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METAFORE
DEL REGNO
Le parabole di Gesù:
ricostruzione e interpretazione
Paideia Editrice
perVroni
II
136 2.I.I. La parabola del quadruplice terreno
(Mc. 4,3-9; Ev. Th. 9)
147 2.1.2. Il seme che cresce spontaneamente
(Mc. 4,26-29; Ev. Th. 21c)
150 2.1.3. La parabola della zizzania
(Mt. 13,24-30.36-43; Ev. Th. 57)
1 60 2.1+ La parabola del grano di senapa
(Mc. 4,30-32 parr.; Ev. Th. 20)
e del lievito (Le. 1 3,18 s. par.; Ev. Th. 96)
170 2.1.5. La parabola del tesoro nel campo e della perla
(Mt. 13,44-46; Ev. Th. 109; 76)
176 2.1.6. La parabola della rete (Ml. 13,47-50; Ev. Th. 8)
12
314 2.5.4. La parabola del giudice e della vedova
(Le. 18,1-8)
dell'autocomprensione storica
331 Comprensibilità di Dio - prassi etica dell'uomo
333 Vicinanza della basileia - fine dei tempi
359 Bibliografia
Vittorio Fusco
373 Parabole e resurrezione
l. Sulla teoria dell'interpretazione
delle parabole
1 . 1. La fase più recente della ricerca:
i vari approcci
1 .1.0. L'inizio
1. A. Jiilicher, Die Gleichnisreden Jesu, Erster Teil: Die Gleichnisreden Jesu im A/lge-
111d11en, 2' ed., 2' rist., Tiibingen 1910; Zweiter Teil: Auslegung der Gleichnisreden
da drei ersten Evangelien, 2' rist., Tiibingen 1910.
i. Questo è il tema della «prima parte» che contiene ci principi validi per l'intero
genere letterario» (p. 3).
� - Cfr. il giudizio simile di Jiingel, Paulus und ]esus, 88.
4. Jiilicher, G/eichnisreden I, ,o (corsivo nel testo).
17
discorso proprio».' Nella comparazione «ogni parola . . . con
serva il suo significato consueto»,6 ossia essa è discorso pro
prio, mentre nella metafora «si dice una cosa, ma se ne pensa
un'altra»,7 ossia essa è discorso improprio. «La metafora con
sente una spiegazione: accanto alla parola detta si può porre in
ogni caso ciò che realmente si pensa; nella comparazione in
vece spiegare sarebbe un non senso».8 Per l'ascoltatore la pri
ma è più impegnativa della seconda. La metafora <<non scende
verso l'ascoltatore, come la comparazione, ma lo innalza fino
a sé».9 Queste caratteristiche, messe in luce per la metafora e
la comparazione, valgono a questo punto anche per l'allegoria
e la parabola, perché «come la parabola è il prolungamento
di una comparazione ad un'intera frase, cosl l'allegoria è il
prolungamento di una metafora ad un'intera frase». IO Di con
seguenza Ji.ilicher definisce la parabola come «quella figura del
discorso nella quale l'accettazione di una/rase (di un'idea) deve
essere assicurata mediante l'accostamento ad un'altra /rase ana
loga, appartenente ad un altro ambito e la cui accettazione è data
per certa»." In questa definizione sono già insite le caratteristi
che fondamentali della parabola. Innanzi tutto «la parabola
vuole illustrare un pensiero mediante un Ofl.otov, così si parla a
tal proposito di un unico tertium comparationis. 11 La parabola
consta necessariamente di due parti: da un lato l'enunciato che
ha bisogno di un ulteriore chiarimento, dall'altro quello co
struito «in vista di tale chiarimento».'' Di qui la distinzione, di
venuta così decisiva nell'interpretazione delle parabole, tra
18
la parte reale e quella figurata,'4 dove figura e realtà sono riferi
te l'una all'altra attraverso un tertium comparationis. Inoltre la
parabola ha la caratteristica di garantire l'accettazione di una
proposizione (una certa realtà). Rispetto a tale realtà, attra
verso il ricorso a un'immagine, essa mira ad acquisire l'ade
sione e il consenso di qualcuno che non è convinto. '' Ne con
segue che una buona parabola deve necessariamente presen
tare una parte figurata chiara, di sicuro effetto, che non ne
cessiti in alcun caso di spiegazione.'6 L'efficacia di una para
bola si basa sulla somiglianza evidente tra i rapporti fra i vari
elementi concettuali della parte figurata - da considerare co
me discorso proprio - e quelli della parte reale. '7 Senz'altro
anche i rispettivi elementi concettuali delle due metà possono
essere simili gli uni agli altri, tuttavia questa somiglianza non è
un elemento costitutivo della parabola. Infine bisogna ricor
dare il carattere didattico della parabola. La necessità di rap
presentare un fatto sotto forma di parabola sorge non dalla
realtà stessa, bensl dalla volontà del narratore di ammaestrare
l'uditore.18 Se non ci fosse questo scopo di ammaestrare, il
contenuto potrebbe essere espresso anche senza la figura. Per
J iilicher lefficacia del reale è incontestabile, essa viene solo
garantita dalla figura. «La verità è più potente in forma con
creta che non in forma astratta: da ciò deriva la potenza della
parabola».19 Definendo la parabola in tal modo «si esclude
ogni ambiguità e confusione con lallegoria», che viene defini-
19
ta invece come quella «figura del discorso, in cui una serie di
elementi concettuali (una proposizione o un complesso di
proposizioni) viene rappresentata mediante una serie correlata
di elementi concettuali tratti da un altro campo»."' Qui non si
può più parlà re di un tertium comparati'onis. Al contrario,
ogni concetto dell'enunciato figurato deve essere interpretato
in senso improprio, cioè in relazione alla realtà che si ha di
mira. «L'allegoria raggiunge la perfezione . . . quando nella fi
gura ogni singolo elemento, permettendo una duplice com
prensione, è suscettibile di spiegazione»." L'allegoria non è
desunta dalla vita, è qualcosa di artificioso: «L'allegorista scri
ve ogni parola avendo di mira un modello invisibile, che egli
tenta di riprodurre, di ricostruire in un materiale refratta
rio. . . »." Di conseguenza «essa è una delle forme linguistiche
più artificiose che ci siano».11 Essa deve la sua esistenza a
quella tendenza al formalismo, con cui certe epoche compen
sano la propria mancanza di creatività.'4 A differenza della pa
rabola, che ama la chiarezza, lallegoria ricerca un «certo
chiaroscuro»; vuole che il lettore «perda la fiducia in ciò che
legge» e dietro a ciò che si dice cerchi un intendimento più
sottile.'' Al profano, l'allegoria non dice niente; per prima co
sa egli deve imparare a riconoscere il «modello» dell'autore in
base alla spiegazione della figura, e solo allora, come un ini
ziato, potrà gettare lo sguardo al di là della figura.'6 Nell'alle--
prima modella la 'figura' sul 'pensiero', la seconda mantic11�· inalterata la 'figura' nel
suo colorito naturale e fine solo a se stessa».
23. Op. cii., 63.
24. «Una predilezione per l'allegoria si è manifestata sempre in quelle epoche in cui
la letteratura per mancanza di grandi temi, di idee nuove e significative, si risarcl con
forme poetiche fuor dell'ordinario, cercò di allontanare la noia con l'esecuzione di
difficili prove di abilità» (op. cii., 64) .
2,. Op. cii., 74.
26. Op. cii., 81.
20
goria la figura non accresce le conoscenze del lettore: come
nella metafora - deve solamente «interessarlo».27 L'allegoria
dunque - se raccontata senza spiegazione è una forma lin -
21
zioni soggiacenti alla valutazione jiilicheriana dei racconti pa
rabolici di Gesù. Il suo giudizio storico è fondato su una de
terminata immagine del Gesù storico: l'allegoria è artificiosa,
innaturale, 34 capace di sortire unicamente effetti di tipo esteti
co," lontana dall'esperienza dell'uditore;� velata/7 capziosa/8
troppo pesante per «trasmettere non solo il sacro zelo, ma un
qualsiasi pathos elevato». 39 Tutte queste caratteristiche non so
no compatibili con l'immagine di Gesù, che era in realtà un
autentico figlio della Galilea, radicato in quella terra e portato
a rivestire il pensiero «di forme tipiche della sua terra»/0 onde
«condurre con mano sicura i suoi fedeli dal noto all'ignoto,
dal mondo sensibile al regno dei cieli».4 1 Fu questa immagine
del Gesù storico che consenti a J iilicher di dare alla differenza
formale tra la parabola e l'allegoria una collocazione storica
come differenza tra Gesù e gli evangelisti. In ciò lo sostenne
la sua visione storica generale, secondo la quale semplicità,
autenticità e verità sono indissolubilmente legate l'una all'al
tra. Per questo egli conduce una battaglia per le parabole di
Gesù e contro le allegorie dei vangeli e della chiesa «sotto il
vessillo simplex sigillum veri».4' Ne consegue purtroppo che il
giudizio formale su un determinato detto viene a confondersi
col giudizio storico sulla sua autenticità o meno.
L'argomentazione jiilicheriana sulla stretta correlazione tra
la parabola e il Gesù storico si è rivelata di grande importanza
per la moderna interpretazione delle parabole. Le parabole
« . . . rivelano nel modo più fedele . . . cosa e come ha insegnato
22
Gesù».4� Esse sono «la parte della sua dottrina . . . , che ci con
sente di penetrare lo sguardo in profondità nel suo cuore»,#
benché, per Jiilicher, le parabole non abbiano come oggetto
la persona di Gesù,4' ma espongano in modo inequivocabile le
sue idee, la sua dottrina46 (in particolare il suo tema princi
pale e fondamentale: il regno dei cieli) . Nelle parabole Gesù
«mette l'uomo in contatto diretto col Padre celeste, senza in
terporsi in modo artifìcioso».47 Se si analizza la dottrina di Ge
sù solo nelle parabole, la cristologia della chiesa, secondo Jii
licher, non ne deriva in alcun modo. È stata solo la storia a
fare di lui il Salvatore . .fll Per gli uomini è importante solo la
dottrina di Gesù, soprattutto la sua dottrina in parabole:
«perché nei suoi racconti parabolici la nuova era e già presen
te. Tutto è già pronto, i peccati sono già rimessi a chi prega
con cuore sincero, non perché Cristo morirà presto per i pec
cati del mondo, ma perché Dio che ama con amore paterno
non può respingere e non ha mai respinto tale preghiera».49
Dal punto di vista della salvezza Gesù può essere scisso dalla
sua dottrina, dal momento che la comprensione della sua dot
trina, efficacemente mediata dalle parabole, è già salvezza.
La tesi di Jiilicher è agli antipodi della concezione che vede
il fatto stesso dell'insegnamento parabolico di Gesù - indi
pendentemente dal suo contenuto - non privo di connessio
ne con la cristologia della chiesa. Stando a Jiilicher non ci so
no affatto nelle parabole delle implicazioni cristologiche da
scoprire, e a sua volta, di conseguenza, anche la cristologia
23
della chiesa non ha nulla da dire per la comprensione delle
parabole. Problematica alla quale dovremo dedicare ulteriori
riflessioni (cfr. sotto, 1 .2.6; 1.2.m) .
Il rapporto tra le parabole ed il Gesù storico è importante
anche da un altro punto di vista. «Le parabole di Gesù mira
vano ad un effetto immediato, creature dell'attimo, profonda
mente immerse nella particolarità del momento».'0 Ne conse
gue che la conoscenza della situazione, nella quale furono
raccontate, è di estrema importanza per la loro comprensio
ne. Ciò vale particolarmente per quelle parabole che sono
state tramandate senza la «parte reale», che deve essere rico
struita dal contesto originario (supposto) della vita di Gesù e
dalla relazione di tale contesto con la «parte figurata» (tra
mandata) .'' È posta cosl la base per l'interpretazione storica
delle parabole di Gesù. Nel momento in cui Jiilicher definisce
le parabole come concrete mediazioni di una verità astratta,''
motivate dalle finalità didattiche di Gesù, le rende veicoli di
verità generali su Dio ed il mondo.,, Le parabole sono sì dei
prodotti storici, ma il loro scopo è appunto la mediazione di
,o. Op. cit., 91; in questo contesto si colloca anche la tesi, divenuta in seguito moho
importante, del «carattere argomentativo delle parabole» (op. cit., 90) . Tuttavia Jiili
cher non utilizza ancora questo concetto nel senso di un'argomentazione polemica
(come viene presupposto in Jeremias, Gleichnisse, 18. 34 e passim), bensì nel senso
di un'argomentazione mirante a convincere, a guadagnare il consenso.
51. Jiilicher raccomanda come canone metodologico quello di «immergersi autore
volmente nello spirito di Gesù» (Gleichnisreden II, 92 ). Proprio per questo il fatto
che a volte ignoriamo l'occasione di una parabola non è irreparabile «perché sappia
mo che ogni parabola di Gesù aveva di mira l'insegnamento sul regno dei cieli ed
ovunque e comunque egli insegnasse, l'oggetto cui dedicava il suo insegnamento
erano le realtà attinenti al regno dei cieli» (op. cii., 104 s.). In tal senso l'approccio
storico non viene spinto fino in fondo.
52. Op. cit., 72, cfr. sopra, p. 19 nn. 18 s.
,3. Questo diventa assai chiaro nel secondo volume: cfr. Gleichnisreden u, 24' (Mt.
5,2 s.; Le. 12,,7-,9: era « ... in bocca a Gesù, un ammonimento molto semplice
all'arrendevolezza nei confronti di qualsiasi avversario. . . con la motivazione che la
resistenza conduce soltanto ad un male ancora peggiore») . 313 (secondo Mt. 18,21-
3 1 «Dio non ci perdonerà se noi abbiamo rifiutato un analogo perdono ai nostri of
fensori che ce lo chiedono»). 363 (Le. 1,,n-32 è «una rivelazione sublime su una
questione fondamentale della religione: può il Dio della giustizia accogliere nella sua
grazia i peccatori?») e cosl via; cfr. ancheJercmias, Gleichnisse, 15.
24
ciò che è metastorico. In questo modo poi Jiilicher miscono
sce in sostanza il carattere storico delle parabole di Gesù e, con
esso, di conseguenza, anche il loro carattere escatologico, che
consiste appunto nel rendere evento la vicinanza del regno di
Dio. Ma con ciò si misconosce un aspetto essenziale sia per il
contenuto delle parabole sia per la vita di Gesù.
Per quanto riguarda infine la classificazione jiilicheriana
delle parabole in diversi tipi, essa è stata ampiamente recepita
dalla più recente interpretazione delle parabole. Jiilicher le
suddivide in «tre classi» : la «similitudine [Gleichnis] », la «pa
rabola [Parabel] in senso stretto», il «racconto-esempio [Bei
spieleniihlung]».54 Tutte e tre risalgono alla stessa forma di ba
se, cioè alla «comparazione»." Le accomuna il fatto che esse
a differenza dell'allegoria - sono un discorso proprio, costi
tuiscono un «insieme compiuto» ed esprimono solo un pen
siero, una proposizione.'6 La similitudine si distingue dalle al
tre due classi, perché presenta «una esperienza universalmen
te nota, tratta dalla vita quotidiana», mentre le ultime due
espongono un «racconto completamente inventato».'7 La «pa
rabola in senso stretto» è in «forma narrativa»,'8 e per questo
può anche essere chiamata «favola»,'9 essa si appella ad un
«caso particolare»,<>o a «ciò che è avvenuto una volta»;61 «la fa
vola compensa con la sua concretezza visibile ciò che la para
bola ottiene con l'autorità di ciò che è noto ed universalmente
riconosciuto».61 Essa è poesia e come tale più convincente de
gli esempi storici.6i La favola viene definita come quella «figu-
25
ra del discorso, nella quale l'effetto di una proposizione ( . . . )
deve essere garantito mediante l'accostamento ad una storia
inventata, che si svolge in un altro campo e di sicuro effetto,
la cui struttura di pensiero è simile a quella della proposizio
ne». 64 Questa definizione riguarda anche le «7tcxpcx�oÀcxt na"a
tive» di Gesù:6' esse vengono raccontate «rispettando rigoro
samente la verosimiglianza»,66 e sta proprio qui la loro forza.
Jiilicher è d'accordo con B. Weiss,67 sul fatto che la spiegazio
ne delle parabole può essere trovata solo in una verità genera
le, con la differenza che Jiilicher invece che di spiegazione
parla di «applicazione».68
Il «racconto-esempio» si distingue dagli altri due tipi di
parabole poiché si muove già «nell'ambito superiore», cioè
nella «sfera morale-religiosa», non su un terreno diverso dalla
proposizione che si vuole affermare: «l'episodio esemplifica la
proposizione che deve essere affermata».69 Esso rimane co
munque discorso figurato, in quanto «adeguato ai sensi»,7° ma
l'uditore ne trova l'applicazione non col passaggio ad un altro
campo, bensì con generalizzazione del caso particolare illu
strato.7' I racconti-esempio sono quindi narrazioni «che pre
sentano una proposizione generale di carattere religioso-mo
rale sotto l'aspetto di un caso particolare, costruito in maniera
avvincente». 1'
hnbilmente da non intendere nel senso supposto daJiingel. In tal caso infatti «para
/mia» dovrebbe senz'altro essere al plurale; l'interpretazione diJiingel forse è sorta a
musa della virgola mancante dopo «idee».
27
ché «una situazione tipica o un fenomeno tipico e ricorrente»
presentano un «interessante caso particolare»;Bo nei dettagli,
la demarcazione tra la parabola e il racconto parabolico è
«fluttuante».81 Il racconto-esempio è formalmente affine a
quello parabolico, anche se in esso «di figurato non c'è nul
la».112 La differenza fondamentale tra la similitudine ed il rac
conto parabolico da una parte, e l'allegoria dall'altra, per Bul
tmann consiste nel fatto che le une «richiedono la trasposizio
ne ( . . . ) di un giudizio ad un altro ambito, quello che è oggetto
di discussione» mentre per le altre si tratta di «un travesti
mento misterioso o fantastico di un fatto, in ordine alla predi
zione del futuro o ad altri scopi». 83 «Di grande importanza è
soprattutto il metodico riscontro della tendenza della tradi
zione ad ampliare le similitudini ed i racconti parabolici con
tratti allegorici o a trasformarli in vere e proprie allegorie».14
Se il principio metodologico ora ricordato attesta la posi
zione di Bultmann per quel che riguarda la questione dell'au
tenticità, le considerazioni formali, come l'individuazione di
parabole doppie,8' di combinazioni con detti fìgurati,116 di ag-
ci tiene a sottolineare che i racconti-esempio sia per ciò che riguarda il contenuto
(contengono exempla storici) sia per quel che riguarda i concetti (non sono exempla,
che ill ustrano un'idea, bensl offrono «esempi» nel senso di «modelli» per il giusto
comportamento) si distinguono dai paradigmi della retorica antica; cfr. p. 192 n. 1.
83. Op. cii., 214. Sulla distinzione tra parabola ed allegoria Bultmann concorda espii·
citamente conJi.ilicher. Tuttavia egli relativizza il giudizio diJi.ilicher riguardo al sin·
golo caso perché non tutti gli elementi considerati allegorici da Ji.ilicher sono real
mente tali; a volte si tratta semplicemente della «utilizzazione di tradizionali metafo.
re di Dio (il re) » e cosl via. Non è la presenza di metafore a trasformare la parabola
in un'allegoria, bensl la loro mancanza di riferimento alla pointe della narrazione ov·
vero all'applicazione della parabola; cfr. op. cit., 214 s. Evidentemente Bultmann
considera la meta/ora in modo completamente diverso da Ji.ilicher, in quanto non
ravvisa in essa uno stadio embrionale dell'allegoria.
34. Op. cit., 21, .
8,. Op. cit., 210.
86. Op. cit. , 211.
giunte esplicative,�7 ed ampliamenti allegorici,88 si traducono
direttamente in valutazioni storiche, perché le incoerenze for
mali e stilistiche sono il risultato della storia attraverso cui so
no passate le parabole. Gesù ha fatto uso della semplice simi
litudine, del racconto parabolico stilisticamente puro.89 L'alle
goria è il prodotto della comunità che cercò di adattare di
volta in volta la parabola originaria alla sua situazione storica.
Questo approccio metodologico di Bultmann è coerente con
tutta la sua impostazione storico-morfologica, poiché «questa
non si limita solo a presupporre valutazioni critiche sul con
tenuto (sull'autenticità o meno di una parola, sulla storicità di
una narrazione e via dicendo) ma deve anche portare ad es
se». 90 Circa la questione dell'autenticità Bultmann aggiunge
a queste considerazioni formali il criterio della discontinuità:
«Laddove rileviamo un contrasto con la morale e la pietà giu
daiche, e quell'accento tipicamente escatologico, che costitui
scono l'aspetto caratteristico della predicazione di Gesù, e se
d'altra parte non si riscontrano tratti specificamente cristiani,
allora si ha la maggiore possibilità di trovarsi di fronte ad
un'autentica parabola di Gesù».91 Tuttavia una somiglianza
con parabole giudaiche può nascere anche dal fatto che
«Gesù si situava nella tradizione giudaica e come uomo del
suo tempo e del suo popolo si serviva di parabole, come i suoi
contemporanei e conterranei», anche se bisogna fare i conti
con la possibilità che tra le parabole sinottiche ve ne siano al
nme che «la comunità ha attinto alla tradizione giudaica e ha
posto sulla bocca di Gesù».92 Tuttavia, a differenza di Jiili
rhcr, Bultmann non identifica lautenticità con la verità.
Secondo Bultmann tutte le parabole provocano il giudizio
117. Op. di., 212.
llK. Op. di., 213 s.
H•i. Gli indizi formali di autenticità sono senz'altro quelli elencati da Bultmann, op.
, ,, ' 203-208.
IJO. Op. cii., 6.
IJI. Op. cii., 222.
IJJ, Op. cii., 220.
29
dell'uditore. Pertanto esse hanno «un carattere argomentati
vo» che si rivela spesso anche nella loro forma. 93 Questo però
non significa che siano rivolte principalmente agli avversari, o
che la conoscenza di questo fronte ostile apporti qualcosa
all'interpretazione della parabola in questione. Il ricorso al
Sitz im Leben come ausilio interpretativo, non tocca il signifi
cato originario di una parabola, poiché Bultmann intendendo
il Sitz im Leben come una categoria sociologica (non come ca
tegoria storica)94 lo utilizza solo per la comunità.
30
parabole stesse si prestano a questo procedimento, poiché ri
velano l'impronta di uno spirito individuale, e nessun'altra
parte delle narrazioni evangeliche risveglia più fortemente
l'impressione dell'autenticità.97 Ma Dodd al contrario di Jiili
cher sostiene che anche l'applicazione delle parabole deve ri
manere rigorosamente legata al contesto storico;911 pur ricono
scendo che nella maggior parte dei casi l'esegeta deve accon
tentarsi di porre in relazione una parabola con «la situazione
di Gesù globalmente considerata»,99 dato che la situazione
storica concreta per lo più resta ignota, il che, tuttavia, non
sminuisce affatto la certezza che Gesù con una determinata
parabola abbia avuto di mira soltanto una precisa applicazio
ne. Per il problema della ricostruzione del significato e del-
'00
97. «Thcy (se. le parabole) have upon them . . . the stamp of a highly individuai mind
. . . ». «Cenainly there is no pan of the Gospel record which has for the reader a
dcarer ring for authenticity» (Dodd, op. cii. , n).
91!. Op. cii. , 3 1 : riferimento a Jiilicher, op. cii. , 24. Esse pertanto non possono venire
111>plicate nel senso di verità generali .
•,.,. «More ohen wc shall have to be content with relaring it to the situation as a
whole» (op. cii., 27).
ICK>. «We must suppose that Jesus intended some one definite application» (Dodd,
up. cii., 29).
1111. Op. cii. , 32; qui ci si awicina in sostanza a quello che la Linnemann definirà «il
h-nomeno dell incrociarsi [dei punti di vista]» (Linnemann, Gleichnisse, 3,).
'
1112. li significato «must be congruous with the interpretation of His own ministry
ollerl-d by Jesus in explicit and unambiguous sayings. . . » (Parables, 32); questo prin
d11io sarà spesso utilizzato in seguito come criterio di conlinuilà nella questione del
l Ìl'SÙ storico (cfr. ad es. Perrin, Rediscovering, 43-4,) . Se questo criterio viene ap-
1•lirnto rigorosamente alle parabole di Gesù, potrebbe componare che Gesù nelle
""e p arab ole non poteva dire niente di diverso da quello che diceva in linguaggio
non-parabolico; ma un postulato del genere potrebbe essere accettato solo da chi
31
In questo modo, Dodd prende posizione a favore di una
interpretazione rigorosamente storica delle parabole di Gesù.
Come storico, che interpreta le parabole partendo dall'auto
comprensione di Gesù, Dodd opta per una interpretazione
escatologica delle parabole, dal momento che l'autocompren
sione di Gesù era segnata essenzialmente dalla presenza del
regno di Dio'"" (che coincide con I' eschaton) . '01 La conseguenza
negativa di questo approccio è che le parabole interpretate in
senso storico - proprio per la loro escatologia - finiscono
per rendersi estranee al lettore del nostro tempo. Se Jiilicher
aveva tentato di superare questa distanza facendo leva sugli
elementi religiosi universali, Dodd fronteggia la difficoltà at
traverso un ripensamento del rapporto tra storia ed eschaton.
L'azione storica di Gesù assume un valore escatologico, per
ché in essa ebbe luogo, in modo incomparabile, la manifesta
zione dell'eterno nella storia. '0' Il tempo di Gesù è storia ed
eschaton al tempo stesso, è universalità e storicità: "16 è I' escato
logia realizzata. '01 Vista in questa luce, la storia di Gesù assume
importanza decisiva per tutti i tempi, dal momento che I' e
schaton altro non è che «l'ordine eterno».'o8 E poiché le para
bole mirano ad introdurre il lettore o l'uditore nella situazio
ne di Gesù,'°"' esse partecipano di questa importanza decisiva
e, proprio perché interpretate in senso storico, rimangono si
gnificative per sempre, poiché I' «ordine eterno» non conosce
epoche prive di significato. Dodd sviluppa la sua concezione
della «escatologia realizzata» attraverso un'analisi del concet-
presuppone che le parabole non siano altro che un involucro esteriore (motivato di
datticamente) di un contenuto dottrinale esprimibile anche senza di esse.
103. Per es. Dodd, Parables, 36 s. 44 e passim.
104. Op. cii. , 1 1 3.
105. Per es. op. cii. , VII (prefazione alla terza edizione).
1o6. lbid.
107. cRealized eschatology», cfr. pp. 51. 198 e passim.
108. Il concetto di «eternai order», ad es. op. cii. , 1o8; cfr. anche op. cii. , 109: cThe
eternai signifìcance of history had revealed itself in the crisis (ossia nella passione e
nella morte di Gesù)».
109. Op. cii. v n , cfr. anche p. 197.
32
to del regno di Dio in Gesù. Gesù predicò il regno di Dio co
me oggetto di un'esperienza già attuale. "0 Non basta definirlo
imminente: esso è già presente. "' In Gesù, il regno di Dio dalla
sfera dell'attesa si è già spostato a quella dell'esperienza rea
lizzata . ... Ma il mistero del regno di Dio non consiste solo in
questa sua presenza, bensl anche nel suo manifestarsi in for
ma paradossale nella passione e morte del rappresentante di
Dio."1 L'eschaton pertanto non è ugualmente presente in ogni
singolo istante dell'attività di Gesù; bisogna dire piuttosto che
l 'intervallo tra l'inizio e la fine di quell'attività viene qualifica
to, nella sua totalità, dal realizzarsi del regno di Dio. In tal
senso la presenza della basileia include anche un limitato
aspetto di futuro, nella misura in cui Gesù previde uno svi
l uppo storico della situazione in cui viveva e annoverò nella
presenza dell'eschaton anche le crisi (sua personale, dei di
scepoli, e del popolo giudaico) . "4
La concezione di Dodd della escatologia realizzata ha note
voli conseguenze per quel che riguarda l'aspetto futuro ine
rmte al regno di Dio nelle parole di Gesù. Così per esempio
l'immagine del giudizio universale servirebbe soltanto a con
ferire vivacità e forza alle ammonizioni."' Tutte le affermazio
ni sul futuro andrebbero viste come un insieme di immagini,
33
che serve solo ad esprimere simbolicamente le realtà eterne. 1 1 6
Si parla del futuro della basileia per esprimere simbolicamen
te il fatto che essa si inserisce nella storia, ma senza esaurirsi
117
in essa. Le affermazioni sul futuro sono solo «accomodation
of language», poiché nell'ambito dell' «ordine eterno» non c'è
né un prima né un dopo. "� La comunità postpasquale (eccetto
Paolo e Giovanni)119 ha frainteso il carattere simbolico delle af
fermazioni di Gesù sul futuro, e interpretandole in senso let
terale ha sviluppato una nuova escatologia cristiana ispirata ai
modelli apocalittici del giudaismo (per es. Mc. 13)."0 Agli oc
chi di Dodd, questa tendenza escatologica generalmente rico
noscibile nell'interpretazione cristiana delle parole di Gesù,
equivale a una ricaduta nel giudaismo."'
È evidente che questo ripensamento doddiano dell'escato
logia di Gesù incide notevolmente nell'interpretazione delle
parabole. Le «parabole della crisi», alle quali in primo luogo
ci si appella per attribuire a Gesù una escatologia futura,"' da
Dodd vengono radicalmente reinterpretate identificando la
venuta giudiziale del Figlio dell'Uomo con una serie di eventi
del presente: la persecuzione di Gesù e dei suoi seguaci, la di
121
struzione del tempio e della nazione giudaica. In questo mo
do diventa possibile applicare tutte queste parabole «escato
logiche» al contesto della vita di Gesù.'"' Analogamente per le
34
«parabole della crescita» Dodd si schiera contro l'interpreta
zione dominante che le riferisce alla storia futura della basi
leia nel mondo (sia che la si intenda come sviluppo, sia che la
si intenda - nell'«escatologia conseguente» - come immi
nente catastrofe finale) ."' Secondo Dodd, invece, le parabole
della crescita vanno riferite al presente: il raccolto è arrivato,
l'eschaton si rende presente nel complesso degli eventi messi
in moto da Gesù. "6 Un misterioso processo di crescita ha avu
to già luogo in precedenza, "7 la storia di Dio con Israele ed il
mondo ha raggiunto il culmine in Gesù. "8 La concezione dod
diana dell'escatologia realizzata fonda, infine, la distinzione
tra allegoria e parabola. La parabola, nel senso più generale, è
fondamentalmente «a metaphor or simile drawn from nature
or common life» che cattura l'uditore con la sua singolarità e
la sua vivacità e lo lascia un po' incerto sulla sua esatta appli
cazione, stimolandolo a riflettere ulteriormente. "9 La demarca
zione tra le tre classi di parabole (detto figurato, similitudine
e racconto parabolico) non può essere tracciata rigidamente,
ma tutte e tre risultano qualitativamente differenti dall'allego
ria, poiché in questa ogni dettaglio equivale a una metafora
autonoma con un proprio significato, mentre la normale pa
rabola presenta un unico termine di paragone. ' 10 La si ricono
sce dal fatto che in esso ogni dettaglio risulta in armonia con
la natura e con la vita. Si può riscontrare qualche elemento
1 21!. Ibid. In Dodd la definizione dcl rapporto tra eschaton e storia implica una de
l l'rm inata concezione della storia. La storia di Dio col mondo, che era iniziata nel
!' A nt ico Testamento, si concluse con gli eventi attorno a Gesù ; questi eventi in
q 1 1 :111to fine della storia, in quanto pienezza dei tempi equivalsero alla rivelazione
l hl orica) del senso della storia, dal quale la storia profana è connotata prima e dopo
( Ì l·sì1 Cristo. Il compito della chiesa è, mediante la ripetizione di quella fine della
'1 nri:1 attraverso la sua parola, di introdurre nel giudizio la storia ulteriore e condur-
1 l' rosì l'uomo alla salvezza.
1 ' ' ' · Dodd , Parables, 16.
1 111. Op. cii. , 17- 1 9 .
35
che per la sua speciale configurazione si rivela determinato
dall' applicazione che si ha di mira;'1' essi però restano rigorosa
mente subordinati alla pointe e non compromettono l'unità
della parabola.'1' Questo realismo della parabola, secondo
Dodd, non è motivato dalla necessità di un'efficacia didasca
lica, bensi dall'intima affinità tra l'ordine naturale e quello
spirituale, dalle somiglianze tra il regno di Dio nella sua in
trinseca realtà ed i fenomeni della natura e la vita quotidiana
degli uomini.'n L'affinità dei due ordini si basa sulla creazione
di entrambi da parte di uno stesso creatore.'>+ In tal senso in
Dodd la differenza tra parabola e allegoria deriva dal rappor
to tra creazione ed eschaton, in quanto tra natura ed eternità,
tra ordine naturale ed ordine eterno, sussiste una analogia en
tis. Colui il quale per descrivere l'ordine eterno si vede co
stretto a far ricorso all'irrealtà dell'allegoria, dimostra di non
credere a tale analogia e di non prendere sul serio la natura
come creazione di Dio. In tal senso, c'è una precisa connes
sione, negli apocalittici, tra la loro visione pessimistica del
mondo e il ricorso all'artificiosità dell'allegoria come unico
veicolo della verità divina. • n
È stato dunque il postulato dell'analogia entis tra natura ed
eternità che ha consentito a Dodd di trovare una risposta al
problema della verità delle parabole. T aie verità infatti riposa
sulla effettiva somiglianza tra la basileia e la vita della natura e
della società. Il realismo delle parabole diventa automatica
mente la garanzia della loro verità, poiché questa si basa sul
l'uguaglianza tra la basileia, la natura e la vita sociale.116 In una
1 3 1 . È probabile «that details will be insertcd which are suggestcd by their special
appropriateness to the application intended. .. » (op. cit. , 2 1 ) .
1 32. lbid.
1 3 3 · «lt (se. the realismi arises from a convinction that therc is no mere analogy, but
an inward affinity between the natural order and the spiritual order; or ... thc King
dom of God is intrinsically like the process of nature and of the daily life of men»
(op. cit. , 21 s.).
1 34. Op. cit. , 22. 1 35 . Ibid.
1 36. A differenza del criterio di verità di Ji.ilichcr (simplex sigillum veri, cfr. sopra,
p. 22) si potrebbe dire nel senso di Dodd: la naturalezza è il sigillo della verità.
tale concezione però è reso impossibile quel trascendimento
critico del mondo, che è richiesto dalla basileia stessa; ed è
questo un punto sul quale si dovrà riflettere più approfondi
tamente; 1 17 come pure sul fatto che in esso diventa secondario
chi pronunzia la parola e ilfatto stesso che essa venga pronun
;data: Gesù come narratore delle parabole viene ad assumere
un ruolo puramente accidentale.
/oachim ]eremias
.Jeremias si ricollega esplicitamente all'opera di Dodd e ri
leva che con essa è iniziata <<Una nuova epoca nella ricerca
sulle parabole».''8 Il collegamento sta soprattutto nello sforzo
sistematico di ricondurre le parabole alla vita del Gesù storico
e così di ricostruire « . . . la forma possibilmente più antica del
la predicazione in parabole di Gesù». 1 19 Per l'impresa di ritro
vare la «ipsissima vox di Gesù», le parabole si rivelano parti
colarmente idonee. 140 Esse sono «parte della roccia primordiale
della tradizione»;141 «rispecchiano» la predicazione di Gesù
« con particolare chiarezza»,'+' «quando leggiamo le parabole,
11bbiamo a che fare con una tradizione particolarmente fede
le, siamo a contatto immediato con Gesù».'41 Tuttavia le para
lmle ci pongono di fronte ad « Un arduo problema . . . : la deter
minazione del loro significato originario».'44 Jiilicher si è avvici
nato notevolmente alla soluzione di questo problema elimi
nando l'interpretazione allegorica, '4' «ma ha compiuto solo la
37
metà dell'opera».'46 Il suo errore consistette nel vedere l'appli
cazione delle parabole in verità di carattere generale miscono
scendone in tal modo il senso originario. '47 L'elemento nuovo
e decisivo, secondo Jeremias (sulla linea di A.T. Cadoux,
B.T.D. Smith e principalmente Dodd) sta nella consapevolez
za che ogni parabola «è stata narrata in una situazione con
creta della vita di Gesù»,'48 dalla quale dipende il suo significa
to originario. In Jeremias però la concretezza delle diverse si
tuazioni viene subito sottoposta di nuovo ad una generalizza
zione, in quanto viene ricondotta nell'ambito della conflittua
lità, e le parabole (nella maggior parte dei casi) vengono defi
nite «armi da combattimento».149
Chi vuole riscoprire il senso originario delle parabole deve
innanzi tutto tener conto del fatto che esse hanno «una dupli
ce collocazione storica».'jO Da una parte infatti hanno la loro
collocazione storica originaria, di volta in volta «in una situa
zione irripetibile del ministero di Gesù», dall'altra, hanno una
collocazione «nella vita e nel pensiero della chiesa primiti
va». ''' In Jeremias l'approccio storico-morfologico''' assume
una funzione negativa, in quanto le leggi storico-morfologi
che, assieme ad altre «leggi di trasformazione» •n costituiscono
lo strumento metodologico per riportare alla luce, partendo
39
parabole dunque sono vere poiché è stato il Gesù storico, «il
Figlio dell'Uomo», il «Salvatore»161 a pronunciarle. La ipsissi
ma vox Iesu come fenomeno ricostruibile con strumenti stori
ci diventa il criterio di verità anche in senso teologico. Da
questo punto di vista tutto il lavorio della chiesa primitiva
sulle parabole non ha fatto altro che occultarne la verità.
«Niente e nessuno più del Figlio dell'Uomo e della sua parola
possono conferire pienezza d'autorità alla nostra predicazio
ne».16' Chi condivide un presupposto di questo genere, non
troverà nulla di riprovevole nell'intraprendere la sistematica
lacerazione di questo «velo».'61
Eta Linnemann
Partendo dalle «acquisizioni incontestabili dell'interpreta
zione delle parabole nell'epoca più recente, legata ai nomi di
Cadoux, Dodd e Jeremias»,'6� Eta Linnemann sottolinea che
«l'interprete che s'interroga sul senso di una parabola (di Ge
sù) . . . deve riflettere attentamente sulla sua situazione origina
ria » . ' 6' «La sua situazione originaria è la conversazione, il dia
logo».'66 «La parabola tende a superare il divario tra la valuta
zione di una determinata situazione di parte di colui che par
la, e quella degli uditori».'67 Una caratteristica fonda·mentale
delle parabole di Gesù è che esse sono «indirizzate per lo più
agli avversari», non però per confutarli, ma per ottenere il loro
consenso. 168 È per questo che nella parabola il narratore lascia
40
i ntenzionalmente spazio agli uditori, illustrando in un deter
minato modo una realtà nota anche a loro, per far posto nella
parabola al loro modo di giudicare. '69 Di qui il fenomeno del-
1' «incrociarsi» [ Verschriinkung] , come lo definisce la Linne
mann.'10 «Nella parabola il giudizio del narratore sulla situa
zione in discussione viene ad incrociarsi con quello degli udi
tori».171 Chi non prende in considerazione questo incrociarsi
dei punti di vista, non può «accedere a ciò che Gesù real
mente ha inteso dire».'7' La Linnemann definisce le parabole
come evento linguistico, poiché in esse avviene «qualcosa di
decisivo . . . mediante la parola»: in la parabola «introduce nella
situazione una nuova possibilità e costringe il destinatario ad
una decisione».'74 Ne consegue che l'interprete odierno deve
tentare di « recepire le parabole di Gesù con l'orecchio dei
suoi primi uditori». '7' «Esse vanno analizzate in relazione alla
loro situazione storica originaria, poiché solo cosi rivelano il
loro significato, che trascende ampiamente quella situazio
1 76
ne». La definizione, che la Linnemann dà delle parabole co
me evento linguistico che vuol provocare un «cambiamento
csistenziale»,'n consente di stabilire una diretta relazione tra
l ' i nipetibile situazione originaria e tutte le situazioni successi
ve . In tal modo diviene significativo ciò che è storicamente ir
ripetibile.
41
1.1.3. L'approccio ermeneutico
Ernst Fuchs
A prima vista si potrebbe avere l'impressione che Fuchs sia
abbastanza vicino all'approccio storicizzante di Joachim Je
remias. 178 Se è vero che le parabole di Gesù si riferiscono a
Gesù stesso in modo tale da essere «illuminanti autotestimo
nianze di Gesù»,'79 se «la prassi di Gesù . è la vera cornice in
. .
42
elargisce «i tesori di Dio e la potenza di Dio». 'K3 In tal senso la
«prassi di Gesù» è una categoria teologica. Ne consegue che la
particolare situazione originaria di una parabola rimane irri
levante per l'interpretazione e pertanto da Fuchs non viene
considerata. Inoltre «l' autotestimonianza di Gesù» non può
essere intesa in senso psicologico come «autodefinizione», os
sia come «definizione di un'autocoscienza di Gesù»;'14 piutto
sto, le parabole sono autotestimonianze in quanto soprattutto
in esse (molto più che nei rimanenti logia) «si esprime lingui
sticamente la comprensione che Gesù aveva della propria si
t uazione».'8' Esse sono pronunziate « . . . nella situazione in cui
si trovava Gesù: la situazione di un uomo che pensava agli al
t ri (al loro futuro) e solo partendo dagli altri pensava se stes
so » . '116 «Autotestimonianza» dunque significa il dato sulla si
t uazione di Gesù, sulla sua collocazione, piuttosto nel senso
d i un «esistenziale».1 87 L'autotestimonianza delle parabole tra
scende la questione storica dell'autocoscienza di Gesù.
Fuchs si distingue dalla linea dominante sin da Jiilicher an
d1e perché egli rinuncia alla distinzione tra «parte reale» e
«parte figurata». 1 88 «Le parabole come tali sono senza contesto
l' pertanto non possono avere un'applicazione ! Sono esse
st esse applicazione ! ».'89 Contro Jeremias, Fuchs sottolinea che
la parabola è essa stessa spiegazione e quindi non tollera in
11lcun modo un'applicazione,190 e questo perché la similitudine
t' i l racconto parabolico non mirano principalmente «allo svi
luppo di proposizioni illustrative». 191 La parabola non ha lo
43
scopo di ammaestrare l'uditore sulla verità, bensì vuole aiuta
re l'uditore a prendere posizione di fronte a quella verità. '9' «Se
l'applicazione di ciò che è detto nella parte figurata deve re
stare aperta, non è forse proprio perché così la parte figurata
costringe l'uditore ad una presa di posizione per responsabi
lizzarlo ad un determinato comportamento?».'91
Il rifiuto della distinzione tra «parte figurata» e «parte rea
le» deriva dunque dalla definizione fuchsiana delle caratteristi
che delle parabole di Gesù. La forma linguistica della parabola
è determinata dalla vicinanza di Dio che non può essere assi
curata da nessun'altra forma linguistica. Il problema non è
rendere vicino un Dio lontano, bensì rendere dicibile una vi
cinanza di Dio, tale che finirebbe per bruciarci, se non si rea
lizzasse attraverso la parabola. '94 La forma linguistica della pa
rabola è atta a esprimere il futuro di Dio come evento, che
«quando si compie, si compie in una vicinanza tale che nessun
discorso diretto può esprimerla».19' In questo modo viene va
lutata appieno la specificità teologica (ed escatologica)'96 della
parabola in quanto parabola e si abbandona la distinzione tra
forma e contenuto (che si manifesta nella distinzione tra metà
figurata e metà reale) .
Questo rendersi vicino del futuro di Dio, realizzato lingui
sticamente nella predicazione di Gesù, implica che per l' «udi
tore non può trattarsi di un semplice insegnamento sulla veri
tà, bensì del fatto che il suo atteggiamento nei confronti di
quella verità diventa una questione incalzante. «Gesù si di
stingue dal Battista, perché tenta di avvicinare la basileia ad
ogni singola persona nella sua esistenza». '97 I racconti parabo-
192. Cfr. ad es. Fuchs, Jesus, 38; Idem, Hermeneutik, 2 17. 2 1 9 ed altrove.
193. Fuchs, Hermeneutik, 222.
194. Cfr. Puchs, Jesus, 22.
195. Fuchs, Hermeneutik, 217.
196. Nella misura in cui la vicinanza appartiene all'essenza stessa di Dio (come mo
stra chiaramente il discorso di Gesù riguardo alla basileia), teologia ed escatologia
(di Gesù) coincidono.
197. Fuchs, Jesus, 104.
44
l ici (e le similitudini) mirano a determinare «una nuova presa
di posizione degli uditori».1!18 Esse provocano nell'uditore una
decisione che coinvolge l'intera esistenza: fermo restando che
«il miracolo di questo cambiamento di posizione in noi» è
una questione che riguarda Dio solo.199 È in tal senso che alle
parabole viene attribuito un carattere argomentativo. Come
avviene che nasce in noi una nuova presa di posizione? In
quanto Gesù, servendosi del linguaggio parabolico, rende vi
00
sibile Dio, «ma all'interno della nostra vecchia esistenza». 2
Nella parabola le strutture della nostra vecchia esistenza ven
gono mantenute come presupposto per la comprensione e co
me tali dialetticamente riferite alla nuova esistenza creata (o
desiderata) da Dio. 2°1 «Le parabole di Gesù operano uno stra
niamento, con lo spingere all'estremo la logica del vecchio
mondo fondato sulla retribuzione»; 202 ci «ricordano la nostra
esperienza di vita, per poterci dire qualcosa di più importan
t e . . . »: vogliono parlare di Dio. 203 Esse vanno a prendere l'uomo
là dove può essere raggiunto come uomo, per condurlo a
prendere posizione di fronte al futuro di Dio ormai vicino.
« Le parabole di Gesù non cambiavano gli uomini, ma certa
mente cambiavano la loro situazione, non appena ciascuno
comprendeva cos'era che faceva parlare Gesù»."" In quanto
parola che dona all'uomo una nuova situazione, la parabola lo
mette in movimento, «è una parola che si prende cura dell'u
d i tore, lo volge verso la salvezza, pertanto . . . una parola . . . che
lo m uove», è una «parola in movimento», un «logos ana lo-
45
gon».'0' La parabola libera l'uditore dal blocco che lo lega alle
mentalità di questo mondo, è «un appello a coloro che sono
morti, ai peccatori sottomessi alla legge del peccato e della
morte»."16 Lo muove a rendersi conto della presenza della ba
sileia e proprio così essa resiste «in verità alla morte», condu
ce «alla vita eterna. Non è così?»."'7 «La parabola di Gesù co
me parabola escatologica è per così dire una rappresentazione
in miniatura, che mette in scena qualcosa».208 Con la sua forza
linguistica essa muove l'uditore a superare la sua distanza nei
confronti delle cose udite;'°"' se l'uditore ci riesce, in pari tem
po guadagna una distanza nei confronti di se stesso, è rimesso
in via verso la sua salvezza. Fuchs intende fondamentalmente
le parabole non come dottrina sul regno di Dio, bensì come
annuncio che è a"ivato il momento del regno di Dio. Le para
bole mirano a suscitare la consapevolezza che adesso il tempo
di amare è arrivato. Riguardo alla escatologia di Gesù, non è
in gioco «la questione banale, se Gesù si sia sbagliato nel cal
colare la distanza cronologica», ma la «questione giusta e
sempre attuale, se Gesù si sia sbagliato nel credere che il mo
mento di amare fosse arrivato»."" «La predicazione di Gesù,
al pari della sua prassi. .., altro non è che un annuncio sul
tempo, sul tempo nuovo del regno di Dio»."' Ciò vale per la
predicazione della prassi di Gesù in generale, ma vale in mo
do particolare per le parabole: «esse danno voce . . . al tempo
nuovo, perché dischiudono il tempo della fede».m Poiché la
205 . Fuchs, Jesus, 77.
2o6. Fuchs, Einleitung, in GA m, 2 1 .
207. Fuchs, Neues Teslamenl, i n GA 111, 1 6o ; cfr. l a frase seguente (jesus,•79) : «Nella
parabola si manifesta la rivelazione definitiva di Dio, qualcosa come la resurrezione
individuale dci morti, come opera di Dio ed in nessun modo come opera nostra - e
tutto ciò in actu».
208. Fuchs, Jesus, 92.
209. lbid.
210. Fuchs, Zeitversliindnis, in GA II, 375 . Si tratta quindi della questione se la vici
212. Fuchs, ]esus, 80 [gioco di parole, intraducibile, fra aus-sprechen, esprimere, e :cu
sprechen, aggiudicare, assegnare] .
parabola annuncia il tempo nuovo, all'uditore viene aperto un
varco verso di esso, vien fatto entrare. «Quando Gesù parla in
parabola, utilizza la forza del linguaggio per farci accedere là
dove Dio ci parla, perché è da Dio che siamo interpellati»:'3
Poiché ci consente laccesso, «la parabola è. . . un dono. Essa
elargisce»."� In tal senso Fuchs richiede una «interpretazione
sacramentale»"' delle parabole cosl come di tutta la predica
zione di Gesù.
Questa caratterizzazione delle parabole come parole «che
fanno entrare», «che aprono l'accesso», è in stretta relazione
con la concezione di Fuchs dell' essenza del linguaggio. Aprire
l'accesso è la natura stessa del linguaggio."6 Se chiamo un altro
uomo «fratello», gli apro l'accesso a me in quanto fratello."1
Quando in questo modo attraverso la parola viene aperto
l'accesso, il linguaggio si fa evento, si compie un «evento lin
guisticm>."8 Altrettanto connaturale al linguaggio è l'essere
«annunzio del tempo»,"9 dove è da fare attenzione che «il
l inguaggio è presente come linguaggio solo là dove si compie
come evento»."°
Se il linguaggio è essenzialmente apertura di un «accesso» e
«annunzio del tempo», quando viene usato conformemente a
questa sua natura, esso crea nell'interlocutore una nuova si-
lI i· Op. 91.
cii. ,
i r 4. Op. 1o6.
cii. ,
l i � · Fuchs, Jesus, 1o6.
i r6. Op. di. , 90: «Il linguaggio fa entrare», per es. esso rende deplorevole ciò che
1 •sso condanna.
l l lcll iante il lin guaggio » (Fuchs, ]esus, 90 s.). Bisogn a di s t in g uere rigorosamente l'e·
wnto l inguistico [Sprachereignis] dall'«atto del parlare [Sprechereignis] », in cui si
rnmpic una «appropriazione, un dominio» (op. cii. , 89) . Anche i sacramenti, nella
misura i n cui vanno concepiti nella categoria dcl dono gratuito, non sono «un atto
i l1·I parlare, bensl un evento linguistico» (Fuchs, Sprachereignis, in GA II, 427) .
" "· Fuchs, Neues Teslamenl, i n GA 111, 1 5 2 .
1 w . Fuchs, Sprachereignis, i n GA I I , 426.
47
tuazione. Il linguaggio consente di superare il reale. Da un
punto di vista ontologico il linguaggio assume un rango supe
riore rispetto a quello della realtà. «Nel linguaggio la realtà
viene aiutata a raggiungere la sua verità: solo nel linguaggio si
manifesta la verità della realtà»."' In primo luogo nel senso
che la realtà può essere afferrata soltanto attraverso il lin
guaggio. «Se il reale di volta in volta deve essere afferrato . . . ,
ciò dipenderà dal fatto che il suo presente deve coincidere con
il mio».,., « È reale», per noi, «solo ciò che, attraverso il lin
guaggio, si può esprimere ( . ) come presente».m Questa con-
. .
nll. Op. cit. , 218 (corsivo mio). Sul rapporto tra possibilità e realtà e&. Jiingel, Die
\Vi·lt ,,/s Moglichkeit und Wirklichkeil, 2o6·233, spec. 226·231 .
U•1. Op.cii. , 212.
' 11 1. Op. cii. ,217.
' 11. Fuchs, Hermeneutik, 212.
' \ l , lhid.
49
tutto come proverbio,111 e «i proverbi si prestano ad essere uti
lizzati in vario senso . . . lasciano aperto ciò che si deve fare e in
tal modo si rivelano propriamente come metafore, che otten
gono la loro piena efficacia solo mediante l'applicazione con
creta».2 34 Vero è che secondo Fuchs alla metafora compete
«dal punto di vista stilistico un rango inferiore a quello del
detto figurato . . . , poiché essa non è una similitudine comple
ta», tuttavia rispetto al «detto figurato ha il vantaggio di sot
tolineare. . . l'elemento analogico nella maniera più limpida»:n
In antitesi a Jiilicher che definisce la metafora come nucleo
embrionale dell'allegoria, secondo Fuchs la metafora deve es
sere rigorosamente distinta dall'allegoria. Nella metafora certo
può ravvisarsi «un aspetto allegorizzante, in quanto per esem
pio invettive metaforiche possono diventare facilmente il lin
guaggio cifrato di un particolare gruppo umano».2 36 «Tuttavia
altro sono le designazioni 'tipiche' delle invettive, ed altro il
cifrario allegorico».217 L'allegoria presuppone «un senso na
2
scosto di ciò che va descrivendo», 38 mentre la metafora gioca
con le designazioni e stimola alle trasposizioni. 219 La metafora
presuppone una notevole «capacità di analogia», 2-4" cosa che
invece non si ha in alcun modo nell'allegoria.
