, nonch, su
un piano ancora pi complesso, le dimensioni della personalit e dello spirito.[54]
Ognuna di queste forme della Fremderfahrung ha i suoi modi di riempimento, di
conferma, di determinazione ulteriore, ma anche i modi correlativi della negazione,
della delusione dell'intenzionalit, talora della cancellazione di ci che in
precedenza si dava come evidente, come realt in carne ed ossa.
Per Husserl, tuttavia, il pi originario fondamento fenomenologico di ogni formazione
di senso intersoggettiva che possa costituirsi nella mia coscienza trascendentale,
l'apprensione del corpo dell'altro come Leib, nella Paarung (MC, 140). L'intercorporeit la prima forma di comunit tra i soggetti, il corpo organico dell'alter
ego il primo oggetto intersoggettivo: esso dato, per me, come corpo di cui l'altro
ha esperienza per s, in originale.[55] La prima comprensione di un corpo estraneo
come corpo organico il primo passo, il pi elementare, dell'oggettivazione e
costituisce il primo oggetto, chiaramente ancora incompleto, identificato
intersoggettivamente nelle esperienze di soggetti diversi. Solo con ci si realizza la
prima oggettivazione [intersoggettiva] del mondo ambiente fisico (Hu XIV, 110) .[56]
Il corpo dell'altro , funzionalmente, il ponte che collega la mia sfera primordiale ad
un'altra sfera, anch'essa primordiale, appartentiva, il cui possessore per un
ego estraneo; la ricognizione di una soggettivit incarnata, nella forma intuitiva
caratteristica dell'Einfhlung, apre il primo spiraglio sull'intersoggettivit,[57]
rivelando al contempo l'oggettivit nel suo senso pregnante, cio come
esperibilit non solo per me, ma anche per l'altro. Si cos realizzata, in certo modo,
una dissociazione del reale dal mio flusso di coscienza, nella misura in cui il
significato dell'oggetto esperito non dipende pi strettamente dal fatto che ad esperirlo
sia io, come di necessit accadeva nel quadro solipsistico della riduzione primordiale.
L'oggetto diventa perci una struttura di universale referenza ed accessibilit, la
cosa (in primo luogo la cosa percepita) il polo noematico di una soggettivit
plurale, che all'inizio include me stesso e l'alter ego, ma in linea di principio, e
attraverso passaggi continui lungo l'asse della Konstitutionstheorie, implica la totalit

dei soggetti esperienti, reali o possibili; infatti, la relazione duale presa qui in esame
(Husserl la designa anche come relazione io-tu) solo la cellula originaria del
mondo intersoggettivo, essa stessa un'astrazione, una situazione descrittiva
semplificata, che prelude all'analisi delle pi complesse e generalizzate strutture
dell'esperienza comunitaria, della socialit.[58]
In particolare, Husserl rileva come l'alter ego sia da me esperito non solo come
soggetto di un mondo primordiale, bens, in virt della propria corporeit, come
soggetto dello stesso mondo di cui ho, attualmente, esperienza; in altre parole, se gli
altri sono realiter separati dalla mia monade, in quanto nessun legame reale porta dai
loro momenti di coscienza ai miei (MC, 147), e il termine monade vuole appunto
sottolineare questa separazione reale dei due flussi di coscienza, rimane il fatto che
le monadi sono intenzionalmente aperte l'una all'altra, attraverso l'empatia, e riferite
ad un mondo comune. Scrive Husserl: V', tra un essere e l'altro, una comunit
intenzionale, un legame che per principio ha carattere tutto proprio, una comunit
effettiva, quella che rende trascendentalmente possibile l'essere di un mondo, mondo
di uomini e di cose (Ibidem). L'io e gli altri (le monadi) non corrispondono ad
universi chiusi, autoreferenziali, che in virt di un nesso estrinseco od armonia
prestabilita entrino in qualche maniera in contatto, giungendo al riconoscimento
reciproco;[59] proprio perch le monadi husserliane, a differenza di quelle leibniziane,
hanno infinite finestre (unendlich viele Fenster), in quanto ogni percezione
comprensiva di un corpo organico estraneo una tale finestra (jede verstndnisvolle
Wahrnehmung eines fremden Leibes ist solch ein Fenster) (Hu XIII, 473), la
condizione comunicativa originaria, la possibilit per i singoli flussi di coscienza di
sintonizzarsi l'uno con l'altro garantita dalla loro dinamica interna, dal loro stesso
carattere prospettico, finito, relazionale.[60] Allora, la costituzione di un unico,
accomunante orizzonte di esperienza non poggia sul presupposto dell'attivit divina
che correla dall'esterno i differenti universi monadici, ma si svolge interamente nel
quadro delle capacit operative della monade: l'unit ed unicit del mondo come
mondo dell'esperienza richiesta dalla stessa trama intenzionale, percettiva, corporea
e temporale che rende concreta la vita del soggetto (Hu XIV, 91-sgg.). Si pu dunque
dire che in ogni monade (trascendentale) sono implicate tutte le altre, esse si
rispecchiano nell'unit del mondo, pur restando, per altro verso, assolutamente
separate: L'esistenza di ogni monade implicata in ogni altra (Die Existenz jeder
Monade ist in jeder impliziert). Ognuna nella sua coscienza ha costituito lo stesso
mondo, implicitamente in ognuna incluso tutto l'essente e trascendentalmente la
totalit delle monadi e tutto ci che si costituisce nei singoli e nella comunit. D'altra
parte, le monadi sono assolutamente separate (absolut getrennt) [...], esse coesistono
nel tempo totale monadico (Hu XV, 377) .[61]
Se dunque la fenomenologia muove metodicamente i suoi primi passi nell'ambito del
solipsismo trascendentale (come abbiamo visto nelle Meditazioni cartesiane), e se
questa scelta indubbiamente rischiosa non poteva non attirare ombre sull'immagine
complessiva del pensiero husserliano, altrettanto chiaro come l'intersoggettivit
venga poi ad occupare una posizione del tutto preminente, ridisegnandosi in termini
di categoria ultimativamente esplicativa e fondante della fenomenologia
trascendentale. Molti passaggi testuali sono al riguardo di grande interesse,
addirittura sorprendenti, e ci obbligano almeno a rivedere alcune delle
interpretazioni pi tradizionali (e meno favorevoli) del trascendentalismo di Husserl.
Ad esempio, tra i testi integrativi delle lezioni sulla Psicologia fenomenologica si
trovano affermazioni assai nitide e nette come le seguenti: La soggettivit

trascendentale pienamente concreta al proprio interno la totalit -trascendentalmente unica e solo in questo modo concreta -- della comunit aperta dei
soggetti. L'intersoggettivit trascendentale il terreno ontologico assoluto, l'unico
terreno autosufficiente (der allein eigenstndige Seinsboden), dal quale ogni
oggettivit -- la totalit dell'essente realmente oggettivo, ma anche ogni mondo ideale
oggettivo -- riceve il suo senso e la sua validit (Hu IX, 344); La totalit mondana
riconosciuta dalla conoscenza trascendentale come un determinato prodotto
costitutivo dell'intersoggettivit trascendentale (Hu IX, 474). Nella Crisi delle scienze
europee si legge altres che solo nell'intersoggettivit la soggettivit fenomenologica
quello che , ovvero un io costitutivamente fungente (Hu VI, 175). La monade,
assunta come solus ipse trascendentale, come soggetto della sfera primordiale, non
pu essere concreta; non solo, ma non pu neppure essere, in senso proprio,
costitutiva del mondo come orizzonte universale dell'essente, il che significa che il
mondo solipsisticamente ridotto non realmente, e a tutti gli effetti, un mondo,
perch quest'ultimo sembrerebbe implicare sempre, quanto al senso,
l'intersoggettivit trascendentale. Nota in proposito Husserl: Ora si dir: se il mondo
solo il polo sistematico (Polsystem) dell'intenzionalit immanente della cosiddetta
esperienza oggettiva, se dunque immanente in me, [...] io sono solus ipse. La risposta
suona: il mondo unit delle mie esperienze, ma non soltanto delle mie (naturalmente
esperienze reali e possibili), bens , per il suo stesso senso, unit di esperienza
intersoggettiva (ihrem eigenen Wesen nach Einheit intersubjektiver Erfahrung) (Hu
XIV, 350). In altre parole, l'intersoggettivit la stessa soggettivit trascendentale:[62]
ci che si fissa, provvisoriamente, come io puro, coscienza trascendentale al
primo livello della riflessione fenomenologica, deve necessariamente inserirsi nella
rete semantico-ontologica dell'intersoggettivit, da cui soltanto pu acquisire unit e
concretezza. La fenomenologia sfocia cos, senza poter rinunciare al piano
egologico, ma integrandolo e concretizzandolo attraverso la fondamentale nozione
di comunit trascendentale dei soggetti, in una rinnovata monadologia (Hu VIII,
190) .[63]
Non possiamo ovviamente seguire nel dettaglio analitico questo progressivo
articolarsi, estendersi ed approfondirsi della sfera fenomenologico-trascendentale dal
mondo cosiddetto primordiale, solipsistico, al mondo concretamente oggettivo,
come tale accessibile a tutti, nella sua ricchissima compagine di senso. Nel paragrafo
conclusivo delle Meditazioni cartesiane, Husserl disegna le linee programmatiche di
una nuova filosofia prima, che dovrebbe non solo fornire i fondamenti di tutte le forme
possibili di comunit tra i soggetti, ma addirittura una teoria generale dell'essere
possibile, una vera e propria ontologia universale: tutti i problemi della metafisica
tradizionale vi troverebbero posto e guadagnerebbero la loro dimensione filosofica pi
profonda (MC, 170-171). Quest'universale ontologia concreta [...] sarebbe quindi
l'universo in s primo della scienza con fondazione assoluta. Nell'ordine, la prima
delle discipline filosofiche sarebbe l'egologia delimitata solipsisticamente, la scienza
dell'ego ridotto in maniera primordiale; come seconda verrebbe poi la fenomenologia
intersoggettiva fondata sulla egologia; quest'ultima tratta dapprima le questioni
universali per ramificarsi dopo in varie scienze a priori speciali (MC, 170).
Ritroviamo quindi la connessione fondativa pi volte messa in luce: la fenomenologia
egologica fonda la fenomenologia intersoggettiva, nel senso che la delimitazione
solipsistica dell'io deve precedere l'analisi fenomenologico-trascendentale
dell'intersoggettivit (altrimenti quest'ultima rimane puramente presupposta);
d'altra parte, pur avendo ben presente il significato metodologico del primato
dell'egologia, non facile capire come esso possa conciliarsi con le affermazioni

inequivocabili di Husserl viste sopra, in cui l'intersoggettivit tende chiaramente ad


assumere un ruolo onnipervasivo, configurandosi come il terreno della fondazione
ultima della totalit dell'essere mondano (Hu XIV, 265-266).
Di fatto, il passaggio alla monadologia trascendentale produce un rivolgimento
all'interno della fenomenologia, che da egologica ed egocentrica (senza dare a
questo termine una connotazione etica) si fa centrifuga e comunitaria:[64] Il mio
ego datomi apoditticamente, l'unico ego che io debba porre come esistente in maniera
assolutamente apodittica, non pu a priori essere un ego che ha esperienza del mondo
se non in quanto si trova in comunit con altri a lui simili, in quanto un membro di
una societ di monadi che orientata a partire da lui (MC, 156). L'apoditticit della
fondazione fenomenologico-trascendentale sembra dunque ricadere non pi sull'io,
isolatamente considerato, ma sulla comunit intermonadica (intermonadologische
Gemeinschaft), una specie di soggettivit allargata che l'autentico polo
costituente dell'intenzionalit: in tale ottica, la dimensione concreta del trascendentale
non l'io, ma il noi.[65] Ma se l'essere del mondo si costituisce
intersoggettivamente, ha ancora un senso definito parlare di mondo primordiale?
Dobbiamo lasciarcelo alle spalle come mera finzione, dopo che l'analisi costitutiva
pervenuta a quel terreno ontologico assoluto che Husserl chiama intersoggettivit
trascendentale? Ma, se cos fosse, non si rivelerebbe una finzione anche la
(pretesa) costituzione della Fremderfahrung, che proprio sull'ipotesi solipsisticotrascendentale si incentra metodologicamente? dunque chiaro che questa tensione
tra solipsismo e intersoggettivit nel quadro categoriale della filosofia
fenomenologica esige una riconsiderazione di fondo delle possibilit e limiti della
stessa riduzione primordiale.

3. Limiti della riduzione primordiale e intersoggettivit


aperta
Nella V Meditazione cartesiana, che tuttora rappresenta un accesso privilegiato alla
conoscenza della fenomenologia husserliana dell'intersoggettivit, il concetto della
riduzione primordiale forse quello pi delicato e nevralgico, proprio per
l'essenziale funzione strategica che svolge nel processo argomentativo. Se, infatti,
Husserl dedica uno sforzo notevole all'individuazione di una sfera solipsisticotrascendentale, per illustrare in modo sistematico le strutture noetico-noematiche
dell'esperienza dell'estraneo, le funzioni intenzionali che si mettono in moto nella mia
coscienza trascendentale non appena un alter ego (o, meglio, ci che si dir poi
l'altro io) vi faccia, in qualche maniera, il suo ingresso. In questa ottica, come
abbiamo gi notato, la questione dell'intersoggettivit parrebbe coincidere con quella
della Fremderfahrung, intesa come problema parziale (sebbene importante)
all'interno del pi vasto orizzonte della fenomenologia trascendentale; senonch
Husserl, fin dall'inizio, ha tenuto a sottolineare fortemente il nesso della
Fremderfahrung con la costruzione di una teoria dell'oggettivit, poich l'essere
propriamente oggettivo l'essere-per-tutti. Di fatto, la forma originaria della
Fremderfahrung per Husserl l'Einfhlung, che nel suo nucleo pi elementare
corrisponde ad un'apprensione della corporeit organica estranea: l'altro vi colto
come alter ego; analogon della mia soggettivit incarnata; titolare di una
seconda sfera primordiale, analogamente strutturata, ma autonoma e separata dalla
mia. La costituzione dell'alter ego si realizzata, innanzitutto, come una sorta di
trasferimento del mio sistema di riferimento percettivo e cognitivo all'altro, sulla

base della somiglianza con il mio corpo; ovviamente, non si tratta di un trasferimento
immediato e diretto (in quel caso non potrei comprendere l'altro come tale), bens di
una presentificazione di vissuti che rimangono, per il loro stesso senso,
originalmente irraggiungibili. In termini diversi, e forse un po'pi chiari, l'alter ego
costituito tramite l'Einfhlung, un ego in quanto possiede le mie stesse strutture
cognitive, aperto alla stessa realt (il mondo) di cui ho esperienza diretta, ma
anche irriducibilmente alter in quanto la prospettiva di approccio al mondo
assolutamente singolare e inconfondibile (monadica, in questo senso preciso). Ora,
il punto che occorre discutere qui, con maggiore approfondimento, non tanto
l'impressione di circolarit cui non agevole sottrarsi seguendo l'analisi husserliana
della Fremderfahrung nelle Meditazioni cartesiane,[66] quanto ci che,
presumibilmente, sta alla radice di tale impressione, ovvero la patente difficolt di
tener fermo fino in fondo al concetto di riduzione primordiale e a quello,
strettamente connesso, di costituzione solipsistica del reale. Ma se una riduzione
primordiale, cos come Husserl la concepisce, risultasse ineseguibile per interne
ragioni fenomenologiche, non ne deriverebbe automaticamente il crollo delle tesi pi
significative di Husserl sull'intersoggettivit trascendentale (come talvolta si
ritenuto), e ci sostanzialmente per due motivi: 1) Non sempre Husserl ha considerato
indispensabile il ricorso preliminare alla riduzione primordiale per tematizzare
l'intersoggettivit (tra gli inediti husserliani raccolti in Hu XIII-XIV-XV, vi sono
numerose, importanti linee di ricerca che prescindono del tutto dall'ipotesi solipsistica
ed affrontano le tematiche intersoggettive entrando, per cos dire, in medias res);[67]
2) Il fatto che Husserl abbia in certi casi sopravvalutato, in sede metodologica, le
possibilit effettive di attingere una sfera di radicale propriet del soggetto, non
vuol dire che questa schematizzazione sia inservibile, semmai si tratter di precisarne
pi attentamente i limiti (anche sotto questo riguardo, dallo stesso Husserl, e non
solo dai fenomenologi post-husserliani, che ci vengono preziose indicazioni per una
qualche correzione della linea teorica sviluppata nelle Meditazioni).[68]
Come abbiamo visto, l'obiettivo della riduzione primordiale l'individuazione di una
sfera di esperienza fenomenologica cos privata, cos radicalmente propria da
escludere, per il suo costituirsi, ogni rimando, esplicito o implicito, ad altri soggetti,
reali o possibili. Il solus ipse trascendentale il soggetto di questa sfera, un soggetto
che non risulta pi immerso in alcuna atmosfera intersoggettiva e tuttavia continua a
fare esperienza di un mondo e di cose, nel proprio flusso di coscienza, senza che
questa messa fuori causa del concetto dell'alterit abbia provocato il cortocircuito
dell'attivit intenzionale e, con ci, reso impossibile ogni donazione di senso. Ci che
Husserl, nella V Meditazione, chiama mondo primordiale corrisponde a quello
strato di esperienza pura (reine Erfahrung) che dovrebbe precedere -- certo non nel
tempo, ma nella connessione dei fondamenti -- l'esperienza fenomenologicotrascendentale nel senso pi ampio e concreto, che include necessariamente
l'intersoggettivit. In un testo del 1930, dove si prende in esame l'interna
stratificazione del campo trascendentale, si afferma chiaramente questa
corrispondenza di piani: In quanto ora si mostra che il mondo ha un nucleo di senso
(Sinneskern) che esperienza pura, cio non presuppone alcuna esperienza
dell'estraneo (nmlich keine Fremderfahrung voraussetzt), abbiamo perci operato la
riduzione alla primordialit trascendentale (Hu XV, 110). L'esperienza pura, per
Husserl, dunque un'esperienza non ancora intersoggettiva, in nessun senso
pensabile, proprio perch la categoria dell'intersoggettivit non vi ha ancora
impresso, per cos dire, le sue pieghe, non vi ha fatto valere la sua opera costitutiva:
un'esperienza che, beninteso, non nulla di naturale, di reale, e tuttavia

rappresenta una sorta di nucleo profondo del trascendentale fenomenologico, che


possibile afferrare astrattivamente, separandolo dai nessi funzionali superiori. Nella
Logica formale e trascendentale, questo mondo dell'esperienza pura diventa il
correlato di un'estetica trascendentale, intesa kantianamente, ma in senso
radicalmente nuovo, come primo grado di una teoria della conoscenza;[69] al grado
superiore si situa il Logos dell'essere mondano obbiettivo e della scienza nel senso
superiore, della scienza che indaga secondo le idee dell'essere rigoroso e della
rigorosa verit e che configurano corrispondentemente teorie esatte (LFT, 356). Il
concetto dell'esperienza pura pu prestarsi ad equivoci di ogni genere, ma la
purezza qui non in alcun modo assimilabile ad un contesto omogeneo,
indifferenziato, oppure strutturato s, ma nello stesso senso limitativo per cui,
nell'Estetica kantiana, si d un mero inquadramento spazio-temporale delle
sensazioni; il mondo primordiale di Husserl rimane, nonostante tutto, una realt
nettamente articolata, un mondo di cose, di oggetti percepiti, e non di dati sensibili.
Nella trascendenza immanente come residuo della riduzione primordiale vi sono
oggetti, sebbene non ancora una vera e propria oggettivit, poich essa
presuppone la costituzione della Fremderfahrung e dunque l'esperienza di altri
soggetti nell'Einfhlung.
Ma, dobbiamo ora chiederci, davvero possibile un riferimento ad oggetti senza che
sia posta, correlativamente, una qualunque dimensione intersoggettiva del loro
darsi? L'oggetto non , come tale, il polo di referenza di una soggettivit
strutturalmente plurale e comunitaria, di una totalit di monadi? stato proprio
Husserl a scorgere questo nesso di implicazione trascendentale in tutta chiarezza, ad
esempio nel passaggio seguente, che problematizza senza esitazioni la stessa
possibilit di definire soggettiva un'esperienza solipsistica della cosa:
problematico (fraglich), pi che problematico, se io qui, al livello di una costituzione
cosale pensata solipsisticamente (auf der Stufe einer solipsistisch gedachten
Dingkonstitution) posso designare le manifestazioni come soggettive. Le
manifestazioni, e quindi le sensazioni, non sono miei stati (meine Zustnde) come pu
esserlo una gioia, che non ho [di fronte a me] come un dato di rosso (Rotdatum), ma
nella quale vivo, o come possono esserlo un apprendere, un porre, ecc., un pensare, in
cui mi attivo e mi colgo in questa attivit. L'introiezione delle sensazioni e
manifestazioni in un soggetto o la loro comprensione come meramente soggettive
deriva dall'intersoggettivit (Hu XIII, 388-389). Questa conclusione, per certi versi
sconcertante in un filosofo che ha dovuto a lungo difendersi dall'accusa di solipsismo e
al quale si obietta tuttora di aver sottovalutato l'importanza dell'intersoggettivit,
appare, argomentativamente, ineludibile: se le categorie di oggettivit, trascendenza
e realt sono costituite intersoggettivamente, altrettanto si deve dire delle correlative
categorie di soggettivit, immanenza e manifestazione.[70] L'intersoggettivit si
rivela una struttura pervasiva che in multiformi profili coopera alla stessa
autocostituzione ed autocomprensione dell'io. Dire infatti che la mia esperienza del
mondo soggettiva, un modo di apparire di qualcosa in s (come tale
irriducibile alla manifestazione che ne ho o posso averne) equivale a sostenere che il
mondo esperibile da altri (e, in linea generale, da tutti): la soggettivit delle
manifestazioni sembra presupporre, qui, l'intersoggettivit del sistema di
riferimento. Se dobbiamo prendere sul serio il passo precedente, cos come le altre
asserzioni husserliane circa il carattere non semplicemente costituito, bens
costituente (e, in un certo senso, assoluto) dell'intersoggettivit,[71] tutto il
complicato iter metodologico che abbiamo visto all'opera nella V Meditazione
cartesiana non pu che destare il sospetto di una petizione di principio: il compito di

una costituzione dell'intersoggettivit, a partire dalla sfera primordiale,


risulterebbe impossibile, in quanto i fenomeni di questa sfera non sono nulla di
originario, non possono neppure definirsi soggettivi senza presupporre, ad un
qualche livello semantico, ci che si trattava di costituire.[72]
, questo, un singolare effetto di ristrutturazione del campo fenomenologicotrascendentale, che occorre valutare nelle sue dimensioni e conseguenze, per dare
adeguatamente conto degli equilibri sottili e, talora, ambigui della teoria husserliana
della costituzione: man mano che ci si addentra nella problematica
dell'intersoggettivit, quest'ultima sembra assumere un ruolo sempre pi marcato e
inglobante, al punto che solo dalla considerazione dell'io in quanto intersoggettivo
che si pu comprendere, in concreto, ci che la soggettivit trascendentale
fenomenologica realmente significa, la sua configurazione effettiva. Il solipsismo
trascendentale manifesta sempre pi chiaramente i tratti di una mera ipotesi, di
una proiezione fatta al fine di semplificare il contesto dell'esperienza dell'io, e tuttavia,
come ampiamente rilevato, Husserl vi annette una funzione di fondamento per i
gradi fenomenologici successivi e pi complessi. La convinzione sottesa ai passaggi
cruciali della V Meditazione, che senza empatia, senza esperienza di una soggettivit
estranea reale, corporeamente presente nel mio campo di percezione, non si d alcun
accesso pensabile all'intersoggettivit: il soggetto rimarrebbe chiuso in un ambiente
cognitivo indubbiamente articolato e ricco di contenuti, ma esclusivamente proprio,
senza alcuna traccia di alterit, di differenza. Questa posizione bene espressa
anche nelle Lezioni sulla Filosofia prima del 1923-24: Facciamo ora l'ipotesi che nel
mio mondo circostante non si siano mai presentati corpi organici (Leiber), in modo
tale da non aver alcun indizio di una soggettivit estranea. Allora per me di fatto ogni
realt oggettiva, il mondo intero [...] sarebbe nient'altro che una molteplicit unificata
di poli intenzionali, come unit correlative per sistemi di mie possibili e reali
esperienze (Hu VIII, 186). Volgendo la questione in senso positivo, che quello che
interessa maggiormente Husserl, solo dopo aver esperito una seconda vita
trascendentale[73] (Hu VIII, 181), un analogon della mia soggettivit, che il mondo,
da primordiale e strettamente soggettivo, diventa per me intersoggettivo: in
termini diversi, l'esperienza di un'altra monade, come centro autonomo di vita
soggettiva, rende oggettivo il mondo decentrando la mia prospettiva di approccio ad
esso e rivelandola appunto come prospettiva, come ci che solo per me inevitabile
e vincolante. Da questo nucleo tematico deriva una serie di importanti conseguenze
sul piano della fenomenologia, dell'epistemologia ed anche dell'ontologia, la cui analisi
richiederebbe un lavoro specifico e un confronto approfondito con i testi pi
significativi in proposito, peraltro numerosi; sarebbero quindi da esaminare le nozioni
di normalit, di esperienza normale, e le loro variazioni (le anomalie), che in
realt Husserl non relega allo status di fenomeni secondari, trascendentalmente
irrilevanti, ma include a pieno titolo tra i problemi fondamentali di una filosofia
trascendentale concreta.[74]
In Husserl troviamo non pochi elementi che, elaborati, concorrono a porre in crisi il
concetto della riduzione primordiale, almeno nella sua pretesa pi estrema, di
delineare una sfera di esperienza totalmente priva di strutturazione e di semantica
intersoggettive. Per rendersene conto, non necessaria un'astratta disamina del
metodo fenomenologico, basta riferirsi alle penetranti analisi husserliane della
percezione esterna e della struttura di orizzonte che caratterizza ogni datit percettiva
determinata.[75] Come abbiamo accennato precedentemente, la percezione s
coscienza originale della cosa, dell'oggetto spaziale, ad esempio il tavolo che ho di

