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Andrea Staiti

Il luogo della verità


La presenza di Agostino
nella fenomenologia di Husserl*

1. Osservazione preliminare

Nell’intraprendere una ricerca relativa all’influenza di un grande filosofo come


Agostino su un altro grande filosofo come Husserl, sembra opportuno dichiara-
re esplicitamente la prospettiva che si intende assumere. Facilmente, infatti, si
può scadere nell’ingenuità di voler proporre o un’indagine puramente teoretica,
che sorvoli sulle contingenze testuali e contestuali in cui ogni pensiero sorge,
oppure una puramente storica, che in fondo semplicemente riduca l’originarietà
di ogni pensiero a suddette contingenze. Queste due prospettive, spesso e vo-
lentieri, sono considerate irrimediabilmente contrapposte: in questo modo chi si
affida alla prima è costretto a dichiarare ultimamente “artificiale” la propria
analisi (schermandosi per lo più dietro il termine sufficientemente abusato di
“interpretazione”) e chi opta per la seconda rinuncia sovente a pronunciarsi sul-
le questioni più profonde limitandosi a fornire una mera ricostruzione storica e
testuale.
Da parte nostra, intendiamo tentare di seguire Husserl che, in uno dei suoi
ultimi manoscritti, proponeva il seguente appunto:

«La storia intesa [...] come storia dei fatti, può portare con sé un’altra storia più profon-
da e più significativa (anzi, in fondo, l’unica davvero effettivamente significativa), la
quale in ogni caso è sempre in questione laddove si è cercato di parlare di “idee” nel-
la storia, in un senso particolare e, precisamente, come potenze storiche»1.

* Desidero ringraziare il prof. Rudolf Bernet e il dott. Thomas Vongehr dell’Archivio Husserl di Lo-
vanio per avermi indicato gli inediti husserliani da consultare e per aver consentito la pubblicazione dei
diversi passaggi, da essi tratti, che figurano in questo articolo. Un ulteriore ringraziamento va al prof.
Hans-Helmut Gander dell’Archivio Husserl di Freiburg i.Br., dove è stata condotta la ricerca qui pre-
sentata.
1 E. HUSSERL, Teleologie in der Philosophiegeschichte, in HUSSERL, Die Krisis der europäischen Wissen-

schaften und die transzendentale Phänomenologie: Ergänzungsband: Texte aus dem Nachlass, 1934-1937,

«Quaestio», 6 (2006), 373-402 • 10.1484/J.QUAESTIO.1.100072


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La filosofia è anzitutto una storia di problemi, che come tali si ripropongono


in epoche e contesti anche profondamente diversi. Per questo motivo, “origina-
rio” è tanto il problema nella sua purezza teoretica, tanto la storia della sua isti-
tuzione e del suo sviluppo, in cui tale purezza si annuncia e deve essere costan-
temente ri-attinta.
In questo senso più profondo della storicità, non meramente empirico e oc-
casionale ma trascendentale, che rappresenta il cuore della ricerca dell’ultimo
Husserl, si profila la possibilità che un’indagine storico-filosofica (come è in
buona parte quella che qui proponiamo) non sia in contrasto con una stretta-
mente teoretica o ne realizzi soltanto un momento preparatorio, ma costituisca
invece il luogo ideale dove le due direzioni di ciò che in un problema filosofico
è originario si incrociano, affrancandosi vicendevolmente dalla loro rispettiva e
sempre incombente ingenuità.

2. Il tempo, l’animo e la coscienza

Il confronto con Agostino iniziò per Husserl molto presto e proseguì lungo tutto
il corso della sua vita personale e professionale2. Già nel 1886, quando seguiva
le lezioni di Carl Stumpf a Halle, aveva potuto apprezzare dalle argomentazioni
dell’eminente psicologo la portata delle riflessioni agostiniane contro lo scetti-

Husserliana XXIX, R.N. Smid (Hrsg.), Kluwer Academic Publishers, Dordrecht 1993, pp. 362-420, trad.
it. di N. Ghigi, La storia della filosofia e la sua finalità, Città Nuova, Roma 2004, p. 111.
2 Come si evince, tra l’altro, in diversi luoghi della sua fitta corrispondenza. E. HUSSERL, Briefwechsel,

Husserliana, Dokumente 3/I-X Bd., K. Schuhmann (Hrsg.), Kluwer Academic Publishers, Den Haag 1994.
Nel 1920 scrive a Ingarden raccontandogli delle ricerche del giovane Heidegger, che includono il pen-
siero di Agostino (cf. HUSSERL, Briefwechsel cit., Bd. III, Die Göttinger Schule, p. 208, Brief an Ingarden
30.XII.1920) e similmente nel 1922 nella famosa lettera di appoggio del suo giovane e promettente assi-
stente invitata a Natorp, dove viene lodata l’originalità e la profondità delle letture heideggeriane (cf. HUS-
SERL, Briefwechsel cit., Bd. V, Die Neukantianer, p. 150, Brief an P. Natorp 1.II.1922). Nello stesso anno
Husserl segue la dissertazione di un certo Anton Grass su Agostino (cf. HUSSERL, Briefwechsel cit., Bd. VIII,
Institutionelle Schreiben, p. 181, Husserls Korreferat zur Dissertation von Anton Grass, Das schauende
Erkennen bei Augustinus, 2.II.1922) e, quattro anni più tardi, corregge il saggio per l’abilitazione alla
libera docenza di tale Paul Ludwig Landsberg, anch’esso riguardante Agostino, lamentandosi, peraltro in
una forma particolarmente gustosa, per la pessima qualità della stampa, il cui inchiostro troppo pallido
rende impossibile la lettura, e per le correzioni inserite a matita tra le righe delle citazioni in latino (cf.
HUSSERL, Briefwechsel cit., Bd. IV, Die Freiburger Schule, pp. 387-388, Briefe von/an L. Landsberg III-
IV.1926). Nel 1930, in un periodo segnato dalla rottura con Heidegger, dalle incertezze accademiche e dal
lavoro febbrile in vista di una grande opera sistematica mai realizzata, scrive alla sua infermiera benedet-
tina Adelgundis Jaegerschmid ringraziandola di cuore per avergli inviato un suo articolo sulla filosofia del-
la storia in Agostino, dal quale sostiene di aver tratto grande giovamento spirituale in un momento diffici-
le (cf. HUSSERL, Briefwechsel cit., Bd. IV, Die Freiburger Schule, p. 166, Brief an Jaegerschmid
28.VIII.1930).
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cismo, che Stumpf additava come esempi di affermazione della priorità della
percezione interna e della sua indistruttibile evidenza3.
Di qui proviene, molto probabilmente, l’idea fondamentale di un supera-
mento dello scetticismo mediante la sua assunzione sistematica, che Husserl rie-
labora e riprende a suo modo: ad esempio, nelle Lezioni sulla logica del 1896,
di stampo psicologistico, Agostino è citato insieme a Cartesio laddove Husserl
discute della possibilità di distinguere tra mera convinzione ed evidenza, nella
prospettiva di una fondazione logica della validità delle scienze:

«Che dunque sussista realmente una tale differenza tra mera convinzione ed eviden-
za e che la contrapposizione di sapere e ritenere abbia il suo solido fondamento, que-
sto ce lo possiamo facilmente chiarire con esempi scelti a proposito. Se anche voglia-
mo concedere alla nostra brama di dubitare un così vasto spazio, mai potremo dubita-
re, riflettendo sul nostro dubbio, del fatto che stiamo dubitando. A questo punto toc-
chiamo, sulla scorta di Agostino e Cartesio, lo scetticismo assoluto. E la stessa cosa
che vale per il dubitare, vale anche per ogni immediato vissuto interno. Se noi ci rap-
presentiamo una qualche cosa come una chimera, relativamente a questo rappresen-
tare è certamente evidente che ci stiamo rappresentando una chimera»4.

Questo dispositivo concettuale, tuttavia, non è ancora colto e riformulato da


Husserl in una prospettiva autenticamente fenomenologica, fungendo ancora

3 La frequenza alle lezioni di Stumpf è documentata nel gruppo di manoscritti Q, che raccolgono gli

appunti del giovane Husserl ai corsi dei suo maestri. Agostino è citato da Stumpf, in riferimento al pro-
blema della percezione interna e del superamento dello scetticismo, nel corso dal titolo Vorlesungen über
Psychologie del 1886. Cf. E. HUSSERL, Ms. Q 11 I, 18, «All unser Erkennen ruht auf Gründen, Beweisen,
Prämissen die aber in letzter Instanz zurückführen müssen auf gewisse erste Erkenntnisse. Diese haben
wir in diesen zwei Quellen: Die innere Wahrnehmung bietet uns die unmittelbaren Erkenntnisse, die si-
ch auf Tatsachen beziehen. Die Tatsachen, die ich unmittelbar in mir finde, sind die einzigen die in sich
mir als wahr einleuchten. Bei allen anderen Tatsachen kann ich zweifeln, bis die Sicherheit durch Syllo-
gismen erwiesen ist. Dass dies so ist, zeigt sich im ersten Blick. An diesem Felsen ist der Skeptizismus,
so lehrt die Geschichte der Philosophie, allzeit gescheitert. Cartesius: cogito ergo sum. Vor ihm haben das
gleiche Verfahren schon Augustinus und andere eingeschlagen. Selbst im Traum ist es nicht möglich, si-
ch im Bezug auf innere Zustände zu täuschen») e in quello dell’anno successivo dal titolo Logik und
Enzyklopädie der Philosophie. Cf. E. HUSSERL, Ms. Q 14, 75a: «In der inneren Wahrnehmung haben wir
die erste echte und unmittelbare Tatsachenerkenntnis etc. Das ist nicht etwa bloß Folge eines Instinktes
oder Glaubens, sondern eine Erkenntnis. Ein Instinkt lässt sich immer überwinden. Deswegen sind auch
immer die Philosophen, die bestrebt waren, gegen die Skeptiker eine feste Basis zu gewinnen, auf die in-
nere Wahrnehmung zurückgekommen. Alles kann ich bezweifeln, sagte Cartesius, die Außenwelt, das Da-
sein Gottes, ob ich selbst einen Körper habe, aber nicht, dass ich zweifle, dass ich Zweifel denke, dass
ich die Wahrheit suchen will, dass ich den Irrtum fliehe und hasse etc. Da fand er also den Punkt des Ar-
chimedes, von dem aus er die ganze Welt der Erkenntnis bewegen wollte. Schon vor ihm andere Philo-
sophen haben auf diesen Punkt hingewiesen, und zwar immer in Hinblick auf den Skeptizismus: Cam-
panella, vor allem Augustinus in „Contra academicos“»). Rinunciamo a tradurre i passaggi tratti dai cor-
si di Stumpf, pur senza aver voluto rinunciare a riportarli per amore di completezza, in quanto non es-
senziali all’interno del nostro percorso.
4 E. HUSSERL, Logik. Vorlesung 1896, Husserliana, Materialienband I, E. Schuhmann (Hrsg.), Kluwer

Academic Publishers, Dordrecht 2001, pp. 7-8.


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(esattamente come in Agostino e in Cartesio) soltanto da garante preliminare del-


la riflessione e non da filo conduttore sistematico per l’elaborazione di una de-
terminazione trascendentale della soggettività.
Una simile elaborazione avviene per Husserl gradualmente e di pari passo
con le analisi relative al problema del tempo che fiancheggiano e accompagna-
no anche la stesura delle Ricerche Logiche5, dove tale problema è tuttavia volu-
tamente escluso6.
Per questo motivo procederemo dapprima ad una discussione del problema
del tempo, in quanto esso, oltre ad essere uno dei luoghi fondamentali del con-
fronto husserliano con Agostino, costituisce un preambolo (e non una conse-
guenza) dell’avvistamento di quella “soggettività costituente” che rappresenta il
cuore della fenomenologia.
È ben nota l’apertura delle lezioni del 1905 Per la fenomenologia della co-
scienza interna del tempo in cui Husserl afferma:

«L’analisi della coscienza del tempo è un’antichissima croce della psicologia descritti-
va e della teoria della conoscenza. Il primo che abbia sentito la forza delle difficoltà qui
contenute e che vi si sia affaticato fin quasi alla disperazione fu Agostino. Ancor oggi
chiunque si occupi del problema del tempo deve studiare a fondo i capitoli 14-28 del
XI libro delle Confessiones. Perché in questa materia i tempi moderni, tanto orgogliosi
del proprio sapere, non hanno eguagliato l’efficacia con cui la serietà di questo grande
pensatore aggredì il problema, né fatto progressi degni di nota. E ancora oggi si può ri-
petere con Agostino: si nemo a me qaerat, scio, si quaerenti explicare velim, nescio»7.