Poiché la verità del futuro di Dio elevata a verità in noi nel
le parabole di Gesù è «da un punto di vista logico la verità
della metafora», la metafora si addice a Gesù più del detto fi
gurato vero e proprio. 241 Perciò similitudine e racconto parabo
lico vanno compresi piuttosto partendo dall'essenza della me
tafora. La similitudine, «(a differenza di una comparazione
233. Op. al. , 21,.
234. lbid.
23,. Op. cit. , 2 16.
236. Op. cit. , 212.
237. lbid.
238. Op. cit. , 2 1 2 s.
239. Op. cit. , 213.
240. lbid.
241 . Op. cit. , 218.
50
prolungata . . . ) , genera tensione, . . . perché non tradisce sin dal
l 'inizio le intenzioni del narratore»:•• A differenza dal prover
bio (o dal detto figurato) , che presuppone sin dall'inizio l'ac
cordo del partner, la similitudine conduce a quell'accordo.041
Già per questo «essa si mantiene sul terreno della narrazione,
che naturalmente può essere notevolmente abbreviata o la
sciata alla fantasia». •44 Similitudine e racconto parabolico han
no in comune il carattere na"ativo. 04' «Le similitudini si distin
guono dunque dai racconti parabolici solo per il fatto che il
racconto parabolico passa dal caso tipico e regolare a quello
singolare, pregnante, che naturalmente deve essere racconta
6
to». ' 4 Anche i racconti parabolici (come le similitudini) , se so
no ben riusciti, tralasciano l'applicazione».047
L'allegoria da Fuchs.48 viene messa a parte perché, in primo
luogo, non corrisponde al carattere analogico del linguaggio
di Gesù e in secondo luogo perché «non rende giustizia alla
11ttualità della predicazione di Gesù», celando solo apparen
t emente «ciò che in Gesù rimane del tutto inespresso»;•49 que
sto, evidentemente, può diventare anche un criterio di auten
t icità. Ci si collega cosi alla questione della relazione tra la pa
mhola e Gesù.
Fuchs sostiene: «la caratteristica particolare della predica
;,, ione didattica di Gesù è la forza analogica, con la quale Ge
sì1 , senza formularlo espressamente, pone come misura per la
mscienza dei discepoli se stesso, la sua personale vita di obbe
d i cnz a» . ' '0 È in questo senso che le parabole sono «autotesti-
1 .1 1 . Op . cit. , 222.
' · I \ . Fuchs, Hermeneutik, 223.
' H · lf11'J.
' ·I ' · Op . cii. , 2 2 r .
' ·I'' · Op . cit. , 2 2 2 .
1 .f / . Op . cii. , 224.
1 .1 K Op . cit. , 220.
' · l'I Op . cit. , 228.
1 \1 1 lhid.
51
monianze di Gesù».''' Come tali esse non riguardano il nostro
rapporto con Dio, bensi «innanzitutto il nostro rapporto con
Gesù stesso» .• ,. Esse furono pronunziate là, dove si trovava
Gesù.'n Nella parabola si intrecciano il destino di Gesù e la
basileia: «come dal destino di Gesù le parabole acquistano
pieno significato, cosi a loro volta i loro temi, per esempio il
regno di Dio, ne vengono interamente illuminati».'H Non se ne
può concludere tuttavia che la persona del Gesù storico sia il
criterio di interpretazione delle parabole; nelle parabole Gesù
va al di là della realtà della sua esistenza storica; egli dice più
di quello che avrebbe potuto dire nella sua situazione vista
semplicemente come una situazione storica. «Certo i discepo
li potevano dire essi stessi, sin da allora, di che cosa trattava
no. Ma proprio quelle tre parabole particolari (cioè il semina
tore, il figliol prodigo, gli operai della vigna) indicano di più.
Esse preparano il futuro dei discepoli, affinché essi al momento
delle difficoltà siano posti ancora una volta, attraverso la pa
rola di Gesù, di fronte a quella stessa decisione della speran
za, nella quale erano stati posti sin dall'inizio».'" Alcune para
bole di Gesù si spingono perciò oltre il suo presente; rinviano
al periodo in cui Gesù a causa della sua morte fu sottratto
ai discepoli. Lo scopo della predicazione di Gesù era appun
to «la loro (dei discepoli) speranza, la loro fede, il loro incon
tro con Dio». •'6 Mirando a questo scopo, Gesù non poteva ri
velarsi interamente ai discepoli, m poiché «non condividevano
in alcun modo la sua certezza».''8 Tale certezza divenne possi
bile solo dopo la pasqua. Fuchs considera questa impossibili
tà di rivelarsi totalmente come la vera passione di Gesù, alla
25 1 . Op. cit. , 227.
252. Fuchs, Gleichnisauslegung, in GA 1 1 , 1 39·
253. Fuchs, Hermeneutik, 227.
2.54· Fuchs, Gleichnisauslegung, in GA li, l4I .
2,,. Fuchs, Hermeneutik, 226 (corsivo mio) .
256. Op. cii. , 227 (corsivo mio).
257. lbid.
258. Op. cit. , 228.
52
quale pose poi fine la croce. «Proprio la certezza della sua
speranza spinge Gesù alla sua passione molto prima di quanto
lascino . . . intravedere ancora i vangeli . . . , Gesù dovette occul
tarsi ai discepoli questa fu la sua passione».''9 In quanto le
-
53
Se ci si interroga sulla verità della parabola e quindi sulla ve
rità della fede, che attraverso di esse viene donata, veniamo ri
mandati al linguaggio stesso. Gesù si rimetteva completamente
alla sua parola.26' «La sua legittimazione come predicatore del
la parola di Dio, egli la mette in gioco nella parabola come para
bola». 266 Perciò «la sua parabola è la parola di Dio nel senso più
pieno». 267 Chi mette in gioco qualcosa, rischia qualcosa. «Gesù
mette a rischio Dio, rischiando nella sua parabola la parola di
Dio», e questo «nei suoi uditori».268 Una parabola è vera quan
do in essa il linguaggio stesso si realizza, si fa evento linguistico.
Ma Fuchs non intendeva un linguaggio qualsiasi, come stru
mento di comunicazione creato dagli uomini, bensì quel lin
guaggio, dal quale l'uomo è generato.269 Esso è, primordial
mente, il linguaggio di Dio, «e la sua caratteristica fondamen
tale» si chiama «a ragione amore».210 Esso è il «linguaggio au
tentico» nel quale noi come parlanti, fin da principio, rispon
diamo al sì di Dio. 211 Una caratteristica essenziale della lingua
dell'amore è che essa venga parlata.212 Questo ha fatto Gesù;
tramite lui quel linguaggio ci è stato «aperto storicamente». • 7 i
Soprattutto nelle parabole, Gesù realizzava la caratteristica
.5 4
fondamentale del linguaggio, concedendo all'uditore, attra
verso il parlare del linguaggio,'7 32 l'accesso al tempo dell'amo
re. Alla luce di queste premesse circa il linguaggio, bisogna
dire allora: il criterio di verità per le parabole di Gesù è la loro
conformità al linguaggio stesso (e non come in Jeremias la con
formità all'essere storico di Gesù). Inteso in tal modo il lin
guaggio è il criterio di adeguata comprensione, in base al qua
le realizzare anche l'indispensabile demitologizzazione dell'e
scatologia neotestamentaria: «chi vuole demitologizzare real
mente l'escatologia neotestamentaria deve intenderla come
evento linguisticm>.'74 Il linguaggio ha un valore ermeneutico
fondamentale: il compito principale dell'ermeneutica è quello
di elaborare non la problematicità dell'esistenza, bensl la sua
l inguisticità. «Il suo compito speciale (se. dell'interpretazione
esistenziale) è divenuto l'elaborazione della linguisticità (non
solo della problematicità ! ) dell'esistenza umana». in
Eberhard fungei
Ji.ingel sviluppa il suo approccio all'interpretazione delle
parabole distanziandosi criticamente dalle teorie sulla para
bola elaborate da J i.ilicher in poi e richiamandosi particolar
mente all'approccio ermeneutico di Ernst Fuchs.'76 Come la
predicazione di Gesù in generale viene intesa come «evento
l i nguistico», «che ci impedisce in partenza di scindere il lin
guaggio di Gesù come pura 'forma', da ciò che si è fatto lin
guaggio nella predicazione di Gesù come 'contenuto' di que
sta forma», così in particolare le parabole di Gesù costituisco
no un'unità di forma e contenuto.in Pertanto nella stessa mi
sura in cui «la basileia deve essere compresa partendo dalla
55
forma linguistica delle parabole in quanto parabole, così a lo
ro volta le parabole devono essere comprese partendo dalla
basileia»:78 Da questo rapporto reciproco tra forma e conte
nuto deriva secondo Jiingel il «canone interpretativo fonda
mentale»: «la basileia si fa linguaggio nella parabola in quanto
parabola. Le parabole di Gesù esprimono linguisticamente
[bringen . . . zur Sprache] il regno di Dio come parabola»:79
Con ciò si abbandona la distinzione tra «parte reale» e
«parte figurata» (che altro non è se non la distinzione tra for
ma e contenuto) . A tale distinzione è legata anche la «ricerca
di un tertium comparationis», •8o che J iingel sostituisce con la ri
cerca di un <<Primum comparationis», da intendere nel senso
che questo «primum comparationis» con la sua forza analogica
<<fa convergere su di sé, in qualità di pointe delle parabole, i
singoli elementi descrittivi e i tratti narrativi ed in tal modo
appare alla fine della parabola come 'ultimum comparatio
nis'»:8 ' Raccogliendo insieme gli elementi narrativi, la parabo
la raccoglie insieme anche gli uomini che l' ascoltano.'8' La
pointe [narrativa] diventa «pointe della sua esistenza» (dell'u
ditore) .'81 Il rigoroso riferimento dei tratti narrativi alla pointe
distingue la parabola dall'allegoria.•84
Nel «canone interpretativo fondamentale», secoQdo il qua
le la basileia si rende presente come parabola, è insita anche la
distinzione invalicabile tra Dio ed il mondo. Poiché la basileia
è interamente presente ed in tal modo è presente come para
bola, essa preserva la differenza tra Dio ed il mondo.'8' La para-
278. lbid.
279. Ibid. (entrambe le frasi corsive nel testo).
280. Jiingel, op. cii. , 1 36.
281. lbid. ; Fuchs (/esus, 76) sostiene che il cprimum comparationis» di Jiingel è «Un
cambiamento di situazione».
282. Jiingel, op. cii. , l 36.
283. lbid.
284. J ungei, op. cii. , l 37.
285. Jiingel, op. cit , 138; in questo senso secondo Jiingel (con C. Westermann) tutte
.
57
tutta la predicazione di Gesù «si fa linguaggio come il regno
di Dio vicinm>.'91 In tal modo «essa pone in relazione il futuro
di Dio col presente dell'uomo»;294 e con ciò stesso la questione
della durata diventa irrilevante. «Se nella persona di quel Ge
sù che predica il regno di Dio, il futuro di Dio si incrocia con
il presente degli uomini, allora le parabole di Gesù, indicando
il futuro vicino del regno di Dio, indicano il futuro dell'agire
di Dio nella storia di Gesù». 29, Il rapporto degli uomini col fu
turo di Dio si decide in base al rapporto «in questo momento
con Gesù».'91>
Che la questione della durata diventi una questione inap
propriata in rapporto al regno di Dio vicino, appare chiaro
anche dal fatto che «la vicinanza non è un 'accidente' che
venga ad aggiungersi accessoriamente al regno di Dio, bensl
«la vicinanza del regno di Dio deve essere intesa come espres
sione della sua stessa essenza».'97 «Il futuro come futuro vicino
tocca direttamente il presente; non conosce intervalli cronolo
gici di alcun genere».'98 Non si tratta dunque di pensare l'av
vento della basileia in un futuro (più o meno vicino), come se
il vecchio mondo sino a quel momento avesse ancora tempo.
«La fine del vecchio mondo è già qui, poiché l'inizio del nuo
vo come basileia si è fatto vicino».'99 Se ci si attiene alla «pura
e semplice vicinanza del regno di Dio» e ci si sforza di inten
derla (letteralmente) «come la sua essenza»,300 allora concetti
come «attesa a breve scadenza» e «ritardo della parusia», ri
guardo alla predicazione di Gesù, si rivelano fuori posto.
Se ci si pone la questione della autorità (owero della verità)
della predicazione di Gesù e innanzi tutto delle sue parabole,
293 . Jiingel, op. cii., r73.
294. Ibid.
295 . Jiingel , op. cii. , 174.
296. Jiingel, op. cii. , 173-
297. J ungei, op. cii. , 17,5.
298. Jiingel, op. cii. , 180.
299. lbid.
300. Jiingel, op. cii., 181.
J i.ingel rimanda ancora una volta al regno di Dio stesso. «Il
regno di Dio nella sua futurità che è in relazione diretta col
presente si rende talmente attuale attraverso la piena autorità
di Gesù, che egli può osare di orientare il presente degli uo
mini al futuro del regno di Dio».30 1 Nella parola di Gesù ir
rompe la potenza della basileia. «L'autorità della predicazione
della basileia da parte di Gesù è la basileia stessa».302 Se si in
tende il futuro vicino del regno di Dio come futuro vicino di
Dio e si considera che Gesù impegnava se stesso in modo sin
golarissimo nella potenza del regno di Dio, allora diviene pa
lese «che Gesù era presente nell'autorità di Dio».303 «L'autori
tà della predicazione di Gesù era lautorità dell'oggetto di tale
predicazione». )"I Di conseguenza la questione della verità delle
parabole di Gesù è sempre in pari tempo la questione dell'es
senza del regno di Dio in relazione alla prassi di Gesù (intesa
come categoria teologica) .
lfohert W. Funk
Un importante pioniere dell'approccio letterario è R.W.
Funk. Nel suo libro Language, Hermeneutic, and Word o/
'"·I · J ii ngel, op. di. , 197· La questione della verità dovrà essere posta pertanto come
I J l ll'�t iune della verità del (vicino) regno di Dio. Viene stabilita pertanto una relazio-
111· t m la parabola ed il destino di Gesù (vita, morte e resurrezione) ? Per un'analisi
p 1 1 1 ••11profondita cfr. sotto, 1 .2.6.
59
God10' egli dedica alle parabole un breve capitolo nel quale ab
bozza la sua teoria dell'interpretazione delle parabole. Una
caratteristica fondamentale della teoria delle parabole di Funk
è che egli, considerando poco valido il ricorso alla compara
zione, cerca di comprendere le parabole partendo dal feno
meno della metafora. Metafora e comparazione sono differen
ti in quanto in quest'ultima il confronto ( «comparison») è il
lustrativo, nel linguaggio metaforico invece è creativo di nuo
vi significati. jo6 La metafora è uno strumento per modificare la
tradizione linguistica,107 liberando il linguaggio dal dominio di
significati predeterminati. 1o8 La metafora intende più di quello
che dice,109 si presenta aperta, rimane incompleta fintanto che
l'uditore'IO non viene coinvolto in essa come protagonista.'"
Compresa partendo dalla natura della metafora, la parabola
non può avere alcuna applicazione, poiché quest'ultima eli
minerebbe la conclusione aperta che mette in movimento l'u
ditore.'" Man mano che le parabole nella tradizione sinottica
furono corredate di spiegazioni, furono immobilizzate ed il
loro potenziale ermeneutico andò perso.1'1 D'altra parte è in
negabile che la parabola spinge ad una applicazione, una
spiegazione; solo bisogna precisare che essa va fatta sempre
di nuovo da ogni nuovo uditore. La parabola infatti invita ad
un'attualizzazione concreta, ma in nessuna di esse trova ripo-
305. R.W. Funk, Language, Hermeneutic, and Word o/ God, New York - Evaston -
London 1966.
3o6. Riguardo alle parabole il concetto di metafora è il punto di collegamento tra la
critica letteraria e l'esegesi neotestamentaria; cfr. Funk, op. cit. , 1 37· In maniera dia
metralmente opposta ]iilicher aveva invece affermato il carattere illustrativo della
metafora, cfr. sopra, pp; 17 ss.
307. Funk, Language, 1 39·
308. Funk, op. cii. , l4I .
309. Funk, op. cii. , 142.
3 10. Ibid.
3 n . Funk, op. di. , 143·
312. Funk, op. di. , 1 34 (con rinvio a C.H. Dodd) .
313. Funk, op. cii. , r 34 ss.
60
1 '4
so . Solo in tal modo essa può mantenere il suo potenziale er
meneutico ed allo stesso tempo la sua dimensione esistenzia
le. 3'j L'uditore interpretando diviene protagonista della para
bola. In questo senso le si può attribuire un carattere argo
mentativo, in quanto l'uditore viene stimolato a una decisio
ne; '16 fermo restando che è sempre la parabola a mantenere l'i
niziativa.1'7
Riguardo al contenuto Funk sottolinea che tutte le parabo
le hanno in comune la secolarità di quanto viene narrato.118 La
secolarità non è motivata dal fatto che Gesù richiama l'atten
zione su un'immagine secolare per poi parlare di verità reli
giose (questa sarebbe una motivazione didascalica della scelta
<li immagini secolari) .1'9 Essa è motivata invece dal fatto che la
parabola come genere linguistico metaforico o simbolico è
una forma linguistica atta ad esprimere l'irruzione del divino
nella storia, preservando il nascondimento di Dio nel monda-
110 . 1'0 È appunto questa irruzione che mette in gioco la sorte
definitiva dell'uomo all'interno della sua esistenza quotidiana,
c:reaturale.1" La parabola risente di questa situazione e per
lJUesto non distoglie l'attenzione dall'esistenza terrena ma la
1 1 4. Funk, Language, 143. Per questo motivo anche un'interpretazione storica non
può essere adeguala alla parabola. Punk non vede una differenza fondamentale tra
l'npproccio di Dodd e Jeremias da un lato e quello di Jiilicher dall'altro: la «verità
11c:ncrale,. di Jiilicher come principio interpretativo è stata sostituita negli altri due
1111tori dalla «situazione storica .. , cfr. op. cii. , 148. Una interpretazione storica priva la
pnrabola della sua ricchezza di sfaccettature («manyfaceted.. ), cfr. op. cii., 149.
1 1 � . Funk, op. cii. , 143, cfr. 135· 152.
1 1 6. Funk, op. cii. , 144, la definizione di «argomentativo,. segue quella di Bultmann,
mntro Jeremias e Cadoux.
1 1 7. La parabola non può avere una applicazione, essa è applicazione, poiché essa
interpreta i suoi uditori, dividendoli in due gruppi (coloro che l'accettano e coloro
d1c la respingono). Terlium non dalur! (Funk, op. cit. , 152). Ma è realmente questo
lo scopo della parabola? O non piuttosto quello di portare dalla stessa parte lulli gli
uditori?
1 1 8. Funk, op. cii. , l H (con rinvio a Wilder).
1 1 9. Funk, op. cii., 154.
1 20. lbid.
1i 1 . Op. cii. , 1 56: cMan's destiny is at stake in bis everyday crealurely exislence».
61
rivolge ad essa. 3" Non si ferma però alla quotidianità superfi
ciale, ma riesce a far guardare attraverso di essa32j il fonda
mento dell'esistenza umana.324 La quotidianità appare nell'o
rizzonte del definitivo (ultimate) .12, Di qui la vivacità (vivid
ness) della parabola.!'6 L'inserimento del quotidiano nell'oriz
zonte del definitivo si rivela nella parabola con il mettere in
rapporto l'usuale con l'insolito, ed in modo tale che l'uno in
terpreta l'altro.327 In breve: le parabole come narrazione del
quotidiano presentano una svolta ( «they bave an unexpected
'turn'») che - lasciando vedere attraverso l'usuale - rimanda
ad una nuova visione della realtà. i>8 Sono eventi linguistici nei
quali l'uditore è costretto a scegliere fra due mondi.3'9 È chiaro
dunque che in Funk la secolarità del mondo figurativo delle
parabole riceve una fondazione eminentemente teologica, es
sendo ricondotta al rivelarsi di Dio nella storia, rivelazione che
però lascia intatto il mistero di Dio. Le parabole compiono
appunto questa rivelazione trasponendo il definitivo nel quo
tidiano e determinando in esso una svolta.
Sebbene Funk consideri insufficiente un'interpretazione
storica delle parabole, egli ritiene che la vita di Gesù sia di
notevole importanza come contesto delle parabole. La para
bola è messaggio nel contesto della vita di Gesù. 330 Gesù com-
Dan O. Via
Nell'interpretazione delle parabole la preoccupazione fon
damentale di Via è quella di «prendere le distanze da una
metodologia che interpreta le parabole in stretta correlazione
mn la situazione storica di Gesù». n6 Via fonda questa rottura
mn «la consapevolezza che le parabole - . . . - sono autenti
rhe opere d'arte, veri e propri oggetti estetici» da intendere
« i n senso rigorosamente 'letterario'».337 I testi letterari non
hanno alcun riferimento diretto alla situazione storica del lo
ro creatore ed a quella dei loro uditori originari.
Via relativizza innanzitutto la rigida distinzione, dominante
s i n dall'epoca di Jiilicher, tra allegoria e parabola, in quanto
\ Il. lbid.
1 1 i . runk, op. cit. , 197: «In parableJesus both witnesses to the dawn of the kingdom
1111il brings it near».
1 1 1. lbid.
1 1·1 · fonk, op. cit. , 198.
1 1 \ . Bi sogn a domandarsi però quale sia per Punk la fondazione di questa confessio·
'"" Sia proprio qui la questione della verità riguardo alla predicazione e al compor·
1 11111cnto di Gesù in generale.
1 1 11. Via, Gleichnisse, 9 .
1 1 ; . Via, op. cit. , 9 s. La postfazione di Giittgemanns dà una buona visione del «con·
l r\ l u lii scienza della letteratura» in cui si colloca Via (op. cit., 202-209).
l'impossibilità di «delimitare il senso delle parabole di Gesù
ad un unico punto di confronto centrale» non può essere af
fatto considerata una caratteristica dell'allegoria. J3S Fondamen
talmente, tra allegoria e parabola sussiste solo una differenza
«di grado e non di genere».m La diversità decisiva tra le due
forme linguistiche non è «la differenza tra un solo punto di
confronto o molti» ; consiste piuttosto «nella differente ma
niera, in cui gli elementi del racconto sono riferiti gli uni agli
altri ed alla realtà extranarrativa». w> Nell'allegoria i singoli ele
menti si riferiscono ad una «vecchia storia»/41 mentre nella pa
rabola sono riferiti principalmente l'uno all'altro e soltanto
«in modo secondario» rimandano alla realtà extranarrativa. 1""
Schematizzando un po', potremmo dire che per Via la «situa
zione storica» viene a cadere anch'essa nella categoria di
«vecchia storia», e di conseguenza l'interpretazione storica
viene ad essere addirittura un tipo di interpretazione allegori
ca della parabola. 141 L'interpretazione storica delle parabole
parte cioè dal presupposto che certi dettagli rimandino prin
cipalmente ad una situazione nella vita di Gesù (per esempio
il fratello maggiore, Le. 1 5 , n -32, o gli operai della prima ora,
Mt. 20, 1 - 1 5 , ai farisei) ; in tal senso l'interpretazione storica
per sua natura può essere considerata allegorica.
Sulla base di questa distinzione tra allegoria e parabola Via
abbozza il suo approccio ermeneutico, nel convincimento che
l'ermeneutica è «il problema teologico centrale»/44 Il carattere
338. Via, op. cii. , 28. Con «punto centrale di paragone» si intende qui il «lertium
comparalionis» di Jiilicher (cfr. op. cit. , 1,. 24).
339. Via, op. cii , 24 (questa differenza va individuata nella referenzialità dei singoli
.
66
ziale (non-re/erential)/'9 cioè richiamare l'attenzione dell'udi
tore esclusivamente alla narrazione stessa, senza rimandarlo
al mondo extra-narrativo, ne consegue allora che essa è «auto
noma», ossia va compresa indipendentemente dall'autore e
dal suo mondo, come pure indipendentemente dall'uditore e
dal suo mondo. J6o Dal punto di vista estetico, l'opera letteraria
rivela un'unità «di contenuto . . . (e) di struttura» non riscon
trabile nel «discorso oggettivante (propositional) o nel discor
so analitico». 361 Per questo «l'unica cosa cui fare attenzione è
i l senso interno dell'opera stessa»;162 è in questo che consiste
l'autonomia dell'oggetto estetico, misconosciuta dall'interpre
tazione storica delle parabole, che fa del mondo di Gesù e
dci suoi uditori il criterio interpretativo senza il quale una pa
rabola non può essere compresa in modo adeguato. Inoltre al
metodo del tertium comparationis soggiace la negazione «del-
1' unità di forma e contenuto strutturata in senso centripe
t o » . 161
Contro questa tendenza dominante nell'esegesi neote
stamentaria va dunque difesa con forza l'autonomia delle pa
rabole.
L'altro «fronte» di questa guerra è la critica letteraria, nei
rni confronti «si deve dimostrare che le parabole nonostante
In loro dimensione teologico-esistenziale restano autentici og
�ctti estetici». 364 Ciò può essere dimostrato solo se si riesce a
rt'lativizzare quell'assoluta autonomia dell'opera letteraria, po
s i ulata dalla critica letteraria; e Via s'impegna in questo com
p i to da una parte appellandosi alla funzione referenziale del
l i nguaggio (through-meaning), che non può andare totalmente
perduta neanche quando viene usato in senso estetico; e d'al
l l'a parte col sottolineare che la forma costruita esteticamente,
1 1 la struttura interna (in un'unità centripeta di forma e conte-
68
re/erential), ad una certa configurazione di esistenza vissuta.}69
È l' «esistenza» dunque il continuum ermeneutico tra narrato
re e uditore, tanto da un punto di vista ontologico quanto da
un punto di vista ontico: la caratteristica delle parabole è
quella di esprimere una visione dell'esistenza (elemento onto
logico) attraverso un'esistenza vissuta (elemento ontico) . 110 Ed
è appunto questo che le rende oggetti estetici.
Da questa distinzione tra visione dell'esistenza ed esistenza
vissuta deriva tutta la problematica difondo dell' interpretazio
ne delle parabole. Mentre «nell'esperienza estetica» l'atten
iione primaria è rivolta all'esistenza vissuta nel racconto, nel
l ' interpretazione passa al centro dell'attenzione la visione del-
1 ' esistenza in esso implicita (che nella parabola sts:ssa era solo
di importanza secondaria) . J7' L'interpretazione si sforza siste
maticamente di portare alla chiarezza del concetto tutte quel
le implicazioni pre-concettuali, non pienamente consapevoli.
l ,'interpretazione usa pertanto un linguaggio completamente
diverso da quello delle parabole: un linguaggio oggettivante,
referenziale, a differenza di quello non-referenziale degli og
�etti estetici.'72 Essa non può far rivivere la parabola come
evento linguistico, ma può «illuminarne le connessioni e cosi
rendere più efficace l'evento linguistico». m L'analisi critico-let
lt'raria delle parabole svolge questa funzione. Ma poiché la vi
Nione dell'esistenza implicita nelle strutture narrative è una
«visione dell'esistenza nella fede o nell'incredulità», e poiché
cc<leterminate figure nelle parabole rimandano accessoriamen-
1<', ma inevitabilmente a Dio» e poiché infine «l'elemento del
la sorpresa e della straordinarietà segnala la dimensione del
divino», 174 il punto di vista critico-letterario deve essere inte-
1 70. Ciò risulta per analogia al rapporto tra esistenza possibile ed esistenza attuale,
mnc1·cta, cfr. sopra, p. 6.5 con le nn. 347 s.
1 ; 1 . Via, op. cii. , 94. 372 . Via, Gleichnisse, 9.5·
1 7 \. lhid. Si potrebbe definire tutto ciò come «trascrizione» delle parabole.
1 1+ Via, op. cii. , 9.5 s. ( ! ) . A quest'ultimo dei tre elementi elencati si deve il non-rca
h�mo delle parabole di Gesù.
grato da quello teologico: nella interpretazione delle parabole
devono andare di pari passo «la critica letteraria e l'esegesi
teologico-esistenziale». m
Via elenca come segue le principali caratteristiche delle pa
rabole come oggetti estetici:
r . «esse sono storie liberamente inventate».J;6
2 . Al pari dell'intera «letteratura occidentale» le parabole
rivelano una struttura narrativa comica o tragica.m
3. La loro qualità drammatica si manifesta - come nel tea
tro moderno - nell'incontro (conflitto) e nel dialogo.)78
4. In base all a «capacità d'azione del protagonista principa
le» le parabole appartengono alla classe «mimetica di livello
più basso» ovvero «realistica».)79
;. Il patrimonio figurativo è di tipo «descrittivo», cioè trat-
70
to dall'esperienza quotidiana. Questo simbolismo appartiene
al tipo mimetico di livello più basso.38o
Secondo Via ci sono fondamentalmente due tipi di parabo
le: da una parte le parabole «tragiche», la cui struttura narrati
va sfocia nella catastrofe e nell'isolamento del protagonista; 311
con la differenza che mentre nella tragedia classica domina il
tema dell' «inevitabilità della sofferenza»,382 nelle parabole di
Gesù «ha maggior risalto il tema della libertà».113 Inevitabili, in
esse sono semmai le conseguenze della visione dell'esistenza
t)rescelta. 38'' E mentre nella tradizione letteraria il protagonista
vive una vicenda «contrassegnata da un certo grado di serietà
o di grandezza», nelle parabole invece le azioni del protago
nista hanno un carattere «del tutto quotidiano».38' Le azioni
dci personaggi delle parabole sono «sbagliate o cattive alla lu
ce di norme enunciate da un'altra persona o implicitamente
presenti nella vicenda narrata» ; i personaggi ai quali viene at
tribuito un potere di giudizio rimandano in secondo piano a
Dio ( ! ) .186 «La perdita dell'esistenza autentica e l'esperienza
dcl giudizio di Dio sono le due facce della medesima real
tà». is1
71
AI secondo tipo appartengono le parabole «comiche», la cui
struttura narrativa sfocia nella salvezza e nell'accoglimento
del protagonista in una nuova o ripristinata comunione. 188 La
dinamica comica è costituita dalla possibilità ontologica della
esistenza guadagnata. 3119 A differenza però di quel tipo di com
media che descrive «un itinerario dalla disperazione alla fidu
cia», e nella quale il protagonista conferma tutta la sua capa
cità umana, nelle parabole di Gesù al protagonista «viene da
ta una nuova possibilità extra se», della quale non ha lui la di
sponibilità.J!IO In ciò si configura la grazia di Dio, che è il pre
supposto che rende possibile lesito «comico» della trama, il
passaggio dalla morte alla vita.!9'
Concludendo la parte metodologica del suo libro, Via
prende posizione sulla «rilevanza teologica del realismo delle
parabole di Gesù».191 Esso infatti «suggerisce una qualche ana
logia tra Dio e l'uomo». 391 Le parabole peraltro non ci dicono
come è Dio, ma soltanto che egli ci viene incontro nel quoti
diano e che «se noi gli rispondiamo, la nostra esistenza divie
ne come quella del figliol prodigo e non come quella del servo
spietato»;194 l'accento posto su questo « ch e » [dass] ricorda
chiaramente quello famoso del Gesù storico di Bultmann. m
Assume una rilevanza teologica anche un'altra caratteristica
formale delle parabole di Gesù, la serietà con la quale viene
trattato il quotidiano, che nella letteratura classica trovava
388. Cfr. sopra, punto 2 con n. 377 ed anche Via, op. di. , 138 e passim.
389. Via, op. cii. , 10r .
390 . Via, op. cii. , 1 39·
391 . Via, ibid.
392. Via, op. cit. , ro3.
393. lbid. Via tuttavia si distanzia dal concetto di Dodd di «affinità.. ovvero di analo·
gia entis (cfr. sopra, pp. 3' s.) tra ordine naturale e sovrannaturale, cfr. anche Via, op.
cit. , 103 n. 107.
394. Via, Gleichnisse, 103. Qui emergono chiaramente ancora una volta le implica
zioni dell'ermeneutica esistenziale di Via.
39, . La struttura delle due posizioni è dcl tutto analoga; cfr. Bultmann, Chrislusbot
scha/t, passim.
72
espressione solo «nella forma di una leggera comicità».,116 Sulla
linea di Auerbach, Via indica in questo fenomeno una conse
guenza dell'incarnazione, poiché fu essa a determinare la rot
tura col canone stilistico classico (quello cioè della separazio
ne tra le vicende «serie» e quelle di tutti i giorni).i97
Rimane da chiarire il rapporto tra le parabole e I' autocom
prensione di Gesù. Via parte dal presupposto «che I' autocom
prensione di Gesù oltrepassava i confini di tutte le categorie
giudaiche disponibili e che egli in un certo senso parlava di se
stesso come di persona escatologica (sic!)».198 Le parabole per
parte loro « (rimandano) secondariamente a Gesù come a co
lui il quale . . . ha creato la situazione» in esse descritta.i99 Quel
la decisione alla quale Gesù invitava gli altri nelle parabole,
lui stesso personalmente l'ha già presa: sussiste dunque «una
certa continuità tra la visione dell'esistenza implicita nelle pa
rabole e l'autocomprensione di Gesù».- Quella fede cui chia
mava gli altri nelle parabole, Gesù la realizzò fino in fondo, e
questo per Via è un «dato di fatto metafisico».40 1
Ci si può chiedere infine in che cosa consista la verità delle
parabole. Al concetto di verità Via preferisce quello di «for
za»."'°2 «La forza delle parabole di Gesù» non risiede comun
que né nel linguaggio stesso""'i né nella fede,- bensl in quella
«continuità dell'esistenza» di Gesù, che il Nuovo Testamento
esprime parlando di «resurrezione».""'' «La resurrezione come
�96. Via, op. cii. , 104.
�w. Ibid. con n. no.
�98. Via, op. cii. , 189 (Via lascia aperta la questione dei titoli cristologici).
�99· Via, op. cit. , 190.
400. Via, op. cii. , 191. A mio awiso non sussistono motivi validi per cui Via qui non
po1rli di identità .
•101 . Via, op. cii. , 193-19,. Questo concetto (cfr. p. 19, ) è problematico, in particola
l'c r iguardo alla delimitazione delineata da Via tra «realtà metafisica• e «affermazio
ne di fede• e «deduzione da testi storici• (op. cii. , 194).
73
dato di fatto metafisico o ontologico», vale a dire la continuità
dell'esistenza di Gesù, coinvolse profondamente i discepoli e
li condusse alla fede.406 I racconti delle apparizioni, il messag
gio della resurrezione e i racconti di resurrezione sono il pro
dotto di quella /ede."°1 La forza {owerosia la verità) delle para
bole di Gesù si fonda dunque sul fatto che «esse sono l'e
spressione della sua esistenza»."°8 Existentia Iesu sigillum veri.
4o6. Via, ibid.
407. lbid. A mio avviso da un punto di vista storico questa tesi è insostenibile per-
408. Questo «essere» non è né una categoria teologica né storica, bensl metafisica
(ontologica) , dr. Via, op. cii. , 200 s.
1 .2. Osservazioni per una teoria
dell'interpretazione delle parabole
1 . Cfr. le indicazioni bibliografiche già date in 1 . 1 .4; inoltre, Perrin, Language, 127·
1 1 1 (Wilder) . 1 32·141 (Funk). 141-155 (Via). 155-168 (Crossan) ; c&. anche TeSelle,
Sp,·11ki11g, 72 nella seconda nota.
1 . Per Fuchs rinviamo ai testi già menzionati sopra, in 1 . 1 .3 ; per la condivisione di
queste concezioni in Jiingel cfr. sopra, 1.1.3. La interpretazione di Fuchs in Perrin
1 L111x11age, 107-1 1 3 ) è incompleta e va corretta nel senso già indicato. Lo stesso di-
1 ;1si per TeSelle (cfr. sopra, n. 1 ) .
75
be compresa partendo dalla comparazione, lallegoria invece
partendo dalla metafora, laddove comparazione e metafora
sono considerate fenomeni intrinsecamente diversi. Nono
stante la questione possa sembrare marginale, questa opzione
antijiilicheriana ha delle ripercussioni di enorme portata in
tutte le questioni di interpretazione riguardanti le parabole di
Gesù, come avremo modo di rilevare più avanti. La legittimi
tà di questa nostra azione di comprendere le parabole di Gesù
partendo dal fenomeno della metafora, si fonda innanzitutto
sull'esito cui è approdata la riflessione più recente sia nel-
1' ambito della filosofia del linguaggio sia in quello esegetico
teologico. Mentre da un lato riguardo alle parabole di Gesù la
ricerca - almeno teoreticamente - si è allontanata considere
volmente dai postulati di Jiilicher, dall'altro nuovi sviluppi
nella teoria della metafora' fanno vedere che la distinzione tra
metafora e comparazione, proposta da Jiilicher sulla linea
della retorica classica, risulta per molti versi superata. In se
guito a tali sviluppi sono emerse riguardo all'essenza della
metafora prospettive tali da suggerire l'opportunità di ricon
durre ad essa il linguaggio figurato della Bibbia ed in partico
lare le parabole, per poterle vedere in una luce nuova. La si
tuazione attuale nell'interpretazione delle parabole ha spinto
Ricoeur ad osservare che «gli studi biblici non hanno ancora
tratto tutti i vantaggi che avrebbero potuto trarre dalla situa
zione nuova che è venuta a crearsi nel campo della semiolo
gia, della critica letteraria e dell'epistemologia»;� e questo è
tanto più sorprendente, se si considera che «la recente ricerca
teologica sulle parabole . . . di fatto viene spesso a contatto con
i vari tentativi linguistici per un ripensamento della metafo
ra».' Non è infondato dunque il progetto di ripensare le para
bole di Gesù partendo dalla natura della metafora, di inten-
3.Per l'area di lingua tedesca cfr. }Ungei, Metaphorische Wahrheil, 76 con nn. 6 s.
Per l'area francofona e anglofona v. la ricca bibliografia, citata e discussa in Ricoeur,
Métaphore, passim.
4. Ricoeur, Stellung, '4·
5. JUngel, Melaphorische Wahrheil, 76.
dere cioè metafora e parabola come due fenomeni linguistici
analoghi.
6. Ricoeur, Stellung, 47; cfr. Métaphore, 220. uo: «C'est un énoncé entier qui consti-
1 uc la métaphore, mais l'attention se concentre sur un mot particulier dont la pré
M:ncc justifie qu'on tienne l'énoncé pour métaphorique». Cfr. anche lngendahl, Me
l11phorischer Pror.ess, 6,.
7 . CoslJiingel, Metaphorische Wahrheil, 1 1 2 (con richiamo a Vonessen, nota 103).
K . Per questo esempio e per la sua diffusa utilizzazione nella tradizione retorica cfr.
.f iingel, op. cii. , 73 -e passim. Ricoeur utilizza un esempio analogo: «La natura è un
lcmpio . . . » (Stellung, '3).
n
di Dio.9 Nella maggior parte dei casi il riferimento al regno di
Dio è assicurato dalla formula introduttiva;'0 in alcuni casi in
vece la narrazione inizia senza introduzione, o la parabola è in
forma interrogativa; ma anche in questi casi ciò che la para
bola vuole illustrare è il regno di Dio, ovvero l'agire di Dio. Il
posto del soggetto (S) nella metafora è occupato, nella para
bola di Gesù, dal regno di Dio, mentre il posto del predicato
(P) è preso dalla narrazione stessa (quella cioè che si usava
chiamare «la parte figurata») . Il posto che ha la copula (C)
nella metafora viene occupato nella parabola di Gesù da di
verse espressioni: in molti casi c'è qualche forma dalla radice
Ò!J.Ot-," in altri un semplice wc; (wcrn:tp), in cui va sottinteso un
«è»;" in qualche caso la copula può addirittura mancare del
tutto. 'J Pertanto la struttura di base delle parabole di Gesù,
analoga a quella della metafora, è la seguente: basi/eia e - -
9. «Do qui per presupposto senza fornire altre giustificazioni, che era essa (se. la ba
sileia) il tema delle parabole di Gesù» (]ungei, Paulus und ]esus, 142).
10. Sulle formule introduttive cfr. per es. Jeremias, GleichniJse, 99-102.
1 1 . Vedi per es. bp.Q1w'1WIJ.tV (Mc. 4,30), �ibJ.,w (Le. 13 ,20) ; wµtJ1w�lì (Ml. 13,24) ;
o!Jll 1�+-o-e:-.0t1 (Mt. 2 5 , 1 ) ; oiu.»i0t èr.iv (Ml. 1 3,44.45 ) .
1 2 . Mc. 1 3 ,34 w c; ; Ml. 25,14 wrnc;i ; cfr. l'oif:wc; èr.iv anteposto in Mc. 4,26.
13. Si tratta in ispecie delle parabole in forma interrogativa (Le. 15,4.8) o che inizia
no senza un riferimento esplicito alla basileia, per es. Le. 14,16; 1 5 , 1 1 ; Mc. 12,1 parr.
14. Questa concezione sembra soggiacere in Funlc e Via (cfr. sopra, 1 . 1 .4). Analoga
mente si esprime anche Ricoeur, Stellung, 65 : «Si potrebbe dire anche che ciò che
nella parabola funziona come metafora, non è altro che la narrazione presa in tutta la
sua articolazione drammatica; . . . la tensione sussiste allora tra la vicenda messa in
scena e la realtà della vita quotidiana».
Una precisazione infine è necessaria per la semantica della
copula «è». Nella metafora la funzione della copula «è» non
si limita a produrre una qualsiasi correlazione tra S e P (fun
zione «relazionale» della copula), ma implica «che qùesta re
lazione in qualche modo descriva nuovamente ciò che la cosa
è ; afferma che la cosa sta realmente così».'' Achille è in realtà
un uomo (uso reale della copula), non è un leone. Ma nella
metafora viene descritto in modo nuovo come un leone. Que
sto viene ottenuto attraverso quell' «è»; il quale pertanto non
può essere inteso letteralmente. È il verbo «essere» stesso che
«assume valenza metaforica», riproducendo la tensione che
sussiste tra S e P. «Quell"è' equivale allo stesso tempo a un
' non è' in senso letterale e ad un 'è come' in senso metafori
co». 16 Se applichiamo lo stesso principio alle parabole di Ge
sù, ne consegue: nella copula viene stabilita una relazione
metaforica tra la basileia e la narrazione, di modo che sia
chiaro in pari tempo che la basileia, in senso letterale, non è
ciò che viene narrato come P, e tuttavia è come ciò che viene
narrato. La metaforicità della copula («è») nelle parabole si
realizza col mettere a confronto la basileia e ciò che viene rac
contato. Questa valenza di «essere come», racchiuso nell'uso
metaforico del termine «essere», in molte parabole di Gesù
viene espressa esplicitamente. Non se ne deve concludere
perciò che si tratti di una comparazione e non di metafora,
perché la distinzione tra metafora e comparazione vale solo
all'interno della retorica classica. La metafora dice come quale
rosa è una determinata cosa, la parabola dice come quale cosa
,� la basi/eia.
Se la parabola viene compresa partendo dal fenomeno della
metafora, insieme alle loro affinità, vanno notate anche le loro
differenze. '7 Mentre nella metafora la tensione semantica si
realizza a livello dell'enunciato come tensione tra termini, la
79
parabola opera a livello della composizione. La composizione
come unità (ossia la narrazione) viene messa accanto alla basi
leia ed è il loro impatto a generare la tensione semantica.' 8 Ne
consegue un'ulteriore differenza che riguarda la durata di vita
delle due forme linguistiche. Mentre le metafore, come feno
meno di tensione, hanno un' «esistenza momentanea», che si
prolunga solo finché «continua ad essere percepito lo scontro
(clash) semantico tra i termini», i racconti figurati invece
«sembrano non esaurirsi allo stesso modo, o per lo meno non
così presto come ci si potrebbe aspettare in base a questa teo
ria».19 Una terza differenza tra le metafore secondo il modello
«Achille è un leone» e le parabole di Gesù intese come para
bole del regno di Dio consiste nel fatto che nelle prime entra
no in relazione reciproca due orizzonti semantici diversi [ver
schiedene] mentre nelle parabole entrano in relazione due
orizzonti semantici intrinsecamente incomparabili [prinzipiell
unterschiedene] , quali Dio ed il mondo. Mentre le metafore
rendono il mondano predicato del mondano, le parabole di
Gesù rendono il mondano predicato di Dio. Questo dato di
fatto costringe a distinguere già per la metafora tra metafora
«comune», che rimane nell'ambito del modano, e metafora
teologica. Su questa distinzione si dovrà ritornare a proposito
della verità delle metafore. '0 Per il momento è sufficiente aver
messo a frutto lanalogia finale tra metafora e parabola ai fini
di una teoria delle parabole.
18. Ricoeur, op. cii. , 63, rileva a ragione che la parabola come «genere letterario»
opera a livello della composizione. A parer mio bisogna aggiungere il riferimento
delle parabole al regno di Dio, preso troppo poco in considerazione da Ricoeur.
19. Ricoeur, op. cit. , 63 s. Riguardo alle parabole di Gesù la loro vitalità è motivata
inoltre dal fatto che la tensione che si instaura nella parabola tra il regno di Dio e I'e
sperienza dd mondo non è facilmente superabile.
20. Cfr. sotto, pp. 103-107.
80
tipo di discorso improprio:" una di quelle espressioni figurate
(tropus), che vengono usate principalmente per esigenze arti
stiche del discorso. Compito primario della metafora all'in
terno del discorso è convincere l'uomo, presentandogli il «ve
rosimile in una forma gradevole»." La metafora è una deroga,
esplicitamente prevista dalla retorica, dall'uso letterale, ossia
proprio, dei termini. Il discorso metaforico si distingue dal
discorso proprio, in quanto conferisce a determinati termini
u n a polisemia mentre il discorso proprio per motivi di chia-
1·ezza deve supporre sempre l'univocità di ogni termine.'3 Ri
e.lotta così la metafora ad un abbellimento retorico, ne conse
gue che ciò che la metafora esprime in linguaggio figurato
può essere detto altrettanto bene anche col discorso proprio,
e anzi ancora meglio, se si tratta di descrivere la realtà. In tal
senso dunque secondo questa concezione tradizionale del lin
guaggio la meta/ora rimane sempre fondamentalmente traduci
bile. '4
È appunto tutto questo che viene contestato dalla linguisti
ca più recente, non più disposta a classificare la metafora nel
l'ambito del discorso improprio. Se, infatti, la metafora viene
definita un enunziato il cui particolare valore semantico nasce
dall'accostare l'uno all'altro due termini che intesi «propria
mente» non sarebbero accostabili, ne consegue che essa non
può essere tradotta in linguaggio proprio senza perdere il suo
significato. La metafora ha la capacità di generare innovazioni
semantiche:'' è quella che Ricoeur definisce la loro «funzione
81
poetica contraddistinta da una funzione puramente retorica;
capacità di operare all'interno del discorso generando un senso
nuovo, riuscendo a trasformare in linguaggio certi settori del-
1' esperienza e della realtà, che attendono ancora di essere e
spressi». '6 Intesa cosl, dal rango di fenomeno linguistico mar
ginale la metafora viene promossa a quello di processo lingui
stico fondamentale. •7 La concezione della metafora come feno
meno linguistico marginale si basa «sulla visione caratteristica
dell'antichità, secondo la quale sussiste una corrispondenza tra
essere e concetto». 2 8 Se kosmos e logos sono correlati l'uno
all'altro, la metafora, col suo discostarsi dall'uso univoco dei
nomina e quindi dal linguaggio concettuale, non è in grado di
dire nulla sulla realtà del kosmos. Per attribuirle invece la ca
pacità di generare significati e di ridescrivere il mondo nuovo,
occorre lasciar cadere l'antica tesi della correlazione tra kos
mos e logos, e riconoscere al linguaggio la capacità di spin
gersi anche al di là dei suoi confini per dischiudere il kosmos. È
questa la posizione della più recente teoria della metafora, in
forza della quale «il discorso metaforico non è linguaggio im
proprio né ambiguo, bensì una forma particolare del discorso
proprio, del linguaggio determinativo»:9
Viene a cadere allora, per quanto riguarda le parabole di
Gesù, la distinzione jiilicheriana tra «parte figurata» e «parte
reale» (basata sulla distinzione tra la metafora e la compara
zione) . Se infatti la metafora non è solo il rivestimento figura-
26. Ricoeur, op. cii. , 46 (corsivo mio).
27. Jiingcl, Metaphorische Wahrheit, 77. SOhngen distingue oltre alle funzioni logiche
della lingua (Analogie, 23 ss.) anche quelle estetiche ed etiche (op. cii. , 45) . A quelle
estetiche appaniene, accanto a quella fàtica-mimetica (espressione della cosa stessa;
«mostrarsi delle cose stesse attraverso le parole,., op. cii. , 48) , a quella di visione del
mondo (weltanschauliche, op. cii. , 86) e a quella enfatica (autoespressione della per
sona, op. cii. , 54), anche la funzione metaforica della lingua come enunciato in figure
e similitudini {op. cit. , 57). Anche questa è un procedimento fondamentale della lin
gua, poiché la clingua vive di traduzione, trasposizione, con esse opera e crea .. (ibid. ) .
28. Jiingel, op. cii. , 79.
29. Jiingel, op. cii. , 1 19. Si trova una tesi simile, sui discorsi figurati di Giovanni, in
Schweizer, EGO BIMI, 1 29, dove si contrappone all'interpretazione mitologica delle
immagini (pastore, vigna e così via).
to di una realtà che in se stessa può essere espressa anche col
discorso proprio, ma è essa stessa discorso proprio, allora an
che la parabola, intesa partendo dalla natura della metafora,
non è solo l'immagine di una realtà ugualmente esprimibile
anche senza di essa. Non basta dire che la parabola esprime il
vecchio in modo nuovo, o il vero attraverso immagini, ma bi
sogna sottolineare che la verità espressa in essa non può essere
detta se non attraverso l'immagine. Il contenuto espresso nelle
parabole non può essere scisso dalla forma, nella quale esso
viene espresso. In tal modo viene a mancare il fondamento a
qualsiasi teoria che voglia spiegare il linguaggio parabolico di
Gesù partendo dagli effetti di esso, sia che si tratti della moti
vazione didattica della parabola da parte di Jiilicher, sia che si
tratti della loro definizione come strumento nella battaglia
contro gli avversari della lieta novella da parte di Jeremias. È
la verità stessa espressa nelle parabole a richiedere questa for
ma particolare. Per questo esse non sono difesa o giustifica
iione della lieta novella, ma sono esse stesse vangelo. Con
questo non si nega che tale forma linguistica comporti il con
seguimento di un effetto, in quanto la parabola impone all'u
ditore una presa di posizione nei confronti del contenuto di
essa. Ma Gesù di N azaret ha parlato in parabole non perché
voleva conseguire un effetto, bensì perché il regno di Dio da
lui predicato è una verità che non ha sussistenza «in se stes
sa», ma per sua natura mira all'adesione dell'uditore.JO La for
ma linguistica della parabola corrisponde a questo tipo di veri
tà, e solo in tal senso mira ad un effetto. Esprimere questa ve
rità ed annunciare questa verità sono un tutt'uno, così come
contenuto e forma della parabola sono un tutt'uno.
Eliminata così, in forza di questa unità, la distinzione fra
i mmagine e realtà, viene a cadere anche la ricerca di un tertium
mmparationis. Non esiste un tertium che possa mediare tra la
\o. Già nella predicazione di Gesù si può cogliere un tratto essenziale del discorso su
I >io, che emergerà più tardi nella dottrina trinitaria della chiesa: Dio non può essere
pl'll s ato diversamente se non come colui che (nella persona di Gesù) si rivolge sem
pn: all'uomo e (nella persona dello Spirito Santo) lo muove all'adesione.
basileia e la parabola: al contrario, la basileia si rende presen
te solo nella parabola e solo come parabola. 3' Di qui, ancora
una volta, la intraducibilità delle parabole: una regola da os
servare rigorosamente e che non può essere trasgredita impu
nemente né deducendone verità generali (Jiilicher) né spre
mendone come succo «visioni dell'esistenza» (Via) . L'intra
ducibilità delle parabole pone l'interpretazione di fronte al
problema di come essa - in quanto linguaggio pur sempre
di tipo concettuale - possa salvaguardare la metaforicità. In
nanzitutto, riteniamo, col rinunciare a sostituirsi alle parabole
(per esempio deducendone affermazioni teologiche di portata
generale), e mantenendo invece in primo piano sempre la pa
rabola stessa, facendone emergere le strutture e fornendo, se
necessario, un inquadramento storico. L'autentica metafora
non può essere tradotta, però può essere trascritta. l'
La metafora intesa come discorso proprio, nella sua strut
tura fondamentale, nasce dalla tensione tra il soggetto ed il
predicato, che si produce quando ad un soggetto (per es.
Achille) viene attribuito un predicato (per es. leone) che in
base al suo «significato proprio»31 non potrebbe essere ammes
so come predicato all'interno di questo enunciato; la tensione
allora determina una frantumazione del significato già fami
liare (quello «letterale» o «proprio») del predicato e l'acquisi
zione di un significato nuovo all'interno dell'enunciato meta
forico. Il nuovo contesto nel quale viene collocato il termine,
ne impone una reinterpretazione: «l'interpretazione metafori
ca presuppone quella letterale, nel momento stesso in cui la
frantuma; essa consiste nel trasformare una contraddizione
priva di significato in una contraddizione carica di significa-
H· Ricoeur, Stellung, 47; cfr. anche Lipps: « ... il significato (se. di una parola) si
compie [voll-zieht, con trait d'union a marcare i due componenti: arrivare-a-pie
nezza ] soltanto quando è accolta in un contesto concreto» (Metaphern, 67) ; cfr.