fronte; tuttavia, non meno evidente che ci che mi realmente dato, in carne ed
ossa, solo un lato dell'oggetto, precisamente il suo lato anteriore (SP, 34). Se vero
che la percezione intenziona sempre l'oggetto intero, in concreto quest'ultimo pu
esserle dato solo prospetticamente, sotto un aspetto peculiare; per Husserl,
l'apparente paradosso si stempera assumendo il carattere misto del percepire (la
percezione , come tale, un intreccio di datit originale e intenzione vuota) e
rilevandone la costituzione processuale e temporale. Il senso del lato propriamente
percepito determinato dalla sua relazione con i lati non percepiti e nessuna
percezione sarebbe possibile senza questo riferimento intenzionale; in termini pi
tecnici, si pu parlare di una intenzionalit di orizzonte che, nella coscienza di
percezione, rimanda ad aspetti dell'oggetto non attualmente percepiti, ma percepibili;
l'esperienza percettiva non infatti un evento istantaneo, ma un processo.
L'apprensione di un orizzonte della percezione presuppone naturalmente le estasi
della coscienza interna del tempo, attraverso le quali il presente dell'impressione
originaria si apre protenzionalmente al futuro trattenendo ritenzionalmente il passato;
[76] la sintesi temporale non ci dice per ancora nulla sui tratti contenutistici del
percepire ed qui che una caratterizzazione soggettivistica dell'orizzonte
intenzionale darebbe luogo ad un fraintendimento: L'orizzonte intenzionale non pu
infatti essere riempito a piacere; si tratta di un orizzonte di coscienza che ha esso
stesso il carattere fondamentale della coscienza in quanto coscienza di qualcosa.
Questo alone di coscienza ha il suo senso, nonostante la sua vuotezza, nella forma di
una predelineazione (Vorzeichnung) che prescrive il passaggio a nuove manifestazioni
attualizzanti (Hu XI, 6; SP, 36). L'orizzonte manifesta dunque una piega
intrinsecamente oggettiva (pur nella cornice della coscienza trascendentale, che
chiaramente nell'ottica husserliana non viene mai meno), la cosa stessa, e non il
soggetto, ad indicare in maniera vuota, ma determinabile, le possibili direzioni del
decorso percettivo, sotto forma di un tacito sistema di rimandi che pu essere, di volta
in volta, attualizzato. Scrive Husserl: Ogni percezione [...] rinvia in se stessa ad
una continuit, a molteplici continua di nuove, possibili percezioni nelle quali un
medesimo oggetto si mostrerebbe da sempre nuovi lati. Ci che viene percepito, nei
modi di manifestazione che gli sono propri, ci che in ogni momento del percepire:
un sistema di rimandi con un nucleo fenomenico nel quale quei rimandi trovano il
loro sostegno. Ed in questi rimandi come se l'oggetto ci dicesse: qui c' ancora
qualcos'altro da vedere, girami da tutti i lati, percorrimi con lo sguardo, vienimi pi
vicino, aprimi, frazionami. Getta sempre nuovi sguardi d'insieme e compi rotazioni da
ogni lato. Cos mi conoscerai in tutto ci che sono, nella totalit delle mie propriet di
superficie, delle mie interne propriet sensibili, ecc. (SP, 35). Se dunque la datit
della cosa di per s orizzontale, intessuta di rimandi intenzionali che
corrispondono ad altre possibili percezioni, e se, come ritiene Husserl, nessuna serie
percettiva pu esaurire il senso dell'oggetto, essendo virtualmente infinite le
prospettive da cui si pu guardarlo, occorre riconoscere che l'inadeguatezza della
percezione esterna non un limite della nostra facolt gnoseologica, ma il modo di
darsi prospettico, finito della cosa stessa.[77] D'altra parte, il percepire non deve
neppure essere confuso con un mero fissare l'oggetto, completamente passivo,
poich proprio il carattere di prospetticit della cosa spaziale, che abbiamo appena
sottolineato, conduce ad assegnare un ruolo costitutivo alla mia spontaneit
cinestetica; come struttura originaria della prassi, il movimento del corpo mi permette
di cogliere l'oggetto da prospettive diverse, di girargli attorno per determinarne meglio
le caratteristiche, di identificarlo come entit stabile ed accessibile anche quando
scompare dal mio campo di percezione. Pertanto, il sistema delle mie libere

possibilit di movimento intenzionalmente costituito come un orizzonte cinestetico


pratico; questo sistema si attualizza, in ogni percorrimento attuale di singole linee di
movimento, nella forma dell'esser conosciuto (Bekanntheit), quindi del riempimento
(Hu XI, 15; SP, 46).
L'importanza della fenomenologia husserliana della percezione innanzitutto nella
capacit di esibire, come una sorta di interfaccia della costituzione dell'oggetto,
quella tessitura concreta della soggettivit che era per lo pi sfuggita alle forme
tradizionali dell'idealismo trascendentale:[78] in quanto intenzionalit fungente
nell'esperienza percettiva, l'io anche essenzialmente incarnazione e temporalit,
non pu costituire il mondo senza esserne attraversato, n dispiegare l'evidenza del
vissuto senza esporsi alla struttura di rinvio e, di conseguenza, alla dinamica
dell'approfondimento, dell'interrogazione continua delle cose stesse (anche di
quelle apparentemente pi umili e insignificanti). Limitandoci a segnalare che una
parte non trascurabile dell'ermeneutica husserliana pi recente si indirizzata lungo
questa linea,[79] con risultati spesso convincenti, dobbiamo ora vedere come la
nozione di orizzonte intenzionale si riverbera sul terreno del rapporto tra solipsismo
e intersoggettivit. chiaro che questa nozione indispensabile anche all'interno della
sfera appartentiva del soggetto, proprio perch in essa la natura, il mondo esterno,
non affatto scomparso, ma ha solo perduto il riferimento ontologico intersoggettivo
in virt della riduzione primordiale. Si legge infatti nel 47 delle Meditazioni: Poich
noi lasciamo fuori considerazione le formazioni intenzionali empatia, ossia
dell'esperienza dell'estraneit, noi abbiamo un natura e una corporeit che si
costituisce come oggettivit spaziale e come unit trascendente di fronte al corso degli
Erlebnisse coscienziali, ma pur come mera molteplicit di oggettivit d'una esperienza
possibile, ove quest'esperienza non altro che il mio proprio corpo organico e quel che
vi esperito non altro che un'unit sintetica, non distinguibile da questa corrente di
vita e dalle sue potenzialit (MC, 125). Ora, se ogni oggetto spaziale non pu che darsi
prospetticamente, sembrerebbe per che l'orizzonte intenzionale, cos come viene
tematizzato nella sfera primordiale, non implichi alcuna dimensione di alterit, nel
senso della Fremderfahrung; del resto, come sarebbe possibile parlare di
Fremderfahrung l dove, per decisione metodologica, si lasciano fuori considerazione
le funzioni intenzionali dell'Einfhlung (Hu XV, 531)? La trascendenza immanente
o primordiale che Husserl intende enucleare come strato fenomenico originario di
un'analitica degli oggetti intenzionali unicamente il correlato della mia esperienza
percettiva; se ho di fronte un tavolo, il suo lato posteriore non attualmente
percepibile, ma potrei percepirlo in futuro, oppure averlo gi percepito in passato. La
costituzione di un oggetto identico attraverso molteplici prospettive o adombramenti
appare dunque per Husserl alla portata di un soggetto solipsistico, nel significato
radicale che emerge dalla riduzione primordiale e che, come si visto, esclude non
solo ogni contributo di alter ego reali alla definizione iniziale del mio campo di
esperienza, ma anche di alter ego possibili. Per poter esibire il senso di una cosa
spaziale (Ding) sul terreno dell'indagine trascendentale, non posso riferirmi
semplicemente ad un io puro con il suo campo temporale di vissuti, ma ho bisogno
di assumere certe altre strutture ed una compaginazione gi abbastanza estesa della
soggettivit: in particolare, il soggetto della Dingwahrnehmung necessariamente
corporeo-cinestetico e solo in questa forma pu dirsi, altrettanto legittimamente,
trascendentale (almeno nel senso dell'implicazione fenomenologico-materiale per
cui un io puro privo di corporeit non pu essere il soggetto della percezione cosale)
.[80] Sarebbe invece possibile un'esperienza della cosa (come polo oggettuale unitario
di manifestazioni differenti) anche qualora l'intersoggettivit non vi partecipasse ad

alcun titolo ed proprio questa tesi, apparentemente persuasiva, che Husserl articola
con l'esperimento metodologico della riduzione primordiale.
La tesi della riducibilit degli aspetti non percepiti della cosa ad un puro campo di
possibilit proprie viene tuttavia a collidere con un dato fenomenologico elementare,
sul quale occorre fermare l'attenzione: il lato anteriore dell'oggetto (quello che ora
realmente percepisco) non tale in relazione ad un lato posteriore passato o futuro,
bens in relazione ad un lato posteriore co-presente (mitgegenwrtig) (Hu I, 139). Pi
precisamente, in ogni istante del processo percettivo la coscienza intenziona una
molteplicit di aspetti co-esistenti dello stesso oggetto. Come stato fatto notare, la
mera correlazione dell'orizzonte con le percezioni passate o future non mi darebbe
propriamente un lato posteriore, ma un altro lato anteriore:[81] avremmo
paradossalmente una serie di lati anteriori in concorrenza tra loro, un disgregarsi
dell'unit della cosa nelle sue manifestazioni singolari In realt, l'intenzionalit
donatrice di senso non diretta solo sulla mia possibilit di percezione (passata o
futura), ma innanzitutto sulla mia impossibilit di percezione attuale: questa
impossibilit che mi fa cogliere il lato posteriore di un oggetto come tale. La
modalit temporale decisiva: il lato posteriore tale non perch posso percepirlo in
futuro o averlo percepito in passato, bens posso percepirlo in futuro o averlo
percepito in passato perch al presente non posso percepirlo, non una mia
possibilit di percezione. La possibilit di percezione aperta nella direzione del
futuro e del passato solo in quanto essa per me strutturalmente chiusa riguardo al
presente, all'ora. Naturalmente, per avere un referto fenomenologico completo della
nozione di lato posteriore occorre saldare strettamente la temporalit alla
corporeit, la dimensione ritenzionale e protenzionale del flusso di coscienza alla
struttura cinestetica dell'io concreto. Come soggettivit incarnata, occupo sempre una
posizione determinata nello spazio; certo posso modificare cinesteticamente questa
posizione, disvelare il lato dell'oggetto che non vedevo, ma questo lato non creato
dal mio movimento corporeo, esso esisteva gi prima di percepirlo. Tuttavia, prima di
percepirlo realmente, mi era gi noto come percepibile. Non solo percepibile da me in
un'esperienza successiva, ma percepibile da un altro soggetto in un'esperienza attuale.
Ora, non posso percepire il lato posteriore dell'oggetto, ma potrebbe farlo un altro.
Scrive Husserl: La manifestazione che io ho dal mio punto di vista (posizione del
mio corpo nell'ora), non posso averla da un altro punto di vista, con il mutamento del
punto di vista si modifica necessariamente la manifestazione, e le manifestazioni sono
evidentemente incompatibili (unvertrglich). Io posso avere la manifestazione
incompatibile in un altro momento, se io assumo un'altra posizione nello spazio. E allo
stesso modo un altro, che proprio ora si trova in una posizione diversa, pu avere
ora quella manifestazione (Und ebenso kann ein Anderer" dieselbe Erscheinung jetzt
haben, der eben jetzt an einem anderen Orte ist) (Hu XIII, 2-3).
In che modo questo testo husserliano del 1908 pu fungere da contro-argomentazione
rispetto alla strategia perseguita da Husserl nelle Meditazioni cartesiane e volta a
determinare, entro rigorosi confini, una sfera di esperienza primordiale? L'interesse
principale del testo consiste nel fatto che l'altro (o meglio il senso dell'altro) si rivela
non al termine di una complessa operazione di isolamento dell'io nella purezza della
sua natura appartentiva, e neppure nell'esperienza empatica di un corpo organico
estraneo, bens come ingrediente necessario (se cos ci si pu esprimere) della stessa
percezione cosale. L'alterit si affaccia esplicitando il contesto strutturale di ogni
datit percettiva, la relazione costitutiva che lega il carattere prospettico della
manifestazione dell'oggetto alla mia situazione incarnata e all'orizzonte cinestetico-

pratico che la contraddistingue: proprio perch le prospettive sono incompatibili


nell'ora, l'unico che pu percepire il lato posteriore nello stesso istante in cui io
percepisco quello anteriore un alter ego, un soggetto diverso da me. Senza il
costante riferimento intenzionale ad un altro io, non sarebbe quindi possibile non solo
la fondazione del concetto critico-trascendentale dell'oggettivit, ma neppure la
semplice comprensione della scena percettiva del soggetto: in particolare, verrebbe a
mancare quella fondamentale coordinata del campo fenomenologico che mi permette
di afferrare il continuo delle manifestazioni della cosa come il progressivo svelarsi
della sua unit. Se ogni percezione coglie la cosa unilateralmente, prospetticamente,
il discorso non pu prescindere da una certa virtualit intersoggettiva delle
manifestazioni stesse, che affetta necessariamente anche la cosiddetta sfera
primordiale dell'io,[82] in quanto in essa si costituiscono delle cose: Ogni oggetto
della mia percezione e della mia esperienza sensibile del tutto immediata sempre
solo manifestazione (Darstellung) -- esso dato in se stesso e tuttavia un identico
(ein Selbst) che ha la forma categoriale dell'intersoggettivit (die kategoriale Form der
Intersubjektivitt (Hu XIV, 389).
Dobbiamo perci concludere che una forma particolare di esperienza dell'estraneit
implicita nella stessa costituzione (pluri) prospettica della cosa spaziale, e che ogni
manifestazione co-presente definibile come correlato noematico della percezione di
un soggetto estraneo. Il mero riferirsi ad un oggetto che si manifesta in molti modi
differenti e sotto diverse prospettive, sembra esigere, per ragioni di interna coerenza e
connessione del materiale fenomenico dell'esperienza percettiva, un qualche
contributo dell'intersoggettivit. Si potrebbe anzi affermare, con voluta paradossalit
rispetto al punto di vista espresso da Husserl nella V Meditazione, che la sfera
primordiale nient'altro che una forma (incoativa) di intersoggettivit
trascendentale: le manifestazioni sono manifestazioni di un oggetto appunto in virt
del loro originario disporsi in un orizzonte di senso che non si lascia ricondurre
univocamente alla mia propriet, ma l'ha gi sempre oltrepassata in direzione di
altri. dunque posta in questione alla radice la possibilit di isolare nel campo
fenomenologico-trascendentale un'esperienza assolutamente privata, se deve trattarsi
-- come ritiene Husserl a proposito del residuo della riduzione primordiale -- di
un'esperienza di cose.[83] Quest'ultima risulta marcata da una forma di
intersoggettivit che plasma totalmente la sua struttura intenzionale, tanto sotto il
profilo noetico che noematico. Noeticamente, essendo il percepire un miscuglio di
datit originale e intenzione vuota, il vuoto del rimando ad una mia percezione
successiva di per s il pieno della percezione attuale che un altro soggetto
(indeterminato) potrebbe effettuare; noematicamente, come gi detto, la co-presenza
orizzontale di differenti lati della cosa presuppone l'operazione costitutiva
dell'intersoggettivit, ed appare quindi impossibile declinare la prospetticit della
percezione cosale in un'accezione rigorosamente solipsistica, tale cio da escludere
ogni implicazione di pluralismo. Se dissociare la Dingerfahrung da qualsiasi
intenzionalit di carattere intersoggettivo equivarrebbe in fondo a dissolverla, questo
rilievo non pu non condurci almeno a ridimensionare le pretese della riduzione
primordiale e, corrispondentemente, a riconsiderare l'estensione del legittimo
campo di applicazione dell'ipotesi husserliana del solipsismo trascendentale.
Abbiamo gi notato come Husserl non abbia sempre considerato la riduzione
primordiale una necessit metodica stringente: nonostante essa trovi la sua
collocazione naturale in una concezione architettonica della filosofia trascendentale,
sarebbe errato legare le sorti della fenomenologia dell'intersoggettivit nel suo

complesso alla coerenza (o incoerenza) del progetto fondativo della V Meditazione. Di


fatto, il ricco contributo analitico della riflessione husserliana sull'intersoggettivit in
larga misura indipendente dalla nozione di primordialit come viene a volte
tematizzata da Husserl, ovvero in termini di assoluta propriet; tra l'altro, questa
nozione soggetta ad oscillazioni e riassestamenti, in alcune circostanze acquisita in
un senso molto pi debole rispetto alle Meditazioni (fino ad includere, nel suo
ambito, le stesse Einfhlungen dell'io!).[84] In ogni caso, man mano che nell'analisi si
accentua la funzione sistematica dell'intersoggettivit, la sua inerenza strutturale al
piano generale della costituzione, diventa sempre pi urgente l'esigenza di
determinare esattamente i limiti della sfera primordiale, il suo raggio operativo reale.
Ad esempio, in un testo del 1932 l'affermazione della primordialit non figura come
dato rigido, ma come problema dai contorni mutevoli, che come tale sollecita un
supplemento di riflessione: Mi domando fino a che punto giunga la costituzione
ontologica (Seinssinnkonstitution) della primordialit, che io devo porre in luce
astrattamente, sebbene naturalmente io sappia -- e me ne sono convinto a fondo nella
riflessione -- che il senso ontico della natura estensiva non costruito in modo
puramente primordiale e gli altri per cos dire collaborano costantemente con me [...] .
Ma se voglio comprendere come la validit ontica del senso di altri costituita nei
suoi fondamenti e fino a che punto la validit ed unit di validit primordiale
(primordiale Geltung und Geltungseinheit) fondante per la possibilit della
percezione di altri, devo innanzitutto cercare di determinare in maniera adeguata la
portata (Reichweite) della costituzione primordiale come fondamento di validit
(Geltungsfundierung) [...] (Hu XV, 270-271). La consapevolezza sempre pi acuta
della necessaria collaborazione degli altri soggetti alla costruzione della mia
esperienza del mondo doveva costringere Husserl a ripensare criticamente il
significato e la portata dell'esperienza primordiale nel quadro di una fondazione
fenomenologico-trascendentale dell'intersoggettivit. Non tuttavia agevole indicare
con chiarezza il luogo testuale di un'autocritica esplicita, innanzitutto perch la
primordialit subisce nei manoscritti del Nachlass non pochi slittamenti semantici,
con esiti assai distanti dal radicalismo della V Meditazione (in vari contesti
l'esperienza primordiale coincide con l'esperienza originale, ma senza assumere
una connotazione solipsistica in senso stretto); troviamo per una serie di spunti,
approfondimenti, precisazioni che si accumulano in modo discontinuo entro la vasta
sedimentazione teorica della fenomenologia dell'intersoggettivit, e che permettono di
superare o almeno problematizzare alcune unilateralit: giocando per cos dire
Husserl contro Husserl, in realt mettendo a fuoco le molteplici dimensioni del suo
pensiero trascendentale. Queste dimensioni non appaiono meno significative e
stimolanti quando restano tendenziali e latenti, non adeguatamente sviluppate,
oppure contrastano con altre affermazioni dell'autore che sembrerebbero reclamare
un maggior peso in sede interpretativa.[85]
Alla luce della produzione inedita raccolta in Zur Phnomenologie der
Intersubjektivitt, le indagini della V Meditazione costituiscono soltanto un tentativo
di sintesi e di sistemazione, in quell'autentico laboratorio di ricerca che stato per
Husserl nell'arco di un trentennio la fenomenologia dell'intersoggettivit: pur
condotte con perizia magistrale, e capaci di dare una visione complessiva del disegno
filosofico che le sottende, non possono essere considerate il referente principale della
posizione husserliana, ma vanno sempre integrate nel pi ampio contesto da cui
emergono.[86] Per quanto riguarda il problema in discussione, che ci ha portato a
ravvisare la presenza di rimandi costitutivi all'intersoggettivit persino all'interno
della sfera primordiale dell'io, di estremo interesse un passaggio testuale risalente ai

primi anni '20, in cui viene introdotta formalmente la nozione di intersoggettivit


aperta;[87] dopo aver osservato che rimandi intersoggettivi sono presenti gi al livello
della costituzione originaria, passiva e pre-predicativa del campo fenomenico, e
dunque anche nei casi pi semplici della mia esperienza di oggetti, Husserl scrive:
Ogni oggetto, che mi sta di fronte agli occhi in un'esperienza e innanzitutto in una
percezione, ha un orizzonte appercettivo, quello dell'esperienza possibile, propria ed
estranea. Ontologicamente parlando, ogni manifestazione che io ho fin dal principio
membro di una sfera apertamente infinita, ma non esplicitamente realizzata, di
possibili manifestazioni della stessa cosa, e la soggettivit di queste manifestazioni
l'intersoggettivit aperta (und die Subjektivitt dieser Erscheinungen ist die offene
Intersubjektivitt) (Hu XIV, 289).
Qui, l'intersoggettivit aperta si configura chiaramente come il senso stesso della
cosa, la sua semantica ontologica originaria: se le manifestazioni sono fin dal principio
inserite in una rete infinita di rimandi ad altri possibili soggetti, non pi possibile
parlare di un'esperienza privata (esclusivamente mia) della cosa. In qualche
modo, il solus ipse trascendentale non merita questo nome, dobbiamo prendere
atto che la struttura orizzontale degli oggetti dell'esperienza (e, in primo luogo, della
percezione) propriamente la loro apertura intersoggettiva; l'orizzonte
intenzionale, correttamente esplicitato, non solo esibisce l'infinit delle
manifestazioni della cosa, la ricchezza inesauribile delle prospettive, ma la correla in
un nesso formale apodittico con l'infinit dei soggetti possibili. In termini differenti, la
cosa costituita come unit sintetica delle mie esperienze reali e possibili e di quelle
di ogni reale e possibile altro. L'intersoggettivit dunque la verit della cosa: La
cosa una regola per le manifestazioni. Ci significa: la cosa una realt in quanto
unit di una molteplicit di manifestazioni che sono connesse in modo regolato. E
questa unit un'unit intersoggettiva (Hu IV, 86). Nella fenomenologia
trascendentale, l'altro, la cosa, il mondo formano una connessione inscindibile, ma
anche un sistema dinamico i cui membri sono in continua interazione e si modificano
reciprocamente. Come chiarisce Husserl in uno scritto del 1929, ogni volta che un
nuovo soggetto entra nel mio campo di esperienza, il senso ontologico del mondo nel
suo complesso si modifica e si arricchisce, la mia esperienza del mondo rimodula il suo
stile in maniera conforme; ma tutto ci non sarebbe possibile se l'essere mondano non
avesse in se stesso la marca dell'intersoggettivit: Tutto l'essere mondano costituito
intersoggettivamente. La costituzione dell'intersoggettivit e del mondo
intersoggettivo costantemente in marcia (die Konstitution der Intersubjektivitt und
intersubjektiven Welt ist bestndig auf dem Marsch) e ha un orizzonte
corrispondente, in cui essa vale preliminarmente per me in quanto assume un senso
intersoggettivo sempre nuovo, in relazione a nuovi soggetti-io (Ichsubjekte). [...] Io
potrei anche dire: il senso del mondo essente per me, come mondo della mia
esperienza, della mia vita trascendentale, non mai concluso (fertig), un senso
aperto all'infinito. Esso si forma ininterrottamente nel progresso della mia esperienza,
ma non solo della mia esperienza primordiale, ma anche, e in maniera del tutto
diversa, attraverso l'esperienza empatica di altri (Hu XV, 45).
Oltre a tracciare le linee della fondazione trascendentale di un'ontologia pluralistica,
che risolve l'apparente fissit del senso dell'essere in un processo infinito cui
attivamente partecipano sempre nuovi soggetti, questo passaggio husserliano ci
mostra chiaramente come ogni ampliamento possibile della sfera intersoggettiva sia
prescritto gi dall'inizio nella forma di un orizzonte intenzionale indeterminato.[88]
Questo orizzonte indeterminato, ma determinabile, ci che Husserl altrove chiama

intersoggettivit aperta o apriori intersoggettivo, ed inseparabile dalla


compagine di senso in cui si costituisce ogni essere mondano; si tratta qui di una
struttura formale che apre il senso fenomenologico dell'oggettivit come tale, e
pertanto essa non ci parla solo di un alter ego o di una molteplicit determinata di
soggetti di cui possiamo avere realmente esperienza, bens innanzitutto della totalit
indeterminata (infinita, infinitamente aperta) dei soggetti possibili nella misura
in cui ognuno di essi un centro relativamente indipendente e comunque necessario
per la costituzione del mondo oggettivo. Spiega Husserl: Ora si comprende in che
senso devo dire: io sto tuttavia sullo stesso piano dell'altro come co-portatore
costitutivo del mondo (Ich stehe doch jedem Anderen als konstituierendem Mittrger
der Welt gleich). Cos come me stesso, anche ogni altro necessario per l'esserci del
mondo, di quello stesso mondo che per me il mondo reale, oggettivo. Non posso
ignorare l'esistenza di nessuno, se non voglio rinunciare a questo mondo (Keinen kann
ich wegdenken, ohne diese Welt preiszugeben). Non si pu ignorare nessun altro
soggetto gi determinato, e implicitamente nessun altro soggetto anticipato
nell'apertura di senso dell'orizzonte, sebbene indeterminato (Hu XV, 46).
Ma se l'apertura infinita dell'intersoggettivit, come correlato dell'unit del mondo,
non un semplice dato dell'esperienza, ma un presupposto trascendentale che
condiziona e rende possibile la continuit e la connessione degli elementi
dell'esperienza in un sistema,[89] che cosa rimane della distinzione tra
fenomenologia egologica e fenomenologia intersoggettiva? Quale valore si deve
attribuire alla dimensione metodologica del solipsismo trascendentale, una volta
appurato che la riduzione primordiale non mantiene tutte le sue promesse, nella
misura in cui il suo autentico residuo non pu consistere in una (inattingibile)
soggettivit pura? Se la pi modesta delle percezioni oggettuali reca in s,
indelebilmente, la traccia dell'estraneit nella forma indeterminata
dell'intersoggettivit aperta, come parlare di una Ding-erfahrung che non sia al tempo
stesso, e necessariamente, Fremd-erfahrung? I rapporti fondativi tra soggettivit e
intersoggettivit sul terreno trascendentale diventano assai pi ingarbugliati e, in
qualche caso, sembrano addirittura rovesciarsi: alla luce delle ultime considerazioni, il
solus ipse non tale in ogni senso e sotto tutti gli aspetti; c' infatti una dimensione
intersoggettiva dell'esperienza che resiste ad ogni tentativo di riduzione alla mia
sfera trascendentale di propriet. Anzich dire, come fa spesso Husserl, che la
riduzione primordiale costituisce uno strato elementare sul quale viene poi ad
innestarsi l'intersoggettivit attraverso il contributo operativo della Fremderfahrung,
non dovremmo invece riconoscere che in qualche modo la stessa sfera appartentiva o
primordiale del soggetto si fonda sull'intersoggettivit aperta? Se ci corrispondesse
a verit, quali conseguenze ne deriverebbero rispetto alla coerenza architettonica
della filosofia trascendentale husserliana?