5 E. HUSSERL, Zur Phänomenologie des inneren Zeitbewusstsein (1893-1917), Husserliana, Bd. X, R.

Boehm (Hrsg.), Nijhoff, Den Haag 1966, trad. it. di A. Marini, Per la fenomenologia della coscienza in-
terna del tempo, Franco Angeli, Milano 1981, (d’ora in poi FCT), pp. 165-205, dove sono raccolti una se-
rie di manoscritti relativi alla “Introduzione della distinzione essenziale tra ricordo «fresco» e «rimemo-
razione»”, del periodo 1893-1901, lo stesso della stesura e pubblicazione delle Ricerche Logiche.
6 Nelle Ricerche Logiche si tratta infatti di considerare «anzitutto il rapporto statico di unità secondo

cui il pensiero conferitore del significato si fonda sull’intuizione e si riferisce così al suo oggetto». E. HUS-
SERL, Logische Untersuchungen, Zweiter Band: Untersuchungen zur Phänomenologie und Theorie der
Erkenntnis, Zweiter Teil, Husserliana, Bd. XIX/2, U. Panzer (Hrsg.), Nijhoff, Den Haag 1984, trad. it. di
G. Piana, Ricerche Logiche, vol. II, Il Saggiatore, Milano 1968, p. 323. Questo tuttavia non significa che
Husserl non fosse cosciente dell’importanza e dell’urgenza delle problematiche legate al tempo, come si
evince ad es. in HUSSERL, Ricerche Logiche cit., p. 149, dove Husserl fa esplicito riferimento al «flusso
della coscienza come unità che si manifesta temporalmente» come «unità della modificazione», «da un
punto all’altro del tempo». Ciò conferma il carattere metodico e consapevole dell’esclusione e lascia in-
travedere la compresenza della parallela riflessione sui problemi legati alla temporalità presente nei ma-
noscritti.
7 HUSSERL, FCT cit., p. 43. La stessa valutazione si trova in E. HUSSERL, Einleitung in die Logik und

Erkenntnistheorie, Husserliana, Bd. XXIV, U. Melle (Hrsg.), Nijhoff, Den Haag 1985, p. 255, dove Hus-
serl afferma, relativamente all’analisi della costituzione del tempo nella percezione, che «quest’analisi
appartiene ai problemi più difficili che siano stati posti all’acume umano. Sant’Agostino, che per la pri-
ma volta ha visto e preso in considerazione queste difficoltà, lamenta disperatamente: si nemo a me quae-
rat, scio, si quaerenti explicare velim, nescio».
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Dopo quest’affermazione generale, che non lascia dubbi sulla valutazione


husserliana dell’apporto di Agostino, Husserl procede tuttavia nelle singole ana-
lisi senza fare ulteriori riferimenti espliciti al testo delle Confessioni, rendendo
così difficile rintracciare prese di posizioni più determinate e chiare sulle teorie
esposte nel libro XI dal filosofo di Ippona.
Questa situazione ha dato luogo a interpretazioni differenti e per molti aspet-
ti contrastanti, laddove in alcuni casi si è insistito sul carattere autenticamente
fenomenologico dell’analisi di Agostino8 e in altri si è voluta sottolineare la sua
irriducibilità a letture di stampo moderno-contemporaneo9.
Per questo è opportuno procedere ad una lettura parallela dei due testi tesa
a metterne in rilievo le affinità teoretiche senza tacere le divergenze e le incom-
patibilità, nell’intento di comprendere a fondo che cosa Husserl ritenesse dav-
vero fondamentale nell’analisi del tempo agostiniana.
La prima problematica che si impone all’attenzione è quella di carattere on-
tologico, legata alla determinazione agostiniana del tempo creato in contrappo-
sizione all’eternità divina:

8 Tra questi spiccano, seppure con sfumature differenti, delle quali discuteremo più approfondita-

mente: F.-W. V. HERRMANN, Augustinus und die phänomenologische Frage nach der Zeit, Klostermann,
Frankfurt a.M. 1992; E.A. SCHMIDT, Zeit und Geschichte bei Augustin, Carl Winter Universitätsverlag, Hei-
delberg 1985, in particolare la prima parte “Visio temporalis. Die Zeit des Bekennenden”, pp. 11-63;
H.-H. GANDER, Zeit und Erkenntnis. Überlegungen zu Augustinus: «Confessiones XI», «Internationales
Jahrbuch für Hermeneutik», 1. Band, G. Figal (Hrsg.), Mohr Siebeck, Tübingen 2002, pp. 301-315. Let-
ture affini sono quelle proposte in V. COSTA, Esperienza e fenomenologia del tempo: Agostino e Husserl, «Ve-
rifiche», 4 (1992), pp. 453-474 e in A. MARINI, Che ne è del mondo in sant’Agostino?, in MARINI (a cura
di), Agostino d’Ippona. Presenza e pensiero, la scoperta dell’interiorità, Franco Angeli, Milano 2004, pp.
141-178. Anche Roberta De Monticelli, sebbene con sfumature interpretative più personali, suggerisce
in R. DE MONTICELLI, L’allegria della mente. Dialogando con Agostino, Bruno Mondatori, Milano 2004 la
possibilità di trarre dalla lettura di Agostino importanti spunti di analisi in vista di una “fenomenologia
della persona” (come quella abbozzata dall’Autrice in R. DE MONTICELLI, La conoscenza personale. Intro-
duzione alla fenomenologia, Guerini, Milano 1998). In merito alla questione del tempo si vedano le Note
al libro XI in AGOSTINO, Confessioni, traduzione e commento a cura di R. De Monticelli, Garzanti, Milano
1989, pp. 378-394, dove traspare un’interpretazione del testo decisamente disposta a riconoscere nelle
analisi agostiniane un’impostazione autenticamente fenomenologica. Una posizione diversa, ottenuta so-
prattutto nel confronto con Derrida e Heidegger, anche se per nulla ostile ad una lettura fenomenologica
di Agostino, è rappresentata in P. PORRO, Agostino e il «privilegio dell’adesso», in L. ALICI (a cura di), In-
teriorità e intenzionalità in S. Agostino, Atti del I e II Seminario Internazionale del Centro di Studi Ago-
stiniani di Perugia, Institutum Patristicum Augustinianum, («Studia Ephemeridis Augustinianum», 32)
Roma 1990, pp. 178-204. Segnaliamo anche il recente lavoro di Thorsten Streubel dove viene riproposta,
argomentando in modo molto accurato, la lettura “tradizionale” che vede i tre filosofi allineati sulla via
della fondazione soggettiva della conoscenza. Cf. T. STREUBEL, Das Wesen der Zeit. Zeit und Bewußtsein
bei Augustinus, Kant und Husserl, Königshausen & Neumann, Würzburg 2006.
9 La posizione più esplicita e autorevole in merito è senza dubbio quella di Kurt Flasch, espressa con

pari chiarezza in K. FLASCH, Augustin. Einführung in sein Denken, Reclam, Nördlingen 1980, trad. it. di
C. Tugnoli, Agostino d’Ippona. Introduzione all’opera filosofica, Il Mulino, Bologna 1983, in part. pp. 259-
280 e in K. FLASCH, Was ist Zeit? Augustinus von Hippo, das XI. Buch der Confessiones. Historisch-philo-
sophische Studie, Klostermann, Frankfurt am Main 1993, in part. pp. 42-51, 212-216 e 220-228.
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«Ecco, il cielo e la terra esistono, e gridano che sono stati fatti, perché sono soggetti a
mutamenti e variazioni. Invece tutto ciò che esiste ma non è stato fatto non ha costi-
tuenti che prima non c’erano: il che appunto vuol dire esser soggetti a mutamenti e va-
riazioni»10.

Agostino contrappone nettamente il modo d’essere dell’eternità divina e


quello temporale del creato11, delineando in questo modo il contesto teoretico in
cui l’indagine sulla realtà del tempo si colloca: si tratta di cogliere la differenza
specifica tra l’eterna simultaneità sovratemporale della visio divina («dalla vet-
ta dell’eterno presente tu precedi tutto il passato e sovrasti tutto l’avvenire»)12 e
la transeunte diacronicità intratemporale della visio umana.
Ma tale differenza specifica non può che esser colta attraverso un’analisi con-
dotta dal lato della visio umana, l’unica accessibile, che precisi i contorni dei
“mutamenti” e delle “variazioni” che la definiscono, così da rinforzare e illumi-
nare per contrasto i tratti della visio divina.
E tale analisi dovrà di necessità muoversi su un terreno gnoseologico, nella
misura in cui si tratta di mostrare in cosa consista l’esperienza temporale che
contraddistingue l’uomo in quanto creatura nel tempo e non (ancora) nell’eter-
nità.
Kurt Flasch ha sostanzialmente rifiutato, in forza dello schema ontologico nel

10 SANT’AGOSTINO, Confessioni, XI, 4.6, M. Simonetti (a cura di), Fondazione Lorenzo Valla, 5 vol.,

Mondadori, Milano 1992-1997.


11 Tale contrapposizione è messa in rilievo e descritta minuziosamente da von Herrmann in V. HERR-

MANN, Augustinus und die phänomenologische Frage cit., pp. 23-47, dove è affermato che «il tempo mai
perdurante e l’eternità sempre perdurante sono incomparabili (incomparabile). Questo significa che la ve-
ra eternità può essere pensata solo in uno slancio di rimozione [im remotiven Abstoß] dal carattere del tem-
po correttamente condotto». V. HERRMANN, Augustinus und die phänomenologische Frage cit., p. 42. L’e-
spressione “slancio di rimozione”, ripresa da Heidegger, sta a significare che per Agostino non si dà co-
noscenza “positiva” e intellettivamente articolata dell’eternità divina, bensì visione fugace e istantanea
guadagnata attraverso una progressiva negazione dei caratteri dell’essere temporale. Analogamente an-
che Pasquale Porro afferma che «la visione del cosmo agostiniana è attraversata e discriminata dalla di-
stinzione tra ciò che permane e si sottrae al cambiamento, e in quanto tale rappresenta un valore tale da
racchiudere in sé ogni altra perfezione, e ciò che invece può essere definito solo a partire dal suo muta-
mento continuo, dalla sua assenza di durata, dalla sua inconsistenza ontologica». Cf. PORRO, Agostino e il
«privilegio dell’adesso» cit., p. 184. Anche Kurt Flasch conviene su questo punto, quando afferma che
«l’eternità in quanto pieno e simultaneo possesso di sé è in contrasto con il tempo, il cui essere è il tran-
sito nel non-essere». Cf. FLASCH, Was ist Zeit? cit., p. 212. Sebbene il problema di una simile distinzione
non sia di natura strettamente fenomenologica, ci sembra opportuno menzionare di passaggio l’opera di
Edith Stein, che, nel suo Essere finito e essere eterno, cercò di mettere a frutto i cardini della fenomenolo-
gia husserliana, raccordandoli e corroborandoli con il pensiero di Agostino e Tommaso, nell’intento di
riappropriasi del senso di tale distinzione, cf. E. STEIN, Endliches und ewiges Sein. Versuch eines Aufstiegs
zum Sinn des Seins, in Edith Steins Werke, Bd. II, L. Gelber und P. Romaeus Leuven (Hrsg.), Herder, Frei-
burg i.Br. 1986, trad. it. di L. Vigone, revisione e presentazione di A. Ales Bello, Essere finito e essere eter-
no. Per una elevazione al senso dell’essere, Città Nuova, Roma 1988.
12 AGOSTINO, Conf., XI, 13, 16.
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quale si muove Agostino, qualsivoglia lettura di stampo gnoseologico del libro


XI delle Confessioni, in primo luogo perché essa comporterebbe, a suo dire, una
riduzione unilaterale della ricchezza di elementi del testo13 e, più profonda-
mente, perché essa dovrebbe necessariamente attribuire ad Agostino una di-
stinzione rigorosa tra tempo interno e tempo esterno, di cui nel testo non v’è trac-
cia14. In tale critica è compreso anche lo stesso Husserl15, e per questo motivo
Flasch esclude sostanzialmente anche la plausibilità dell’affermazione di Ernst
Schmidt, il quale sostiene che «il presupposto di Husserl, che nella teoria del
tempo di Agostino si tratti di “psicologia descrittiva” o “teoria della conoscen-
za”, chiarisce il carattere delle Confessioni dal punto di vista letterario e teolo-
gico»16.
In merito a tale posizione ci sembrano opportune alcune precisazioni.
Innanzitutto, come già accennato, la bipartizione ontologica di eternità e tem-
po non è, in Agostino, un ostacolo all’analisi gnoseologica, costituendone al con-
trario la necessaria motivazione: una prospettiva gnoseologica serve infatti pre-
minentemente a confermare e a rafforzare tale bipartizione, addentrandosi nei
caratteri specifici dell’essere temporale creato al fine di metterne in rilievo i trat-
ti essenziali e cogliere così più distintamente la sua diversità e la sua dipendenza
dall’essere eterno. Perché altrimenti, nella prospettiva agostiniana, spingersi a
domandare “che cos’è il tempo”? Se tale domanda non fosse motivata e resa ne-
cessaria dall’interno della bipartizione ontologica in vista di una sua più preci-
sa focalizzazione, essa non sarebbe che vana curiositas17. Che tale domanda si
dipani poi in termini sostanzialmente gnoseologici non soltanto non è ostacola-
to, ma, anzi, è motivato e reso necessario dalla struttura stessa della bipartizio-
ne: sia Dio che l’uomo sono “di fronte” allo stesso oggetto (la creazione tempo-
rale di cui l’uomo, al contrario di Dio, è parte), ma le tracce della loro incom-

13 «Simili autolimitazioni teoretiche non corrispondono ad alcuna riga di Agostino. L’unilateralità di

Husserl nell’inserire un testo così ricco nel suo programma metodico, non poteva rimanere l’ultima paro-
la di valutazione di Conf. XI; la ricchezza di associazioni di questo testo relative all’estetica, all’etica, al-
la psicologia e alla filosofia della religione, il suo carattere di documento storico della tarda antichità cri-
stiana nell’ambito conflittuale di Nuovo Testamento, filosofia popolare ellenistica, tradizione formativa ro-
mana e neoplatonismo, andava recuperata contro il rigido gesto di inquadramento husserliano». FLASCH,
Was ist Zeit? cit., p. 47.
14 «A questo proposito bisogna dire che il testo di Agostino non dice nulla, ma proprio nulla, circa la

determinazione del rapporto tra coscienza del tempo soggettiva e tempo oggettivo». FLASCH, Was ist Zeit?
cit., p. 45.
15 Non solo nel brano precedentemente citato (qui in nota 14) ma anche in FLASCH, Agostino d’Ippo-

na cit., p. 263, dove viene affermato: «Husserl presupponeva che nella teoria agostiniana del tempo si
trattasse di “psicologia descrittiva” e di “dottrina della conoscenza”. In questo modo però veniva tolto di
mezzo il contesto ontologico-metafisico così come l’aspetto storico-filosofico».
16 SCHMIDT, Zeit und Geschichte bei Augustin cit., p. 63.