Jiingcl, op. cii. , 1 20.
35. Jiingel, op. cii. , 77. Con l'espressione «in Cristo» si crea un contesto escatologico
nuovo, rispetto a ogni altro contesto nel quale le parole sono usate comunemente.
36. Jiingel, op. cii. , 1 20. Il predicato «Gesù è la vera vite» non può più essere definito
rnme metafora, bensi come enunciato proprio, perché l'aggettivo «vero» garantisce
d1c quella copula «è» viene usata in senso reale. In una frase del genere non è più
presente in nessun modo un «non è».
con il riferimento metaforico al regno di Dio, lascia delle
tracce nella struttura narrativa stessa: sia che la narrazione
prenda una piega completamente inaspettata (come nella para
bola degli operai della vigna, dove il pagamento del salario
avviene in una forma inaspettata) , sia che dò che d si aspette
rebbe, venga di gran lunga superato (come il raccolto del seme
caduto sul terreno buono in Mc. 4,3-9, il comportamento del
padre in Le. 1 5 , u ss. o il rifiuto da parte di tutti gli invitati
nella parabola della grande cena Le. 14, 15 -24 par. ), sia che
contrasti effettivamente presenti- vengano spinti all'estremo
(come la piccolezza del granello di senape a confronto del
grande albero in cui esso si trasforma, Mc. 4,30- 32 parr. ) .
Una concezione delle parabole che fa del loro realismo narra
tivo il criterio di verità (Dodd) o la garanzia dell'autenticità
(Jiilicher, Jeremias) , misconosce gli elementifitti'zi della nar
razione, che necessariamente derivano dal riferimento metafo
rico del mondo narrato al regno di Dio. I tratti iperbolici e
paradossali di una parabola non sono solo un ausilio per l'in
terpretazione, ma attestano che ogni parola riferita a Dio di
viene una «parola rinnovata».i7 E tuttavia resta valido anche
qui che il mondo esistente, ciò che realisticamente ci si do
vrebbe aspettare (al pari del significato proprio del termine
nella metafora) rimane il presupposto per la comprensione del
significato nuovo, che si esprime nella parabola attraverso il
racconto. Nell'interpretazione delle parabole bisogna prestare
dunque piena attenzione innanzitutto all'elemento P (ossia al
la narrazione stessa), interpretando la narrazione considerata
in se stessa, e prendendo in particolare considerazione i rap
porti tra il mondo narrato e quello esistente.
86
zione al predicato; ora è importante soffermarsi anche sul
soggetto. Nelle parabole di Gesù il regno di Dio occupa il po
sto del soggetto (Achille) nella metafora. Come l'interpreta
zione metaforica della frase «Achille è un leone» è completa
solo quando viene spiegato il riferimento del predicato «leo
ne» al soggetto e i nuovi significati che esso crea, cosl l'inter
pretazione della parabola deve partire innanzi tutto dal riferi
mento della narrazione al regno di Dio; deve interpretare la
parabola come una raffigurazione del regno di Dio ; il mondo
narrato nella parabola (cfr. sopra, 1 .2.2), analizzato in un pri
mo momento solo in se stesso, dev'essere collocato nel conte
sto del regno di Dio, e devono essere interpretati l'uno alla
luce dell'altro.
Solo trascurando questo riferimento, si potrà avere l'im
pressione che ogni parabola nella sua unità non faccia altro
che mettere in scena «una possibilità ontologica - una pos
sibilità fondamentalmente data e accessibile per l'uomo in
quanto uomo - ... ».)8 L'oggetto della parabola sarebbe in
questo caso «una visione dell'esistenza»/9 e l'idea di Dio
espressa nella parabola sarebbe solo un'espressione (mitologi
ca) di questa visione dell'esistenza; con la conseguenza che
nelle parabole Gesù avrebbe predicato la sua visione dell'esi
stenza. In questa maniera si riducono a <<Una ridescrizione
dell'esistenza» ;""' e infine, come ultima conseguenza, la perdita
dell'esistenza autentica (illustrata in diversi personaggi delle
parabole) e l'esperienza del giudizio di Dio sarebbero solo
due aspetti della stessa realtà. 4' Chi invece interpreta le para
bole partendo dalla natura della metafora, dovrà innanzitutto
tener conto che, sempre secondo il nostro esempio, non è
Achille ad essere posto nel contesto del leone, bensl il leone in
quello di Achille: è il leone stesso, in questo contesto, ad ap
parire sotto una nuova luce. Applicato alle parabole, questo
�8. Via, Gleichnisse, 46 (cfr. sopra, 1 . 1 .4).
�9· È cosl nell'approccio di Via, cfr. sopra, I . 1 .4 particolarmente nn. 347-349.
40. Ricoeur, Slellung, 45.
4 r . Via, Glechnisse, u i , cfr. sopra, p. 71 n. 387.
comporta che la visione del mondo e dell'esistenza implicita
nella narrazione è solo una conseguenza del fatto che l'uomo
ed il mondo vengono collocati nel contesto del regno di Dio.
Quello che sta a cuore a Gesù è vedere l'uomo ed il mondo
nell'orizzonte di Dio,42 e non, viceversa, ridurre Dio a una
funzione dell'esistenza umana. Il «leone» acquista un nuovo
significato allorché appare nell'orizzonte di Achille; è il leone
che viene utilizzato per descrivere Achille e non Achille per
descrivere il leone. Allo stesso modo il riferimento delle para
bole al regno di Dio testimonia che il mondo diviene predica
to metaforico di Dio, non Dio predicato metaforico del mon
do. Un'interpretazione puramente esistenziale capovolge tale
rapporto.
Con questo non si vuol sostenere che assumere il mondo
come predicato di Dio non comporti delle conseguenze anche
per il mondo, descrivibili eventualmente anche in categorie
esistenziali, ma non esauribili in esse. Nelle parabole di Gesù
si fa linguaggio il regno di Dio come vicino.�i Come nella me
tafora Achille appare così vicino al leone, che quest\1ltimo
non può più rimanere solo un animale nel deserto, così nelle
parabole Dio compare così vicino all'uomo ed al suo mondo,
da rendere necessaria una nuova visione dell'uomo e del
mondo.+1 Per quanto riguarda la comprensione di sé, la visione
88
dell'esistenza dell'uditore, attraverso la parabola la basileia e
Dio stesso gli si fanno comprendere in maniera tale da fargli
comprendere al tempo stesso in maniera nuova e più autenti
ca anche se stesso. Ma questo cambiamento nella visione del
!' esistenza è solo una conseguenza di questa nuova compren
sibilità di Dio e come tale non può essere messa al posto di
essa. Soltanto entro questi precisi limiti può aver senso inter
pretare le parabole di Gesù anche in senso esistenziale.
parabola: E, oo E, oo E, oo E, oo E.
tensione
s �---�
semantica
<I l� struttura
narrativa
S, s.
45. Via ribadisce «che il senso delle parabole di Gesù non può essere limitato ad un
solo termine centrale di paragone, ma che non per questo le parabole si trasformano
in allegorie» (G/eichnisse, 28). Le parabole si distinguono dalle allegorie perché nella
parabola i diversi elementi narrativi stanno in rapporto tra loro, mentre ciò non av
viene nell'allegoria (op. cii. , H s.). Eichholz parla di «andatura da racconto» come
caratteristica della parabola (G/eichnisse, 19). La storia della parabola è costruita in
tenzionalmente; il ricorso alla vita quotidiana è guidato da ciò che si intende affer
mare (op. cit. , 28). L'affermazion.e si basa essenzialmente sulla combinazione degli
elementi narrativi. Anche J ungei sottolinea questo aspetto: «La parabola si distingue
chiaramente dall'allegoria, poiché tutti gli elementi descrittivi o tratti narrativi . ri ..
allegoria: E, E, E,
! ! !
S, oo S, oo S, oo
91
comprensione, e smascherare invece i profani come coloro
che non sanno; questo tipo di allegoria serve dunque a sepa
rare coloro che sono all'interno di una cerchia da quelli che
ne stanno al di fuori. Esso però risulta assente dalla tradizione
sinottica, anche se Mc. 4,10- 1 2 rispecchia /orse una equipara
zione delle parabole ad allegorie nel senso di cui sopra.
Le interpretazioni «allegoriche» delle parabole presenti nel
la tradizione sinottica vanno chiaramente distinte dalle allego
rie nel senso stretto del termine. La differenza principale con
siste nel fatto che in quelle dei sinottici si tratta non di allego
rie concepite originariamente come tali, bensì di interpretazio
ni successive di testi concepiti originariamente come parabole.
Questa differenza può essere chiarita anch'essa partendo dal
la natura della metafora. «La metafora ha una potenzialità di
implicazioni, di connotazioni, che non possono essere scam
biate a caso, che sono sempre a disposizione, ma possono an
che rimanere inutilizzate sino a quando qualcuno non ne ha
bisogno».47 Le metafore, proprio perché intraducibili, sono
protese verso l'esperienza, vogliono essere utilizzate nella
prassi della vita; si presentano aperte nei confronti dell'udito
re. Nel corso dell'utilizzazione può succedere che nella stessa
metafora emergano nuove connotazioni e vengano scoperte in
modo nuovo le loro implicazioni. Ne consegue che le meta/o
re hanno una storia, anzi fanno storia, essendo protese ad una
utilizzazione sempre nuova.48 Il loro rapporto con la storia è
92
dialettico: da una parte recepiscono esperienze storiche, riatti
vando il loro potenziale di implicazioni e inglobando nel loro
campo di connotazioni nuovi aspetti; dall'altra creano espe
rienze storiche, anticipando nell'immaginazione delle connes
sioni che non potevano essere riconosciute dalla tradizione
linguistica preesistente. Lo stesso vale per le parabole di Ge
sù: «Alla intraducibilità nel linguaggio corrente si può ovviare
soltanto con l'applicatio (applicazione) mediante la prassi di
vita».49 Questa applicatio non va fraintesa però nel senso di
una trasposizione morale della parabola. La parabola si rivol
ge prima alla nostra immaginazione e solo successivamente
alla nostra volontà: «per essa questo tipo di linguaggio apre
possibilità di rinnovamento e creatività».'0 L'intraducibilità
della parabola comporta che in determinati strati della tradi
zione sinottica si rinuncia del tutto a tradurre l'esperienza ge
nerata dalla parabola in una spiegazione in linguaggio concet
tuale. Anche in questo caso però la parabola non è rimasta
estranea alle esperienze che essa ha reso possibile: esse sono
penetrate nella parabola stessa sotto forma di interpretazioni
metaforiche di singoli elementi narrativi o sotto forma di ag
giunta di nuovi dettagli. Quali esperienze siano state fatte con
una determinata parabola, non è affatto irrilevante per l'inter
pretazione; l'interpretazione invece deve leggere le tracce che
quelle esperienze hanno lasciato nella parabola, e coglierne
l'importanza per la comprensione della parabola. Per la meto
dologia dell'interpretazione delle parabole ne consegue che le
parabole di Gesù devono essere dapprima ricostruite nella lo
ro forma originaria attraverso un procedimento analitico con
l 'aiuto dei metodi della storia della redazione e della storia
della tradizione. Con un procedimento sintetico si deve ri
pensare poi tutta la storia che quelle parabole originarie han
no vissuto all'interno della tradizione sinottica, arrivando fino
49. Ricoeur, Stellung, 70.
50. Ibidem. Già Fuchs sottolinea che le parabole hanno come scopo il cambiamento
dcl nostro alleggiamenlo e non vanno intese primariamente in senso etico (cfr. so·
pra, L l .3).
93
al Vangelo di Tommaso. Questo procedimento sintetico in
troduce nel lavoro esegetico «la dimensione della Wirkungs
geschichte [storia degli effetti] »/' intendendo con questo
termine non solo la storia (postcanonica) degli effetti di un
testo neotestamentario, ma più ampiamente la storia di un
evento linguistico dalla sua origine sino al presente dell'inter
prete.'' Unicamente per motivi pratici tale ricerca viene qui li
mitata nell'arco che va dal Gesù storico sino alla fine della
tradizione sinottica (oppure fino al Vangelo di Tommaso) ; in
linea di principio andrebbe prolungata sino al presente. L'esi
genza di integrare nel lavoro esegetico la «storia degli effetti»
parte dal presupposto che «quanto una determinata tradizio
ne contenga di impulsi veramente decisivi e determinanti non
si manifesta solo risalendo alla forma originaria di una tradi
zione», ma anche da come la forma originaria ha operato nel
corso della storia trasformando la realtà." Procedimento par
ticolarmente adatto alle parabole di Gesù, perché in virtù
della loro natura di metafore esse sono essenzialmente orien
tate alla storia, in quanto recepiscono esperienze - interpre
tando il vecchio mondo - e generano nuove esperienze -
dando vita a un mondo nuovo. Le parabole di Gesù hanno una
storia e fanno storia.
Va superato pertanto quel pregiudizio largamente diffuso
secondo cui le interpretazioni subentrate nel corso della tradi
zione sinottica sarebbero solo «sovrapposizioni allegoriche»,
dalle quali le parabole devono essere liberate. Il ricorso alla
forma originaria della parabola è metodologicamente legitti
mo; anzi è doveroso, perché indispensabile anche per deli
neare la «storia degli effetti». Limitarsi ad esso equivarrebbe
però a fermarsi a metà strada. L'analisi deve essere integrata
5 1 . Per q uesto concetto dr. Stuhlmacher, Neues Testament und Hermeneutik, 35-38
( il concetto si trova a p. 35).
,2. Alla distinzione tra storia degli effetti por/neotestamentaria e neotestamentaria
soggiace il problema teologico del canone neotestamentario, che in questa sede non
possiamo affrontare.
53. Stuhlmacher, Neues Testament und Hermeneutik, 36.
94
dalla sintesi, all'interno della quale caso per caso, per ognuno
di questi ritocchi interpretativi ci si chiederà se risulta illumi
nante e oggettivamente fondato. In particolare bisognerà esa
minare attentamente quali tracce abbia lasciato nelle parabole
quella svolta storica, di fondamentale importanza, dal Gesù
che predica al Cristo che viene predicato. Dei problemi er
meneutici connessi a questa svolta dovremo parlare più diffu
samente a suo luogo.
Per il momento è sufficiente osservare che questi ritocchi
interpretativi della comunità possono dirsi allegorici solo nel
senso che sfruttano la metaforicità dei singoli dettagli. Ciò
non si differenzia fondamentalmente dalle parabole origina
rie, poiché anche in queste svolge un suo ruolo la metaforicità
dei singoli dettagli. Un'interpretazione «allegorica» non tra
sforma la parabola in un'allegoria, nella misura in cui questa
referenzialità dei dettagli rimane subordinata alla loro funzio
ne nella totalità della struttura narrativa, mentre nell'allegoria
è la concatenazione interna ad essere subordinata alla refe
renzialità dei singoli dettagli. L'interpretazione «allegorica»
integra nella parabola ulteriori esperienze,'4 l'allegoria al con
trario codifica lesperienza o la visione nelle immagini, integra
la figura nella realtà significata.
H- t!. molto discutibile, pertanto, se si possa definire con Perrin «the process of in
tcrpretation of the parables in the early Christian communitics» come il «process of
thcir domcstication» (Language, 199 ) .
5 5 . Jiingel, Metaphorische Wahrheit, 78. Benn parla d i «esagerazione» come contras
�cgno della metaforicità ( Blumenberg, Beobachtungen, 169).
9.5
ficato «letterale» dei termini esprima esaurientemente e pie
namente la realtà. La concezione linguistica che sta alla base
di questo modo di vedere fa del linguaggio un epifenomeno
della realtà, un semplice strumento di comprensione del rea
le. Di conseguenza questa concezione linguistica considera il
discorso metaforico un abbellimento accessorio e si sforza al
massimo di evitarlo quando si tratta di descrivere il reale.'6 La
più recente teoria della metafora parte invece dal presupposto
che la metafora, considerata discorso proprio, non ha solo un
carattere «emozionale», ma è veicolo di «una nuova in/orma
zione».'7 Mediante «l'errore programmato»'8 con il quale la
metafora accosta l'uno all'altro elementi diversi della realtà
già esistente, vengono dischiusi campi semantici nuovi. Nasce
cosl un senso [Sinn] nuovo; ma anche un nuovo significato
[Bedeutung] . Se per «senso» si intende il contenuto ideale di
un enunciato, l'assetto interno dell'enunciato, e per «signifi
cato»'9 la pretesa di verità, il reale extralinguistico, l' «essere
56. In filosofia le metafore vanno ridotte al minimo. Questo postulato di Kainz
(Sprachverfiihrung, 104) mette in chiaro le riserve, cui va incontro l'uso della metafo
ra in un linguaggio mirante alla verità ed alla realtà. «Le immagini per lo più dicono
troppo, in ogni metafora è insito un elemento di iperbolicità. Ma in questo «di più»
ridondante è incluso il rischio di una particolare seduzione linguistica: l'oggetto vie
ne considerato cosl buono o così cattivo a seconda di come la metafora iperbolica lo
rappresenta» (op. cit. , 1 14). Questa ambivalenza vale per il linguaggio in generale.
«Mediante il linguaggio si dischiude il regno della verità, ma allo stesso tempo anche
quello della menzogna» (Ebeling, Sprachlehre, 109). Con questo tuttavia si dà per as·
sodato che al linguaggio non viene attribuita una mera funzione di segno. Esso non
può ridursi solo a un epifenomeno del reale. La «concezione che attribuisce al lin
guaggio funzione di segno ha una qualche validità, ma solo molto limitata» (op. cit. ,
113). «La funzione specifica del linguaggio . . . si realizza solo quando l'oggetto di cui
si tratta non è già presente e riconoscibile o comunque non lo è senz'altro sotto
quell'aspetto di cui si parla, ma si rende presente solo mediante l'espressione lingui
stica» (op. cit. , 115).
57. Ricoeur, Stellung, 49. «Contro la concezione 'puramente retorica' della metafora
sta già la constatazione che spesso anche termini considerati verba propria sono dive
nuti qualcosa di simile a metafore autonome» (Jiingel, Metaphorische Wahrheit, 77) .
58. Ricoeur parla a questo proposito di un «category mistake» (Stellung, 48. 49) , di
un «miss assignement» (ossia di una falsa attribuzione; op. cit. , 53) o di un «errore
calcolato» (op. cii. , 48).
59. Per la distinzione tra senso e significato cfr. Ricoeur, op. cit. , 49 (ibid. anche l'e
spressione citata) .
detto del mondo», allora le affermazioni ora fatte sulla meta
fora sottintendono una concezione linguistica ben diversa da
quella prima citata: il linguaggio ha la funzione di articolare la
nostra esperienza del mondo; non esiste solo in sé e per sé, ri
manda all'esterno, al mondo, alla realtà; e tuttavia non è sem
plicemente una riproduzione del reale. Proprio il procedi
mento metaforico fa vedere come il linguaggio si spinge oltre
il reale, stabilendo dei nessi che nella realtà non esistono.00 Se
pertanto si assume la metafora come il fenomeno linguistico
fondamentale, allora la funzione del linguaggio, oltre a quella
di articolare l'esperienza del mondo, è quella di darle forma:
dando forma alla realtà, il linguaggio la descrive in modo nuo
vo , ossia crea una realtà nuova; è questa la funzione poetica o
performativa del linguaggio. Essenza del linguaggio non è solo
la mimesis dell'esistente, ma anche la sua poiesis. «Nel discor
so metaforico collimano in sommo grado la capacità creativa
della lingua e la rigorosa necessità del concetto, la sorpresa
linguistica provocata dall'innovazione e l'affidabilità conferita
al linguaggio dalla sua familiarità con ciò che ci è già noto da
sempre. In tal senso, con la metafora si realizza un arricchi
mento, lorizzonte del!'essere viene ampliato linguisticamen
te». 6 1 In concreto ciò avviene in quanto la referenza, che il lin
guaggio consueto attribuisce ai termini accostati nella metafo
ra, viene superata per far posto ad una «referenza di secondo
grado, ad un livello più alto».6'
Se ora estendiamo alle parabole di Gesù queste linee essen
ziali del rapporto tra metafora e realtà (o, se vogliamo, tra lin
guaggio e realtà) ne conseguono osservazioni di grande porta
ta. In primo luogo, la parabola attribuisce alla basileia più di
60. Cfr. Ricoeur, op. cii. , 5 1 : «Ho detto che il senso metaforico crea una 'vicinanza'
tra significati finora estranei». Ciò vale anche per il linguaggio in generale. «Per que
sto l'esperienza come tale è sempre di tipo linguistico» (Ebeling, Sprachlehre, 1 16).
«L'apertura al senso» insita nel linguaggio è la possibilità di vedere relazioni e nessi
che alla percezione come tale non sarebbero accessibili» (ibid. ).
6 1 . Ji.ingel, Metaphorische Wahrheil, 93 (corsivo mio).
62. Cfr. Ricoeur, Stellung, 50 s.
97
quanto essa non sia «in realtà». Infatti cosa sia la basileia «in
realtà» risulta dalla concezione del regno di Dio che avevano
i contemporanei di Gesù, cioè dal significato letterale della
locuzione «regno di Dio» caratteristica dell'uso linguistico al
lora in vigore.6J Nel primo giudaismo il regno di Dio è un con
cetto puramente escatologico,64 riferito esclusivamente all' aldi
là. Esso designa la regalità di Dio, che pone fine al mondo e
introduce un'epoca nuova: regalità che il credente può accet
tare sin d'ora attraverso la confessione di fede nella torà e
nell'unico Dio,6' ma la cui realizzazione rimane qualcosa che
riguarda Dio solo.66 L'aldilà della basileia si esprime nei testi
apocalittici come/uturità;67 in essi è in primo piano la drastica
separazione tra il mondo presente e il mondo futuro di Dio,
che porrà fine ad esso.68 Quando invece nelle parabole di Gesù
la basileia viene posta metaforicamente in relazione con il
mondo narrato, il significato letterale di questo termine viene
superato, in quanto l'insuperabile aldilà del regno di Dio vie
ne trasformato in vicinanza al mondo,f.J ed al mondo nella sua
mondanità.7° La basileia viene vista «cosmomorfìcamente»;7' il
99
Dio, la parabola ne fa riscoprire la creaturalità. Poiché nella
parabola la natura viene interpellata come creatura e l'uomo
come immagine di Dio, colui che accoglie questo linguaggio
viene distolto dalle owietà del suo mondo (e cioè della sua
realtà) e viene stimolato a scoprire nel mondo una più pro
fonda dimensione di significato. In questo senso le parabole
sono paragonabili ad un modello che genera costruzioni fit
tizie con funzione euristica [heuristische Fiktionen] .7' Questo
carattere fittizio [Fiktionalitat] va particolarmente sottolinea
to, poiché tra il mondo e Dio non può sussistere un'analogia
entis, per lo meno se si prende sul serio la differenza qualita
tiva tra creatore e creatura. L'analogia tra il regno di Dio ed il
mondo narrato nella parabola è un'analogia fidei, in quanto il
mondo, in se stesso e in rapporto a Dio, nella fede viene visto
come creazione. Solo con questa precisazione possiamo dire
che le parabole di Gesù svolgono una funzione euristica an
che in riferimento al mondo. Nel momento in cui il termine
«padre» diventa un predicato metaforico di Dio, anche il
comportamento dei padri di questo mondo non può più ri
manere quello di prima.
La parabola dunque ci insegna entrambe le cose: da una
parte a vedere il regno di Dio con gli occhi del mondo, a
comprenderlo con gli strumenti del linguaggio mondano; dal-
1'altra a vedere il mondo con gli occhi di Dio. Comprendendo
Dio, per mezzo della parabola, l'uomo impara a comprendere
meglio anche se stesso ed il mondo.
Un ultimo aspetto di questo superamento metaforico della
realtà da mettere a frutto per la comprensione delle parabole
di Gesù, è che «una delle caratteristiche del linguaggio è che
esso ama denominare l'esistente in vario modo»,73 tanto da
«dar l'impressione che in ultima analisi manchi di univoci-
72. Ricoeur ricorre al «modello» come strumento euristico per il confronto con la
metafora (Stel/ung, 51 s.). Da questa affinità Ricoeur deduce che la metafora nella sua
funzione euristica porta a una ri-descrizione della realtà (op. cii. , 52).
73. Questa particolarità si rivela nd fenomeno dell'omonimia (ridondanza della lin
gua) e della polisemia (povertà della lingua) ; Jiingel, Metaphorische Wahrheit, 73.
100
tà».74 Tuttavia al linguaggio parlato non va addebitata una
«fondamentale incapacità di raggiungere l'univocità».n «Esso
è univoco in quanto genera l'univocità».76 Soprattutto nell'e
nunciato metaforico l'univocità deve essere intesa come even
to. La verità che trova espressione linguistica in una metafo
ra, si realizza come evento. 77 Il fatto che la vicinanza della ba
sileia non viene espressa in linguaggio concettuale, bensl nella
forma linguistica della parabola, testimonia che in essa si trat
ta di una verità che può essere adeguatamente espressa come
evento. Sono le parabole stesse a creare questa vicinanza del
regno di Dio. La loro verità non è «generale», ma va intesa in
senso decisamente storico, ossia come evento. Questo punto
sarà di particolare importanza per quel che concerne il rap
porto tra parabola e Gesù storico.
Se il compito principale del linguaggio è quello di esprime
re la verità, allora le parabole possono essere qualificate even
to linguistico. Poiché le parabole esprimono la verità come
evento, con esse si realizza il linguaggio stesso. La questione è
allora: in esse si realizza realmente la verità?
r .2.6. Verità
«Che un enunciato metaforico possa avanzare pretese di
verità è oggetto di grosse obiezioni».78 Esse nascono dalla no-
74. Ibid.
75 . Jiingel, op. cit. , 74.
76. lbid. (corsivo mio) .
77. L analisi di Jiingcl della posizione di Nietzsche che riconduce la verità ad un
'
accordo con la scoperta» (op. cit. , 108). Di qui la « stru ttura metaforica del linguaggio
e della verità» della quale le metafore esplicite e le parabole non sono altro che una
reminiscenza (op. cit. , 109).
78. Ricoeur, Stellung, 50. Alla metafora viene attribuito non di rado un potere di se
duzione ( per es. Kainz, Sprachver/iihrung, passim) .
101
zione cli verità dominante nella tradizione occidentale: la veri
tà come una «adaequatio i'ntellectus et rei nel senso di una
adaequatio intellectus (humanzJ ad rem».79 Una volta stabilita
questa corrispondenza tra il linguaggio concettuale e l'essere,
la realtà, ogni enunciato che utilizza i concetti in maniera am
bigua7911 può essere sospettato di menzogna. La concezione re
torica della metafora che si basa sull'identificazione tra realtà
e verità, pretende che il contenuto di verità di un enunciato
metaforico venga soppesato attraverso la trasposizione nel
linguaggio concettuale. La nuova teoria della metafora con
traddice questa concezione, in quanto considera la metafora
intraducibile (e pertanto sottratta al controllo «logico») . E
tuttavia essa rivendica anche alla metafora una sua verità.
«Chi dice di un reale ciò che esso non è realmente, non men
te, qualora parli meta/oricamente».ao Questa rivendicazione di
verità presuppone una distinzione tra realtà e verità; non però
nel senso che la verità della metafora prescinda dalla realtà
dell'essere. Anzi si può parlare, «con la dovuta prudenza, di
'verità metaforica', per indicare quella pretesa ad attingere la
realtà, in forza della quale il linguaggio creativo della poesia
ha in sé la capacità di descriverla in modo nuovo». 81 La verità
di una metafora consiste dunque innanzi tutto nel fatto che
essa coglie la realtà. Essa va oltre il reale, ma non prescinde
da esso. In quali casi una metafora coglie la realtà? Già Ari
stotele sosteneva che l'enunziato metaforico non può essere
fatto a caso,82 deve essere fondato su una corrispondenza:8) af-
79. Jiingel, Metaphorische Wahrheit, 72.
79a. [L'originale tedesco ha «in maniera non ambigua» (nicht iiquivok) ma si tratta
di un lapsus] .
So. Jiingel, op. cii. , 73-
81. Ricoeur, Stellung, '3 (corsivo mio). Bisogna sempre tener conto che «il linguaggio
(può) rendersi talmente autonomo da perdere il contatto con la realtà ed il riferi·
mento all'esperienza» (Ebeling, Sprachlehre, u7).
82. Jiingel, Metaphon'sche Wahrheit, 89.
83. Jiingel, op. cit. , 90; cfr. Ricoeur, Stellung, 46. Un elemento costante della conce
zione tradizionale è che «nella metafora il motivo della deviazione è la somiglianza».
V. anche Blumenberg, Beobachtungen, 191.
102
finché le metafore siano ben riuscite è necessario scoprire la
somiglianza. 11.i Anche se secondo la concezione più recente
questa tesi va modificata, precisando che una metafora ben
riuscita «crea la somiglianza piuttosto che riprodurla», 8' ciò
non significa che si abbandoni il principio fondamentale della
struttura analogica della metafora. «Ogni metafora ben riu
scita dovrebbe lasciare intravedere qualcosa della corrispon
denza che tiene insieme il mondo nel profondo». 86 Una tale
metafora viene riconosciuta vera, se il nesso stabilito da essa
viene percepito [preso per vero, wahr-genommen] .87 Il pre
supposto per la percezione [Wahr-nehmung] di una metafora
è aver familiare il significato «letterale» di S e P. Il processo
linguistico metaforico «può aver luogo solo se si sa cos'è un
leone e che è Achille».88 Posta tale familiarità, allora può esse
re riattivata la corrispondenza tra i due fenomeni e la «distor
sione» dei significati letterali può essere compresa come crea
zione di un nuovo senso. La metafora dunque coglie la realtà,
allorché partendo dal reale si spinge oltre, verso «ciò che tiene
insieme il mondo nel profondo». Allora è vera anche se va al
di là del reale. Il linguaggio metaforico aiuta la realtà a farsi
verità.89
Se alla questione della verità delle metafore si risponde nel
senso suddetto, la distinzione tra metafora comune e metafora
teologica si impone decisamente, dal momento che «ciò che
10 3
tiene insieme il mondo nel profondo» non può essere criterio
di verità per la metafora teologica, che non mette in rapporto
il mondo col mondo, ma con Dio. Affinché la metafora teolo
gica, che stabilisce una corrispondenza tra Dio ed il mondo,
possa essere riattivata e percepita, per prima cosa deve essere
stabilita una familiarità con Dio. «Per prima cosa deve essere
reso noto Dio, onde poter divenire sensatamente il soggetto
del predicato metaforico, l'unico a lui adeguato».90 Questa fa
miliarità con Dio, a sua volta, può però essere stabilita solo at
traverso il linguaggio metaforico, se vogliamo che in questo
render noto Dio venga pur sempre ribadita in pari tempo la
differenza tra Dio e il mondo.9' Questa circolarità può essere
evitata solo se si presuppone che Dio stesso si è reso noto al
mondo. Si è reso noto al mondo venendo egli stesso nel mon
do. È venuto nel mondo attraverso l'evento della resurrezione
del Crocifisso dai morti.9' È questo evento che consentl al lin
guaggio umano la formulazione della metafora teologica fon
damentale «Gesù è il Cristo».91 Questa metafora fondamentale
testimonia che in relazione a Dio «anche l'atto mondano della
scoperta viene scoperto esso stesso in modo nuovo»,'* poiché in
esso viene scoperta una corrispondenza tra Dio e ciò che ra
zionalmente non potrebbe essere messo in corrispondenza
con Dio, ossia la morte di croce. Con questa metafora fonda
mentale si entra dunque nel mondano, ma in modo tale che
allo stesso tempo la realtà del mondano viene «attraversa
ta».9' Con essa «si penetra nel reale in maniera tale che questo
non solo s'incontra con un orizzonte di significato diverso dal
90. Jiingel, Melaphorische Wahrheit, 1 14.
91. Cfr. ibid.
92. Cfr. Jiingel, op. cii. , 1 16, il quale definisce l'evento «nel quale Dio è venuto nel
mondo una volta per tutte e si è manifestato come colui che interpella l'uomo», co
me eia vita, la morte e la resurrezione di Gesù Cristo, in quanto evento della giustifi
cazione del peccatore».
93. Per il concetto di «metafora teologica fondamentale» si veda Jiingel, op. di. , 1 17
n. 1 14 cosi come n. 1 18.
94. Jiingel, op. cit. , 1 1, .
9 5 . Cfr. Jiingel, op. cii. , 1 18.
104
proprio, un altro 'mondo'», ma «viene posto di fronte alla
possibilità del suo non essere, dal quale soltanto può sorgere,
escatologicamente, un essere nuovo».96 Una metafora teologica
ha la pretesa di toccare il reale attraversandolo e trasforman
dolo in un essere nuovo. «La metafora teologica si serve del
mondo per creare spazio a Dio nel mondo».97 Una metafora
teologica è vera se riproduce la metafora fondamentale «Gesù
è il Cristo» e al pari di essa scaturisce dall'evento della venuta
di Dio nel mondo.
Quello che si è detto della metafora teologica riguardo alla
questione della verità, vale anche per le parabole di Gesù. Per
poter percepire la verità di una parabola, l'uditore deve cono
scere sia S che P; deve avere una certa familiarità sia col regno
di Dio che col mondo. Col mondo, l'uditore è già familiariz
zato, avendone fatto esperienza; e la parabola rimanda l'udi
tore alle sue esperienze, dispiegando il mondo dinanzi a lui
attraverso la narrazione, in modo tale che vengono ricapitola
te le esperienze dell'uditore e da questa ricapitolazione egli
possa riconoscere quale sia la natura del mondo: un mondo
ri guardo solo... perché esso descrive la vittoria sul non-essere non soltanto come
possibile solo da parte di Dio, ma come di fatto già realizzata, poiché essa proclama
l'esistenza di una nuova creatura».
97. Jiingel, op. cii. , u9 (a mio avviso questa è l'esatta analogia al «canone interpreta
tivo fondamentale» di Jiingel, in riferimento alle parabole: «La basileia si fa linguag
gio nella parabola in quanto parabola»; Paulus und /esus, 1 3,). Il processo per creare
spazio a Dio nel mondo è necessariamente un processo linguistico: «L'essenza della
teologia stessa è la parola, non solo perché il vangelo di fatto si ha sotto forma di pa
rola ... bensl perché il contenuto stesso del vangelo non può raggiungere l'uomo se
non attraverso la mediazione linguistica» (Ebeling, Sprachlehre, 247). Solo cosi, in
fatti, può essere messo in rapporto, come vangelo, all'esperienza del mondo (mediata
dal linguaggio) , rendendosi vicino al mondo come parola senza perdere la sua tra
scendenza nei suoi confronti. Cfr. a questo proposito la delimitazione che Ebeling
stabilisce ispirandosi alla differenza tra legge e vangelo: «La dottrina teologica sul
linguaggio . . . premunisce da entrambi i pericoli: da una parte conservare il vangelo
come un'entità atemporale isolata dall'esperienza del mondo - il che equivarrebbe a
stravolgerlo in una pseudolegge; dall'altra, inserirlo direttamente come legge nell'e
sperienza attuale di questo mondo trasfonnandolo in un programma di azione poli
tica - il che equivarrebbe a fare della legge uno pseudovangelo» (op. cii. , 249).
105
dominato dal rigoroso prmc1p10 prestazione/retribuzione
(per es. Mt. 20,1-15), un mondo che di fronte a un gesto im
previsto di bontà si turba e rimane sconcertato (cfr. per
esempio il figlio maggiore in Le. 15,1 1-32) . Attraverso il rac
conto, dunque, la parabola risveglia nell'uditore questa sua
familiarità col mondo; ma come potrà far acquisire all'uditore
una familiarità col regno di Dio, con quello che esso è in veri
tà? Prima di tutto, in quanto la parabola lo avvicina al suo
mondo; l'uditore impara prima di tutto a conoscere le conse
guenze di questa vicinanza dal modo in cui la parabola rac
conta del mondo. La parabola mentre dispiega davanti agli
occhi dell'uditore il mondo dell'egoismo e della prestazione,
lo distrugge, volgendolo verso un esito nuovo ed esprimendo
lo in maniera nuova come creazione di Dio, come spazio nel
quale lamore ha un futuro certo. A questo contatto indiretto
dell'uditore con il regno di Dio si aggiunge come necessario
complemento la conoscenza più immediata e familiare che se
ne può avere guardando alla prassi di Gesù. È nella prassi di
Gesù infatti che il regno di Dio si fa vicino al mondo. 911 La
prassi di Gesù è dunque il quadro delle parabole di Gesù, nel
senso che è esso a offrire quella conoscenza della basileia, che è
il presupposto necessario all'uditore delle parabole per poter
riattivare il processo metaforico attuato da esse. Per far acquisi
re questa familiarità col regno di Dio, è necessario narrare la
chiamata di Gesù alla sua sequela, che libera i chiamati dal
peso del passato, al quale la vicinanza della basileia proibisce
di guardare indietro (Le. 9,62). Oppure è necessario narrare la
sua commensalità con i pubblicani ed i peccatori o con i fari
sei, che all'interno del mondo del peccato fu un segno dell'a
more incondizionato di Dio; o dei miracoli di Gesù, che da
vano al malato salute e salvezza al tempo stesso (Mc. 2,1 ss.) e
manifestavano cosl la vicinanza del regno di Dio apportatrice
di benessere e di salvezza. Ne risulta il principio metodolo
gico che le parabole di Gesù devono essere interpretate nel
98. Espressioni come Le. 1 1 , 3 1 s. o Le. 1 1 ,20 s. lo attestano con sufficiente chiarezza.
106
contesto della vita di Gesù. Intendere le parabole come ogget
ti estetici autonomi (Via) significa sganciarle dal loro legame
con la persona di Gesù, senza il quale vien meno la loro com
prensibilità.
Che la vicinanza del regno di Dio, affermata dalle parabole
di Gesù e commentata dal suo comportamento, esiste vera
mente, può fondarlo unicamente il fatto che Dio è veramente
venuto nel mondo.99 E che Dio è veramente venuto nel mondo
nella parola e nell'azione di Gesù può dimostrarlo unicamen
te l'evento della resurrezione del Crocifisso da parte di Dio.
La metafora fondamentale «Gesù è il Cristo», resa possibile
da questo avvenimento, è pertanto il criterio di verità anche
delle parabole di Gesù. Ne deriva una valutazione critica del
le varie risposte, date alla questione della verità delle parabole
nella storia recente dell'esegesi.
L'identificazione di verità e semplicità (il simplex sigillum
veri di Jiilicher) riduce a circostanza puramente accidentale il
fatto che sia Gesù a pronunciare la parabola, in quanto solo
di fatto, accidentalmente, la parabola semplice coincide con
quella storicamente autentica. Questo implica inevitabilmente
che la parabola illustri una verità generale, che come dottrina
di Gesù può essere benissimo scissa dalla persona di Gesù. In
tale interpretazione delle parabole è insita poi una tendenza
al moralismo, dal momento che una siffatta verità coinvolge
l'uditore solo rispetto alla sua vita etica e può divenire evento
solo nella attuazione etica.
Se si eleva a criterio di verità il realismo {Dodd), sul pre
supposto di un rapporto tra mondo (natura e storia) e Dio
{eschaton) nel senso dell' analogia entis, allora il mondo come
tale diventa raffigurazione di Dio: quello che tiene insieme il
99. Del Gesù storico si può dire che la basileia è l'autorità che fonda tanto le sue pa
rabole quanto il suo comportamento concreto (cfr. Jiingel, Paulus und ]esus, 18, : il
regno di Dio determina il componamento di Gesù a tal punto che noi possiamo ri
conoscere dal suo componamento l'autorità su cui si fonda la sua predicazione) . Ma
l'autorità della basileia è l'autorità di Dio stesso. Di qui l'esigenza, come per qualsia
si espressione linguistica, di una verifica, come riprova della corrispondenza di una
metafora teologica alla metafora fondamentale «Gesù è il Cristo».
107
mondo nel profondo viene identificato con Dio stesso. A
questo punto però la parabola non è più intesa come metafo
ra teologica. Ne deriva inoltre un misconoscimento dell' ele
mento fittizio della narrazione della parabola e lobbligo di
dimostrare storicamente in ogni parabola che «è stata presa
dalla vita». Così però viene compromessa la prerogativa del
le parabole di Gesù, di porre il mondo di fronte al suo non
essere e di dargli una svolta in direzione di un essere nuovo.
Se viceversa si assume come criterio di verità della parabo
la lautenticità storica, allora la parola del Gesù storico viene
identificata concettualmente con quella di Dio stesso (J ere
mias) . La proposizione «Gesù è il Cristo» non viene più inte
sa in senso metaforico ma in senso concettuale. Ne consegue
inoltre che è la ricostruzione storica come tale a condurre alla
conoscenza della verità di Dio, il che equivale ad attribuire a
strumenti conoscitivi umani di questo mondo una potenzialità
che ad essi non compete.
Se poi si fa dipendere la verità delle parabole dalla loro ri
spondenza al linguaggio stesso e cioè al linguaggio di Dio, il
cui tratto di fondo è lamore e la cui parola principale è il sì
(Fuchs) , si lascia troppo in ombra il fatto che la potenzialità
della vera metafora teologica non è insita nel linguaggio come
tale; essa è una potentia aliena che è stata conferita al linguag
gio quando Dio fece risorgere Gesù dalla morte. L'autentica
metafora teologica va concepita come arricchimento linguisti
co, che deve la sua esistenza solo al fatto che Dio è venuto
nel mondo.
Se infine si indica come criterio di verità delle parabole la
loro visione del/'esistenza limitandosi a rilevare solo una certa
continuità con quella di Gesù stesso (Via), allora in primo
luogo questa visione dell'esistenza diviene una entità assioma
tù:a, sottratta a qualsiasi discussione e interrogativo in merito
alla verità: la visione dell'esistenza può essere solo accettata o
respinta. In secondo luogo, si dimentica che nelle parabole di
Gesù si tratta innanzitutto di una comprensione di Dio, che
solo per ripercussione comporta anche una comprensione del-
I08
l'esistenza umana. Le parabole ci dicono innanzitutto come è
Dio, e non semplicemente che Dio c'è e che ci viene incontro
nella vita quotidiana (cosl Via, cfr. sopra, p. 72) . La vicinan
za della basileia al mondo, messa in atto dalla parabola, coin
volge indubbiamente anche la concezione che l'uomo ha di
sé, e non questa soltanto, ma il mondo nella sua totalità.
Contro tutti questi tipi di risposta alla questione della verità
delle parabole, va ribadito dunque che l'unico criterio adegua
to è la corrispondenza tra la parabola e la metafora fondamen
tale «Gesù è il Cristo». Si pone allora sin da adesso l'interro
gativo se l'interpretazione cristologica delle parabole, qual è
stata intrapresa dalla comunità cristiana, non sia proprio essa
l'unica interpretazione adeguata delle parabole, in quanto te
stimonia che la parabola corrisponde alla metafora teologica
fondamentale e che essa deve la sua verità a quell'evento, che
ha condotto alla formulazione della metafora «Gesù è il Cri
sto». Ma su questo interrogativo si rifletterà in maniera più
accurata nel paragrafo riguardante il rapporto tra parabola e
Gesù storico.
1 10
non si limita a interpellare l'uomo per quello che egli è in
realtà: vuole interpellarlo per quello che egli è in verità: un
uomo amato da Dio e pertanto divenuto capace di agire an
che lui secondo le esigenze dell'amore. Interpellandolo così,
essa non lo abbandona a se stesso, ma avanza su di lui le sue ri
chieste. Interpellato da ciò che egli è in verità, l'uomo viene
distolto da ciò che egli è in realtà; e questo anche per quanto
riguarda il comportamento col quale l'uomo risponde alle ri
chieste avanzate dalla parabola. Pertanto ci si deve chiedere
se quella più tarda interpretazione parenetica delle parabole
di Gesù (l' «allegorizzazione parenetica») non trovi una sua
legittimazione proprio dal fatto di dare espressione a queste
richieste che le parabole avanzano anche sul comportamento
umano; e se a questa domanda si risponde affermativamente,
le interpretazioni parenetiche devono essere considerate come
tracce, lasciate dalla parabola nei suoi uditori, di importanza
tutt'altro che irrilevante per l'interpretazione della parabola.
Le molteplici spiegazioni aggiuntesi man mano alle parabole
non vanno viste allora come depauperamento del loro origi
nario potenziale ermeneutico (Funk) , ma come utili modelli
di comprensione, i quali testimoniano che il linguaggio delle
parabole è un linguaggio che interpella. Quelle spiegazioni
vanno viste allora come un ausilio utile anche all'interprete di
oggi, in quanto offrono dei modelli di corretta ricezione delle
parabole di Gesù.
J 06. Jiingcl, op. cii. , 94 (nell'interpretazione della concezione aristotelica della meta-
III
colui che la accoglie ad un arricchimento conoscitivo. Il lin
guaggio metaforico «è perciò per il destinatario un eccellente
processo di apprendimento, il cui pregio rispetto ad altri tipi
di linguaggio consiste nel fatto che esso si svolge, per cosl di
re, giocando».'07 Aristotele sostiene che «per qualsiasi uomo,
per natura, un apprendimento /acile riesce gradito e dilettevo
le». 1o11 La metafora viene incontro a questa natura dell'uomo,
facendo realizzare il processo di apprendimento utilizzando le
parabole come in un gioco. '09
Le parabole di Gesù - intese come metafore - mettono in
gioco il regno di Dio per l'uditore e gli consentono cosi di
mettere in gioco se stesso per il regno di Dio. Ogni gioco, se
si gioca a dovere, esige serietà; esclude però ogni legalismo,
perché le sue regole servono solo a rendere possibile il diver
timento del gioco. Il giocatore non sente le regole del gioco
come una limitazione imposta alle sue possibilità, bensl come
condizioni che gli rendono possibile l'autorealizzazione attra
verso il gioco. Lo stesso si può dire - in senso traslato - an
che della parabola di Gesù. Essa mette sotto gli occhi dell'u
ditore la sua realtà, non però per imprigionarlo nel mondo
del peccato; solo per potergli donare la sua verità, deve ri
chiamargli alla memoria la sua realtà. 11 0 Nella parabola l'uomo
fora). cL'accostamento creato dalla metafora fa scaturire una nuova visione della
realtà,. (Ricoeur, Stellung, 5 1 ) . «La metafora è quella strategia del discorso mediante
la quale il linguaggio si libera dalla sua consueta funzione, per assumere quella
straordinaria della ri-descrizione,. (op. cii. , 5 3 ) . Però, se si prende sul serio la strut
tura fondamentalmente metaforica del linguaggio bisognerebbe chiedersi se ciò che
da Ricoeur viene descritto come funzione straordinaria non sia proprio il vero com
pito del linguaggio.
107. Jiingel, Metaphorische Wahrheit, 94 (nell'interpretazione della concezione ari
stotelica) .
108. Jiingel, op. cit. , 94 con la seguente citazione di Aristotele.
109. L'attuale avversione nei confronti delle metafore potrebbe avere la sua profonda
motivazione nel fatto che l'uomo di oggi non sa più giocare e quindi svaluta ciò che
ha imparato nel gioco come «solo un gioco,. in contrapposizione alla vera realtà (cfr.
a questo proposito Kamper, Spie/, 821-83 1 , in particolare p. 83 1 ) .
1 10. Questo elemento fondamentale delle parabole s i lega al fatto che Dio «come
svolta del mondo . . . in senso mondano non può essere concepito come necessario.
Proprio come Salvatore che dà una svolta al mondo, Dio è più che necessario,. (jiin-
II2
ed il suo mondo vengono posti dinanzi alla possibilità del
non-essere, ma solo come una possibilità già superata. La pa
rabola, servendosi della tensione narrativa, distoglie l'uditore
da se stesso e lo coinvolge nel gioco, che essa mette in scena
dinanzi ai suoi occhi e nel quale entrando anche lui in gioco
potrà scoprire con gioia la vicinanza della basileia al mondo.
Se ciò è vero, la parabola già come/orma linguistica è un even
to della grazia di Dio che non vuol mettere l'uomo sotto il gio
go di una nova lex ma nella libertà dalla legge del peccato e
della morte (Rom. 8,2) . "' La parabola consente un apprendi
mento giocoso e sotto questo aspetto è una forma linguistica
che rende essa stessa possibile all'uomo quello che chiede. Alla
luce di questa affermazione, fatta già a proposito della forma
linguistica come tale e ribadita poi più volte a proposito del
contenuto delle parabole, riesce difficile definire le parabole
di Gesù come arma nel conflitto contro gli awersari della lieta
novella (Jeremias) . Nel conflitto, i nemici vengono annientati:
vengono giudicati e in tal modo fissati per sempre nella loro
condizione di inimicizia; nella parabola di Gesù invece viene
presentata all'uomo la sua inimicizia nei confronti di Dio, ma
solo come un'inimicizia cui Dio stesso ha già posto fine."' Ne
consegue che le parabole di Gesù non devono essere interpre
tate come apologia della lieta novella (Jeremias), bensl come
vangelo esse stesse, poiché conducono l'uomo a quel punto in
cui ogni apologia del vangelo diviene superflua. Così pure di
venta difficile vedere nelle parabole di Gesù la richiesta di una
decisione, che pone l'uditore dinanzi alla scelta decisiva di
gel, Metaphorische Wahrheit, 1 17; cfr., dello stesso autore, Goti a/s Geheimnis der
Welt, 16-44) , perché la necessità di quella svolta diviene comprensibile solo parten
do dalla svolta già realizzata.
1 1 1 . Questa libertà è «soprannaturale, basata sull'evento della salvezza (re. in Cristo)
e sulla potenza della grazia che da esso sempre deriva. Solo Dio realizza ciò che egli
esige» (Kasemann, Rom, 208, corsivo mio) .
1 12. Cfr. Harnisch, StTh, 28, il quale tuuavia non considera il contrasto un elemento
caraueristico del linguaggio parabolico di Gesù (op. cit. , 8), e sottolinea quell'aspetto
affermativo costitutivamente insito nelle parabole, nel quale si rivela il «potere unifi
cante del linguaggio» (op. cit. , 20, con richiamo a Fuchs).
II3
perdere la sua esistenza o di guadagnarla accettando la possi
bilità che gli viene offerta. Chi intende le parabole di Gesù
come richiesta in questo senso tiene troppo poco conto dell'e
lemento giocoso insito nel processo di apprendimento indotto
dalle parabole di Gesù. La parabola richiede decisioni, solo in
quanto è essa stessa a renderle possibili. Essa distoglie l'udito
re da se stesso; fa di tutto per mettergli in gioco la nuova pos
sibilità, in una maniera tale da fargli sembrare ovvio coglier
la. Certamente «solo la applicatio (applicazione) attraverso la
prassi della vita» è compatibile con l'intraducibilità della pa
rabola;") precisando però: non (legalisticamente} nel senso
che l'uditore deve trasporre eticamente nella prassi ciò che ha
udito, ma nel senso che la parabola provoca «innanzitutto una
scelta nella capacità di immaginare»,'14 e da questa poi deriva
no conseguenze tangibili anche in senso etico. Ma la prassi di
vita con la quale si risponde alla parabola non è opera delle
sole capacità morali dell'uditore; essa è piuttosto anche un ri
sultato della parabola stessa. Ancora una volta: Dio interpella
l'uomo, là dove l'uomo si trova, e cioè nella sua debolezza e
nella sua incapacità di fare il bene.
Intese così, le parabole di Gesù non possono essere inter
pretate in alcun caso come proclamazione del giudizio. Anche
se in alcune parabole compaiono degli elementi che, in se
condo piano, rinviano al giudizio, non va dimenticato che
tutto ciò avviene nella parabola. Una parabola sul giudizio non
può essere confusa con una proclamazione del giudizio: nella
parabola il giudizio, nel momento stesso in cui viene ricorda
to, è stato già superato, volgendo l'uditore verso la salvezza.
La presenza del giudizio nella parabola pone l'uomo dinanzi
alla possibilità del non-essere; ma il fatto che esso sia men
zionato in parabola dimostra che questa possibilità è già stata
superata per opera di Dio stesso.
I I 3 . Ricoeur, Stellung, 70.
I I4. Ricoeur, op. cii. , 70. Perciò l'etica va subordinata alla poietica, a differenza da
quanto fa l'interpretazione esistenziale che pone l'accento principalmente sulla deci
sione per la nuova esistenza (ibid. ) .
1 . 2.9. Anticipazioni dello spirito"""
n4a. [In tedesco Geist come ogni sostantivo ha sempre l'iniziale maiuscola. In italia
no si è preferita la minuscola, nonostante riferimenti a Gesù e alla resurrezione, per
ché parlando della metafora in genere si tratta semplicemente dello spirito umano].
11 ; . Cfr. Jiingel in riferimento a Blumenberg: «Un'ermeneutica che tiene conto della
fondamentale funzione antropologica della metafora avrebbe invece il compito 'di
arrivare alle infrastrutture del pensiero' e di scoprire 'con quale coraggio lo spirito
nelle sue immagini preceda se stesso e grazie a questo coraggio dell'anticipazione
sviluppi la sua storia'» (Metaphorische Wahrheit, 8o s.).
1 1 6. Blumenberg, Beobachtungen, 212.