4. L'impossibilit del solipsismo e i due problemi


fondamentali della teoria husserliana dell'intersoggettivit
Un'analisi dettagliata di questo plesso di questioni richiede una trattazione a parte,
possediamo per gli elementi per un primo bilancio teorico. Innanzitutto, si deve
riconoscere che l'intersoggettivit aperta, quale emersa da alcune indicazioni di
Husserl, solleva effettivamente un problema di coerenza interna della fenomenologia
trascendentale, in un punto decisivo del suo programma: se infatti l'intersoggettivit
inabita la stessa sfera appartentiva dell'io, la riduzione primordiale -- nel senso

letterale di una astrazione da tutti i prodotti costitutivi dell'intenzionalit riferita


mediatamente o immediatamente alla soggettivit estranea (MC, 116) che Husserl
esplicitamente persegue nella V Meditazione e in Logica formale e trascendentale -- si
rivela impossibile, e il ruolo del solus ipse trascendentale per la fondazione
dell'intersoggettivit va sicuramente ridiscusso. Uno strato di esperienza pura,
esclusivamente soggettiva, non fenomenologicamente conseguibile, neppure a titolo
ipotetico; la sfera primordiale presenta una curvatura intersoggettiva che non pu
essere ulteriormente ridotta, cio -- in questo caso -- ricondotta a qualcosa di pi
semplice, ad un nucleo fenomenico sottostante. L'intersoggettivit aperta una
struttura formale originaria, l'apriori intersoggettivo: come tale, e in questo
significato preciso, l'intersoggettivit non corrisponde ad un tema fenomenologico
particolare, pi o meno importante, ma costituisce una meta-categoria che attraversa
tutte le dimensioni della fenomenologia trascendentale (compresa quella
primordiale) .[90] Essa fornisce la conoscenza apodittica di un nesso strutturale, che
sul terreno argomentativo pu essere riformulato nel modo seguente: se si d
l'esperienza di un mondo (e di oggetti nel mondo), questa esperienza
necessariamente intersoggettiva (un presunto mondo da cui sia assente qualsiasi
riferimento intenzionale intersoggettivo , dal punto di vista fenomenologico, un
nulla di mondo, un non-mondo).
Il mondo , per il suo stesso senso, il polo ontologico di un'intenzionalit plurale,
strutturalmente aperto alla molteplicit (infinita) dei soggetti, sul piano formale
esso nient'altro che questa illimitata apertura intersoggettiva dell'esperienza
possibile.[91] La riduzione primordiale non pu offrire un residuo di soggettivit pura,
pi di quanto non possa esibire un oggetto percettivo privo di orizzonte intenzionale:
entrambe sono impossibilit fenomenologiche radicali, pur essendo concepibili
logicamente (il concetto di una percezione esterna priva di orizzonte intenzionale
non contraddice infatti una qualche legge del pensiero, ma effettivamente assurdo
alla luce di una struttura eidetica che, connettendo apoditticamente ogni percezione
cosale ad un orizzonte intenzionale e ad altre possibili percezioni, non pu essere
smentita o falsificata da alcuna esperienza).[92] Naturalmente, occorre leggere nei
margini meno illuminati dell'analisi husserliana dell'esperienza primordiale, per
recuperare, spesso al di l delle intenzioni esplicite dell'autore, questa connessione di
senso. Ad esempio, nel passaggio che riportiamo Husserl sembra ben consapevole che
la perdita del riferimento inter-soggettivo, a seguito di una riduzione egologica o
solipsistica dell'esperienza fenomenologica, conduce ad una radicale contrazione
dell'orizzonte mondano e, in ultima analisi, ad una perdita di mondo (e delle strutture
ontologiche correlative) da parte della soggettivit esperiente: Se io opero la
riduzione alle esperienze originali nel senso pi stretto della mia esperienza originale
ridotta egologicamente o solipsisticamente (egologisch oder solipsistisch), allora
ottengo certo un apriori, ma non un apriori di mondo; il mondo il mondo che esiste
in s, per tutti (Hu XIV, 385). D'altra parte, nello stesso testo la possibilit della
riduzione egologico-solipsistica non viene affatto messa in discussione e l'annotazione
husserliana potrebbe riferirsi, pi verosimilmente, ad una condizione ancora
naturale, pre-trascendentale: il mondo come tale esiste in s, per tutti, ma questa
certezza dell'atteggiamento naturale rimane ingenua finch non venga ricollocata e
riformulata nel linguaggio del trascendentale, dopo essere stata sottoposta al vaglio
critico della riduzione fenomenologica. Ma indagare fenomenologicamente il senso
di un'asserzione naturale come quella sull'intersoggettivit dell'esperienza del
mondo cosa assai diversa dal ricercare una presunta sfera solipsistica come
Urgrund della costituzione. In realt, tra i due obiettivi non sussiste alcuna

implicazione necessaria: se il primo di essi la semplice espressione


dell'atteggiamento fenomenologico-trascendentale, che riflette un'esigenza e non ci
impegna ancora sul piano dei contenuti, il secondo appare gi legato ad un'opzione
filosofica molto pi netta, nell'assunzione tacita (e, come tale, indiscussa) che per
comprendere il senso dell'intersoggettivit dobbiamo prima isolare la soggettivit
fenomenologica nella sua purezza soggettiva.[93] Ora, proprio questa riduzione del
campo dei fenomeni alla soggettivit pura si mostrata impraticabile, e dunque
occorre prendere Husserl assolutamente sul serio quando afferma l'inerenza
strutturale dell'oggetto intenzionale alla totalit dei soggetti come forma originaria
della mia esperienza di esso, gi a livello di percezione sensibile: L'oggettivit
mondana come correlato di questo atteggiamento abituale della mia esperienza, come
esperienza che si svolge nella dimensione intersoggettiva (ins Intersubjektive
durchzufhrender Erfahrung), ha una forma categoriale oggettivo-soggettiva, la
forma fondamentale dell'accessibilit e verificabilit intersoggettiva (die Grundform
der intersubjektiven Zugnglichkeit und Bewhrbarkeit), una relativit essenziale ad
ogni soggetto (zum Jedermann), che dal suo canto sta in connessione essenziale con
me, che di volta in volta lo esperisco e lo conosco (Hu XIV, 444).
Rimane allora da stabilire in quale misura il solus ipse trascendentale rappresenti
una possibilit fenomenologica genuina e non piuttosto un evidente punto debole della
filosofia husserliana dell'intersoggettivit, come le ultime considerazioni parrebbero
suggerire. Qual , in definitiva, il solus ipse che pu reggere il confronto con i dati
fenomenologici e le loro regole? Fin dove pu inoltrarsi quella solitudine del cogito
che gi in Descartes doveva marcare una zona di evidenza indubitabile del campo
cognitivo e che su Husserl sembra talora esercitare suggestioni altrettanto potenti?
Certamente, la scoperta husserliana dell'intersoggettivit aperta come struttura
onnipervasiva dell'esperienza fenomenologica di oggetti, come apriori
intersoggettivo che articola la stessa sfera appartentiva dell'io e rende possibile ogni
percezione cosale, pone un limite radicale e invalicabile all'esperimento solipsistico,
come pu essere condotto sul terreno fenomenologico-trascendentale; in altre parole,
per quanto possa concepirsi solo, prescindendo dall'esistenza di altri soggetti,
astraendo dal concreto universo intersoggettivo, il soggetto trascendentale
fenomenologico non pu tuttavia astrarre dal senso degli altri soggetti, dall'alterit
come tale, se non vuole precludersi la comprensione di s e del suo mondo. La scena
primaria del soggetto , fenomenologicamente parlando, una scena intersoggettiva;
[94] anche un mondo del tutto privo di altri soggetti, in cui sarei di fatto l'unico io
esistente, l'unico polo soggettivo reale della percezione e dell'esperienza, rimarrebbe
un mondo abitato e compenetrato dal senso dell'intersoggettivit. Come abbiamo
visto, esperire una semplice cosa in quanto cosa (identica nelle sue variazioni
prospettiche) significa gi entrare in un gioco differenziale di rimandi che incrina
immediatamente l'unicit e l'univocit del riferimento egologico, significa gi
disporsi (come soggetto dell'esperienza) lungo le linee di forza del campo
trascendentale dell'intersoggettivit aperta: il mondo pluralistico non perch di
fatto vi siano molteplici soggetti che di esso hanno esperienza, bens, pi
radicalmente, perch il senso dell'essere (o, meglio, il senso del mondo come orizzonte
ontologico) esige di per s, essenzialmente, l'infinita pluralit dei soggetti (reali e
possibili) .[95]
Sotto questo profilo, il solus ipse trascendentale non pu essere il soggetto di
un'esperienza percettiva totalmente privata, perch un'esperienza del genere non si d
affatto, fenomenologicamente inconfigurabile, e dunque neppure pu fornire la base

intenzionale per la costituzione dell'intersoggettivit.[96] La riduzione primordiale


della V Meditazione, con il suo radicalismo della propriet, arriva sempre troppo tardi:
lungi dal precedere (quanto al senso) la dimensione fenomenologica dell'estraneit,
la sfera appartentiva appare piuttosto un effetto secondario che, senza avvedersene, ha
alle proprie spalle il lavoro costitutivo dell'intersoggettivit aperta, dalla quale emerge,
per cos dire, a cose fatte (aprs coup). Se, dunque, la percezione cosale
(Dingwahrnehmung) di per s un'esperienza dell'estraneo (Fremderfahrung), e
questa connessione valida indipendentemente dalla questione fattuale dell'esistenza
di altri soggetti, ne dobbiamo concludere che la pretesa purezza del mondo
primordiale risulta in realt gi sempre contaminata dall'alterit, gi sempre
strutturata intersoggettivamente. L'altro nel cuore stesso della soggettivit
trascendentale in quanto essa vita che esperisce il mondo (welterfahrendes
Leben):[97] un atteggiamento solipsistico condotto alle ultime conseguenze, cio ad
una soglia di astrazione cos radicale da rendere impensabile non solo la realt degli
altri, ma anche la loro possibilit, ci darebbe come residuo non la monade che
Husserl descrive nei primi paragrafi della V Meditazione (e che, come abbiamo visto,
soggetto di un mondo), ma un soggetto senza mondo. Di fatto, il solipsismo
assoluto spezza in qualche punto quel nesso di implicazione tra soggettivit,
temporalit, corporeit e cinestesi che la fenomenologia della percezione ci ha rivelato
e che solo rende possibile il darsi di un mondo e di cose. La costituzione del mondo
(Weltkonstitution) come compito centrale della fenomenologia trascendentale
dunque, di necessit, una costituzione intersoggettiva: ad ogni livello dell'esperienza
fenomenologica l'alter ego il soggetto co-fungente della donazione di senso.[98]
L'intenzionalit trascendentale che apre l'io alla trascendenza del mondo la stessa
struttura che lo de-assolutizza, rivelandolo prospettico e finito, come tale bisognoso
dell'altro (anche da un punto di vista puramente cognitivo, e persino nell'ipotesi che
non esista alcun alter ego reale) .[99]
A questo punto, come si accennava, la rigida distinzione tra fenomenologia
egologica e fenomenologia intersoggettiva dovrebbe perdere ogni consistenza
descrittiva. allora inevitabile, almeno in prima battuta, porre una seria riserva critica
sull'intera fenomenologia husserliana dell'intersoggettivit, nel suo percorso
metodologico; in particolare, naufragato il progetto di far valere in maniera letterale le
istanze della riduzione primordiale, sembrerebbe altrettanto votato al fallimento il
tentativo di costituire l'alter ego mediatamente, tramite l'Einfhlung. Se la stessa
esperienza del solus ipse (trascendentale) attraversata, da parte a parte, da quella
intenzionalit al plurale che prende il nome di intersoggettivit aperta, non pi
possibile dire che la Paarung, l'incontro percettivo reale con un altro corpo organico,
sia il fondamento originario cui ricondurre, tout court, ogni senso pensabile di
estraneit. Al contrario, Paarung e Einfhlung presuppongono, come condizione
della loro possibilit e del loro concreto esercizio, l'orizzonte trascendentale
dell'intersoggettivit aperta; come apriori intersoggettivo del mondo fenomenico,
l'intersoggettivit aperta una trama pi originaria di ogni concreta Fremderfahrung,
pi antica (quanto al senso) di ogni effettivo incontro con un alter ego. In alcuni
testi degli anni '30 (non ancora pubblicati nelle Gesammelte Werke), in una fase di
intensa rielaborazione dell'orizzonte sistematico della fenomenologia, Husserl sembra
scorgere pi chiaramente il fondo aporetico della riduzione primordiale,
problematizzando l'ottica delle Meditazioni ed aprendosi ad una riconsiderazione
critica del ruolo dell'Einfhlung che di per s equivale ad una contestazione radicale
del paradigma solipsistico: Io esperisco la comunit con l'altro (Gemeinschaft mit
dem Anderen) nell'appresentazione empatica (in einfhlender Appresentation), come

parallelo della rimemorazione (Wiedererinnerung). Se la rimemorazione ha luogo,


allora la continuit del mio passato, nel mio costante auto-oblio (Selbstdeckung), nella
costante ritenzione, gi in gioco (schon da), presupposta, come fondamento
(Untergrund). Se entra in scena l'empatia, anche forse gi in gioco la comunit,
l'intersoggettivit, e l'empatia quindi soltanto un'operazione di disvelamento (bloss
enthllendes Leisten)? (Ms. C 17 84 b). Nel seguito del testo, la risposta di Husserl
senz'altro positiva; il parallelismo tra temporalit e intersoggettivit si regge
comunque sulla convinzione che solo un'intenzionalit anonima gi sempre fungente
possa giustificare (sul piano delle condizioni trascendentali) il darsi di
un'esperienza di differenza, in forma esplicita e tematica, senza che il processo
giustificativo si involga in un'argomentazione circolare o conduca ad un regresso
infinito. Da questo punto di vista, la vita soggettiva non ammette fratture o
discontinuit radicali; come l'io si coglie nel tempo solo in quanto , alla sorgente,
temporalit,[100] e l'identificazione ritenzionale dell'io attuale con il proprio passato
ha gi sempre avuto luogo, cos si deve assumere che l'apertura intersoggettiva dell'io
sia da sempre aperta, in quanto l'io , originariamente, intersoggettivit:
l'Einfhlung non pu dunque creare questa apertura, ma solo illuminarla ed
articolarla. Diversamente, l'altro non sarebbe integralmente trascendentale, non
sarebbe origine del senso anche per un io solitario come quello della sfera
primordiale.
Il fungere dell'intersoggettivit aperta, di una dimensione intersoggettiva tanto pi
donatrice di senso quanto meno risulta dipendente dal fatto della relazione io-tu, si
rivela a Husserl in strati sempre pi profondi (e, apparentemente, solipsistici) della
vita del soggetto. Se in precedenza l'accento cadeva sulla (pluri) prospetticit della
cosa spaziale, sulla costitutiva impossibilit di racchiudere in un cerchio puramente
soggettivo la dinamica della percezione esterna, ora l'analisi fenomenologica della
mia temporalit originaria a manifestare strutturali implicazioni intersoggettive; in
particolare, la presenza vivente (lebendige Gegenwart) [101] dell'io nell'apertura
ritenzionale e protenzionale che la caratterizza , in se stessa, co-presenza
(Mitgegenwart), dapprima in modo anonimo, ma necessariamente. In un passo molto
denso ed anche linguisticamente intricato, si delinea il concetto dialetticofenomenologico dell'alterit in se stessi come coappartenenza originaria del tempo
e dell'altro, nella caratterizzazione estatica della mia coscienza trascendentale:
L'altro co-presente in me (Der Andere ist in mir mitgegenwrtig). Io
assolutamente, in quanto presenza vivente, fluente, esistente, concreta, ho la presenza
dell'altro come co-presenza, manifestantesi appresentativamente in me, ma anche
manifestando l'altro come un io che ha in se stesso me, costituito nella sua presenza
vivente nel modo della co-presenza (in seiner lebendigen Gegenwart konstituiert in
der Weise der Mitgegenwart) (Ms C 3, III, 44 b). Deve perci esistere una struttura
intersoggettiva associata alla coscienza temporale, che immediatamente conduce il
mio presente oltre se stesso, non solo protenzionalmente verso il futuro, ma
appresentativamente verso altri.[102]
Non c' quindi dubbio che sul terreno fenomenologico-trascendentale i rapporti
fondativi tra solipsismo e intersoggettivit debbano essere, almeno in parte,
ridisegnati. In particolare, lo schema costitutivo lineare proposto da Husserl nelle
Meditazioni cartesiane e in Logica formale e trascendentale (ma anche in numerose
pagine degli inediti) non risulta convincente:[103] rispetto all'intenzionalit
fenomenologica realmente in gioco, non si d un passaggio (certo graduale e
articolato) da una condizione solipsistico-trascendentale, in cui l'estraneit

completamente assente, ad una intersoggettivit pienamente dispiegata, attraverso il


contributo dell'Einfhlung come esperienza di un alter ego reale (dato in carne e
ossa) .[104] Quanto al senso, l'apertura intersoggettiva della mia vita esperiente gi
in gioco, in maniera anonima e atematica, fin dal primo costituirsi di un campo
strutturato di fenomeni; su di essa che si fonda la possibilit di distinguere
(percettivamente) una cosa dalle sue manifestazioni, e di afferrare (riflessivamente)
un io lungo la scansione temporale del flusso di coscienza. In parole diverse, prima di
essere un altro realmente esperito, qui ed ora, l'altro nelle pieghe interne della
soggettivit come temporalit, nella sintassi del mondo percepito, nell'intreccio
dinamico di latenza e manifestazione entro il quale soltanto le cose possono
essermi date. In un altro manoscritto, sottolineando di nuovo il carattere astrattivo
della riduzione primordiale, Husserl formula pi chiaramente che altrove l'importante
asserzione che l'unit del mondo non scaturisce dalla sintesi delle differenti
primordialit, dalla messa in comune di contesti esperienziali privati, ma come
tale intersoggettiva: Naturalmente il mondo non si compone di mondi ridotti
primordialmente. Ogni primordialit il prodotto di una riduzione, da un senso
costituito intersoggettivamente e generativamente, il senso d'essere deriva
dall'esperienza intersoggettivamente concordante di ciascuno, un'esperienza che ha
gi un rimando di senso all'intersoggettivit (schon auf die Intersubjektivitt
Sinnbeziehung hat). La mia esperienza come esperienza del mondo (dunque gi
ognuna delle mie percezioni) non solo include gli altri come oggetti mondani, ma
sempre in co-validit ontologica gli altri come co-soggetti, come co-costituenti, ed
entrambi questi aspetti sono inseparabilmente connessi (beides ist untrennbar
verflochten) (Ms C 17 36 a).
Ma questa presenza di rimandi intersoggettivi nella fenomenologia del tempo e della
percezione ci mostra ancora una volta che la teoria dell'Einfhlung non pu, per
ragioni di principio, farsi carico della costituzione dell'intersoggettivit nel suo
complesso.[105] Il fenomeno concreto dell'alter ego, che entrando nel mio campo
percettivo non vi si esaurisce, non ha esclusivamente il senso di ci che vissuto,
ma esso stesso origine, presenza vivente, attivit disvelativa e costitutiva
dell'orizzonte totale, si staglia su uno sfondo gi intersoggettivo che potremmo
anche definire (con un termine non husserliano) differenza fenomenologica: la
differenza tra la cosa e le sue manifestazioni, quella tra il mondo e le cose, e la stessa
differenza dell'io da se stesso nella temporalizzazione incessante della propria vita,
chiamano in causa l'intersoggettivit, la relazione con altri, secondo forme e limiti che
occorrer determinare con maggiore rigore. Lavorare criticamente su questo terreno
potrebbe essere molto produttivo sia da un punto di vista storiografico che,
soprattutto, teoretico: da un lato, apparirebbe nella giusta luce il debito contratto nei
confronti di Husserl dalle principali teorie fenomenologiche e post-fenomenologiche
della relazione, dell'alterit, anche quando esse siano animate da un'espressa
volont di distacco dalla prospettiva trascendentale; d'altro canto, sottolineare
radicalmente come l'intersoggettivit non sia, in ultima analisi, un problema, ma il
problema della fenomenologia husserliana nella sua formulazione pi matura e
compiuta, condurrebbe a ridimensionare certe interpretazioni gnoseologizzanti del
pensiero trascendentale di Husserl, e a coglierne l'intima tensione etica, ben presente
non solo (com' ovvio) nelle analisi dedicate alla fenomenologia della ragione
pratica,[106] ma anche nel confronto serrato con le tematiche della monadologia,
della generativit, della storicit, della metafisica che emerge a pi riprese negli scritti
sull'intersoggettivit.

Tornando ora alla questione che ci ha impegnato a lungo in queste pagine ed


avviandoci ad una conclusione, proviamo a scrutare pi da vicino l'ambiguit di fondo
che pervade la fenomenologia husserliana dell'intersoggettivit e che all'origine di
non poche critiche, talvolta di veri e propri fraintendimenti. La pretesa di fondare
l'intersoggettivo sul puramente soggettivo, sia pure solo in prospettiva
metodologica, si rivelata priva di sbocco e anzi, nel suo impasse, ci ha costretto a
rivedere la gerarchia implicita: plasmata da una forma di intersoggettivit, la sfera
primordiale non pu essere quel dominio di assoluta propriet che Husserl
richiedeva. D'altra parte, le analisi husserliane vanno ben oltre questo impasse e
sembrano possedere gli elementi decisivi per ripristinare una coerenza complessiva
del discorso: forse sarebbe sufficiente rovesciare il rapporto di fondazione stabilito
cos chiaramente da Husserl nelle Meditazioni cartesiane, rinunciando
completamente all'ipotesi del solus ipse trascendentale, negando ogni funzione
esplicativa all'io monadico, e affermando senza alcuna esitazione che
l'intersoggettivit precede la soggettivit, il noi (fenomenologicamente e
ontologicamente) pi originario dell'io.[107] Del resto, questo esito in larga misura
presente nello stesso Husserl, a volte con formulazioni molto radicali, che in maniera
problematica coesistono con un approccio di tipo pi tradizionale, egologico. E
tuttavia, liquidare la questione fenomenologica del solus ipse come un mero residuo
dell'impostazione cartesiana del problema della soggettivit ci appare un'operazione
affrettata, e anche semplicistica, se non vengono in luce le ragioni che hanno spinto
Husserl a discorrere, fino all'ultimo, di una necessit del solipsismo (quanto meno
come apparenza trascendentale) .[108]
Per quanto possiamo vedere, l'ambiguit della teoria husserliana
dell'intersoggettivit deriva non solo da oscillazioni interne (che indubbiamente vi
sono, e sono state spesso rilevate), ma innanzitutto dalla distinzione (non sempre
chiara) dei livelli costitutivi della Fremderfahrung. Di fatto, sotto il titolo di
esperienza dell'estraneo indicato un intero campo di questioni, tutte di rilevanza
trascendentale, alcune delle quali soltanto sfiorate dal nostro discorso e altre rimaste
fuori considerazione; ma argomentando in termini di macro-livelli
dell'intersoggettivit trascendentale, importante distinguere rigorosamente la
Fremderfahrung come concreta esperienza di un altro essere incarnato dalla
Fremderfahrung come piega intersoggettiva autonoma assunta per ragioni
strutturali da ogni esperienza di oggetti, compresa quella primordiale. Se della
Fremderfahrung nella prima accezione Husserl ha sviluppato numerosissime
analisi e dato vita ad una ricca gamma di variazioni tematiche (al punto che
l'identificazione della fenomenologia dell'intersoggettivit con la teoria
dell'Einfhlung -- soprattutto nell'esposizione delle Meditazioni cartesiane -- ancora
oggi piuttosto comune), della Fremderfahrung nella seconda accezione, quella
dell'apriori intersoggettivo, non esiste una trattazione diffusa, bens un'ampia serie
di spunti e riflessioni. Quando nei testi husserliani le due dimensioni si intrecciano e
confondono, si radicalizza il profilo aporetico della fenomenologia
dell'intersoggettivit, secondo un doppio movimento: se, da un lato, il fondamento
trascendentale dell'intersoggettivit non pu certamente essere la sola Einfhlung,
anche vero che individuare questo fondamento nel puro apriori intersoggettivo
rischia di ridurre l'intersoggettivit fenomenologico-trascendentale ad una vuota
struttura di validit, relegando in secondo piano (o addirittura nel campo
dell'empirico) tutte quelle analisi concrete della relazione io-tu-noi che
rappresentano forse il contributo pi originale della filosofia husserliana del
soggetto.[109]

allora chiaro come una possibile soluzione dell'aporia debba passare per il
riconoscimento del carattere strettamente funzionale (non sostanziale) del
trascendentale fenomenologico; il problema della costituzione dell'intersoggettivit
non infatti univocamente definito, ma si scinde necessariamente nei due problemi
fondamentali -- correlati, ma ben distinti -- dell'apriori intersoggettivo e della
(inter) soggettivit trascendentale concreta. Con apriori intersoggettivo (in senso
eminente) vogliamo designare qui la nozione di intersoggettivit aperta, che
rappresenta il livello costitutivo pi originario e formale della soggettivit
fenomenologica in quanto essa , e non pu non essere, intenzionalit, esperienza-delmondo (in tutta la ricchezza delle sue possibilit operative e manifestative); come si
visto, questo livello costitutivo non riguarda unicamente la relazione intersoggettiva
nel suo significato pi comune, ma fonda la stessa possibilit di configurare un
soggetto solo: ancor prima di sapere se degli altri esistano, se ne avr mai
realmente esperienza, il fenomenologo pu afferrare in evidenza il nesso che lega
l'unit del mondo alla pluralit aperta dei soggetti costituenti, riconoscendo quindi che
il senso della soggettivit l'intersoggettivit, l'essere-nel-mondo , alla radice, esserecon-altri (certo in un significato diverso da quello heideggeriano).[110] Un tratto
notevole di questa deduzione fenomenologico-trascendentale dell'intersoggettivit,
rispetto ad analoghi argomenti diretti a stabilire un primato del noi sull'io, sta
proprio nell'aver portato a dissoluzione interna l'ipotesi del solipsismo assoluto:
quest'ultima viene assunta come ipotesi seria, con cui vale la pena di misurarsi a fondo
nella discussione filosofica, e dalle difficolt insuperabili che si oppongono ad una
coerente esecuzione della riduzione primordiale emerge pi nettamente
l'impossibilit di costituire un mondo privato, al di fuori della rete semantica tessuta
dall'apriori intersoggettivo.
Naturalmente, parlare di apriori intersoggettivo come struttura necessaria
dell'esperienza del mondo non significa affermare che l'esistenza degli altri soggetti sia
in qualche modo deducibile da questa struttura; tra l'intersoggettivit aperta e la
realt effettiva degli altri c' uno scarto che non pu essere colmato se non
dall'esperienza (nella sua concretezza, la Fremderfahrung un'esperienza sensata,
motivata, ma essenzialmente fallibile, incapace di esibire certezze assolute). Di per s,
l'apriori intersoggettivo non dice nulla sull'esistenza del mondo e di altri, tanto meno
pu darne una dimostrazione, ma, come abbiamo visto, si limita ad esprimere
formalmente, sul piano delle condizioni di possibilit, il seguente nesso
fenomenologico-trascendentale (apodittico): se esiste un mondo, un'unit
dell'esperienza possibile, l'intersoggettivit ne costituisce il senso, il tema semantico
originario. Rispetto alle forme pi classiche della filosofia trascendentale, l'originalit
e radicalit di questa prospettiva non richiede di essere ulteriormente sottolineata;
tuttavia, anche nei confronti delle nuove versioni del trascendentalismo (o posttrascendentalismo) che, sotto l'influsso di Heidegger e Wittgenstein, hanno posto in
luce il carattere strutturalmente linguistico della nostra apertura al mondo e agli altri,
articolando per certi versi un nuovo paradigma nella teoria dell'intersoggettivit,[111]
la fenomenologia husserliana presenta un'impostazione peculiare, che potremmo
definire dal basso (von unten auf):[112] la struttura intersoggettiva, pluralistica
dell'essere-nel-mondo non si manifesta chiaramente solo nell'orizzonte universale del
linguaggio, nella plasticit e inesauribilit delle forme linguistiche che tessono la
trama dei rapporti umani, ma anche nel campo dei fenomeni percettivi, nella
dimensione del sensibile, nel semplice darsi di una cosa secondo prospettive.
Parafrasando Wittgenstein, come non pu esistere un linguaggio privato, cos non pu
esistere una percezione (puramente) privata:[113] l'identit del reale

intersoggettiva all'origine; la differenza non un effetto di linguaggio, il modo di