17 AGOSTINO, Conf., X, 35, 54.


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mensurabilità si mostrano nel diverso modo di rapportarvisi. Tale rapporto nel


caso dell’uomo ha esso stesso una struttura temporale, nel caso di Dio no. Con
questo il carattere ontologico del tempo non risulta affatto ridimensionato, ben-
sì precisato e progressivamente confermato, come dimostra il procedere stesso
dell’analisi di Agostino. Dapprima viene infatti esposta l’interpretazione della
creazione dal nulla, distinguendo la parola creatrice divina dalla parola pro-
nunciata nel tempo:

«così ci chiami all’intelligenza della Parola, Dio presso Dio, che eternamente viene
detta e per lei tutto si dice eternamente. Là nessuna cosa finisce d’esser detta perché
un’altra la segua, così che una per una si possan dire tutte: si dicon tutte insieme, eter-
namente. E se così non fosse ci sarebbero già tempo e mutamento, non vera eternità e
vera immortalità»18.

Poi Agostino affronta il problema di cosa facesse Dio prima di creare il mon-
do ribadendo e rafforzando il carattere creaturale del tempo stesso, «mai dun-
que, in nessun tempo, tu sei rimasto senza far nulla, perché il tempo stesso sei
tu che l’hai fatto»19, e, immediatamente di seguito, afferma: «non c’è periodo di
tempo che possa dirsi a te coevo, perché tu permani: ma un tempo permanente
non sarebbe tempo. Già, che cos’è il tempo?»20. Questo mostra come la doman-
da sul tempo scaturisca dall’interno della bipartizione ontologica, declinandosi
però in termini gnoseologici: la non-permanenza del tempo, infatti, riguarda
prettamente le modalità in cui esso è vissuto dall’uomo che ne partecipa, essen-
do tale non-permanenza, al contrario, “esperita permanentemente” da Dio21. In
breve: in relazione allo stesso oggetto (la creazione), ontologicamente tempora-
le, si scindono due modalità di rapporto, il primo, quello umano, esso stesso tem-
porale, il secondo, quello divino, non temporale. La modalità di delucidazione
della differenza tra i due livelli ontologici è pertanto, necessariamente, di carat-
tere gnoseologico, nella misura in cui tale differenza non vuol essere soltanto as-
serita ma documentata e resa intelligibile per i lettori e per lo stesso Agostino22.
Con questo però non si è ancora valutato in alcun modo il carattere più o meno
autenticamente fenomenologico, in senso husserliano, della dottrina del tempo

AGOSTINO, Conf., XI, 7, 9.


18

AGOSTINO, Conf., XI, 14, 17.


19

20 AGOSTINO, Conf., XI, 14, 17.

21 AGOSTINO, Conf., XI, 13, 16. In questo senso ci sembra appropriata l’osservazione di von Herrmann:

«con la domanda “quid est tempus?” Agostino assume una nuova visuale sul tempo. Non è più la visua-
le sull’eternità e sull’“esser-creato” del tempo dall’eternità, bensì la visuale sul tempo fenomenale». V.
HERRMANN, Augustinus und die phänomenologische Frage cit., p. 53, nella misura in cui si concepisca
questa nuova visuale come una coerente e necessaria integrazione della precedente.
22 Come del resto era stato affermato all’inizio del libro. Cf. AGOSTINO, Conf., XI, 1, 1.
Il luogo della verità. La presenza di Agostino nella fenomenologia di Husserl 381

agostiniana: infatti, sia ammettendo sia rifiutando l’idea che in Agostino «si trat-
ti di psicologia descrittiva o di teoria della conoscenza», come fanno rispettiva-
mente Schmidt e Flasch23, non è affatto detto che «si tratti (o non si tratti) di fe-
nomenologia», come entrambi gli autori sembrano quasi pacificamente assume-
re.
La fenomenologia husserliana, infatti, non è preoccupata anzitutto di distin-
guere e contrapporre un’esperienza soggettiva del tempo ad un supposto tempo
oggettivo e fondare eventualmente il secondo sulla prima. Una simile distinzio-
ne, se non problematizzata e sottoposta a riduzione fenomenologica, assume ine-
vitabilmente una piega psicologistica24. Si tratta per Husserl piuttosto del pro-
blema dell’«origine del tempo»25, laddove

«Questo problema di origine è diretto però sulle configurazioni primitive della co-
scienza del tempo, nelle quali le differenze primitive del temporale si costituiscono in
modo intuitivo e proprio come le fonti originarie di tutte le evidenze relative al tempo.

23 Cf. SCHMIDT, Zeit und Geschichte bei Augustin cit., p. 63, e FLASCH, Agostino d’Ippona cit., p. 263.

Non a caso abbiamo preferito utilizzare il termine “gnoseologia”, perché più generico e meno “moderno”.
24 Ernst Schmidt orienta la sua analisi sulla distinzione tra «tempo personale» e «tempo fisico» (il

tempo della creatura), leggendo però il primo come conseguenza del secondo: «Questo tempo, da me de-
nominato personale, è una conseguenza del tempo creato da Dio, il tempo della creatura». SCHMIDT, Zeit
und Geschichte bei Augustin cit., p. 11, «il cosiddetto concetto di tempo psicologico di Agostino, che io
chiamo tempo personale, presuppone de facto e sistematicamente il tempo della fisica, cioè il tempo del-
la creatura e la creatura “tempo”». SCHMIDT, Zeit und Geschichte bei Augustin cit., p. 16. In esplicita po-
lemica con questa lettura, Flasch ribatte che «è vero che noi abbiamo il problema di come il tempo sog-
gettivo o tempo personale possa essere allo stesso tempo il tempo della natura; Agostino evidentemente
non l’aveva. Il fatto che egli non l’avesse, dimostra e contrario, che la sua analisi del tempo non vuole es-
sere una teoria della conoscenza. Come tale essa sarebbe indiscutibilmente rudimentale e, per giunta, in-
genua». FLASCH, Was ist Zeit? cit., p. 51. Ma, liquidando per questo motivo anche la plausibilità della let-
tura husserliana del libro XI, non s’avvede del fatto che nemmeno la fenomenologia vuole essere anzitut-
to una teoria della conoscenza, come Husserl chiarisce mettendo in luce la «differenza tra l’impostazio-
ne fenomenologica (che riguarda anche la teoria della conoscenza) e l’impostazione psicologica del pro-
blema dell’origine, rispetto a tutti i concetti costitutivi dell’esperienza, e quindi anche al concetto di tem-
po»: «Il problema che la teoria della conoscenza si pone circa la possibilità dell’esperienza è quello del-
l’essenza dell’esperienza». HUSSERL, FCT cit., pp. 47-48. Questa formulazione, e le conseguenze metodo-
logiche che essa comporta, scagiona Husserl da qualsiasi semplificazione di stampo ingenuamente psi-
cologistico o soggettivistico: non si tratta di risalire alle condizioni di possibilità soggettive attraverso cui
è resa possibile l’esperienza di un tempo fisico-oggettivo, ma di cogliere, nella compagine di dati in cui
esperiamo immediatamente e senza possibilità di dubbio qualcosa come il tempo, l’eidòs che struttura que-
sti dati, prima o al di qua della loro duplice declinazione soggettiva e oggettiva. L’impressione è che Fla-
sch in realtà sia giustamente preoccupato di scansare da Agostino qualsivoglia deriva soggettivistica («co-
sì si rivelano inutili le costruzioni storico-filosofiche che – trascurando i testi di Agostino – gli attribui-
scono una svolta da una concezione oggettiva del tempo ad una antropologico-ontologica o personalisti-
ca». Cf. FLASCH, Was ist Zeit? cit., p. 227), ma annoveri frettolosamente anche Husserl in tale deriva, coin-
volgendolo a torto nella sua pur condivisibile critica delle letture di stampo kantiano. «Si possono espri-
mere kantianamente pensieri agostiniani? Proprio contro la cattiva abitudine di simili trasposizioni si ri-
volge questo libro». FLASCH, Was ist Zeit? cit., p. 197.
25 HUSSERL, FCT cit., p. 48.
382 Andrea Staiti

Questo problema di origine non va confuso con la questione dell’origine psicologi-


ca»26.

Non si tratta infatti di stabilire come si formi, mediante atti psichici sogget-
tivi, la rappresentazione di un tempo esterno, cosale, bensì di mettere a fuoco le
modalità in cui durata della percezione (lato oggettivo) e percezione della dura-
ta (lato soggettivo) si costituiscono parallelamente in quell’ambito di emergen-
za, di per sé né “oggettivo” né “soggettivo”, che è la coscienza.
Dobbiamo ora pertanto proseguire nella lettura del testo agostiniano alla ri-
cerca di quei reperti fenomenologici che motivano la predilezione di Husserl e
gli forniscono materiale e spunti per la sua personale indagine.
Agostino procede dunque, dopo aver sollevato la domanda sul tempo, mo-
strando il tipo di situazione aporetica in cui tale domanda si sviluppa: «Che co-
s’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede lo so; se voglio spiegarlo a chi me
lo chiede, non lo so più»27. Questa è la frase (l’unica) esplicitamente citata da
Husserl in apertura delle sue lezioni sulla coscienza interna del tempo. In essa
non solo è ribadita la natura gnoseologica dell’indagine agostiniana (si tratta in-
fatti di come so il tempo), ma è anche indicata una preziosa duplicità di piano,
in cui, come notano giustamente Gander e von Herrmann28, si profila una di-
stinzione autenticamente fenomenologica. Si tratta della scoperta dello iato esi-
stente tra la dimensione dell’esperienza naturale e quella intravista dall’attività
riflessiva. Nella prima il tempo è “agito”, vissuto in presa diretta e pertanto apro-
blematico. Ma non appena essa viene interrogata «ecco che ci avvolgiamo nelle
più strane difficoltà, contraddizioni, confusioni»29. Agostino intuisce che vi è un
livello dell’esperienza, nella fattispecie dell’esperienza del tempo, di cui il sen-
so comune (con le sue prassi e le sue “teorizzazioni”) beneficia senza avveder-
sene e che questo livello non appare come appaiono le cose del mondo, ma ne-
cessita di un lavoro di carattere riflessivo per venire in luce. Ciò che sostiene e
alimenta la nostra prassi temporale non appartiene ad essa e non è accessibile
dall’interno del suo mero esercizio. Questo è il primo aspetto fondamentale col-
to e assunto da Husserl nella lettura del libro XI delle Confessioni, come si evin-

26HUSSERL, FCT cit., p. 48, sottolineatura mia.


27AGOSTINO, Conf., XI, 14, 17.
28 «Agostino sviluppa la sua dottrina del tempo nel modo di un dialogo interiore tra la comprensione

del tempo naturale, segnata da rappresentazioni tramandate, e la riflessione filosofica, che, in quanto com-
prensione concettuale che chiede conto dell’essere e dell’essenza del tempo, deve prendere le mosse dal-
la comprensione naturale del tempo ad essa pre-data». GANDER, Zeit und Erkenntnis cit., p. 301. «[...] la
ricerca sul tempo di Agostino è fenomenologica perché si lascia porgere ciò che deve interrogare, il tem-
po, dalla comprensione del tempo naturale, prefilosofica, [quella] della vita quotidiana». V. HERRMANN,
Augustinus und die phänomenologische Frage cit., p. 19.
29 HUSSERL, FCT cit., p. 43.
Il luogo della verità. La presenza di Agostino nella fenomenologia di Husserl 383

ce, ad esempio, da un passaggio di Einleitung in die Logik und Erkenntnistheo-


rie. Qui Husserl mostra di leggere la situazione aporetica messa in luce da Ago-
stino come caso particolare di un’aporeticità ben più vasta, che riguarda tutte le
fonti ultime della conoscenza e dell’esperienza, circoscrivendo così l’ambito pro-
blematico della fenomenologia nel suo complesso:

«Le scienze d’esperienza sottostanno a principi che dominano il pensiero e la ricerca


delle scienze naturali, che rendono possibile la scienza naturale in generale e che per-
tanto non possono essere indagati dal pensiero e dalla ricerca delle scienze naturali.
Tutti questi principi risultano confusi e controversi non appena ci si riflette sopra; es-
si sono chiari nella prassi, nell’uso. Ogni ricercatore di scienze naturali, ad esempio,
parla di causa ed effetto, lasciandosi sempre condurre dal principio di causalità; ciò
appartiene al suo “schema fondamentale”. Però non gli si può chiedere nulla riguar-
do al senso ultimo e alla fonte di questo principio. Ogni ricercatore di scienze natura-
li sa cos’è il tempo ma, come già Agostino diceva a riguardo: se non me lo chiedi, lo
so, se me lo chiedi, non lo so»30.