1 17. Jiingel, Metaphorische Wahrheit, 101. Cfr. anche Blumenberg che sull'esempio
della metafora storico-filosofica «fonte» fa vedere come nell'immaginazione viene
afferrato anticipatamente come determinati eventi possano collegarsi l'uno all 'altro;
Beobachtungen, 192.
1 18. Ricoeur, Stellung, 70.
1 19. Cfr. Kainz, Sprachver/iihrung, 104, il quale concede che le metafore «in certi ca
si possano operare come simboli chiarificanti».
I l .5
un'anticipazione che va al di là della realtà già data, facendo
appello alle risorse del possibile: quel possibile che divenne
«realtà» solo con la resurrezione di Gesù. Anche sotto questo
aspetto, ancora una volta appare chiaro che la resurrezione
del Crocifisso non poté non avere conseguenze per le parabo
le. In ogni caso nell'interpretazione delle parabole, da una
parte occorre prestare attenzione a queste conseguenze, dal-
1' altra occorre stabilire in quale misura già le parabole stesse
possedevano la capacità di dischiudere l'evento della vicinanza
di Dio. Se è vero che la basileia è presente nella parabola co
me anticipazione di Gesù, e se questa anticipazione dello spi
rito ha la capacità di operare questo dischiudimento, l'inter
rogativo suddetto è pienamente legittimo.
Se una caratteristica della metafora è che in essa lo spirito
anticipa se stesso, l'uso linguistico metaforico a differenza di
quello «proprio» implica una situazione di privilegio lingui
stico di colui che parla rispetto a colui che ascolta, "0 che viene
poi annullata nel momento in cui colui che ascolta comprende
la metafora, e viene cosl raggiunta una nuova intesa (contro
l'uso linguistico corrente presupposto dal linguaggio lettera
le) tra l'uditore ed il parlante. «Ed è appunto questo evento
dell'intesa che si raggiunge, a rendere il discorso metaforico
un discorso eminentemente interpellante» . ...
120. Mentre il presunto uso linguistico proprio «fa sempre concordare già in panen
za (consuetudo) chi parla e chi ascolta sul fatto che tale parola in tale accezione ha ta
le significato ed esprime perciò questo presupposto, l'uso linguistico metaforico de
termina una preminenza da pane di chi parla (in termini semantici: voluntas) rispet
to a chi ascolta» Qiingel, Melaphorische Wahrheil, 99).
121. Jbid.
1 16
alla nuova intesa. Ne risulta chiaro che le parabole già nella
loro struttura formale mirano ad annullare il privilegio lingui
stico di colui che parla e ad elevare colui che ascolta al mede
simo livello linguistico. Già nella loro forma linguistica le pa
rabole sono un gesto di amore da parte di Gesù nei confronti
dell'uomo e pertanto corrispondono formalmente a quel ren
dersi vicino del regno di Dio al mondo, che va interpretato
come il gesto di amore di Dio.
122. Cfr. Fuchs, ]esus, 88. La resurrezione di Gesù dai morti è l'evento della venuta
di Dio nel mondo, poiché in esso Dio si identifica con Gesù, il crocifisso, a tal punto
che egli, in quanto crocifisso, sia innalzato alla gloria «eterna ... Con ciò stesso la pos
sibilità del non-essere del mondo si manifesta come una possibilità di cui Dio ha già
trionfato.
1 17
predicazione di Gesù, al centro della quale sta appunto que
sta vicinanza. Il problema, che ancor oggi vede divisi gli ese
geti, è come debba essere intesa questa vicinanza. Caratteri
stico della predicazione della vicinanza del regno di Dio nella
predicazione di Gesù è che per Gesù - a differenza dal giu
daismo apocalittico - questo avvicinarsi della basileia è sot
tratto a qualsiasi calcolabilità (Le. 17,20 s.)."' Del tutto inade
guato, quindi, è esprimere lavvicinarsi della basileia al pre
sente in termini di distanza di un intervallo temporale. 124 Per
riferire la basileia al presente Gesù sceglie verbi che non
esprimono nient'altro che questa vicinanza. 12' «Predicando la
vicinanza del regno di Dio, Gesù non faceva altro che espri
merne l'essenza stessa».126 Ciò posto, per Gesù la categoria
dell'attesa a breve scadenza si rivela inapplicabile, mentre è
perfettamente applicabile alla successiva interpretazione apo
calittica di Gesù da parte del cristianesimo primitivo. Solo co
sì, a mio avviso, si spiega nel modo più chiaro anche il singo
lare fenomeno che il ritardo della parusia non provocò nessu
na crisi profonda della fede cristiana.
Sulla vicinanza della basileia tuttavia va detto qualcosa di
più. Secondo la comprensione che Gesù aveva di sé, la vici
nanza della basileia al mondo si realizza attraverso la sua azio
ne. «Se invece io scaccio i demoni con il dito di Dio, è dun
que giunto a voi il regno di Dio» (Le. 11,20) ."1 La vicinanza
123. Cfr. Schmidt, ThWNT 1 , '86,4'·'87,3. Discutibile però interpretarlo solo come
una maggior riservatezza di Gesù rispetto ai suoi contemporanei (cosl Schmidt, op.
cii. , '87, 1 ) : si tratta piuttosto di un superamento della concezione tradizionale.
124. Esprimendo la vicinanza nella categoria di spazio-tempo se ne suppone neces
sariamente la calcolabilità. Viceversa: cli futuro, in quanto futuro vicino, è in rap
porto diretto col presente; esso non conosce alcun intervallo cronologico» (]ungei,
Paulus und Jesus, 1 8o) .
12,. Cfr. �yyixEv, Mc. 1 , 1 , ; èyy,jç ir.1v, Le. 21,31; EF'X,1:":111, Le. 17,20; t9.S11'l'tv, Le.
n ,20 par. Sull'intera questione cfr. Schmidt, ThWNT 1, ,8,,2,-32.
126. Jiingel, Paulus und Jesus, 180. «Essenza» qui è da pensarsi nell'aspetto verbale
(op. cii. , 181 ! ) .
127. Cfr. Mt. 12,28, la cui versione risulta secondaria rispetto a Le . L a speciale riven
dicazione, che Gesù pone con queste parole, appare anche in Le. n,31 s. par Mt.
12,41 s. (Q) o nelle «antitesi» del discorso della montagna.
118
del regno di Dio va concepita dunque come evento, e come
evento legato alla persona di Gesù. Di qui lo stretto legame tra
la predicazione della basileia vicina e la prassi concreta di Ge
sù; la prassi di Gesù fa da inquadramento alla sua predicazio
128
ne, nel senso che essa commenta la vicinanza della basileia
affermata nella sua predicazione; la prassi concreta di Gesù è
un commento della sua predicazione in parabole, e questa a
sua volta è la spiegazione della sua prassi concreta. Nella para
bola Gesù spiega il suo comportamento con il comportamen
to di Dio, e questo si può vedere anche dal fatto che non po
che figure che nella parabola rinviano indirettamente a Dio
vengono utilizzate in modo tale da lasciar trasparire il com
portamento di Gesù. Gesù dunque spiega il suo comporta
mento teologicamente; e in questa spiegazione teologica, data
attraverso le parabole, è insita la rivendicazione «cristologica»
che Gesù avanza in qualità di narratore delle parabole e a li
vello prepasquale si presenta come implicita. Per quanto ri
guarda le parabole ne consegue allora che esse, attraverso il
loro tema, ossia il regno di Dio, sono legate indissolubilmente
alla persona del Gesù storico. Ad esse non compete dunque
129
nessuna autonomia {Via) nei confronti del loro autore.
Se le parabole vanno al di là della persona del Gesù storico
anticipando levento della vicinanza di Dio nella resurrezione
del Crocifisso, allora non possono essere scisse dall'interpre
tazione divenuta necessaria con «la pasqua»; tale interpreta
zione diventa anzi un elemento indispensabile per la loro
comprensione. Come anticipazione le parabole hanno la fun
zione di dischiudere quell'evento della vicinanza di Dio. A
sua volta la nuova interpretazione acquisita con la pasqua
proietta la sua luce sulle parabole, in quanto esse già racchiu
dono la relazione tra il regno di Dio reso vicino attraverso la
1 19
parabola ed il narratore della parabola stessa. Da questo pun
to di vista non è affatto casuale che i principali ritocchi inter
pretativi della comunità siano quelli cristologici. Dopo la pa
squa, le parabole del regno di Dio divengono parabole su Gesù,
perché Gesù aveva proclamato la vicinanza della basi/eia in ter
mini tali che dopo la resurrezione del Crocifisso non era più
possibile esprimere la vicinanza di Dio al mondo senza far rife
rimento a quella proclamazione. ' 10 Ne consegue la tesi che l'in
terpretazione cristologica, in quanto conseguenza necessaria
della svolta storica dalla croce alla resurrezione, costituisce
l'interpretazione più adeguata delle parabole di Gesù: le pa
rabole dunque non vanno interpretate né teologicamente ( co
me affermazioni su Dio) né antropologicamente (come affer
mazioni sulla retta comprensione di sé o dell'esistenza), bensl
cristologicamente, come immagini di Gesù Cristo (oppure
del regno di Dio che in lui si rende vicino).
Di conseguenza nel metodo di interpretazione delle parabole
bisogna distinguere per ogni parabola in base alla storia della
tradizione la forma prepasquale e l'interpretazione postpa
squale, affinché l'interpretazione divenuta necessaria con la
pasqua possa essere riattivata dall'interprete di oggi. Questa
riattivazione certo non dovrà awenire in modo acritico, ma
piuttosto chiedendosi di volta in volta se le aggiunte interpre
tative riescano o meno a riprodurre nella parabola la corri
spondenza con la metafora fondamentale «Gesù è il Cristo».111
Se è valido questo approccio metodologico e la fondazione
che ne abbiamo proposta, allora la storia delle parabole, dal
Gesù storico come narratore originario sino alla interpreta
zione postpasquale delle parabole da parte della comunità
130. N ell uso linguistico del cristianesimo primitivo ciò si manifesta, per esempio,
'
col subentrare della persona di Cristo al regno di Dio (cfr. Schmidt, ThWNT I,
,90,39-,91 ,16). È in questa maniera che la fede nel regno di Dio viene conservata
nella esperienza postpasqualc dcl Cristo (op. cii. ,91 , 37 s.).
131. È qui che ha il suo posto la critica teologica interna [Sachkritik] ; e questa impo
stazione la salvaguarda dal rischio di sottoporre i testi biblici a valutazioni fondate su
criteri imposti ad essi dall'esterno.
1 20
primitiva, ci offre un modello che ci consente di mettere in ri
lievo la /unzione assunta dal Gesù storico nei confronti della
fede nel Cristo, nel corso della tradizione cristiana primitiva. Il
caso delle parabole si rivela paradigmatico per mostrare in
che senso il Gesù storico fu determinante per la fede nel Cri
sto, e quale contributo viceversa fu offerto, per la compren
sione della persona del Gesù storico, dalla fede nel Cristo,
scaturita dalla resurrezione del Crocifisso. I risultati di queste
due problematiche possono offrire qualche indicazione su co
me la teologia di oggi possa avviare a soluzione il problema
del Gesù storico.
1 32. � qui che hanno un loro legittimo campo di applicazione gli approcci di tipo
letterario o strutturale, nella misura in cui la narrazione si presenta in una forma che
può essere analizzata sincronicamente. Vengono utilizzati invece in modo sbagliato se
si pretende di ricavarne delle conclusioni storiche (per esempio l'eliminazione di un
determinato elemento narrativo perché rompe una determinata struttura ) . Essi tutta
via sono senz'altro strumenti validi per cogliere il senso (non il significato) di una
narrazione parabolica.
133. La nuova visione del mondo, implicita nella narrazione, che rende possibile e
anzi necessaria una interpretazione esistenziale, deve essere considerata come canse
guen1.a del rispettivo enunciato metaforico.
122
e) I ritocchi interpretativi accumulatisi nel corso della storia
della tradizione vanno valutati criticamente in base alla loro
coerenza con la parabola stessa. La valutazione critica del loro
contenuto va formulata sulla base della loro corrispondenza o
meno alla metafora teologica fondamentale «Gesù (il Croci
fisso) è il Cristo (risorto dai morti) ».
4. Poiché le parabole originarie di Gesù sono anticipazioni
dell'evento in cui Dio si è reso vicino al mondo (la resurrezio
ne del Crocifisso), una interpretazione cristologica era inevi
tabile, affinché esse potessero essere tramandate come para
bole di Gesù. L'interpretazione cristologica diventa perciò il
punto di partenza per ogni ulteriore attualizzazione da intra
prendere nell'ambito della predicazione cristiana.
2. Ricostruzione delle parabole
secondo la storia della redazione
e della tradizione
Coerentemente alla tesi esposta nella parte metodologica se
condo cui la forma della parabola valida per la nostra predi
cazione può essere trovata solo ripercorrendo tutta la storia
attraverso cui una parabola è passata da Gesù sino alla defini
tiva fissazione scritta nei vangeli, ci dedicheremo adesso allo
studio delle singole parabole appunto sotto questo aspetto.
Come itinerario, per evitare il rischio di classificazioni aprio
ristiche, scelgo quello offerto dalla tradizione sinottica (Mc. e
paralleli; Q; materiale particolare di Mt. ; materiale particolare
di Le. ) . I racconti-esempio, la cui interpretazione rappresenta
un problema sui generis, verranno lasciati da parte.
2.1. Le parabole in Mc. 4,1-34; Mt. 13,1-52;
Le. 8,4-18; 1 3,18-21
1 27
ÀrX.7 Tradizionali sembrano invece l'indicazione della barca
(cfr. 4,36; 3,9) , 8 xa-8ijcr-8cu,9 come pure l'espressione È7tÌ. 't'ijç
yijç. '0 Incerto rimane xaì. eÀe:ye:v aù-to iç ; la saldatura tra «egli
"
3,9.20.32( ?) ; 4,36(?) ; ,,21.24; 6,34.45 ; 7,14.17; 8,1 .2( ?) . 34; 9, 1 4. 1 .5- 17( ?) ; x o, x .46;
1 1 , 1 8; 12,12( ?) . 38(?), quindi 22 dei 36 luoghi nei quali la parola ricorre (senza 4, 1 ) .
L'Ox,ì.oc; appartiene allo scenario tipico della parole e delle azioni d i Gesù i n Mc.
7. In connessione con xr,p�'!l''!l't&v (Mc. 1,45) , con Ò1Òa'!l'Xlt1v (Mc. 6,34) ; mai in Mt. e
Le. ha xo volte in assoluto n:oUa.
8. Schweizer, Mk, 4, .
9. Cfr. Mc. 2,6.14; 3,34; 5 , 1 5 ; 10,46( ?) ; 12,36 (citazione) ; 14,62; 16,,.
10. Tutti gli altri luoghi che ricorrono in Mc. sono tradizionali: 2,10; 4,26( ! ) . 31 ( ! ) ; 6,
47; 8,6; 9,3.20; 14,3,.
n. Kuhn, Sammlungen, 13 0 s., che considera questa espressione come una «tipica
formula di allineamento» di Mc. , si richiama a Jeremias, Gleichnisse, 10. Tuttavia i
luoghi ivi indicati non sono inequivocabilmente marciani: 2,27 è più probabilmente
tradizionale (cfr. Schweizer, Mk, 35), lo stesso dicasi di 6,10 (cfr. op. cii. , 67 s.), e di
7,9 (cfr. op. cii. , 77 s.); 4,1 1 è per lo meno incerto (cfr. sotto, pp. 130 s. con le nn. 26 s.).
Con una certa probabilità sono redazionali 4,21.24; 8,2 1 ; 9,1. Gli altri casi indicati da
Kuhn, 6,4 (tradizionale, cfr. Schweizer, Mk, 64) ; 9,31 (redazionale) ; 1 1 ,17 (premar
ciano, cfr. Schweizer, Mk, 127), non autorizzano alcuna conclusione sicura.
Che la formula ricorra solo una volta negli altri due sinottici può essere spiegato
col fatto che qui si tratta di una formula di allineamento tipica sia di Marco sia della
comunità premarciana. Questa conclusione è avvalorata anche dalla distribuzione
uniforme dei testi fra la tradizione e la redazione.
12. Kuhn, Sammlungen, 1 38.
1 3 . Contro Kuhn, Sammlungen, 1 38; con Schweizer, Mk, 127.
14. A ciò si aggiunge che Mc. quando è lui stesso a formulare - utilizza piuttosto
-
uno dei due verbi in funzione participiale, cfr. 1 2,3' (Éì.cycv òt&i'!l'XWv) ; 1 ,7 (èidipw
'!l'&:V ì.Éywv); 3,33 (àn:oxp1.Srìc; a�oic; ì.éyc 1), cosl come molti esempi con àn:oxp1.Scìc; +
ì.Éyuv.
128
tocchi marciani. Tuttavia è evidente che la sua struttura fon
damentale estremamente coerente viene disturbata da diverse
spiegazioni e ripetizioni. Il v. 5 o7tou oùx e lx ev yijv 7toÀÀfiv è
un'aggiunta esplicativa; l'eù-8uc; svolge un ruolo rilevante nel
la spiegazione (vv. 14-20) ;'' anche 8tà. -tÒ IJ.� exe tv �ti-8oc; yijc;
dev'essere un'aggiunta esplicativa;'6 lo stesso dicasi per il v. 6b
che ripete il v. 6a da un altro punto di vista.'7 Il v. 7c risulta
superfluo ed inoltre anticipa la conclusione (cfr. v. 8 ! ) . ' 8 Al v.
8 ( àvcx�cxtvov't' cx xcxl cxù�cxvo(J.tVcx) c'è un rallentamento della
descrizione.'9 Sorprendente anche l'elenco del raccolto al v. 8:
dopo dc; -tptcixov�cx (sino al trenta [per uno] )'° non ci si aspet
terebbero ulteriori dati numerici; basta uno sguardo alle va
rianti testuali a confermare che questa sequenza presenta dif
ficoltà. La lezione preferibile Etc; EV . . . EV21 suggerisce l'ipo-
• • .
12 9
tesi che gli ultimi due elementi siano stati aggiunti in un se
condo tempo, e precisamente partendo dalla spiegazione.
Il v. 9 appartiene alla parabola originaria; .. va di pari passo
con l'introduzione anch'essa originaria, «Ascoltate ! »; non è
di Marco, che avrebbe costruito piuttosto con e:t -ttc;;'1 né può
appartenere allo stesso strato dei vv. 14-20, perché i vv. 14-20
sostituiscono il v. 9 (con la differenza che nella spiegazione
non si tratta più dell' <ixoue:tv, bensì dell' <Xxoue:tv , xcxl 1ta.pa.. . •
òqe:a-8cxt) .'4
vv. 10 ss. Già da tempo è assodato che Mc. 4,n s. è una
tradizione premarciana originariamente autonoma. 2' Fu Marco
a inserire qui questi versetti? Il v. 10 crea l'impressione di una
transizione tradizionale tra parabola e spiegazione (vv. 3-9 e
14-20) ; esso inoltre non rivela nessun tratto tipico di Mar
co.'6 Anche la formula introduttiva al v. n non è necessaria-
no stati sostituiti con Elç (� Cal.) . Tre volte Év è . già lectio /acilior a causa del v. 20
(contro Klostennann, Mk, 40) . La supposizione che la lezione originaria fosse dc; . . .
bi . . . iv contrasta da un lato con l'impossibilità grammaticale e dall'altro con la mi
nor plausibilità della correzione attribuita a Mt. Inoltre la nostra lezione è ben atte
stata: L e ? B�L. Di conseguenza allora al v. 20 va letto tre volte iv (con Jeremias,
ibid. ): ? D, À, 9, latt, sah. Per il carattere secondario della triplice indicazione dd
raccolto al v. 8, cfr. Grundmann, Mk, 89 (il quale tuttavia considera originario il
«cento per uno») .
22. Contro Jeremias, Gleichnisse, 109, che tuttavia lascia aperta la questione i n Mc.
4,9, ma che considera l'esortazione ad ascoltare «nella maggior parte dei casi secon
daria». Secondo Kuhn, Sammlungen, 1 3 1 , il v. 9 è premarciano.
23. Cfr. v. 23 (di Mc. ) ; 7,16 ( ? posteriore a Mc. , ma senz'altro non tradizionale;
Schweizer, Mk, 79) . La costruzione d �1c; in Mc. 8 volte, mentre Hv •ne; 3 volte;
Mt. : 2 (1 volta dipendente da Mc. ) : 4; Le. 2 (1 volta dipendente da Mc. ): 4. L'espres
sione Oc; (!x,c1) ha invece l'aria di essere antica.
24. L' «ascoltare» viene attribuito anche al primo (v. 1,), al secondo (v. 16) ed al terzo
gruppo (v. 18), mentre il quarto gruppo ascolta ed accoglie.
2,. Cfr. per es. Jeremias, Gleichnisse, 1 1 ; Jiingel, Paulus und Jesus, 132; Haufe, Ev
Th, 32, 414 s.; Haacker, NT 14, 224; Burkill , NT 1, 247. 2"; Schweizer, Mk, 46;
Kuhn, Sammlungen, 1 34 s. ; vedi anche Branscomb, Mk, 78 s . ; Schelkle, Zweck, 74.
26. Marciano potrebbe essere al massimo lo strano inserimento di aùv -roiç òW8EXIX.
In effetti esso risulta spesso redazionale, tuttavia è perfettamente possibile trovarlo
anche in tradizioni anteriori, cfr. 14,10.20.43; 1 Cor. 1,,, (v. anche Schweizer, Mk,
46. 66 s. ) . Inoltre xtnà (J-6vaç è singolare in Mc. , oi r.cpì aù-r0v nd senso di discepoli
di Gesù solo in 3,34 (tradizionale) e qui.
1 30
mente marciana. 27 Si può concludere dunque che la cosiddetta
«teoria della parabola» (vv. 1 1 s.) era stata inserita tra la para
bola e la spiegazione già prima di Mc.
Al v. 13 la statistica lessicale non porta a risultati chiari;28
tuttavia il v. l 3a e il v. 13b non possono appartenere allo stes
so strato di tradizione, perché «questa parabola» si riferisce
chiaramente ai vv. 3-9, mentre il plurale al v. l3b presuppone
già la generalizzazione dei vv. lo.12. Se ne dovrà concludere
che il v. l3a appartiene alla vecchia transizione tra parabola e
spiegazione, mentre il v. l3b fu inserito più tardi, certamente
da Marco stesso;29 la generalizzazione infatti si differenzia
chiaramente da quella dei vv. 1 1 s.
vv. 14-2 0. La spiegazione (vv. 14-20) sicuramente non ap
partiene alla parabola originaria.10 Il brusco passaggio tra il v.
14 e il v. l.5 si spiega facilmente se si ammette che la spiega
zione fu sempre utilizzata assieme alla parabola. La struttura
dei vv. 14-20 corrisponde esattamente a quella dei vv. 3-9, a
volte al punto tale che si deve ammettere una rielaborazione
della parabola originaria nel senso della spiegazione. 1'
vv. 2 1-25 . La raccolta di logia nei vv. 2 1 -25 contiene diversi
detti tradizionali, che ricorrono anche in Q. Essa interrompe
il discorso in parabole, che viene ripreso nei vv. 26-32. I vv.
21a.23 . 24a12 derivano sicuramente da Marco; anche perché la
27. Cfr. sopra, p. 1 28 con n. n .
28. -.au-.'IJV posposto ricorre i n 4 luoghi: 4,1 3 ; 10,, (tradizionale, cfr . Schweizer, Mk,
108 s.); n ,28 (cfr. op. cit. , 130); 12,10 (tradizionale). La formulazione 7tic; b ricorre sia
nella redazione (1 ,32; 6,33; 7,3; 13,10) sia nella tradizione (3,28; 4,3 1.32). L'intro
duzione con -i ÀÉyt 1 aù-.oìc; potrebbe essere qui tradizionale (così anche Kuhn,
Sammlungen, 131).
2 9 . Mc. mette in risalto l'intelligenza da parte di tulli, cfr. Schweizer, Mk 48 (che pe
raltro considera marciano l'intero v. 13).
30. Cfr. per es. Bultmann, Synoptirche Tradition, 202 s.; cfr. la dettagliata analisi les
sicale di Jeremias, Gleichnirre, n·n; Kuhn, Sammlungen, 113. 1 16 s.; Schweizer,
Mk, 48 s.; Lohmeyer, Mk, 85 ; Branscomb, Mk, 8o s.; Bowker ijThS 2,, 316 s.) ve
drebbe invece di nuovo un'unità nei vv. 1-20).
31. Cfr. sopra, pp. 129 s. con le nn. 15-21.
32. La formula introduttiva xaì ÉÀe:ycv aù-.oic; qui potrebbe essere marciana, co
si come l'appello all'ascolto al v. 23. Cfr. sopra, p. 1 30 n. 23 e Schweizer, Mk, ,o;
Kuhn, Sammlungen, 129 n. 28 (con Jeremias ) .
131
loro prospettiva contrasta con quella dei w. 1 1 ss. La cosa più
verosimile è che Mc. stesso abbia inserito qui questi detti.
vv. 26-29 . La parabola del seme che cresce spontaneamente
rivela un ampliamento ai w. 27 s . ; il v. 28 per motivi di conte
nuto e di forma linguistica non avrebbe potuto appartenere
alla parabola originaria;JJ lo stesso dicasi per la citazione di
Gioele al v. 29b.34 Ragioni redazionali spiegano come mai que
sta parabola sia presente solo in Mc. : Mt. l'ha sostituita con la
parabola della zizzania," Le. ha preferito ometterla perché po
co consona al suo contesto. J6
vv. 30-32. La parabola del grano di senapa, presente sia in
Mc. che in Q/1 presenta ai w. 31b.32a un chiarimento (che
manca nella versione Q) . 18 L'allusione a Dan. 4,18; Ez. 3 1 ,6
33. Il v. 27, che mette in risalto l'inattività del contadino, viene qui ampliato con l'a·
spetto temporale (cfr. Crossan, JBL 92, 2,2). xap'ltoipopa:iv cfr. Mc. 4,20( ! ) ; r.ì.f,p1jc; ri
corre spesso in Aci (8 volte) ; i: he:v è hapax ( una forma ionico-ellenistica) (Bauer,
.
Wb, s.v. ) .
34. Le allusioni all'A.T. i n generale sono opera della comunità primitiva, i n partico
lare quando utilizzano la versione dei LXX (a questo proposito cfr. Dupont, Se·
mence, 103 che peraltro considera unitaria la parabola; op. cii. , 1o6). a:ù.9uc; in Mc.
4,14-20 svolge un ruolo predominante (cfr. anche sopra, p. 128 con n. 1,). Per la ci·
tazione cfr. Apoc. 14, 1,.18 ("tÒ 8pé'ltatvov ) . La terminologia apocalittica è abbondan ·
temente presente anche nell'interpretazione, w. 14-20.
3,. Si può constatare una certa affinità linguistica tra Mc. 4,26-29 e Mt. 13,24-30
(Kuhn, Sammlungen, 127 s . ) . Inoltre, probabilmente Mt. trovò una forma abbreviata
di questa parabola in una raccolta prematteana (assieme a Mt. 13,44-48: cfr. Schwei
zer, Gemeinde, 99) . Questa parabola si adatta meglio anche alla formulazione mat
teana dell'interpretazione della parabola del seminatore (che mette in risalto il portar
frutto, cfr. Schweizer, Mt, 196 s.); cosl pure Haenchen, Weg, 172.
36. Le. collega la pointe dell'interpretazione all'episodio dei parenti di Gesù (pointe
al v. 21: ascoltare e mellere in pratica, cfr. Klostermann, Lk, 99 e Kuhn, Sammlun
gen, 128 s.). Per questo motivo egli non riporta la parabola del seme che cresce da
solo, mentre inserisce altrove quella del granello di senapa in coppia con quella del
lievito (Le. 13,18-2 1 ) . Per Le. era «pressoché impossibile per motivi interni» (Haen
chen, Weg, 172) riportare qui la parabola.
37. Cfr. per es. Bultmann, Synoptische Tradition, 186; Schweizer, Gemeinde, 98;
Idem, Mt, 198; Idem, Mk, '2; Kuhn, Sammlungen, 99; McArthur, CBQ 33, 198;
Crossan, JBL 92, 2,4.
38. Essa è probabilmente anteriore a Mc. , cfr. l'espressione Èr.Ì Tijc; Tilc; (v. sopra, p.
128 con n. 10), cosi come 11-ucp0npoc;, Mt. u , u ; 13,32 par. Mc. 4,3 1 ; Le. 7,28; 941
altrove mai nel N.T. ; ar:ép11-at in Mc. solo qui e 4 volte in 12, 19-22; sorprendentemen-
(Mc. ) e Dan. 4,21 I 4,18 I Ps. (LXX) 103,12 (Q) è opera della
comunità cristiana (che si serviva dei Settanta). La parabola
del lievito, che segue in entrambi i paralleli sinottici, era col
legata con la parabola già in Q. 19
vv. 33 s. Tra il xa.-8wc; iJòuva.v�o à.xouetv (v. 33) ed il v. 34
sussiste una contraddizione evidente:""' il v. 33 presuppone che
Gesù parlava alle folle, mentre il v. 34 si ricollega ai vv. 10-
12. Il v. 33 presenta tratti tipici di Marco,4' mentre il v. 34 pre
senta piuttosto un lessico tradizionale.42 Se ne può dedurre che
il v. 34 era la vecchia conclusione della raccolta premarciana
mentre il v. 33 è stato inserito da Mc.
Da tutte queste osservazioni si ricava la seguente ipotesi di
storia della tradizione e della redazione: il più antico stadio rag
giungibile di tradizione, che coincide con quello di Gesù, com
prendeva le tre parabole: vv. 3-9 (senza i vv. 5b.6b.7d.8c.
8d�y), vv. 26-29 (senza i vv. 28.29, reminiscenza scritturisti
ca), vv. 30-32 (senza 3 1b.32a.c, reminiscenza scritturistica).
Verosimilmente queste tre parabole furono tramandate molto
presto come raccolta. 4 1 In un secondo stadio fu prodotta una
te 5 volte in Ml. 13,24-38; ì.ci'X,!lt'IOY Ml. 1 3,32 par. Mc. 4,32; Le. 1 1 ,42, Rom. 14,2, un
termine usato nell'ellenismo (cfr. Bauer, Wb, s.v. ; Flavio Giuseppe; Neopitagorici in
Diogene Laerzio; Filostrato) , e [J.d'i;o'I . . . 111xp6npoc; Ml. 1 1, 1 1 par. Le. 7,28 (Q), cosi
come èì.ciaaw'I Rom. 9,12 (di persone).
39. Cosi per esempio Schweizer, Ml, 179.
40. Per lo meno se si traduce l'espressione «cosl come essi potevano ascoltarla (ossia
intenderla)» (Kuhn, Sammlungen, 1 34).
41 . In particolare Èì.ciì.Et aù-toic; -:ò.,, ì.oro" è redazionale (cfr. Mc. 2,2; 8,32[ ! ] senza
!XÙ'toic;; 12,1 [senza -:Ò'I ì.6ro.,, ] ) ; -:01où-toc; Mt. 3 volte; Mc. 6 volte; Le. 2 volte; r.oì.uc;
in Mc. è più spesso posposto che anteposto ( 1 3 : 9); come termine ricorre più spesso
in Mc. che in Mt./Lc.
42. x.wpic; in Mc. solo qui (molto ricorrente nelle lettere dcl N.T. ) ; r.apa[Y.iì.ijc; è sor
prendente, ci si aspetterebbe piuttosto il plurale, se il v. 34 fosse stato creato assieme
al v. 3 3 ; anche "t'oii; i8foti; 11a..911Taic; singolare in Mc. ; È'lttÀuEt'I in questo senso solo
qui nel N.T. (ancora una volta al passivo in Aci. 19,39), èr.iì.intc; nello stesso senso
in 2 Petr. 1,20. xa-: ì8 ia" sembra essere peraltro una formulazione di Mc. (probabil
'
1 33
raccolta in senso vero e proprio. Essa veniva introdotta da al
cuni elementi degli attuali vv. 1 s. (più o meno: «Gesù sali in
una barca e là restò seduto, stando in mare, mentre la folla
era a terra lungo la riva; e diceva loro: . . . » ) ; a meno che tale
introduzione non appartenesse già ad una delle tre parabole
come ambientazione originaria. La raccolta proseguiva poi
con i vv. 3-9 (cosi come si presentano in Mc. ) e la spiegazione
ai vv. 14-20. La transizione tra la parabola e la spiegazione
suonava probabilmente: «E quando egli fu da solo,.... coloro
che gli stavano attorno lo interrogavano sulla parabola,�' ed
egli disse loro: 'Non comprendete questa parabola?.ili Il semi
natore . . . '». A questo stadio della tradizione appartengono inol
tre i vv. 26-29.30-32. Che la raccolta comprendesse tutti gli
elementi suddetti, compresa la spiegazione, risulta dalla note
vole coerenza tra ampliamenti e spiegazione: a) e:ù-8uç, vv.
5bh5.16. 17h9b ; b) entra in gioco il fattore tempo, v. 8c I verbi
al presente = ascoltare, accogliere, portare frutti, v. 20 I elen
cazione dei vari stadi di crescita al v. 28a; c) il tema dell'inco
raggiamento appare al v. 8 I il participio aoristo indica che ci
si rivolge solo agli uditori, v. 20 I il «la terra fruttifica da so
la», v. 28 I il più piccolo diviene il più grande, vv. 3 1b. 32a;
infine d) compare soprattutto il valore attribuito dopo la pa
squa a Gesù e alla sua parola: l'enorme raccolta del seme al v.
8d implica già l'identificazione seme = parola e deriva dal v.
20 I la citazione scritturistica, v. 29, presuppone l'escatologia
cristiana primitiva I la citazione della scrittura v. 3 2 implica
medesima occasione, ma da quello che queste tre parabole furono senz'altro traman
date assieme (c&. il triplice «e diceva.. , vv. 9.26.30).
44. Traduzione con Bauer, Wh, s . v . 3 (degni di nota anche i paralleli indicati).
45. Il plurale -:�� r.cxpcx�oì..2� nel testo di Mc. risale allo stadio più recente (cfr. sotto,
p. 135). La domanda che introduceva l'interpretazione può essersi riferita solo ai
vv. 3-9, cfr. v. 13a!
1 34
l'identificazione seme di senapa � Gesù. Ne risulta (proba
bilmente a livello della raccolta) una notevole rielaborazione
rispetto allo stadio di Gesù. La conclusione della raccolta non
è più ricostruibile; in ogni caso, non sono certamente in causa
i vv. 33 e 34. 47 In un terzo stadio (sempre anteriore a Marco) la
transizione tra la parabola (vv. 3-9) e la spiegazione fu tra
sformata nel senso di una generalizzazione; al v. 10 l'inseri
mento dei vv. u s. determinò il passaggio di -t�v 7tcxpcx�oÀ�v
al plurale. La concezione fondamentalmente diversa delle pa
rabole come discorso enigmatico, che mira intenzionalmente
([J.�7to-tt) addirittura ad indurire, e la separazione tra il gruppo
di coloro che comprendono e quello degli esclusi («voi» -
«quelli di fuori») sono bene in linea col v. 34,"8 che dev'essere
stato inserito alla fine della raccolta in questo stadio.49
Mc. a sua volta rielaborò ancora una volta il terzo stadio
tramandatogli dalla tradizione provvedendolo di un'introdu
zione rispondente alla sua teologia (vv. 1 s.) ;'0 inserendo dei ri
tocchi correttivi anche al v. 13b, che nella formulazione attua
le mette in risalto il fatto che tutti non comprendono;'' ag-
47. Contro Kuhn, Sammlungen, 1 32, che definisce il v. 33 come conclusione, cosa
difficilmente ammissibile in base al suo carattere mordano; cfr. sopra, p. 133 n. 41 . A
mio avviso bisognerebbe piuttosto prendere in esame l'ipotesi se la prosecuzione,
w. 3' ss. (tema della barca ! ), non fosse già nella tradizione.
1 35
giungendo ai vv. 21 -2' alcuni logia tradizionali, nei quali vie
ne ritrattata la separazione tra coloro che comprendono e
quelli che non comprendono (vv. 1 1 s.}, o quanto meno la sua
definitività: la parola di Dio raggiungerà il suo scopo (vv. 21
s.}, essa sarà intesa da coloro che avranno orecchie per inten
dere (vv. 2 3 . 24 s.) .'2 Infine la concezione marciana delle para
bole di Gesù viene espressa ancora una volta al v. 33 : la paro
la proclamata nelle parabole dona agli uomini la capacità di
comprendere.n
porre che l'interpretazione, w. 14-20, rappresenti una chiave per tutte le parabole
(Boobyer, NTS 8, 66) (il v. 13a si riferisce ai w. 3-9, non ai w. 14-20), cfr. Brown,
JBL 92, 67).
,2. Cfr. Schweizer, Mk, ,o. Per il problema della storia della tradizione di questi
versetti cfr. Lambrecht, Redaction, 28,·290. Alcuni logia che si trovavano originaria·
mente in un altro contesto (cfr. ibid. ) adesso sono riferiti alle parabole. Diversamente
per esempio Haenchen, Weg, 170; Jeremias, Gleichnirre, 90; Lohmeyer, Mk, 8,.
'3· Pertanto Mc. co"egge la tendenza presente ai w. u s.34. Posizione differente in
Bultmann, Synoptische Tradition, 3,7. 366 (w. 33 s. marciani) ; Haenchen, Weg, 171
(v. 33 conclusione della fonte) ; Jeremias, Gleichnisse, 10 s. (il v. 33 appartiene al se
condo strato della tradizione), similmente anche Linnemann, Gleichnisse, 179 (n. 1);
Kuhn, Sammlungen, 132 (v. 33 conclusione della raccolta). La mia posizione concor·
da con quella di Schweizer, Mk, ,3 (anche il v. 34a è di Marco) ; cfr., dello stesso au·
tore, ETR 43, 2,8 (senza il v. 341).
,4. Con Bauer, Wb, r.v.
,,. Con questa parafrasi di Mc. 4,8a si deve tentare di esprimere il plurale (!ÌÀÀCl) a
differenza del triplice ringoiare w. 4 (0).,.7 (iiì.Ào); cfr. Lohmeyer, Mk, 83.
e portò frutti, e rese sino al trenta.
E diceva: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti ! ».
Colpisce innanzi tutto la struttura formale ben costruita della
parabola: dopo un breve antefatto (Mc. 4,3) seguono tre frasi
perfettamente parallele anche nei particolari, che descrivono
l'esito (negativo) di tre porzioni minori (singolare ! ) della se
menza. Ad un «e» introduttivo segue un pronome al singolare
{o, aÀÀo, aÀÀo), poi il verbo «cadde» e l'indicazione del luogo
(«sulla via», «sul suolo roccioso», «tra le spine») . La seconda
parte della frase inizia di volta in volta con «e»; segue poi un
verbo che descrive la venuta del nemico («vennero», «si al
zò», «crebbero») , la sua natura («gli uccelli», «il sole», «le spi
ne») ed infine leffetto distruttivo che esso provoca («la divo
rarono», «fu bruciata», «la soffocarono»). La quarta frase
(Mc. 4,8) descrive la sorte (questa volta positiva) della mag
gior parte della semenza (plurale ! ) . Essa è perfettamente pa
rallela alle tre frasi precedenti, con la differenza che la casella
nella quale si parlava del nemico (e nella quale qui per motivi
formali ci si aspetterebbe un amico) rimane vuota.
La struttura formale ci permette di trarre delle conclusioni
sul significato della parabola. È chiaro che la parabola non ri
guarda il seminatore; egli fa parte solo dell' ante/atto;'6 del suc
cesso o dell'insuccesso del suo lavoro non si fa parola. Il pro
tagonista della parabola è invece il seme stesso: il tema del
racconto è la sua sorte.'1 La prima parte ci fa vedere come il
seme in vario modo va perduto (vv. 4-7) ; questa prolungata
descrizione dell'insuccesso'8 ha lo scopo di intensificare la ten
sione ed accrescere l'effetto della seconda parte (v. 8), dove
si descrive il successo della semina.'9 Il racconto si conclude
56. Contro Bultmann, Synopl. Tradilion, 189; Jcrcmias, Gleichnisse, 149 s.; Fuchs,
Zeitverslandnis, in GA 11, 348; Frankemolle, Bile 13, 194; implicitamente anche Per
rin, ]esus, 172 s. Con Linnemann, G/eichnisse, 120.
57. A questo riguardo anche il titolo «La parabola del quadruplice suolo» (Linne
mann, Gleichnisse, 120) non è del tutto appropriato.
58. Constatato per esempio da Schweizer, Mk, 45.
59. Già per motivi formali la parabola deve essere suddivisa in due parli (bene Lin-
1 37
quando è arrivato al punto decisivo: ogni qual volta viene se
minato del seme, è certo che darà frutto: la maggior parte ca
de su un terreno buono e produce il raccolto; la perdita di
qualche piccola parte non pregiudica il lieto fine.6o
Alcuni sostengono che la ricostruzione del senso originario
della parabola sulla bocca di Gesù sarebbe diventata ormai
impossibile;61 ma è proprio cosl? Una prima indicazione sul
senso originario çi è offerta già dall'inquadratura (w. 3a.9) : la
parabola ha a che fare col problema dell'ascoltare. Ma ulterio
re indicazione si ricava dal significato metaforico di «semina
re» : si può parlare di un «seminare la giustizia» (Prov. n,21;
cfr. Hos. 10,12 LXX) ; chi «semina il proprio» è una persona
generosa che distribuisce i suoi beni (Prov. 1 1,24 LXX) : il te
ma della semina ha il significato meta/on'co di qualcosa di effi
cace, qualcosa che si compie.6' Anche la parola di Dio è effica
ce, rende feconda la terra, dà il seme al seminatore, non gli ri
torna indietro a mani vuote (Is. 55,10) . In questo senso si po
trà dire più tardi che Dio semina la sua legge nel cuore degli
uomini (4 Esdr. 9,31 ) .6i
Da queste indicazioni si può dedurre che il «seminare» nel
la parabola poteva essere compreso come metafora della pre
dicazione di Gesù. Il suo annunzio della basileia (cfr. Mc. l,14
nemann, Gleichnisse, 122; Crossan, JBL 92, 2,0) . L'impressione della suddivisione in
quattro parli deriva eia una certa inlerprelazione (allegorica) della spiegazione.
6o. La descrizione dell'insuccesso ai w. 4-7 è in funzione del v. 8 (contro Schnie·
wind, Mk, 7 1 ) . Poiché al narratore interrcssa quesla pointe (v. 8), egli narra l'insuc·
cesso e coinvolge l'uditore nel suo punto di vista. La questione se i w. 4-7 corri
spondano o meno alle tecniche di coltivazione in Palestina, è i"ilevanle (se per
esempio normalmente si arava prima o dopo la semina; cfr. Jeremias, Gleichnisse, 7
s. e Linnemann, Gleichnisse, 1 2 1 : prima; opinione contraria in White, JThS 1,, 300-
307; replica in Jeremias, NTS 13, 48-,3), perché non è decisivo il realismo della nar
razione, ma solo il fatto che i tratti na"ativi combinati in funzione della pointe risul
tino verosimili all'uditore (cfr. anche Frankemolle, Bile 13, 193; per quel che riguar
da laspetto fondamentale, anche le osservazioni sul carattere fittizio delle parabole in
Via, Gleichnisse, passim). Il narratore wole sottolineare il successo, e proprio perciò
si sofferma prima sull'insuccesso.
61. Cosl già Bultmann, Synopt. Tradition, 216; oggi di nuovo Kuhn, Samml. , n2.
62. Quell, ThWNT v u , '41,27.
63 . Jeremias, Gleichnisse, 77.
s.), la sorte che essa subisce tra gli ascoltatori, è la chiave per
comprendere questa parabola. Con la parola della basileia ac
cade come con la semenza nella parabola: potrà anche darsi
che non venga ascoltata interamente e da tutti, ma dove sarà
ascoltata non mancherà di produrre il suo effetto, porterà
buon frutto. La parabola rispecchia da una parte la fiducia di
Gesù nella potenza insita nel suo annunzio della basileia (la
maggior parte porta frutto ! ) e dall'altra incoraggia l'uditore
ad ascoltare, poiché quando la parola viene ascoltata, tutto ciò
che l'uomo può fare, è stato fatto;64 il fruttificare poi sarà affar
suo: sarà la parola stessa, una volta ascoltata, a creare nell'u
ditore l'atteggiamento ad essa rispondente. Gesù dunque con
sidera la sua parola, lannunzio della basileia, in analogia alla
parola di Dio stesso,6, che produce immancabilmente effetto
(«non mi ritorna indietro a mani vuote», Is. ;;,10 ! ) ; e se stes
so come uno che parla al posto di Dio. L'ascolto, al quale gli
uditori vengono incoraggiati (v. 9 ! ) viene ottenuto attraverso
la parabola stessa, in quanto essa racconta una storia avvin
cente, che prende interamente l'uditore, lo distoglie da se
stesso e lo porta fino al punto desiderato per rivolgergli il suo
appello. Questa parabola comunica all'uditore la potenza del
la parola in una forma tale da mettergliela in scena dinanzi ai
suoi occhi.
In tal modo la parabola è la forma linguistica atta ad inco
raggiare ali' ascolto, in quanto la sua forma rende possibile ciò
che il suo contenuto incoraggia a fare. Forma e contenuto
realizzano cosl la loro unità.
64. Partendo di qui si possono respingere diverse interpretazioni. Non si tratta del
l'allività di Gesù (Frankemolle, Bile l3, l94 s.), bensì dell'efficacia insita nella paro
la. Non si tratta della divisione del popolo nei confronti della parola (Gerhardsson,
NTS l4, t88), ma di un incoraggiamento per tulli. Non si tratta di incoraggiamento a
seminare la parola (Branscomb, Mk, So) , bensl della fiducia (attiva e passiva) nella
forza insita in essa. Né si deve partire dal contrasto semina-raccolto, inteso in senso
escatologico (Jeremias, Gleichnisse, 149; cosl pure Eichholz, G/eichnisse, 75-78;
Schmid, Mk, 93 ) , bensl dalla sorte della semina al v. 8! Non si tratta neanche del se
minatore che deve mettere in conto l'insuccesso (Michaelis, Gleichnisse, 25), bensl
della sua fiducia nella potenza della sua parola.
65. Schniewind, Mk, 71, intende l'intera parabola come parabola sulla parola di Dio.
1 39
Il primo stadio della comunità
79. Contro Eichholz, Gleichnisse, 83: «L'indicativo viene deviato in senso pareneti
co», ossia diviene imperativo.
So. L'ipotesi di Haacker, NT 14, 219-225, sul v. n come spiegazione della parabola
(w. 3-9) non è in grado di chiarire perché sia stato aggiunto il v. 12. Tuttavia la tra
duzione di !'ua-n\p1011 �ç ��1ì.daç con cii regno di Dio (ancora) celato» (in analo
gia con 2 Thess. 2,7; Ios. , beli. 1 ,470) è degna di attenzione (ibid. 220); il senso com
plessivo comunque non cambia. Anche il recente tentativo di dimostrare che i w.
n s. sarebbero l'interpretazione marciana della parabola del seminatore (come vor
rebbe Lampe, ZNW 65, 140. 146), non è convincente, perché in questo caso si do
vrebbe supporre che il v. 12 sia stato aggiunto da Mc. a del materiale a lui anteriore
nei w. 1oa. 1 1 (op. cii. , 147). Innanzi tutto: come mai Mc. avrebbe dovuto aggiunge
re un'interpretazione della parabola così oscura, per giunta per motivi parenetici
(op. cit. , 149), e che inoltre contraddice il v. 33 (di Marco ! ), se già ai w. 1 3-20 c'era
già un'interpretazione, che diceva né più né meno le stesse cose che Lampe attribui
sce ai versetti 10-12?
81. Cosi Haufe, EvTh 32, 416; cfr. Schelkle, Zweck, 74 (che tra l'altro considera i w.
10 s. - senza la citazione un detto riconducibile a Gesù).
-
1 43
ri percepiscono la predicazione della comunità come un di
scorso enigmatico da capo a fondo; e questo accecamento del
!' ambiente circostante è opera di Dio stesso.8• La citazione
scritturistica fu introdotta in funzione di questa teoria dell' ac
cecamento, e notevolmente inasprita.8J L'applicazione dei v. 1 1
s . alle parabole implica che l'accecamento d i «quelli d i fuori»
sia considerato come una mancanza di conoscenza (come
ignoranza della spiegazione) ; in tal modo la mancanza di fede
è sminuita a mancanza di conoscenza. Il linguaggio di Gesù di
venta un linguaggio enigmatico, incomprensibile, che esige
assolutamente una «decifrazione». Questa concezione della
parabola, espressa dai vv. 10-12, si manifesta ancora nello
stesso senso al v. 34: le parabole sono elementi di un linguag
gio segreto che rimane incomprensibile se non viene decifrato
(È1téÀuev ! ) .14
L'evangelista Marco
non condivide affatto questa concezione delle parabole tra
smessagli dalla sua fonte. Per lui le parabole di Gesù si rivol
gono alla folla (vv. 1 s.), esse anzi sono un tipo di insegnamen
to che viene incontro soprattutto al popolo (v. 33 ! ) . Sotto un
certo punto di vista esse sono sl un mistero, 8' ma un miste
ro per tutti (v. 13). In Marco il tema del segreto è in funzione
della di'stinzione Gesù/Cristo, 116 nel senso che il regno di Dio è
un mistero che non rimarrà nascosto ma con la pasqua verrà
svelato (ovvero: dovrà essere svelato: vv. 21-2, ) . Marco viene
cosi a ritrovarsi vicino al primo stadio della comunità, che
82. Haufe, op. cii. , 4 1 7-419 .
83. Cfr. Schweizer, Mk, 46, che attribuisce alla traduzione in greco questo inaspri
mento di Is. 6,9 s. (qui citato in forma vicina al Targum) . Is. 6,9 s. è nel Nuovo Testa
mento il locus c/assicur per sp iegare l'incredulità dei giudei (Haufe, EvTh 32, 418).
L'asprezza non può essere mitigata attraverso l'esegesi (ben visto in Schelkle, Zwecle,
n. contro Jeremias) .
84. Cfr. Biichsel, ThWNT IV, 338,27-339,3, con i paralleli citati a p. 393 n n . r s.
8,. Con Brown, JBL 92, 61, che giustamente mette in risalto la differenza tra questo
mistero e il segreto messianico. 86. Con Brown, op. cii. , 72 (discontinuità) .
144
aveva espresso questa distinzione Gesù/Cristo mediante l'ac
costamento della parabola (vv. 3-9) alla trasformazione post
pasquale (vv. 14-20) .87
Matteo e Luca88
operano a loro volta qualche ulteriore spostamento d' ac
cento: Mt. sottolinea di meno la divisione in due parti della
parabola (usa sempre il plurale per i vari semi: cfr. vv. 4.5.
7.8)89 e un po' di più la divisione in quattro parti, individualiz
zando di conseguenza i rendimenti al v. 8;90 sulla stessa linea,
nella spiegazione usa sempre il singolare, per indicare i diver
si tipi di uomini. Mt. rilegge tutta la parabola sin dall'inizio a
partire dalla spiegazione. Significativo anche l'inserimento di
«comprendere» ai vv. 11 (yvwvat). 19.23 ; cfr. 13,5 1 ; 13,14 s. : lo
scopo non è più l'ascolto ma la comprensione della parola, e
questa appunto è data ai discepoli.9' La medesima contrappo
sizione tra i discepoli che comprendono ed il popolo che è
accecato si rivela nei ritocchi di Mt. 13,10-179' rispetto a Mc.
4,10-13 .9' In questa maniera, Mt. rispetto a Mc. si colloca più
vicino al «secondo stadio della comunità».94 Infine in Mt. si
87. Il fatto che il regno di Dio verrà rivelato solo ai discepoli, nulla toglie al carattere
segreto della basileia nella fase prepasquale.
88. Questo itinerario presuppone valida la teoria delle due fonti (contro Wenham,
NTS 20, 305-307, che ipotizza come fonte di Mt. e Le. una versione premarciana).
89. La v. I. i:çlJp!iv..9lJ (v. 6) in D it è lectio poslerior. 90. Lohmeyer, Mk, 83.
91. Per la concezione matteana dei discepoli, molto differente da quella marciana
(4,c3), cfr. Schweizer, Ml, 195.
92. I discepoli chiedono a Gesù perché parli «a loro» (ossia alla folla) in parabole (v.
10). Ai discepoli è data la comprensione del regno dei cieli, a «quelli» invece no (v.
1 1 ) . I discepoli infine vengono proclamati beati, perché comprendono (vv. c6 s.).
Si osservi inoltre l'eliminazione di Mc. 4,33b.34b, anch'essa motivata dalla conce
zione matteana dei discepoli.
93. Sul significato ecclesiologico dei discepoli nella visione di Ml. cfr. Barth, Gesel
zesversliindnis, 99-104.
94. Il tentativo di Gerhardsson, NTS 14, 165-193 di comprendere Ml. partendo dal
l'interpretazione rabbinica dello Sma', risulta non convincente, già per il fatto che
dovrebbe supporre che a) parabola e spiegazione siano della stessa mano (pp. r90
s.), e che b) Ml. rappresenti meglio di Mc. la tradizione presinottica (p. 191). Oltre-
1 45
può notare qualche indizio di una tendenza a mettere più
chiaramente al centro dell'attenzione il personaggio del semi
natore (cfr. l'aù-rov al v. 4 e il «titolo» dato alla parabola al v.