darsi della cosa stessa; l'altro non integra la mia esperienza del mondo, la rende
possibile.
Queste tesi, che possono suonare estremamente lontane dalla lettera e dallo spirito
della filosofia husserliana, scaturiscono in maniera naturale da una riflessione sui
limiti della riduzione primordiale, cui lo stesso Husserl ci conduce nel suo percorso
analitico: l'intersoggettivit aperta, pienamente valorizzata, funge come attestazione
rigorosa dell'impossibilit del solipsismo assoluto e, in questo quadro, Husserl ha il
merito di separare pi chiaramente il problema filosofico dell'alterit come problema
del senso dalla questione riguardante l'esistenza, la presenza concreta di soggetti
diversi da me e in relazione con me.[114] Se, come abbiamo visto, la dimensione
intersoggettiva operante e irriducibile anche in una situazione di (fattuale)
solitudine dell'io, la conseguenza filosofica radicale che dobbiamo trarne che l'essere
stesso si d intersoggettivamente (neppure il solus ipse trascendentale, ovvero il
soggetto di quella esperienza che Husserl chiama appartentiva o primordiale, si
sottrae alla connessione universale). In altre parole, ogni cosa nell'orizzonte del
mondo non si scompone in un'infinit di prospettive perch vi sono di fatto molteplici
soggetti esperienti; al contrario, la possibilit che vi siano molteplici soggetti fondata
essa stessa nella costituzione pluriprospettica (o pluralistica) della cosa, e dunque la
molteplicit delle coscienze esistenti non produce ma rivela l'intersoggettivit del
senso d'essere del mondo. Ben difficilmente il carattere filosofico-trascendentale
dell'intersoggettivit come onnipresente condizione di possibilit dell'esperienza e del
discorso avrebbe potuto ricevere una sottolineatura pi netta.
Veniamo ora al secondo problema fondamentale della fenomenologia
dell'intersoggettivit, quello della intersoggettivit trascendentale concreta. Con
questo termine, ci riferiamo ad un campo di indagine diverso dal puro apriori
intersoggettivo, dalla struttura formale pluralistica che caratterizza ogni esperienza di
oggetti; ci che si prende qui in considerazione la relazione concreta tra due (o pi)
soggetti concreti, nelle sue differenti forme e modalit. Come sappiamo, il nucleo
originario di questa relazione l'Einfhlung, una presentificazione dei vissuti
dell'altro che si innesca nella mia coscienza solo in presenza di un secondo corpo
organico, spazialmente accoppiato al mio corpo (Paarung). La relazione empatica tra
due ego incarnati, che ha sempre attirato l'interesse principale di Husserl in tema di
intersoggettivit, presuppone l'apriori intersoggettivo, ma ci ovviamente non
significa che la fenomenologia dell'Einfhlung ricada nell'ambito dell'empirico, del
meramente fattuale, privo di implicazioni trascendentali rilevanti. Al contrario,
proprio perch la riflessione trascendentale in Husserl non muove dalle forme del
giudizio, da prodotti linguisticamente strutturati, pi o meno complessi, ma
direttamente dalla Lebenswelt, dagli atti e dai vissuti di un io che ha nel mondo il
suo orizzonte di comprensione e il terreno stabile della sua prassi, la dimensione
intersoggettiva pu finalmente essere esplorata in maniera integrale, dando piena
legittimit filosofica ad aspetti e strutture della vita del soggetto per lo pi trascurati
dalla tradizione. Come appare evidente a chiunque abbia un minimo di consuetudine
con i testi husserliani, l'intersoggettivit fenomenologico-trascendentale non il
titolo di un programma ambizioso destinato a rimanere vuoto, ma il portato di un
continuo lavoro analitico; da questo punto di vista, l'accento posto sull'apriori
intersoggettivo non deve in alcun modo indurci a collocare sullo sfondo le analisi della
(inter) soggettivit concreta, le quali soltanto ci permettono di vedere come si

costituiscono realmente le diverse forme di comunicazione e di comunit tra le


monadi.
Apriori intersoggettivo e intersoggettivit trascendentale concreta sono dunque i
due poli problematici pi generali attorno a cui si organizza e si sviluppa la
fenomenologia husserliana dell'intersoggettivit; nel campo di tensione da essi
generato, la questione del solipsismo trascendentale pu assumere contorni
paradossali. Che ne , in ultima istanza, del solus ipse? Risulta ormai chiaro che il
progetto neo-cartesiano di una costituzione solipsistica della cosa e, correlativamente,
di una estetica trascendentale come primo grado della teoria del mondo oggettivo,
non realizzabile, almeno non in quella forma assolutamente radicale e intransigente
che troviamo espressa nelle Meditazioni cartesiane.[115] Anche quando si declina nella
solitudine, il soggetto trascendentale dentro uno spazio potenzialmente plurale,
preso nella rete di rimandi ad altri soggetti che derivano dalla stessa strutturazione del
processo percettivo, in maniera necessaria. A livello programmatico, Husserl ha
certamente sopravvalutato le possibilit della riduzione primordiale, attribuendole un
ruolo fondativo primario che essa non in grado di sostenere: non c' alcuno strato di
soggettivit pura, l'intersoggettivit trascendentale fino in fondo e senza residui
nella misura in cui d senso e fa mondo. Ma, come spesso avviene nella fenomenologia
husserliana, le analisi effettive contraddicono le intenzioni programmatiche ed
offrono una prospettiva pi articolata; il concetto di intersoggettivit aperta ci
consente di individuare rigorosamente i limiti della costituzione solipsistica e i
manoscritti degli anni '30 sul rapporto tra temporalit e intersoggettivit mostrano
chiaramente (sebbene in modo aperto e problematico) una presa di distanza dalla
posizione precedente.
In ogni caso, la critica della riduzione primordiale e dell'impostazione metodologica
che ad essa fa riferimento non deve necessariamente coinvolgere la fenomenologia
della Fremderfahrung nel suo complesso: in particolare, la costituzione
dell'intersoggettivit tentata da Husserl nella V Meditazione pu definirsi, pi
coerentemente, come costituzione dell'intersoggettivit trascendentale concreta,
ovvero, al livello elementare, come indagine delle strutture noetico-noematiche che
entrano in gioco nel darsi di una soggettivit estranea reale (in carne e ossa, nel
senso letterale dell'espressione) all'interno del mio campo di esperienza.[116] Ci
appare perfettamente in linea con le analisi husserliane dell'Einfhlung, una volta
svincolate dalla pretesa di produrre il passaggio dalla soggettivit
all'intersoggettivit tout court, e reinterpretate come attinenti ad un problema
costitutivo pi specifico: a quali condizioni per me possibile incontrare la
trascendenza nella figura concreta di un altro uomo (o, come preferisce dire
Husserl, un alter ego trascendentale)? Se, da un lato, l'intersoggettivit funge
anonimamente in ogni esperienza, e dunque in un certo senso io sono gi sempre
fuori di me, nel mondo, anche evidente che soltanto nell'incontro con un'altra
coscienza (a me data come altra) la mia coscienza oltrepassa realmente se stessa (Hu
XIV, 9). qui che l'astrazione del solipsismo pu ancora svolgere un ruolo
significativo dal punto di vista del metodo: il solus ipse trascendentale non il
soggetto di un'esperienza privata, per principio inaccessibile, bens l'io puro che
precede (metodicamente) l'operazione costitutiva dell'Einfhlung e che, per questa
ragione, si coglie come unico (analogo discorso vale per la sfera primordiale). Scrive
Husserl: Nel senso metodico originario [la primordialit] significa l'astrazione che io,
l'ego degli atti riduttivi (das ego der reduktiven Einstellungen), compio nell'esercizio
della fenomenologia (phnomenologisierend), in quanto taglio fuori astrattivamente

tutte le 'empatie' (indem ich abstraktiv ausscheide alle 'Einfhlungen') (Hu XV,
635).
L'astrazione solipsistica, in questo senso pi limitato, si rivela indispensabile (o,
quantomeno, utile) per identificare i fondamenti elementari della relazione
intersoggettiva, quelle funzioni intenzionali senza le quali la concreta Fremderfahrung
non sarebbe possibile e che sono sufficienti a produrla (ci significa individuare dei
nessi fondativi: ad esempio, non posso esperire un io estraneo senza percepire il suo
corpo, i suoi movimenti espressivi, ecc.). In altri termini, la distinzione tra
fenomenologia soggettiva e fenomenologia intersoggettiva conserva una sua
istanza di validit se l'intersoggettivit aperta (l'apriori intersoggettivo) trasversale
ai due piani dell'indagine trascendentale e quindi la fenomenologia dell'Einfhlung
non viene a fecondare un terreno intersoggettivamente vergine, ma ad articolare lo
spazio della concretezza comunicativa. In questa versione pi debole, l'assunzione del
solipsismo trascendentale come premessa metodologica che accompagna molte
analisi di Husserl manifesta ancora qualche innegabile elemento di interesse, da
affidare ad una nuova discussione e ad una valutazione pi serena. Raffigurare un
soggetto solo e vedere come la sua esperienza solitaria si complica, si
approfondisce, arricchendosi di nuovi volti, non ci sembra un retaggio dogmatico di
epoche passate, n il tentativo pi o meno velato di ricondurre la trascendenza
dell'altro nel perimetro dell'ego,[117] ma corrisponde pienamente allo spirito positivo e
descrittivo della migliore fenomenologia husserliana. Sul terreno fenomenologico
l'esperimento di pensiero (Denkexperiment) o la finzione (Fiktion) del solus ipse,
lungi dal gettare un'ombra scettica sull'universo intersoggettivo, si genera nella
persuasione che l'intersoggettivit costituisca il fondo intenzionale ultimo di ogni
esperienza e di ogni discorso, e che proprio questo fondo, questa perenne riserva di
senso, dobbiamo sempre di nuovo interrogare (radicalmente, criticamente), affinch
non decada ad ovviet, a concretezza muta, a linguaggio sedimentato e
inconsapevole.[118] Secondo questa chiave di lettura, l'assenza dell'alter ego da cui
muove il fenomenologo non mira tanto a garantire un nucleo di inviolabilit dell'io
puro, attuando una strategia di autoassicurazione nei confronti dell'estraneo, quanto a
far emergere la necessit della connessione intersoggettiva nella sua struttura
sistematica. L'assoluto non pensabile che pluralisticamente, come comunit
monadica trascendentale, infinita apertura dell'orizzonte ontologico: Nessun assoluto
pu sottrarsi alla coesistenza universale (Kein Absolutes kann sich der universalen
Koexistenz entziehen), un non senso (Unsinn) che qualcosa sia e non stia in
connessione con un altro essere, che esso sia solo (allein) (Hu XV, 371).
Portando il discorso alle estreme conseguenze, anche al di l delle articolazioni
esplicite della dottrina husserliana, ma in una fedelt sostanziale al suo movimento
pi profondo, si potrebbe concludere nella maniera seguente: l'intersoggettivit non
una regione del senso, il senso stesso (fuori della connessione intersoggettiva c'
unicamente l'Unsinn). Se si tratta di riempire di contenuti questo assunto generale,
attraverso situazioni esemplari ed analisi strutturali, i testi di Husserl manifestano una
ricchezza insospettata ed una notevole capacit di penetrazione teoretica, che non
teme di confrontarsi con gli aspetti pi paradossali della riflessione sulla soggettivit e
di recarli in luce, per quanto possibile.[119] La ricchezza della prospettiva
fenomenologico-trascendentale oltrepassa ampiamente le indicazioni che abbiamo
potuto dare qui; al livello costitutivo pi alto, l'intersoggettivit trascendentale
concreta si sviluppa infatti lungo le linee tracciate dalla dimensione genetica,
generativa, storica e culturale della vita soggettiva, in un continuo affinamento-

approfondimento dello sguardo che annette alla filosofia trascendentale sempre nuove
zone di interesse.[120] Molte delle critiche rivolte a Husserl a proposito del suo
idealismo trascendentale, che come tale sarebbe ancora legato ad una concezione
ego-centrica e monologica della ragione umana, hanno il torto di soffermarsi
unilateralmente sulle aporie dell'argomentare husserliano, senza dedicare altrettanta
attenzione alle sue risorse:[121] la riflessione trascendentale di Husserl, nelle difficolt
ed ambiguit che costantemente l'accompagnano e che non avrebbe senso sottacere,
presenta un carattere aperto e adattivo, una capacit di rettifica ed integrazione
teorica delle proprie tesi che origina non solo dall'attitudine (auto) critica radicale del
filosofo, ma anche dal progressivo ampliamento della prospettiva, che spesso ha
l'effetto di relativizzare (rendendole meno perentorie e pi sfumate) alcune
assunzioni iniziali. Sotto questo aspetto, una valutazione equilibrata e attendibile del
trascendentalismo fenomenologico non pu limitarsi all'esame puntuale di singole
proposizioni programmatiche, n basarsi essenzialmente su una parte (sia pure
rilevante) della produzione husserliana, ma dovr percorrere il tema della
soggettivit trascendentale in tutta la complessit del suo sviluppo.

5. Bibliografia husserliana e sigle utilizzate nel testo


5.1. Opere di E. Husserl
E. Husserl, Gesammelte Werke, Nijhoff, Den Haag (dal volume XXVI: Kluwer,
Dordrecht/Boston/London), 1950-...:
Hu I
Cartesianische Meditationen und Pariser Vortrge (hrsg. von S. Strasser), 1950.
Hu II
Die Idee der Phnomenologie. Fnf Vorlesungen (hrsg von W. Biemel), 1950.
Hu III, 1
Ideen zu einer reinen Phnomenologie und einer phnomenologischen
Philosophie. Erstes Buch: Allgemeine Einfuhrung in die reine Phanomenologie
(Text der 1. -3. Auflage, neu hrsg. von K. Schuhmann), 1976.
Hu III, 2
Ideen zu einer reinen Phnomenologie und einer phnomenologischen
Philosophie. Erstes Buch: Allgemeine Einfhrung in die reine Phnomenologie,
Ergnzende Texte (1912-1929), (neu hrsg. von K. Schuhmann), 1976.
Hu IV
Ideen zu einer reinen Phnomenologie und einer phnomenologischen
Philosophie. Zweites Buch: Phnomenologische Untersuchungen zur
Konstitution (hrsg. von W. Biemel), 1952.
Hu V
Ideen zu einer reinen Phnomenologie und einer phnomenologischen
Philosophie. Drittes Buch: Die Phnomenologie und die Fundamente der
Wissenschaften (hrsg. von W. Biemel), 1952.
Hu VI

Die Krisis der europischen Wissenschaften und die transzendentale


Phnomenologie. Eine Einleitung in die phnomenologische Philosophie (hrsg.
von W. Biemel), 1954.
Hu VII
Erste Philosophie (1923/24). Ester Teil: Kritische Ideengeschichte (hrsg. von R.
Boehm), 1956.
Hu VIII
Erste philosophie (1923-24). Zweiter Teil: Theorie der phnomenologischen
Reduktion (hrsg. von R. Boehm), 1959.
Hu IX
Phnomenologische Psychologie (hrsg. von Walter Biemel), 1962.
Hu X
Zur Phnomenologe des inneren Zeitbewusstsein, hrsg. von R. Boehm, 1966.
Hu XI
Analysen zur passiven Synthesis. Aus Vorlesungs- und
Forschungsmanuskripten 1918- 1926 (hrsg. von M. Fleischer), 1966.
Hu XII
Philosophie der Arithmetik. Mit ergnzenden Texten (1890-1901) hrsg. von L.
Eley, 1970.
Hu XIII
Zur Phnomenologie der Intersubjektivitt. Texte aus dem Nachlass. Erster
Teil: 1905-1920, hrsg. von I. Kern, 1973.
Hu XIV
Zur Phnomenologie der Intersubjektivitt. Texte aus dem Nachlass. Zweiter
Teil: 1921-1928, hrsg. von I. Kern, 1973.
Hu XV
Zur Phnomenologie der Intersubjektivitt. Texte aus dem Nachlass. Dritter
Teil: 1929-1935, hrsg. von I. Kern, 1973.
Hu XVI
Ding und Raum. Vorlesungen 1907, hrsg. von U. Claesges, 1973.
Hu XVII
Formale und transzendentale Logik. Versuch einer Kritik der logischen
Vernunft, hrsg. von P. Janssen, 1974.
Hu XVIII
Logische Untersuchungen. Erster Band: Prolegomena zu einer reinen Logik,
hrsg. von E. Holenstein, 1975.
Hu XIX, 1
Logische Untersuchungen. Zweiter Band: Untersuchungen zur
Phnomenologie und Theorie der Erkenntnis. Erster Teil, hrsg. von U. Panzer,
1984.
Hu XIX, 2
Logische Untersuchungen. Zweiter Band: Untersuchungen zur
Phnomenologie und Theorie der Erkenntnis. Zweiter Teil, hrsg. von U. Panzer,
1984.

Hu XXI
Studien zur Arithmetik und Geometrie. Texte aus dem Nachlass (1886-1901) ,
hrsg. von I. Strohmeyer, 1983.
Hu XXII
Aufstze und Rezensionen (1890-1910) , hrsg. von B. Rang, 1979.
Hu XXIII
Phantasie, Bildbewusstsein, Erinnerung. Zur Phnomenologie der
anschaulichen Vergegenwrtigung. Texte aus dem Nachlass (1898-1925) , hrsg.
von E. Marbach, 1980.
Hu XXIV
Einleitung in die Logik und Erkenntnistheorie. Vorlesungen 1906-1907, hrsg.
von U. Melle, 1984.
Hu XXV
Aufstze und Vortrge (1911-1921) , hrsg. von T. Nenon und H. R. Sepp, 1986.
Hu XXVI
Vorlesungen ber Bedeutungslehre. Sommersemester 1908, hrsg. von U.
Panzer, 1986.
Hu XXVII
Aufstze und Vortrge (1922-1937) , hrsg. von T. Nenon und H. R. Sepp, 1989.
Hu XXVIII
Vorlesungen ber Ethik und Wertlehre (1908-1914) , hrsg. von U. Melle, 1988.
Hu XXIX
Die Krisis der europischen Wissenschaften und die transzendentale
Phnomenologie. Ergnzungsband. Texte aus dem Nachlass (1934-1937) , hrsg.
von R. N. Smid, 1992.
Hu XXX
Logik und allgemeine Wissenschaftstheorie. Vorlesungen 1917/18. Mit
ergnzenden Texten aus der ersten Fassung 1910/11, hrsg. von U. Panzer, 1995.
Hu XXXI
Aktive Synthesen: Aus der Vorlesung 'Transzendentale Logik'1920/21.
Ergnzungsband zu 'Analysen zur passiven Synthesis', hrsg von R. Breeur,
2000.
Hu XXXII
Natur und Geist: Vorlesungen Sommersemester 1927, hrsg. von M. Weiler,
2001.
Hu XXXIII
Die 'Bernauer Manuskripte'ber das Zeitbewutsein (1917/18) , hrsg. von R.
Bernet und D. Lohmar, 2001.
Hu XXXIV
Zur phnomenologischen Reduktion. Texte aus dem Nachlass (1926-1935) ,
hrsg. von S. Luft, 2002.
Hu XXXV
Einleitung in die Philosophie. Vorlesungen 1922/23, hrsg. von B. Goossens,
2002.

Hu XXXVI
Transzendentaler Idealismus. Texte aus dem Nachlass (1908-1921) , hrsg. von
R. Rollinger und R. Sowa, 2003.
Hu XXXVII
Einleitung in die Ethik. Vorlesungen Sommersemester 1920 und 1924, hrsg. von
H. Peucker, 2004.
Hu XXXVIII
Wahrnehmung und Aufmerksamkeit. Texte aus dem Nachlass (1893-1912) ,
hrsg. von T. Vongehr und R. Giuliani, 2005.

5.2. Traduzioni italiane citate


Idee
Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, tr. it. di G.
Alliney, integrata da E. Filippini, 3 voll., Einaudi, Torino 1950-1965.
MC
Meditazioni cartesiane. Con l'aggiunta dei Discorsi parigini, nuova edizione
italiana a cura di F. Costa, Bompiani, Milano 1989.
LFT
Logica formale e trascendentale, tr. it. di G. D. Neri, Laterza, Bari 1966.
Crisi
La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, tr. it. di E.
Filippini, EST, Milano 1997.
SP
Lezioni sulla sintesi passiva, tr. it. di P. Spinicci, Guerini e Associati, Milano
1993.
FTC
Fenomenologia e teoria della conoscenza, tr. it. di P. Volont, Bompiani, Milano
2000.
Copyright 2009 Mario Smargiassi

Mario Smargiassi. Solipsismo e intersoggettivit nella fenomenologia trascendentale di


Edmund Husserl. Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia [in linea], anno 11 (2009)
[inserito il 5 luglio 2009], disponibile su World Wide Web:
<http://mondodomani.org/dialegesthai/>, [324 KB], ISSN 1128-5478.

Note
1. E. Husserl, Zur Phnomenologie der Intersubjektivitt I, II, III, Nijhoff, Den Haag 1973.
Di questo testo fondamentale della fenomenologia husserliana, che raccoglie scritti
sull'intersoggettivit composti da Husserl tra il 1905 e il 1936, non esiste ancora una
traduzione italiana, nemmeno parziale. Si tratta di un materiale teoreticamente molto
ricco, ma assai eterogeneo e spesso frammentario: da corsi di lezioni a progetti di
pubblicazioni, da testi per seminari o conferenze ad appunti e riflessioni solitarie che

documentano il procedere, talora faticoso ed aporetico, di una ricerca sempre in divenire.


Per i riferimenti alle Gesammelte Werke e alle traduzioni italiane utilizzate nel presente
saggio, si rimanda alla Bibliografia. Le traduzioni dei passi dei testi husserliani non
ancora disponibili in italiano sono mie.
2. Per comprendere il carattere assolutamente sui generis dell'idealismo fenomenologico,
che produce una trasformazione strutturale della nozione di soggettivit trascendentale
permettendone la riformulazione in termini di concretezza comunitaria, gli scritti e le
lezioni universitarie di Emilio Baccarini mi hanno offerto un continuo stimolo teorico.
Cfr., in particolare, E. Baccarini, La fenomenologia. Filosofia come vocazione, Studium,
Roma 1981; Id.., La soggettivit dialogica, Aracne, Roma 2002. Tra le sintesi pi recenti,
a testimonianza del nuovo corso degli studi husserliani in Italia e di un rinnovato
interesse per la fenomenologia, cfr. V. Costa, E. Franzini, P. Spinicci, La fenomenologia,
Einaudi, Torino 2002.
3. La questione dell'intersoggettivit stata sempre al centro dell'interesse degli studiosi di
Husserl, almeno da quando il vasto continente degli inediti divenuto universalmente
accessibile e ha fornito una prospettiva di lettura pi ampia e articolata. Ma solo negli
ultimi quindici anni, mi sembra, emersa chiaramente la tendenza a considerare la
fenomenologia husserliana dell'intersoggettivit come un progetto filosofico fecondo,
tuttora percorribile nelle sue linee guida, sebbene criticabile (ovviamente) su singoli
assunti o per l'esito di determinate analisi. Soprattutto, si messo in luce come
l'intersoggettivit trascendentale non possa in alcun modo essere ridotta ad un'unica
dimensione teoretica, problematica o analitica (ad esempio: il superamento del problema
del solipsismo, la fondazione dell'esperienza dell'alter ego, l'analisi fenomenologica
dell'empatia, ecc.), ma, per come si presenta realmente nelle pagine di Husserl,
costituisca il nodo centrale dell'intera fenomenologia trascendentale, nel quale si
intrecciano tutti i fili delle indagini fenomenologiche: in altre parole, una sorta di cartina
di tornasole di tutta la filosofia husserliana, che ce la fa apparire nella sua complessit e
concretezza. Tra gli autori che maggiormente hanno insistito su questa linea
argomentativa, sottolineandone l'interesse filosofico-sistematico e corredandola di
continui riferimenti testuali (sia editi che inediti), cfr. G. Rmpp, Husserls
Phnomenologie der Intersubjektivitt. Und ihre Bedeutung fr eine Theorie
intersubjektiver Objektivitt und die Konzeption einer phnomenologischen Philosophie,
Kluwer, Dordrecht/Boston/London 1992; D. Zahavi, Husserl und die transzendentale
Intersubjektivitt. Eine Antwort auf die sprachpragmatische Kritik, Kluwer,
Dordrecht/Boston/London 1996. I risultati delle ricerche di Rmpp e Zahavi sono stati
costantemente tenuti in considerazione nell'elaborazione di questo saggio. Molto utile,
per un confronto con i temi pi importanti e, spesso, pi problematici della
fenomenologia dell'intersoggettivit il volume di R. Kozlowski, Die Aporien der
Intersubjektivitt. Eine Auseinandersetzung mit Husserls Intersubjektivittstheorie,
Knigshausen und Neumann, Wrzburg 1991 (rispetto ai due autori precedenti, tuttavia,
si riscontra qui una minore attenzione agli aspetti costruttivi del discorso husserliano e
anche, mi sembra, qualche fraintendimento delle intenzioni di Husserl che genera
un'indebita moltiplicazione delle aporie). Per un'introduzione al problema
fenomenologico dell'intersoggettivit in Husserl e un primo contatto con i testi, cfr. E.
Baccarini, La fenomenologia, cit., pp. 72-86; R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund
Husserl, Il Mulino, Bologna 1992, pp. 200-211. Un'analisi lucida ed equilibrata della
teoria husserliana dell'intersoggettivit, con particolare attenzione agli aspetti
metodologici ed epistemologici, un esame delle principali difficolt teoriche interne e una
difesa molto argomentata dell'unit di fondo della riflessione di Husserl sul tema, si
trovano in J. Iribarne, Husserls Theorie der Intersubjektivitt, Alber, Freiburg 1994.
4. Per un approccio ad una interpretazione di questo tipo, in un confronto puntuale con i
testi husserliani pi significativi in proposito, mi permetto di rinviare a: M. Smargiassi,
La soggettivit trascendentale concreta. Linee per una rilettura della fenomenologia di
Edmund Husserl, Aracne, Roma 2003 (il terzo capitolo interamente dedicato

all'intersoggettivit). Per un bilancio critico della questione dell'intersoggettivit dopo