Tutto ciò è confermato nel procedere dell’argomentazione, laddove Agostino


si scontra direttamente con il problema della realtà del tempo: posto che «sono
tre i tempi, come abbiamo imparato da bambini e ai bambini abbiamo insegna-
to: passato, presente e futuro»31 e posto che di almeno due di essi, passato e fu-
turo, diciamo abitualmente che sono lunghi o brevi32, si impone la domanda:
«come fa ad esser lungo o breve ciò che non è? Il passato non è più e il futuro
non è ancora»33.
Si riporta allora lo stesso problema al presente: «Vediamo allora se il presente
possa esser lungo, anima umana: perché a te è dato sentire e misurare la dura-
ta»34. Agostino procede chiedendosi se possano dirsi presenti cento anni, lad-
dove «se è in corso il primo di essi, è questo che è presente, gli altri novantano-
ve son futuri e quindi non ci sono ancora; ma se è in corso il secondo, un anno
è già passato, l’altro presente, i restanti futuri. [...] Perciò cento anni non posso-
no essere presenti»35. La stessa analisi è operata su un singolo anno, un singolo
mese, un giorno, un’ora, fino a giungere alla conclusione:

«se è concepibile una frazione di tempo che non si possa più dividere ulteriormente

30 HUSSERL, Einleitung in die Logik und Erkenntnistheorie cit., pp. 98-99.


31 AGOSTINO, Conf., XI, 17, 22.
32 AGOSTINO, Conf., XI, 15, 18.

33 AGOSTINO, Conf., XI, 15, 18.

34 AGOSTINO, Conf., XI, 15, 18 (corsivi miei). Torneremo a breve sul rapporto sentire/misurare.

35 AGOSTINO, Conf., XI, 15, 19.


384 Andrea Staiti

in parti, per piccole che siano, questa soltanto può dirsi presente: ma anche questa
balza così rapida dal futuro al passato, che non ha la più piccola durata»36.

Tale analisi è condotta dal punto di vista dell’atteggiamento naturale, quello


all’interno del quale so cos’è il tempo: una successione di istanti e di intervalli
composti di istanti. Agostino mostra chiaramente le inevitabili conseguenze
scettiche in cui si incorre quando si tenta di rintracciare l’essenza/origine del
tempo a partire dall’immagine fornita dall’atteggiamento naturale: se esso è una
successione di istanti che si estendono formando unità divisibili e comparabili,
per pensare la realtà di tale successione occorrerebbe rintracciare di volta in vol-
ta l’istante di scaturigine indivisibile e incomparabile di ciascun intervallo. Ma
è proprio tale supposto istante che si rivela impensabile: se esso potesse real-
mente darsi, perderebbe con ciò il carattere di durata collocandosi al di fuori
del tempo così come esso è naturalmente esperito. La direzione di analisi sug-
gerita dall’atteggiamento naturale, insomma, si rivela inadeguata a cogliere la
vera origine di ciò che esso suppone di sapere: l’essenza/origine del tempo si ri-
vela pertanto inaccessibile dall’interno dell’atteggiamento naturale.
A questo punto Agostino procede affermando:

«e tuttavia, Signore, noi percepiamo gli intervalli di tempo, e li confrontiamo e li di-


ciamo più lunghi o più brevi. E misuriamo anche quanto più lungo o più breve un tem-
po sia di un altro. [...] È insomma al suo passare che il tempo può esser sentito e mi-
surato; una volta passato non può, perché non esiste»37.

Questa affermazione, certamente di grande rilievo per la nuova direzione im-


pressa all’analisi, ha motivato i giudizi più entusiastici di chi vi ha visto all’o-
pera una vera e propria riduzione fenomenologica ante litteram38.
Una simile espressione è però, dal punto di vista husserliano, imprecisa, co-
me cercheremo di mostrare: Agostino infatti prende giustamente in considera-
zione l’intervallo come unità minima del tempo in quanto esperito, rinunciando
alla puntualità dell’istante e includendo anche passato e futuro in una conce-
zione di presente allargata e riferita alle tre dimensioni fondamentali dell’ani-
mus: memoria, percezione e aspettativa39.

36AGOSTINO, Conf., XI, 15, 20.


37AGOSTINO, Conf., XI, 16, 21.
38 Così Vincenzo Costa, che scrive: «Agostino non si ferma ad una semplice riduzione fenomenistica,

ma opera una vera e propria riduzione fenomenologica ante litteram». COSTA, Esperienza e fenomenologia
del tempo cit., p. 455. Anche Alfredo Marini, sebbene più in generale, afferma che «Agostino è per mol-
ti versi un fenomenologo ante litteram». MARINI, Che ne è del mondo in Sant’Agostino? cit., p. 146.
39 «Almeno questo ora è limpido e chiaro: né futuro né passato esistono, e solo impropriamente si di-

ce che i tempi sono tre, passato, presente e futuro, ma più corretto sarebbe forse dire che i tempi sono tre
Il luogo della verità. La presenza di Agostino nella fenomenologia di Husserl 385

Tuttavia egli si attiene al paradigma della misurazione del tempo, come uni-
co oggetto d’analisi, limitandosi a ricostruire l’«esperienza originaria» del tem-
po all’indietro sulla base dell’«esperienza della misurazione». In questo modo
egli non riesce a dar conto della costituzione originaria delle unità temporali,
muovendosi sempre all’interno di unità temporali già costituite. Questo perché,
sebbene venga in un certo senso messa fuori gioco la pretesa di validità del mo-
dello fornito dall’atteggiamento naturale, che vede istanti puntuali dove in realtà
non vi sono che intervalli, non viene messa fuori gioco l’immagine di animus for-
nita dall’alleanza di atteggiamento naturale e metafisica antica: quel Bildbewus-
stsein che poco ha a che fare con la struttura originaria dell’esperienza del tem-
po40.
Come Husserl si chiede in un manoscritto, riferendosi sia a Cartesio che ad
Agostino:

«Cartesio ha quindi ottenuto la sfera fenomenologica e l’ha dischiusa per la filosofia?


Purtroppo dobbiamo dire: no. La sua trattazione metodica del dubbio e la sua metodi-
ca messa in questione, che nell’essenziale risale ad Agostino, soffre della svista capi-
tale, che certamente la realtà esterna è messa fuori circuito, ma non la realtà del pro-
prio io che riflette gnoseologicamente»41.

Con le dovute precisazioni, una stessa “svista”, dal punto di vista husserlia-
no, può essere attribuita ad Agostino nella sua trattazione del problema del tem-
po. Non solo infatti della trattazione metodica del dubbio cui Husserl si riferi-

in questo senso: presente di ciò che è passato, presente di ciò che è presente e presente di ciò che è fu-
turo. Sì, questi tre sono in un certo senso nell’anima e non vedo come possano essere altrove: il presente
di ciò che è passato è la memoria, di ciò che è presente la percezione, di ciò che è futuro l’aspettativa».
AGOSTINO, Conf., XI, 20, 26.
40 Che la differenza decisiva tra Husserl e Agostino si situi a questo livello è opportunamente segna-

lato da Gander: «Per quanto [...] si noti chiaramente a livello descrittivo un parallelismo con la concezio-
ne husserliana della coscienza interna del tempo, i due pensatori traggono tuttavia differenti conseguen-
ze da questa situazione per quanto riguarda le implicazioni gnoseologiche. Infatti il modo del rivolgersi
[al passato] è sviluppato da Agostino, dal punto di vista gnoseologico, come una teoria della formazione
d’immagine [Abbildtheorie], vale a dire, nel ricordare non emergono le cose stesse, bensì immagini di ciò
che è stato pecepito ed è in questo senso passato». GANDER, Zeit und Erkenntnis cit., pp. 311-312.
41 «Hat danach Descartes die phänomenologische Sphäre gewonnen und sie für die Philosophie er-

schlossen? Leider müssen wir sagen, nein. Seine methodische Zweifelsbetrachtung und Infragestellung,
die im Wesentlichen auf Augustin zurückgeht, leidet an dem kardinalen Versehen, dass zwar die äußere
Realität ausgeschaltet wird, aber nicht die Realität des eigenen, erkenntnistheoretisch reflektierenden
Ich». E. HUSSERL, Ms. B II 19/30b. Tuttavia potremmo osservare di passaggio che la riduzione sui generis
operata da Agostino nelle Confessioni si avvicina di più a quella fenomenologica rispetto a quella opera-
ta da Cartesio. In Cartesio infatti il dubbio metodico conserva solo l’evidenza della cogitatio mentre per
Agostino dalla crisi della direzione d’analisi “naturale” riguardo alla determinazione dell’origine del tem-
po si salva anche l’evidenza del cogitatum, il fatto, appunto che si dà esperienza del tempo e non mera par-
venza.
386 Andrea Staiti

sce non v’è traccia nelle Confessioni (segno che essa non è affatto colta come fi-
lo conduttore per un’analisi di dati d’esperienza fenomenologicamente intesi),
ma là dove è tuttavia colta la necessità di strapparsi dall’esperienza pratico-quo-
tidiana del tempo per cogliere ciò che la rende possibile, non v’è traccia neppu-
re di una messa in questione dell’immagine di soggettività correlata a tale espe-
rienza pratico-quotidiana. Solo così si potrebbe infatti avere la sfera fenomeno-
logica autenticamente dischiusa.
Tutto questo viene in luce chiaramente nel procedere dell’analisi: dopo aver
riportato passato, presente e futuro a memoria, percezione e aspettativa, Agosti-
no non problematizza più la distinzione implicita precedentemente introdotta tra
sentire il tempo e misurare intervalli di tempo, riferendosi esclusivamente al mi-
surare:

«Poco fa ho detto che misuriamo il passare del tempo42. [...] Il mio desiderio è di co-
noscere la funzione e la natura del tempo, in quanto ci serve da misura dei movimen-
ti dei corpi e ci consente di dire, ad esempio, che quel movimento dura il doppio di
questo43. [...] Non è veridica la confessione in cui quest’anima lo ammette, che io mi-
suro il tempo?44 [...] In te, anima mia, misuro il tempo»45.

Ed è da questa limitazione che segue la scoperta che non sono le «cose che
passano» ad essere misurate e commisurate

«ma qualcosa nella mia memoria, qualcosa che vi si fissa46. [...] Sì, l’impressione che
le cose passando producono in te rimane quando le cose son passate: è questa che è
presente, non quelle, che son passate perché lei nascesse»47.

Non è casuale che, come sottolinea molto opportunamente Vincenzo Costa48,


l’esempio addotto a mo’ di conclusione dell’analisi, sia quello del canto di una
canzone già conosciuta49, dove «via via che questa azione si compie, l’aspetta-
tiva si accorcia e il ricordo si allunga, finché l’aspettativa è tutta consumata,
quando l’azione è compiuta e passa tutta nella memoria»50. Ma una canzone già
conosciuta è, per l’appunto, una unità di tempo già costituita, che come tale pre-

42 AGOSTINO, Conf., XI, 21, 27.


43 AGOSTINO, Conf., XI, 23, 30.
44 AGOSTINO, Conf., XI, 26, 33.

45 AGOSTINO, Conf., XI, 27, 36.

46 AGOSTINO, Conf., XI, 27, 35.

47 AGOSTINO, Conf., XI, 27, 36.

48 Cf. COSTA, Esperienza e fenomenologia del tempo cit., p. 470.

49 Cf. AGOSTINO, Conf., XI, 28, 38.

50 AGOSTINO, Conf., XI, 28, 38.


Il luogo della verità. La presenza di Agostino nella fenomenologia di Husserl 387

suppone la coscienza del tempo senza mostrarne il dinamismo fondativo. Non


avendo messo fuori circuito l’animus già costituito nelle sue facoltà, Agostino è
dovuto necessariamente slittare a considerare oggetti e atti ad esso correlabili
come la misurazione e la “gestione” di unità temporali già costituite, che rap-
presentano, dal punto di vista fenomenologico, strati superiori, resi possibili dal-
la costituzione originaria della coscienza temporale, che in Agostino è certa-
mente avvistata, ma niente affatto colta.
Manca del tutto infatti, la distinzione, fondamentale per Husserl, tra riten-
zione (il modo caratteristico di permanenza modificata di carattere non rappre-
sentativo del dato fenomenologico, il quale costituisce la fase temporale ed è par-
te integrante della presentazione [Gegenwärtigung] di qualsivoglia oggetto) e ri-
cordo (che, fondato sulla ritenzione, consiste invece in una presentificazione [Ver-
gegenwärtigung] di una fase costituitasi originariamente nel passato e inabissa-
tasi)51.
Husserl si esprime chiaramente a questo riguardo e, come mostra l’argo-
mentazione proposta, è impossibile che non si riferisca polemicamente proprio
ad Agostino:

«è sbagliato alla radice argomentare come segue: come posso nell’“ora” sapere di un
“non-ora”, dato che non posso confrontare il “non-ora”, che non è più, con l’“ora” (e
cioè con l’immagine memorativa presente nell’“ora”)? Quasi che fosse nell’essenza del
ricordo che un’immagine disponibile nell’“ora” valga per un’altra cosa simile ad essa
ed io possa e debba fare confronti, come in una rappresentazione per immagine»52.

Von Herrmann segnala questa differenza sostanziale vigente tra Agostino e


Husserl: che per il primo la coscienza temporale è sostanzialmente coscienza
d’immagini, mentre per il secondo no, essendo essa definita dal suo carattere in-
tenzionale53.
Ciononostante egli negli ultimi paragrafi del suo testo54, non rinuncia ad at-
tribuire ad Agostino una distinzione tra ricordo primario (ritenzione) e ricordo
secondario che ci sembra francamente priva di appigli testuali probanti.
Agostino non poteva cogliere tale distinzione perché la sua analisi del tem-
po non coinvolge l’animus nella messa fuori circuito operata sull’atteggiamento

51 Analogamente per quanto riguarda protensione e attesa. L’analisi di questi fenomeni costituisce il

tema dell’intero volume di Husserl, Zur Phänomenologie des inneren Zeitbewusstsein (1893-1917), per-
tanto rinunciamo a riferimenti più precisi e approfondimenti. Qui è sufficiente il breve riassunto che ab-
biamo fornito.
52 HUSSERL, FCT cit., p. 69.