18) . In tal caso soggiacerebbe un'interpretazione cristologica
della parabola.9'
Luca sembra innanzitutto porre più chiaramente l'accento
sulla relazione tra seme e seminatore (v. 5 ) . Anch'egli sostitui
sce al puro e semplice «ascoltare» altri termini correnti nella
prima comunità cristiana come «credere», «essere salvati» (v.
12), «credere» (v. 13), «perseverare» (v. 15) ;9" un'accentuazione
dei requisiti umani è palese innanzitutto nella spiegazione (v.
1 3 ; cfr. il v. 6 dove il nemico distruttore viene eliminato ! il v.
15 : «cuore buono e perfetto», «perseveranza»). Mentre in
Mc. la spiegazione rimaneva ancora essa pure in linguaggio fi
gurato, in Le. invece l'applicazione alla situazione della comu
nità è fatta in termini più diretti. A lui non interessa più I' a
scolto come tale, ma il «come» si ascolta (v. 18) e le sue con
seguenze (cfr. al v. 2 1 : «ascoltare e mettere in pratica») . In tal
modo la parabola all'indicativo si è avvicinata molto ad una
parenesi all'imperativo.
Il Vangelo di Tommaso
mette ancor più in risalto la figura del seminatore (Ev. Th.
9 inizio). Il fatto che sia la terra e non il seme a portare frut
to,97 fa capire che da una parte è già presupposta l'interpreta
zione metaforica dei diversi tipi di terreno, soggiacente alla
spiegazione nei sinottici, e dall'altra il maggior peso attribuito
alle predisposizioni umane. 911 Anche se il Vangelo di Tommaso
tutto, le allusioni allo S·ma' sono tutt'altro che sicure. Tutt'al più bisognerebbe pren
dere in considerazione la domanda posta da Gerhardsson se non sia stato Mt. stesso
a riformulare la spiegazione per ricalcarla sullo S'ma' (p. 192).
9,. Cfr. Lohmeyer, Mt, 195 .
96. Bauer, Wb, s. v. 1b�. 97. Perrin, Jesus, 171; Crossan, JBL 92, 248.
98. Eichholz, Gleichnisse, 68, in questo contesto parla di «psicologi:z:zazione». Schra·
ge, Thomasevangelium, 47, pensa alla metafora seminatore ,è padre; terra buona ,è
riporta la parabola senza la spiegazione, questo non significa
che essa sia divenuta meno «misteriosa»: tutt'altro ! La spie
gazione dei sinottici infatti elimina il mistero, mentre il Van
gelo di Tommaso si presta assai più ad una interpretazione
esoterica. Dal punto di vista della storia della tradizione, que
sta versione è più recente di quella sinottica.99
La stadio di Gesù
avrebbe dovuto avere più o meno la seguente forma:
(Con) il regno dei cieli è come (con un) uomo che (prima) getta il seme
sul terreno e (dopo) dorme e si alza, giorno e notte, ed il seme germo
glia e cresce senza che egli ne sappia nulla. Quando però il frutto lo
permette, (egli si mette a mietere).'0•
gnostico; cfr. Ev. Phil. 8 : «ponerà frutti (XGtpito.;) in proporzione (w.;) [alla sua gran·
dezza]», op. cii. , 48.
99. Cfr. innanzi tutto «sulla roccia» e «sulle spine», come pure l'aggiunta «il verme li
divorò» e la quantità del raccolto (per una valutazione del logion come secondario
rispetto a quello sinottico, cfr. Crossan, JBL 92, 2,0) . A mio avviso la dimostrazione
convincente viene addotta da Schrage, Thomasevangelium, 44-47 che rivela correla
zioni con la versione sahidica; cosl pure Montefiore, NTS 7, 22,. 229. 231.
100. Ricapitolate ad es. anche in Kiimmel, Saat, 226-229.
101. Cfr. sopra, pp. 133 ss.
102. Non è più possibile stabilire il testo originario del v. 29b. Molto probabilmente
l'allusione a loel 4,1 3 è secondaria (contro Stuhlmann, NTS 19, 162).
1 47
to, '0J può essere abbandonato a se stesso e arriverà certamente
a maturazione. '04 Questo crescere e maturare vengono descritti
come un processo miracoloso e sorprendente: il contadino
non ne sa niente (v. 27 fine). Non si fa parola invece né della
sua perseveranza né dell'abbondanza del raccolto. '0' La pointe
è la certezza che alla semina segue il raccolto, ed il suo carat
tere miracoloso. •o6 Cosl avviene con la basileia. Questa parabo
la acquista un profilo netto nel contesto della predicazione e
de/l'azione di Gesù: come il contadino dopo la semina non fa
più niente per la maturazione del seme, e tuttavia il raccolto
sopraggiungerà senz'altro, cosl Gesù non fa nient'altro che
rendere vicino il regno di Dio (con la parola e con l'azione), il
compimento della basileia non è affar suo, sarà un miracolo
della potenza di Dio. Con questa interpretazione la parabola
è in armonia con altre affermazioni di Gesù sul regno di Dio:
nei suoi miracoli esso «è già giunto a voi» (Le. 1 1 ,20), si mani
festa «in mezzo a voi» (Le. 17,21 cfr. Mt. 24,23 s.), «è vicino»
(Mc. 1,15). Tra l'esistenza e l'opera di Gesù e il compimento
della basileia c'è una connessione cosl necessaria, come quella
che intercorre tra la semina e il raccolto.'01 E poiché il compi
mento della basileia è un intervento di Dio, miracoloso e sot
tratto ad ogni conoscenza umana, se ne può parlare solo me
taforicamente, come appunto fa la nostra parabola; e proprio
come discorso metaforico sulla basileia appartiene essa stessa
a questo necessario inizio della basileia, che poi certamente
l'intervento conclusivo di Dio porterà a buon fine.
148
Lo stadio della comunità
rn8. L'interpretazione di ctù-:Ojl4-:ll concorda con quella di Stuhlmann, NTS 19, 1,4-
1,6, la cui analisi dei paralleli dimostra in maniera convincente che la sfumatura di
«miracolo operato da Dio» sarebbe una caratteristica generale di ctÙ":o1J4":oi;; diver
samente Bauer, Wb, s.v.
109. Ciò è tanto più vero, qualora il v. 20 e questo inserimento derivano dalla stessa
mano, cfr. sopra, p. 1 34.
I I O . Jiingel, Paulus und Jesus, 1,1 lo rawisa già in ctù-:oi.ui":lJ; cfr. anche Crossan, JBL
92, 2,2; diversamente Kuhn, Sammlungen, 109; Rawlinson, Mk, ,6.
1 1 1 . Tutto ciò non ha niente a che fare con la «Crescita» nel senso di un processo, già
solo per il fatto che «processo» è sinonimo di comprensibilità (a tal proposito Griis
ser, Parusieven.ogerung, 6o s.). Di un processo del «regno di Dio qui sulla terra sotto
la forma della comunità cristiana» (Schreiber, Vertrauen, 209) non vi è qui alcuna
traccia. Ma anche il «ritardo della parusia» risulta fuori luogo, perché la parabola
originaria non trattava della vicinanza cronologica del regno di Dio, bensl della cer
teua della sua venula (cosi pure Masson, Paraboles, 44; Klostermann, Mk, 44) .
1 49
reinterpretazione della parabola originaria da parte della co
munità primitiva, fin qui abbozzata, raggiunge la sua piena
espressione con la formulazione del v. 29: il tema della «mi
1 12
sura escatologica» di cui qui si percepisce la risonanza rinvia
ancora una volta alla concezione del tempo descritta prece
dentemente. È affare di Dio solo determinare la fine dei tem
pi."' Con la citazione di Ioel 4, 1 3 (che si riferisce al giudizio fi
nale)" 4 la comunità interpreta il momento del raccolto come il
compimento finale."' È chiaro dunque ancora una volta che la
comunità ha utilizzato la parabola originaria come strumento
linguistico per descrivere la storia di Dio col mondo, iniziata
con Gesù Cristo e destinata ad arrivare a compimento col
giudizio finale. La parabola di Gesù è stata cosl trasformata in
una parabola su Gesù, legando indissolubilmente l'inizio della
vicinanza del regno di Dio, attuato con Gesù, al suo futuro
compimento da parte di Dio. In questa maniera la comunità
ha tenuto conto di quella svolta da «Gesù» a «Cristo», che
indichiamo come «la pasqua». Essa preserva la parabola co
me parabola di Gesù, proprio con l'interpretarla cristologica
mente (come immagine di Gesù Cristo) .
112. Cfr. Jeremias, Gleichnisse, 1 ' 1 n. '; Stuhlmann, NTS 19, 1,9.
1 13. Stuhlmann, op. cit. , 1,9-161 vorrebbe individuare l'idea della misura escatologi
ca solo nell'ambito della questione «Dio verrà oppure no?» (e non «quando verrà
Dio?»). In realtà però le due questioni non possono essere scisse.
1 14. Cosl Schweizer, Mk, , 1 ; cfr. Klostermann, Mk, 44, che tuttavia parla solo di una
particolare rappresentazione; v. anche Rawlinson, Mk, ,6 s.
1 1 , . La citazione è più vicina ai LXX che al T.M. (contro Stuhlmann, NTS 1 9 , 161 s.,
con Dupont, Semence, 103); lo dimostra in particolare il 11:eipÉ'1':'1l1CCV. Per l'uso della
stessa citazione nel cristianesimo primitivo cfr. Apoc. 14,1' s. (nello stesso senso che
ha qui ! ) .
150
si aspetterebbe Mc. 4,26 - 29. 1 16 L'introduzione, v. 24a, rivela
particolarità linguistiche matteane.117 Mt. tramanda anche una
spiegazione della parabola della zizzania ( [36] .37-43) , però
dopo l'inserimento dei vv. 31-35 che seguono lo schema di
Mc. (vv . 31 s.34 s.) aggiungendo un'altra parabola da Q (v. 33
par. Le. 13,20 s.).
Sia la parabola sia la spiegazione rivelano incoerenze inter
ne. Dal punto di vista formale la formula introduttiva è analo
ga ad alcune formule introduttive del materiale particolare di
1 18
Mt. La connotazione del seme come xa.Àov anticipa quella
che era la pointe di un determinato stadio della tradizione; a
questo punto essa risulta inutile; avrà senso solo ai vv. 27.28a.
Risulta sorprendente il sonno degli uomini (come mai vengo
no introdotti?), e anche la comparsa del nemico che semina la
zizzania; il nemico e la sua seminagione verranno ripresi nel
la spiegazione (vv. 38c. 39a), il dormire invece no. "9
n6. C&. sopra, p. 132 con la n. 35. Dodd, Parables, 138; Jeremias, Gleichnisse, 98;
Jiingel, Paulus und Jesus, 149 con n. 1 (con richiamo a Fuchs) ; Schweizer, Mt, 197;
Hill, Mt, 230; già Jiilicher, Gleichnisreden II, H6. Diversamente invece Lohmeyer,
Mt, 212 s. (attribuisce l'inserzione alla tradizione anteriore a Mt. ) .
117. a).ÀlJV 'lta:pa:fjo).Y,v 'lta:pWl]xtV, Mt. 13,24; 13,31 (redazionale) ; ),Éywv (cfr. Jere
mias, Gleichnis.re, 98 con n. 1; per il secondo, op. cii. , 81 con n. 8 ) .
n8. W!Jl)IW.9lJ ii fna1).da: -:wv QÌlpa:vwv àv./J.pw7t<!J rne:ipa:V't" t, forma particolare chiara
mente distinguibile di «formula introduttiva col dativo,.; cfr. Schwcizcr, Gemeinde,
99. Analogo è Mt. 18,23; 22,2; strettamente affine 25, 1 ; simile 7,24.26 (op. cit. , 99 s.).
Schweizer suppone dietro queste parabole una «tradizione particolare,. (op. cii. ,
103 ) , però non scritta (Q o M), bensl orale (op. cii. , 104) . Anche Robinson, Mt, 1 2 1 ,
postula una rielaborazione della parabola originaria.
n9. Con Schweizer, Mt, 197, che vede nella comparsa del nemico un elemento sor
prendente; contro Jeremias, Gleichnisse, 222 ( fatto di cronaca: ibid. n. 2) e Dodd,
Parab/es, 184 s., che non trova insolito questo elemento. La locuzione «nel momen
to, in cui si dorme» (Jiilicher, Gleichnisreden 11, 547) è insolita per Mt. Per quel che
riguarda l'aspetto linguistico: xa..9e:Uòe1v nel N.T. ha spesso il significato metaforico
del comportamento dell'uomo rispetto alla parusia (che ritarda) , c&. Mt. 25,5 (tut
te! ) ; Mc. 13,36; r Thess. 5,6.7. L'èx..9-po<; (con l'articolo), secondoJeremias, Gleichnis
se, 222,7 n. 2 sarebbe un semitismo (ma c&. v. 28 senza l'articolo; invece l'articolo è
motivato dall'interpretazione, v. 39a! ), negli scritti pseudepigrafi ( Test. Dan 6,3 s. ;
Apoc. Mos. 2.7.25 .28; Vit. Ad. 17; Bar. gr. 1 3 ,2) spesso indica il diavolo (a tal proposi
to cfr. Foerster, ThWNT II, 813,14 s. con n. 1 3 ) ; nel Nuovo Testamento soltanto Le.
10, 19 (e&. ibid. 814,27-29). È interessante Aci. 1 3 , 10: . . . !JiÈ ò1a:f30).�J, ix./J.pÈ 'lt�O"lJ<;
ò1xa 1QmlJ; • • •
Il v. 26 sviluppa il filo del racconto sino alla maturazione
della messe.120 I w. 27-28a introducono immediatamente dei
servi che interrogano il padrone (otxo8emt6-r1Ji; e non più av
.Spw7toi;) sull'origine della zizzania. La loro domanda si ricolle
ga chiaramente al v. 24b (xaÀÒv (J'7tÉpµ.a) , e la risposta del pa
drone si riferisce al v. 2 5 ( b ix..Spoi; è diventato adesso ix..Spòi;
" () UI
avvpw7toc;; ).
I w. 28b.29.3oa, in contrasto con l'awenuta maturazione
descritta dal v. 26, presuppongono la crescita ancora in corso,
e pongono la questione (al presente ! ), "' se la zizzania debba
essere raccolta prima della mietitura. "J
Il v. 3ob illustra infine ciò che capiterà alla zizzania e al
120. L'espressione K1Lpr.Òv (e -oùi;) r.01tiv non significa mai nel Nuovo Testamento
«metter frutto» (in contrasto con la traduzione di JUlicher, Gleichnisreden II, .548),
bensì «portar frutto», quindi indica il momento della maturazione. Essa ricorre spes
so in Q (Ml. 3,8 par. Le. 3,8; Ml. 3,10 par. Le. 3,9; Mt. 12,33 par. Le. 6,43[?]) dove de
signa metaforicamente il portar frutti da parte dell'uomo. Come aggiunta matteana
si trova in Mt. 21,43 (4' Mc. ) . Secondo Lohmeyer, Ml, 214, col v. 26 si conclude la pri
ma pane della parabola.
12I. I servi si meravigliano della presenza della zizzania, non della quantità (con de
Goedt, RB 66, ,5 1 , contro Jeremias, Gleichnisse, 222), il che è sorprendente. La do
manda dei servi serve solo a introdurre la risposta del padrone; cfr. Lohmeyer, Mt,
21,5 ; Klostermann, Mt, 120. Per quel che riguarda l'aspello linguistico: oìxo8tar..Yn; i;
viene introdotto spesso redazionalmente da Mt. (Mt. 10,25 ; 1 3,,52; 20, 1 [ ?] ; 21,33 [4'
Mc. ] ; r.pwÉp1p1.Sa.1 è un vocabolo prediletto da Matteo (Jeremias, Gleichnisse, 81 n.
6); per r.o.Stv o�v t'X,EI l;1"iiv ta. cfr. la formulazione analoga in Ml. 13,,56 (redazio
nale) : r.o�tv ow -:ou-.!iJ -.i:iù-;a. r.!iv":'a. (Jiilicher, Gleichnisreden II, ,548).
122. Il presente storico (Jeremias, Gleichnisse, 223), ammesso e non concesso che
qui sia tale (bisognerebbe chiedersi: il presente non ha piuttosto la funzione di assi
curare un riferimento alla situazione attuale?), non è tipico di Ml. Normalmente egli
lo evita (Jeremias, Gleichnisse, 198 n. 2 ) .
123. Sorprendente suona non tanto la domanda dei servi (sebbene essa in realtà non
sia una domanda, perché la zizzania in ogni caso va falciata; Jeremias, Gleichnisse,
222 s. con nn. 7 e l) quanto il termine a>.JÀÌ,Éyttv per l;tl;iiv1a. (Jiilicher, Gleichnisre
den II, 549; Bauer, Wb, s.v. ), che altrove viene per lo più usato per -i:m:ov , non per
l'erbaccia: Mt. 13,48 (i pesci buom) ; Mt. 7,16 par. Le. 6,44 (a-ta.cpuÀiii; oppure 'JVxa.).
Èxp1l;ouv viene usato in immagini che parlano della distruzione dell'uomo da parte
di Dio: Mt. l,5,13 (farisei, cfr. Schweizer, Mt, 213); ludae 12 (falsi maestri). Lo sfondo
LXX è evidente: Sap. 4,4 (gli empi); Dan. 4,14 (LXX) (di un albero, che rappresenta
allegoricamente il re; lo sradicamento descrive il giudizio che si abbatte su di esso,
cfr. 4,23-26 LXX ) ; Sir. 3,9 (traslato: distruggere, cfr. Soph. 2,4) ; v. anche Maurer,
ThWNT VI, 991 , 16-20.
152
grano al momento del raccolto. '24 Nella parabola dunque si di
stinguono tre segmenti diversi, collegati solo blandamente l'u
no all'altro: I. lo sviluppo fondamentale che va dal periodo
della semina (v. 24b), attraverso quello della maturazione (v.
26), fino a quello del raccolto (v. 3ob) ; 2. la semina del nemi
co (v. 25) e la discussione in merito ( vv. 27.28a) ; 3 . la questio
ne se sradicare la zizzania e la risposta negativa del padrone
(vv. 28b.29.3oa) .
vv. 36-43. La spiegazione - vv. 36 (37-43) - già da un
punto di vista formale non costituisce un'unità. Il v. 36 rivela
peculiarità linguistiche matteane."' I vv. 37-39 offrono un
elenco dei significati metaforici corrispondenti ad ognuna
delle espressioni che ricorrono nella parabola, mentre i vv. 40-
43 possono essere denominati come «piccola apocalisse».'16
Sorprende che l'elenco si riferisca soltanto ai versetti 24-28a.
3ob lasciando inesplicati i vv. 28b.29.3oa (dialogo sullo sra
dicamento della zizzania) ."7 Ma anche con i versetti prece
denti relenco non si armonizza bene, e rispetto ad essi po
128
trebbe essere secondario. I vv. 40-43 si ricollegano con un
124. La zizzania evidentemente viene usata per alimentare il fuoco ijeremias,
G/eichnisse, 223; ma diversamente Jiilicher, Gleichnisreden 11, ,;o, che trova «strana,.
questa idea), il grano viene riposto nel granaio (O"UV11yriyEn) [B al] è lectio diffici/ior,
contro Jiilicher, ibid. ).
12,. Fra i termini elencati d a Jeremias, Gleichnisse, 81, andrebbe notato tutt'al più
che anziché qipriaov va letto cl111ari9lj7GV (con de Goedt, RB 66, 3'), anche a voler te·
ner conto solo dell'attestazione nei testi (B, N*, -Il e cosl via). Lo stesso verbo ricorre
solo in Mt. 18,31 (dr. 2.4. 1), non lo si potrebbe definire quindi tipico di Mt. (con de
Goedt, ibid. ) ; potrebbe appartenere alla saldatura prematteana tra parabola ed in
terpretazione.
126. I vv. 40-43 non sono «explication allégorique stricte,. (de Goedt, op. cii. , 42)
bensi «un bref discours de révélation apocalyptique .. (op. cii. , 43, condiviso in Jere
mias, Gleichnisse, 79 n. 4, da cui deriva anche l'espressione «piccola apocalisse,.).
Per la differenza tra i vv . 40-43 e i vv . 37-39, cfr. Lohmeyer, Mt, 223-22,.
127. Constatano una disarmonia con la parabola, fra gli altri: Bultmann, Synoptische
Tradition, 203 con n. 1 (l'interpretazione non coglie «la vera pointe,., che è !'«am
monimento alla pazienza,.); Dodd, Parables, 184; Jeremias, Gleichnisse, 79 (argo
menti di contenuto e di forma); Schweizer, Mt, 201; Crossan, JBL 92, 26o s.; Jiingel,
Paulus und Jesus, 148. Di opinione diversa de Goedt, RB 66, ,o s., che vuole far risa
lire al Gesù storico i vv. 37-39.
128. Il v. 26 viene tralasciato; cosl pure il sonno degli uomini (forse perché era già
153
'
ow ai 37-39,' 9 presentano tuttavia solo un'interpretazio
vv.
ne del v. 3ob. L'apocalisse presuppone i vv. 37-39, ma non
sembra mostrare interesse all'elenco. Il che fa concludere che
i vv. �0-43 non provengono dalla stessa mano dei vv. 37-
39. ''0 E sorprendente inoltre che i vv. 40-43 spieghino solo al
cuni dettagli del v. 3ob, lasciando inesplicati gli altri.'''
Se si tenta di porre in relazione logica tutti i dati ottenuti
dall'analisi precedente, ne risulta la seguente ipotesi di rico
struzione della storia della tradizione:
1. La forma più antica della parabola abbracciava i vv. 24b
(senza xa.Àov che è stato aggiunto a crnÉplJ.a. solo assieme ai vv.
27.28a) . 26.3 ob. Questi versetti costituiscono una narrazione
compiuta che è quasi perfettamente analoga alla parabola
della rete: l'uomo semina i semi � la rete viene gettata; il
grano e la zizzania crescono l'uno accanto all'altro (v. 26) "
nuti r.iiv'l"tx -:Òt axiiv&czÀcz xczì -:o;,c; r.oiomtxc; -:�v à.vop.iczv. Il collegamento con i vv.
37-39 diviene chiaro appunto in queste differenze.
130. Anche l'analisi linguistica convalida questa posizione: ai pochi matteismi dei vv.
37-39 (la maggior parte di quelli addotti da Jeremias, Gleichnisse 81 s., non regge ad
un esame più attento, v. de Goedt, RB 66, 35-39, che conserva solo o x6a� e 7VV
't'ÉÀe:1cz cziwvoc;) se ne contrappongono, in proporzione, molti di più ai vv. 40-43
(Jeremias, G/eichnisse, 82 s. con le puntualizzazioni di de Goedt, op. dt. , 35-39 che
ne considera validi sette, ed è d'accordo nell'attribuire i vv. 40-43 a Mt. : op. cit. 41 ).
Per x6ap.oc; in particolare va notato che anche in Mt. in alcuni passi risulta tradiziona
le: Mt. 4,8 (Q, Schweizer, Mt, 30 s.); 5,14( ?); 13.35 (citazione) (in �* C St D -8 pi) ;
16,26 (tradizionale) ; 18,7 (tradizionale, Schweizer, Mt, 237); 25,34( ?); 26, 13 (tradi
zionale). Risultato: a parte due casi incerti, risultano tutti tradizionali, quindi nessun
caso sicuramente redazionale. Inoltre va notato che la formulazione di Mt. è 7VV't"ÉÀciCl
't"OÙ txiwvoc;, quindi '7'.1v-:ÉÀe:1cz czì�>voc; potrebbe essere tradizionale, tanto più che si
tratta di termine tecnico apocalittico (in Tesi. Dan, cfr. Delling, ThWNT vm, 66,29-
44). Jercmias, Gleichnisse, 82 n. So, definisce come scmitismo tipico di Mt. la man·
canza dell'articolo.
131. Al futuro i:pw (v. 3ob) corrispondono i futuri à.r.wre:Àei, 7VÌ.ÀÉ�wa1v, �czÀO"n1v,
ta't'cz1, ÈxÀiip.�a1v (vv. 41-43, al xcz-:czxczùacz1 corrisponde i:v 'l:'.ipi ( ! ) xcz-:czxczincz1, il
ai-:oc; viene interpretato con òixcz101. Rimane non interpretato il legare la zizzania in
fasci, il :111Vczyliyc't'E (al v. 43 ha luogo un cambiamento di soggetto!) , e la à.r.O.ST,xlJ.
154
la rete pesca pesci di ogni tipo; il periodo del raccolto (v.
3ob) A la rete piena viene tirata a riva; la zizzania viene mes
sa assieme e bruciata, il grano viene riposto nel granaio A i
pesci buoni vengono raccolti in canestri, quelli cattivi gettati
via (inversione! ) .'3' Questa forma dovrebbe risalire allo stesso
Gesù.'JJ
2. In un primo stadio della comunità furono inseriti i w.
25 .27.28a che attribuiscono al nemico l'origine della zizzania.
Poiché l'elenco dei w. 37-39 si riferisce a questo stadio (cfr.
il xaÀÒv aitÉp!J.a v. 38; la comparsa del nemico v. 39) , esso do
vrebbe essere sorto contemporaneamente ad esso ed avere
avuto come transizione una formulazione anteriore di quello
che ora è il v. 36.'34
3 . In un secondo stadio della comunità furono inseriti i w.
28b.29. 3oa, che sollevano la questione dello sradicamento
precoce.•n
4. A Mt. stesso risale la spiegazione dei w. 40-43 , l'inver
sione al v. 30 e la riformulazione al futuro del v. 3ob (Èpci'>, cfr.
l'uso dei tempi ai w. 40-43) . ''6 Inoltre, con l'introduzione (v.
132. Il cambiamento potrebbe risalire alla redazione di Mt. , poiché sia nella interpre
tazione della rete (Mt. 13,49 s.) come pure nei w. 41·43 redazionali, vengono nomi
nati prima i cattivi. Qui inoltre colpisce anche il rafforzativo r.ptil"cov.
133. Lo rivela la sorprendente corrispondenza tra questa forma e la parabola della
rete (criterio della coerenza). Il fatto che la separazione tra buoni e cattivi, a diffe
renza della attuale raccolta di tutti, è rinviata al futuro della basileia, si adatta bene
alla predicazione di Gesù ijilngel, Paulus und Jesus, 14') s. ; argomentazione esau
riente in Jeremias, Gleichnisse, 224) . Inoltre la tendenza a separare sin d'ora (e pre
maturamente) giusti ed ingiusti non era estranea al giudaismo ed alla comunità cri
stiana, cfr. w. 28b-3oa, v. sotto, pp. 1'8 s. (criterio della discontinuità). Hill, Mt, 232,
fa risalire l'intera parabola a Gesù.
134. Essa non può più essere ricostruita. In ogni caso avrebbe potuto appartenervi
ò12-:rli9Tjaov. La denominazione della parabola è tuttavia di Mt. (cfr. p. 1'3 n. 12,).
1 3,. Cfr. sopra, p. 1,2 n. 123. La «motivazione di dover attendere sino alla mietitura in
considerazione dei danni che altrimenti potrebbero aversi rispecchia . . . una riflessio
ne che tiene conto della situazione della chiesa• ijilngcl, Paulus und Jesus, 148, con
rinvio a Fuchs).
136. Mt. volge lo sguardo alla parusia come al momento futuro della separazione, si
trova quindi nell'epoca corrispondente ai w. 28b-3oa (presente!), mentre per la pa
rabola stessa questo futuro rappresenta una frattura di stile (cfr. in particolare il 'ZW
ÉÀi�otv nella parabola della rete).
155
24a) Mt. ha situato la parabola della zizzania al posto di quel
la del seme che cresce spontaneamente, poi ha seguito Io
schema di Mc. (vv. 31-35 ; con l'inserimento del v. 33) ed è
passato col v. 36 all'interpretazione.
5. Il Vangelo di Tommaso (57) non tramanda alcuna spiega
zione, ma rivela nella parabola stessa delle modificazioni, che
possono essere spiegate da una parte come ritocchi corretti
vi, •J7 dall'altra come abbreviazioni che presuppongono la ver
sione di Mt. ,a È degno di nota che in Ev. Th. 57 manca ciò che
.
Interpretazione
Nello stadio di Gesù la parabola suonava all'incirca cosi:
Nel regno dei cieli avviene come un uomo, che seminò nel suo campo.
Ma quando crebbero gli steli verdi e portarono frutti comparve anche
la zizzania. Nel periodo della raccolta vennero i mietitori e riposero il
grano nel granaio, raccolsero la zizzania e la legarono in fasci per bru
ciarla.
In questa parabola vengono messi in relazione tre fasi: l'epoca
della semina, in cui viene posta la premessa per le fasi succes
sive; il periodo della maturazione, durante il quale compare la
zizzania; il momento della raccolta che determina la sorte sia
del grano sia della zizzania. Nella semina è insita la possibilità
che si sviluppi un campo, in cui il grano e la zizzania crescono
l'uno accanto all'altra. Ma è insita anche la certezza che ci sarà
una separazione, poiché dopo la semina arriva inevitabilmen
te il momento della mietitura. Oggi il regno di Dio viene an-
137. «Di notte»; il v. 26 viene tralasciato; la zizzania viene sradicata; sradicare e bru
ciare. Schrage, Thomasevange/ium, dimostra anche per motivi di storia del testo la
dipendenza da Mt. (pp. 124 s.) e sottolinea panicolarmente l'antitesi «di notte» I
«nel giorno (!) del giudizio». Ugualmente Monte6ore, NTS 7, 228.
138. Egli aveva della semenza (non si racconta niente della semina) ; cnon li fece sra
dicare» rimane oscuro, se non si tiene presente la versione di Mt. Al momento della
mietitura la zizzania diverrà visibile, ciò ricorda Mt. 13,26! Per una valutazione com
plessiva cfr. sopra, n. 137 e Crossan, JBL 92, 261 .
nunciato, qua e là già fa frutti; tra gli steli che fanno frutto si
nota qua e là della zizzania, erbaccia inutile; entrambi reste
ranno assieme sino alla mietitura, l'avvento del regno di Dio,
che porterà con sé il momento della separazione.
La fiducia nella certezza della separazione futura preserva
dalla preoccupazione per la sorte della semenza. Essa rende
liberi di accogliere gli uomini nel regno di Dio senza l'osses
sione di creare una «pura» comunità di giusti. Il commento
di questa parabola è l'invito incondizionato rivolto agli uomi
ni da parte di Gesù, il suo rifiuto di costituire una cerchia ri
stretta, un «resto santo». E la parabola da parte sua rende
comprensibile agli uomini questo atteggiamento di Gesù;'}9 di
venta essa stessa l'invito, in quanto rammenta che adesso è il
momento della semina; l'invito a lasciarsi introdurre nel regno
senza preoccuparsi se si potrà essere all'altezza delle sue esi
genze. Ed allo stesso tempo, ricordando la separazione sicura
tra frutto ed erbaccia, fa capire che l'uomo viene preso sul se
rio. È affare di Dio solo seminare la sua semenza nei nostri
cuori, farla crescere ed infine separare ciò che ha valore da ciò
che non lo ha; quello che è affar nostro è far spazio senza esi
tazioni alla parola del regno di Dio.
Il primo stadio della comunità, alla luce della propria situa
zione, si pone il problema della provenienza dei «figli del ma
ligno»;140 come mai nel mondo, che in tutta la sua totalità è
la sfera della sovranità del Figlio dell'uomo, ci siano anche
uomini che non lo riconoscono. ' 4' La risposta di questa comu
nità viene data introducendo come responsabile della semina
139. Cos1 pure de Goedt, RB 66, 53. Non riesco a vedervi un ammonimento alla pa·
zienza (Jeremias, G/eichnisse, 224) o l'assicurazione di Gesù che il regno è venuto,
nonostante in Israele ci siano ancora dei peccatori (Dodd, Parab/es, 185), o a conclu
dere che l'interpretazione di Gesù della parabola non è più riconoscibile (Jiilicher,
G/eichnisreden 11, 563). Per una confutazione dell'ammonimento alla pazienza dr.
)ungei, Paulus und Jesus, 148 con rinvio a Grasser (n. 5).
140. L'espressione Tl')U n:ov·tjpl')u deve essere presa come maschile [non come neutro]
(Jeremias, G/eichnisse, 82 n. 6).
141. Il mondo come ambito della sovranità del Figlio dell'uomo e l'idea del Figlio
dell'uomo giudice universale sono correlativi. Cfr. Schweizer, Jesus, 57-6o. 75·82.
157
della zizzania un avversario del padrone, il suo nemico ( v.
25) ; e facendo confermare al padrone stesso esplicitamente,
nel dialogo, che l'erbaccia deriva dall'azione del nemico (nel
l'interpretazione: il diavolo) (vv. 27.28a), mentre gli uomini
dormono (va tenuto presente il significato metaforico di que
sto verbo, cfr. in particolare Mc. 1 3,36; 1 Thess. ,5,6.7, in con
trasto con 1 Thess. ,5,10), il nemico ha mano libera. Come
conferma la spiegazione aggiunta alla fine, che elenca i signifi
cati metaforici dei vari dettagli della parabola, questa comu
nità interpreta apocalitticamente tanto se stessa quanto il mon
do: il Figlio dell'uomo era venuto nel mondo ed aveva fatto
sorgere i «figli del regno»; ma anche il diavolo non rimase
inattivo, fece sì che venissero i «figli del maligno». Alla fine
del mondo però verranno gli angeli a introdurre nel regno
venturo del Figlio dell'uomo i figli del regno (cfr. Mc. 13,26
s. ! ), mentre i «figli del maligno» verranno consegnati al giu
dizio definitivo.••• Abbiamo qui un bell' esempio di come una
parabola di Gesù poté servire alla comunità anche, per così
dire, come spazio linguistico, nel quale poteva esprimere se
stessa e la sua situazione nel mondo. Pertanto la parabola fu
interpretata in senso cristologico (l'uomo che semina è adesso
il Figlio dell'uomo risorto) . Non si pone ancora la questione
del quando avverrà la mietitura e del comportamento da assu
mere sino a quel momento.
Essa invece si pone assai chiaramente nel secondo stadio
della comunità. Qui la questione decisiva è se la comunità
debba prendere delle misure nei confronti della zizzania che
prolifera al suo interno. Con il prolungarsi del tempo e il ri
tardo della separazione, si pone il problema se i servi debbano
assumersi sin d'ora essi stessi il compito dei mietitori, oppure
142. Con ciò, alla questione di come mai esistessero dei non credenti la comunità die
de una risposta del tutto diversa da quella di Mc. 4,10-12 e della tradizione soggia
cente. Se là si partiva dall'accecamento di Israele, ed anche dei pagani, determinato
da Dio stesso, qui è l'avversario di Dio ad essere reso responsabile della incredulità
(cfr. Foerster, ThWNT 11, 78,40-42) . Il demonio ha una funzione simile in Mc. 4,1, e
paralleli.
no (v. 28b) . La risposta del padrone è univoca: una immedia
ta purificazione della comunità è impossibile, perché anche i
figli del regno verrebbero annientati assieme a quelli del mali
gno, ed è prematura, perché la fine non è ancora giunta (vv.
28. 3oa) . La retta distinzione tra Dio e l'uomo (che si rispec
chia nella distinzione tra i mietitori e i servi) , e la retta distin
zione dei tempi, libera la comunità per una convivenza fidu
ciosa, senza I' ossessione continua di dovere distinguere buoni
e cattivi (v. 3oa).'fj
Anche Matteo si collega a questa prospettiva. Tuttavia più
che il problema dei buoni e cattivi nella comunità,'44 gli sta a
cuore quello della sorte finale dei cattivi, che egli descrive con
un linguaggio veterotestamentario. 14, Questo centro d'interesse
è palese già nel titolo «parabola della zizzania» (v. 36) , come
pure dall'inversione al v. 3ob (zizzania-grano anziché grano
zizzania, com'era originariamente: cfr. v. 48!) . Ma non va tra
scurato il fatto che la descrizione della cattiva fine dei malva
gi persegue uno scopo parenetico: '46 e questa interpretazione
viene avvalorata ulteriormente dall'osservazione che Mt. in
tenzionalmente ha inserito la parabola della zizzania al posto
di Mc. 4,26-29 (che evidentemente mal si adattava ad uno
scopo parenetico) . Ma accanto all'intento parenetico bisogne
rà far posto anche a quello di infondere fiducia: la certezza di
un giudizio che raggiungerà tutto il mondo e dello splendore
radioso dei giusti incoraggia la comunità a compiere senza
esitazione la volontà del Padre.
143. Con ciò viene reso esplicito u n elemento implicito nella parabola originaria di
Gesù e nella sua intera esistenza. Si noti la differenza rispetto alla netta separazione
tra «quelli di dentro» e «quelli di fuori» di Mc. 4,11 s.
144. Con Schweizer, Gemeinde, 24, che attribuisce questa concezione alla tradizio
ne, in contrasto con Barth, Geseti:esverstiindnis, 5 5 .
145. Vv. 40-43. Il testo ebraico di Soph. 1,3 è supposto al v . 41, quello di Dan. 12,3 al
v. 43 (cfr. Schweizer, Mt, 201 s . ) . Per l'interesse al giudizio dr. op. cit., 202. Born
kamm, Enderwartung, 40, pensa alla distinzione tra la chiesa e la schiera di coloro
che entreranno nel regno dei cieli, oppure alla distinzione tra la chiamata, già avve
nuta, dei molti, e l'elezione dei giusti ancora futura (op. cit. , 41).
146. Schweizer, Gemeinde, 25.
159
Il Vangelo di Tommaso {logion 57) parte dal presupposto
che prima della raccolta non si può distinguere affatto il grano
dalla zizzania «poiché questa è riconoscibile solo nel giorno
della raccolta». Il manifestarsi dell'erbaccia, il suo sradica
mento e l'incenerimento sono la pointe del racconto in questo
stadio; della sorte del grano non si fa parola. Rispetto alla
versione di Matteo, un elemento nuovo è che, sebbene l'esi
stenza del male venga presupposta e venga ricondotta al «ne
mico», viene contestata la possibilità di individuarlo e così
viene legittimata la rinuncia a distruggerlo prematuramente.147
16o
dei popoli) e Dan. 4,21 (Teodozione; T.M. 4,18) (gli uccelli
[non 7tETEt'\la bensl op"Vecx] del cielo; abitare; i rami),1'0 mentre
nella versione Q è in primo piano soprattutto Dan. 4,21 (Teo
dozionet' (nei suoi rami; abitano o nidificano; gli uccelli [op
"Vecx , vedi sopra] del cielo), senza riprendere da Ez. 31,6 l'ele
mento della totalità dei popoli, che abitano «alla sua om
bra».''' Le modificazioni rispetto alla forma originaria, intro
dotte dalla comunità premarciana, vanno ravvisate, oltre che
nella già menzionata citazione veterotestamentaria, in partico
lare nell'inserimento dei vv. 31b. 32a (ad eccezione di &.vcx�cxl
'H
vet ) . In questo modo la parabola viene trasformata in para
bola di contrasto. ''"' Luca da parte sua, ad eccezione dell'intro
duzione probabilmente redazionale (Le. 13,18a) , ha mantenu
to intatta la versione Q:"' la versione Q parla di un uomo che
getta il seme di senapa nel suo orto; essa mette in risalto
esplicitamente la crescita della pianta fino a diventare un albe-
150. Diversamente Dupont, Couple, 343, che pensa ad fa. 17,23 (LXX) e Ps. 104
(103),12.
151. Schulz, Q, 301 n. 291 ; Dupont, Couple, 343. Forse sullo sfondo sta l'immagi·
ne del cedro di Israele, che è il luogo della pace escatologica per tutti i popoli (cfr.
Ez. 17,22-24; Dan. 4; così Funk, lnterp. 27, 4). Per le concezioni che fanno da sfon
do cfr. anche McArthur, CBQ 33, 202 s.
1 5 2 . Schweizer, Mt, 199.
153. Già dal materiale si può dedurre che originariamente si trattava di una vera e
propria parabola (diversamente da Schulz, Q, 301) , che fu trasmessa nella comunità
premarciana (ma non in quella di Q!) cfr. sotto, e Kuhn, Sammlungen, 103.
154. Questo sviluppo non risale a Mc., poiché qui mancano le sue peculiarità lingui
stiche (cfr. sopra, pp. 132 s. n. 38); vedi anche Kuhn, Sammlunge11, 103 in contrasto
con Crossan, JBL 92, 257 (di Marco). Ma esso non è neanche originario (in contra�to
con McArthur, CBQ 33, 206; Jeremias, Gleichnisse, 147; Schmid, Mk, 103 s.); l'espan
sione è evidente anche da un punto di vista puramente grammaticale (Jiilicher, Gleirh-
11isse II, 571, però con l'argomento che sarebbe più originaria la versione di Luca).
155. L'introduzione matteana (v. 31a) è redazionale (cfr. Mt. 13,24; vedi sopra, p. 151
n. 1 17, e Dupont Couple, 333), quella lucana è incerta. La doppia domanda in Le. è
simile alla versione di Mc. , mentre Mt. 13,31b presenta una formula tipica della tra
dizione prematteana (Schweizer, Gemeinde, 9 8 s.), qui dunque non dovrebbe rap
presentare quella di Q {così pure Schulz, Q, 299 con n. 273, e gli altri autori ivi cita
ti) . In Mt. 13,31c.32 tutti gli elementi divergenti da Le. possono essere spiegati con il
fatto che Mt. combina la versione Q con quella di Mc. (analisi in Schulz, Q, 299 s.);
per una valutazione complessiva cfr. Jiingel, Paulus und Jesus, 152.
161
ro, tra i cui rami possono nidificare gli uccelli; essa infine ha
trasformato la similitudine originaria in un racconto paraboli
co, descrivendo tutto quel processo sotto forma di una storia.
L'idea del contrasto non è marcata, è messa in risalto invece
la crescita; la parabola del grano di senapa si avvicina cosl alla
parabola del lievito formulata anch'essa come racconto para
bolico, che in Q le venne abbinata.•'6 In Mc. 4,30-32 non sono
rilevabili elementi redazionali marci'ani. Le. pone ambedue le
parabole nel contesto di un richiamo alla conversione rivolto
ai giudei (13,1-9, seguito dalla disputa con un capo della sina
goga: 13,10-17) ed in quello della chiamata dei pagani al re
gno di Dio (13,22-30). Mt. scrive «nel suo campo» (13,31),
che ricorda 13,24; per il resto, combina Mc. e Q, senza però
riprendere da Mc. l'allusione aUa totalità dei pagani. La collo
cazione nel contesto risale alla fonte premarciana.
L'Ev. Th. (20) non collega la parabola del grano di senapa
a quella del lievito (Ev. Th. 96) . Esso presuppone la cono
scenza di Mt. (regno dei cieli! ) e della versione saidica di
Mc. ;''1 rivela inoltre elementi secondari rispetto alla tradizione
sinottica: domanda dei discepoli come introduzione; la terra
coltivata; un germoglio di grandi dimensioni; mandar fuori;
ricovero per gli uccelli; eliminazione delle allusioni veterote
stamentarie.1'8 È ben chiaro dunque che la parabola del Van
gelo di Tommaso non può essere utilizzata per la ricostruzio
ne della tradizione della parabola sinottica. ''9
156. Così anche Bultmann, Synoptische Tradition, 186 (l'abbinamento non può essere
originario); Dodd, Parab/es, 192 (contro l'autenticità; ma non accenna per niente a
Ql; cfr. Punk, lnterp. 25, 167. Dupont, Coup/e, 336 si pronunzia per una combina
zione originaria.
157· Schrage, Thomasevange/ium, 62 s.
158. Cfr. Schrage, Thomasevange/ium, 64 s.; Montefiore, NTS 7, 227-229; Giirtner,
Theo/ogy, 212. 232; per il carattere secondario anche Perrin, ]esus, 173; diversamente
invece Crossan, JBL 92, 258 s., che fa risalire la versione dell'Ev. Th. alla parabola
originaria di Gesù indipendentemente dalla tradizione sinottica.
159. In contrasto con Crossan, JBL 92, 259; Jercmias, G/eichnisse, 146. Il rinvio ai
tratti «allegorici» assenti nell'Ev. Th. (sui motivi di tale assenza cfr. sotto, pp. 169 s.
con le nn. 194-196) non si riesce a comprendere cosa possa dimostrare.
La parabola del lievito (Le. r3,20 s. par.) già in Q era colle
gata a quella del granello di senapa ed era introdotta da xcxl
7tciÀtv d7te:v.'6<> La forma interrogativa (Le. 13,2ob) è origina
ria, tanto più che l'introduzione di Mt. risulta in parte reda
zionale (13,33a)' 6 1 in parte anteriore a Mt. (33b) .'62 Per il resto le
due versioni coincidono quasi del tutto. '6J Non c'è alcun moti
vo per non attribuire la parabola al Gesù storico. '64 Il contesto
nei vangeli è lo stesso del granello di senapa. Il Vangelo di
Tommaso parla del «regno del Padre», lo paragona ad una
donna (non al lievito) , introduce il contrasto «poco lievito I
grossi pani», lascia cadere la quantità della farina ed aggiunge
un ammonimento: tutti elementi chiaramente secondari. '6'
Interpretazione
Sulle labbra di Gesù la parabola del granello di senapa ave
va pressapoco la forma seguente:
Come dobbiamo raffigurare il regno di Dio, in quale parabola dobbia
mo rappresentarlo? (E) come un granello di senapa, che una volta semi
nato nella terra cresce, e produce dei rami cosl grossi che gli uccelli pos
166
sono nidificare alla sua ombra.
160. Bultmann, Synoptische Tradition, 186; Schulz, Q, 307 con le nn. 327 s.
161. Cfr. sopra, p. 161 n. 155 all'inizio.
162. Cfr. sopra, p. 161 n. 155 al centro con la bibliografia indicata.
163. La scelta fra Mt. (èvÉxptJljiEv, hapax) o Le. (éX?ui.jiEV, un po' più frequente) è in
certa. � possibile che Mt. abbia preservato qui la versione originale (Schulz, Q, 307);
la cosa però non ha alcuna importanza.
164. La versione Q concorda per molti aspetti con la parabola del granello di senapa
ricostruita nella forma risalente a Gesù (la dinamica inarrestabile che da una iniziale
piccolezza porta a una grandezza iperbolica). Anche la provocatoria utilizzazione
dell'immagine del lievito (Jeremias, Gleichnisse, 148 s.; Schulz, Q, 308 s. e la maggior
parte degli autori) è tipica del Gesù storico (Jeremias, Gleichnisse, 149; si pensi in
particolare alla parabola dell'amministratore infedele, Le. 16,1-8). Indimostrata la te
si di Schulz, Q, 309, che vede nella parabola una creazione della comunità giudeo
cristiana ellenistica.
165. Identica valutazione anche in Montefiore, NTS 7, 227; Schrage, Thomasevange
lium, 183-185; Giirtner, Theology, 230-232; Haenchen, Botscha/t, 46.
166. Non è più possibile ricostruire del tutto la forma di quest'ultima parte della pro-
Se si legge questa parabola senza preconcetti, l'alternativa
«contrasto»l«crescita»'67 si rivela infondata. Se si analizza la
costruzione con éhav, risulta chiaro che è in gioco da un lato
il rapporto tra la proverbiale piccolezza del granello di senapa
e la grandezza dell'arbusto, dall'altro il rapporto tra il neces
sario momento iniziale, corrispondente alla semina, e il gran
dioso momento conclusivo. Il granello di senapa, una volta
seminato, diviene con la certezza di un evento naturale un
grosso arbusto,168 tra i cui rami possono trovare addirittura di
mora gli uccelli. Nel rapporto dinamico tra il granello di se
napa e l'arbusto, Gesù rappresenta il regno di Dio affinché al
l'uditore diventi chiaro il rapporto dinamico tra il regno di
Dio presente sin d'ora nella piccolezza ed il suo grandioso
compimento futuro. «La conclusione magnifica è certa. Per
ciò ci si può fidare dell'inizio impercettibile».'69 L'inizio imper
cettibile è il regno di Dio presente nei segni miracolosi e nelle
parabole di Gesù, la sua presenza nella parola e nell'azione di
Gesù. Questo inizio impercettibile è il presupposto necessa
rio'10 per il compimento futuro della basileia nella gloria con
l'intervento di Dio alla fine dei tempi. Gesù dunque intende
il proprio presente come il presupposto necessario del futuro
di Dio, vede l'impercettibilità della sua parola e del suo agire
posizione. Ma l'accenno agli uccelli può essere inteso come illustrazione concreta
della sorprendente grandezza raggiunta da quest arbusto di senapa (non è necessa·
'
168. La pianta di senapa raggiunge effettivamente, nei pressi del lago di Genezaret,
un'altezza di due metri e mezzo I tre metri (Jeremias, Gleicbnisse, 147 con richiamo
a Dalman e Wilken, n. 2); per il contrasto di senapa· arbusto di senapa, Str.-Bill. I,
669. Il parallelo Ta'an. 41, che si accosta di più alla nostra parabola, non parla però
di un granello di senapa.
169. J ii ngel, Paulus una Jesus, lH; cfr. Fuchs, Zeilversliindnis, in GA 11, 347; dello
stesso, Exegese, in GA 11, 289. 291 .
170. L o mostra innanzi tutto l a costruzione con OT(ltv; per OT(ltV col congiuntivo aori
sto cfr. Baucr, Wb, s. v. 1b.
alla luce della gloria del compimento divino. Con la parabola
del granello di senapa gli uditori vengono coinvolti in questa
realtà : vengono invitati a riconoscere il futuro glorioso di Dio
nella parola e nell'agire di Gesù, e in base a questa certezza
del futuro glorioso a fidarsi dell'inizio impercettibile. '7' La pa
rabola «dona agli uomini una realtà che essi non potevano
sperare e su cui non potevano contare».'7'
Del tutto simile è il senso della parabola del lievito:
A che cosa devo paragonare il regno di Dio? È simile al lievito che una
donna prese e nascose in tre staia di farina fino a che non lievitò tutto.
171. Questo «fidarsi• può certo essere indicato più precisamente come «fede». Pe
raltro mi sembra poco fondato riferire il granello di senapa alla fede (Fuchs, Jesus, 83:
nel tempo escatologico anche la fede più piccola è grande, cfr. op. cit. , 84: «In con
fronto a ciò che è la basileia, la fede deve essere sempre piccola - . .. - e tuttavia in
se stessa è un prodigio») . Non si tratta di contrapporre la basileia allafede, bensl di
contrapporre la presenza di Dio alla fine e la presenza di Dio adesso in Gesù. Chi
condivide fiduciosamente la certezza della relazione tra il presente di Gesù ed il fu
turo, può certo essere definito «credente», ma non per questo è la sua fede ad essere
«miracolosa in se stessa».
172. Fuchs, Exegese, in GA 1 1 , 291. Qui si rivela limitativo l'approccio metodologi
co di Jeremias, secondo il quale il conflitto e l'autodifesa sono il luogo storico delle
parabole nella vita di Gesù: il luogo storico di questa parabola (e di quella del lie
vito) sarebbe secondo Jeremias «il manifestarsi di dubbi sulla missione di Gesù»
(Gleichnisse, 148). Per la critica, cfr. Jiingel, Paulus und /esus, 154.
173. Circa la quantità di farina, cfr. Jeremias, G/eichnisse, 146 con n. 4. Essa viene in
-
tesa da Jeremias (ibid.) e Funk, Interp. 25, 167, come riferimento alle «cose di Dio».
In ogni caso si tratta di un elemento chiaramente iperbolico.
174. Si può intendere éxplllji&v come accenno alla «presenza nascosta» del regno di
Dio (menzionata come possibilità in Schweizer, Mt, 199; come elemento della para
bola originaria in Funk, lnterp. 25, 158 s.); questo però non è necessario, cfr. Bauer,
Wb, s.v. 1d: «senza l'intenzione, ma col risultato, che l'oggetto in questione viene
sottratto alla vista• (cfr. il parallelo di lpponatte [VI, v] 250 ivi indicato).
non si sottolinea un processo di sviluppo, ma ci si limita a
mettere in rapporto il momento iniziale e quello finale. '1' Nello
stadio di Gesù abbiamo lo stesso messaggio della parabola
del granello di senapa; con in più però, forse, l'effetto provo
catorio cui può dar luogo il paragonare il regno di Dio al lie
vito, che tradizionalmente simboleggia la forza corrosiva del
male. 176 Il fatto che proprio il lievito, usato spesso come sim
bolo del male, sulla bocca di Gesù diviene una metafora del
regno di Dio, è il riflesso linguistico del fatto che la novità del
regno di Dio ha reso vecchio tutto ciò che era esistito sino ad
allora (anche ciò che era esistito a livello linguistico) .m
La comunità premarciana reinterpretò la parabola di Gesù
del granello di senapa alla luce della proclamazione postpa
squale su Cristo. Il futuro del regno di Dio che ha avuto inizio
in Gesù di Nazaret viene descritto ora in linguaggio veterote
stamentario come «dimora» di tutti i popoli della terra (Mc.
4,32b),178 espressione che riecheggia l'aspettativa, viva nella
1n. Tuttavia anche qui non si può parlare né di una parabola di contrasto (cosìJere
mias, Gleichnisse, 147, confutato da Funk, lnterp. 2,, 167) né di una parabola della
crescita (così Dodd, Parables, 193: «There was in it [se. the ministry ofjesus] no ele
ment of extemal coercion, but in it the power of God's Kingdom worked from wi
thin, mightily permeating the dead lump of religious Judaism in His time»), i due
aspetti si intrecciano l'uno all'altro (come già nella parabola del granello di senapa).