Husserl e per un'analisi delle obiezioni pi rilevanti mosse alla filosofia husserliana del
soggetto, sia da prospettive interne alla fenomenologia (Heidegger, Sartre, MerleauPonty, Schutz, Patocka, ecc.), sia dal punto di vista linguistico-pragmatico-trascendentale
(Apel e Habermas), cfr. D. Zahavi, Husserls und die transzendentale Intersubjektivitt,
cit. In generale, mi sembra fondamentale tutto il lavoro di revisione e approfondimento
dei testi husserliani compiuto in questi anni da Dan Zahavi, nel tentativo di rilanciare il
programma fenomenologico-trascendentale per il suo valore teoretico attuale, e non per
un semplice interesse storiografico (magari per limitarsi a sottolineare ci che il pensiero
novecentesco deve a Husserl, pi o meno consapevolmente). Questo tentativo, come gi
detto, non esime dalla critica a Husserl, anche radicale, su alcuni punti specifici della sua
riflessione filosofica: direi anzi che la incoraggia e la rende necessaria.
5. Com' noto, Descartes ha formulato la questione del solipsismo (la solitudine del
cogito) in una radicalit e purezza sconosciute al pensiero antico, saldandola al tempo
stesso ad un'esigenza critico-metodologica (la fondazione rigorosa del sapere umano, in
tutti i suoi ambiti di validit). Husserl riconosce esplicitamente il debito profondo che la
moderna filosofia del conoscere ha nei confronti di Descartes e annovera il pensatore
francese tra i padri della fenomenologia trascendentale, colui che per primo ne ha
scoperto (sia pure fraintendendolo naturalisticamente) il tema universale, il terreno
originario di ogni possibile evidenza scientifica: la soggettivit trascendentale. Pur
prendendo sistematicamente le distanze da Descartes (la soggettivit trascendentale,
come residuo della riduzione fenomenologica, non una res cogitans, non
sostanza priva di mondo, ma in correlazione con il suo mondo), Husserl resta per, in
alcuni passaggi della sua riflessione fenomenologico-trascendentale, dominato dall'idea
cartesiana dell'evidenza come certezza integrale, assoluta impermeabilit al dubbio
(anche quando le concrete analisi fenomenologiche sembrerebbero condurre a risultati
differenti). Per quanto riguarda il solipsismo metodologico cartesiano, quale troviamo
ben esemplificato nelle Meditazioni metafisiche, occorre dire che Husserl ne condivide
certamente alcune istanze, ma in un contesto analitico che lo porta a ripensare il
soggetto in termini radicalmente diversi da quelli di Descartes, come vedremo. Sulle
caratteristiche peculiari del cartesianismo fenomenologico, anche in prospettiva
storica, cfr. T. Nenon, Husserls phnomenologischer Cartesianismus: Zum Verhltnis
von Selbstbewusstsein und Selbstverantwortung in seiner phnomenologischen
Transzendentalphilosophie, in: Phnomenologische Forschungen, Neue Folge, 2, 1997,
pp. 177-188.
6. Naturalmente, dati gli obiettivi limitati di questo saggio non sar possibile dare un'idea
adeguata della ricchezza di analisi fenomenologiche che Husserl ha dedicato, per le
ragioni che vedremo, all'intersoggettivit, esplorata in tutte le dimensioni costitutive (non
solo ai livelli pi elementari della percezione, della corporeit, della temporalit e
dell'Einfhlung, ma anche a quelli di ordine superiore del linguaggio, della comunit,
della storia, della cultura, ecc). Quale che sia il giudizio complessivo sulla fenomenologia
trascendentale intersoggettiva, non va trascurato un punto fondamentale: Dall'inverno
del 1910-11 e fino alla sua morte, Husserl ha lavorato tenacemente sui differenti aspetti
del problema dell'intersoggettivit e ha lasciato in eredit un patrimonio di analisi che da
un punto di vista quantitativo [e talvolta -- aggiungeremmo -- anche qualitativo] superano
di gran lunga la trattazione di questo tema da parte di ognuno dei fenomenologi
successivi (D. Zahavi, Husserl's Intersubjective Transformation of Transcendental
Philosophy, in: D. Welton (edited by), The New Husserl. A Critical Reader, Indiana
University Press, Bloomington & Indianapolis 2003, pp. 233-251, p. 233).
7. E' ancora piuttosto diffusa, soprattutto a livello manualistico, l'idea che l'intersoggettivit
sia un tema caratteristico dell'ultimo Husserl, e non, com' in realt, una costante del
suo itinerario fenomenologico (dopo le Ricerche logiche). Cfr., ad esempio, G. Fornero, S.
Tassinari, Le filosofie del Novecento, Mondadori, Milano 2004, p. 604, dove il carattere

intersoggettivo della soggettivit trascendentale viene segnalato come un'importante


novit delle Meditazioni cartesiane.
8. Secondo Eduard Marbach, Husserl ha abbandonato la teoria non-egologica (o
a-soggettiva) della coscienza, che caratterizzava l'impostazione analitica delle Ricerche
logiche, proprio perch essa si era rivelata incompatibile con la struttura intersoggettiva
dell'esperienza possibile e con l'esigenza di assumere, come dato fenomenologico
incontestabile (e non puramente psicologico), la pluralit delle coscienze. Cfr. E.
Marbach, Das Problem des Ich in der Phnomenologie Husserls, Nijhoff, Den Haag 1974
(cap. V).
9. Sulla riduzione (o epoch) fenomenologico-trascendentale, come esercizio metodologico
teso a dischiudere il campo della soggettivit trascendentale, Husserl ritornato a pi
riprese (dopo l'ampia trattazione che ne diede in Idee I), tematizzandone sempre di nuovo
il senso e cercando di aprire nuove vie alla sua esecuzione. Per una ricognizione
complessiva di questa tematica cos centrale negli scritti husserliani, cfr. R. Bernet, I.
Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, cit., pp. 83-121).
10. Tutto ci che vale per me, vale anche, a quanto ne so, per tutti gli altri uomini, che mi
sono alla mano nel mio mondo circostante. Sperimentandoli come uomini, li comprendo
e li accetto come io, quale io sono, e riferentisi ciascuno al suo mondo circostante
naturale: in maniera tale per che concepisco il loro e il mio mondo circostante come un
solo e medesimo mondo oggettivo, che si diversifica soltanto nel modo con cui giunge alla
coscienza di ciascuno di noi. [...] Con tutto questo, noi ci intendiamo con i nostri simili e
poniamo insieme una realt oggettiva spazio-temporale, quale nostro comune mondo
esistente, a cui noi stessi apparteniamo (Idee, 61).
11. Sarebbe in effetti riduttivo (e, alla luce dell'evidenza testuale, insostenibile) pensare che il
solipsismo trascendentale sia soltanto il prodotto dei fraintendimenti dei lettori o
dell'ambiguit del linguaggio husserliano, e non un problema reale dalle molteplici
risonanze interne. Cfr. G. Ehrl, Solipsismusproblem und Intersubjektivittstheorie in
Husserls Vorlesungen von 1910/11 und 1923-24, in: Philosophia prima, 14, 2001, pp.
255-287.
12. Ad esempio, Kozlowski ritiene che Husserl, anzich affidarsi esclusivamente alla datit
dell'altro, come imporrebbe il principio metodologico-descrittivo della fenomenologica,
cerchi incessantemente di fondarlo muovendo dalla sfera egologica, considerata
originaria e autonoma (oltre che indeterminata dal punto di vista linguistico, il che
renderebbe impossibile il tentativo di costituire un mondo comune, una socialit, sulla
base della Fremderfahrung). In questa tensione egologizzante dell'indagine sarebbe da
individuare il vizio d'origine della fenomenologia husserliana dell'intersoggettivit (cfr. R.
Kozlowski, Die Aporien der Intersubjektivitt, cit., p. 64). Analogamente, Waldenfels
considera strutturalmente destinato al fallimento il progetto che Husserl articola nelle
Meditazioni cartesiane, ovvero la fondazione della sfera intersoggettiva e sociale
dell'esperienza umana sul terreno dell'egologia pura; tutto questo, per Waldenfels,
conduce nella strettoia del solipsismo trascendentale e dell'acosmismo, poich non viene
riconosciuta agli altri soggetti la loro assoluta peculiarit e al mondo la sua relativa
autonomia (B. Waldenfels, Das Zwischenreich des Dialogs. Sozialphilosophische
Untersuchungen in Anschluss an Edmund Husserl, Nijhoff, Den Haag 1971, p. ). Ma gi
Alfred Schtz, pi radicalmente, considerava impossibile una qualsiasi soluzione del
problema dell'intersoggettivit sul terreno trascendentale: L'intersoggettivit non un
problema della costituzione, risolvibile nella sfera trascendentale, ma una datit della
Lebenswelt (A. Schtz, Collected Papers III, Nijhoff, The Hague 1975, p. 116). Per
Schtz, quindi, occorrerebbe scindere i due lati dell'equazione husserliana separando
l'intersoggettivit dal trascendentale e sfruttando pienamente le intuizioni
dell'ultimo Husserl sulla Lebenswelt in direzione di una fenomenologia del mondo
sociale.

13. Sulla fallibilit di principio dell'esperienza dell'estraneo, anche considerata in relazione


all'apoditticit dell'io trascendentale, cfr. D. Carr, Interpreting Husserl. Critical and
Comparative Studies, Kluwer, Dordrecht 1987, pp. 63-sgg.
14. Tra i diversi approcci utilizzati da Husserl nel tentativo di rendere trasparente, a se stesso
e ai lettori, il metodo della riduzione fenomenologica, la via cartesiana certamente
quella pi discussa e criticata nella letteratura husserliana. Lo stesso Husserl ha talvolta
mostrato perplessit e ripensamenti in proposito, riconoscendo i limiti di un'introduzione
al trascendentalismo fenomenologico troppo legata allo stile argomentativo della filosofia
del cogito; di fatto, rileva Husserl nella Crisi, la radicalizzazione della polarit
intenzionale coscienza-mondo in termini di essere assoluto-essere relativo, che
aveva caratterizzato l'esposizione della riduzione in Idee I, riesce s ad esibire l'ego
trascendentale nella sua immediatezza fenomenologica, tuttavia sulle prime non si riesce
affatto a capire che cosa si sia guadagnato e come possa essere stata attinta una scienza
del fondamento, una scienza completamente nuova e decisiva per qualsiasi filosofia
(Crisi, p. 182). Sui limiti strutturali della via cartesiana in relazione alla tematica
dell'intersoggettivit, cfr. I. Kern, Die drei Wege zur transzendentalphnomenologischen Reduktion in der Philosophie Edmund Husserls, in: Tijdschrift
voor filosofie, 2, 1962, pp. 303-349).
15. Cfr. il famoso e controverso 49 di Idee I, La coscienza assoluta come residuo
dell'annientamento del mondo. Scrive Husserl: L'essere della coscienza, di ogni corrente
di Erlebnisse in generale, verrebbe s modificato necessariamente da un annientamento
del mondo delle cose, ma non ne sarebbe toccato nella sua propria esistenza. [...]
Dunque nessun essere reale, tale cio che si rappresenti e si giustifichi coscienzialmente
mediante apparizioni, necessario all'essere della coscienza stessa (nel senso amplissimo
di corrente di Erlebnisse). L'essere immanente dunque indubitabilmente essere assoluto
nel senso che per principio nulla re indiget ad existendum. D'altra parte, il mondo
della res trascendente assolutamente relativo [angewiesen] alla coscienza, non come
logicamente immaginata, ma come attuale (Idee, 107).
16. Tra i numerosi interpreti che sottolineano il carattere essenzialmente nonfenomenologico di questa ipotesi, puro retaggio di una concezione pre-intenzionale e
sostanzialistica della coscienza, cfr. Rudolf Bernet, che la paragona ad un gioco di
prestigio (tour de magie), senza alcuna ricaduta sulla motivazione ad effettuare quel
passaggio dall'atteggiamento naturale all'atteggiamento trascendentale che Husserl
auspicava: L'ipotesi di un annullamento del mondo dunque contraria al senso
dell'intenzionalit che, incessantemente, porta il soggetto ad interessarsi alle cose del
mondo cos come al loro apparire. L'annullamento del mondo si basa sul dualismo
ontologico (di tipo cartesiano) tra l'essere (evidente) della coscienza immanente e l'essere
(dubitabile) del mondo trascendente, dualismo che, fondamentalmente, ostacola la
comprensione del senso di una costituzione trascendentale del mondo da parte del
soggetto (cfr. R. Bernet, La double vie du sujet, Puf, Paris 1994, pp. 98-99).
17. Hutcheson nega che sia possibile superare il solipsismo su base puramente
fenomenologica, se ci dovesse significare una risposta alla domanda fattuale
sull'esistenza degli altri soggetti, poich Husserl interessato unicamente al senso di
questa esistenza. In caso contrario, verrebbe violata la regola fondamentale
dell'atteggiamento fenomenologico, che prescrive di porre metodologicamente tra
parentesi ogni forma di riferimento ontologico: Una risposta al solipsista in questo modo
costituirebbe un riferimento ontologico (ontological commitment) all'esistenza di altri
soggetti. Ma il compimento della riduzione fenomenologica equivale all'astensione da
ogni riferimento ontologico (P. Hutcheson, Husserl's Problem of Intersubjectivity, in:
Journal of the British Society of Phenomenology, 11, 1980, pp. 144-162, p. 146). In realt,
questa separazione tra fatto e senso non impedisce che la fenomenologia possa offrire una
risposta (sia pure implicita) anche alla questione fattuale, mostrando appunto che al di
fuori di una costante verificazione condotta sul terreno dell'esperienza non possibile
alcun accesso all'esistenza di altre soggettivit.

18. Com' noto, questo atteggiamento assai critico nei confronti dell'intersoggettivit
trascendentale proviene spesso da autori di orientamento fenomenologico, che con
Husserl si sono confrontati in modo fecondo e creativo, inaugurando una nuova stagione
della fenomenologia. Abbiamo gi accennato a Schtz, il quale ritiene che il concetto
husserliano dell'io trascendentale (non diversamente da quello kantiano) sia
essenzialmente chiuso alla dimensione pluralistica del mondo sociale, nonostante tutti gli
sforzi compiuti da Husserl in tale direzione: Ci si deve seriamente chiedere se l'io
trascendentale nel concetto husserliano non sia essenzialmente ci che i grammatici latini
chiamano un singulare tantum, cio un termine che non pu essere declinato al
plurale. Inoltre, non stabilito in nessun modo se l'esistenza di altri sia davvero un
problema della sfera trascendentale, vale a dire se tra soggetti trascendentali si ponga il
problema dell'intersoggettivit [...]; o se invece intersoggettivit e socialit non
appartengano esclusivamente alla sfera mondana del nostro mondo-della-vita (A.
Schtz, Collected Papers I, Nijhoff, The Hague 1962, p. 167). Schtz dunque disposto a
seguire Husserl sul terreno delle analisi concrete della Lebenswelt, ma non su quello della
riduzione fenomenologica e della soggettivit trascendentale, poich quest'ultima sarebbe
di per s unica e indeclinabile, incapace per principio di generare quella distinzione delle
persone (io-tu-noi) che invece ci immediatamente accessibile nel mondo naturale in
cui siamo, gi da sempre, collocati. Anche Sartre, nonostante il riconoscimento del
carattere rivoluzionario della teoria dell'intenzionalit e del contributo che l'alter ego
offre alla costituzione del mondo empirico, ritiene che in ultima analisi Husserl non sia
realmente riuscito a sfuggire al solipsismo, perch di fatto la sua fenomenologia
dell'intersoggettivit non comprende la relazione con l'altro che in termini cognitivi
(lasciando fuori la dimensione ontologico-esistenziale, extramondana): Husserl si
privato di qualsiasi possibilit di comprendere ci che pu significare l'essere
extramondano d'altri, perch definisce l'essere come la semplice indicazione di una serie
infinita di operazioni da compiere. [...] Comunque, avendo ridotto l'essere ad una serie di
significazioni, il solo legame che Husserl ha potuto stabilire tra il mio essere e quello degli
altri, il legame della conoscenza; non ha saputo, quindi, sfuggire al solipsismo pi di
quanto non abbia fatto Kant (J. P. Sartre, L'Essere e il nulla, tr. it. di G. Del Bo, rev. a
cura di F. Fergnani e M. Lazzari, EST, Milano 1997, p. 280).
19. Una critica dell'idealismo trascendentale husserliano, condotta nella prospettiva di
un'ontologia realistica, si trova in R. Ingarden, On the Motives which led Husserl to
Transcendental Idealism, Nijhoff, The Hague 1975.
20. Per il ruolo che rivestono le Lezioni del 1910/11 per la metodologia fenomenologica in
tema di intersoggettivit, Problemi fondamentali della fenomenologia, cfr. la nota 47.
21. L'ovviet (Selbstverstndlichkeit) il modo di darsi del mondo nell'atteggiamento
naturale e da essa prende avvio ogni forma di interrogazione filosofico-trascendentale: Il
mondo l'unico universo di ovviet gi date. Gi in partenza il fenomenologo vive nel
paradosso di essere costretto a considerare l'ovvio come problematico ed enigmatico e,
inoltre, di non potersi proporre alcun tema scientifico se non questo: la necessit di
trasformare l'ovviet universale dell'essere del mondo -- che per lui il massimo tra gli
enigmi -- in qualcosa di comprensibile e di trasparente (Crisi, 206).
22. Dietro la spinosa questione del solus ipse trascendentale c' il fatto elementare,
filosoficamente opaco, della singolarit intrascendibile dell'io. Sul terreno
fenomenologico, l'io non pu che essere singolare, anche quando si coglie in comunit
reale con altri uomini. Singolare anche, per ragioni essenziali, il soggetto che compie
l'epoch e si interroga, concretamente, sul significato degli altri soggetti, sospendendone
la validit ingenua di enti gi dati: Sono io che attuo l'epoch, anche quando con me ci
sono gli altri, altri uomini che operano con me l'epoch in una comunit attuale; perci
con la mia epoch tutti gli altri uomini, e la vita di tutti i loro atti, rientrano nel fenomeno
del mondo che, nella mia epoch, esclusivamente mio. L'epoch crea una singolare
solitudine filosofica, che l'esigenza metodica fondamentale di una filosofia realmente
radicale. In questa solitudine l'io non un singolo che per un capriccio qualsiasi, per

quanto teoreticamente legittimo (oppure per un caso, come quello per cui, per esempio,
un uomo pu essere travolto dalla vita), voglia particolarizzarsi ed estraniarsi dalla
comunit degli uomini a cui sa tuttavia di appartenere. Io non sono un io che attribuisca
ancora una validit naturale al suo tu e al suo noi e alla sua comunit totale di cosoggetti (Crisi, 210). Dissipato quindi l'equivoco del solipsismo egoistico o,
eventualmente, patologico (cui Husserl sembra disposto ad accordare una qualche
legittimit teoretica, se non altro come casi limite), rimane valida l'esigenza di
cominciare l'indagine fenomenologica muovendo da un soggetto non ancora
intersoggettivo (visto che il senso dell'intersoggettivit interamente in questione) e di
sottolineare che l'ego trascendentale mantiene intatta la sua struttura singolare,
individuale, in tutte le situazioni di commercium con gli altri. Sulla problematica dell'Urich, che radicalizza questo discorso, cfr. la nota 110.
23. Giustamente Gadamer rileva come il primato metodologico dell'ego trascendentale
venga mantenuto fermo da Husserl anche nell'ultima fase della riflessione
fenomenologico-trascendentale e come la stessa analisi dell'intersoggettivit, con le sue
distinzioni categoriali, non scalfisca tale primato: L'ego trascendentale non un io nel
mondo. L'enorme difficolt consiste nel riconoscere tutto ci e nel mantenerlo fermo. Lo
stesso vale per il problema dell'intersoggettivit. Pare di nuovo legittimo chiedersi come
possano il tu e il noi costituirsi in un ego trascendentale. Per quanto questa difficolt
impegni Husserl, essa tuttavia non lo dissuade dal mantenere fermo il primato
metodologico dell'ego trascendentale (H. G. Gadamer, Il movimento fenomenologico, tr.
it. di C. Sinigaglia, Laterza, Roma-Bari 1994). In ogni caso, tutto sta nel vedere cosa
significhi effettivamente questa priorit metodologica del punto di vista soggettivo e
individuale, che Husserl ritiene inseparabile da una comprensione autentica e
filosoficamente fondata dell'intersoggettivit.
24. Per Husserl l'accesso alla dimensione intersoggettiva, anche se trascendentalmente
considerata, non pu avvenire da un punto di vista neutrale o terzo, ma sempre e
solo in prima persona, da una prospettiva singolare e determinata. Ci significa che ogni
forma di esperienza dell'alterit, a qualsiasi livello della sua configurazione
fenomenologica, non pu che essere ego-centrata, polarizzata intorno ad un io, e
questo io, lungi dall'essere una struttura astratta e sovra-individuale, una Bewusstsein
berhaupt, sempre la mia soggettivit, la soggettivit di chi realmente compie
l'esperienza in questione. Si consideri, ad esempio, quello che dice Husserl in uno scritto
del 1917 (Fenomenologia e teoria della conoscenza), articolando quel rapporto tra
egologia e intersoggettivit che ha rappresentato, per molti versi, una questione
spinosa e controversa per l'interpretazione della fenomenologia trascendentale: Tutto si
svolge comunque nel mio io e nella mia coscienza; nella sua immanenza io decido non
solo del mondo intero, ma anche dell'essere e non essere degli altri soggetti e della
conoscenza altrui, come pure della produzione a opera dell'umanit di una scienza
comune e di una comune conoscenza oggettiva del mondo. A una riflessione radicale,
dunque, perfino il mondo degli esseri umani costituito intersoggettivamente si costituisce
in realt per me attraverso le pure connessioni della mia coscienza (FTC, 211). Ora, se ad
una prima lettura sembrerebbe di trovarci di fronte ad una variazione sul tema classico
dell'idealismo soggettivo, ad uno sguardo pi approfondito si profila nient'altro che il
riconoscimento di ci che, nel linguaggio heideggeriano, potrebbe definirsi l'essersempre-mio (la Je-meinigkeit) come struttura elementare del campo di esperienza del
soggetto. In parole pi semplici, ogni approccio all'intersoggettivit rimane, per ragioni di
principio, monadico, senza che in ci si debba scorgere alcun tipo di inclinazione
soggettivistica o solipsistica: come vedremo, sempre dalla mia prospettiva di coscienza
incarnata e temporale che si manifesta la complessa semantica fenomenologica
dell'intersoggettivit. La soggettivit, per Husserl, principium individuationis e dunque
non avrebbe senso, almeno da un punto di vista strettamente fenomenologico, la pretesa
di scavalcare la dimensione egologica per attingere il mondo e gli altri in maniera
diversa: l'io, come fatto e come senso, sarebbe ancora in gioco in tutto ci.

25. Per un'analisi approfondita e sistematica del rapporto tra Husserl e Kant, ancora
fondamentale il volume di I. Kern, Husserl und Kant. Eine Untersuchung ber Husserls
Verhltnis zu Kant und zum Neukantianismus, Nijhoff, Den Haag 1964, che ormai
costituisce un classico non solo dell'interpretazione della fenomenologia husserliana,
ma della storiografia sulla filosofia trascendentale. Ci detto, con gli studi pi recenti sono
emersi chiaramente alcuni limiti dell'impostazione di Kern, che appare un po' troppo
conciliante nel situare i due maggiori pensatori del trascendentalismo moderno lungo
la medesima linea argomentativa, nonostante le differenze puntualmente rilevate.
Nell'ampia letteratura critica sull'argomento, si segnalano: E. Marbach, Das Problem des
Ich in der Phnomenologie Husserls, cit., pp. 247-282. V. De Palma, Il soggetto e
l'esperienza. La critica di Husserl a Kant e il problema fenomenologico trascendentale,
Quodlibet, Macerata 2001; R. Paimann, Formale Strukturen der Subjektivitt.
Egologische Grundlagen des Systems der Transzendentalphilosophie bei Kant und
Husserl, Meiner, Hamburg 2002; A. Ales Bello, Husserl interprete di Kant, in:
Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia, anno 7 (2005).
26. Cfr. J. J. Kockelmans, Edmund Husserl's Phenomenology, Purdue University Press,
Lafayette 1994, p. 281.
27. Questo punto illustrato molto bene da Enzo Paci, che coglie nella iniziale piega
solipsistica della fenomenologia husserliana nient'altro che l'apertura di un orizzonte
tematico, in cui l'enigma dell'estraneit (la trascendenza dell'altro nella mia immanenza)
non tanto si risolve, ma si dispiega e chiarisce nella trama delle motivazioni che lo
generano: Si tratta di vedere come l'altro da me pu essere veramente tale pur pur
essendo in me. Ci significa vedere come si presenta l'altro nella mia sfera
fenomenologica. Come possibile la trascendenza dell'altro nella mia immanenza?
Sembrerebbe che l'obiezione di solipsismo fosse presentata alla fenomenologia
dall'esterno. In realt essa interna al programma della fenomenologia. In questo
programma io devo arrivare all'Ego cogito. Ma all'interno dell'Ego cogito si presenta
qualcosa che, pur essendo in me, mi trascende. [...] L'Alter-ego apre una ricerca, la ricerca
di tutto ci che mi si presenta come estraneo. Tutto ci che io sento cos diventa il tema
della ricerca. Ci che si presenta sar seguito nei suoi motivi tematici, nelle sue
motivazioni (E. Paci, Tempo e verit nella fenomenologia di Husserl, Bompiani,
Milano 1990, pp. 95-96).
28. Nella riflessione di Husserl sull'intersoggettivit difficile individuare delle fasi
nettamente caratterizzate, perch essa non appare attraversata da vere e proprie svolte
o discontinuit, ma si configura piuttosto come un movimento oscillatorio o a zig zag
intorno ad alcuni poli strutturali di significato, che vengono continuamente ripresi,
discussi, modificati, approfonditi. Il confronto tra le opere pubblicate da Husserl e i
manoscritti del Nachlass , sotto questo aspetto, assai istruttivo.
29. Cfr. J. Dodd, Idealism and Corporeity. An Essay on the Problem of the Body in Husserl's
Phenomenology, Kluwer, Dordrecht/Boston/London, 1997, pp. 17-21.
30. Sulla riduzione primordiale e il suo ruolo fondativo nell'analisi dell'intersoggettivit
trascendentale, cfr. G. Rmpp, Husserls Phnomenologie der Intersubjektivitt, cit. pp.
25-35. All'interno di questi fenomeni primordiali si deve allora indagare fino a che punto
si estende la costituzione meramente primordiale, che va compresa senza riferimento alla
soggettivit estranea e alla sua validit (p. 29).
31. In un passo importante di Idee II, Husserl si preoccupa di distinguere accuratamente il
solus ipse nella dimensione trascendentale dal soggetto umano, oggettivamente
considerato, che sperimenti una condizione di isolamento o di solitudine: A ben
guardare il solus ipse [trascendentale] non conosce un corpo proprio obiettivo in un
senso pieno e autentico, anche se avesse il fenomeno del suo corpo proprio e i sistemi
delle inerenti molteplicit dell'esperienza, e se li avesse compiutamente come l'uomo
sociale. L'astrazione che noi abbiamo attuato consapevolmente e legittimamente, non
propone uomini isolati, la personalit umana isolata. Questa astrazione non consisteva

neanche in un eccidio in massa degli uomini e degli animali del nostro mondo circostante,
un eccidio che risparmierebbe soltanto il proprio soggetto. Il soggetto che cos
sussisterebbe sarebbe ancor sempre un soggetto umano, sarebbe ancor sempre cio un
soggetto intersoggettivo e continuo ad apprendere e a porre se stesso come tale. Ma il
soggetto che abbiamo costruito non sa nulla di un ambiente umano, non sa nulla di una
realt o anche solo della possibilit reale di altri nel senso dell'apprensione
dell'umanit da parte di corpi propri comprensibili, quindi non sa nulla di un corpo
proprio comprensibile per gli altri, non sa nulla del fatto che altri soggetti potrebbero
considerare lo stesso mondo, quello stesso mondo che ai diversi soggetti appare in modo
diverso e non sa nulla del fatto che queste apparizioni sarebbero sempre in riferimento ai
loro corpi, ecc. (Idee, 475-476). Naturalmente, pur non conoscendo un corpo proprio
obiettivo (nel senso pregnante di entit intersoggettivamente identificabile), il solus ipse
trascendentale ha invece il fenomeno del corpo proprio come unit peculiare di senso
all'interno della sfera appartentiva (come subito vedremo).
32. Che la riduzione primordiale sia un semplice artificio metodico (bloss methodischer
Kunstgriff), stato contestato da Klaus Held, secondo il quale l'attivit costitutiva della
Fremderfahrung presuppone uno stadio della vita del soggetto da cui l'altro ,
originariamente, assente: All'inizio della vita della coscienza c' un Robinson
trascendentale (K. Held, Das Problem der Intersubjektivitt und die Idee einer
phnomenologischen Transzendentalphilosophie, in: U. Claesges, K. Held (hrsgg.),
Perspektiven transzendental-phnomenologischer Forschung, Nijhoff, Den Haag 1972,
pp. 3-60, p. 49). Held sembra qui attribuire a Husserl l'intento di una ricostruzione
storico-genetica della coscienza trascendentale, che per appare essenzialmente estraneo
all'ottica delle Meditazioni cartesiane (l'analisi della Fremderfahrung, almeno in quel
contesto, vuole essere un'analisi statico-strutturale). D'altra parte, anche se si ritiene che
la sfera appartentiva non abbia alcuna priorit temporale rispetto all'intersoggettivit, la
stessa assunzione di una priorit di senso del proprio nei confronti dell'estraneo ,
da un punto di vista strettamente fenomenologico, molto problematica.
33. La funzione appropriante del corpo non semplice indice dell'autoriferimento e
autoriconoscimento della soggettivit, ma anche condizione dell'appropriazione
strumentale e finalistica delle cose nell'ambiente circostante: Tra tutte le cose spaziali
della mia sfera universale pratica il mio corpo la pi originariamente mia (das
ursprnglichst Meine), la mia propriet duratura, duratura nella mia disposizione, la pi
originaria e l'unica immediata che a mia disposizione. Ci di cui (da bambino) mi sono
appropriato come prima cosa e in modo immediato e che ora organo, mezzo per
l'appropriazione di tutto (Mittel ist fr die Zueignung von allem und jedem): direzione
pi diretta del mio sguardo nel mondo [...]; il corpo ha quindi in s il carattere pi
originario di ci che mio, appartenente a me, contrasta con l'estraneo al quale io non
sono partecipe, cio non praticamente (Hu XIV, 58). D'altra parte, in quanto modalit
concreta in cui ha luogo l'apertura dell'io al mondo, il corpo ha anche una funzione
espropriante, rimanda costitutivamente all'estraneit, sia perch nel corpo e attraverso il
corpo io sono esposto alle cose e agli altri, sia perch l'accesso esperienziale all'alter
ego, come vedremo subito, passa per la dinamica dell'intercorporeit.
34. Il tema della corporeit (Leiblichkeit) centrale in tutta la riflessione husserliana e gi
questo rilievo pu suggerirci come l'idealismo fenomenologico sia essenzialmente
orientato a cogliere la soggettivit (e intersoggettivit) ai livelli di massima concretezza
manifestativa, pur avvalendosi di astrazioni per delimitare provvisoriamente alcuni
nuclei descrittivi. Se, infatti, Husserl sembra riproporre un modulo argomentativo di tipo
dualistico (cartesiano), quando oppone (come costituente a costituita) la purezza
trascendentale dell'io alla soggettivit concreta e corporea, si tratta in realt soltanto di
una separazione metodologica di piani, per cui un'analisi formale dell'io come polo dei
vissuti pu essere effettuata lasciando indeterminata e non-tematizzata la dimensione
corporea. D'altro canto, per Husserl unicamente nel mondo e con gli altri che il soggetto
diventa concreto, e questa concretizzazione non gli fa perdere il carattere