53 Cf. V. HERRMANN, Augustinus und die phänomenologische Frage cit., p. 164.

54 Cf. V. HERRMANN, Augustinus und die phänomenologische Frage cit., pp. 121-143.
388 Andrea Staiti

naturale, non potendo così accedere a quel livello in cui esso è partecipe della
costituzione del mondo pre-riflessivamente esperito. Agostino, potremmo rias-
sumere, compie solo una metà della riduzione fenomenologica, quella sul lato
oggettivo, giungendo così a connettere strutturalmente ciò che chiamiamo tem-
po con l’articolazione propria delle “facoltà” umane. Ma gli resta tuttavia pre-
clusa la determinazione di quelle dinamiche strettamente fenomenologiche che
rendono possibile da una parte la costituzione originaria dell’unità temporale, e
dall’altra il “funzionamento” stesso di tali facoltà.
Da questo secondo punto di vista, l’affermazione contenuta nel libro XII, ap-
parentemente contraddittoria con la dottrina della distensio animi, dove viene
detto che «è il mutare delle cose a generare il tempo, provocando il variare e la
successione delle forme visibili»55 (affermazione che Kurt Flasch adduce come
ulteriore prova del fatto che il libro XI non ha inteso metabolizzare il tempo in
strutture meramente soggettive)56 fornisce uno spunto interessante. Essa allude
ad una prospettiva che dal punto di vista husserliano, e cioè dal punto di vista
di una riduzione fenomenologica correttamente esercitata, non è affatto incom-
patibile con quella della distensio, costituendone, anzi l’imprescindibile com-
plemento: si tratta della prospettiva genetica57, relativa cioè alle legalità (ne-
cessariamente diacroniche) che presiedono alla costituzione delle unità sensi-
bili in generale. Affermare, come afferma Husserl, che la costituzione originaria
di unità temporali è possibile solo grazie all’attività della «ritenzione ininterrot-
tamente co-fungente»58, non significa affatto accordare un’idealistica premi-
nenza alla coscienza attiva59, perché tale affermazione ne comporta necessaria-
mente anche un’altra: se non vi fosse una discontinuità contenutistica dei dati,
nei termini di Agostino una “variazione e successione delle forme visibili”, non
vi sarebbe nulla da ritenere, e non vi sarebbe affatto, propriamente, coscienza
del tempo60.

55AGOSTINO, Conf., XII, 8, 8.


56Cf. FLASCH, Was ist Zeit? cit., pp. 93-94.
57 Vincenzo Costa ha richiamato la prospettiva della fenomenologia genetica alla fine del suo artico-

lo, indicandola giustamente come la direzione necessaria che una fenomenologia del tempo nutrita delle
analisi agostiniane non può che intraprendere. Cf. COSTA, Esperienza e fenomenologia del tempo cit., pp.
470-474.
58 E. HUSSERL, Analysen zur passiven Synthesis, Husserliana, Bd. XI, M. Fleischer (Hrsg.), Nijhoff, Den

Haag 1966, trad. it. di V. Costa, a cura di P. Spinicci, Lezioni sulla sintesi passiva, Guerini, Milano 1993,
p. 39.
59 Si veda in proposito E. FRANZINI, Fenomenologia. Introduzione tematica al pensiero di Husserl, Fran-

co Angeli, Milano 1991, pp. 59-75. Dove viene precisato che «la presenza temporale del mondo nella tem-
poralità del soggetto precede, in un certo senso, gli atti specifici del costituire: funge invece in ogni atto,
è quel “logos del mondo estetico” sempre presente nell’originarietà e nella profondità dell’io». FRANZINI,
Fenomenologia cit., p. 60.
60 Si tratta qui dello stretto legame che, in Husserl, intercorre tra sintesi temporale e sintesi associa-
Il luogo della verità. La presenza di Agostino nella fenomenologia di Husserl 389

È significativo che la prospettiva husserliana riesca a saldare insieme due


istanze che nel testo agostiniano coesistono apparendo tuttavia inconciliabili: in
questo senso, si può affermare che «fondamentalmente [...] le analisi fenomeno-
logiche della coscienza interna del tempo di Husserl si muovono su quel terre-
no che Agostino ha portato alla luce per la prima volta nella storia del problema
filosofico del tempo e ha reso fecondo per la domanda filosofica sul tempo»61.

3. Memoria, trascendenza e soggettività

Il paragone husserliano con Agostino non si limita tuttavia alla sola problemati-
ca del tempo, sebbene in essa si trovi il confronto di più ampio respiro. Esso pro-
segue (spesso solo per fugaci citazioni) nel costante lavoro di determinazione e
integrazione relativo alla soggettività che riguarda l’intera traiettoria della feno-
menologia. Ed è di tale determinazione fenomenologica della soggettività che ora
intendiamo brevemente occuparci, partendo ancora una volta dalle indicazioni
husserliane.
Come già menzionato, Husserl riconosce ad Agostino un ruolo fondamentale
nella storia della filosofia, in quanto egli ha per la prima volta assicurato la ca-
pacità di certezza, e dunque di verità, del soggetto contro qualsivoglia obiezione
scettica62. Qui Husserl vede in qualche misura all’opera un’istanza autentica-
mente fenomenologica, che costituisce un precedente della filosofia di Cartesio
e, attraverso questa, della propria, come si evince da un manoscritto del 1919/20
dal titolo Vorlesungen über Einleitung in die Philosophie, systematisch, di cui vo-
gliamo riportare una lunga e illuminante citazione, e da un passaggio di Storia
critica delle idee:

tiva, definita come una «prosecuzione ad un più alto livello della costituzione originaria del tempo». HUS-
SERL, Lezioni sulla sintesi passiva cit., p. 170. La sintesi associativa regola l’intrecciarsi di dati fenomeno-
logici prima del rivolgimento attivo dell’io su di essi, così che, ad esempio, una scala non appare mai co-
me una somma di singoli gradini che spetti all’io attivo unificare in una sintesi, ma come un’unità passi-
vamente costituita che l’io si limita, eventualmente, a cogliere, corrispondendo allo stimolo affettivo che
tale unità di volta in volta esercita. Sul ruolo della sintesi associativa vedi V. COSTA, L’estetica trascen-
dentale fenomenologica. Sensibilità e razionalità nella filosofia di E. Husserl, Vita e Pensiero, Milano 1999,
in part. capp. VI, VII e VIII; FRANZINI, Fenomenologia cit., in part. cap. III.
61 V. HERRMANN, Augustinus und die phänomenologische Frage cit., p. 169.

62 L’argomentazione secondo cui se dubito sono certo almeno del mio dubitare, così da rovesciare dal

di dentro il dubbio in certezza è presente in diversi passaggi agostiniani. Il più famoso di questi è certa-
mente nel De Trinitate di Agostino. Cf. AGOSTINO, De Trinitate, X, 10, 14, trad. it. di G. Beschin, La Tri-
nità, Città Nuova, Roma 1973. Cf. anche AGOSTINO, Soliloquia, II, 1, trad. it. di D. Gentili, I soliloqui, Città
Nuova, Roma 1970; AGOSTINO, Contra Academicos, III, 11, 26, trad. it. di D. Gentili, La controversia ac-
cademica, Città Nuova, Roma 1970; AGOSTINO De beata vita, II, 7, trad. it. di D. Gentili, La felicità, Città
Nuova, Roma 1970; AGOSTINO, De libero arbitrio, II, 3, 7, trad. it. di D. Gentili, Il libero arbitrio, Città Nuo-
va, Roma 1976.
390 Andrea Staiti

«Nel nostro campo di conoscenza assolutamente sicuro permane dunque, come l’uni-
ca sfera d’essere, l’io che trascorre nella nostra coscienza, con tutti i suoi atti del per-
cepire, rappresentare, giudicare, e così via, così come li coglie ogni volta lo sguardo
interno della riflessione, del tutto immediatamente e in assoluta originalità. Per “l’io”;
che qui è osservato assolutamente, Cartesio pone anche una “mens sive animus sive
intellectus” e dice, io sono assolutamente certo di me come sostanza pensante, men-
tre l’intera natura, il regno delle sostanze estese, soccombe al possibile dubbio. [...]
Così il regno della pura immanenza viene per la prima volta separato da tutto il regno
dell’essere trascendente. A dire il vero nell’antichità Agostino si spinge altrettanto lon-
tano, e tuttavia non del tutto. Ora si tratterà di chiarire realmente ciò che qui viene
messo in opera. Ma anche già nell’antichità questa separazione si avvicinò alla co-
scienza filosofica. Vi ricordo l’argomentazione di Gorgia che abbiamo discusso all’i-
nizio di queste lezioni, degna della più seria attenzione, del modo in cui [in essa] co-
scienza e oggetto di coscienza vengono sbrigativamente contrapposti e poi viene af-
fermata avventatamente l’inconoscibilità di ogni essere extra-coscienziale. Agostino si
attiene più seriamente alla separazione del campo della pura immanenza; certamente
egli lo possiede già, ma quanto a radicalità non si spinge così in là come Cartesio»63.

E similmente, in Storia critica delle idee:

«L’età moderna ha inizio con Descartes perché egli fu il primo a tentare di dare sod-
disfazione teoretica a quell’aspetto di incontestabile verità che sta alla base delle ar-
gomentazioni scettiche; per primo egli si appropriò teoreticamente del terreno d’esse-
re più generale che anche le negazioni scettiche più estreme presuppongono [...]. In
certo modo tale terreno era già stato acquisito da Agostino, già egli era ricorso all’in-
dubitabilità dell’ego cogito. Ma in Descartes ha origine un indirizzo nuovo poiché egli
trasforma la punta antiscettica di una semplice contro-argomentazione in una stabile
acquisizione teoretica. [...] Nel senso di Descartes – ma non in quello di Agostino –
l’«io penso» è il «punto archimedico» sulla cui base deve realizzarsi una crescita si-
stematica e assolutamente sicura della vera filosofia»64.

63 «In unserem absolut gesicherten Erkenntnisfeld verbleibt also als die einzige Seinssphäre das Ich

in unserem dahinströmenden Bewusstsein, mit all seinen Akten des Wahrnehmens, Vor-stellens, Urtei-
lens, usw. sowie sie der innere Blick der Reflexion jederzeit ganz unmittelbar und in absoluter Origina-
lität erfasst. Für das Ego; das hier absolut festgestellt ist, setzt Descartes auch ein mens sive animus sive
intellectus, und sagt, ich bin mir meiner absolut gewiss als denkende Substanz, während die gesamte Na-
tur, das Reich ausgedehnter Substanzen dem möglichen Zweifel verfällt. <gestr. Damit ist zum ersten Mal
das Reich der reinen Immanenz gegenüber dem All-Reich des transzendenten Seins abgeschieden. Al-
lerdings, Augustin im Altertum fasst ebensoweit und doch nicht ganz weit <genug>. Es wird sich nun da-
rum handeln, was hier geleistet ist, wirklich klar zu stellen. Aber auch schon im Altertum tritt diese Schei-
dung dem philosophischen Bewusstsein nahe. Ich erinnere Sie an die höchst <243a = “209”> merkwür-
dige Argumentation des Gorgias, die wir am Angang dieser Vorlesungen besprochen haben, wie in flüch-
tiger <gestr. und etwas leichtfertiger> Weise Bewusstsein und Bewusstseinsgegenstand gegenübergestel-
lt und dann leichtfertig die Unerkennbarkeit jedes bewusstseinsaußeren Seins behauptet <wurde>. Ern-
sthafter verharrt sich Augustin der Ausscheidung des Feldes reiner Immanenz; ja er hat es schon, aber er
geht doch im Radikalismus nicht soweit wie Descartes». E. HUSSERL, Ms. F I 40, 242b-243a.
64 E. HUSSERL. Erste Philosophie, Erster Teil, Husserliana, Bd. VII, R. Boehm (Hrsg.), Nijhoff, Den

Haag 1956, trad. it. parziale di G. Piana, Storia critica delle idee, Guerini, Milano 1989, p. 78.
Il luogo della verità. La presenza di Agostino nella fenomenologia di Husserl 391

Il problema della certezza, del rapporto tra evidenza e certezza, la possibilità


di ricostruire la trascendenza del mondo a partire dal suo annuncio nel regno
della pura immanenza assolutamente indubitabile, costituisce infatti il proble-
ma fondamentale della fenomenologia. Si tratta, in altri termini, di accertare se
nell’esperienza si dà o meno uno strato di certezza che non sia un costrutto teo-
rico, il termine di un processo inferenziale o l’applicazione di un apparato cate-
goriale meramente soggettivo ad una compagine di sensazioni di per sé né ordi-
nate né disordinate65.
Solo un soggetto originariamente capace di certezza, infatti, può riflettere in
sé le molteplici configurazioni del reale cogliendo in esse un’articolazione es-
senziale, una vera e propria logica trascendentale, la quale, per così dire, circo-
scriva senza prescrivere, dando conto dell’apparire come tale senza falsificarlo
speculativamente o scavalcarlo come un’ovvia premessa, alla maniera delle
scienze obiettive.
Relativamente a questa istanza, Husserl traccia una linea di pensiero che,
partendo dallo scetticismo grezzo di Gorgia, il quale invoca un interno della co-
scienza soltanto per screditare l’esterno, passa da Agostino per giungere a Car-
tesio, che radicalizza ciò che il filosofo di Ippona aveva già seriamente messo in
luce e preso in considerazione, vale a dire il dato esperito nella sua pura imma-
nenza, prima o al di là del suo riferimento ad un esterno, il quale si costituisce
come tale soltanto dal di dentro del dato esperito stesso. A questo proposito è il-
luminante leggere la definizione di “vero” data da Agostino nei Soliloquia: «ve-
ro è ciò che è così come appare a chi lo conosce, se egli vuole e può conoscerlo»66
o la risposta data a chi, nel Contra Academicos, gli adduce l’esempio del remo
che appare spezzato nell’acqua per screditare l’attendibilità del dato di co-
scienza:

«[...] se il remo, immerso nell’acqua, apparisse dritto, piuttosto allora accuserei gli oc-
chi di una falsa impressione. Infatti non vedrebbero ciò che, date quelle cause, dove-
va esser veduto. [...] “Io tuttavia” dirà qualcuno “m’inganno se presto l’assenso”. “Non
prestar l’assenso più di quanto tu ritenga certo che così ti appare e non vi sarà ingan-
no”»67.