176. Cfr. a questo proposito Jeremias, Gleichnisse, 149; Schulz, Q, 309; e Funk, In
terp. 2,, 161 s., che trae la conclusione - a mio awiso azzardata - che il regno giun
ge «as a negation of the established tempie and cult and replaces them with a sacra·
ment of its own - a new and leavened bread» (p. 162).
177. A questo proposito Funk, lnterp. 2,, 163: la convenzione linguistica viene «re
fracted». Secondo Funk è «il mondo» a costituire il «nesso referenziale», nel quale
gli oggetti vengono conosciuti (op. cii. , 16,). Proprio a questo mondo pone fine lin
guisticamente il regno di Dio, infrangendo i significati stabiliti (op. cii. , 166); «world
gain is concomitant with... language-gain» (op. cii. , 168). In questo processo si ri
specchia l'essenza delle metafore di Gesù, che conducono alla sua fine il vecchio
mondo e lo trasformano in un mondo nuovo.
178. L'allusione ad fa. (31,6) percepibile in Mc. 4.32, parla dell'abitare (xlX'tt)IXEiv)
della moltitudine dei pagani (r.iiv r.ì.ij-8oç i-8vfdV) all'ombra (-:rxiix) dell'albero (è
Egitto, cfr. Ez. 31,2 s.). Gli «uccellh• nel giudaismo simboleggiano i pagani ijere
mias, G/eichnisse, 146 n. 2 con riferimento a T.W. Manson), Xll'tt)IKEiv è un termine
tecnico escatologico ijiingel, Paulus undJesus, 1n con riferimento aJeremias); per lo
sfondo veterotestamentario generale cfr. Schweizer, Ml, 199; Idem, Mk, H·
166
prima comunità (e forse già in Gesù) del raduno dei popoli
alla fine dei tempi. '79 Per questa comunità la parabola abbrac
cia tutta la storia a partire dal ministero terreno di Gesù fino
alla parusia del Figlio dell'uomo. Divenuta cosi un contenito
re linguistico in cui calare tutto lo svolgimento della storia, al
l'interno di esso si poté trovar spazio per inserirvi anche la si
tuazione della comunità stessa. La parabola offri in tal modo
una specie di «spazio linguistico», all'interno del quale fu
possibile alla comunità esprimere la propria situazione colle
gandola alla venuta di Gesù. Introducendo il contrasto tra il
granello di senapa e l'arbusto (Mc. 4,31b.32a) , la comunità fe
ce della parabola raccontata in modo nuovo un conforto per
quelli che pativano scandalo per la impercettibilità di questo
regno di Dio presente solo nella parola;'8o e un incoraggiamen
to per coloro che dubitavano del compimento glorioso e per
ciò non erano affatto disposti a fare affidamento su un inizio
cosi stentato. Contro questi dubbi e questa incredulità si fece
ricorso all'autorità di ciò che è universalmente riconosciuto;
la parabola del granello di senapa fu tramandata sotto forma
di similitudine nel senso stretto del termine. L'evangelista
Marco poté fare completamente sua questa concezione.181
Diverso è l'accento posto dalla comunità Q. La sua inter
pretazione di questa parabola si rivela innanzitutto nel fatto
che essa non sottolinea in modo particolare il contrasto 18• e, di
conseguenza, abbina la parabola del granello di senapa a quel-
179. I popoli pagani arriveranno al momento della parusia del Figlio dell'uomo, cfr.
Ml. 8,11 s. (Schulz, Q, 324 s.; Schweizer, /csus, So).
180. In questo stadio della tradizione il contrasto è addirittura la pointe; cfr. Kuhn,
Sammlungen, 100. È ad esso che si confà l'interpretazione di Jeremias, Gleichnisse,
147 (che egli però propone per il Gesù storico). Circa l'inserimento del contrasto
cfr. sopra, p. 161 n. 154.
181. Mc. intese l'allusione veterotestamentaria nel senso di Dan. 4,18 (21) come riferi
mento al tema (importante per lui) dell'ingresso dei pagani nella comunità di Gesù:
v. Schweizer, Mk, 53. 148 (riguardo a 13,10). Per Mc. dunque la predicazione univer
sale del messaggio su Cristo è allo stesso tempo «spazio linguistico.,. per tutti i popoli
della terra [cfr. 3.1.2].
182. L'affermazione di Mc. 4,31b.32 s. manca, notoriamente, in Q, cfr. Crossan, JBL
92, 254; Schulz, Q, 300; Kuhn, Sammlungen, 100 s.
la del lievito. Invece del contrasto essa mette in risalto la ma
gnificenza del futuro («albero» ) '8' e la sicurezza, insita nella
certezza della crescita, 184 che ad un inizio modesto seguirà un
compimento magnifico. Le allusioni veterotestamentarie fanno
supporre che il «nidificare» di tutti i popoli nella basileia è at
teso solo alla fine dei tempi.18' Rispetto alla comunità premar
ciana, questa comunità riferisce più chiaramente il momento
della semina del granello di senapa al periodo del Gesù terreno
(«che un uomo prende e semina nel suo orto») ,'86 e mediante
«e crebbe» lo collega al momento escatologico. Da questa in
terpretazione della parabola del granello di senapa come sin
tesi di tutta la storia da Gesù fino alla parusia, deriva anche la
sua trasformazione in racconto parabolico.'87 La comunità sa di
collocarsi nel periodo della crescita, un periodo di crescita
misteriosa, miracolosa, che ha preso awio con il Gesù terre
no. L'awio è dato, il grande futuro è certo, e quindi anche il
presente è in movimento. La comunità Q mette in risalto
questo aspetto anche con labbinare la parabola del lievito a
183. Jeremias, Gleichnisse, 146, e molti altri notano questo tratto iperbolico, che però
può essere derivato anche dalle citazioni dell'Antico Testamento. Kuhn ne deduce
che qui l'accento cade inequivocabilmente sullo stadio finale (Sammlungen, 100).
184. Il verbo 11ùçi1n1v racchiudeva già da tempo un significato metaforico (cfr. so
pra, p. 129 n. 19), qui però la crescita non implica una prospettiva evoluzionistica
(a ragione Schulz, Q, 303-30,) .
18,. È difficile stabilire se qui sia già presente l'idea della missione a i pagani come
evento escatologico (cosi Jeremias, Gleichnisse, 146; ancora più chiaramente Grlis
ser, Parusievenogerung, 142), o se le allusioni veterotestamentarie mirino solo a indi
care la pienezza escatologica della basileia (la venuta dei pagani: questa posizione è
sostenuta da Schulz, Q, 30' con n. 316 così vivacemente da escludere ogni riferimen
to alla missione tra i pagani e a non ritenere valido il riferimento, comune negli ese
geti, a Giuseppe e Asenet 61,10-13).
186. La semina nell'«orto• (e i richiami LXX) rivelano un ambiente ellenistico, cfr.
Schulz, Q, 299 con richiamo a Jeremias, Gleichnirse, 22 con n. 3.
187. Cfr. Kuhn, Sammlungen, 103; Jiingel, Paulus und Jesus, 1, 2 riconduce eia predi
lezione del linguaggio parabolico per il racconto parabolico e il racconto-esempio•
all'«essenza della parabola, che esprime la natura come storia•. Questo però a sua
volta andrebbe ricondotto al fatto che il materiale parabolico, ricavato dalla natura, è
stato usato nel corso della storia della tradizione come meuo linguistico per un'espo
sizione storica [cfr. 3.1.2].
168
quella del gran,ello di senapa: il lievito è nascosto nella pasta,
modifica una quantità enorme, il processo di lievitazione è at
tualmente in atto.188 La comunità Q intende ambedue le para
bole come connotazione del presente, senza alcuna traccia né
di attesa a breve scadenza né di ritardo della parusia. '119
Con la collocazione delle due parabole nel contesto di un
appello alla conversione indirizzato ai giudei e della chiamata
dei popoli Luca rende evidente che egli le interpreta nel senso
di una missione universale tra i pagani, nella quale si compie
il movimento del presente. Matteo le contrappone alla para
bola della zizzania: '90 il mondo'9' è in movimento, il regno dei
cieli si affermerà in modo irresistibile, anche se nascosto, fino
al compimento glorioso. '9' Matteo si interessa sia al contrasto
presente nella versione di Mc. sia alla crescita prodigiosa (ac
centuata nella versione Q) messa in moto sin dal periodo di
Gesù.
Il Vangelo di Tommaso interpreta le due parabole in modo
del tutto differente dalla tradizione sinottica. '93 La parabola del
granello di senapa (Ev. Th. 20) è posta nel contesto di un inse
gnamento ai discepoli. Le allusioni veterotestamentarie, che
rinviavano alla storia, vengono qui eliminate a favore di una
interpretazione incentrata sull'esistenza dello gnostico. Il re
cettore del granello di senapa (la terra) deve essere prima
preparato («la terra che si coltiva») affinché esso'94 possa gene-
170
Mt. ;'9'J in tal caso le due parabole furono riunite in una doppia
parabola già prima di Mt. ;""' lo conferma anche la struttura
molto simile delle due parabole:0' Non si rilevano interventi
redazionali e la presentazione del mercante101 come commer
ciante di perle non è un abbellimento, né prematteano né
matteano, bensl un elemento originario. '0J Tutt'al più potrebbe
risalire a Mt. il cambiamento di tempo al v. 46 (eliminazione
dei presenti storici), che però non ha alcuna incidenza sul
contenuto. Sia il «tesoro nascosto» sia la «perla di grande va
lore»104 denotano un'occasione molto rara. Ambedue i temi
nell'ambiente di Gesù sono tra i soggetti preferiti dei racconti
popolari. '0, La mano di Mt. si rivela solo per la collocazione
nel contesto: le due parabole creano un effetto di contrasto
col tono minaccioso dei vv. 41 s.49 s:o6
199· Cfr. sopra, p. 161 n. l''' in contrasto con Jiingel, Paulus und ]esus, 142 (con ri
chiamo aJeremias).
200. Non si può stabilire se già in origine si trattasse di una doppia parabola (a tal
proposito cfr. Jeremias, Gleichnisse, 89 s. 197; Linnemann, Gleichnisse, 103 con n. r ;
Hill, Mt, 237), la questione tuttavia non è importante per l'interpretazione delle due
parabole (conJiingel, Paulus und Jesus, 142).
2or . Cfr. Lohmeyer, Mt, 227. A livello formale la differenza più importante consiste
nel fatto che nell'una è l'oggetto rinvenuto (il tesoro nascosto nel campo) ad essere
paragonato al regno dei cieli, nell'altra lo scopritore (il mercante di perle). Da ciò non
può essere tratta alcuna conclusione, poiché la comparazione non si ferma né all'u
no né all'altro, ma fa riferimento alla storia che ha luogo tra loro. Di qui la traduzio
ne di Jilngel (Paulus und Jesus, 142): «Il regno di Dio è come la storia, che avvenne
con... ».
202. Per É1J-�opo1; cfr. Jeremias, Gleichnisse, 198 («mercante all'ingrosso»).
203 . In contrasto con Jeremias, Gleichnisse, 1 98 (che argomenta con la versione del
l'Ev. Th. !) ; v. Schrage, Thomasevangelium, 1,7, che sostiene l'originarietà della ver
sione di Mt. Il fatto che il mercante sia un mercante di perle è un elemento necessa
rio della narrazione, poiché egli deve essere in grado di stimare il valore della perla
(Jiingel, Paulus und Jesus, 144), mentre un tesoro nascosto nel campo può essere ri
conosciuto nel suo valore da qualsiasi scopritore. Gli elementi indicati come reda
zionali da Kretzer, He"scha/t, 146 s., non sono necessariamente tali.
204. Per la traduzione vediJeremias, Gleichnisse, 198 con n. 6.
20,. A tal proposito Jeremias, Gleichnisse, 199 e Str.-Bill. I, 674 s. In particolare è
interessante il parallelo del Testamento di Giobbe 18,6-8 (Berger, NT 1,, 2-9) .
206. Dupont, NTS 14, 416-418. Cosi pure Kretzer, Herrscha/t, 14,- 148 (che però am
mette molti interventi redazionali).
Il Vangelo di Tommaso riporta le due parabole separata
mente (Ev. Th. 109; 76) . La parabola del tesoro nel campo si
differenzia vistosamente dalla parabola di Mt. :207 qui colui che
ritrova il tesoro è il proprietario stesso del campo, che Io aveva
comprato dal figlio del proprietario originario, senza che il
padre, il figlio e l'acquirente sapessero niente del tesoro; l'ac
quirente Io trova durante l'aratura e col denaro trovato intra
prende un'attività di prestito ad interesse; questa versione
della parabola è chiaramente secondaria. La parabola della
perla narra di un aweduto mercante che aveva un carico di
merci e trovò una perla; qui, a differenza di Matteo, non si
tratta di un commerciante di perle; inoltre costui per acqui
stare la perla (non particolarmente preziosa ! ) non vende tutto
ciò che ha, ma solo il carico di merci; tutti gli elementi risul
tano secondari rispetto a Matteo;""8 inoltre l'Ev. Th. presup
pone la traduzione saidica di Mt. "'9
Interpretazione
Sulla bocca di Gesù la parabola del tesoro nel campo suo-
, 210
nava cosi:
Il regno dei cieli è simile (alla storia) di un tesoro nascosto in un cam
po, che un uomo trovò e (ri)nascose e nella sua gioia"' va e vende (tut
to) ciò che ha e compra quel campo.
212. Questo va sottolineato, contro tutti i tentativi di intendere l'impegno dello sco
pritore nel senso di un sacrificio; cfr. per es. Jeremias, Gleichnisse, c99 (mette in ri
salto la gioia); Linnemann, Gleichnisse, 107 (parla di un «impegno deciso e totale»
che è «necessario» di fronte a una tale occasione. La Linnemann corre il rischio di
porre come elemento centrale l'attività dello scopritore [notato da Jiingel, Paulus
und ]esus, 1 4, ] e di ricadere nell'idea del sacrificio. Ella stessa però nota che questo
sarebbe un equivoco [ibid. , 171 n. 13]). Anche Dupont, NTS 14, 41' s., corre lo stes·
so rischio; Hill, Mt, 238. Cfr. al contrario Lohmeyer, Mt, 227: cChi possiede il regno
dei cieli, si fa volontariamente povero, e proprio per questo è il più ricco di tutti».
213. L'ipotesi del bracciante è quella che più si adatta alla situazione legale, v. Der·
rett, ZNW ,4, 31-42; Jeremias, Gleichnisse, 197 s.; Lohmeyer, Mt, 226.
214. Jiingel, Pau/us und Jesus, 143, da confrontare con Fuchs, Zeitverstiindnis, in GA
I l , 332 s.
21,. Dupont, NTS 14, 4c3, ne deduce che l'accento cade sulla decisione di dar via
tutto ciò che si possiede (op. cit. , 414). Al che si può obiettare: di fronte ad un ritro-
17 3
la cosa trovata: un tesoro nascosto, una perla particolarmente
JI6
preziosa.
•
vamento così fortunato nessun uomo deve «decidersi», si tratta solo di trovarlo. La
questione di come egli debba decidersi, non è posta affatto. Per la questione v. Loh
meyer, Mt, 226.
2 16. Fuchs, Zeitverstiindnis, in GA 11, 334 s.; il paradosso consiste nel fatto che la pa
rabola dello scopritore che agisce ha di mira proprio l'uomo che non agisce. Trovare
è innanzitutto non agire.
217. Sta qui l'aspetto implicitamente cristologico di queste due parabole (cfr. in par
ticolare Dupont, NTS 14, 41,).
218. Mc. 10,21 s. ; Le. 9,,7-62; Mc. l,16-20; 2,13-17.
219. Al riguardo, v. Schweizer, Mt, 203, il quale rileva che «dall 'azione del regno dei
cieli . . . .. scaturisce «l'azione degli uomini ...
174
lineare, tra i minacciosi versetti 41 s. e 49 s., l'aspetto positi
vo, che era già accennato al v. 43 .220 Egli le intende come invito
ad una risposta completa che è l'unica idonea al regno dei cie
li,"' o alla parola del regno dei cieli: .. È possibile che per Mt.
l'uso del presente storico serva anche a sottolineare certi ele
menti divenuti importanti nel periodo seguente."3 L'accento
cadrebbe sulla «preparazione della comunità alla fine, mo
mento per momento»;224 in linea con l'interpretazione mattea
na della parabola della zizzania e della rete; in questo modo
però sarebbe andato perduto qualcosa del messaggio origina
rio sulla basileia che non si limita e prescrivere la risposta, ma
la rende possibile.
Il Vangelo di Tommaso ha apportato notevoli correzioni al
le due parabole. La parabola del tesoro nel campo mette in
particolare risalto che il tesoro è nascosto. Non si tratta più
del rapporto tra il ritrovamento e la reazione dello scopritore,
bensl del trovare stesso e di ciò che il ritrovatore riesce a fare
con loggetto ritrovato. Se ne deduce che qui il tesoro nel
campo rappresenta l'elemento spirituale nascosto nell'uomo,
che la maggior parte degli uomini non immagina neanche e
che se riconosciuto e valorizzato condurrà"' alla ricchezza spi-
. u6
r1tua le.
La parabola della perla - alla luce della simbologia della
perla nello gnosticismo - è espressione dell'antropologia
1 76
miglianza tra le due parabole e perciò le ha interpretate allo
stesso modo.'1'
L'Ev. Th. nel logion 8 presenta una versione molto diffe
rente della parabola della rete:m l'uomo (non il regno di Dio)
è simile ad un avveduto pescatore'H (non ad una rete) che get
ta la sua rete e la tira su piena di pesci piccoli (non di pesci di
ogni tipo) , tra i quali però ne trova uno ottimo grosso; allora
l'avveduto pescatore getta via tutti quelli piccoli e sceglie sen
za esitazione il pesce grosso (non i pesci buoni) . Poiché la
struttura narrativa è simile a quella della parabola della rete in
Mt. , e d'altra parte è innegabile una certa somiglianza con la
parabola del tesoro e della perla, si può avanzare l'ipotesi che
nell'Ev. Th. la parabola della rete di Mt. , sotto l'influsso delle
due precedenti, sia stata sottoposta ad una reinterpretazione
gnostica che l'ha trasformata nella parabola del pescatore av
veduto. •J>
Interpretazione
Nulla impedisce di ricondurre la parabola della rete al Ge
sù storico.'36 In questo stadio il testo doveva essere il seguente:
Con il regno dei cieli avviene come (con la storia di) una rete che fu
«fuoco» si adattano alla parabola della zizzania, ma non a quella della rete. Bultmann,
Synoptische Tradition, 1 8 7, fa risalire invece la spiegazione alla parabola originaria;
diversamente Lohmeyer, Mt, 227 s.
2 32. Non se ne può concludere che si tratta di una doppia parabola (con Jeremias,
Gleichnisse, 222).
233. Jeremias, Gleichnisse, 199 s., evidentemente non nota una correlazione tra Ev.
Th. 8 e Mt. 13,47 s. , poiché colloca il logion 8 nel contesto di Mt. 1 3,44-46 e ne indi
ca come pointe la «gioia per il xa:H1x-8u.;», grazie alla quale l'uomo, «senza alcuna
esitazione», fa la scelta giusta (op. cii. , 200).
234. La caratterizzazione del protagonista mediante tale aggettivo è frequente nel
l Ev Th. , cfr. per es. Ev. Th. 76 e Schrage, Thomasevangelium, 39.
' .
235. Così Schrage, Thomasevangelium, 37-40. La dipendenza però può essere diffi
cilmente dimostrata.
236. Se la parabola della zizzania tra il grano nella sua forma originaria regge ai crite
ri della discontinuità e della coerenza (cfr. sopra, p. 155 n. 133), allora per motivi di
coerenza anche la parabola della rete dev'essere attribuita alla predicazione di Gesù.
177
gettata in mare e raccolse'11 (pesci) di ogni tipo; e quando fu piena la ti
rarono a riva, si sedettero e raccolsero quelli buoni nei cesti, ma quelli
inutilizzabili li gettarono via.
Se si considera la parabola indipendentemente dall'interpre
tazione di Mt. , non sussiste alcun motivo di vedere in essa una
parabola del giudizio.238 Se poi si tiene conto della forte analo
gia con la parabola della zizzania, è chiaro che qui è in gioco
la contrapposizione delle due azioni «raccolta» e «separazio
ne».219 «Mentre la rete raccoglie tutti i tipi di pesce (. .. ), i pe
scatori selezionano la massa del pesce raccolto».'4° Ma raccolta
e selezione sono correlate l'una all'altra in modo tale che l'una
non è possibile senza l'altra. Le figure scelte sono perfetta
mente adatte a mettere in risalto da un lato la raccolta incon
dizionata (la rete «raccoglie pesci di tutti i tipi») , dall'altro
l'ovvietà della separazione («i pesci non commestibili non
vanno al mercato»).241 Questo rapporto raccolta/separazione
formulato in questi termini viene ora posto in relazione con
il regno di Dio: nel regno di Dio il futuro indubitabile della
separazione è indissolubilmente intrecciato al presente della
raccolta incondizionata. Questo intreccio deve essere mante
nuto e non può essere eliminato, né col privilegiare il presente
a scapito del futuro (nel senso di un processo graduale dalla
raccolta alla separazione, iniziato già nel presente,242 per cui il
237. Traduzione con Bauer, Wb, s.v. 1.
238. In contrasto con J. Jeremias: «Entrambe l e parabole sono parabole escatologi
che, perché entrambe trattano del giudizio finale, che introduce il regno di Dio . . . »
(Gleichnisse, 223 s . ) . Con pari fondamento invece si potrebbe dire che entrambe trat
tano del presente di Gesù, che introduce il regno di Dio.
239. Cfr. sopra, pp. 156 s. (ivi espressa attraverso la distinzione di tre tempi). Il pe
riodo intermedio qui scompare. Per il rapporto «raccolta/separazione» cfr. Jiingcl,
Paulus und Jesus, 146 s.
240. Op. cit. , 146.
241 . lbid.
242 . Così per es. Jiilicher, Gleichnisreden II, 567: ciò che «Gesù spera e ciò che i
suoi fedeli devono sperare, non è la venuta del regno di Dio, . . . bensì il completa·
mento definitivo del regno già presente nel mondo, la sua comparsa in uno splendo
re inoffuscato». Il carattere escatologico della separazione viene qui totalmente tra·
scurato. Lo stesso si dica per Dodd: dopo avere sottolineato che «the mission of
178
futuro si riduce a perfezione del presente), né col privilegiare
il futuro a scapito del presente (nel senso di un giudizio apo
calittico futuro, del tutto indipendente dalla raccolta in atto
nel presente) . •o
Se la parabola cosl intesa viene messa in rapporto col Gesù
terreno, si evidenziano interessanti sfaccettature di significa
to. Riguardo alla autocomprensione di Gesù, risulta significati
vo il fatto che la raccolta in corso nel presente, che si compie
attraverso l'insegnamento parabolico e si rinnova con la rac
colta incondizionata di farisei, pubblicani e peccatori intorno
a Gesù, è un presupposto necessario per il futuro del regno di
Dio. Senza la sua parola e la sua azione destinata a raccogliere
gli uomini intorno a lui, non ci sarebbe la separazione futura.
Si manifesta cosi il rapporto che lega il presente al futuro;
mentre quello che lega il futuro al presente viene salvaguar
dato in quanto la indubitabile separazione (escatologica) con
sente a Gesù di vedere se stesso esclusivamente come 'colui che
è inviato a raccogliere, e raccogliere senza condizioni. Riguardo
all ' uditore di questa parabola di Gesù bisogna dire che la para
bola gli rammenta la certezza della separazione, affinché egli
non si lasci sfuggire l'occasione di volgersi a Gesù ...... L'occa
sione per la raccolta nel regno di Dio non sussiste in qualsiasi
momento ed in ogni luogo, ma solo adesso, attraverso Gesù di
Nazaret. '4' Inoltre la parabola preserva la «differenza escatolo-
J esus and His disciples involves an indiscriminating appeal to men of every class
and type» (Parables, 188), parla della «selection» che avverrà nella cerchia dei po
tenziali seguaci di Gesù: « The worthy are separated from the unworthy by their
reaction (sic!) to the demands which the appeal (se. ofJesus) involves» (op. cii. , 189).
243 . Così l'interpretazione di Mt. (v. sotto, p. 180) e così anche quella di Jeremias
(nonostante egli, Gleichnisse, 84, svaluti quella matteana come «allegorizzante»), op.
cii. , 223 s. (limitazione all'affermazione del giudizio) .
244. Formulazione simile inJiingel, Paulus und]esus, 147: «La differenza escatologica
tra regno e mondo impone (corsivo mio) all'uomo (in base alla separazione) la deci
sione, poiché Gesù (in base alla raccolta) assicura all 'uomo spazio per la decisione».
245. Da questo punto di vista non è un caso che la parabola si sia sviluppata in/orma
di racconto parabolico (Jiilicher, G/eichnisreden II, 565, pensa addirittura ad una pe
sca concreta) . La parabola deriva la sua verità non dall'autorità di ciò che è consueto,
bensì dalla singolarità dell 'esistenza di Gesù.
179
gica».146 tra separazione e raccolta in modo tale che l'uditore
viene liberato dalla costrizione, insita nella sua esistenza uma
na, a distinguere il buono dall'inutilizzabile sia riguardo a se
stesso sia riguardo agli altri raccolti insieme a lui per il regno
di Dio. La parabola, facendo prendere coscienza all'uditore
di questa differenza, gli dischiude l'accesso al regno di Dio
(nella misura in cui esso è già presente) in modo tale da fargli
accettare spensieratamente l'invito di Gesù.
Matteo ha espresso la sua interpretazione della parabola
nella spiegazione aggiunta ad essa (vv. 49 s.): egli mette in ri
salto in modo particolare l'elemento della separazione, tra
scurando quello della raccolta. 247 Passa potentemente in primo
piano il giudizio sui malvagi, 248 soprattutto se si considera che
della sorte dei giusti - a differenza della spiegazione mattea
na, assai simile, della parabola della zizzania - qui non si fa
parola. 249 In tal modo la parabola assume un tono di ammoni
mento che vuol richiamare l'attenzione dell'uditore (o del let
tore) sulla serietà della sua decisione nei confronti del regno
dei cieli. Prendere coscienza della serietà del momento equi
'
vale a «comprendere» il regno dei cieli. 2 0
Il Vangelo di Tommaso non mostra interesse né per la con
nessione con l'escatologia (chiaramente supposta dall'inter
pretazione di Mt. ) né per la differenza escatologica tra futuro
e presente della basileia. La sostituzione dell'uomo alla basi
leia è comprensibile nell'ambito dell'antropologia gnostica,
secondo la quale «il 'regno' si realizza nello gnostico, l'uomo
xix-.'è�oX,f,v ( . . . )».''' Il paragone tra l'uomo e un avveduto pe-
180
scatore che «sceglie» senza esitazione il pesce buono e gros
so,''' fa capire com'è stata reinterpretata la parabola: lo gnosti
co (o il suo redentore?)'n compie l'unica scelta giusta gettando
via tutti i pesci piccoli e trattenendo solo quello grosso (l'uo
mo sceglie la parte divina di se stesso; oppure: il redentore
scarta gli uomini carnali e sceglie lo gnostico? } . 254 In tal modo
il regno dei cieli viene interpretato in senso intimistico, la pa
rabola in senso individualistico:255 diventa un incoraggiamento
per l'uomo a riconoscere il suo vero io e ad ispirare ad esso la
sua intera esistenza.
2 5 2 . V. op. cit. , 4 1 .
2 5 3 . Spesso non si riesce a stabilire se il termine di paragone sia il redentore o il re
denco (Schrage, op. cit. , 41 indica questa mescolanza come tipicamente gnostica e ri
corda il simbolismo redentore è pescatore nella gnosi mandea e manichea).
254. La qualifica del pesce come «grosso» (cfr. il germoglio Ev. Th. 20; i pani Ev.
Th. !}li; la pecora Ev. Th. 107) fa supporre che il pesce simboleggi l'elemento pneu
matico. Cfr. Clem. Al., Strom. 1 ,16,3, dove le contrapposizioni tra le «molte piccole
perle e l'unica» e tra «la gran massa di pesci e il x11)J,t-x.-!ìu�» sono immediatamente
contigue. Così interpretano anche Haenchen, Botscha/t, 48; Giirtner, Theology, 233;
diversamente invece Montefìore, NTS 7, 231.
255 . Si parla solo di u n pescatore (a differenza del plurale nella versione di Mt.) ;
Haenchen, Botscha/t, 48.
2.2. Le rimanenti parabole nel vangelo di Marco
1. Cfr. ii?Xe:a.9111, che in Mc. ricorre spesso nella redazione (Ml. : 13 X ; Mc. : 27 X ; Le. :
31 X ) . Per 11lhl)i� èv n11p11�),11i� ),11),e:iv cfr. Mc. 4,33 (redazionale, v. sopra, pp. 133
n. 41. 1 36 n. ,53).
2. Innanzitutto il ne:ptéi9-11xe:v �p11yiWv ('# T.M.) rivela che si tratta dei LXX (non del
T.M . ) . Cosl Jeremias, Gleichnisse, 68 n. 1 . Stessa posizione, fra gli altri, in Klauck,
BiLe I I , 122; Frankemolle, BiLe 13, 197; Léon-Dufour, Vignerons, 317; Hengel,
ZNW 59, 19 (che riconduce l'uso dei LXX al traduttore).
3. L'allusione al cantico della vigna va presupposta però anche nella versione origi
naria (con Hengel, ZNW 59, 16). Tuttavia gli elementi sviluppati in Mc. 12,1b non
sono conciliabili con quella linearità che caratterizza le narrazioni paraboliche. V.
anche Jeremias, Gleichnisse, 68 (argomenta erroneamente con l'Ev. Th. , cfr. sotto, p.
187 n. 30 e p. 188 n. 3 3 ) ; Via, Gleichnisse, 1 29; Léon-Dufour, Vignerons, 3 18; Blank,
Sendung, 14; Robinson, NTS 21, 44.5 s. Diversamente Grundmann, Mk, 239.
4. Qui si tratta del canone d'affitto (perfettamente legale) che viene pagato in natu·
ra, v. Hengel, ZNW 59, 15 s. ; cfr. Grundmann, Mk, 23 9 .
volte i vignaioli si oppongono alle richieste del padrone. La
reazione dei vignaioli dal punto di vista formale viene descrit
ta in «diminuendo» (primo invio: afferratolo, lo bastonarono
e lo rimandarono «a mani vuote»: tre verbi; secondo invio: lo
picchiarono sulla testa' e lo coprirono di insulti: due verbi;
terzo invio: lo uccisero: un solo verbo) ; dal punto di vista del
contenuto invece in «crescendo» (percosse, oltraggi, uccisio
ne) . Il triplice invio dei servi è giustificato dallo svolgimento
della narrazione: serve a preparare l'invio del figlio, dimo
strando la risolutezza degli affittuari e accrescendo la tensione
narrativa.6 Il v. 5b.c risulta invece ridondante: «e (di) molti al
tri (che egli mandò) alcuni li bastonarono, altri li uccisero».7 A
questo elemento si collega anche il v. 6a «ne aveva ancora uno
solo . . . ») ; il v. 6a motiva infatti l'invio de/figlio col fatto che i1
proprietario non ha più servi, poiché li aveva inviati tutti. Il
che contraddice la motivazione presente al v. 6b: «avranno ri
spetto per mio figlio». Il proprietario stesso motiva l'invio del
figlio col rispetto che ci si può aspettare nei confronti del suo
rappresentante. 8 Per la narrazione inoltre non è importante il
fatto che il figlio sia quello «prediletto»; mentre dal punto di
5. Per la traduzione di questo hapax neotestamentario cfr. Bauer, Wb, s.v. , e Wilk
kens, NT, ad /ocum.
6. L'invio di un terzo servo viene spesso considerato un «ampliamento popolare»
(cosi Jeremias, G/eichnisse, 69; cfr. per es. Via, Gleichnisse, 129; Frankeméille, BiLe
13, 198; Pedersen, StTh 19, 173 s.; Dodd, Parables, 129; Robinson, NTS 21, 446). Si
deve obiettare però che il terzo invio del servo non anticipa la climax, né può essere
spiegato con qualche interesse della comunità (in tal caso perché avrebbe dovuto es
sere aggiunto il v. 5b?). Se si vuole argomentare con la «regola del tre» (argomenta
zione peraltro molto problematica in materia storica), essa confermerebbe semmai la
tesi della autenticità. Blank, Sendung, 16 s., constata uno sfondo veterotestamentario
(ler. 7,27 s.).
7. Già dal punto di vista grammaticale questo versetto non si inserisce bene (c&. Je
remias, G/eichnisse, 69 n. 3); anche dal punto di vista formale disturba ed inoltre ri
sulta dettato dall'applicazione della comunità (servi � profeti storici). In generale
viene considerato secondario (oltre a Jeremias, cfr. per es. anche Haenchen, Weg,
399; Crossan, JBL 90, 453; Via, Gleichnisse, 129; Hengel, ZNW 59, 7; Frankeméille,
BiLe 13, 198; Pedersen, StTh 19, 174; Klauck, BiLe 11, 123; Léon-Dufour, Vigne
rons, 320), anche se non marciano (Klauck, ibid. ).
8. Hengel, ZNW 59, 3 8 .
vista del redattore Mc. l'aggettivo ha un senso (cfr. Mc. r,11 ;
9,7 ! ) .9 La narrazione procede con la decisione dell'omicidio e
la sua motivazione (v. 7)'0 e si conclude con l'assassinio del fi
glio e con la profanazione del cadavere." Al v. 9a segue la do
manda che mette in rapporto l'uditore e la storia narrata e
sollecita dall'uditore una presa di posizione. " Va rilevato il
cambiamento di tempo al futuro, che potrebbe essere spiega
bile per la domanda (che però avrebbe potuto essere anche al
passato), mentre per la risposta (v. 9b) è comprensibile solo
se la punizione dei vignaioli non è ancora sopraggiunta. •) Men
tre è possibile intendere la domanda come applicazione della
parabola, si deve collegare invece la risposta all' interpretazio
ne, che non dev'essere originaria. ' 4 La citazione di Ps. 117
(118),22 s. LXX' ' ai vv. ro s. riprende un altro elemento della
narrazione: con la citazione sulla pietra angolare, utilizzata
nella comunità primitiva per l'interpretazione della morte e
resurrezione di Gesù, il figlio di cui narra la parabola viene
16. Cosi ad es. Jeremias, Gleichnisse, 7 1 ; Schweizer, Mk, 1 3 1 ; Schmid, Mk, 221; Loh
meyer, Mk, 247 riconduce la citazione del Salmo a Gesù (idea del servo di Dio). Per
l'uso di Ps. 1 18,22 s. cfr. Lindars, New Testament Apologetic, 169-174.
17. Schweizer, Mk, 132 per il v. 12.
18. Ciò può valere come argomento contrario alla redazione marciana solo se si pre
suppone che Mc. 4,10-12 sia reda:r.ionale (così Klauck, BiLe 11, 142 che rileva l'in
coerenza). Ma questa supposizione è debolmente motivata, cfr. sopra, pp. 1 30 s.
19. Partendo dalla pointe della parabola è plausibile l'uditorio indicato al v. 12 (Léon
Dufour, Vignerons, 327).
20. Tuttavia il dato statistico lessicale non è univoco: 'i;r.-:El-11 ricorre nella redazione
(1 ,37 [? Schweizer, Mk, 25]; 3,32; 1 1 , 18[?] ; 14, 1 . 1 1 [?]) e nella tradizione (8, 1 1 ; 8,12;
14,55[?] ; 16,6). xp11-:tiv (non considerando i testi paralleli in Mt. e Le. ) risulta più
frequente in Mc. (Mt. : 5 X ; Mc. : 15 X ; Le. : 2 X ), ma qui spesso anche tradizionale: 1 ,
3 1 ; 3,2 1 ( ? ) ; 5 ,41; 6,17( ?); 7,8(?); 9,27; 14,1 (Schweizer, Mk, 1,56); 14,44.46. t)xì,o� inve
ce è indiscutibilmente un vocabolo prediletto da Mc. Gli altri vocaboli non consen
tono di trarre alcuna conclusione.
21. Per quel che riguarda la questione dell'autenticità cfr. sotto, p. 189 n. 34.
Matteo dopo la questione sull'autorità (21,23-27 par. Mc.
1 1,27-33) presenta la parabola dei due figli (materiale suo
particolare) e inserisce dopo quella dei vignaioli la parabola
del banchetto nuziale, per poi tornare di nuovo al filo con
duttore di Mc. Nella parabola egli apporta alcune modifiche
importanti: l'uomo diviene un «padrone» (v. 33 b ) ; " l'allusione
ai LXX diventa più chiara mediante alcuni spostamenti; so
stituendo a 't'tj°) xcxtptj°) (Mc. ) la costruzione o"e òè: �yytae" b
xcxtpÒç 't'Ù.w xcx pmi>v dà maggior risalto al xcxtpoç; il padrone in
via i servi solo due volte; entrambi i gruppi vengono bastona
ti, uccisi, lapidati;'3 essi non richiedono solo una parte, bensl
l'intero raccolto (v. 34 fine i= Mc. ) ; di conseguenza Mc. 12,5
viene cancellato; l'invio del figlio si richiama a Mc. (ad ecce
zione di àycx7t1J"Oç che manca in Mt. ) ; il figlio viene dapprima
cacciato fuori dalla vigna, solo dopo viene ucciso; la risposta
alla domanda del v. 4ob viene data dagli uditori; gli «altri»
vengono definiti in maniera più precisa come coloro che con
segnano il raccolto È" "oiç xcx tpotç cxù-rwv; dopo la citazione
del salmo ( = Mc. ) Mt. introduce il v. 43 (che si richiama al v.
41) ; il v. 44 potrebbe essere un'aggiunta testuale derivata da
Le. ;'4 nell'epilogo (vv. 45 s.) la comprensione dei sommi sacer
doti e dei farisei viene narrata prima della decisione di ucci
derlo e la paura della folla viene motivata col fatto che essa lo
considera un profeta.
Luca nel contesto segue il filo conduttore di Mc. , però indi
ca esplicitamente «il popolo» come uditorio (i= Mc. ) . Cancella
l'allusione a Is. 5,2 LXX e fa soggiornare il proprietario «per
molto tempo»'� in un paese straniero. Il servo richiede «una
186
parte del raccolto» dell a vigna (xap11:6c; al singolare ! ), il triplice
invio viene mantenuto ed è ben costruito stilisticamente. De
gni di nota i due verbi 11:poai;t.Siv«t e 7tÉtJ.7tttv.26 Le. cancella
l'uccisione del terzo servo; riprende da Mc. l'invio del figlio
ed il trattamento subito da questo, con alcuni miglioramenti
stilistici, usando anche qui il verbo 11:ÉtJ.7tttv (v. r3), e capovol
ge la sequenza uccidere - gettare fuori ( = Mt. ).'7 La domanda
e la risposta seguono Marco. All'annunzio del castigo gli udi
tori reagiscono: «Non sia mail » (v. r6) . Le. cita dal Salmo solo
il v. 22 (v. r7) aggiungendo però un altro detto collegato dal
termine «pietra» (v. r8). Vepilogo segue essenzialmente quel
lo di Mc.
Il Vangelo di Tommaso (log. 65) costituisce una forma mi
sta di tutti i sinottici.28 Degna di nota, indubbiamente, la per
dita degli elementi metaforici,'9 che però non dimostra uno
stadio della tradizione presinottica nell'Ev. Th. , in quanto es
so anche in altri casi cancella redazionalmente elementi che si
riferiscono alla storia della salvezza o alla cristologia."' Cosl
Le. (Ml. : 3 x ; Mc. : 3 X ; Le. : IO x ; Acl. : I8 x ; nel rimanente N.T. : 7 x ) . Per definire la
durata temporale (ad eccezione di Rom. 15,23) ricorre solo nell opera lucana. Con
'
condario una tendenza d i fondo alla deallegoriz7.azione; cfr. a tal proposito Franke
molle, BiLe 13, 199; Klauck, BiLe I I , 1 36.
3 1 . Uno sviluppo tipicamente gnostico, c&. Schrage, Thomasevangelium, 144; contro
Montefìore, NTS 7, 226 che senza ulteriore motivazione considera originario questo
elemento.
32. Cosi anche Montefìore, NTS 7, 230.
33. L'Ev. Th. , in particolare da Jeremias, viene utilizzato molto spesso - del tutto a
torto - come argomento per ricostruire eventuali stadi prcsinottici. Per la nostra pa
rabola per es. egli scrive: «Già nelle edizioni precedenti l'analisi aveva portato alla
conclusione che i tratti allegorici, che troviamo in Marco ma soprattutto in Matteo,
sono secondari. Questo risultato viene ora pienamente confermato (sic!) dall'Ev.
Th. ,,. (Gleichnisse, 68). In base all'Ev. Th. viene considerata secondaria l'allusione a
Is. ,,2 (ihid. ), originario invece il duplice invio del servo (op. cii. , 69) . «Non è rimasto
niente . . . della semplice narrazione come la leggiamo nell'Ev. Th. e in Luca,,. (op. cii. ,
70). Commettono lo stesso errore anche Newell, N T 14, 229; Crossan, JBL 90, 4'6-
461; Robinson, NTS 21, 451. Contro tali tentativi, c&. Dehandschutter, Vignerons,
203-216, in particolare p. 216: «Nous pensons pouvoir comprendre les indications
en faveur d'une telle tradition ancienne (introduction brève, triple mission, finale sur
la mort du fìls) comme le résultat d'une rédaction postérieure aux synoptiques» (op.
cii. , 219). Conclusione simile anche in Snodgrass, NTS 21, 144.
188
Interpretazione
taforico (contro Montefiore, NTS 71 236, che attribuisce la mancanza di questo tratto
nell'Ev. 'J' h. alla sua tendenza deallegorizzante).
38. La ricostruzione si differenzia in punti essenziali da quella che presenta Léon
Dufour, Vignerons, 3271 il quale elimina l'omicidio del terzo servo (ma per quale
motivo?) e considera perciò originario l'annuncio del giudizio (v. sopra, pp. 183 n. 6.
184 nn. 13 e 14) .
39. Dal punto di vista della storia delle forme questa versione va definita come crac-
menti: il comportamento di un uomo che pianta un vigneto
dandolo in affitto, ed il comportamento degli affittuari. Il
rapporto tra il proprietario del te"eno e gli affittuari4° è il cen
tro della narrazione, che può essere trascritto con la coppia
di concetti «azione e reazione». Mentre nella parte prelimina
re il soggetto è «un uomo», nel corso della narrazione è il
«padrone» o «gli affittuari». Il chiasmo dell'ultima fase (deci
siva) è particolarmente bello: lui invia - diceva tra sé e sé - i
fittavoli dicono tra di loro - uccidono. Nella domanda finale
(v. 9a) il soggetto è ancora una volta il padrone. In questo
contrasto che costituisce la narrazione, egli ha per primo la
parola, piantando il vigneto e dando così agli affittuari un
mezzo di sostentamento, ed avrà la parola per ultimo inflig
gendo loro la giusta punizione. L'azione del proprietario con
siste nel suo ripetuto rivolgersi ai vignaioli che - iniziando
con l'invio dei servi - raggiunge il culmine con l'invio del fi
glio. La reazione degli affittuari consiste al contrario nel loro
ripetuto rifiuto che - iniziando con il maltrattamento e con
l'uccisione dei servi - raggiunge il culmine nell'assassinio del
figlio. La narrazione pertanto ha come tema il rifiuto degli af
fittuari alle giustificate richieste del proprietario: un rifiuto
che dovrà avere ovviamente le sue conseguenze. La questione
se questa parabola sia «realistica» o meno41 apporta poco alla
sua comprensione: decisivo piuttosto è il fatto che la combina
zione degli elementi narrativi appaia verosimile all'uditore e
conto parabolico», perché non argomenta con l'autorità di ciò che awiene solita
mente, e rivela tratti chiaramente fittizi (cfr. Crossan, JBL 90, 462; Frankemolle, Bi
Le 13, 198) . La presenza di qualche tratto metaforico non è incompatibile con la for
ma del racconto parabolico (cfr. Bultmann, Synoptische Tradition, 214 s. ) .
40. Ciò risulta chiaramente dalla struttura narrativa e d esclude che il ruolo d i prota
gonista spetti agli affittuari (postulato per es. in Via, Gleichnisse, 1 30, in base alla sua
concezione esistenziale, secondo la quale questa parabola deve avere come tema la
concezione esistenziale di costoro) oppure alfiglio (Frankemolle, BiLe 13, 201 ).
41. Il «realismo» della parabola non può assurgere a criterio di autenticità (rappre
sentativo: Jeremias, Gleichnisse, 72-74 che vede nel realismo l'elemento distintivo tra
parabola ed allegoria e pertanto si sforza di dimostrare punto per punto il realismo
della nostra parabola) anche se si deve concedere che la parabola funziona solo se
descrive un awenimento «immaginabile» (Hengel, ZNW 59, 25) .
190
possa condurlo al punto decisivo. Qui più che mai si deve pre
stare attenzione al carattere fittizio delle parabole. La narra
zione non è «tratta dalla vita» ma deve la sua esistenza all'in
tenzione comunicativa del narratore .µ Lo scopo è raggiunto
.
42. A ragione l'invio del figlio viene considerato come un'esagerazione voluta, detta
ta dall'intento del parabolista (ossia dal pninum comparationis! [cfr. 1.1.3: Jiingel]) e
non è imposto né dal realismo né dalla logica interna del racconto (Weiser, Knechts
gleichnisse, 50-52), anche se è un'eventualità pienamente possibile (Hengel, ZNW
59, 27). lntutile dunque una verifica storica della parabola (con Schniewind, Mk, 145
s.; l'impossibilità della narrazione non è indizio di inautenticità; cfr. Frankemolle,
BiLe 13, 200). Gesù vede rappresentato nell'invio del figlio il suo stesso invio; perciò
racconta cosl. Per altri tratti «non realistici» v. Lohmeyer, Mk, 244.
43. Notata già da Jeremias, Gleichnisse, 68, questa metaforicità («carattere allegori
co»), deve essere presupposta già per gli uditori di Gesù (cfr. per es. Léon-Dufour,
Vignerons, 318; Blank, Sendung, 15).
44. Il figlio come «vero vicario del proprietario» (Hengel, ZNW 59, 38) è essenzial
mente differente dai servi, nonostante riceva il loro stesso incarico. Dal punto di vi
sta formale questa differenza fondamentale è sottolineata anche dal fatto che la serie
degli invii dei servi raggiunge il culmine con l'uccisione del terw servo e giunge cosl
alla sua conclusione. In questo modo viene lasciato aperto uno spazio per una nuova
ripresa narrativa (anche per questo motivo non mi sembra giustificata l'espunzione
del v. 5a) .
no molti elementi che servono solo alla logica del racconto e
non esigono alcuna interpretazione metaforica. 4' Se si parte
dal presupposto che il Gesù storico fu il narratore di questa
parabola,-t6 essa deve essere interpretata innanzitutto nel con
testo della vita di Gesù. Il rifiuto del popolo nei confronti di
Dio si esprime in essa come rifiuto nei confronti dei suoi invia
ti, in particolare come rifiuto nei confronti dell'inviato defini
tivo, il figlio. Ma ciò implica che Gesù ha inteso se stesso co
me l'inviato definitivo, il cui rifiuto equivale al rifiuto di Dio
stesso. Gesù come «figlio» fa le veci di Dio:47 la sorte del po
polo giudaico si decide in base al comportamento nei suoi
confronti. Qui si potrà parlare a ragione di una autocompren
sione escatologica e teologica di Gesù. Escatologica, in quanto
Gesù considera se stesso, in analogia ai profeti, come l'inviato
di Dio respinto e perseguitato, ma come fondamentalmente
diverso da essi allo stesso modo che il figlio si distingue fon
damentalmente dai servi. 411 La pretesa di definitività, che Gesù
solleva in questa parabola riguardo alla sua persona, deriva
dalla sua concezione della vicinanza del regno: nella sua per
sona la basileia si era avvicinata al mondo in modo tale da
47. Questo rientra nei significati cui può estendersi il termine ccfiglio•. Si tratta di
una rivendicazione caratteristica del Gesù storico, cfr. Fuchs, ZThK '-3• 219; Rawlin
son, Mk, 162; Blank, Sendung, 2 1 s. 40: ccMi sembra fondato prendere in considera
zione come punto di partenza della designazione 'Figlio' il Gesù terreno•.
48. Sullo sfondo non c'è, owiamente, una visione storico-salvifica, quanto piuttosto
una interpretazione tipologica della storia anche se non nel senso di una tipologia
universale e sistematica. V. Weiser, Knechtsgleicbnisse, '1 s. (la differenza figlio-ser
vo va intesa in senso escatologico! ) . Questo tratto non viene preso in considerazione
da Jeremias (G/eichnisse, 74). Pertanto, «Figlio• non va necessariamente inteso come
specifico titolo cristologico (con Hengel, ZNW ,9, 38), ma nel contesto della co
scienza «filiale• di Gesù. Importante, comunque, la rivendicazione della definitività,
avanzata da Gesù (un po' come nelle antitesi del discorso della montagna). Cfr. an
che Léon-Dufour, Vignerons, 323; Blank, Sendung, 17 s. (che attribuisce la conce
zione al giudeo-cristianesimo palestinese, non a Gesù) .
comportare una differenza essenziale tra lui e tutti gli inviati
precedenti; ed è per questo che la sorte di Gesù nella nostra
parabola viene tematizzata molto di più che nelle altre. A
questo riguardo va rilevato che oggetto della parabola non è
la sorte di Gesù in se stessa ma solo in quanto col destino del
la sua persona è in gioco la basileia stessa. Rifiutando Gesù, il
popolo di Dio in pari tempo rifiuta la presenza del regno di
Dio. E poiché la vicinanza della basileia instaurata attraverso
Gesù non può essere superata da nessun'altra più grande, la
storia di Dio con Israele con l'invio del figlio raggiunge la sua
conclusione. In tal senso, l'uccisione del figlio nella parabola
corrisponde alla valutazione che Gesù dava del suo conflitto
con il giudaismo ufficiale, e non è una profezia o una predi
zione della sua passione. Il contesto storico della parabola
potrebbe essere quindi l'ultima fase dell'attività di GesÙ.49
In quest'ultima fase del conflitto Gesù stimola gli uditori a
prendere coscienza, a rendersi conto dell'enormità del rifiuto
nei confronti dell'ultimo inviato divino. La parabola deve
mostrare agli uditori che cosa è in gioco nel loro comporta
mento nei confronti di Gesù, definendo il comportamento
nei confronti di Gesù come comportamento nei confronti di
Dio stesso. La domanda finale provoca il consenso dell'udito
re sull'owietà con la quale al rifiuto ostinato seguirà la puni
zione. In tal modo la parabola rammenta agli uditori la puni
zione di Dio, che il loro comportamento ha provocato, ma
non per annunciare,0 il giudizio, bensi per ricondurli alla ra
gione e alla conversione. Perciò la parabola ripete con pres-
49. Con Jeremias, Gleichnisse, 74 s. e Hengel, ZNW 59, 37. C'è da chiedersi però se
la parabola abbia realmente il suo contesto storico nel conflitto coi farisei (così per
es. Rawlinson, Mk, 162).
50. Solo con grande cautela si può parlare di una «parabola di giudizio» (Hengel,
ZNW 59, 33). Il giudizio non compare come oggetto diretto di annunzio, ma solo
nella vicenda parabolica, in cui è menzionato come qualcosa che va da sé. Viene a n
nunciato nella parabola solo perché possa essere evitato. Questa forma metaforica
che assume qui l'annuncio del giudizio, a mio awiso dovrebbe essere oggetto di ben
più attenta considerazione. Essa senz'altro si presenta fondamentalmente come non
apocalittica, perché fa di tutto per portare l'uditore dalla parte della salvezza.
193
sante insistenza il tentativo di Dio, già palese -in tutta la storia
di Israele, di dissuadere Israele dal «no» nei suoi confronti e
portarlo al «SÌ» nei confronti dell'inviato definitivo.'' Il fatto
stesso che questo tentativo assume la forma di una parabola è
espressione dell'azione di Dio, che vuole attirare a sé, invitare
al consenso: azione di Dio che era iniziata con i profeti del-
1'Antico Patto ed ha raggiunto il culmine e al tempo stesso la
conclusione con l'invio del figlio, perché Dio con la resurre
zione di Gesù si è tanto avvicinato al mondo da superare an
che il «no» del mondo nei suoi confronti.
La comunità premarciana ha utilizzato la parabola di Gesù
per rappresentare la sua visione della storia della salvezza. Da
una parte con l'allusione ai LXX al v. rb essa indica che la
parabola riguarda innanzi tutto il rapporto tra Dio e Israele.