trascendentale che possedeva come io puro, ma lo approfondisce, gli d spessore


operativo ed esistenziale. Sotto questo angolo visuale, la funzione costitutiva della
corporeit per l'analisi e la comprensione della vita soggettiva pu difficilmente essere
sopravvalutata. Nella sua monografia dedicata al problema del corpo nell'idealismo
husserliano, James Dodd ha parlato a giusto titolo di ubiquit del corpo, per
sottolinearne la presenza pervasiva, tematica o non tematica, nelle pi importanti
ricerche fenomenologico-trascendentali (spazio, tempo, percezione, intenzionalit,
riflessione, ecc.). Cfr. J. Dodd, Idealism and Corporeity, cit., p. 4. Cfr. anche D. Zahavi,
Husserl's Phenomenology of the Body, in Etudes Phnomnologiques 19, 1994, pp. 6384.
35. In questo senso la riduzione primordiale, all'interno dell'esposizione sistematica di
Husserl, costituisce solo un prius metodico, che ha luogo tramite un'astrazione in
relazione al concreto flusso di coscienza, e in nessun modo equivale ad una restrizione
scettica della conoscenza (K. R. Meist, Monadologische Intersubjektivitt. Zum
Konstitutionsproblem von Welt und Geschichte bei Husserl, in: Zeitschrift fr
philosophischen Forschung, 34, 1980, pp. 561-589, p. 567).
36. Nella fenomenologia husserliana, la soggettivit trascendentale non indica una mera
struttura formale, sottesa in qualche modo alla coscienza individuale e in grado di
fondarla, ma vuole essere il polo manifestativo della vita del soggetto nella sua piena
concretezza. D'altro canto, occorre anche riconoscere che in Husserl l'approccio al
concreto non immediato e diretto, ma mediato e graduale, e di fatto reso possibile
da una serie di astrazioni successive, che vengono via via superate in funzione di una
comprensione sempre pi penetrante e adeguata alla situazione realmente data
nell'esperienza. Ad esempio, l'io puro che Husserl ci descrive nel 80 di Idee I il
primo livello della soggettivit trascendentale fenomenologica e pu esserlo solo in
quanto ha un fondamento descrittivo come centro degli atti intenzionali e principio di
unit di un flusso di coscienza; tuttavia l'io, fenomenologicamente inteso, non soltanto
un punto di riferimento polare degli atti e delle affezioni, ma anche un sostrato di
abitualit (ha un'unit non puramente formale, ma genetica e per cos dire storica).
Ancora, concretizzando ulteriormente il terreno descrittivo, si dovr ammettere che l'io
stesso non si riduce a questo, ma costituisce l'unit di una vita personale, persona
trascendentale (Hu XXXIV, 451) e, per quanto riguarda il tema dell'intersoggettivit,
non bisogna dimenticare che per Husserl senza l'empatia, l'essere-con-gli-altri, il soggetto
non propriamente persona (la persona tale sempre e solo nell'apertura intersoggettiva
e nell'associazione delle persone). Infine, come meglio vedremo pi avanti, sotto i titoli di
monade e di comunit intermonadica Husserl designa la forma pi concreta della
soggettivit e della vita soggettiva, una forma che in qualche mondo ricapitola tutti i livelli
descrittivi precedenti, integrandoli.
37. Le differenza radicale della trascendenza dell'altro rispetto alle modalit di
manifestazione delle cose, degli oggetti mondani, viene affermata senza mezzi termini da
Husserl in uno scritto del 1922: La trascendenza di un oggetto naturale
essenzialmente, fondamentalmente diversa (grundwesentlich andere) dalla trascendenza
di un soggetto estraneo, di una soggettivit monadica estranea. [...] La trascendenza della
cosa intuitiva, che mi data come reale nella percezione, come essente in carne e ossa
(leibhaft), , possiamo ora anche dire, in se stessa soltanto una forma di immanenza
(selbst nur eine Form der Immanenz) (Hu XIV, 244, 246). Si tratta di una differenza
fenomenologica cardinale, intorno alla quale ruotano tutti i concetti e le forme
dell'intersoggettivit.
38. Nessuna immaginabile teoria pu coglierci in errore nel principio di tutti i principi: cio
che ogni visione originalmente offerente una sorgente legittima di conoscenza, che
tutto ci che si d originalmente nell'intuizione (per cos dire in carne ed ossa) da
assumere come esso si d, ma anche soltanto nei limiti in cui si d (Idee, 50-51).
39. In questa direzione ci sembra si muova la ricostruzione di Rmpp, il quale sottolinea
continuamente il tema dell'esperibilit (Erfahrbarkeit) dell'altro come essere

trascendente (cfr. G. Rmpp, Husserls Phnomenologie der Intersubjektivitt, cit., p. 15).


Si potrebbe parlare, con espressione un po' paradossale ma coerente con l'impostazione di
fondo del pensiero husserliano, della teoria trascendentale dell'intersoggettivit come
fenomenologia della trascendenza: in definitiva, tutto lo sforzo profuso da Husserl
intorno alla chiarificazione della Fremderfahrung pu essere letto come un tentativo,
sempre rinnovato, di risalire alle fonti di evidenza di quella trascendenza radicale che la
soggettivit estranea (che anche per Husserl non mai cos estranea da non essere, al
tempo stesso, costitutiva del mio stesso essere-nel-mondo, a tutti i livelli).
40. Si tratta certamente di un motivo di origine kantiana, reso tuttavia pi stringente
dall'assenza in Husserl di ogni riferimento trascendentale alle cose in s inconoscibili (sia
pure in termini esclusivamente negativi, come sembra essere il caso della Critica della
ragion pura).
41. Se ho una conoscenza empatica razionalmente verificata nell'unit della mia vita di
coscienza, non sono quindi solus ipse, e il soggettivismo trascendentale della
fenomenologia non implica minimamente un tale solipsismo, ma io devo pormi anche
nell'atteggiamento assoluto come un io che ha un tu (ich muss mich auch in absoluter
Einstellung als ein Ich setzen, das ein Du hat), e mi pongo in questa forma in modo
assolutamente giustificato, come un ego trascendentale all'interno di una pluralit di ego
trascendentali coesistenti con me (als ein transzendentales Ego einer mit mir
koexistenten Mehrheit von transzendentalen Egos). Ma ogni pluralit coesistente ha la
sua forma necessaria (= forma di orientamento), e una forma scambievole di ciascuno di
questi ego. Essa pu presentarsi sempre solo nella forma ego-alteri. Io ho per me la forma
originale ego, ogni altro ha la forma non-originale dell'alter, mentre egli per s ego
(Hu XXXV, 282-283).
42. Il concetto di costituzione di senso , com' noto, tra i pi discussi e controversi della
fenomenologia trascendentale, e lo stato gi nella cerchia degli allievi husserliani di
Gttingen, nell'ambito della polemica sull'idealismo che aveva accompagnato la prima
ricezione di Idee I (1913). Le maggiori difficolt interpretative dipendono essenzialmente
dal fatto che, come altre nozioni chiave della fenomenologia husserliana, anche quella di
costituzione ha un carattere assai pi operativo che definitorio (su questo punto, rimane
illuminante il saggio di E. Fink, Operative Begriffe der Husserlschen Phnomenologie,
in Zeitschrift fr philosophische Forschung, 11, 1957, pp. 321-337). Se abbastanza facile
rimproverare a Husserl sostanziali variazioni, oscillazioni e anche ambiguit semantiche
nell'uso dei Grundbegriffe del metodo fenomenologico, d'altra parte proprio l'elasticit di
questo uso (nei differenti contesti di indagine o nel processo interno di revisione critica)
rende alcune obiezioni di principio molto meno perentorie e convincenti di quanto
possano apparire in prima battuta. Per un'analisi genetica del concetto di costituzione,
ancora utile il lavoro di R. Sokolowski, The Formation of Husserl's Concept of
Constitution, Nijhoff, The Hague 1970.
43. Cfr., per un approccio di questo genere, E. Melandri, Logica e esperienza in Husserl, Il
Mulino, Bologna 1960.
44. Il termine Einfhlung (tradotto in italiano con empatia o, talvolta, con entropatia)
deriva a Husserl da Theodor Lipps, anche se nell'ambito fenomenologico assume un
significato molto diverso da quello che aveva nella cosiddetta teoria dell'inferenza
analogica di Lipps (cfr. R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, p. 203). Per un
approfondimento della tematica dell'Einfhlung, ancora prezioso il saggio di Edith
Stein, alla quale si deve tra l'altro una parte cospicua del lavoro di redazione di Idee II.
Cfr. E. Stein, Il problema dell'empatia (tr. it. di E. Costantini e E. Schulze Costantini),
Studium, Roma 1998. Sul problema dell'empatia nella fenomenologia husserliana, cfr.
anche A. Diemer, Edmund Husserl. Versuch einer systematischen Darstellung seiner
Phnomenologie, Hain, Meisenheim am Glan, 1956, pp. 284-294; M. Theunissen, Der
Andere. Studien zur Sozialontologie der Gegenwart, De Gruyter, Berlin/New York, 1977,
pp. 55-150. Sull'empatia come incontro con i vissuti degli altri e modalit di
partecipazione soggettiva al loro complesso mondo interiore, non possibile, anche in

una prospettiva fenomenologica, ignorare il contributo delle neuroscienze. Negli ultimi


anni, la scoperta dei cosiddetti neuroni specchio, che si attivano in presenza di un altro
soggetto e mi sintonizzano, per cos dire istantaneamente, sulla sua vita cognitiva ed
emotiva, ha riportato in primo piano, tra i gli scienziati pi sensibili al dialogo con la
filosofia, la teoria husserliana dell'Einfhlung, come utile e stimolante termine di
confronto. Per una prima valutazione di questo nuovo scenario, in riferimento alle
specifiche caratteristiche che assume in Husserl il problema dell'empatia, cfr. D. Lohmar,
Spiegelneuronen: Die neurobiologische Antwort auf das Intersubjektivittsproblem, die
Husserl noch nicht kannte? Husserls Uberlegungen zum Fremdpsychischen im Lichte der
Kognitionswissenschaften, in: Interdisziplinre Phnomenologie, 1, 2004, pp. 241-254.
45. La trascendenza dell'altro, formulata in termini temporali, quella di un presente
estraneo (fremde Gegenwart) che, proprio per la sua originalit che sfugge alla presa
della mia percezione, non pu che configurarsi come presente presentificato
(vergegenwrtigte Gegenwart), come il darsi di uno scarto, di una differenza irriducibile
nell'esperienza del soggetto. Su questa struttura differenziale, che ovviamente non esclude
ma rende possibile la comunicazione tra i soggetti e la costituzione di una temporalit
comune, ha posto l'attenzione Rmpp, individuando in essa il concetto chiave della teoria
dell'intersoggettivit sotto il profilo temporale: Questa trascendenza di un presente
estraneo ora la nuova formulazione di quella mediatezza dell'intenzionalit, che separa
la propriet essenziale dell'altro da quella dell'io esperiente in modo tale che l'essere-altro
(die Andersheit) rimane confermato nonostante la possibilit di esperienza [dell'altro]
strutturata intenzionalmente (G. Rmpp, Husserls Phnomenologie der
Intersubjektivitt, cit., p. 101).
46. Lo statuto cognitivo (o pre-cognitivo) dell'Einfhlung pu risultare ambiguo, anche
perch Husserl ce lo descrive spesso per affinit-contrasto rispetto ad altri atti
intenzionali, dei quali gi nota la struttura (la percezione, il ricordo, il pensiero ecc.).
Pur differenziandola costantemente dalla Wahrnehmung vera e propria, Husserl parla
talora dell'Einfhlung come Fremdwahrnehmung, per sottolinearne il carattere di
effettiva Erfahrung. Pi precisamente, se l'Einfhlung non ammette un riempimento
percettivo, e da questo punto di vista Husserl appare giustificato nell'attribuirle un
carattere mediato e indiretto, sembra altrettanto corretto definirla un'esperienza
immediata e diretta se confrontata con atti di tipo inferenziale-deduttivo, dai quali
essa si distingue radicalmente. L'empatia non un'esperienza mediata (Einfhlung ist
nicht ein mittelbares Erfahren), nel senso che l'altro sarebbe esperito come
psicofisicamente dipendente dal suo corpo organico, ma un'esperienza immediata
dell'altro (eine unmittelbare Erfahrung vom Anderen) (Hu IV, 375). Ogni ipotesi di un
soggetto estraneo presuppone gi la percezione [tra virgolette] di questo soggetto come
estraneo, e questa percezione proprio l'empatia. [...] L'io estraneo non un'ipotesi, non
una costruzione (das fremde Ich ist keine Hypothese, keine Substruktion), ma
un'esperienza che, come detto, nella forma dell'esperienza si conferma o viene soppressa
(Hu XIV, 352). Si possono cos comprendere alcune oscillazioni di Husserl in proposito,
che, se non ricondotte a questa duplice esigenza, apparirebbero come palesi
contraddizioni.
47. Il tentativo di declinare la trascendenza dell'altro in forme della temporalit suggerisce un
confronto tra Husserl e Lvinas, al di l delle diverse impostazioni dei due autori.
Interessante e degna di approfondimento ci sembra la tesi di Rmpp, secondo cui la
temporalizzazione dell'alter ego come presente estraneo sarebbe, per alcuni versi, una
sottolineatura della trascendenza ancor pi radicale di quella che Lvinas formula con la
sua identificazione dell'altro con l'avvenire puro. Cfr. G. Rmpp, Der Andere als
Zukunft und Gegenwart: Zur Interpretation der Erfahrung fremder Personalitt in
temporalen Begriffen bei Lvinas und Husserl, in: Husserl Studies, 6, 1989, pp. 129-154.

48. La Paarung (tradotta in italiano con appaiamento o, come nella pi recente edizione di
MC, accoppiamento) per Husserl una modalit della sintesi passiva. Sotto questo
riguardo, ci pare corretto identificarla come condizione di possibilit della stessa
Einfhlung, sul terreno della passivit (cfr. I. Yamaguchi, Passive Synthesis und
Intersubjektivitt bei Edmund Husserl, cit., p. 76), e non come una operazione (Leistung)
vera e propria (come invece sembra ritenere Rmpp; cfr. G. Rmpp, Husserls
Phnomenologie der Intersubjektivitt, cit., pp. 95-96, nota 10).
49. In altre parole, nella Fremderfahrung la base percettivo-presentativa posta come
indice di un plus, una ulteriorit di senso, per principio non presentabile e non
percepibile. D'altro canto, proprio ci che non pu essere raggiunto percettivamente e che
tuttavia si annuncia nella percezione, deve essere compreso interpretativamente. Per
sottolineare la distanza originaria tra la mia soggettivit e quella dell'altro, che
condizione e garanzia di un'autentica esperienza dell'estraneit, Rmpp definisce
l'empatia come esperienza interpretativa di una soggettivit corporea (cfr. G. Rmpp,
Phnomenologie der Intersubjektivitt, cit., pp. 77-sgg.). Lo stesso Husserl utilizza in
diverse occasioni il termine interpretazione in questa accezione semantica:
L'esperienza intersoggettiva presuppone l'interpretazione (Intersubjektive Erfahrung
setzt voraus die Interpretation), attraverso la quale la corporeit e soggettivit diventa
esperibile per me (sebbene non in maniera originale) (Hu IX, 393).
50. Da un punto di vista fenomenologico-trascendentale, Landgrebe individua nella cinestesi
la modalit pi elementare dell'attivit [del soggetto], posta a fondamento di tutte le
altre attivit (L. Landgrebe, Das Problem der Teleologie und der Leiblichkeit in der
Phnomenologie und im Marxismus, in: B. Waldenfels, J. Broekman, A. Pazanin,
Phnomenologie und Marxismus (hrsgg.), Bd. I, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1977, pp.
71-104, p. 79).
51. Gi prima di Merleau-Ponty, le cui riflessioni fenomenologico-esistenziali sulla
coscienza corporea sarebbero difficilmente immaginabili senza la conoscenza dei
manoscritti husserliani confluiti in Idee II, lo stesso Husserl a cogliere la connessione
originaria e l'interdipendenza funzionale tra coscienza, corpo e mondo, nelle analisi sulla
percezione esterna e sulla costituzione dello spazio (cfr. U. Claesges, Husserls Theorie der
Raumkonstitution, Nijhoff, Den Haag 1964, pp. 125-126).
52. Sull'ambiguit di questa formula, che di per s pu designare tanto un congiuntivo
potenziale quanto un congiuntivo irreale, cfr. K. Held, Das Problem der
Intersubjektivitt und die Idee einer phnomenologischen Transzendentalphilosophie,
cit. pp. 34-sgg. Va comunque precisato che la modalit analogica del come-se (als-ob)
non sorge da un'attivit immaginativa, da una semplice fantasia, ma legata alla visione
di quel corpo l (cfr. J. Iribarne, Husserls Theorie der Intersubjektivitt, cit., p. 126).
53. Cfr. R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, cit., p. 211.
54. La personalit dell'io si costituisce nella relazione sociale e ci significa che, per
Husserl, il soggetto considerato prima dell'Einfhlung non potrebbe ancora essere
persona, anche se avesse l'esperienza dell'unit dei propri vissuti: L'origine della
personalit sta nell'empatia e nei conseguenti atti sociali. Non sufficiente per la
personalit che il soggetto si renda conto di se stesso come polo dei suoi atti, che se la
costituisca da solo, poich i soggetto nella relazione sociale incontra altri soggetti, dove
esso gi praticamente oggettivo [...]. Cos esso un soggetto che pu entrare ed entra in
una comunit, che per entra anche in relazioni personali occasionali con altri e quindi
nella sua vita e nelle sue aspirazioni non esercita soltanto un'autoconservazione di fronte
al mondo delle cose, ma anche come persona nel mondo delle persone (Hu XIV, 175176). Per la fenomenologia della vita personale intersoggettiva, la nozione husserliana di
spirito comune e la costituzione delle cosiddette personalit di ordine superiore
(Persnlichkeiten hherer Ordnung), si vedano Gemeingeist I e II del 1921 (testi 9 e 10 di
Hu XIV).

55. In questo modo, un corpo che appare nel mio mondo primordiale appreso come il
corpo vivente di un'altra persona. Questa appercezione il primo passo della costituzione
dell'intersoggettivit. Secondo Husserl, tutte le esperienze del vivere insieme in un mondo
condiviso, e tutte le forme di socializzazione, sono costruite su questo primo passo (K.
Held, Husserl's Phenomenology of the Life-World, in: D. Welton (edited by), The New
Husserl, cit., pp. 32-62, p. 50).
56. Nel riferimento dell'esperienza dell'alter ego alla corporeit in quanto percepita,
Michel Henry, dal punto di vista di una fenomenologia che privilegia la dimensione
affettiva e invisibile che sottende la relazione con l'altro, scorge una caduta
dell'intersoggettivit al livello delle cose, una vera e propria reificazione dell'alterit:
Poich l'alter ego non pu mai essere percepito in s ma solo appresentato al suo corpo
percepito nella mia sfera di appartenenza, il valore d'essere di questa appresentazione,
diceva Husserl, non pu venire che dal suo legame costante con presentazioni percettive,
appunto quelle di questo corpo percepito. [...] Cos l'inter-soggettivit vivente e patetica in
cui io sono con l'altro, l'inter-soggettivit in prima persona, ha ceduto il posto
all'esperienza di una cosa, di una cosa morta la cui qualit psichica non che un
significato irreale associato al suo essere di cosa (M. Henry, Fenomenologia materiale,
tr. it. di E. De Liguori e L. Iacarelli, Guerini e Associati, Milano 2001, p. 184). A mio
avviso, questa critica troppo legata alla particolare interpretazione che Henry d del
metodo fenomenologico e non coglie adeguatamente che per Husserl l'alter ego, proprio
in quanto soggettivit incarnata, non mai un oggetto, ma vita che si manifesta nel
mondo, pur non essendo propriamente del mondo (nella modalit d'essere delle cose
intramondane). Inoltre, Henry trascura il fatto che anche per Husserl le modalit di
accesso alla soggettivit degli altri uomini sono colorate emotivamente e affettivamente
(la relazione con l'altro non soltanto di tipo cognitivo, se non in determinati contesti
analitici). La stessa Einfhlung, di cui Husserl nelle Meditazioni Cartesiane tende a
sottolineare soprattutto gli aspetti cognitivi, a ben vedere non presenta le caratteristiche
di un atto di conoscenza nel significato stretto del termine, in quanto non la presa di
coscienza di uno stato di cose o la visione noetica di un eidos, ma appare piuttosto
(anche etimologicamente) come un sentire-con, un essere-aperti ed esposti al sentire e
vivere altrui, nell'esperienza costante di uno scarto incolmabile e di una differenza
radicalmente irriducibile all'identit.
57. Se dunque senza percezione della corporeit non c' alcun contatto esperienziale con
l'alterit, occorre riconoscere che per Husserl fondamento di possibilit di
un'apprensione di corpi estranei come corpi organici innanzitutto la percezione del
proprio corpo, che pu essere dato all'ego assoluto stesso in un'autocomprensione
costitutiva (in einer konstitutiven Selbstverstndnis) (G. Rmpp, Husserls
Phnomenologie der Intersubjektivitt, cit., p. 52). D'altra parte, solo attraverso
l'esposizione allo sguardo dell'altro il mio corpo vivente si costituisce come un oggetto,
una realt colta a distanza (sotto questo aspetto non diverso dalle cose fisiche), mentre
nel mio campo di percezione non pu che fungere costantemente da centro di riferimento
del mondo circostante. In generale, l'intersoggettivit si rivela fenomenologicamente una
mutua scoperta della concretezza della soggettivit, un graduale e sempre pi profondo
riconoscimento nell'alterit, attraverso la dinamica incrociata delle operazioni costitutive
nello spazio relazionale dell'incarnazione (cfr., per un ampio sviluppo di questo nucleo
tematico della fenomenologia husserliana, cfr. N. Depraz, Transcendance et incarnation:
le statut de l'intersubjectivit comme altrit soi chez Husserl, Vrin, Paris 1995).
58. Una prima anticipazione di questo vasto orizzonte di indagine viene data nei 56-60
delle Meditazioni cartesiane. Nel 58 Husserl delinea programmaticamente una
fenomenologia degli atti sociali e della vita comunitaria: Prendendo le mosse dalla
comunit nel senso che abbiamo ora ottenuto, sar naturalmente molto facile intendere la
possibilit di atti-d'-io che attraverso il medio dell'attivit appresentativa dell'esperienza
dell'estraneo, raggiungono l'altro io; s'intender anzi la possibilit di atti specificamente
egologico-personali che hanno il carattere di atti sociali per i quali viene stabilita ogni

comunicazione personale umana. Ora lo studio attento di questi atti nelle loro diverse
conformazioni, per potere poi rendere intelligibile il senso trascendentale l'essenza di ogni
socialit, costituisce un compito importante (MC, pp. 149-150). L'esecuzione effettiva di
questo programma fenomenologico si trova, oltre che in numerose e talvolta non molto
note pagine di Phnomenologie der Intersubjektivitt, nella Terza sezione di Idee II (La
costituzione del mondo spirituale).
59. Leibniz certamente un autore importante nel processo formativo della fenomenologia
trascendentale, spesso trascurato in questa ottica per il diverso peso che vi assumono
pensatori pi assiduamente frequentati da Husserl (la diade Descartes-Kant in primo
luogo, ma anche i filosofi dell'empirismo britannico). Per un primo orientamento, cfr. R.
Cristin, Phnomenologie und Monadologie. Husserl und Leibniz, in: Studia
Leibnitiana, XXII/2, 1990, pp. 163-174; K.. Mertens, Husserls Phnomenologie der
Monade: Bemerkungen zu Husserls Auseinandersetzung mit Leibniz, in:: Husserl
Studies, 17, 2000, pp. 1-20.
60. La monade fenomenologica possiede certamente un livello di assolutezza e
autosufficienza, che Husserl spesso sottolinea e che vuole significare un'originaria
unit di vita soggettiva e temporale. Ma questa unit, che non sostanziale-metafisica
ma operativo-funzionale, si coglie essenzialmente nella relazione intersoggettiva e nel
comune strutturarsi dell'orizzonte mondano. Inoltre, non bisogna trascurare che Husserl
riconosce apertamente la finitezza dell'individuum, della soggettivit monadica concreta,
ad esempio quando tematizza nel suo significato trascendentale il vincolo generativo tra le
singole monadi (ci che si definisce la generativit dei soggetti, in senso sia attivo che
passivo, con i relativi fenomeni di nascita e morte). L'infinit dell'apertura intersoggettiva
presuppone una catena generativa che apre una dimensione temporale non pi ristretta
alla vita individuale, ma capace, nel tempo, di fondare l'unit di una tradizione e di una
storia (e, dunque, a livello di orizzonte intenzionale, un'esperienza umana totale). Scrive
infatti Husserl: Io comprendo in generale gli uomini nel mondo come generativamente
connessi in un'infinit bilaterale aperta (als generativ in offener beiderseitiger
Endlosigkeit zusammenhngend), e comprendo che l'essere del mondo, che io esperisco,
stato e sar esperito come lo stesso dagli uomini lungo la catena infinita delle
generazioni, stato e sar dato nella connessione [intersoggettiva] come lo stesso,
attraverso l'esperienza concordante (e la correzione scambievole) e in presunzione
evidente. Attraverso le unit di vita degli uomini, limitate da nascita e morte, si estende
l'unit di una vita umana come unit di un'esperienza umana totale [...] e di una
tradizione fondata su di essa. Perci comprendo l'umanit come umanit storica,
l'estendersi del tempo del mondo (das Hinausreichen der Weltzeit), del tempo riempito
da eventi mondani, oltre il mio tempo di vita e quello degli uomini a me contemporanei
(ber meine Lebenszeit und die meiner mitgegenwrtigen Menschengenossen) (Hu XV,
168-169).
61. In questo contesto analitico, l'essere-l'una-per-l'altra delle monadi si traduce nella
reciprocit della relazione comunicativa. Si veda, tra i numerosi testi utilizzabili, il
seguente: Quindi io non ho soltanto un io una monade che nel suo orizzonte ha vissuti
empatici, regolazioni che permettono una certa tipologia di riempimenti come vissuti
ulteriori e certi atti di identificazione ecc., ma io ho una monade relazionata in s ad
un'altra monade e ho l'altra monade relazionata o che si pu relazionare empaticamente
alla prima monade. Ho cos una molteplicit di monadi in comunicazione reale e
possibile, tuttavia per, in relazione ad esse ho un'identica natura, una natura
intersoggettiva, come possibilmente comune a tutte le possibili monadi coesistenti e
realmente comune a tutte le monadi realmente comunicanti con me e che stanno in
comunicazione possibile. Ho quindi una natura con delle molteplicit di manifestazioni
che si ripartiscono in sistemi chiusi in tutte le monadi, sistemi di costituzione di
esperienza solitaria e che si estende alla costituzione di una natura intersoggettivamente
identica attraverso lo scambio empatico di questi sistemi (Hu XIV, 265-266).