Proprio il Contra academicos è citato nel corso di un lungo manoscritto (pur-


troppo molto frammentario e per questo trascritto solo in parte), in cui si coglie

65 Si veda a questo proposito C. DI MARTINO, Il senso comune nella fenomenologia, in E. AGAZZI (a cu-

ra di), Valore e limiti del senso comune, Franco Angeli, Milano 2004, pp. 165-190 e P. SPINICCI, Il mondo
della vita e il problema della certezza, CUEM, Milano 2000.
66 AGOSTINO, I soliloqui cit., II, 5, 8 (corsivi miei).

67 AGOSTINO, La controversia accademica cit., III, 11, 26.


392 Andrea Staiti

la comunione d’intenti che Husserl doveva scorgere in Agostino, una forte ma


non ingenua istanza logicista:

«Agostino Contra academicos III 25 dice [...]: l’uguaglianza 3x3 = 9 dev’essere ne-
cessariamente vera anche se tutto il genere umano giacesse in un sonno profondo»68.

La verità dell’oggetto è decisa nel suo apparire per la coscienza ma non per
questo può essere ridotta all’occasionalità del suo apparire fattuale. Tutto sta
dunque, per lo Husserl lettore di Agostino e di Cartesio, nel rintracciare quelle
regolarità essenziali che non fanno dell’apparire il puro capriccio di una par-
venza individuale ma una condizione di rivelazione e dunque di costituzione del-
la verità dell’oggetto.
In questa prospettiva l’apparire traccia da sé la propria “logica”, quell’insie-
me di invarianti eidetiche per cui, ad esempio, il remo nell’acqua apparirà sem-
pre spezzato, rendendo così possibile una certezza percettiva ed eventualmente,
ad uno strato superiore, una scienza ottica apoditticamente fondata. La logica
trascendentale pianificata da Husserl è anzitutto logica della certezza, articola-
zione dell’apparire nelle sue molteplici modalità prima che norma o tecnica del
retto ragionare ed è questa logica, cui la filosofia aspira da lungo tempo, che la
fenomenologia si propone di mettere in luce:

«Ad una scientia dirigendi facultatem cogniscivam in rerum cognitione non può man-
care un ricco patrimonio di norme e regole e la letteratura logica fin dall’antichità ne
è piena. Però essa ha disatteso le grandi speranze che su di essa erano state riposte in
merito all’arricchimento dell’attuale bagaglio di conoscenza dell’umanità. I maestri
delle scienze moderne, che certamente possono dirsi i veri artisti della conoscenza,
sottoscriveranno a stento la lode agostiniana dell’“arte di tutte le arti, maestra e giu-
dice di tutte le scienze”, dal momento che pochissimi tra di loro si sono occupati di
questa logica. D’altra parte la possibilità di una fruttuosa arte della conoscenza in sen-
so lato non è in questo modo negata, e gran parte dei moderni tentativi di riforma al-
l’interno della logica tenta di raggiungere questo scopo mediante un più stretto con-
giungimento con l’impresa conoscitiva di successo delle scienze rigorose»69.

68 «Augustin contra Akademicos III 25 Sagt (nach Richter der Skeptizismus in der Philosophie II 13)

die Gleichung 3x3 = 9 muss notw<endig> wahr sein auch wenn das ganze Menschengeschlecht in tiefem
Schlaf liege». E. HUSSERL, Ms. K II 4, 58a
69 «Einer scientia dirigendi facultatem cogniscivam in rerum cognitione kann ein reicher Bestand an

Normen und Regeln nicht fehlen und die logische Literatur seit dem Altertum ist voll von solchen. Frei-
lich hat sie die großen Hoffnungen nicht erfüllt, die auf sie in Hinsicht auf die Bereicherung des aktuel-
len Erkenntnisschatzes der Menschheit gesetzt worden sind. Die augustinische Lobpreisung der „Kunst
aller Künste, der Lehrerin und Richterin aller Wissenschaften“ werden die Meister der neuzeitlichen
Wissenschaften, die sich doch die wahren Erkenntniskünstler nennen dürfen, kaum unterschreiben, da
ja die wenigsten unter ihnen sich um diese Logik gekümmert haben. Anderseits die Möglichkeit einer in
großem Sinne fruchtbaren Erkenntniskunst ist damit nicht geleugnet und ein Hauptteil der modernen
Il luogo della verità. La presenza di Agostino nella fenomenologia di Husserl 393

Tuttavia non è difficile intendere che per Husserl simili tentavi sono destina-
ti a fallire, nella misura in cui, come già visto a proposito del tempo, l’atteggia-
mento delle scienze naturali non è adatto a cogliere e interrogare i propri pre-
supposti di senso70. È notevole però che in questo contesto Husserl ricordi Ago-
stino (il manoscritto da cui la citazione è tratta si intitola Vorlesungen transzen-
dentale Logik 1920/21 e contiene in nuce tutte le analisi relative allo sradica-
mento delle scienze che occuperanno gli anni successivi e le conferenze di Vien-
na e di Praga confluendo nella Crisi delle scienze europee)71: già nella filosofia ago-
stiniana, dunque, egli sembra implicitamente scorgere l’ideale della philosophia
perennis auspicata nella Crisi (e ivi attribuita al solo Rinascimento)72, edificata
sulla logica trascendentale fenomenologica e ramificata nelle singole scienze, or-
ganicamente alimentate dalla stessa linfa teoretica. Al di là delle analisi effetti-
ve73, o, meglio, leggendole in filigrana, Husserl coglie e valorizza in Agostino
un’istanza di senso, di fondazione originaria della certezza in stretta connessione
con la natura stessa della soggettività, nella misura in cui essa contiene già in sé
una scienza possibile assolutamente apodittica, una logica trascendentale del-
l’apparire che alla fenomenologia spetta di dipanare (e non di inventare).
La possibilità di una simile scienza è pensabile solo a partire da una sogget-
tività originariamente capace di certezza e di certezza permanente, tassello fon-
damentale di qualsivoglia acquisizione teoretica stabile. È questo il senso del-
l’altra nota citazione husserliana di Agostino, in chiusura delle Meditazioni car-
tesiane:

La via che deve condurre necessariamente alla conoscenza provvista di un fondamento


ultimo, [...] oppure, il che è lo stesso, alla conoscenza filosofica, è quella dell’autoco-
noscenza universale [...]; ossia guadagnando l’universale conoscenza di sé, si ha la fi-
losofia stessa: è questa autoconoscenza che impregna ogni scienza vera e propria re-
sponsabile di se stessa. [...] Noli foras ire, dice Agostino, in te redi, in interiore homi-
ne habitat veritas»74.

reformatorischen Versuche innerhalb der Logik hofft dieses Ziel durch engeren Anschluss an den erfol-
greichen Erkenntnisbetrieb in den strengen Wissenschaften zu erreichen». E. HUSSERL, Ms. F I 37, 13b.
70 Cf. HUSSERL, Einleitung in die Logik und Erkenntnistheorie cit., pp. 98-99.

71 E. HUSSERL, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie,

Husserliana, Bd. VI, W. Biemel (Hrsg.), Nijhoff, Den Haag 1954, trad. it. a cura di E. Filippini, La crisi
delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Milano 1961.
72 HUSSERL, La crisi delle scienze europee cit., pp. 36-39.

73 Abbiamo visto nel paragrafo precedente come Agostino, nel corso della cruciale analisi del tempo,

non si serve metodicamente dell’acquisizione relativa al nucleo apodittico della soggettività e non compie
una vera e propria riduzione fenomenologica husserlianamente intesa, bensì una singolare forma di so-
spensione dell’atteggiamento naturale che non coinvolge tuttavia l’animus.
74 E. HUSSERL, Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge, Husserliana, Bd. I, B. Strasser (Hr-

sg.), Nijhoff, Den Haag 1950, trad. it. di F. Costa, Meditazioni cartesiane e discorsi parigini, Bompiani, Mi-
394 Andrea Staiti

Non si tratta di una soggettività solipsisticamente ripiegata su se stessa, ben-


sì di una soggettività che, riflettendo su di sé, si conosce come campo d’emer-
genza (coscienza) e polo necessario (Io puro) per il coglimento della struttura es-
senziale della realtà, come quell’unico ambito in cui tutto ciò che è s’invera, ri-
ceve cioè il suo proprio carattere di verità nel riverbero della certezza. A questo
proposito Husserl, in un manoscritto di poco successivo al precedente, dal tito-
lo Aus Wollen, Werten, Fühlen del 1920/25, si pone il problema di come, a par-
tire dalla temporalità della percezione, sia possibile la sovratemporalità di con-
vinzioni permanenti, le quali, sebbene nate nel tempo mediante atti determina-
ti e temporalmente estesi, non hanno una reale estensione temporale, ma valgo-
no permanentemente. Simili convinzioni riguardano certamente anche le vali-
dità scientifiche, ma le accomunano al più ampio spettro di tutto ciò che, nel vi-
vere esperiente quotidiano, si mantiene valido anche quando l’Io non vi è atti-
vamente rivolto.
Si giunge così al tema della memoria, fondamentale tanto nella fenomenolo-
gia quanto nel pensiero di Agostino75:

«Perché parlo sempre di “convinzioni” che permangono, volontà che permane, amore
che permane? Naturalmente, non gli atti permangono, ma i noemata. La convinzione
non è un mio atto (finché permane), al contrario la mia intenzione [Meinung] perma-
nente è ciò che è inteso [das Gemeinte] come tale. Questo è il mio possesso permanente
e, come il possedere in quanto attività dell’appropriarsi e del ri-prendere, che è un ri-
appropriarsi, è mutevole, così anche in tutti questi casi. Così dice anche Agostino: che
l’“animus desinit cogitare quamvis non desinit scire”. “Scire” esprime proprio il pos-
sesso che permane (il “sapere”), “cogitare” l’atto di sapere [Wissenakt] che afferra il
suo possesso. Così si comprende anche il concetto agostiniano di “memoria”: posses-
so memorativo»76.

lano 1989, pp. 171-172. Per la citazione di Agostino si veda AGOSTINO, De vera religione, XXXIX, 72, trad.
it. di A. Pieretti, La vera religione, Città Nuova, Roma 1995.
75 Anche il tema della memoria in Agostino era noto a Husserl da lungo tempo, grazie al rilievo ad es-

so dato da Stumpf nelle sue lezioni sulla psicologia del 1886 (vedi nota 4) nella discussione della teoria
dell’associazion: «Gesetze der Assoziation, die sonst aufgestellt zu werden pflegen: 1) Das Gesetzt der
Ergänzung oder der Berührung. Das sind zwei Formen, die auf dasselbe herauskommen. 2) Das der Ähn-
lichkeit. Das sind die beiden Hauptgesetze, die man bei den Psychologen findet und von welchen man-
che glauben, dass sie nicht auf ein gemeinsames reduzibel seien. Was das erste betrifft, so ist es bereits
von Augustinus aufge<stellt> worden. Augustinus hat, der erste nach Aristoteles, ausgezeichneten Be-
merkungen über das Gedächtnis ange<stellt>. Aristoteles <machte> nur gelegentliche Bemerkungen,
obwohl er eine eigene Schrift über das Gedächtnis schrieb. Augustinus formulierte aber das Gesetzt: Ein
Teil <reproduziert> das Ganze, mit welchem es früher im Bewusstsein vorhanden war, auch wenn die Din-
ge nacheinander folgten, denn das Bewusstsein umfasst auch das unmittelbar Aufeinanderfolgende». E.
HUSSERL, Ms. Q 11 I, 354.
76 «Warum spreche ich immer von bleibenden “Überzeugungen”, bleibender Wille, bleibende Lie-

be? Natürlich, nicht die Akte bleiben, sondern die Noemata. Die Überzeugung ist nicht mein Akt (sofern
sie bleibt), sondern meine bleibende Meinung ist das Gemeinte als solches. Es ist mein bleibender Be-
Il luogo della verità. La presenza di Agostino nella fenomenologia di Husserl 395

Agostino infatti aveva messo in rilievo, in particolare nel libro X delle Con-
fessioni, la natura della memoria, cogliendo un aspetto fenomenologicamente de-
cisivo: essa non è appena una generica conservazione del dato (sensoriale, emo-
zionale, intellettuale, ecc.), ma una modificazione sostanziale di esso, una con-
servazione modificata77, per cui, ad esempio, al ricordo di un’emozione non ap-
partiene necessariamente la medesima tonalità con cui essa era stata origina-
riamente vissuta78, e così è possibile gioire al ricordo di una tristezza passata o
viceversa.
Sebbene nel libro successivo Agostino non riesca a scorgere l’origine di tale
modificazione nella ritenzione79, essa viene minuziosamente descritta e artico-
lata nelle sue differenze. Per Husserl la permanenza modificata del cogitatum
assume un ruolo fondamentale, nella misura in cui, come indica il passo citato,
è a questo livello che avviene il coglimento del noema, vale a dire dell’unità di
senso sottesa alla compagine di dati, la quale, a differenza dei dati, non varia e
permane allo scomparire di quelli in quanto acquisizione permanente, stabiliz-
zazione semantica e logica della certezza percettiva.
Al capoverso successivo dello stesso manoscritto Husserl precisa tale di-
stinzione, citando un passaggio dei Soliloquia:

«Agostino: Soliloquia I 9. Tutto ciò che ho in qualche modo raccolto e affidato alla me-
moria e che mi appare in modo certo o incerto credibile non è sapere. Il sapere è qual-
cos’altro. Ad esso appartiene la certezza»80.

sitz, und wie auch das Besitzen als Tätigkeit des Zueignens und Wieder-aufnehmens, das ist Wieder-Zuei-
gnens, wechselnd ist, so in all diesen Fällen. So sagt auch Augustin: dass der “animus desirit cogitare
quamvis non desirit scire”. “Scire” drückt eben den bleibenden Besitz aus (das “Wissen”), “cogitare” den
Wissenakt, der seinen Besitz begreift. So versteht sich auch der Augustinische Begriff der memoria: gedä-
chtnismäßiger Besitz». E. HUSSERL, Ms. A VI 30, 26a.
77 Cf. AGOSTINO, Conf., X, 8, 12 e 19, 28.