Dall'altra, l'inserzione del v. 5b rende assolutamente chiaro
che l'invio dei servi rappresenta quello dei profeti.'' Ne conse-
51. Su questa base vanno respinte alcune interpretazioni correnti. Un esempio parti
colarmente chiaro di interpretazione che si attiene rigorosamente al canone jiiliche
riano del lerlium comparalionis è offerto da J.E. e R.R Newell, NT 14, 226-237: il
lerlium comparationis sarebbe il trattamento crudele subito dai messi del padrone;
la parabola perciò si rivolgerebbe agli zeloti o ai loro simpatizzanti: «An audience of
Zealot sympathizers would not be sympathetic to the foreign landlord» ma piuttosto
al riformismo agrario degli zeloti. «The hcarers of the parable are forced to a con
clusion that they would not normally accept: that the logica! outcome of such tactic
(se. la «violence» degli zeloti) is self destruction» (op. di. , 236) La pointe della para
.
194
gue la nuova motivazione dell'invio del figlio: dopo che Dio
aveva inviato al suo popolo tutti i profeti, non gli rimaneva
più nessun'altra possibilità che inviare suo figlio. Nonostante
la diversità della motivazione originaria, anch'essa serve alla
comunità per esprimere la definitività dell'invio del figlio.H In
tal modo la sorte del figlio viene compresa in analogia con
quella dei profeti.'4 L'interpretazione cristologica della para
bola di Gesù, già evidente nei ritocchi suddetti, lo diventa an
cor più con l'aggiunta della citazione del Salmo (vv. 10 s.) : la
storia di Dio con Israele non fini con la morte violenta del fi
glio; al contrario, Dio stesso pose un nuovo inizio facendo ri
sorgere il Crocifisso e trasformando la pietra scartata in pietra
angolare." Questo nuovo inizio da una parte ed il comporta
mento degli affittuari dell'altra implica che il vigneto sia
«consegnato ad altri». Il disegno di Dio su Israele è fallito per
il rifiuto del suo popolo; il progetto di Dio d'ora in poi dovrà
avere altri interlocutori: la comunità cristiana.'6
Questa trasformazione, che la parabola originaria di Gesù
ha subito strada facendo nella comunità, assume un valore
paradigmatico e merita una analisi approfondita. Essa mette
in luce come la «metà figurata» della parabola di Gesù sia di
venuta nella comunità il veicolo linguistico della sua cristo
logia e della sua autocomprensione storica (storico-salvifica) .
n. Con l'accenno i-:1 iv11 Elxtv la comunità indica che l'epoca dei profeti è già pas·
sala e che è giunta l'epoca del Figlio. Questo aspetto di definitività viene qui motiva
to, più che in senso cristologico-funzionale (come nella parabola originaria), in senso
s t orico - salvifico (adesso è la pienezza dei tempi).
;4. Questa potrebbe essere una delle prime forme documentabili della cristologia,
cfr. Klauck, BiLe I I , 139; Frankemolle, BiLe r3, 202; Blank, Sendung, 19-22.
;;. L'aggiunta della citazione del Salmo conferma ancora una volta che la parabola
era di Gesù e non implicava la resurrezione; l'aggiunta, infatti, rompe chiaramente
l'unità della forma (v. Klauck, BiLc I I , 1 36-140; Léon-Dufour, Vignerons, 333 s.;
Crossan, JBL 90, 4.5,5; cfr. Lohmeyer, Mk, 246, che tuttavia attribuisce la citazione al
redattore). Blank, Sendung, 18 (nel presupposto di un'origine postpasquale) definisce
questa aggiunta altamente significativa.
56. Qui ci troviamo dinanzi ad uno stadio arcaico dell'autocoscienza ecclesiologica
della comunità: essa si considera subentrata ad Israele (cfr. anche Frankemolle, BiLe
1 3, 202).
1 95
Da un lato l'immagine originaria fu sviluppata, per riflettere
più chiaramente l'esperienza storica (citazione di Is. , v. 5b, v.
9b, citazione dal Salmo) . Dall'altro, venne utilizzata per inter
pretare la morte e la resurrezione di Gesù come l'intervento
definitivo di Dio, come la svolta del mondo. In tal modo la
parabola consenti alla comunità di comprendere la morte di
Gesù come conclusione della storia di Dio con Israele ed allo
stesso tempo come inizio di una nuova storia. Con questa in
terpretazione la comunità esprimeva il fatto che Gesù era il
narratore ed allo stesso tempo l'oggetto della parabola. Con
la sua interpretazione «allegorizzante» essa prese sul serio il
fatto che il contenuto della narrazione non fosse valido per
chicchessia ma solo per Gesù, che - crocifisso al posto di Dio
- era stato da Dio richiamato alla vita.'7
Marco a sua volta definisce gli uditori come i rappresentan
ti del popolo giudaico e attesta cosl di condividere l'interpre
tazione della sua comunità. Nella parabola, per lui, è in primo
piano non tanto la promessa di Dio alla comunità cristiana
quanto l'affermazione cristologica: lo dimostra l'inserimento
del predicato cristologico àya7tT,'toc; come pure la collocazione
della parabola nel contesto delle controversie in Gerusalem
me.'8
Matteo invece, a differenza di Marco, si interessa principal
mente alla dimensione storico-salvifica ed ecclesiologica della
parabola. Egli riformula le metafore in modo tale che appari
rà più chiaro il passaggio del regno di Dio da Israele ad un
«popolo che darà i suoi frutti (vale a dire i frutti del regno di
Dio) (v. 43 cfr. v. 41 ! ) .'9 Tuttavia mentre la versione di Marco
,7. Per questo motivo l'interpretazione cristologica viene definita, a ragione, come la
principale preoccupazione di questa comunità (Léon-Dufour, Vignerons, 33, ) .
,s. Identica valutazione, a d esempio, i n Léon-Dufour, Vignerons, 33, ; Klauck, Bile
II, 142.
,9. Ilv. 43, che rimanda anche al v. 3 1 (�1271),a:i� 't'Q'j �a:ou !), è un inserimento di Mt.
Contro Léon·Dufour ( Vignerons, 343) si deve dire che la versione di Mt. rivela chia
ramente ritocchi storico-salvifici (cfr. per es. la lapidazione dei servi, l'inversione
gettar fuori - uccidere) o dettati dalla polemica col giudaismo, anche se non si limita
solo a questi aspetti.
196
si volge indietro verso quella svolta nella storia della salvezza,
la versione di Mt. la sposta nel/uturo. Questo spostamento va
spiegato nel senso che Mt. col giudizio nei confronti del po
polo d'Israele vuole annunciare60 allo stesso tempo anche il
giudizio sui discepoli, sul nuovo popolo di Dio; 6' egli fa notare
alla sua comunità che il vigneto può essere tolto di nuovo an
che a lei. Cosl si spiega anche l'accentuazione del portar frut
ti: il servo richiede «i frutti» (v. 34) ; il vigneto viene dato ad
altri che diano frutti (v. 41) ; il regno di Dio verrà dato a un
popolo che produca frutti (v. 43) .62 Questa accentuazione del
portar frutti (chiara metafora del «compiere la volontà del Pa
dre» : cfr. v. 3 I l t rivela indubbiamente l'interesse parenetico
di Matteo. 64 Questa prospettiva viene rafforzata anche dal
contesto accuratamente strutturato: mostrando come Israele
subisce l'interrogatorio (21,23-27), la condanna (21 ,28-32), la
sentenza (21,33-46 spec. v. 43 ! ) e la sua esecuzione (22,1 -14
particolarmente v. 7) , Mt. indica alla sua comunità (22,11-14 ! )
quale giudizio verrà emanato su di essa se essa non si com
porta6' secondo le norme del giudizio.66 I ritocchi di Mt. svi
luppano la dimensione storico-salvifica della parabola mar
ciana, subordinandola però alla parenesi. Evidentemente la
situazione della comunità di Mt. richiedeva che fosse denun
ziato e neutralizzato il pericolo della securitas, insito in quella
autocomprensione storico-salvifica. È questo l'obiettivo per-
6o. Resta degno di nota che la comunità «non (è) semplicemente il nuovo popolo di
Dio, bensl un nuovo popolo di stampo particolare» (é,9.voi;) , Schweizer, Mt, 270.
61. Bornkamm, Enderwartung, 40; cfr. a tal proposito Schweizer, Mt, 271 ; Léon·
Dufour, \lignerons, 344.
62. Evidente il crescendo dal v. 41 («consegnare i frutti») al v. 43 («produrre i frut
ti») (Schweizer, Mt, 270).
63. La connessione del v. 43 con il v. 31 non può essere trascurata (Schweizer, Ge
meinde, 117 s.).
64. Cosl pure Barth, Gesetzesverstiindnis, '6; Léon-Dufour, \lignerons, 341 («pers
pective catéchétiquei.).
6,. La misura del giudizio futuro è il fruttificare, cioè compiere la volontà divina;
cfr. Bornkamm, Enderwartung, 18.
66. Per l'intera questione cfr. Schweizer, Mt, 261-263 ; Idem, Gemeinde, 1 17-1 19.
197
seguito da Mt. con la sua interpretazione della parabola dei
vignaioli.
L'interpretazione di Luca si caratterizza da un lato per l'eli
minazione di alcuni riferimenti alla storia della salvezza (egli
sopprime l'allusione ai LXX: v. 9; i servi non rinviano più co
sì chiaramente ai profeti) e dall'altro per la ripresa dell' accen
tuazione cristologica (colpisce particolarmente il v. 1 8 che sot
tolinea la necessità fondamentale67 della decisione nei con
fronti di Cristo) .68 Va notato inoltre che sia per l'invio dei ser
vi sia per quello del figlio viene usato il verbo 7tÉtJ.7tm1 : ciò po
trebbe indicare che Le. non ravvisa una differenza fondamen
tale tra i servi ed il figlio; con ciò concorderebbe il fatto che
per Luca il figlio sarebbe solo il punto finale di una linea ini
ziata coi profeti, dal momento che il terzo servo non viene uc
ciso. 69
Nell'interpretazione del Vangelo di Tommaso va presa in
considerazione innanzi tutto la mancanza di qualsiasi metafo
ra cristologica e storico-salvifica: la storia finisce con l'ucci
sione del figlio. Al centro della parabola, chiaramente, non sta
più il figlio, bensì il compito che egli deve assolvere (ricevere
il frutto in qualità di «erede») .70 Lo mostra anche la trasforma
zione del Salmo: nel log. 66 la pietra non è Gesù, bensì qual
cosa sulla quale è reso possibile l'insegnamento di Gesù, dun
que certamente la vera gnosi.7' Pertanto la parabola mira es
senzialmente a mettere in luce come i portatori di questa gno
si vengono respinti dal mondo e questo - altro elemento tipi
camente gnostico - a causa dell'ignoranza della loro origine
divina. L'ultimo portatore, il figlio, è noto come erede, e viene
ucciso proprio per questo: tale consapevolezza è per lo gnosti-
199
breve assenza; al v. 34a viene conferito ad ogni servo «il pro
prio compito», mentre il v. 36 (come anche il v. 35a) vede co
me compito di tutti i servi il «vegliare».77 Queste contraddizio
ni portano alla conclusione che qui sono confluiti due temi
diversi: da un lato il tema di un padrone che rientra tardi di
notte (vv. 33.34b.35 s.; soggiacente anche alla versione di Le. )
e dall'altro il tema del padrone che si assenta per un lungo
periodo (v. 34a) . Alla domanda da dove provenga il secondo
tema,78 non è più possibile rispondere. I vv. 33-36, in ogni ca
so, non rivelano particolarità linguistiche di Mc. ;79 ma la gene
ralizzazione al v. 37 può benissimo risalire a Mc. Bo
Per la storia della tradizione ne consegue che è difficile sta
bilire quale dei due sia il tema originario della nostra parabo
la; un argomento a favore della originarietà del primo tema
(il padrone che ritorna di notte) è che esso si inserisce bene
nella predicazione di Gesù e della comunità primitiva81 ed
straordinaria ricompensa dei servi (v. 37b), come pure nel fatto che tutti attendano il
padrone.
77. Per l'intera questione cfr. Jeremias, G/eichnisse, 51; Schweizer, Mk, 153; già Jiili
cher, Gleichnisreden 11, 169 s.; Dupont, Maitre, 105-107.
78. Difficile immaginare che derivi da Mt. 2,,14. Sarebbe pervenuto alla comunità
premarciana da una forma anteriore di Mt. 2,,13 ss. (cosl Haenchen, Weg, 453?)?
79. Ha al contrario alcuni termini rari: iiyFumtiv in Mc. solo qui, altrove: solo in Le.
21,36; Eph. 6,18; Hebr. 13,17. r.Qu Mc. 9,19 (2 x , tradizionale) ; 13,4 (senz'altro anche
tradizionale, cfr. Schweitzer, Mk, 144) ; 13,33.3'; ypr,yot:tiv 3 x nella scena del Get
semani (Mc. 14,34.37. 38) ; 3 X nella nostra pericope. &:r.�lJi.a.oi:; (se è giusta la lezione
prescelta dal Nestle) è hapax. oìxlat ricorre in Mc. più spesso come tradizione ( 12 X )
che come redazione (3 X ). Anche ceoualat può ricorrere nella tradizione (2,10 ! ) , con
tro Weiser, BiLe 13, 30. Éxata-roi:; ricorre in Mc. solo qui ( ! ) ; ipyov ricorre in Mt. 6 x , in
Mc. e Le. 2 x ciascuno; assai spesso invece in lo. , Act., Apoc. -8upwp6i:; ricorre solo qui
e 3 X in lo. ÈnÉÀÌ.etv si trova ' X in Mt. , 2 X in Mc. , 1 X in Le. è�atl9VlJi:; si trova solo
qui in Mc. , 2 X in Le. , 2 x Act. ; ><at-8ciJattv si trova 3 X in Mc. nella scena del Getsema
ni, inoltre in Mc. 4,27 (tradizionale, cfr. p. 132). 38 (tradizionale) ; ,,39 (tradizionale) .
So. N e risulta che fu senz'altro Mc. a collocare questa parabola nel contesto del di
scorso escatologico (13,1-27) (cosl Schweizer, Mk, 1,2 s.), perché l'allargamento dei
destinatari si spiega solo in riferimento a 13,3. La stessa posizione anche in jeremias,
Gleichnisse, '1 n. 4; Haenchen, Weg, 4'3; Schweizer, Mk, 1,,; Weiser, BiLe 13, 27;
Dupont, Maitre, 90. 9,.
81. Cfr. ad es. da una parte il logion Mc. 13,32; Mc. 9,1 (se autentico), v. anche Le.
17,20 s. (con Jiingel, Paulus und ]esus, 193 s.), e dall'altra, 1 Thess. , ,2; Le. 12,39.
200
inoltre che la versione di Le. conosce solo questo tema. Un
argomento a favore della originarietà del secondo tema (la
lunga assenza) è che anch'esso è pensabile in bocca a Gesù o
nella primitiva predicazione cristiana ed inoltre armonizza con
la parabola dei talenti.82 La combinazione con l'invito alla vigi
lanza sarebbe in questo caso una ri-apocalitticizzazione di
una parabola (di Gesù) che originariamente mirava a mettere
in luce le esigenze del regno di Dio. 83
Il primo tema, in ogni caso, si fece strada da una parte nella
comunità premarciana, che lo intese in senso apocalittico, 84 e
dall'altra nella comunità prelucana, dove Luca lo trovò e lo
situò nel contesto dei detti sulla vigilanza e la fedeltà (Le.
12,35-48).
Interpretazione
Lo stato del materiale tramandato,8' fortemente rielaborato,
costringe a rinunciare alla ricostruzione di una parabola origi
naria (di Gesù) . In compenso, per i due temi combinati in
Mc. è possibile ricostruire il loro significato nel Gesù storico.
Il tema della breve assenza e del ritorno notturno di un
«uomo» (o di un padrone) già nello stadio di Gesù potrebbe
essere stato collegato con l'invito alla vigilanza (che riguarda
va solo il portiere: cfr. Mc. r3,34b) .86 In questo contesto l'im
magine esprime la vidnanza del regno di Dio, e in termini tali
da mettere in risalto la sua incidenza sul presente, senza però
consentire di stabilire l'intervallo cronologico tra il presente e
82. In bocca a Gesù esprimerebbe l'esigenza insita nella basileia; nella comunità ri·
fletterebbe il problema dcl ritardo della parusia. Secondo Bauckham, NTS 23, 168
l'inserimento del tema dcl padrone che torna di notte equivale ad una «deparaboli
zation» secondaria del tema originario.
83. Sulla ri-apocalitticizzazione delle parole di Gesù nella comunità, cfr. Kiisemann,
An/iinge, 82-104, in panicolare pp. 100-ro4; anche Bauckham, NTS 23, 166 s.
8+ Lo mostra il legame del v. 34b con il v. 33 e i vv. 35 s. (cfr. sotto, p. 203) .
8 5 . Jeremias, Gleichnisse, conclude, a ragione: «è stata fonemente scomposta . . . » .
86. L a stessa posizione in Jeremias, Gleichnisse, 5 1 ; Weiser, Bile 13, 2 8 ; Dupont,
Maitre, III.
20!
/'(imminente) avvento del regno di Dio. 67 Il portiere sa che il
suo padrone è vicino, ma non sa quando verrà, perciò deve
vegliare. Intesa cosi, l'immagine rivela una sua particolare ef
ficacia per eliminare la struttura temporale dell'attesa nel sen
so dell'apocalittica giudaica. Come il portiere ha il compito
di vigilare per non lasciarsi sfuggire l'arrivo del padrone, cosi
l'uditore di questa «parabola» viene spinto a prestare atten
zione ai «segni del tempo» per non lasciarsi sfuggire l'arrivo
della basileia. Questa venuta è da intendere come venuta di
Dio stesso che sazia gli affamati e fa ridere coloro che piango-
88
no.
Già nella prima comunità postpasquale questa immagine fu
interpretata in senso apocalittico. I segni del tempo erano sta
ti constatati: nella comparsa di Gesù si vedeva l'inizio del re-
87. La direzione giusta mi sembra quella indicata da Jiingel quando scrive che Gesù
intende il futuro «come futuro vicino in rapporto diretto col presente». Questo futu
ro non conosce «tempi intermedi» (Pau/us und ]esus, 180). Ne consegue che la vici
nanza della basileia è la sua essenu. «Ma se Gesù espresse l'essenza del regno di Dio
come 'vicinanza alla storia', è inadeguato caratterizzare la predicazione di Gesù con
lo slogan 'attesa a breve scadenza', al quale poi segue necessariamente l'altro 'ritardo
della parusia'» (ibid. ). Questo aspetto della predicazione di Gesù riguardo alla basi
leia, a parer mio, viene considerato troppo poco, anche se si deve concedere che
Mc. 9 1 sembra contraddire questo modo di vedere; cfr. tuttavia Linnemann, G/eich
,
nisse, 138 n. 26. Sul problema, v. anche Dupont, MaiJre, n , : «L'importance décisive
de l'heure présente lui vient du lien qui l'unit à l'intervention finale de Dieu . . . Puis
que son ministère (se. di Gesù) atteste que le Règne de Dieu est tout proche, il est in
vitation à se tenir pret, à se tenir en éveil, sans quoi l'événement tournerait à la catas
trophe».
88. Va criticata perciò l'interpretazione di Jeremias, poiché definisce unilateralmente
come «crisi» la venuta della basileia, e vede perciò nella nostra parabola una parabo
la della crisi. Questa unilateralità deriva dall'altra unilateralità nell'individuare i de
stinatari di questa parabola (gli scribi), G/eichnisse, ,2. E questa a sua volta deriva
dallo scopo attribuito alle parabole da Jeremias: strumento di lotta (cfr. sopra, p. 38).
L'interpretazione di Weiser (Knechlsg/eichnisse, 149 s.; cfr. BiLe 13, 28 s.) tiene trop
po poco conto del fatto che la «vigilanza» è originariamente un'immagine e non può
essere trasposta direttamente nell'applicazione. Tale trasposizione diretta della «Vigi
lanza» presupporrebbe già una interpretazione apocalittica e cristologica del tema.
Dodd (Parab/es, 16,-167) trascura il carattere escatologico della basileia, quando di
ce: «lt (la parabola originaria) was not spoken to prepare the disciples for a long
though indefinite period of waiting for the second advent, but to enforce the neces
sity for alertness in a crisis now upon them» (Parab/es, 167). Per crisi si intende «His
(se. di Gesù) own ministry» (p. 16,).
202
gno di Dio, e si attendeva tra breve il suo compimento come
parusia del Figlio dell'uomo. La concezione del tempo impli
cita nella concezione apocalittica si rivela chiaramente nell 'e
lenco delle varie ore della notte tramandate diversamente in
Le. e Mc.
Le esortazioni a prestare attenzione e a vigilare furono ag
giunte, al più tardi, nella comunità premarciana (vv. 33.35a.
36) ; in tal modo fu sottolineata l'interpretazione apocalittica.
Se si parte dal presupposto che nella comunità premarciana
questo tema sia quello originario,119 l'inserzione del tema del
padrone che va in un paese lontano conferma la validità del
la nostra ricostruzione. In effetti, sotto l'impressione del ritar
do della parusia, si rese necessario correggere la precedente
interpretazione apocalittico-entusiastica: alla concentrazione
sull'incondizionata attesa dell'arrivo del padrone subentrò il
problema del senso da attribuire all'intervallo tra l'inizio e la
venuta. 90 La risposta fu la seguente: come ogni servo ha i pieni
poteri durante l'assenza del padrone per adempiere ai compi
ti che gli sono stati assegnati, così il credente deve esercitare
la funzione che gli è stata conferita, e così dare un senso al
tempo che si prolunga sino alla parusia.
Marco a sua volta colloca qui la parabola, cosi intesa, per
sottolineare la tesi evidente nell'intero capitolo, del ritardo
della parusia, e d'altra parte per mettere in risalto la connota
zione etica del periodo intermedio.91
Anche nella comunità prelucana l'interpretazione apocalitti-
89. Come presuppongono molti interpreti; cfr. per es. Jeremias, Gleichnirre, 5 1 ;
Schweizer, Mk, l H ; Weiser, Knechtrgleichnirre, 137·
90. A tal proposito Schweizer, Mk, 153: «Quando la sola immagine dell'improvvisa
venuta del padrone durante la notte non bastò più, poiché non si può aspettare per
anni e decenni il momento apocalittico della comparsa del Figlio dell'uomo, era ine
vitabile che questa seconda immagine passasse più fortemente al centro dell'atten
zione».
9 1 . Con la sua rielaborazione Mc. ha «allontanato l'attesa apocalittica a breve sca
denza» facendo entrare nella riflessione della comunità cela sua (di Gesù) regalità sul
futuro sino al compimento finale» (Schweizer, Mk, 146; c&. Lohmeyer, Mk, 248 s.).
203
ca92 dell'immagine del portiere viene ripresa e ulteriormente
rafforzata dal particolare che ora tutti i servi hanno il compito
di vegliare ed aspettare il padrone (v. 36).113 Le implicazioni
cristologiche, constatabili già nella comunità premarciana,
passano più in primo piano: il v. 37b descrive la ricompensa
dei servi vigilanti con l'immagine del banchetto di festa esca
tologico, dove il «Signore» servirà i servi; la versione preluca
na dunque identifica chiaramente il kyrios con il Cristo ven
turo della parusia.114 Luca riprende questa concezione preesi
stente e colloca la parabola nel contesto della vigilanza (v. 35)
e della fedeltà (v. 42) . 9' Con ciò egli sembra mettere ancor più
in risalto il periodo intermedio tra la pasqua e la parusia.96
Poiché in Le. 12,45 il xpovl"et esprime una posizione sbaglia
ta, l'accento cade (a prescindere dal problema del ritardo del
la parusia) sulla fedeltà nel periodo intermedio.
Nello stadio di Gesù il tema della lunga assenza del padrone
dovrebbe essere connesso in qualche modo ad un'assenza di
Gesù stesso. Non nel senso che Gesù si sia identificato col
padrone che andava in un paese lontano, ma nel senso che
l'immagine di un uomo che va in un paese lontano, che dà il
potere e dei compiti ai suoi servi, serve a Gesù per esprimere
la permanente validità delle esigenze della basileia anche dopo
la sua morte. In questo caso il ritorno del padrone andrebbe
inteso in senso puramente figurato (quindi senza riferimento
metaforico alla venuta di Dio). L'esigenza scaturisce dalla vi
cinanza della basileia, posta in atto da Gesù. In quanto la vici-
204
nanza della basileia coincide con la sua stessa essenza, tutto
ciò che essa dà e tutto ciò che essa esige valgono anche dopo
la morte di Gesù. Se uno dei compiti delle parabole è di pre
parare i discepoli di Gesù al futuro,97 se è vero che «nella pa
rabola . . . Gesù» va oltre «la sua stessa persona»,911 allora è chia
ro il senso di quest'immagine nel contesto della predicazione
di Gesù: come i servi anche durante l'assenza del padrone
esercitano la sua autorità (tutto ciò che egli dà) ed adempiono
ai loro compiti (tutto ciò che egli esige), cosi tutto ciò che il
regno di Dio dà e tutto ciò che il regno esige valgono per i di
scepoli anche quando Gesù viene loro a mancare. In tal modo
viene espressa metaforicamente la vicinanza del regno di Dio
in relazione all'assenza di colui che l'ha reso vicino.
Se supponiamo che questo tema fosse originario anche nel
la comunità premarciana, se ne deduce che esso, sotto l'influs
so di una autocomprensione apocalittica della comunità, fu
combinato col tema del padrone che torna di notte, già inteso
anch'esso in senso apocalittico. La vicinanza della basileia, in
tesa precedentemente come l'essenza stessa di essa, venne co
sì reinterpretata in senso temporale-apocalittico come venuta
imminente del Figlio dell'uomo. In tal modo l'urgenza della
vicinanza viene motivata in senso temporale e si trasforma
nell'urgenza della vigilanza.
97. Fuchs, Hermeneutik, 226; cfr. Jesus, 88: le parabole rinviano al di là di Gesù.
98. Fuchs, Jesus, 108.
2.3. Le rimanenti parabole Q
l. Per Mt. 18,1·3.5 cfr. Kiimmel, Einleitung, .58 s. 6o; Schweizer, Mt, 233 s.
206
lucano.6 L'applicazione in Le. (v. 7) presuppone chiaramente
il v. 2 («peccatori») .7 Solo con un � si passa alla parabola se
guente;8 con un dm:" ÒÉ.9 tipicamente lucano viene introdotta
poi la parabola del figliol prodigo. Tutti questi elementi sug
geriscono la seguente ipotesi sulla composizione di Le. 15 : la
composizione come tale risale probabilmente a Le. , che rag
gruppò le tre parabole in base alla loro affinità (peccatori,
smarrimento, ritrovamento, gioia) .'0 Le. ha trovato le prime
due parabole già tramandate con la rispettiva applicazione
(vv . 7.10) . 1 1 Anche l'introduzione alla prima parabola (v. 2) gli
(senz'altro Q, v. Hoffmann, S1udien, 48 s. 141 s. 156 s. 309; definito redazionale da
Schulz, Q, 129, che tuttavia nella n. 280 sostiene: «mancano peraltro paralleli sicu
ramente redazionali» (cfr. anche op. cii. , 130 s.); 7,37.39 (patrimonio particolare, tra
dizionale) ; 13,2 (patrimonio particolare, tradizionale); 15,1.2; 1 5 , 7 (tradizionale, cfr.
sotto) ; 15,rn (tradizionale); 18,13 (patrimonio particolare, tradizionale); 19,7 (patri
monio particolare, tradizionale) . Questi dati, a mio avviso, possono essere spiegati
unicamente ammettendo che si tratta del termine usato dalla tradizione prelucana,
largamente usato anche in Mc. , Q e nel materiale particolare di Le. Un punto di vista
puramente statistico può condurre, qui, a conclusioni sbagliate. r.po.,.aÉ'X,t.,...9cu è pre
sente in Le. 23,51 (par. Mc. ) ; 2,25 (materiale particolare); 2,38 ( ? ) ; 12,36 (tradizionale)
e qui. auvt'l'..9it1v si trova nei sinottici solo qui, inoltre 2 x in Aci. e 2 x in Paolo. In
dica sempre la commensalilà: Aci. rn,41 (con il Risorto) ; 11,3; I Cor. 5 , 1 1 ; Gal. 2,12
(coi pagani e col trasgressore a Corinto). Jeremias, ZNW 62, 186 riconduce l'intero
versetto (ad eccezione di r.po'l'8É'X,t'l'-lÌc:tt) alla redazione.
6. Ben dimostrato in Jeremias, ZNW 62, 187.
7. Inoltre anche qui non si trovano particolarità linguistiche lucane: µ.t'Tc:tvotiv non è
presente nel parallelo lucano a Mc. 1,15; lo si trova per il resto in Le. rn,13 par. Ml.
11,21 (Q) ; in Le. 1 1,32 par. Ml. 12,41 (Q); 13,3.5 (materiale particolare, tradizionale) ;
16,30 (materiale particolare, tradizionale) ; 17,3.4 (entrambi Q , cfr. Schulz, Q , 321
s.). Per tiµ.c:tp-;wì.6� cfr. sopra, n. 5. 'X,ptic:tv É'X,t1v è presente in Ml. 6 X, Mc. 4 X, Le. 7
X , risulta dunque equamente distribuito. µ.t'Tcivo1c:t si trova in Le. 3,3 (par. Mc. ) ; 3,8
(par. Ml. , Ql; redazionale in 5,32 e incerto in 24,27 ( inoltre 6 X in Aci. ) . Diversa con
clusione in Dupont, lmplicalions, 336.
8. A tal proposito v. Klostermann, Lk, 155, che pone la questione se Le. abbia trovato
già preesistente l'accoppiamento. Cfr. anche Bultmann, Synoplische Tradilion, 210 s.
9. Sono interessanti le proporzioni statistiche di o ai (con eventuale ulteriore indica
zione del soggetto) . . dr.EV, a confronto con dr.tv ai (con eventuale soggetto) :
.
11. Non si può dimostrare di nessuna delle due applicazioni che sia redazionale; cfr.
invece Schulz, Q, 387, che considera il v. 7 una creazione lucana, nello stesso senso
forse Linnemann, G/eichnisse, 73 (senza indicarne i motivi) . Jereinias, ZNW 62, 185
le considera tradizionali (eccezion fatta per la frase relativa v. 7c) .
207
era fornita dalla tradizione; essa potrebbe senz'altro riflettere
correttamente la situazione storica (e sarebbe già stata pre
sente in Q") .'J Se la composizione del cap. 15 risale a Le. , se ne
può dedurre che il v. 6, poco adatto alla parabola della pecora
perduta, venne inserito in essa sotto l'influsso dell'altra para
bola della dracma perduta, dove invece era originario (v. 9). '4
Riguardo alla parabola stessa le due versioni rivelano contatti
talmente numerosi da dover supporre che essa sia stata pre
sente in Q. ' , È abbastanza facile una ricostruzione del testo Q,
a prescindere da alcuni dettagli minori. La domanda intro
duttiva in Mt. («Che ve ne pare?») non è originaria,' 6 al con
trario va considerata tradizionale quella di Le. 17 È originaria
anche la costruzione con E"f..WV rispetto a quella al condiziona
le di Mt. 18 Il participio IÌ.7toÀÉacx� di Le. è da preferire al 7tÀcxvr,
'8f;, vista la predilezione di Mt. per 7tÀcxvfJ.v,'9 e anche perché
12. In base sia al dato statistico lessicale sia alla preistoria dei temi ciò sarebbe possi
bile, cfr. sopra, pp. 2o6 s. n. S· Si può chiarire facilmente (in base a motivazioni reda
zionali), come mai tale introduzione (presente in Q), non fu conservata da Mt. : in
Mt. il nuovo contesto comporta che non si tratti di pubblicani e peccatori, bensi dei
membri «erranti» della comunità.
13. Per una corretta riproduzione della situazione storica prendono posizione Linne
mann, Gleichnisse, n ; Jeremias, Gleichnisse, 3 7 ; Dupont, lmplications, 34S ·
14. Inoltre il v. 6 rivela caratteristiche chiaramente secondarie rispetto al v. 9: l'èì..�wv
ti<; -tòv olxov che deriva ovviamente dalla trasposizione; l'articolo posto dinanzi a
ythovt:t; è stilisticamente più elegante; l' riù-toi; dopo il participio di ì..Éym è un
chiarimento; la pecora viene definita esplicitamente con «mia»; la costruzione alla fi.
ne col participio è più elegante della frase relativa.
1s. Cosi per es. Schulz, Q, 389 e Hoffmann, Studien, S· 42. Allo stesso modo si può
pensare che la parabola indipendentemente da Q fu trasmessa a entrambi gli evan
gelisti dalla tradizione orale. Quello che è essenziale per noi è che le due versioni ri
salgono ad un'unica parabola originaria.
16. Dimostrato in Schweizer, Ml, 239; Schulz, Q, 387 con n. 6s.
17. Cosi Schulz, Q, 387.
18. cLe norme formulate al condizionale (Mt. v. 12 e v. 13) vanno attribuite alla re
dazione matteana» (Schulz, Q, 387). Cfr. 18,3.s.1s. 16.17.18. 19.3s.
19. Lo si trova in Mt. 22,29 par. Mc. 12,24 (mentre Mt. lo cancella in Mc. 12,27 ! ) ;
24>4 par. Mc. 1 3 ,s; 24,s par. Mc. 13,6; 24, n ; 24,24 (in contrasto con Mc. che h a iir.o
r.Àt:twiv). Degno di nota in Matteo il significato di «condurre nell'errore» come una
funzione degli pseudomessia e pseudoprofeti (cfr. innanzi tutto Mt. 24,24 con 24,s
s.). Sul problema dei «falsi profeti» nella comunità matteana, cfr. Schweizer, Ge-
208
il cambiamento di soggetto in Mt. è determinato dall'applica
zione: la pecora che si sbanda rappresenta il cristiano devian
te. '0 Il verbo «abbandonare» in Mt. è un rafforzativo rispetto
al «lasciare» attestato da Le. , e va considerato secondario." Il
passaggio da «nel deserto» a «Sui monti» (Mt. ) è più facile da
immaginare di quanto non lo sia il contrario; il primo dunque
dovrebbe essere originario." Anche l'espressione usata da Le. :
«va dietro a quella perduta finché non la ritrova» è più origi
naria di quella di Mt. , perché Mt. (in vista dell'applicazione)
vuole porre in risalto il cercare, mentre la parabola originaria
era imperniata sul perdere/ritrovare.'3 Il collegamento xixl eù
pwv in Le. 15,5 risulta poco felice dal punto di vista gramma
ticale, e la breve frase ha l'aria di un abbellimento, il che fa
supporre che si tratti di un'aggiunta posteriore (anche se pre
lucana) .'4 Lo stesso può dirsi anche per il v. 6.'' L'applicazione
lucana riprende alcuni elementi che appaiono come pointe
della parabola anche in Mt. : Mt. 18,13 pertanto va attribuito a
Q.'6 L'applicazione in Mt. (18,14) è senz'altro secondaria, so-
meinde, 122. Anche Dupont, Imp/ications, 336 considera redazionale it),avav, diver
samente invece Schulz, Q, 387 con le nn. 72 s. (il termine però non è «puramente tra
dizionale», come mostrano per lo meno Mt. 24,u.24).
20. Questa interpretazione scaturisce dal significato di it),avav in Mt. 24.
21. Sottolinea la ricerca incondizionata dell'oggetto smarrito, che sta particolarmente
a cuore a Matteo, mentre Le. è più realistico; diversamente Schulz, Q, 387 s.: ma i
paralleli ivi indicati nella n. 74 secondo me non sono sufficienti per dimostrare che il
termine sia «perfettamente lucano».
22. Schweizer, Mt, 239; indeciso Schulz, Q, 388; Jeremias, Gleichnisse, 133 riconduce
la divergenza a due traduzioni diverse dello stesso termine aramaico; ipotesi condivi·
sa da Linnemann, Gleichnirse, 71.
23. Il r.ope:ue:i;..9a1 èr.i sembra corrispondere meglio all'immagine. Mt. invece accentua
fortemente la «ricerca di quella rimasta fuori» (Schweizer, Mt, 240). Diversa opinio
ne in Schulz, Q, 388. Inoltre la saldatura poco felice del v. 5 (secondario) si spiega
meglio ascrivendo alla tradizione la conclusione del v. 4.
24. Contro Jeremias, G/eichnirse, 134, con Linnemann, Gleichnirse, 73 e Dupont,
lmp/ications, 335. Interessante Ir. 40,u, dove di Dio si dice che «porta gli agnelli sul
suo petto». Il simbolismo del pastore è molto diffuso nel Nuovo Testamento (cfr. in
particolare Io. ro e Hebr. 13,20). Per l'intera questione v. Jeremias, ThWNT VI, 486,
r-22; 491,23-496,14.
25. Il versetto certamente è stato collocato qui da Le. , cfr. sopra, p. 208 n. 14.
26. Dal punto di vista della storia della tradizione la sottolineatura della pointe me-
209
prattutto perché reinterpreta la «gioia» con la «volontà» di
Dio.27
Ne consegue questa ipotesi sulla storia della tradizione: la
parabola originaria comprendeva Le. 15,4 e Mt. 18,15 (con le
limitazioni già indicate) . Tramandata in Q, continuò il suo
cammino da un lato nella comunità matteana, dove fu inserita
da Mt. nella «regola della comunità» e fu provvista di una ap
plicazione, in funzione della quale Mt. ha apportato nella pa
rabola anche alcune modifiche (la domanda introduttiva, le
espressioni al condizionale al v. 12 e al v. 15, il cambiamento
di soggetto, lo «sbandarsi» e il «cercare») . D'altro lato, da Q
la parabola giunse nella comunità lucana dove fu collegata ad
una situazione narrativa (v. 2, a meno che non appartenesse
già a Q) e le furono aggiunti un abbellimento (v. 5) e un'ap
plicazione (v. 7). Luca a sua volta unl la parabola a quella del
la dracma perduta e a quella del figliol prodigo e costrul
un'inquadratura generale ( vv. r . 3 : i pubblicani ed i peccatori
vengono tutti da Gesù per ascoltarlo} . Inoltre Le. , sotto l'in
flusso del v. 9, inserl il v. 6 tra la parabola e l'applicazione. Da
qui la parabola giunse al Vangelo di Tommaso'8 dove essa vie
ne trasformata in parabola narrativa'9 del regno di Dio. L'Ev.
Th. chiarifica parlando del «pastore», qualifica la pecora co
me «la più grossa», non menziona la gioia, fa rivolgere il pa
store direttamente alla pecora: «lo ti amo più delle altre no
vantanove»;10 elimina Le. 15,5 s. ed anche l'applicazione. Da
cima a fondo, la versione dell'Ev. Th. risulta secondaria ri
spetto a quella sinottica.
diante un (à11-�v) liyw v11iv è più antica dell'aggiunta, sempre mediante la suddetta
formula, di un'applicai.ione (Bultmann, Synoptische Tradition, i97) . Sul v. 13 in Ml.
cfr. anche Schulz, Q, 388. A Ml. risale solo il itÀ�vàv (in analogia col v. 12).
27. La stessa valutazione in Schweizer, Mt, 239; Jeremias, Gleichnisse, 37; Schulz, Q,
388; Bultmann, Synoptische Tradilion, 184.
28. Per l'affinità delle versioni di Le. e Ev. Th. dr. Schrage, 1'homasevangelium, 194.
29. Si lascia cadere la costruzione interrogativa, viene introdotto un riferimento alla
basileia (Schrage, Thomasevangelium, 195 ) .
30. Questi tratti sono tutti secondari, contrariamente a quanto pensa Montefiore,
NTS 7, 227, che considera la menzione del pastore, e la sua descrizione della faticosa
ricerca, più originari rispetto alla versione sinottica.
210
Interpretazione
La forma originaria, che con ogni verosimiglianza risale a
Gesù stesso/' era all'incirca la seguente:
Quale persona ( chi) tra cli voi che ha cento pecore e ne perde una,
=
2II
campo metaforico della pecora appartiene anche il pastore
che nella maggior parte dei casi simboleggia'7 Dio stesso (ma
anche Mosè, il re, un capo del popolo) . Anche se qui il pasto
re non viene esplicitamente menzionato, tutto questo campo
metaforico viene evocato nell'uditore. Un'altra caratteristica
strutturale della parabola è il rapporto numerico 99 : 1, che
serve a mettere in risalto la totale irrilevanza di una sola peco
ra; la ricerca della pecora non è determinata affatto dal suo
valore, bensl solo dal fatto che essa esi'ste e si è persa dal greg
ge. Un'ulteriore caratteristica che colpisce l'attenzione è che
«il pastore» resta sempre il soggetto; in tal modo si mette in
luce che tutta l'attenzione è sul suo comportamento; non ven
gono toccate le questioni inerenti al «perdersi» e al «conver
tirsi». 18 La formulazione della parabola sotto forma di doman
da (retorica) suggerisce all'uditore quanto sia ovvio per il pa
store seguire la pecora perduta. L'uditore viene spinto dalla
domanda, che per lui in realtà non è tale, ad un consenso con
lopzione difesa dalla parabola nei confronti delle pecore per
dute di Israele. Questo tratto viene sottolineato dalla descri
zione della gioia che colma il pastore al momento del ritrova
mento: in quel momento egli si rallegra per quella pecora più
che per le novantanove che non si sono perdute. Il confronto
con le novantanove mira esclusivamente ad illustrare la gioia
di quel momento e non implica in alcun modo una valutazio
ne delle novantanove.'9 Nel contesto della vita di Gesù questa
37. Al riguardo Preisker-Schulz, ThWNT VI, 689,31-39 e Jeremias, op. cii. , 486,1-22.
38. Le interpretazioni che chiamano in causa il pentimento del peccatore (per es. Je
remias, Gleichnisse, 13': « N el giudizio finale Dio si rallegrerà; se accanto a molti
giusti potrà assolvere anche l'ultimo dei peccato ri pentilo [ corsivo mio], se ne ralle
grerà molto di più») inseriscono nella parabola originaria di Gesù una concezione
del giudaismo o del cristianesimo primitivo (cfr. Le. , v. 7), sminuendone fa radicalità.
Per Gesù l'amore che assolve, che cerca chi si è smarrito, la gioia del ritrovamento,
sono un presupposto della metanoia, e non, viceversa, il pentimento il presupposto
del perdono. Dio si rallegra proprio per qualcosa che è apparentemente irrilevante,
senza valore, non per qualcosa che in qualche modo (sia pure mediante il pentimen
to) si è rivelato degno di lui. Questa realtà viene completamente misconosciuta quan
do I'Eu. Th. parla della «pecora più grande» (dr. sotto) .
212
parabola deve riferirsi al suo comportamento nei confronti dei
pubblicani e dei peccatori. Se Gesù se la faceva «a tu per tu
coi pubblicani e coi peccatori» (Mt. I I , 19), è proprio perché
il pastore corre dietro alla pecora perduta e si rallegra, se la
trova. Se si tiene conto della valenza metaforica di «pecora» e
di «pastore», diventa chiaro che Gesù legittima il suo com
portamento con il comportamento di Dio stesso nei confronti
dei peccatori; anzi: vede se stesso in una funzione che spetta a
Dio.40 Ciò che Dio era sempre stato per Israele, adesso lo è
Gesù nella sua opera e nella sua parola. La vicinanza di Dio
nei confronti dei perduti si realizza nella vicinanza di Gesù
nei confronti dei pubblicani e dei peccatori. In tal senso, que
sta parabola va considerata senz'altro un'autotestimonianza
di Gesù.4'
La comunità cristiana, in particolare quella prelucana, ha
percepito la rivendicazione cristologica implicita nella para
bola e le ha risposto interpretando in senso cristologico il
personaggio del pastore.42 Con l'abbellimento del v. 5, che ri
chiama Is. 40, I I ; 49,22, essa sottolinea che in Gesù si compie
l'evento escatologico della ricerca dei perduti da parte di Dio
(cfr. particolarmente Is. 49,22 ! ) ; inoltre viene esplicitato che
all'uditore l'accettazione dell'ingiusto (anche se egli stesso è tale), non di portarlo al
i'autocritica (qualora si tratti di un giusto).
40. Pascolare le pecore di Israele è attributo essenzialmente di Dio. Illuminanti le os
seivazioni di Dupont (lmp/ical1'ons, 349): «Le comportement de Jésus piace Ies hom
mes en face du comportement par lequel Dieu lui-meme inaugure l'avènement de
son Règne,.. E «la conduite de Jésus est la forme concrète que prend l'intetvention
salvatrice de Dieu ...
41 . Cosi Fuchs, Jesus, 94; cfr., dello stesso autore, Hermeneutik, 223 (riguardo alla
nostra parabola) . L'interpretazione di Jiilicher, Gleichnisreden 11, 332 s. non tiene
conto di questo aspetto. Né poteva essere diversamente, partendo dai suoi presup
posti metodologici; la sua interpretazione non poteva non essere di tipo moralistico
(cfr. Dupont, Imp/icalions, 347).
42. Dobbiamo presupporre un'interpretazione cristologica perché solo cosi ha un
senso l'abbellimento al v. 5 . È sorprendente che il pastore non sia menzionato espli
citamente. Forse perché il pastore è il narratore stesso? In ogni caso, la relazione
metaforica pastore-Gesù è confermata da un gran numero di testi neotestamentari
(cfr. sopra, p. 209 n. 24).
213
la motivazione del comportamento di Gesù è teologica. 4� In
questo modo la comunità è riuscita a conservare dopo la pa
squa la parabola come parola del Gesù terreno, ed ha potuto
farlo a pieno diritto solo interpretandola in senso cristologico.
Resta il problema se la comunità, mediante la contrapposizio
ne tra «i peccatori che si convertono» e «i giusti che non han
no bisogno di conversione», non abbia reintrodotto un aspet
to legalistico estraneo alla parabola ed all'azione di Gesù: ori
ginariamente il motivo della gioia non era la conversione del
peccatore, ma il suo ritrovamento.
Matteo presenta la parabola in funzione dell'ammonimento
alla comunità;+! egli con questo però non rinuncia affatto al ri
ferimento al comportamento di Gesù. La parabola anche qui
è in sintonia con il comportamento di Gesù e spinge l'uditore
a manifestarlo di nuovo nel proprio comportamento nei con
fronti dei membri smarriti della comunità. Fin quando questa
relazione viene mantenuta, la parabola resta libera da frain
tendimenti legalistici; altrimenti, il comportamento di Gesù
rischia di ridursi a un semplice modello etico,4' e cosl ricon
durre l'uomo sotto una nuova legge. Il cambiamento di sog
getto al versetto 12 e la sostituzione della «volontà» del Padre
alla «gioia» al versetto 14, mostra comunque che questo ri
schio di legalismo non è stato sufficientemente notato e com
battuto.
Appunto questo pericolo, tutt'altro che ipotetico anche
nella comunità prelucana, è stato fronteggiato da Le. col por
re un accento particolare, con l'inserzione del v. 6, sulla gioia
di Dio per la pecora ritrovata. 46
214
Il Vangelo di Tommaso si contraddistingue innanzitutto
perché cancella gli elementi cristologici e pertanto non inten
de più applicare la parabola direttamente a Gesù Cristo. Il
«pastore» assume un doppio significato: può simbolizzare sia
il redentore (che va in cerca dello gnostico) sia lo gnostico
stesso (che va in cerca dell'elemento divino che porta in sé) .47
La modifica più importante è senza dubbio la connotazione
della pecora (la «più grossa») . Poiché la ricerca del pastore è
motivata dalla qualità della pecora, l'Ev. Th. proclama la ri
cerca di ciò che è prezioso,48 in radicale contrasto con la para
bola di Gesù. Di qui anche il fatto che non si tratta più della
gioia che esplode al momento del ritrovamento, bensl dell'a
more motivato dalla preziosità della pecora, che al momento
del ritrovamento viene solo espresso. 49 Sia che la pecora venga
intesa come metafora dello gnostico, sia che venga intesa co
me metafora dell'io divino, l'applicazione rivela in entrambi i
casi lo stesso elemento fondamentale: si tratta della ricerca di
ciò che è prezioso, dell'amore nei confronti di ciò che merita
amore. Nel primo caso si proclama lo gnostico come un cri
stiano di particolare valore, nel secondo caso la scintilla divi
na come la parte dell'uomo che ha particolare valore/0 a con
fronto del quale gli altri credenti, ovvero le altre componenti,
non sono degni di particolare attenzione.
47. Per la prima possibilità Montefìore, NTS 7, 234; Haenchen, Bolscha/t, 47; en
trambe sono prese in considerazione da Schragc, Thomasevangelium, 196.
48. Cfr. Haenchen, Botscha/t, 47; Gartner, Theology, 235 ; Schragc, Thomasevange
lium, 195·
49. L'amore per l'oggetto di valore determina, ancor prima del momento del ritrova
mento, già la ricerca stessa, cd implica una gerarchia di valori tra quell'unica pecora
e le altre novantanove. Questa concezione dell'amore è agli antipodi di quella del
Nuovo Testamento, in cui l'amore non è mai motivato dalle qualità dell'oggetto, ma
è libera donazione di sé da parte del soggetto nei confronti dell'oggetto.
50. La prima ipotesi in Montefìorc, NTS 7, 234; entrambe in Schrage, Thomasevan·
gelium, 196.
215
2.3.2. La parabola del grande banchetto
(Mt. 22, I-IO; Le. I4, 15-24; Ev. Th. 64)
Ricostruzione
Le versioni di Mt. e di Le. di questa parabola sono cosl di
verse che per molti esegeti l'esistenza di una soggiacente ver
sione Q appare dubbia.'' D'altra parte le corrispondenze lessi
cali e di contenuto non possono essere ignorate.'' Se ne può
concludere che ci sia stata senz' altron una parabola originaria
Q, anche se è quasi impossibile ricostruirne il testo Q. Il con
testo della parabola risulta redazionale in entrambi i vangeli.
Mt. seguendo il filo conduttore dello schema di Mc. la inse
risce dopo la parabola dei vignaioli; essa gli serve a narrare,
dopo il «verdetto» nei confronti d'Israele (21,43 ) , l' «esecuzio
ne della sentenza».'4 Mt. 22,1 è pertanto un collegamento re
dazionale."
In 14,1-24 Luca raggruppa vari episodi collegati dal tema
,1. Weiser, Knechtsgleichnisse, '9 parla solamente di una «fonte,. comune. Funk,
Language, 163, ritiene che la stessa parabola sia stata narrata da Gesù in diverse oc
casioni ed applicata a diverse situazioni. Indeciso Bultmann, Synoplische Tradition,
189. Per la questione cfr. anche V0gtle, Einladung, 171 s.
,2. I contatti verbali si concentrano in Mt. 22,2 s. par. Le. 14,16 s. (av-l>pwr.0<;, r.o1e:iv,
>e11Ì. i7'Cta"Ce:1À1:11, oi òwlo1 aìrtw, >e11Àei11, oi xe:xÀljfLÉ1101, tP'X,e:a-80t1, é-:o&fLOt inserito da
Mt. al v. 4) e in Mt. 22,8-10 par. Le. 14,21 (òpyt�e:.,.Sa1 preferito da Mt. al v. 7, oi
&ulo1 aìrtO',j, i�Épx.e7'80t1 a1N[o d.,J&.yt111). Inoltre in entrambe le versioni appare
l'iy p0c; in connessione col rifiuto dell'invito (Mt. 22,5 par. Le. 14,18).
I contatti nel rontenulo sono: un uomo organizza un banchetto per far festa, invia
qualcuno per chiamare gli invitati alla cena, questi si rifiutano, perché hanno altro da
fare. L'ospite si adira, invia qualcuno con l'incarico di invitarne altri (presi per la
strada). Costoro accettano l'invito, e la casa si riempie.
,3. Cosl Schulz, Q, 398; Hoffmann, Studien, 5. 41; Liihrmann, Redaktion, 87. 10'
(con richiamo a Trillin g) ; Hasler, ThZ 18, 26; Eichholz, Gleichnisse, 128; Pedersen,
StTh 19, 169; presupposto anche in Klostermann, Lk, 151; Trilling, BZ 4, 263. L'idea
di una originaria parabola Q resta comunque un'ipotesi.
54. Si è già accennato alla correlazione redazionale delle quattro unità in Mt. 21,23-
22,14 (cfr. sopra, p. 197 con n. 66).
,,. A tal proposito Schulz, Q, 392 che valuta allo stesso modo il versetto, nonostante
«gli indizi linguistici non siano dd tutto chiari,. (per l'aspetto linguistico ibid., n.
u5). Stesso presupposto in Hahn, Festmahl, 53; Vogtle, Einladung, 1 74.
216
del «banchetto»;'6 la parabola gli serve da risposta alla do
manda di un commensale, provocata dai vv. 12-14. '1 Dopo un
brusco cambiamento di scena, Le. riferisce parole sulla seque
la ( 14,25-33).
Di fronte alla difficoltà della ricostruzione letteraria, in
questa sede, anziché risalire al testo della parabola in Q,
preferiamo piuttosto tratteggiare il contenuto presumibile.
La formula introduttiva non può più essere ricostruita: tut
tavia il riferimento della parabola alla basileia è da ritenersi
originario.'8 La narrazione preliminare parlava di un uomo
che imbandl un grande banchetto.'9 È difficile stabilire se
56. Klostermann, Lk, 148 s.; forse presupposto in Rengstorf, Lk, 180; cfr. Schulz, Q,
391 . Diversamente Hahn, Festmahl, 74, che considera verosimile una tradizione pre
lucana in Le. 14,1-6.7-1 1 . 12-24.