62. Solo l'intersoggettivit trascendentale rappresenta la soggettivit trascendentale per


come realmente (Erst die transzendentale Intersubjektivitt stellt die transzendentale
Subjektivitt schlechthin dar) (Hu XV, 74).
63. Franoise Dastur nota come lo sviluppo effettivo della riduzione trascendentale e della
teoria costitutiva non faccia altro che ricondurre Husserl dalla soggettivit solipsistica
astratta alla comunit concreta delle monadi -- da Descartes a Leibniz. Pi radicalmente,
la problematica della riduzione e quella dell'intersoggettivit, lungi dall'essere
inconciliabili, ne formano una sola (cfr. F. Dastur, Rduction et intersubjectivit, in: E.
Escoubas, M. Richir (eds.), Husserl, Millon, Grenoble 1989, p. 64, p. 61).
64. Cfr. E. Baccarini, La fenomenologia, cit., p. 85.
65. Commentando alcuni passaggi decisivi della V Meditazione, Baccarini mette in luce
questo spostamento tematico nel cuore dell'analisi della Fremderfahrung: Le analisi
husserliane evidenziano il nuovo senso del mondo riferito non pi esclusivamente alla
mia soggettivit monadica trascendentale, bens al noi trascendentale. [...] L'egologia
trascendentale cede il posto a una comunit trascendentale, l'io al noi (E. Baccarini, op.
cit., pp. 81-82). Sul soggetto dell'intenzionalit plurale, il noi trascendentale, cfr. anche
D. Carr, Cogitamus ergo sumus. The Intentionality of First Person Plural, in Id.,
Interpreting Husserl, cit., pp. 281-297).
66. Kozlowski rileva il carattere circolare del procedimento husserliano, in quanto la validit
per tutti (l'intersoggettivit del sistema di riferimento) un presupposto e non una
conseguenza dell'atto comunicativo: Poich il compimento della comunicazione [per
Einfhlung] si fonda sul riferimento alla categoria di validit per tutti, la tesi
husserliana della costituzione di senso dell'oggettivit per tutti attraverso la
comunicazione si rivela circolare (R. Kozlowski, Die Aporien der Intersubjektivitt, cit.,
p. 273). Da un altro punto di vista, ma con un ragionamento analogo, Patocka sostiene
che non e l'intersoggettivit a produrre il senso mondo comune a tutti, ma soltanto
con l'intersoggettivit che appare l'intenzione che prende di mira il senso mondo
puramente oggettivo (J. Patocka, La phnomnologie, la philosophie
phnomnologique et les Meditations Cartesiennes de Husserl, in Id, Qu'est-ce-que la
phnomnologie?, Millon, Grenoble 1998, p. 184), e dunque nella comunicazione ha
luogo, in maniera graduale e via via pi rigorosa, il processo di oggettivazione del mondo
comune (che culmina nella conoscenza scientifica di esso), ma quest'ultimo dato come
comune fin dall'inizio (e qui Patocka svolge una critica della riduzione primordiale e
dell'idea stessa di un'esperienza solipsistica o privata -- cfr. la nota 94). Queste
osservazioni possono cogliere nel segno, almeno parzialmente, per quanto riguarda il
percorso argomentativo della V Meditazione e pi in generale per i testi husserliani che
perseguono il progetto di una fondazione dell'inter-soggettivit (tout court) su uno
strato fenomenologico-trascendentale privo di riferimenti intenzionali ad altri soggetti. Lo
stesso Husserl per, come vedremo tra breve, si rende conto della problematicit di
questo progetto fondativo e sembra aprirsi ad un diverso campo di possibilit, mediante
la nozione di intersoggettivit aperta. Distinguendo pi chiaramente i livelli costitutivi
della fenomenologia dell'intersoggettivit e riconoscendo che esiste una intenzionalit
intersoggettiva sui generis al fondo stesso dell'esperienza primordiale messa a fuoco da
Husserl, l'obiezione di circolarit perde molta della sua consistenza.
67. Un esempio molto significativo di approccio diretto alla fenomenologia
dell'intersoggettivit si trova nei Problemi fondamentali della fenomenologia del 1910/11
(cfr. Hu XIII, testo n. 6), dove l'obiezione di solipsismo viene rapidamente liquidata
attraverso la distinzione tra immanenza psicologica e immanenza fenomenologica. Tale
distinzione permette di constatare immediatamente come, da un punto di vista
fenomenologico, gli altri siano per un verso dentro la mia coscienza in quanto percepiti
e sentiti, ma, d'altro canto, debbano essere considerati come radicalmente trascendenti,
poich in linea di principio un dato empatizzato e la corrispondente esperienza
empatizzante non possono appartenere allo stesso flusso di coscienza, dunque allo stesso
io fenomenologico (Hu XIII, 189). dunque possibile evidenziare un movimento unico

che conduce da me agli altri e la riduzione fenomenologica pu avere come residuo la


stessa intersoggettivit, la pluralit dei flussi di coscienza in connessione empatica tra
loro. Scrive infatti Husserl, descrivendo l'immediato esito intersoggettivo della riduzione:
Tutto l'essere fenomenologico si riduce allora ad un (al mio) io fenomenologico, che
contrassegnato come percipiente e ricordante, empatizzante e perci come
fenomenologicamente riducente, e agli altri, posti nell'empatia, e posti come io intuenti,
ricordanti ed eventualmente empatizzanti (Hu XIII, 190).
68. Alcuni testi importanti, in questa chiave, verranno indicati e discussi brevemente nel
prossimo paragrafo.
69. Per la ridefinizione fenomenologica di una estetica trascendentale, che segna un
momento di autentica rottura con la teoria kantiana dell'esperienza attraverso la nozione
di sintesi passiva e l'esibizione di regole di manifestazione degli oggetti nella sfera
percettivo-temporale, precategoriale, sono di fondamentale importanza le riflessioni
husserliane di Esperienza e giudizio e Lezioni sulla sintesi passiva, ricche di descrizioni
analitiche nello stile di una filosofia concreta. Su questa tematica, cfr.: E. Holenstein,
Phnomenologie der Assoziation: zu Struktur und Funktion eines Grundprinzips der
passiven Genesis bei Edmund Husserl, Nijhoff, Den Haag 1972; P. Spinicci, I pensieri
dell'esperienza. Interpretazione di Esperienza e giudizio di Edmund Husserl, Le
Monnier, Firenze 1984; V. Costa, L'estetica trascendentale fenomenologica. Sensibilit e
razionalit nella filosofia di Husserl, Vita e Pensiero, Milano 1999; D. Lohmar,
Erfahrung und kategoriales Denken. Hume, Kant und Husserl ber vorprdikative
Erfahrung und prdikative Erkenntnis, Kluwer, Dordrecht/Boston/London 1998. Per
quanto riguarda le tematiche intersoggettive, analizzate alla luce dei testi husserliani che
oltrepassano la prospettiva fenomenologica statica della V Meditazione e si
confrontano pi direttamente con il problema della genesi trascendentale del mondo
comune, cfr. I. Yamaguchi, Passive Synthesis und Intersubjektivitt bei Edmund Husserl,
Nijhoff, Den Haag 1982.
70. Cfr. D. Zahavi, Husserl und die transzendentale Intersubjektivitt, cit., p. 31.
71. Questo duplice carattere dell'intersoggettivit viene palesemente trascurato da alcuni
interpreti. Cfr., ad esempio, Theunissen: L'apparenza del solipsismo trascendentale
realmente dissolta, se anche gli altri ricevono il loro senso d'essere esclusivamente da me
stesso, senza che io riceva il mio originario senso d'essere dagli altri, [...] senza che io, il
mio io originario, mi costituisca come costituito dagli altri? Certo, la solitudine in cui
mi lascia l'epoch fenomenologico-cartesiana, viene superata in quanto gli altri non sono
pi soltanto fenomeni del mio universale fenomeno-mondo, ma realt trascendentali
[...]. Tuttavia essa non scomparsa, poich anche attraverso la scoperta
dell'intersoggettivit trascendentale non trovo alcun partner originario. Ma questa
mancanza di partner (Partnerlosigkeit) ci che determina primariamente il senso
buono del solipsismo trascendentale (M. Theunissen, Der Andere, cit., p. 155). Qui
Theunissen si lascia probabilmente fuorviare dalle riflessioni dell'ultimo Husserl sull'UrIch, che sembrerebbero riportare il baricentro della costituzione fenomenologicotrascendentale sull'io solitario. In ogni caso, i numerosi testi husserliani che chiaramente
argomentano la necessit di assumere l'intenzionalit in senso originariamente
pluralistico e comunitario, mostrando non soltanto come io costituisco gli altri soggetti,
ma anche come gli altri contribuiscono alla formazione del mio campo di esperienza e
della mia identit personale, ridimensionano in modo netto questo genere di critica.
Analoghe considerazioni valgono per Waldenfels, che lamenta in Husserl l'assenza di cooriginariet (Gleichursprnglichkeit) tra i soggetti nelle operazioni costitutive, unica
chiave di volta per superare il solipsismo (cfr. B. Waldenfels, Der Zwischenreich des
Dialogs, cit., p. 28).
72. Cfr., su questo problema cruciale, quanto si rilevato nella nota 66.
73. La differenza tra l'ego e l'alter ego non una differenza tra due entit assolute,
metafisiche, ma tra due vite; dunque ci che appresentato nell'apprensione

dell'alter ego un'altra vita, un'altra anima (J. Dodd, Idealism and Corporeity,
cit., p. 125, corsivo dell'autore).
74. Cfr., per esempio, il lungo e importante 18 di Idee II, dedicato alla costituzione della
realt materiale e al problema dell'identit intersoggettiva dell'oggetto nel variare delle
condizioni psicofisiche della soggettivit esperiente. Pi in generale, sul rapporto tra
normalit e oggettivit, analizzato alla luce dei nuovi elementi che la riformulazione
husserliana della filosofia trascendentale porta con s, cfr. D. Zahavi, Husserl und die
transzendentale Intersubjektivitt, pp. 72-84.
75. Facciamo riferimento, qui, all'analisi della percezione esterna nelle Lezioni sulla sintesi
passiva (cfr. Bibliografia).
76. La temporalit, come forma in cui si articola unitariamente la vita del soggetto e come
infrastruttura della coscienza trascendentale fenomenologica, uno dei temi che
maggiormente hanno occupato la riflessione di Husserl, fin dalle lezioni del 1905 (cfr. E.
Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, tr. it. di A. Marini,
Franco Angeli, Milano 1981). Nella folta letteratura critica, segnaliamo il recente lavoro di
T. Kortooms, Phenomenology of Time. Edmund Husserl's Analysis of TimeConsciousness, Kluwer, Dordrecht/Boston/London 2002, che ripercorre l'intero arco
della riflessione husserliana sul problema del tempo, cogliendone gli elementi di
continuit, le tensioni interne e gli approfondimenti, anche alla luce dei manoscrittti
ancora inediti.
77. Nel 43 di Idee I Husserl, discutendo il significato della trascendenza della cosa
spaziale (Ding) nella percezione, attira l'attenzione su quell'errore di principio che
consiste nel ritenere che il manifestarsi della cosa per adombramenti (aspetti,
prospettive) dipenda dai limiti della conoscenza umana (e non da una connessione
fenomenologica essenziale): Dobbiamo ora accennare ad un errore di principio: che cio
la percezione (e nella sua modalit ogni visione della cosa di altra specie) non raggiunga la
cosa stessa. Quest'ultima non ci sarebbe data nel suo essere-in-s. Ogni soggetto avrebbe
s la possibilit di principio di vedere la cosa cos com', e particolarmente di percepirla in
una percezione adeguata, capace di offrire la cosa in carne ed ossa senza la mediazione
delle apparizioni. Ma soltanto Dio, il soggetto fornito di una conoscenza perfetta e
quindi di una percezione il pi possibile adeguata, possederebbe quella percezione della
cosa in s che a noi, nature finite, vietata. Questa veduta assurda. Essa suppone che tra
immanente e trascendente non sussista nessuna differenza essenziale e che quindi, nella
postulata visione divina, una cosa spaziale sia un costitutivo reale della visione stessa, sia
dunque essa stessa un Erlebnis, rientrante nella corrente della coscienza divina. [...] La
cosa spaziale, che noi vediamo, percepita in tutta la sua trascendenza ed data alla
coscienza nell'originale (Idee, 92-93).
78. In questa prospettiva, divengono pi comprensibili le critiche spesso pungenti che
Husserl rivolge a Kant, alla sua formulazione originale del problema trascendentale e
della rivoluzione copernicana nel campo della conoscenza: Egli [Kant] impedisce ai
suoi lettori di tradurre il suo procedimento regressivo in concetti intuitivi, impedisce
qualsiasi tentativo di attuare una costruzione progressiva che si rifaccia ad intuizioni
originarie e assolutamente evidenti e che proceda per gradi progressivi pure realmente
evidenti. I suoi concetti trascendentali sono perci avvolti da una caratteristica oscurit,
caratteristica nel senso che non pu mai essere tradotta, per ragioni di principio, in
chiarezza, non pu mai essere trasformata in una formazione di senso e capace di
evidenza (Crisi, pp. 144-145).
79. Cfr., ad esempio, il recente lavoro di Sren Overgaard, che seguendo il filo conduttore
dell'analisi dell'essere-nel-mondo, come categoria fenomenologica fondamentale,
individua una serie di affinit strutturali tra la soggettivit trascendentale di Husserl e
il Dasein di Heidegger, al di sotto delle differenze terminologiche e degli orientamenti
teorici talora divergenti. Di fatto, Husserl e Heidegger sono d'accordo sul fatto che il
mondo sia essenzialmente un mondo che io condivido con altri, e di conseguenza

entrambi sottolineano che il soggetto trascendentale pu essere ci che solo in quanto


parte di una comunit di soggetti. Pi fondamentalmente, comunque, Husserl e
Heidegger portano alla luce un soggetto che non pu essere senza il suo mondo, n pu
essere in relazione con il mondo senza entrare in esso (a subject that can neither be
without its world, nor can be related to it without entering it). Il soggetto non entra
nel mondo come un semplice oggetto, ma piuttosto, per Heidegger -- e in ultima analisi
anche per Husserl -- il soggetto entra nel mondo inabitandolo (inhabiting it). Heidegger
cerca di esprimere questa idea dicendo che il Dasein nel-mondo (come opposto a
intra-mondano), e per Husserl questa sembra essere la conclusione delle sue analisi
sempre pi approfondite della cinestesi e del soggetto incarnato (S. Overgaard, Husserl
and Heidegger on Being in the World, Kluwer, Dordrecht/Boston/London 2004, p. 161.
Cfr. anche pp. 203-204). Sul rapporto tra intersoggettivit trascendentale e Mitsein
heideggeriano, cfr. anche la nota 110.
80. Husserl riconosce esplicitamente che un io puro disincarnato, non legato originariamente
e funzionalmente ad un corpo organico, non solo non potrebbe costituire il mondo
dell'esperienza, ma nemmeno percepire lo spazio e le cose; il corpo infatti il portatore
dei punti zero dell'orientamento, [...] del qui ed ora (Hier und Jetzt), da cui l'io puro
intuisce (anschaut) lo spazio e l'intero mondo sensibile (Hu IV, 56).
81. Cfr., su questo punto, H. Kojima, The Potential Plurality of the Transcendental Ego of
Husserl and its Relevance to the Theory of Space, in: Analecta Husserliana VIII, 1978,
pp. 55-61.
82. L'apertura intersoggettiva del mondo della percezione stata sottolineata con
particolare forza espressiva (oltre che con rigore fenomenologico) in una pagina di
Merleau-Ponty, che riportiamo interamente, in quanto rappresenta un'efficace sintesi
delle possibilit e dei limiti di un'esperienza solipsistica. Secondo Merleau-Ponty, una
percezione puramente soggettiva impossibile poich nella trama concreta del mondo
percepito, con i suoi rimandi intenzionali, che l'altro originariamente funge, anche
quando non viene direttamente esperito o incontrato: Se l'altro deve esistere per me,
necessario che dapprima ci avvenga al di sotto dell'ordine del pensiero. Qui la cosa
possibile, perch l'apertura percettiva al mondo, espropriazione pi che
impossessamento, non pretende al monopolio dell'essere, e non istituisce la lotta a morte
delle coscienze. Il mio mondo percepito, le cose dischiuse davanti a me, hanno, nel loro
spessore, quanto occorre per fornire di stati di coscienza pi di un soggetto sensibile,
hanno diritto a ben altri testimoni che non me. Il fatto che un comportamento si delinei in
questo mondo che gi mi supera, non se non una dimensione nell'essere primordiale,
che le comporta tutte. Sin dallo strato solipsistico l'altro non dunque impossibile,
perch la cosa sensibile aperta. Egli diviene attuale quando un altro comportamento e
un altro sguardo prendono possesso delle mie cose, e anche questa articolazione sul mio
mondo di un'altra corporeit si effettua senza introiezione, perch i miei sensibili, con il
loro aspetto, la loro composizione, la loro trama carnale, realizzavano gi il miracolo di
cose che sono cose per il fatto di essere offerte a un corpo, e facevano della mia corporeit
una prova dell'essere. A differenza dal pensiero, l'uomo pu formare l'alter ego, perch
egli fuori di s nel mondo e perch una e-stasi compossibile con altre (M. MerleauPonty, Segni, tr. it. di G. Alfieri, Net, Milano 2003, pp. 223-224).
83. L'impossibilit di una costituzione puramente egologica dell'oggettivit, a qualsiasi
livello fenomenologicamente significativo, stata messa bene in evidenza da Elisabeth
Strker, nel confronto diretto con la posizione husserliana delle Meditazioni cartesiane:
Nondimeno, il pensiero stesso di un'oggettivit che potesse essere costituita da un punto
di vista solipsistico sarebbe assurdo. Ci che oggettivo, e certamente ab ovo ad ogni
livello della sua costituzione, fa riferimento ad altri soggetti al di fuori di me [...]. Poich
questi due concetti [intersoggettivit e oggettivit] sono intesi come correlativi, l'analisi
noetico-noematica di ci che oggettivo deve ricorrere, come ha visto giustamente
Husserl, ad una pluralit di soggetti costituenti. Questa pluralit non pu essere intesa
semplicemente come una molteplicit che origina da una modificazione eidetica della mia

costituzione di ci che trascendente, in modo tale che la sfera egologica non sarebbe per
principio superata. Al contrario, deve trattarsi di una diversit di soggetti-io, che
differiscono da me e tra loro (E. Strker, Husserl's Transcendental Phenomenology,
Stanford University Press, Stanford 1993, p. 142).
84. In realt, il concetto di primordialit o sfera primordiale caratterizzato da
un'ambiguit di fondo nei testi husserliani e nelle stesse Meditazioni cartesiane, e non
sempre chiara appare la sua relazione con il problema del solipsismo (anche inteso,
quest'ultimo, nel significato metodologico proprio della fenomenologia trascendentale).
Mentre infatti Husserl afferma (ad esempio nel passaggio delle Meditazioni da noi citato)
che per ottenere la sfera primordiale o appartentiva occorre mettere fuori gioco tutti i
vissuti riferiti ai soggetti estranei (e in questo caso il senso originario della primordialit
sarebbe in ultima istanza quello solipsistico), in altri testi egli sembra invece distinguere
nettamente tra riduzione solipsistica e riduzione primordiale; la sfera primordiale
conterrebbe al suo interno tutti i vissuti miei, l'intero contesto della mia esperienza
originale, quindi anche le Einfhlungen, le mie esperienze di soggetti estranei, sebbene
non vi siano inclusi i correlati intenzionali di queste esperienze, cio gli altri stessi, che
rimangono come tali trascendenti (Hu XV, 51). L'ambiguit (Doppeldeutigkeit)
peraltro ben nota a Husserl, che in un testo del 1934 rileva come essa sia in qualche
misura inevitabile perch fondata su ragioni essenziali: Nel senso metodico originario [la
primordialit] significa l'astrazione che io, l'ego dell'atteggiamento riduttivo, compio
come fenomenologo, tagliando fuori astrattivamente tutte le Einfhlungen. Se poi dico
ego primordiale, allora assume il significato della monade in modalit originaria
(urmodale Monade), in cui compresa l'Einfhlung in modalit originaria (Hu XV,
635). Fa per notare Iso Kern che in effetti, per il punto di partenza dell'analisi
husserliana dell'esperienza dell'altro il concetto solipsistico svolge il ruolo dominante (R.
Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, cit., p. 206).
85. Cfr. K. Held, Das Problem der Intersubjektivitt und die Idee einer phnomenologischen
Transzendentalphilosophie, cit., pp. 47-48.
86. Ad esempio, la monografia di Michael Theunissen citata, pur articolando un ampio
confronto critico con la fenomenologia husserliana dell'intersoggettivit, rimane
sostanzialmente legata all'impianto espositivo delle Meditazioni cartesiane.
87. Su questa nozione, che raramente viene tematizzata da Husserl con la chiarezza che
troviamo nel passaggio citato, ha attirato l'attenzione Zahavi (cfr. D. Zahavi, Husserl und
die transzendentale Intersubjektivitt, cit., pp. 32-40). Mi sembra che un
approfondimento tematico di essa, sulla scia delle stesse indicazioni husserliane
disseminate negli inediti, possa fornire una risposta argomentata e fenomenologicamente
convincente alle critiche rivolte, spesso a ragione, alla nozione di primordialit (almeno
nel significato assegnatole da Husserl nella V Meditazione, cio come grado zero
dell'esperienza intersoggettiva).
88. Rmpp ha giustamente sottolineato il carattere operativo, dinamico e innovante della
costituzione del mondo come unit intersoggettiva, che non pu essere pensata come
data una volta per tutte e non pi modificabile: Se il mondo intersoggettivo deve ora
valere come mondo valido per ognuno (jedermann), ci riguarda solo ognuno che
pu essere appresentato [empaticamente] nella soggettivit di volta in volta in questione.
[...] L'identit dell'esperienza dell'oggettivit, strutturata intersoggettivamente, non
dunque pre-data (vorgegeben), ma prodotta (hergestellt) in operazioni specifiche della
soggettivit (G. Rmpp, Husserls Phnomenologie der Intersubjektivitt, cit., p. 150).
Tuttavia Rmpp non sembra qui distinguere tra l'intersoggettivit trascendentale in
quanto comunit effettiva e concreta della monadi, e l'intersoggettivit trascendentale
come apertura gi sempre aperta (e, in questo senso, pre-data) in cui si inserisce il
processo dinamico-storico della costituzione.
89. La costruzione di un sistema fenomenologico stata un'esigenza che Husserl ha
avvertito in diversi momenti della sua riflessione filosofica matura, nonostante

l'avversione nei confronti delle filosofie sistematiche della tradizione (Hegel, in primo
luogo), non ancora in grado di porsi su un terreno propriamente scientifico. Ad esempio,
nei primi anni '20 Husserl lavora alla realizzazione di un'opera sistematica
(systematisches Werk), che egli non ha mai pubblicato n scritto in forma organica, della
quale ci restano per numerose pagine preparatorie (cfr., per i riferimenti cronologici e
testuali, l'introduzione di Iso Kern a Hu XIV). Ci sembra che, in questo contesto di
ricerca, la funzione centrale nella connessione sistematica degli elementi o dei fondamenti
della filosofia fenomenologica sia assunta proprio dall'intersoggettivit, come in parte era
gi accaduto nelle Lezioni del 1910-11 da noi pi volte richiamate.
90. Si pu pensare, per analogia, ai generi sommi esaminati da Platone nel Sofista.
91. Claesges sottolinea come il mondo, in quanto orizzonte totale dell'esperienza della
soggettivit, non possa mai essere considerato alla stregua di una cosa, o di un
complesso di cose, poich, fenomenologicamente, esso designa una molteplicit di
strutture, che come tali appartengono necessariamente alla coscienza di percezione: il
mondo il titolo per un apriori formale della coscienza di percezione (U. Claesges,
Husserls Theorie der Raumkonstitution, cit., p. 125, corsivo dell'autore). Ma se, come
abbiamo cercato di mostrare, la coscienza di percezione impossibile senza la forma
dell'intersoggettivit aperta, occorrer anche ammettere che questo apriori formale,
nella sua articolazione interna, ha un carattere necessariamente intersoggettivo.
92. Sulla distinzione di principio, in ambito fenomenologico, tra possibilit logica e
assurdit effettiva di un enunciato o nesso di significati, si vedano anche le
considerazioni che Husserl svolge nel 48 di Idee I.
93. In Husserl, questi due livelli dell'analisi fenomenologico-trascendentale
dell'intersoggettivit appaiono a volte ben distinti, altre volte fusi o intrecciati in modo
ambiguo.
94. In definitiva, intersoggettivit e mondo sono funzionalmente inseparabili in
qualsiasi ambito costitutivo. Da questo punto di vista, un'argomentazione contro la
possibilit di compiere una riduzione primordiale viene proposta da J. Hart, The
Person and the Common Life. Studies in a Husserlian Social Ethics, Kluwer, Dordrecht
1992, pp. 184-186.
95. Lo sbocco ontologico che viene qui proposto non ci sembra affatto una forzatura, non solo
perch i testi che autorizzano questa interpretazione sono chiari e piuttosto numerosi, ma
anche perch la fenomenologia husserliana non affatto una metodologia
ontologicamente neutrale (come talora, a torto, si ritiene). Si rilegga, in questa ottica, il
48 di Crisi.
96. Jan Patocka, non diversamente da Merleau-Ponty, critica l'idea stessa di una riduzione
alla sfera appartentiva che dovrebbe esibire il dominio della mia pura soggettivit. In
realt, se con ci si intende una sfera del tutto privata dell'esperienza dell'io, occorre
notare che lo stesso riconoscimento del carattere prospettico delle datit percettive
permeato da rimandi intenzionali ad altri soggetti, e il mondo intersoggettivo non
tanto perch i soggetti mettono in comune le loro esperienze originariamente private,
quanto perch in s aperto alla pluralit degli approcci e delle prospettive. Scrive
Patocka: La stessa sfera appartentiva non potr essere, come nell'idea di Husserl, una
sfera assolutamente privata. Al contrario, essa avr un senso relativo, il senso di un
aspetto personale nel quadro della totalit gi anticipata del mondo, ed soltanto su
questa base che la comunicazione potr svolgersi propriamente nella sua concretezza. [...]
Gli aspetti, le prospettive, le mie possibilit proprie non sono, in questo senso, private;
sono modi di datit del mondo che gi presupposto come identico, come confermantesi in
questi aspetti, prospettive e possibilit (J. Patocka, La phnomnologie, la philosophie
phnomnologique et les Meditations Cartesiennes de Husserl, cit., p. 180). Patocka
inserisce questa critica in un piu generale rifiuto dell'impostazione trascendentalsoggettiva della fenomenologia husserliana; a noi interessa soprattutto fissare i limiti

della costituzione primordiale, utilizzando in larga misura gli strumenti fenomenologici