78 Cf. AGOSTINO, Conf., X, 14, 21.

79 Si potrebbe a questo proposito dire che, dal punto di vista metodologico della fenomenologia, non

è privo di significato il fatto che nel testo delle Confessioni l’analisi della memoria preceda quella del tem-
po, fornendo un’ulteriore conferma della tesi precedentemente proposta, che Agostino nel libro XI non si
spinga al di là dell’orizzonte di unità temporali già costituite. Questa precedenza ha tuttavia un significa-
to metafisico e argomentativo fondamentale nell’assetto complessivo dell’antropologia agostiniana, come
mostra efficacemente Tiziana Liuzzi nel suo saggio, affermando che: «la dottrina della memoria rappre-
senta l’a-priori teoretico della concezione del tempo, perché la memoria è il “fondo” della mens, soggetto
dell’unità del reale nella distensio», T. LIUZZI, Tempo e memoria in Agostino. Dalle «Confessioni» al «De
Trinitate», «Rivista di storia della filosofia», 1 (1984), pp. 35-60, in part. 59.
80 «Augustinus Soliloquia I 9. Was ich irgend aufgelesen habe und dem Gedächtnis anvertraute, und

was mir in einer gewissen oder ungewissen Weise als glaubhaft erscheint, das ist kein Wissen. Wissen ist
etwas ganz anderes. Gewissheit gehört dazu». Il passaggio cui Husserl fa riferimento si trova in realtà in
AGOSTINO, I soliloqui cit., I, 4, 9: «Ho detto [...] cose che non ho compreso con l’intelletto, ma che ho man-
dato a memoria raccogliendole da ogni parte, e ho prestato ad esse quanta più fede potevo: ma saperle è
un’altra cosa». E. HUSSERL, Ms. A VI 30, 26b.
396 Andrea Staiti

In altri termini, nella modificazione memorativa non è automatico il passag-


gio dalla certezza del dato presente, in quanto esso “appare credibile”, alla cer-
tezza stabilmente acquisita del sapere. Essa richiede per Husserl un lavoro, un
ri-prendere e ri-appropriarsi81 del dato memorativamente modificato (il quale in-
tanto ha messo capo ad un possesso noematico) sottoponendolo alla variazione
eidetica e ottenendo così un’essenza. Husserlianamente, infatti, solo la Wesens-
schau ha propriamente lo statuto di sapere non bisognoso di fondazione ulterio-
re. In pochi tratti si potrebbe riassumere: il dato (di qualsiasi provenienza o na-
tura) appare portando con sé un grado più o meno forte di evidenza ed è affida-
to alla memoria mediante la modificazione ritenzionale. Nel dato, o, meglio, nel-
la compagine di dati cui il singolo dato inerisce, è già contenuto il noema, vale
a dire l’unità di senso ideale che lo sottende, ed è questo che, più o meno atti-
vamente colto, permane nella memoria, mentre i dati, correlativamente agli at-
ti, scompaiono. Questo processo costituisce il terreno su cui eventualmente si
edifica il sapere essenziale della fenomenologia come ottenimento di certezza di
livello superiore stabilmente acquisita nella Wesensschau.
Ora, la breve analisi del possesso memorativo che, con Agostino e Husserl,
abbiamo compiuto, costituisce un esempio del concetto fenomenologico di fon-
dazione: sono stati infatti messi in luce (sebbene schematicamente e per sommi
capi) dinamismi che riguardano un vasto campo di fenomeni, da cui traggono le-
gittimità e senso regioni fenomeniche superiori (nella fattispecie abbiamo ana-
lizzato i fenomeni memorativi in quanto fonti di validità originaria prima delle
loro determinazioni specifiche eventuali che potrebbero comprendere, ad esem-
pio, tanto il campo dei ricordi personali, quanto a quello della trasmissione di
sapere scientifico o di gusti estetici).
Questo dà tuttavia un’impressione della vastità della ricerca fenomenologi-
ca, in cui qualunque campo fenomenico può essere sottoposto ad analisi e ri-
condotto a fondazione, e così facendo un nuovo aspetto della soggettività costi-
tuente può venire in luce ed essere ordinato nella stratificazione complessiva in
cui quest’ultima è articolata e sempre si ri-articola.
Se la soggettività fenomenologica, facendosi in qualche misura erede delle
istanze filosofiche agostiniane, è quel campo di emergenza in cui ciò che prefi-
losoficamente si denomina “realtà” si rende dato, entrando così (e così soltanto)
nell’orizzonte del senso, appare chiaro che essa stessa è in costante processo di
svelamento e chiarificazione, lungi dall’essere una sostanza costituita e conclu-
sa che si limiti ad applicare categorie già disponibili ai fenomeni oppure a ri-

81 Cf. HUSSERL, Ms. A VI 30, 26a cit.


Il luogo della verità. La presenza di Agostino nella fenomenologia di Husserl 397

piegarsi su se stessa, semplicemente saggiando di volta in volta la propria sus-


sistenza82.
Per questo motivo vogliamo dedicare le battute conclusive di quest’articolo
alla confutazione di una determinata posizione che tende a rimproverare ad Hus-
serl una sorta di mancata adesione a ciò che in Agostino egli aveva intravisto:
egli avrebbe presentato un modello di soggettività chiuso e limitato, nonché in-
timamente indisponibile all’affermazione della trascendenza divina, a causa di
una radicata allergia al concetto di trascendenza in generale.
Sebbene essa sia abbastanza superficiale e facilmente confutabile, tale posi-
zione può aiutare, per contrasto, a mettere ancora più precisamente in rilievo la
peculiarità del concetto husserliano di soggettività nel suo rapporto con quello
agostiniano.
Si legge nel saggio di Costantini: «mentre in Agostino l’interiorità è oggetti-
va, in Husserl essa è soggettiva, e, mentre la prima si apre alla trascendenza me-
tafisica, la seconda si chiude nella immanenza trascendentale»83. Al di là del-
l’uso un po’oscuro dei termini “oggettiva” e “soggettiva” (che rinunciamo a cer-
care di approfondire), Costantini sembra fare eco a suo modo ad un pensatore
della generazione successiva ad Husserl che più raffinatamente aveva già for-
mulato, in una lettera ad Alfred Schütz, una critica analoga: si tratta di Eric Voe-
gelin.
Voegelin scriveva:

«La meditazione cartesiana non è [...] tanto sconvolgentemente nuova, nella sua so-
stanza, come Husserl crede. La meditazione di Descartes è, in via di principio, una
meditazione cristiana di stile tradizionale. Essa può essere addirittura classificata co-
me una meditazione di tipo agostiniano, sviluppata centinaia di volte, dopo Agostino,
nella storia dello spirito [...]. Scopo della meditazione è il graduale annullamento del-
la sostanza del mondo, partendo dal mondo corporeo fino a quello spirituale, per rag-
giungere il punto di trascendenza in cui l’anima, per parlare con Agostino, può rivol-
gersi nell’intentio a Dio84. L’ego cogitans di Descartes abbraccia dunque tre significa-
ti. Husserl ha capito in modo esatto due di questi significati. Egli ha capito 1) l’ego
trascendentale che, rivolto al mondo ed alle cose che esso abbraccia, possiede nelle
sue cogitationes l’intentio nei confronti delle cogitata; 2) l’ego psicologico, l’anima co-

82 Appare quindi esito di un fraintendimento, l’affermazione di Elio Costantini secondo cui “per Hus-

serl la ricerca filosofica si ferma nel momento in cui viene colto l’Io puro in quanto atto assoluto cogitativo,
in quanto polo noetico correlato con tutti gli oggetti dati nell’ambito della coscienza, dalla quale esso si di-
stingue”. E. COSTANTINI, La ricerca filosofica come processo d’interiorità in sant’Agostino e in Husserl, in Con-
gresso internazionale su sant’Agostino nel XVI centenario della conversione, Institutum Patristicum Au-
gustinianum, («Studia Ephemeridis Augustinianum», 27) Roma 1987, pp. 483-491, in part. p. 484.
83 COSTANTINI, La ricerca filosofica come processo d’interiorità cit., p. 485.

84 E. VOEGELIN, Anamnesis. Zur Theorie der Geschichte und Politik, R. Riper & co., München 1966,

trad. it. di C. Almirante, Anamnesis. Teoria della storia e della politica, Giuffrè, Milano 1972, p. 27.
398 Andrea Staiti

me essenza del mondo che Descartes lascia scivolare nell’ego trascendentale, cosa che
Husserl ha giustamente criticato. Quel che Husserl non aveva capito è invece il terzo
significato dell’ego, che è la base dei primi due, l’ego quale anima animi in senso ago-
stiniano, la cui intentio non è rivolta alle cogitata, ma alla trascendenza. Il processo
della meditazione trova il suo significato primario solo in questo terzo significato, nel-
l’anima animi; nella trascendenza dell’intentio agostiniana, l’ego è sicuro sia di se
stesso che di Dio. Il limite che egli [Husserl] non riesce a superare è la soggettività
dell’ego che gli serve da base: ma non solo rimane oscuro da dove l’ego tragga la sua
funzione di fondare l’oggettività del mondo sulla soggettività, ma tale problema viene
inevitabilmente eluso del tutto. [...] Comunque sia, per dare un fondamento alla sua
posizione, egli ha scelto la scappatoia dell’immanenza di una problematica storica,
precludendosi con massima cura la strada che lo avrebbe avvicinato ai problemi filo-
sofici della trascendenza, ai problemi decisivi della filosofia»85.

Una simile argomentazione – nonostante il pregio della chiarezza – contiene


significativi fraintendimenti, i quali ruotano sostanzialmente intorno al concet-
to di trascendenza: il problema di Dio pertanto (al di là delle declinazioni con-
fessionali) offre uno spunto di rettifica metodologicamente conveniente, rappre-
sentando, per così dire, la figura della trascendenza per antonomasia.
Nel descrivere il “terzo significato” dell’ego, quello che Husserl avrebbe tra-
scurato, Voegelin propone una contrapposizione tra cogitatum e trascendenza,
suggerendo che qui l’intentio sarebbe direttamente rivolta alla trascendenza,
mentre nel primo significato (il livello dell’ego trascendentale) essa sarebbe ri-
volta alle sole cogitationes. Voegelin si riferisce qui alla trascendenza di Dio, ma
il problema si può estendere alla trascendenza come tale (l’esistenza di realtà
fuori dalla coscienza), laddove la realtà di Dio è eventualmente pensabile solo
come trascendenza di secondo grado, o, in ogni caso, a partire dalla trascendenza
di primo grado del mondo esterno rispetto alla coscienza.
Ora, per Husserl proprio una simile contrapposizione soffre di un difetto di
fedeltà ai fenomeni: la novità della fenomenologia in sede gnoseologica consiste
proprio nel pensare la trascendenza a partire dal cogitatum, di mostrare come
essa, per essere vera trascendenza, trascendenza riverberata in certezza origi-
naria, abbisogni sempre di annunciarsi nella pura immanenza in una qualche
forma specifica d’intenzionalità.
Qualsivoglia pretesa trascendenza (sia pure divina)86 che non possa in alcun

VOEGELIN, Anamnesis cit., pp. 29-30.