che proprio Husserl ci ha fornito.
97. Cfr. G. Brand, Mondo, io e tempo nei manoscritti inediti di Husserl (trad. it. di E.
Filippini), Bompiani, Milano 1960, pp. 62-67.
98. Waldenfels, criticando i fondamenti stessi della teoria husserliana dell'intersoggettivit,
argomenta che gli altri, da un punto di vista fenomenologico, sono da considerare
essenzialmente non come oggetto di una determinata intenzionalit, ma come cofungenti in ogni intenzionalit (B. Waldenfels, Das Zwischenreich des Dialogs, cit., p.
135). Osservazioni analoghe si trovano in A. Schtz, Collected Papers I, cit. pp. 220, 318.
Tuttavia, come abbiamo visto, Husserl sembra andare esattamente in questa direzione nei
testi in cui l'intersoggettivit, in modo molto chiaro, non appare come un campo tematico
particolare o una funzione intenzionale determinata, ma si presenta come condizione
costitutiva di tutta l'esperienza della soggettivit.
99. I testi husserliani che possono suffragare questa linea interpretativa sono davvero
numerosi e, adeguatamente sviluppati e approfonditi, darebbero un importante
contributo ad una fondazione filosofico-trascendentale della finitezza dei soggetti. Ci
sembra infatti che molte analisi di Husserl, anche indipendentemente da un linguaggio
filosofico ancora molto legato alla tradizione, esibiscano proprio questa concezione della
finitezza come senso e apertura in-finita, lungo le direzioni dell'intersoggettivit. In
questo ambito di indagine, restano sempre preziose ed attuali alcune riflessioni di Enzo
Paci sull'intima connessione tra tempo e verit, fatticit e teleologia, prospettiva finita e
intenzionalit infinita, che egli ha ripensato e approfondito in maniera originale
lavorando proprio sugli inediti husserliani. Cfr. i saggi raccolti nel volume Tempo e verit
nella fenomenologia di Husserl, cit.
100. Per Husserl l'io trascendentale non semplicemente si temporalizza, si apre al tempo,
ma pu temporalizzarsi solo perch temporale nel suo fondo. La temporalit originaria
dell'io, che rimane per lo pi anonima, diventa tematica attraverso la riflessione. Nota in
proposito Gerd Brand: La riflessione temporalit, proprio in quanto scopre la tensione
dell'era e dell' e in quanto insieme la colma. La differenza dell'io da se stesso, che
non elimina la sua identit, non altro che la temporalit dell'io, e perci la riflessione,
come intima possibilit attiva dell'io, l'esplicitazione del suo essere-originario come
essere-temporale. Ci non significa che io dapprima sono e poi divent temporale
attraverso la riflessione. La riflessione non produce la temporalit, la esplicita soltanto
come tale (G. Brand, Mondo, io e tempo nei manoscritti inediti di Husserl, cit., p. 135).
101. Sui problemi della teoria husserliana della riflessione e sui limiti posti dalla temporalit
della vita soggettiva alla possibilit di cogliere l'io trascendentale nella sua funzionalit
originaria, cfr. K. Held, Lebendige Gegenwart. Die Frage nach der Seinsweise des
transzendentalen Ich bei Edmund Husserl, Nijhoff, Den Haag 1966.
102. Cfr. L. Rodemeyer, Developments in the Theory of Time-Consciousness, in: D. Welton
(edited by), The New Husserl, cit., pp. 125-154, p. 146. Anche per Held la possibilit
dell'intersoggettivit trascendentale fondata, in ultima analisi, nella struttura estatica
della coscienza interna del tempo. Cfr. K. Held, Lebendige Gegenwart, cit., pp. 162- sgg.
103. In questo ambito, l'errore che Held giustamente imputa a Husserl di aver cercato di
fondare l'esperienza anonima e atematica dell'estraneit, che opera co-originariamente
nell'apertura della mia soggettivit al mondo, sull'esperienza tematica di un altro io. In
realt, la tesi husserliana sulla sequenza dei momenti costitutivi, che conducono alla
coscienza di un mondo comune, deve essere sottoposta a revisione. Non la coscienza
tematica del co-soggetto (Mit-Subjekt), in quanto primo estraneo all'io, che fonda la
coscienza comune, bens al contrario: l'appresentazione dell'afferrabilit comune
(Miterfasstheit) del mio mondo e di ci che dato in esso, attraverso l'altro co-fungente in
maniera non tematica, si trova a fondamento dell'apprensione appercettiva di questo altro
[nell'Einfhlung] (K. Held, Das Problem der Intersubjektivitt und die Idee der

phnomenologischen Transzendentalphilosophie, cit., pp. 46-47). Ci significa che


l'esperienza di una soggettivit concreta diversa dalla mia non pu essere il fondamento
originario di quei rimandi intenzionali intersoggettivi che gi nell'atteggiamento naturale
caratterizzano il modo di darsi delle cose, poich, al contrario, la Fremderfahrung su
base empatica a presupporre la struttura formale intersoggettiva, l'intersoggettivit
aperta.
104. Rmpp cerca di difendere la legittimit della riduzione primordiale, come strumento
metodologico per la fondazione del mondo intersoggettivo, ponendo fortemente l'accento
sul carattere astrattivo e non-autonomo del risultato che ne deriva: L'astrazione
primordiale conduce quindi ad un risultato che per s non ha alcuna consistenza. Di
conseguenza, esso non soddisfa neppure le condizioni minime che si richiedono ad ogni
conoscenza in relazione a costanza e determinatezza. Ma, nonostante ci, la primordialit
conseguita per via astrattiva dev'essere in grado di chiarire quello status della pluralit
dei soggetti che fonda il mondo intersoggettivo, di cui la sfera primordiale costituisce solo
una rappresentazione limitata (G. Rmpp, Husserls Phnomenologie der
Intersubjektivitt, cit., p. 34). Pur riconoscendo che, per Husserl, la ricerca della
primordialit ha esclusivamente un valore preparatorio e mira a cogliere il contributo
della Fremderfahrung per l'autocomprensione di un ego inizialmente concepito come
assoluto, tramite l'inserzione di una seconda corporeit nel suo campo percettivo,
altrettanto vero che alla sfera primordiale, nelle Meditazioni cartesiane e in Logica
formale e trascendentale, Husserl attribuisce un valore di fondamento per l'intera
fenomenologia dell'intersoggettivit. Ci sembra invece che, alla luce delle considerazioni
fin qui svolte, la riduzione primordiale possa avere validit metodologica ed efficacia
descrittiva solo se presa in un'accezione pi limitata, che tenga conto dei rimandi
intersoggettivi gi all'opera nello strato cosiddetto solipsistico dell'esperienza
trascendentale.
105. Nella fenomenologia, l'intersoggettivit non riguarda soltanto la dimensione del facciaa-faccia, l'incontro empatico con un'altra soggettivit concreta, ma si manifesta
costitutivamente e pervasivamente in tutte le direzioni fondamentali in cui il soggetto
entra in relazione con il mondo (non solo da un punto di vista percettivo e cognitivo, ma
ovviamente anche nella sfera istintiva, emotiva, affettiva e pratica). Molto
opportunamente Zahavi mette in luce la ricchezza, spesso misconosciuta, dell'approccio
fenomenologico all'intersoggettivit, auspicando non tanto una scelta di campo tra i
protagonisti di questa grande stagione della filosofia del '900, quanto un'integrazione che
sappia valorizzare pienamente i singoli contributi analitici (cfr. D. Zahavi, Beyond
Empathy. Phenomenological Approaches to Intersubjectivity, in: Journal of
Consciousness Studies, 8/5-7, 2001, pp. 151-167).
106. Cfr., sui fondamenti metodologici dell'etica husserliana, E. Husserl, Lineamenti di etica
formale, Le Lettere, Firenze 2002.
107. Questo significa che, nella teoria husserliana della costituzione, l'intersoggettivit non
pu mai essere soltanto intersoggettivit costituita ma sempre anche intersoggettivit
costituente. In termini meno tecnici ma forse pi efficaci, io ho bisogno dell'altro per
costituire il mio orizzonte di esperienza, e l'altro ha bisogno di me per costituire il proprio.
Questa reciprocit delle funzioni costitutive riguarda non solo l'intersoggettivit aperta,
ma, com' facile comprendere, soprattutto le relazioni tra soggettivit reali e concrete,
quelle che Husserl a volte chiama (buberianamente, potremmo dire) relazioni io-tu
(Ich-Du-Beziehungen) (Hu XIV, 166-sgg.).
108. L'impostazione di questo saggio non ci ha consentito di esaminare la teoria husserliana
dell'intersoggettivit in prospettiva diacronica, cogliendone le (vere o presunte)
evoluzioni interne. Ma, per quel che riguarda la questione del solipsismo
trascendentale che abbiamo fin qui analizzato, almeno un cenno va fatto alla forma
problematica che il rapporto tra egologia e intersoggettivit sembra assumere nei 53-55
di Crisi. A detta di alcuni interpreti, Husserl nella sua ultima opera avrebbe assegnato la
costituzione dell'intersoggettivit, nel suo fondamento ultimativo, ad un ego nuovamente

concepito in termini solitari, disegnando quindi una relazione del tutto asimmetrica tra
l'io e il noi (almeno dal punto di vista trascendentale-costitutivo). In pagine molto
note e discusse, Husserl, nel corso di un'argomentazione volta a dipanare e chiarire il
paradosso della soggettivit umana, che soggetto per il mondo e insieme oggetto nel
mondo, afferma che l'io originario (Ur-Ich) che emerge dalla riduzione
fenomenologica pu essere definito un io solo per equivocit (anche se si tratta di un
equivoco in qualche misura inevitabile), poich nella sua assoluta unicit e solitudine
non ammette accanto a s alcun tu, non cio declinabile nel senso consueto dei pronomi
personali, sebbene questo io si faccia per se stesso trascendentalmente declinabile e a
partire da esso e in esso si costituisca l'intersoggettivit trascendentale, nella quale esso
rientra semplicemente come un membro privilegiato, come l'io degli altri io
trascendentali (Crisi, 211). Qui Husserl sembrerebbe revocare in dubbio la sua tesi,
peraltro ampiamente documentata, secondo la quale l'intersoggettivit la dimensione
pi fondamentale della fenomenologia e che l'ego trascendentale, nella sua concretezza
piena, si costituisce nella sfera intersoggettiva. Negli scritti degli anni '30 non
infrequente imbattersi in prese di posizione analoghe, in cui Husserl insiste sull'assoluta
unicit dell'Ur-ich come centro funzionale ultimo di ogni costituzione; per Husserl infatti
deve esistere, fenomenologicamente parlando, un ambito semantico in cui l'ego
assolutamente unico (einzig) e porsi il problema della sua pluralizzazione
(Vervielfltigung) privo di senso (Hu XV, 590). Ora, pur riconoscendo che la tensione
tra solipsismo e intersoggettivit un momento strutturale interno della fenomenologia
trascendentale e che Husserl non sempre ha delineato in modo perspicuo i nessi tra i due
livelli della costituzione, ci sembra tuttavia che egli, in questi passaggi apparentemente
problematici, voglia in realt dire una cosa piuttosto semplice e, tutto sommato,
accettabile (anche da chi non ne condivide l'orientamento trascendentale di fondo): il mio
io originario non ammette plurale nel senso che pu essere originariamente vissuto come
io soltanto da me, cos come l'io altrui pu essere vissuto propriamente come io solo
dall'altro. In altri termini, come abbiamo gi rilevato in precedenza, l'io originario che
la riduzione mette in luce e al quale in ultima istanza si riferiscono tutti i vissuti, le
operazioni e le affezioni di una soggettivit fenomenologicamente accessibile, non pu che
essere singolare: si badi bene, non perch sia solo (sebbene possa considerarsi tale
nell'astrazione della primordialit), ma perch soltanto dalla sua prospettiva che pu
guardare agli altri, esperirli e riconoscerli come tali, interagire con loro nelle modalit pi
svariate. Da questo punto di vista, l'io fenomenologico un singolo anche nella
pienezza dell'intersoggettivit, della comunicazione, della socialit, e lo per ragioni
essenziali. Pretendere di scavalcare questa fattualit elementare significa, per Husserl,
non comprendere la necessit della polarizzazione egologica anche nell'apertura
intersoggettiva. Naturalmente, ci detto, restano in gioco tutte le esigenze che hanno
indotto Husserl a teorizzare la possibilit di una trattazione solipsistica dell'esperienza
trascendentale (con le difficolt che abbiamo visto). Per una discussione pi analitica del
problema dell'Ur-Ich e della soggettivit intersoggettiva, cfr. M. Smargiassi, La
soggettivit trascendentale concreta, cit., pp. 203-225.
109. Lo stesso Husserl era pienamente consapevole che la trasformazione intersoggettiva
della filosofia trascendentale prodotta dalla fenomenologia costituisse una novit radicale
rispetto alla concezione kantiana e neokantiana della soggettivit: Certo se si interpreta
la soggettivit trascendentale come un ego isolato e, in maniera conforme alla tradizione
kantiana, si ignora l'intero compito della fondazione di una comunit trascendentale di
soggetti (die ganze Aufgabe der Begrndung der transzendentalen
Subjektgemeinschaft), si perde allora qualsiasi possibilit di ottenere una conoscenza
trascendentale di s e del mondo (Hu XXIX, 120).
110. Com' noto, l'analisi heideggeriana dell'essere-nel-mondo (in-der-Welt-sein) come
essere-con-gli-altri (Mitsein) viene svolta, in Essere e tempo, nell'ambito di una
ricognizione ontologico-esistenziale del modo d'essere dell'esserci (Dasein). Legando
questa analisi al filo conduttore dell'utilizzabilit (Zuhandenheit), Heidegger
approfondisce e sviluppa sistematicamente un motivo gi presente nelle indagini

husserliane sull'intersoggettivit, mentre nella fenomenologia della situazione emotiva e


della cura si configurano precise modalit (non cognitive) di accesso all'alterit. Nel 26
di Essere e tempo, Heidegger formula una dura critica nei confronti di ogni tentativo,
anche fenomenologicamente orientato (il riferimento polemico a Husserl e, forse,
Scheler), di fondare l'essere-con-gli altri in un orizzonte gnoseologico. Di fatto, tale
approccio non sarebbe originario, non coglierebbe la cosa stessa del Mitsein, in quanto
gli altri uomini, innanzitutto, mi sono dati non attraverso il prisma di una coscienza pura
e dei suoi vissuti, il loro senso si apre piuttosto nel concreto commercium con il mondo
circostante, nella dimensione esistenziale del prendermi-cura. Scrive Heidegger: Gli altri
non sono incontrati nel corso di un conoscere riposante sulla distinzione preliminare di
s, come soggetto innanzi tutto semplicemente-presente, dai restanti soggetti, essi pure
semplicemente-presenti, non quindi in un'intuizione preliminare di s, quale fondamento
della contrapposizione agli altri. Gli altri si incontrano a partire dal mondo in cui l'Esserci
prendente cura e preveggente ambientalmente si mantiene essenzialmente. Contro le
facili spiegazioni teoretiche della semplice-presenza degli altri, necessario tener
fermo il dato fenomenico gi rilevato che l'incontro con gli altri ha luogo nell'ambientalit
mondana (M. Heidegger, Essere e tempo, tr. it. di P. Chiodi, Longanesi, Milano 1970, pp.
155-156). D'altra parte, la netta separazione tra ontico e ontologico (e, da un altro
punto di vista, tra autentico e inautentico) conduce Heidegger a relegare ai margini
dell'interesse filosofico e analitico importanti aspetti della relazione con gli altri, per cui
l'intersoggettivit trascendentale di Husserl si rivela, a vari livelli, molto pi concreta e
mondana del Mitsein heideggeriano. Cfr., per una prima messa a punto, D. Zahavi,
Husserl und die transzendentale Intersubjektivitt, cit., pp. 102-111. In particolare, nelle
dense pagine heideggeriane dedicate all'analisi del Mitsein appare assolutamente in
ombra la costituzione corporea, l'incarnazione (Leiblichkeit) del Dasein, a tutto
vantaggio di una declinazione radicalmente temporale dell'essere-nel-mondo (come se
Heidegger, implicitamente, considerasse la corporeit come intimamente solidale con gli
elementi deiettivi e inautentici dell'esistenza, o comunque non le riconoscesse un vero e
proprio potenziale manifestativo, in chiave ontologica). In questa singolare eclissi del
corpo che accompagna lo svolgimento dell'ontologia fondamentale di Essere e tempo
(escludendo qualche riferimento alla spazialit del Dasein che pu essere letto
abbastanza agevolmente come rimando alla dimensione corporea), si pu forse ravvisare
un nucleo persistente di cartesianismo, ovviamente non nel senso di una
sostanzializzazione del Dasein, bens come virtuale affermazione di un'esistenza del s
quanto si vuole aperta, finita, storica, estatica, ma anche tendenzialmente disincarnata.
Jan Patocka, sulla scia di Merleau-Ponty e Hannah Arendt, ha individuato acutamente
nella corporeit il punto cieco dell'analitica esistenziale di Heidegger, richiamandosi
direttamente alle analisi husserliane della soggettivit incarnata: la sua dottrina dei
movimenti fondamentali dell'esistenza umana rappresenta, da questo punto di vista,
uno dei contributi pi originali alla fenomenologia della corporeit e, pi in generale, ad
una riflessione filosofica sul corpo (cfr. J. Patocka, Il mondo naturale e la fenomenologia,
Mimesis, Milano 2003).
111. Pensiamo qui, in modo particolare, alla trasformazione della filosofia trascendentale in
senso pragmatico-linguistico attuata da Apel e alle riflessioni di Habermas
sull'intersoggettivit nella dimensione della Lebenswelt e dell'agire comunicativo. I due
autori, nel comune atteggiamento critico nei confronti della metafisica e della tradizionale
filosofia del soggetto, pongono fortemente l'accento sul linguaggio come orizzonte
universale di significato, al cui interno si ritaglia concretamente l'attivit cognitiva e
morale dell'uomo. Pur riconoscendo l'importanza di questo approccio, che ha avuto il
merito di evidenziare la funzione sistematica del linguaggio nella costruzione del mondo
sociale, ci sembra tuttavia di ritrovare in esso un pregiudizio antifenomenologico che
porta a sottovalutare o, in qualche caso, a trascurare completamente il contributo che la
dimensione prelinguistica in grado di offrire ad una teoria dell'intersoggettivit e della
comunicazione. Di fatto, questo contributo stato fornito dalla fenomenologia, da
Husserl a Merleau-Ponty, passando per Scheler, Heidegger e Sartre; in particolare, fa

notare Zahavi discutendo le tesi della Sprachpragmatik, proprio perch la comunicazione


non si svolge in uno spazio logico-astratto di funzioni trascendentali, ma nell'apertura
reciproca dei soggetti nella Lebenswelt, nel concreto mondo-della-vita, una comprensione
di essa presuppone un'analisi dell'intersoggettivit prelinguistica del soggetto, in cui la
relazione con l'altro viene esibita concretamente nelle sua configurazione temporale,
corporea, intenzionale ed emotiva. Da questo punto di vista, si pu concordare con Zahavi
sull'idea che Apel e Habermas, nella loro sottolineatura dell'intersoggettivit del
soggetto, non siano stati abbastanza radicali, in quanto entrambi tendono a concepire
solipsisticamente la condizione prelinguistica dell'io. Ma se l'intersoggettivit entrasse
realmente in gioco solo attraverso la funzione costitutiva del linguaggio, si dovrebbe
concludere che il soggetto sarebbe del tutto privo di intenzionalit, di mondo e di altri nel
caso in cui, per qualche ragione, non fosse in grado di imparare un linguaggio (il che
sembra difficilmente sostenibile, anche alla luce dei recenti sviluppi delle scienze
cognitive). Per questi ed altri rilievi critici, cfr. D. Zahavi, Husserl und die
transzendentale Intersubjektivitt, cit., pp. 162-163.
112. In questo senso, per l'accentuazione del momento positivo e descrittivo che ne
caratterizza l'effettiva impostazione, si potuto parlare della fenomenologia husserliana
come empirismo trascendentale (lo stesso Husserl nel 20 di Idee I aveva affermato
che i veri positivisti sono i fenomenologi, in quanto soltanto la fenomenologia tiene
fermo fino in fondo al principio dell'interrogazione filosofica dell'esperienza, soggettiva e
intersoggettiva, nelle sue molteplici modalit di manifestazione e strutture di validit). Sul
piano storico, com' facile comprendere, il nesso pi diretto non con il neoempirismo
contemporaneo, che privilegia l'analisi delle forme dell'esperienza categorialmente gi
strutturate (il linguaggio della conoscenza scientifica), ma con l'empirismo tradizionale
(la linea Locke-Berkeley-Hume), che invece tematizza le forme pi elementari del vissuto
soggettivo (percezione, ricordo, immaginazione, ecc.). Per l'interpretazione husserliana
dell'empirismo e un'analisi critica della posizione di Hume nello sviluppo della
gnoseologia moderna, cfr. E. Husserl, Storia critica delle idee (tr. it. di G. Piana), Guerini
e Associati, Milano 1989.
113. Com' noto, Wittgenstein era molto interessato ai problemi intersoggettivi e la sua critica
radicale delle concezioni solipsistiche della soggettivit una chiara testimonianza di
questa tendenza. D'altra parte, l'enfasi posta da Wittgenstein sulla mediazione linguistica
come unica forma di accesso alle other minds e condizione intrascendibile di ogni
incontro con gli altri sembra giustificare il sospetto di una diffidenza di fondo nei
confronti dell'indagine fenomenologica: La posizione di Wittgenstein nei confronti della
fenomenologia e della psicologia offre l'occasione di riaprire l'indagine sul ruolo primario
del linguaggio, perch potrebbe sorgere il sospetto che il suo permanere nella dimensione
linguistica sia dovuto al suo rifiuto di un approfondimento della dimensione
fenomenologica (A. Ales Bello, Wittgenstein e Husserl: psicologia e fenomenologia, in:
R. Egidi (a cura di), Wittgenstein e il Novecento. Tra filosofia e psicologia, pp. 247-254,
p. 254).
114. Sarebbe utile, in questa prospettiva, un confronto approfondito tra la fenomenologia
husserliana dell'intersoggettivit e la critica del solipsismo sviluppata nel campo della
filosofia analitica. Se la discussione recente, in questo campo, sembra convergere con le
tesi husserliane (e, pi in generale, fenomenologiche) circa l'impossibilit di
un'esperienza puramente privata e l'esigenza di superare la soggettivit cartesianamente
concepita, anche vero che il nucleo argomentativo pi forte di queste posizioni si riduce
talora ad una ripresa e/o approfondimento delle riflessioni wittgensteiniane sulle aporie
del cosiddetto private language (Cfr. A. Hyslop, Other Minds, Kluwer,
Dordrecht/Boston/London 1995).
115. Naturalmente, questo rilievo non intende minimamente intaccare il valore delle analisi
husserliane della sfera precategoriale e delle sintesi passive, che recano alla luce il modo
autonomo di strutturarsi (percettivo e temporale) dell'esperienza del soggetto, prima delle
oggettivazioni categoriali e scientifiche. Si tratter, semmai, di cogliere e descrivere le

forme peculiari di rimandi intersoggettivi che passivamente plasmano la dimensione


estetico-trascendentale della soggettivit, seguendo o sviluppando le linee gi
nitidamente tracciate da Husserl su questo terreno.
116. Molto pertinente, in proposito, un'osservazione critica di Patocka: Tutte le esperienze,
tutte le connessioni e i legami di senso che Husserl sviluppa qui -- l'appaiamento,
l'appresentazione, l'appercezione dell'altro che agisce e pu agire in un corpo proprio, la
reciprocit nel rapporto tra i soggetti, la presentificazione della soggettivit nell'attualit
in quanto soggettivit estranea -- sono esperienze autentiche da cui deriva il senso
dell'altro nella sua figura concreta (J. Patocka, Les Meditations cartesiennes, cit., p.
183).
117. Emblematica, sotto questo aspetto, la posizione di Theunissen, il quale ritiene che la
considerazione dell'altro nel quadro dell'egologia trascendentale abbia come esito
inevitabile (e, forse, come scopo esplicito) la dissoluzione della trascendenza
trascendente dell'altro nell'identit dell'io proprio e dell'io altrui (Cfr. M. Theunissen,
Der Andere, cit., pp. 138-sgg.).
118. Anche in questa ottica crediamo che vada letto l'avvertimento husserliano di Krisis, che
sottolinea l'indeclinabilit personale dell'Ur-ich e che spesso stato visto (a torto)
come un ennesimo ripiegamento solipsistico della fenomenologia trascendentale.
L'intersoggettivit certamente la dimensione pi concreta della soggettivit
trascendentale fenomenologica, ma anche vero che solo una soggettivit (concreta) pu
essere intersoggettiva, e solo riportando sempre di nuovo tutti i significati intersoggettivi,
interpersonali e comunitari dell'esperienza alla loro sorgente originaria, al mio io
realmente fungente, questi significati si rivelano nella loro intenzionalit pi profonda e
viva.
119. Secondo lo Husserl della Crisi, non solo la riflessione filosofica sulla soggettivit presenta
aspetti paradossali, ma , per sua stessa natura, costruita intorno ad un unico paradosso,
che solo la fenomenologia ha saputo individuare con chiarezza ed elaborare
concretamente: il duplice statuto della soggettivit umana, che , al tempo stesso,
soggetto per il mondo e oggetto del mondo (cfr. Crisi, 205). Alla luce di questo paradosso,
che nasconde una serie di profonde difficolt teoretiche ed appare in un certo senso
irresolubile, David Carr ha tentato di rileggere l'intera tradizione della filosofia
trascendentale, da Descartes a Heidegger (cfr. D. Carr, The Paradox of Subjectivity. The
Self in Transcendental Tradition, Oxford University Press, New York 1999).
120. Come abbiamo pi volte rilevato nel corso di questo saggio, la lunga riflessione
husserliana sulla soggettivit trascendentale, considerata nel suo complesso, non si
limitata ad articolare ed approfondire un paradigma di filosofia trascendentale gi
esistente, ma ne ha offerto una versione radicalmente innovativa (pur non mancando,
com' naturale, importanti elementi di continuit con il pensiero trascendentale della
tradizione). In particolare, il lavoro di scavo fenomenologico sulle strutture e funzioni
della vita del soggetto, quelle meno illuminate, ha consentito a Husserl di generare
un'espansione decisiva e, per molti versi, inaudita del campo trascendentale. Lo stesso
Merleau-Ponty, che pure non risparmia critiche a Husserl per presunti limiti idealistici ed
essenzialistici della sua fenomenologia, non pu fare a meno di riconoscere questa nuova
configurazione del trascendentalismo, quasi un'esplosione della filosofia della
coscienza che diventa analitica integrale, aprendosi perfino a ci che ne contesta i
presupposti e pretende di limitarla dall'esterno: Se Husserl si tiene fermo alle evidenze
della costituzione, non per una follia della coscienza, n perch essa abbia il diritto di
sostituire ci che per essa chiaro a dipendenze naturali che sono constatate, ma perch il
campo trascendentale ha cessato di essere soltanto quello dei nostri pensieri per divenire
quello dell'intera esperienza, e infine perch Husserl fa assegnamento sulla verit nella
quale noi siamo fin dalla nascita e che deve poter contenere le verit della coscienza e
quelle della Natura. I retroriferimenti dell'analisi costitutiva non prevalgono contro il
principio di una filosofia della coscienza proprio per il fatto che quest'ultima si allargata

e trasformata tanto da poter contenere tutto, e perfino quel che la contesta (M. MerleauPonty, Segni, trad. it. di G. Alfieri, Net, Milano 2003, p. 231).
121. Anche il recente tentativo di naturalizzare la fenomenologia husserliana, purificandola
per cos dire dai suoi tratti filosofici pi ingombranti ed aprendola direttamente al
confronto interdisciplinare con la psicologia, le scienze cognitive e le neuroscienze, una
chiara attestazione della vitalit del pensiero di Husserl. Cfr. J. Petitot, F. J. Varela, B.
Pachoud, J.M. Roy (edited by), Naturalizing Phenomenology, Stanford University Press,
Stanford 2000. D'altra parte, in questa direzione di ricerca, indubbiamente stimolante e
feconda di sviluppi, lecito vedere all'opera anche la tendenza opposta, ovvero quella di
fenomenologizzare (e dunque aprire alla dimensione filosofica) le scienze della mente,
le analisi scientifiche della coscienza, superando decisamente quella piega
riduzionistica che, radicalizzata, avrebbe comportato la scomparsa del problema stesso
della soggettivit come esperienza in prima persona (la cosiddetta First Person
Perspective).

Copyright Dialegesthai 2009 (ISSN 1128-5478) | filosofia@mondodomani.org | Direzione e redazione


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