85

Da questo punto di vista anche il concetto di Dio necessita di essere sottoposto a riduzione, non go-
86

dendo di per sé di alcun privilegio particolare rispetto a tutte le “trascendenze” di cui ciò che chiamia-
mo mondo consiste, sebbene esso alluda ad una trascendenza di natura diversa da quelle mondane. Su
questo lo stesso Husserl è molto chiaro, cf. E. HUSSERL, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phä-
nomenologischen Philosophie, Erstes Buch: Allgemeine Einführung in die reine Phänomenologie, 1. Halb-
band, Husserliana, Bd. III/1, K. Schuhmann (Hrsg.) Nijhoff, Den Haag 1976, trad. it. a cura di V. Costa,
Il luogo della verità. La presenza di Agostino nella fenomenologia di Husserl 399

modo esibirsi in una qualche compagine fenomenica passibile di intuizione ed


analisi intenzionale, semplicemente non è87.
Questa non è una misura imposta alla fenomenalità, ma una disponibilità as-
soluta al dato, nei limiti e nelle forme in cui esso stesso si dà: parlare pertanto
di chiusure nell’immanenza e aperture alla trascendenza vuol dire applicare ad
Husserl un vecchio clichè da cui egli si smarca in partenza88.
Non ci interessa approfondire ulteriormente questo tema, e nemmeno pro-
nunciarci su quanto Agostino sarebbe stato disposto a sottoscrivere un simile
programma di ricerca, anche se tanto il passaggio precedentemente citato del
Contra Academicos quanto le Confessioni nella loro totalità indicano una strenua
fedeltà ai dati d’esperienza, che di certo non può confliggere con l’affermazione
dell’interiorità della verità e del divino. Perché altrimenti scrivere una lunga cro-
naca della propria vita fino alla (e alla luce della) conversione e non limitarsi ad
affermare che c’è un’anima animi che coglie la trascendenza divina e lasciare a
ciascuno di constatarlo privatamente?
Resta da rispondere all’ultimo decisivo passaggio dell’obiezione di Voegelin:
da dove l’io trae la sua funzione di fondare l’oggettività del mondo sulla sogget-
tività? E la problematica storica posta nella Crisi è soltanto una scappatoia? Ri-
spondere alla prima domanda appellandosi genericamente (occasionalistica-
mente) alla trascendenza divina vuol dire semplicemente non rispondere, visto
che il problema dovrebbe essere esteso anche ad essa.
Husserl è perfettamente consapevole delle difficoltà insite in questa area di
ricerca, ed è per questo motivo che, a partire dalla seconda metà degli anni ‘20,
ne fa il tema quasi esclusivo della propria attività teoretica, come si evince dai
suoi manoscritti, rispetto ai quali la Crisi delle scienze europee, cui Voegelin si ri-
ferisce, rappresenta soltanto la punta dell’iceberg. La “fenomenologia generati-
va” prospettata e pianificata da Husserl, che si sviluppa “in chiave storica”89 e

Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica. Libro primo, Introduzione generale alla
fenomenologia pura, Einaudi, Torino 2002, pp. 144-145.
87 «Non v’è alcun luogo pensabile dove la vita di coscienza sia o debba essere spezzata sì da farci per-

venire ad una trascendenza che potesse avere mai altro senso da quello di un’unità intenzionale che si
presenta nella stessa soggettività di coscienza». E. HUSSERL, Formale und traszendentale Logik. Versuch
einer Kritik der logischen Vernunft, Husserliana, Bd. XVII, P. Janssen (Hrsg.), Nijhoff, Den Haag 1974,
trad. it. a cura di G. Neri, Logica formale e trascendentale, Laterza, Bari 1966, pp. 291-292.
88 Dare riferimenti critici su questo tema è pressoché impossibile, occorrerebbe compilare una ster-

minata bibliografia. Forse è più semplice rimandare allo stesso Husserl, che, a riguardo, è di gran lunga
più chiaro di una vasta schiera di suoi lettori e studiosi, in particolare L’idea della fenomenologia. E. HUS-
SERL, Die Idee der Phänomenologie. Fünf Vorlesungen, Husserliana, Bd. II, W. Biemel (Hrsg.), Nijhoff,
Den Haag 1950, trad. it. di A. Vasa / M. Rosso, L’idea della fenomenologia, Il Saggiatore, Milano 1981.
Si veda anche HUSSERL, Postilla alle Idee in Idee I cit., pp. 418-434.
89 Nel 1937 Husserl scriveva: «Ho progettato diverse vie d’accesso alla filosofia trascendentale feno-

menologica. In Ideen intendevo introdurre la riduzione fenomenologica, per così dire, in un balzo [...]. In
400 Andrea Staiti

nel vasto alveo di problemi relativi all’intersoggettività, corrisponde proprio al


tentativo di individuare e sottoporre ad analisi contesti fenomenici adeguati a ri-
spondere alle problematiche lucidamente poste da Voegelin.

«Non il fatto in generale, ma il fatto come sorgente di valori possibili e reali, crescen-
ti all’infinito, ci costringe a porre la questione del «fondamento» - che non ha natu-
ralmente il senso di una causa nel senso della causalità tra cose»90.

Ciò significa che per Husserl il contesto in cui è fenomenologicamente legit-


timo porre questioni relative al fondamento ultimo – ciò che regola e permette il
rapporto costitutivo tra soggettività e oggettività – è la realtà in quanto sorgente
costante di affezione nei confronti dell’io91 e la soggettività in quanto è attraver-
sata da una trama di istinti, tendenze e impulsi cui essa è soggetta, fenomeni che
contribuiscono ad articolare la strutturazione stessa del mondo a tutti i livelli,
dalla pura percezione alle più alte sfere dello spirito e della cultura. «In tutto
questo è implicita una mirabile teleologia»92, che si dipana storicamente, non
nel senso empirico e cronachistico del termine, bensì in un senso trascendenta-
le peculiare e decisivo. È questa trama teleologica in cui la soggettività e il mon-
do si trovano reciprocamente coinvolti, per cui il mondo è sempre sorgente di af-
fezione e correlativamente di valore, che motiva e regola il rapporto di co-fon-
dazione vigente tra soggettività e mondo. E una simile problematica deve ne-
cessariamente dipanarsi in chiave storica, laddove per “storia” non si intenda il

Ideen il risultato era la via del “concetto naturale di mondo”. Questo è il “concetto” del mondo dell’“at-
teggiamento naturale”, o come adesso dico meglio: il mondo-della-vita pre- ed extra-scientifico, oppure
il mondo che, in tutta la nostra vita d’interesse naturale e pratica è il campo permanente dei nostri inte-
ressi, dei nostri scopi, delle nostre azioni, lo è sempre già stato e lo sarà. Questo mondo [...] in Ideen è sta-
to circoscritto solo grossolanamente, e tuttavia è stato espressamente messo in rilievo che il compito di
un’analisi e di una descrizione sistematica di questo mondo diveniente-eracliteo è un problema grande e
difficile. [...] Vedremo che questo mondo-della-vita (onnitemporalmente considerato) non è altro che il
mondo storico. È percepibile [fühlbar] da questo che una esauriente e sistematica introduzione, che con-
duca alla fenomenologia, comincia ed è da condurre come un problema universale storico. Se si introdu-
ce l’epoché senza la tematica storica, il problema del mondo-della-vita ovvero della storia universale ri-
torna all’indietro [kommt hinten nach]. L’introduzione di Ideen mantiene certamente il suo diritto, ma ades-
so considero la via storica più preminente e sistematica». E. HUSSERL, Die Krisis der europäischen Wis-
senschaften und die transzendentale Phänomenologie: Ergänzungsband: Texte aus dem Nachlass, 1934-
1937, Husserliana, Bd. XXIX, R.N. Smid (Hrsg.), Nijhoff, den Haag 1993, pp. 425-426. È opportuno ri-
cordare che proprio l’ultimo problema segnalato da Voegelin (a suo avviso “eluso del tutto”) costituisce il
cuore del programma di ricerca elaborato da Husserl in stretta collaborazione con il suo ultimo assisten-
te Eugen Fink. Sulle avvincenti vicissitudini teoretiche e personali di questo sodalizio si veda il recente
contributo di Ronald Bruzina, R. BRUZINA, Edmund Husserl & Eugen Fink. Beginnings and Ends in phe-
nomenology 1928-1938, Yale University Press, New Haven 2004, in part. capp. II e III.
90 HUSSERL, Idee I cit., p. 145.

91 Vedi nota 61.

92 HUSSERL, Idee I cit., p. 145.


Il luogo della verità. La presenza di Agostino nella fenomenologia di Husserl 401

mero susseguirsi di fatti (o di pensieri) ma il costante processo generativo del


senso, il regno in cui soggettività e mondo si generano e ri-generano in uno scam-
bio affettivo che sempre si rinnova, in una tensione aperta, che genera ideali e
umanità costantemente e costitutivamente in via di perfezionamento93. Per que-
sto motivo Husserl, in uno dei suoi ultimi manoscritti, citando Agostino94, segna
questo breve appunto: «Agostino: solo l’amore rende veggenti – per valore e
ideale. Nemo cognoscitur nisi per amicitiam»95.
In altre parole, solo una soggettività originariamente e intersoggettivamente
“affettabile” (l’“amore”), percorsa da tendenze e istinti passivamente costituiti
e correlati teleologicamente ad una realtà “affettante”, dischiude e articola il
mondo secondo un senso riconoscibile, producendo così storia, come tensione
inesausta e infinita ad un ideale di perfezione che plasmi e motivi sempre di nuo-
vo l’“umanità” nel suo constante e aperto divenire96.

93 I manoscritti di ricerca in cui sono sviluppate tali analisi sono in parte inediti e in parte editi. Cir-

ca questi ultimi si veda in particolare E. HUSSERL, Phänomenologie der Intersubjektivität, Dritter Teil:
1929-1935, Husserliana, Bd. XV, I. Kern (Hrsg), Nijhoff, Den Haag 1973.
94 Questa citazione conclusiva, insieme alle altre proposte provenienti dai manoscritti inediti, in par-

ticolare quelle da Aus Wollen, Werten, Fühlen del 1920/25. Cf. HUSSERL, Ms. A VI 30 cit., testimoniano
contro la fantasiosa e schematica periodizzazione proposta da Pierre Chapel de la Pachevie nel suo sag-
gio E. Husserl. La filosofia come conversio, anch’esso allineabile a suo modo alle critiche “spiritualisti-
che” di Costantini e Voegelin: «Il percorso delineato dai riferimenti concernenti Agostino nell’opera hus-
serliana è dunque paradossale: 1. (1905/07) riconoscimento del metodo di Agostino, di un modo partico-
lare di interrogarsi tratto da un’esperienza unica; 2. (1923/24): abbandono dell’eredità agostiniana, che
non esprimerebbe pienamente il potenziale dell’ego cogito; 3. (1929/35): ritorno a Agostino nel momento
in cui la fenomenologia intende rappresentare nella storia dell’umanità una metamorfosi esistenziale più
autentica della “religiösen Umkehrung». P. CHAPEL DE LA PACHEVIE, E. Husserl. La filosofia come conver-
sio, in L. ALICI / R. PICCOLOMINI / A. PIERETTI (a cura di), Esistenza e libertà. Agostino nella filosofia del No-
vecento, Città Nuova, Roma 2000, p. 42. Il saggio offre in effetti alcuni spunti interessanti, come ad esem-
pio il tentativo di analizzare in parallelo il concetto di soggettività husserliano e quello agostiniano (cf.
CHAPEL DE LA PACHEVIE, E. Husserl. La filosofia come conversio cit., pp. 22 sqq.), spunti, tuttavia, privi di
solide basi testuali e vanificati purtroppo da affermazioni enfatiche e di difficile decifrazione, come ad
esempio «nessuno può capire la riduzione fenomenologica di Husserl, precisamente perché si tratta di
quella di Husserl. La riduzione fenomenologica non la si comprende, la si compie». CHAPEL DE LA PA-
CHEVIE, E. Husserl. La filosofia come conversio cit., p. 27, o «la posta in gioco non è la verità ma il suo dar-
si». CHAPEL DE LA PACHEVIE, E. Husserl. La filosofia come conversio cit., p. 31. Affermazioni alquanto sto-
nate con un tentativo di pensiero che amava definirsi “scienza rigorosa”.
95 «Augustin: nur die Liebe macht sehend – für Wert und Ideal / nemo cognoscitur nisi per amici-

tiam/». E. HUSSERL, Ms. E III 10/ 4a. Quest’affermazione si colloca alla fine di una serrata analisi degli
affetti, in cui Husserl tenta di determinare il modo in cui la «forza affettiva» si configura, distinguendo e
analizzando i casi di soddisfazione del desiderio, di insoddisfazione e di «trasferimento» o inibizione del-
la forza affettiva, in riferimento anche alle ricerche freudiane. Cf. V. COSTA / E. FRANZINI / P. SPINICCI, La
fenomenologia, Einaudi, Torino 2002, pp. 233-238. L’ultima parte del manoscritto è invece dedicata al
rapporto tra filosofia e teologia, testimonianza dell’interesse che Husserl nutriva per questo tema, sebbe-
ne con molta cautela e proponendo più domande che risposte univoche. Il concetto di Dio è determinato
infatti in stretta connessione a quello della teleologia, di cui esso rappresenta tra l’altro l’idea finale, il li-
mite esemplare.
96 Su questi temi si veda H. HOHL, Lebenswelt und Geschichte. Grundzüge der spätphilosophie E. Hus-
402 Andrea Staiti

Una gnoseologia veramente radicale è in ultima istanza una gnoseologia af-


fettiva.

serls, Verlag Karl Alber, Freiburg i.Br.-München 1962; G. PIANA, Esistenza e storia negli inediti di Hus-
serl, Lampugnani Nigri, Milano 1965; L. LANDGREBE, Phänomenologie und Geschichte, Gütersloher Ver-
lagshaus Gerd Mohn, Gütersloh 1968, trad. it. a cura di M. von Stein, Fenomenologia e storia, Il Mulino,
Bologna 1972; K.-H. LEMBECK, Gegenstand Geschichte. Geschichtswissenschaft in Husserls Phänomenolo-
gie, Phanomenologica, Nijhoff, Den Haag 1988; N.-I. LEE, E. Husserls Phänomenologie der Instinkte,
Phaenomenologica, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht 1993; V. COSTA, Vita emotiva e analisi tra-
scendentale, in V. MELCHIORRE (a cura di), I luoghi del comprendere, Vita e Pensiero, Milano 2000, pp. 101-
127; COSTA / FRANZINI / SPINICCI, La fenomenologia cit., cap. VII.

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