57. Non si può rispondere con certezza alla questione se 14,15 sia una creazione re
dazionale. Il v. 15a si ricollega alla scena del banchetto dei vv. 1 ss., ed è certamente
redazionale, qualora sia lucana la composizione dei vv. 1-24; rivela inoltre particola
rità linguistiche lucane, però non di evidenza indiscutibile (Schulz, Q, 391 s. con la
n. 107). Jeremias, Gleichnisse, 61, intende Le. 14,15-24 come racconto-esempio in ri
ferimento ai vv. 12-14. Qualora avesse ragione Linnemann, ZNW 51, 255 nell'indivi
duare la pointe (a tal proposito v. sotto, p. 2 1 9 n. 66 e p. 222 n. 78), allora almeno il v.
15b (che non può essere stato creato da Le. , ma può essere stato da lui inserito qui;
cfr. Schulz, Q, 392 con le nn. 108-1 10) sarebbe l'inquadratura narrativa della para
bola originaria.
58. Ciò risulta dalla menzione della basileia in Mt. v. 2a ed in Le. v. l5b (una coinci
denza certo non casuale, v. Julicher, Gleichnisreden II, 418) anche se Mt. v. 2a è una
formula introduttiva caratteristica delle tradizioni particolari di Mt. (cfr. sopra, p.
151 n. n8) o anche prettamente redazionale (così Schulz, Q, 392 con n. 1 16), e an
che se Le. v. 1 5b è stato collocato qui solo dall 'evangelista.
59. L'«uomo» divenne in Mt. V. 2b un aV.Spwr.o� t1aa1ì.e:u�. Questo abbinamento è
caratteristico delle parabole della tradizione particolare prematteana: 13,52: av-&.pw
r.o; obtooe:ar.o-tlJ�; 1 8,23: av�pwr.o� �r:t�nì.e:u; ( ! ) ; 20, 1 : :iv-&.pwr.o� olxoòe:ar.&:r.; . A
questi casi elencati da Schulz, Q, 392 n. 1 17, va aggiunto senz'altro Mt. 13,45 (av-&.pw
r.o; tl'r.opo� var. feci. ; sempre materiale particolare di Mt. ). Costruzioni analoghe:
Mt. 11,19 (par. Le. 7,34 av-&.pwr.o� 9�10; XGtt olvor.��. Ql ; Mt. 13,24 (av-&.pw;i;o; ar.d
p!i<:, materiale particolare! ) , 25,14 (:iv8pwr.o; (Ìr.oolj!J-ÙIV, in una parabola originaria
di Q, cfr. 2.3.3). L'abbinamento non va considerato redazionale (come pensa Schulz,
Q, 392): lo mostra proprio il testo di Mt. 21,33 che Schulz indica come sicuramente
redazionale, dove in realtà si legge civ-&.pwr.o� f, v olxoòe:=�� - Anche Hahn, Festmahl,
78 (cfr. Schweizer, Mt, 197) considera prema/teano l'abbinamento. Certamente è più
facile ammettere il passaggio dal «grande banchetto» a un «banchetto nuziale per
suo figlio», che non l'inverso. Si tratta di ritocchi dettati dal significato metaforico
21]
l'invito di molte persone (Le. 14,16c) sia originario;6o comun
que non è rilevante per il senso della parabola. La narra
zione proseguiva con l'invio del servo6' (all'ora della cena),62
che doveva pregare gli invitati di presentarsi, secondo l'uso
dell'epoca.65 È la redazione di Matteo a raddoppiare questo
elemento, facendo inviare agli invitati ancora altri servi al v.
4,64 questa volta con un'insistente esortazione a presentar
si.6' Nella parabola originaria, all'invio dd servo seguiva la
attribuito a questi elementi (con Vogtle, Einladung, 175). È interessante Apoc. 19,9:
1.14Klip101 oi dt; -:ò òeilt'lov -:ou ya!LO'J -rou ci:pviou xexÀlj1'-Évo1: un testo da includere
senz'altro nello sfondo tematico soggiacente alla versione di Mt. A favore della non
originarietà di questi elementi dell'antefatto: Linnemann, ZNW 51, 254; Hahn, Fesi·
mah/, 78; Hasler, ThZ 18, 29; Weiser, Knechtsgleichnisse, 59 s.; Jeremias, Gleich
nisse, 65 ; Pedersen, StTh 19, 177; Schulz, Q, 393; Funlc, Language, 165; Schweizer,
Mt, 272 ; già }iilicher, Gleichnisreden II, 418 s.
6o. Schulz, Q, 393, lo attribuisce alla redazione lucana con richiamo a Haenchen
(ibid. n. 1 25 ) . Secondo Jiilicher, G/eichnisreden 11, 419, Mt. l'ha cancellato per mag·
gior brevità. Ma un previo invito è presupposto in entrambe le versioni, come rivela
il xcxÀTi1'-Évo1 in Mt. (cfr. sotto, n. 65 ) .
6 1 . Che i n Mt. vengano inviati più servi , ben difficilmente s i spiega supponendo che
il protagonista sia diventato un f»a1ì.e�t; (come congettura Weiser, Knechtsgleich
nisse, 6o), ma è invece da considerarsi, come rivela il parallelismo con la formulazio
ne in 2 1,34.35.36, un'intenzionale correzione redazionale, connessa al secondo invito
(pure redazionale: v. sotto, n. 65) e alla distruzione della città (v. sotto, pp. 220 s. n.
71) (contro Jiilicher, Gleichnisreden II, 419. 416; con molti autori, per es. Hasler, ThZ
18, 31; Schulz, Q, 394; Jeremias, Gleichnisse, 65; e particolarmente Schweizer, Mt,
272). Diversamente Hahn, Festmahl, 78 (secondario, ma anteriore a Mt. ) .
62. Può essere un'esplicitazione lucana, oppure u n elemento originario (in tal senso
Schulz, Q, 394).
63. Jeremias, Gleichnisse, 176 con n. 4; Str.-Bill. I , 880 per Mt. 22,4. L'tpXE7-.9E, & n
'Ì\Òl) C'tfJtl'-a fo· nv dovrebbe essere originario; in primo luogo perché EPXE�lll t e
t'tQl!.14 nonostante la diversità della versione di Ml. si trovano anche in lui; in secon
do luogo perché il discorso diretto è uno dei mezzi preferiti per dare vivacità alla
narrazione, e perciò si confà bene alla forma del racconto parabolico. Così pure l'e
spressione t'tQI� Èr. 1v . . . , «è pronto,., della lingua parlata (Jiilicher, Gleichnisreden
I I , 410).
64. L'accenno alle «grandi macellazioni,. serve a rendere l'invito particolarmente in
teressante ed insistente (con Schulz, Q, 394; Schweizer, Ml, 272, vi vede «fortemente
sottolineata ... la pazienza del re .. ) .
65. I l v. J va inteso a mio awiso come parallelo d i Le. v . 1 7 (con Schweizer, Mt, 272;
Hahn, Festmahl, 54), ossia come esortazione agli invitati (così la forma greca xexÌ.lJ-
1'-ÉVQI) a venire adesso e non come il primo vero e proprio invito accennato in Le. so
lo con è>Uiì.EaEv mì.ì.Wt; (così Jeremias, Gleichnisse, 65; Schulz, Q, 394; preso in
218
reazione negativa degli invitati, che adducono giustifica
zioni di ogni tipo per non essersi (subito?)66 presentati.67 Se-
sono valere come criterio di autenticità (contro Funk, Language, 1 86, che vorrebbe
dimostrare in tal modo l'originarietà delle tre giustificazioni) , dal momento che non
sempre ciò che è più lineare strutturalmente è anche necessariamente più autentico .
219
guiva poi68 la collera del padrone,69 il quale, dopo avere avuto
notizia del rifiuto,7° inviava di nuovo il suo servo: questa volta
per le vie e le piazze della città, a invitare chiunque avesse in
contrato. 7' La na"azione si concludeva con l'esecuzione del-
68. Il tratto di Mt. v. 6, che rasenta l'assurdo, si trova probabilmente al posto della
terza giustificazione in Le. Esso risale, come mostra l'affinità con la formulazione di
Mt. 2 1 ,3,, alla redazione di Mt. (identica valutazione per es. in Hasler, ThZ 18, 33;
Linnemann, ZNW ,1, 2'3; Schulz, Q, 39' ; Jeremias, Gleichnisse, 6' s.; Schweizer,
Mt, 273; Weiser, Knechtsgleichnisse, 6 1 ; Jiilicher, Gleichnisreden n, 421 ; Hahn, Fesi·
mah/, ,6. n; Vogtle, Einladung, 182) .
69. Ne parlano entrambe le versioni, anche se l'ira in Mt. (diversamente da Le. ) è
motivata dall'arroganza di coloro che respingono l'invito. L'ira del re assume in Mt.
maggiore importanza, perché permette ai w. 6.7b «l'inserimento di elementi del tut
to estranei alla parabola» (Vogde, Einladung, 182 ) .
70. È vero che Le. 14,21 d a u n punto di vista linguistico h a u n colore lucano (innanzi
tutto 'll:a. pa.yln�a.1 e à,71:a.yyé).ì.e1v sono vocaboli tipicamente lucani, cfr. Schulz, Q,
39' n. 139), tuttavia si inserisce bene nella narrazione e per questo può essere anche
originario. In entrambe le versioni si presuppone che l'ospite venga informato del ri·
fiuto. È degna di nota in Le. v. 2xa la designazione xup1oç anziché l'originario «v-8pw
lt01; o l'oìxoòe=O't"fìi; del v. 21b. Vero è che xup1oi; potrebbe essere stato determinato
dalla contrapposizione a &oùì.oi;; se tuttavia si tiene conto della presenza di xup1oi; nei
versetti lucani 22 s. (cfr. sotto, pp. 222 s. n. 78) si può suppo"e che sia stato Luca a in
serirlo anche qui.
71. La pluralità dei servi ed il «re» risalgono, come in Mt. v. 2, alla redazione di Mat
teo oppure alla tradizione anteriore a Mt. La punizione degli assassini e la distruzio
ne della loro città sono allusioni alla sorte di Gerusalemme e risalgono a Mt. (con
Schulz, Q, 39' ; Schweizer, Mt, 273 ; Jeremias, Gleichnisse, 66; Linnemann, ZNW ,1,
2,3; Hahn, Festmahl, 80; contro Pedersen, StTh 19, 169; Rengstorf, Stadi, 12' s., che
vorrebbe ricollegare Mt. 22,6 s. ad un topos proveniente dall'Oriente antico e che ar
riva fino al giudaismo postbiblico e palestinese, mirante ad esprimere la sovranità
di Dio). 81ee0&ui; -:wv oowv è secondario (contro Michaelis, ThWNT v, 112,20-28.
68,32-69,21 ; con Vogtle, Einladung, 187) rispetto all 'originario Moui; (Mt. v. 10! ) .
Designa «quei punti nei quali l e vie della città terminano trasformandosi in strade di
campagna» (Michaelis, ThWNT v, 1 12,10-14) , e perciò probabilmente è un'allusio
ne alla missione tra i pagani e s'inquadra bene nella rielaborazione matteana della
parabola (particolarmente col v. 4! ) ; con Schulz, Q, 397. La definizione degli invitati
in Le. v. 21 coincide letteralmente, tranne che nell'ordine, con Le. 14,13; risale per
tanto alla redazione lucana (ipotesi considerata possibile anche da Vogtle, Einla
dung, 186 s.). Perciò, nonostante la riformulazione matteana, �:; ÈÒtv cupljn va ri
tenuto più vicino alla forma originaria che non la versione di Le. (con Schulz, Q, 397
e n. 1'7; Hahn, Festmahl, ,s). Mt. v. 8c (oi 8ì xexì.1Ji.dvo1 oùx Yi �a.v ìie101) introdu
ce un' idea estranea alla parabola originaria, che non mirava affatto a contrapporre i
degni che rifiutando si rivelano indegni, e gli indegni che accettando si rivelano i ve
ri degni. Originariamente il nuovo invito veniva fatto unicamente perché gli invitati
non volevano venire. Il ritocco è indubbiamente matteano (con Schulz, Q, 396 n.
220
l'incarico e la casa ricolma di gente.72 C'è da chiedersi se la
formulazione della pointe con ÀÉyw BÈ: Ù!J.iv sia appartenuta
già alla parabola originaria.7' È abbastanza sicuro che i due
evangelisti hanno apportato notevoli modifiche alla conclu
sione della parabola: Mt. dopo il suo v. 10 aggiunge una nuo
va parabola, quella del vestito nuziale (vv. n-13),74 che non è
147; e&. Hahn, Festmahl, 57; Weiser, Knechtsgleichnisse, 62; Vogtle, Einladung, 182 s.) .
72. Ciò risulta dalla concordanza tra l6,22ab (certamente lucano) e Mt. 22,10, che
presuppongono entrambi un espletamento dell'incarico. Secondo Hahn, Festmah/,
65 la conclusione della parabola era la seguente: «E quel servo andò fuori per strada
e raccolse tutti quelli che trovò e la casa si riempi di invitati»; similmente Vogtle,
Ein/adung, 184 s. Nella versione di Mt. sono secondari anche la pluralità dei servi, il
ll!JIL9W" (coerente col ritocco «re» - «banchetto nuziale», con Schulz, Q, 397), non
ché la definizione degli ospiti che vengono alla cena con r.ov"lj poi n xttÌ à:ytt1'oi, che
però risale difficilmente a Mt. stesso, che avrebbe preferito l'antitesi r.ov"ljpo1; Bixtt1-
-
01; (cfr. 13,49 e sopra, pp. 176 s. con n. 231), mentre quella «buoni/cattivi» risulta tra
dizionale (cfr. Mt. 7,18; 1 2,35 par. Le. 6,45).
73. Tutto ciò è perfettamente possibile, come mostra Mt. 18,13 (cfr. sopra, pp. 209 s.
n. 26). Fondamentalmente sussistono tre possibilità: 1 . il v. 24 era detto originaria
mente dall'«uomo», il protagonista della parabola, al suo servo; allora il plurale vµ.iv
sarebbe secondario. 2. Il v. 24 era la formulazione della poinle della parabola da parte
del narratore originario di fronte ai suoi uditori; allora sarebbe secondario il (J'JV -rou
Btir.vou, in quanto il narratore avrebbe dovuto dire: «Il suo banchetto»; la frase sa
rebbe stata originariamente al passato ( . . . nessuno gustò del suo banchetto). 3. Il v.
24 è un'applicazione secondaria della parabola, posta sulla bocca di Gesù; allora uµ.iv
si riferirebbe alla comunità, e !J.W -rou òdr.vou al banchetto, che il kyrios Gesù terrà
alla fine dei rempi; cosl si spiegherebbe anche il futuro. Da un punto di vista di sto
ria della tradizione le ipotesi l e 2 comporterebbero una maggiore antichità rispetto
all'ipotesi 3. L'ipotesi 1 risulta inverosimile, perché l'annuncio che nessuno ha gusta
to il banchetto se indirizzato al servo sarebbe ridondante (diversamente Jeremias,
Gleichnisse, 177). Le ipotesi 2 e 3 possono essere fondate col passaggio da Gesù (che
avrebbe pronunciato la frase come suona al n. 2) alla comunità (la quale intende «il
mio banchetto» come il banchetto futuro del kyrios, che adesso ormai è identico con
il narratore). Per la questione cfr. Schulz, Q, 397 s. con le nn. 162-166; Hahn, Fest
mahl, 59 s. ; Vogtle, Ein/adung, 189 s.; Bultmann, Synoptische Tradition, 189, consi
dera il v. 24 secondario. Se il v. 24 nella forma abbozzata all'ipotesi 1 risale al narrato
re originario, potrebbe essere inteso come un suo commento alla parabola (come Le.
l6,8a; cfr. 2.5.3).
74. � difficile stabilire se questa era un'altra parabola (di Gesù) a sé stante (coslJere
mias, G/eichnisse, 186-189; modificato in Via, G/eichnisse, 124-127, che individua la
parabola di Gesù in Ml. 22,n-13a, op. cii. , 125), oppure fu coniata da Mt. stesso
ispirandosi molto liberamente a materiali tradizionali (cosl Schulz, Q, 398 sulla scia
di Jiilicher e Bultmann; Trilling, BZ 4, 256 s.); l'essenziale comunque è che la fusione
con la parabola del convito è opera dell'evangelista. Lo ribadisce l'analisi lessicale:
221
consona a quella precedente,n e poi una sentenza generale (v.
14) che non è consona né all'una né all'altra.76 Le. invece inter
rompe il corso della narrazione ancor prima della fine, inse
rendo con il v. 22c un ulteriore invio del servo, questa volta
«per le strade e lungo le siepi»,77 e solo allora arriva alla con
clusione {«la casa piena» ) .78 Limitatamente alla parabola del
EÌaÉ(lXE�«t risulta distribuito uniformemente tra i sinottici, tuttavia l'uso participia
le di daEÀ-Bw'll è tipico di Ml. (gen. abs. : 8,, [redazionale] ; 2I,Io [in contrasto con
Mc. ! ] ; altrove: 9,18 [nel caso in cui il testo sia giusto, redazionale] ; 9,2, [redaziona
le] ; 2,,,s [in contrasto con Mc. ! ] ; tradizionale solo in l2,•0 [Q] e forse in 17,2,) . Per
-Bcii�«t cfr. Schulz, Q, 398 n. 171; �cca1Àeui; è frequente in Ml., ma ricorre anche
nella tradizione (Ml. : 22; Mc. : 12; Le. : 10); anche Èxd è più frequente in Mt. (Ml. :
29; Mc. : u; Le. : 16). Ciò rivela che per lo meno il congiungimento tra le due parabole
va attribuito alla redazione di Mt. Su questa linea Schulz, Q, 398; Linnemann, ZNW
, 1 , 2,2; Hasler, ThZ I8, 29; Vi>gtle, Einladung, 174; Via, Gleichnisse, 12,. A favore
di una connessione originaria invece Eichholz, Gleichnisse, 144. Una aggiunta pre
matteana è ipotizzata da Hahn, Festmahl, 78; Schweizer, Mt, 271 s. e (incerto) Wei
ser, Knechlsgleichnisse, 63; Vogtle, Einladung, 174.
7,. In particolare, ben difficilmente degli ospiti invitati all'ultimo momento e inaspet·
latamente potrebbero avere la possibilità di lavare il loro abito, prima di recarsi alla
festa (è questo che s'intende con t'118u11-« ylifJ-Ou, cfr. Jeremias, Gleichnisse, 186). La
connessione si spiega, invece, se al responsabile di essa interessa solo l'eliminazione
della mescolanza di ito'lllj p oi 'l:E ic«Ì tiycc-8oi: preoccupazione, anch'essa, tipica di Mt. ,
(cfr. Mt. 13,24-30.36-43; Ml. 13,47-'o e particolarmente sopra, p. 1,9 con n. 14' e
p. 18o con nn. 247-249, il che rende molto probabile che anche qui si tratti di un'ag
giunta redazionale.
76. In Mt. 22,2-10 non si tratta della contrapposizione «chiamati/eletti», ma solo di
«invitati» (xEXÀl)IJ-Évo1, che nella prospettiva di Mt. equivale pienamente a XÀlj-:oi).
Parimenti, in Ml. 22,1I-I3 non si parla dei pochi eletti (l'uomo senza l'abito nuziale
è uno solo ! ) . L'aggiunta si spiega con l'intento parenetico, già soggiacente all'aggiun
ta dei vv. u-13, che sottolineano separazione, e ulteriormente sottolineata col v. 14.
77. Bisogna pensare, con intenzionale contrasto col v. 2I, alle strade di campagna al
di fuori della città ijc:remias, Gleichnisse, 61; Michaelis, ThWNT v, u2,17; Vogtle,
Einladung, 18, ) .
78. L a maggior parte degli interpreti vede nei vv . 22c.23 un'aggiunta redazionale di
Le. (per es. Jeremias, Gleichnisse, 62 s. 67; Bultmann, Synoptische Tradition, 189; an
che Klostermann, Lk, 1,2 s.; Hasler, ThZ 18, 27; Eichholz, Gleichnisse, 137; Weiser,
Knechlsgleichnisse, 64; Schulz, Q, 396 s.; Funk, Language, 175; Hahn, Festmahl, ,9.
71 ; Vogtle, Einladung, 183 s.); mentre la Linnemann sostiene la tesi che i vv. 21-24
siano originari. Va notato invece: I. il riempirsi della casa non va spiegato come ri
tocco allegorico, perché era altrettanto necessario anche nella parabola originaria. 2.
Con l'inserzione Le. non mira affatto a fondare la missione ai pagani, ma solo a far
entrare nel racconto questa esperienza della chiesa dei suoi tempi. Il riferimento alla
missione ai pagani si rivela plausibile, se tutto l'invito della gente di strada è visto alla
222
grande banchetto si può dunque prospettare la seguente ipo
tesi sulla storia della tradizione. La parabola, originariamente
presente in Q, fu rielaborata in tre fasi successive. La comuni
tà prematteana trasformò il protagonista in un re e il banchet
to in un banchetto nuziale per il figlio del re, e rielaborò l'in
tera parabola da questo punto di vista (particolarmente nei
w. 2.3 .7a.8a.9fin. 10fin.) ;79 compendiò le giustificazioni elimi
nando il discorso diretto (v. 5 ) ; inserì infine l'espressione
«buoni e cattivi» (v. mb) . Matteo a sua volta corregge «il ser
vo» originario in «i servi» ( w. 2 . 3 . 8 . 10), inserisce un secondo
invito (w. 3b.4) , la reazione esagerata degli invitati (v. 6), la
loro dura punizione (v. 7), la qualificazione dei primi invitati
come «indegni» (v. 8c), e la Ò�É�oòoç al v. 9a; collega la para
bola mediante il v. 1 a quella dei vignaioli e la sviluppa con la
parabola dell'abito nuziale (w. 11-13) e con la sentenza sui
chiamati e gli eletti (v. 14) . Luca interviene in misura minore
nella parabola tramandatagli da Q: introduce forse in guisa di
chiarimento il v. 16c, al v. 21 preferisce la designazione «pa
drone» al posto di <<Uomo», descrive il secondo gruppo di in
vitati come «poveri, storpi, ciechi e zoppi», ai w. 22c.23 am
plia la narrazione con un ulteriore invito, dove per lui è im
portante la distinzione «città - fuori città» (w. 21.23 ) ; infine,
mediante il v. 15 stabilisce un esplicito riferimento al ban
chetto escatologico e al v. 24 trasforma l'originaria pointe in
una applicazione.
Il Vangelo di Tommaso si basa su entrambe le versioni si
nottiche, 8o anche se si è servito maggiormente di quella luca-
luce dell'attività missionaria postpasquale; ed è reso sufficientemente chiaro dalla di
stinzione «piazze e vie della città - lungo le siepi e le strade». 3. L'affermazione che
c'è ancora spazio (v. 21c) non ha un significato «allegorico» ma è solo un espediente
narrativo per consentire il secondo invito; sarà quest'ultimo poi ad avere un signifi
cato metaforico.
79. Nel caso in cui la pluralità dei servi fosse determinata dalla trasformazione del
protagonista in un re, essa risalirebbe alla comunità (cfr. Hahn, Feslmah/, 78), senza
però il significato metaforico di «missionari» evidente nel contesto matteano. V. an·
che sopra, p. 218 n. 61.
Bo. Con Schrage, Thomasevange/ium, 135; Hahn, Feslmah/, 5 1 ; in contrasto con Je
remias, Gleichnisse, 176; Perrin, ]esus, 2 14; Funk, Language, 167; Vogtle, Ein/adung,
22 3
na, 81 aggiungendo però modifiche tutt'altro che irrilevanti: gli
inviti vengono narrati col discorso diretto, le giustificazioni
vengono aumentate a quattro, delle quali la terza rivela un
certo riferimento a Le. 14, 20 (le nozze) mentre gli altri inviti
sono senza paralleli sinottici ed hanno come sfondo un am
biente urbano.8• L'introduzione «un uomo aveva degli ospiti»
contrasta col successivo invito; 83 l'applicazione presenta il se
guente testo: «compratori e venditori non entreranno nei luo
ghi del Padre mio».
Interpretazione
Per facilitare l'interpretazione della parabola originaria di
Gesù,84 ne riportiamo l'ipotetico testo:
Awiene col regno dei cieli come in questa storia: un uomo una volta
diede un grande banchetto•• ed all'ora del pranzo mandò il suo servo a
dire agli invitati: «Venite, (perché) è già tutto pronto ! ». E tutti insie
me cominciarono ad addurre delle giustificazioni. ..
175 s. che considerano Ev. Th. 64 una versione primitiva indipendente dalla tradizio
ne sinottica.
81. Derivano da Le. : la mancanza di una formula. introduttiva (:;I: Mt. ) ; «uomo» (:;I:
Mt. ) ; cena ( :;I: Mt. ); un servo (:;I: Mt. ) ; la mancanza di Mt. vv. 4.6 s.1 l-I4; «far entra
re» (:;I: Mt. , che scrive «chiamare»). Con Mt. ha in comune l'espressione «che trovi»
(:;I: Le. ) e l'unico invito «per le strade» (circa quest'ultimo elemento l'Ev Th. si dìffe
.
renzia sia da Mt. sia da Le. ). Cfr. Schrage, Thomasevangelium, 133 s. ; Montefiore,
NTS 7, 235; Giirtner, Theology, 47.
82. Montefiore, NTS 7, 232.
83. Schrage, Thomasevangelium, 136 ne deduce che gli ospiti vengono invitati solo
ora, da parte del servo. Ma l'introduzione potrebbe riflettere quell'invito iniziale pre
supposto nella tradizione sinottica.
84. Niente ci impedisce di attribuire la parabola al Gesù storico. Al contrario, pro
prio i notevoli ritocchi introdotti, come abbiamo visto, nel corso della narrazione,
fanno vedere che la comunità rielaborò un materiale preesistente risalente a Gesù
(criterio della discontinuità). Per il criterio della coerenza cfr. sotto, p. 227 con n. 99.
85. La traduzione di Le. 14,16b concorda con quella di Wilckens, NT, ad locum.
86. L'òmò 11-1�� in Le. 14, 18a è senz'altro un'espressione che va intesa partendo dall'u
so linguistico semitico (cfr. Bauer, Wb, s. v. ii1to VI con richiamo a Wellhausen; Jere
mias, Gleichnisse, 176, pensa persino ad una traduzione dell'aramaico min �ada',
cfr. Idem, ZNW 38, n8). Resta inesplicato però il/emmim1e, a meno che non si sot
tintenda con Hahn, Festmahl, 54 n. 16, uno yvÙif.L'f,�.
224
Il primo gli disse (se. al seivo) : «Ho comprato un campo e devo an
dare a vederlo ad o�ni costo. Ti prego, considerami scusato».
Il secondo disse: 7 «Ho comprato cinque paia di buoi da tiro e vado
proprio ora a provarli.•• Ti prego, considerami scusato».
Ed il terzo disse: «Ho appena preso moglie e perciò non posso ve
nire».
Ed il seivo tornò indietro e riferl a quell'uomo. Allora il padrone di
casa si adirò e disse al suo seivo: «Va' subito per la strada e chiunque
incontri portalo dentro ! ». Il setvo fece come gli era stato comandato, e
la casa si riempl. E Gesù disse: «Vi dico che nessuno di quegli invitati
ha partecipato al suo banchetto» ...
22.5
devono presentarsi adesso. Gli ospiti si scusano all'unanimi
tà;9' ed è importante notare che i motivi della giustificazione ri
sultano del tutto comprensibili e non danno un'impressione di
forzatura o di implausibilità.9} Qui ci troviamo senz'altro di
nanzi al fenomeno dell' «incrociarsi»,94 in quanto in un primo
tempo la narrazione spinge l'uditore a condividere le giustifi
cazioni addotte, per poi mostrargli quali conseguenze abbia
questo comportamento che sembra così comprensibile. Se g li
invitati avessero intenzione di venire più tardi, 9' risulta una
questione superflua, visto che per la nostra parabola è impor
tante soltanto che essi non vengono adesso.96 Un elemento es
senziale della parabola è infine l'ira del padrone di casa. Nell'i
ra, egli ordina al suo servo di andare per le strade e portare in
casa chiunque incontrerà.97 Il banchetto è già pronto, la casa
deve essere piena, affinché possa svolgersi la festa. E il ban
chetto avrà luogo senza coloro che erano stati invitati per pri
mi.
Che gli invitati tutti insieme si scusino è indubbiamente un
elemento iperbolico, che rompe il quadro di quanto comune
mente avviene. Lo stesso dicasi della conclusione della narra
zione: la casa si riempie di gente raccolta a caso, nessuno di
quelli che erano stati invitati per primi viene a godere del
banchetto. Questi due elementi iperbolici indicano la pointe
92. à.1tQ µ.1iiç mette in risalto non tanto la contemporaneità quanto la unanimità nello
scusarsi da parte degli invitati (con Hahn, Feslmahl, 54 n. 16) .
93. Cfr. sopra, p. 225 n. 90.
94. Per questo termine v. Linnemann, Gleichnisse, 35 s.
95. Cfr. sopra, p. 219 nn. 66 s. e Hahn, Festmahl, 55.
96. A ragione Eichholz, Gleichnisse, 130. ll forte accenno «adesso è pronto» avvalora
questa interpretazione. Quegli invitati hanno da fare, adesso, qualcosa di più impor
tante che andare alla festa.
97. Questo non implica che la gente trovata per la strada sia a priori di basso rango
sociale, come può suggerire la descrizione lucana al v. 21. L'ospite si adira non per
ché coloro che sono stati invitati per primi non lo accettano socialmente, bensì per
ché se gli ospiti non vengono la /es/a non può aver luogo. Per questo manda il servo
per strada. Anche volendo sottintendere che Il non si incontrano le persone di rango
più elevato, nella parabola originaria questo particolare non assume significato auto·
nomo.
226
della narrazione: la storia illustra plasticamente che cosa suc
cede a coloro i quali - anche se con motivazioni plausibili -
hanno respinto l'invito che era valido in quel momento: essi
rimangono con un palmo di naso, la festa ha luogo anche sen
za di loro. L'uditore prova su se stesso quella sensazione che
devono aver provato gli invitati quando la festa è iniziata sen
za di loro. È la sensazione di essere spinti fuori, la sensazione
che lasciano dietro di sé le occasioni perdute. Soprattutto
quelle perdute per propria colpa.
Per cogliere il senso della parabola nel contesto della vita di
Gesù, da una parte si deve partire dal presupposto che «il
grande banchetto», sia per il narratore sia per gli uditori, era
una metafora della gioia escatologica,98 dall'altra, bisogna con
siderare quale ruolo abbia il pasto nella vita di Gesù: la sua
comunanza di mensa con le persone più svariate, coi farisei,
coi pubblicani, coi peccatori, è il segno dell'amore che acco
glie, di quell'amore del quale è pervaso il tempo nuovo del
regno di Dio; diventa addirittura un'anticipazione della basi
leia.!19 In questo contesto assume pieno significato la procla
mazione «adesso è pronto tutto ! », che risuona nella nostra
parabola. Adesso, nell'esistenza di Gesù, è arrivato il tempo in
cui si viene chiamati al banchetto di gioia del regno di Dio.
Adesso va accolto l'invito. '00 Si manifesta qui, come in altre
parabole, l'autocoscienza escatologica di Gesù: Gesù inter
preta se stesso e la sua opera come l'irruzione della basileia.
Il regno di Dio è vicino nella sua opera e nella sua parola. In
lui è arrivato il tempo nuovo; comincia il grande banchetto di
gioia; chiunque sa cogliere il significato di questo tempo nuo-
98. V. Str.-Bill. 11, 207 (per Le. 14,1,.16); I, 47' s. (per Mt. 8,n) con rinvii; Behm,
ThWNT 11, 3, , 1 3-30; Hahn, Festmahl, 68; Schulz, Q, 399 con n. 179 ·
99. Così Hahn, Festmah/, 69 con riferimento a Mc. 2,17a; Le. 7, 34 par. Per un con
fronto critico v. Vogtle, Ein/adung, l9I-I94· � essenziale che tutti gli uomini venga
no invitati a questo banchetto, non solo l"am-ha'arer
100. Diversi interpreti accentuano questo elemento; per es. Jeremias, G/eichnirse,
179; Hahn, Festmah/, ,4; Linnemann, G/eichnisse, 96-98; Schweizer, Mt, 2n ; simile
anche Schul:r., Q, 401 (peraltro per Q, non per Gesù).
227
vo, accoglie l'invito. '0' E, invece, gli invitati accampano delle
scuse. Non perché a loro non piaccia l'ospite,'0' o perché siano
contrari alle feste, ma perché non comprendono il tempo. Gesù
qui viene incontro all'uditore, dandogli uno spazio all'interno
della parabola stessa; le scuse accampate sono senz'altro ra
gionevoli, ma il corso della narrazione rivela che lo sono sol
tanto per chi sbaglia nella valutazione del tempo. '0J L'ora della
festa è arrivata, per questo vengono invitati altri affinché la
casa si riempia. Se la parabola descrive l'esclusione dei primi
invitati, è solo perché gli uditori prendono sul serio quell'in
vito che risuona attraverso Gesù. Gesù raggiunge gli uditori
nella loro (inadeguata) interpretazione del tempo, per portar
li a comprendere di che cosa è tempo, adesso: tempo di pren
der parte al grande banchetto di Dio. L'antitesi (quasi di tipo
sociologico) messa in risalto da molti esegeti tra i primi invi
tati e gli ultimi (per esempio: illustri notabili i primi - gente
di strada gli ultimi)'04 non è messa in rilievo nella parabola. In
ogni caso non può essere trasposta metaforicamente alla si
tuazione storica, prima di essere valutata all'interno della nar
razione parabolica nella sua totalità. L'antitesi pertanto non è
101. Qui di nuovo è chiaro come le parabole di Gesù sono annuncio del tempo, v. so·
pra, p. 46 con le nn. 210-2 12. Solo la conclusione della parabola fa capire quale era il
momento dell'invito. Un'attesa escatologica polarizzata sull'aldilà viene sostituita da
uno stretto collegamento tra il futuro escatologico e il presente.
102. Appunto questo è il fraintendimento che nasce dal preteso parallelismo con il
racconto giudaico già citato (sopra, n. 90). Esso toglie alla parabola di Gesù la sua
vera poinle, perché il rifiuto dei primi invitati viene fatto ricadere sull'ospite e non
sulla loro errata valutazione della situazione.
103. Per chi attendeva il banchetto di gioia escatologico alla fine dei giorni non era
cosl facile riconoscere che l'eschaton irrompeva già ora attraverso Gesù. Per lui le
scusanti accampate erano assolutamente ragionevoli.
104. Su questo pongono l'accento soprattutto Jeremias, Gleichnisse, 178 s. (cosl pure
Schultz, Q, 400; Linnemann, ZNW 51, 251 ; Glombitza, NT 5, 12 s.; Eichholz, Gleich
nisse, 135 s.; Funk, Language, 190) . Ma se si tiene conto che la descrizione del v. 21 è
redazione lucana e che i primi invitati non sono caratterizzati in alcun modo come
gente di rango altolocato, c'è da chiedersi se la contrapposizione tra i primi invitati e
gli ultimi non sia un'idea introdottasi nella parabola dall'esterno, sotto l'influsso
dell applicazione (cfr. la nota seguente). In ogni caso la contrapposizione non è tra
'
228
tra due gruppi sociali, bensl fra due aspetti all'interno del me
desimo uditore: il suo vecchio atteggiamento di rimandare
ali' aldilà il banchetto di gioia e la nuova visione di ciò che sta
accadendo adesso. Non si tratta dunque di una difesa del
comportamento di Gesù nei confronti dei pubblicani e dei
peccatori, o di una contrapposizione fra i farisei e il «popolo
della terra», 'am-ha'are(0' Tutti gli uditori si trovano, in un
primo momento, nella stessa condizione dei primi invitati, se
non comprendono che il regno di Dio è iniziato in Gesù. E la
parabola vuole che tutti gli uditori si scoprano simili a quella
gente di strada affinché possano, come quelli, accogliere vo
ro6
lentieri l'invito alla festa.
La rielaborazione della parabola di Gesù attuata dalla co
munità anteriore a Matteo dimostra che essa aveva ben com
preso la relazione tra la venuta di Gesù ed il banchetto di gioia
10,. Anche questa volta la tesi, tipica dell'approccio di Jeremias, circa il conflitto co·
me luogo storico delle parabole di Gesù, determina un restringimento nell'interpre
tazione. Ed è poi vero, storicamente, che l"am-ha'arc! come totalità accettò l'invito
di Gesù mentre tutti i farisei lo respinsero? E come conciliare con la predicazione di
Gesù l'idea che i pubblicani ed i peccatori sarebbero stati invitati solo perché l'invito
era stato rifiutato dai rappresentanti del vero popolo di Dio? Sull'applicazione della
parabola orientata in questo senso, vedi Jeremias, Gleichnissc, 179; Schulz, Q, 401 ;
Llnnemann, Gleichnisse, 97.
1o6. Di conseguenza essa non intende in alcun modo proclamare il giudizio per colo
ro che rifiutano, per esempio i farisei (contro Funk, Language, 190; Jeremias, Gleich
nisse, 179) . Si ha questa impressione solo se si separa il contenuto dalla forma e ci
si trasferisce prematuramente dal racconto alla realtà. L'interpretazione che parte da
una valenza metaforica attribuita ai primi invitati (è farisei, cfr. Jeremias, ibid. , o è
Israele come popolo, cfr. Vogtle, Einladung, 194-196) e ai successivi (è pubblicani
e peccatori; oppure: i pagani) traspone prematuramente singoli elementi della para
bola alle situazioni storiche dell'epoca di Gesù. Se invece si tiene conto che l'esclu
sione di coloro che rifiutano l'invito viene narrata in forma di parabola, si comprende
che la parabola si rivolge a coloro che rifiutano (e tale è potenzialmente ogni uomo)
perché la parabola dapprima sembra condividere la loro valutazione del tempo, poi
ne mette in luce le conseguenze ne/l'immagine in modo tale che coloro che respingo
no l'invito nella realtà (ossia l'invito di Gesù) riconosCflno l'inadeguatezza del loro ri
fiuto. La parabola non si limita a imporre all'uditore di decidere a quale gruppo egli
vuole appartenere (come vorrebbe Funk, Language, 191) ma si sforza di chiarirgli la
situazione in modo tale che egli si renda conto di quanto sia owio che la decisione
giusta è quella di accettare l'invito di Gesù. La parabola dunque intende argomenta
re. Chi vorrebbe perdere una festa alla quale è stato invitato?
22 9
escatologico. L'inserzione della metafora re attesta che essa
considera Dio colui che imbandisce quel banchetto, che è ini
ziato con Gesù. Facendo preparare al re un banchetto nuziale
per suo figlio (cfr. Apoc. 19,9) la comunità esprime il rapporto
tra Dio e Gesù, che era già un elemento essenziale della para
bola originaria. '07 Identificando l'invito della parabola con l'in
vito di Gesù, nella sua situazione postpasquale essa considera
inammissibile qualsiasi scusa accampata nei confronti di que
sto invito; è per questo che si limita a riassumerlo concisa
mente (Mt. v. 5). In questo modo, però, la parabola perde
l'effetto dell' «incrociarsi» dei punti di vista, poiché le scuse
accampate vengono ad apparire poco plausibili. Da parte sua
la comunità si considera già anticipatamente identica alla
schiera dei partecipanti al banchetto escatologico, la cui uni
ca «prestazione» è essenzialmente l'avere accettato l'invito; è
per questo che nella sala della festa si trovano «buoni e catti
vi». In tal modo la parabola diviene l'espressione dell'auto
comprensione ecclesiologica di questa comunità quale corpus
mixtum. "'' La comunità ha trasmesso correttamente nel pe
riodo postpasquale la parabola· di Gesù interpretandola in
senso cristologico ed ecclesiologico.
Matteo a sua volta si ricollega da un lato all'interpretazione
ricevuta, caratterizzando in un modo ancora più chiaro l'invi
to della parabola come invito insistente portato dagli inviati
postpasquali di Gesù Cristo; '09 in tal senso è un'interpretazione
107. Pertanto il yii!JI)� indica, come in Apoc. I5>.SI. la piene?.za escatologica. Tuttavia,
mentre nello stadio di Gesù si intende il banchetto escatologico di Dio, qui viene in
trodotto, sotto l'influsso della cristologia postpasquale, il personaggio del figlio. Con
la scelta di quest'immagine il rapporto tra Dio e Gesù è passato dall'implicito
all'esplicito. Nella stessa tematica rientrano anche testi come Mc. 2,19 par. e Mt. 2,,1-
1 3 in particolare il v. 10. Per l'intera questione cfr. Stauffer, ThWNT 1, 6,2,24-6,3,,
(il quale però fa risalire l'idea al Gesù storico).
108. La stessa autocomprensione diviene evidente anche nella versione prematteana
dalla parabola, Mt. 13,24-30, cfr. sopra, p. 1'9 con le nn. 143 s.
109. Il v. 4 (e i servi ivi menzionati) va inteso in questo senso. L'insieme dei vv. 4-7
presuppone una situazione postpasquale (cfr. Hahn, Festmahl, 80). I servi al v. J non
rappresentano i profeti dell'Antico Testamento (come vorrebbe Weiser, Knechts
gleichnisse, 69) , perché essi sono già latori dell'esortazione a presentarsi alla festa e
di tipo storico(-salvifico) , che si rivela innanzi tutto nel fatto
che le esperienze negative dei missionari cristiani lasciano la
loro traccia nella parabola (v. 6) . Egli accentua ulteriormente
l'idea del rifiuto ingiustificato trasformandolo in vera e pro
pria insolenza dei primi invitati, tale da provocare l'ira di Dio
e da subire la giusta punizione con l'uccisione degli assassini e
la distruzione della loro città. Mt. 22,7 riflette in maniera ine
quivocabile gli eventi della guerra giudaica; "" per Mt. dunque
sono i giudei quei primi invitati rivelatisi indegni dell'invito,
mentre coloro che sono stati invitati dopo sono i pagani."' La
parabola così si è trasformata in un abbozzo storico del pas
saggio dalla missione ai giudei a quella ai pagani. La missione
ai pagani viene giustificata dall'indegnità di coloro che erano
stati invitati per primi, poiché all'insistente invito essi hanno
risposto con insolenza fuor di ogni misura. Il pericolo, insito
in questa concezione, di una ricaduta nell'arroganza e nella
securitas da parte del nuovo popolo di Dio, viene prevenuto
da Mt. mostrando con l'inserzione dei vv. n - 1 3 che anche
sull a comunità incombe ancora il giudizio di Dio. "' Questo
aspetto parenetico viene sottolineato dall'evangelista anche
mediante la sentenza conclusiva 22,14 e la collocazione della
parabola nel contesto attuale. " 3
non solo dell'invito preliminare; perciò indicano gli inviati prepasquali d i Gesù (cfr.
Mt. 10) (così pure Hahn, Festmahl, 79).
no. Cfr. sopra, pp. 220 s. n. 7I e la bibliografia ivi indicata.
I I I . A mio avviso tutto ciò risulta con certezza dal Ò1t�Oòou�, in evidente difformità
da quanto narrato poi al v. IO (ooo��). Pertanto l'interpretazione di Mt. si avvicina a
quella di 2I ,43 (ugualmente redazionale), dove si intendono anche i pagani. Identica
opinione in Hahn, Festmahl, 8I; diversa invece in Vogtle, Einladung, 206, che attri
buisce a Mt. solo un'intensificazione dell'invito a Israele.
n2. L'interesse per il tema della separazione escatologica risulta tipico di Mt. già in
base a Mt. I3,24-30.36-43 e Mt. 1 3 ,47-50 (cfr. sopra, p. I59 con le nn. I45 s. e p. 180
con le nn. 247 s.). Fu questo il motivo decisivo dell'aggiunta del materiale, forse tra
dizionale, ai vv. 1 1 -I 3 . In tal modo però anche la punizione di Israele viene messa a
servizio di un'intenzione parenetica. Per l'intera questione cfr. Hahn, Festmah/, 82;
Kretzer, He"schaft, 172; Bornkamm, Enderwartung, I8; Schweizer, Mt, 2n s.; Tril
ling, BZ 4, 255-257.
u3. Con questa quarta unità (cfr. sopra, p. 197 n. 66) non viene descritta solo l'esecu
zione del giudizio nei confronti di Israele, ma raggiunge il culmine anche il monito
Con i suoi ritocchi interpretativi anche Luca fa capire di
intendere la parabola di Gesù nel senso della cristologia post
pasquale; è per questo che il protagonista originario, «un uo
mo», diviene il «signore» (v. 21a ) e l'originaria pointe diventa
un'applicazione (v. 24) .114 Nel ripetuto invito al banchetto egli
vede l'attività missionaria della comunità: l'appello di Gesù
viene portato avanti dall'appello dei missionari cristiani."' Me
diante la combinazione della parabola col v. 15, Le. chiarisce
che egli concepisce la raccolta della comunità come anticipa
zione del banchetto di gioia escatologico. In tal modo la para
bola si arricchisce di allusioni alle esperienze storiche della
comunità: la descrizione di coloro che sono stati invitati la se
conda volta (v. 21) riflette il passaggio dalla missione ai giudei
alla missione ai pagani.116 La parabola di Gesù è divenuta cosl
una chiave per comprendere la situazione attuale della comu
nità. Se si prende sul serio l'intima connessione, insita già in
partenza nella parabola originaria, tra lappello di Gesù ed il
banchettb di Dio, ben si comprende che, quando dopo la pa
squa i discepoli portarono l'appello del kyrios in tutto il mon
do, la parabola doveva ricevere questa nuova interpretazione.
La versione del Vangelo di Tommaso interpreta la parabo
la senza alcun riferimento cristologico o di storia della salvez
za. Essa si dilunga a descrivere gli inviti e le scuse accampate,
alla comunità, v. anche Trilling, BZ 4, 185 s. Il fatto poi che Mt. in 22,14 (per la pro
blematica di questo versetto dr. Kretzer, Herrscha/t, 182-186) capovolge il rapporto
presupposto ai w. 1 1 - 1 3 tra coloro che vengono accettati e coloro che vengono ri
fiutati, rivela ancora una volta chiaramente che egli ha intravisto e ha voluto fronteg
giare il pericolo della securilas.
1 14. Qui il kyrios della parabola è identico al kyrios Gesù (cfr. sopra, p. 221 n. 73).
Ciò significa che già nella parabola il kyrios indica senz'altro Gesù (con Hahn, Fest
mahl, 72 in contrasto con Glombitza, NT 5, 1 3).
115. Hahn, Festmahl, 73, spiega questo aspetto come tema principale e vorrebbe te
ner fuori dall'interpretazione lucana i tratti storico-salvifici. Dormeyer, Bile 15, 2 19,
vede nella parabola un monito ( rivolto alla comunità) ad evitare la mentalità settaria
dei farisei.
1 16. Non si può stabilire se Luca intenda un «progresso» storico-salvifico. In ogni
caso i w. 22 s. rivelano chiaramente che nell'interpretazione lucana sono presenti ri
ferimenti storici.
232
perché vede nella parabola l'illustrazione di una verità gene
rale, ossia che «compratori e venditori» non possono entrare
nei «luoghi del Padre mio». Questa interpretazione «morale»
si serve della parabola allo scopo di distaccare gli uomini dal
denaro e dal possesso.117 Il denaro ed il possesso impediscono
allo gnostico di dare addio al mondo e lo escludono in tal
modo dalla vera gnosi: 1 18 viene cosi eliminato Io stretto rap
porto tra l'appello di Gesù e l'eschaton, e la parabola viene
interpretata nel senso di una verità generale.
2 33
parusia, nella prospettiva della «dottrina sul giusto comporta
2
mento di fronte al giudizio futuro». 1 0 Al v. 14, collegando me
diante un yap, Mt. fa capire che intende questa parabola co
me interpretazione del precedente invito alla vigilanza (v. 1 3 ) .
Nella stessa direzione s i muovono anche il v . 30, redaziona
121
le, nonché la successiva «parabola» del giudizio finale (vv. 3 1 -
46) . Le. inserisce la parabola dopo l'episodio d i Zaccheo, am
bientato a Gerico, e prima della narrazione dell'ingresso di
Gesù a Gerusalemme; con un'introduzione (v. 1 1 ) che pre
senta la parabola come risposta all'opinione della gente, se
condo la quale il regno di Dio era ormai imminente, in coin
cidenza con l'arrivo tli Gesù nella città. ... E in effetti a questa
problematica si attaglia molto bene123 la rielaborazione della
parabola, che fa del protagonista «un uomo di nobile stirpe»
aspirante al trono, e mira a giustificare il prolungarsi dell' as
senza. 1 14 Questa connessione cosi coerente fa supporre che gli
120. Cosl a ragione Kamlah, KuD 14, 28; cfr. Schweizer, Mt, 303 . 310, anche 293; Je·
remias, Gleichnisse, 57; McGaughy, JBL 94, 237; Dupont, RThPh 19, 379-382.
121. Tra gli interpreti sussiste un ampio accordo sul carattere redazionale di questo
versetto, v. ad es. Kamlah, KuD 14, 29; Weiser, Knechtsgleichnisse, 254; Fiedler, Bi
Le n , 263 ; Jeremias, Gleichnisse, 57; Schweizer, Mt, 308; Via, Gleichnisse, 1 1 3 ;
Schulz, Q , 292; Dupont, RThPh 1 9 , 379 s.
122. Cosi Schneider, Parusiegleichnisse, 41. 42 ; Dupont, RThPh 19, 382 s.; Jeremias,
Gleichnisse, 56 (che indica anche le particolarità linguistiche lucane più frequenti).
123. Zerwick, Bib. 40, 658 si spinge così oltre da sostenere che il v. n armonizzereb·
be solo con la parabola del pretendente al trono (a tal proposito cfr. la nota seguen
te). La relazione in ogni caso è molto stretta.
1 24. Spesso si è sostenuto che gli elementi riguardanti il pretendente al trono si po
trebbero mettere a parte e costituirebbero una parabola a sé stante (cosi per es. Zer
wick, Bib. 40, 655 ; Jeremias, Gleichnisse, 56; Weiser, Knechtsgleichnisse, 269 pensa
ad una «unità narrativa del pretendente al trono»), risalente a Gesù (cosl Zerwick,
op. cii. , 666. 668. 674; anche Jeremias, Gleichnisse, 56 che peraltro si limita a osser
vare: «sembra che Gesù abbia utilizzato» questo materiale). Si è supposto che si
tratti di una parabola autonoma che si rifà agli eventi storici di cui fu protagonista
Archelao (cfr. Jeremias, Gleichnisse, 56; Kamlah, KuD 14, 30; Schweizer, Mt, 308;
Schncider, Parusiegleichnisse, 40 con n. n; per argomenti più dettagliati a favore
dell'allusione ad Archelao, cfr. Zerwick, Bib. 40, 661-665); questa supposizione però
nasce dall 'idea dominante da Jiilicher in poi secondo cui una parabola è tanto più
riuscita e tanto più autentica quanto più narra «realisticamente». Inoltre non si rie
sce a individuare, in questa ipotetica parabola, una poinle soddisfacente (contro Je-
2 34
elementi sul pretendente al trono (vv. 12b.14.15a.17fin. 19fin.
27) furono aggiunti da Le. u,
Le due versioni presentano tali diversità da non permettere
un'esatta ricostruzione del tenore originario della parabola in
Q; ci consentono tuttavia di risalire al suo contenuto. Sebbene
la parabola in entrambe le versioni inizi senza un'esplicita
formula introduttiva, deve essere stata in origine una parabola
del regno di Dio."6 L'antefatto originario narrava di un uomo"7
che si assentò (per un lungo lasso di tempo), "R e prima della
partenza convocò i suoi servi'29 e consegnò a ciascuno una
remias, Gleichnisse, 56). Meglio considerarla (con Zerwick, Bib. 40, 671. 672. 674)
come pura allegoria che si riferisce all'«allontanamento del Messia, il suo ripudio da
parte del popolo, il ritorno e il giudizio» (p. 674), attribuibile (in base al criterio
della coerenza) a Le. , non a Gesù (con Kamlah, KuD 14, 30; Schneider, Parusiegleich
nt'sse, 41 con richiamo a Lohse, n. 16). È preferibile perciò non parlare di «parabo
la» ma soltanto del «tema del pretendente al trono» (Schulz, Q, 288) o di elemen
ti riguardanti il pretendente al trono, che sono stati aggiunti all'originaria parabola
delle mine.
12.:;. Cosi anche Kamlah, KuD 14, 30. Liihrmann conclude: «La versione lucana ri
sulta chiaramente riformulata sotto l'influsso del ricordo della spedizione di Arche
lao a Roma, senza che per questo si debba postulare un'altra parabola originaria a sé
stante del pretendente al trono» (Logienquelle, 70 s. ) . Contro questo postulato si
pronunzia decisamente già Jiilicher, Gleichnisreden 11, 485 .
126. Entrambi gli evangelisti lo riferiscono, indipendentemente l'uno dall'altro, al re
gno di Dio: molto chiaramente Le. al v. I I , anche se qui si tratta solo del momento
dell'avvento della basileia. Mt. presenta in 25,1 un'esplicita formula di comparazione
che direttamente introduce la parabola delle dieci vergini; questa però attraverso la
conclusione (v. 13) e la successiva introduzione (v. 14) risulta strettamente collegata
alla nostra parabola, facendo comprendere che le due parabole devono essere consi
derate parallele; pertanto secondo Mt. anche 25,14-30 dev'essere intesa come para
bola del regno di Dio.
1 27. L'anacoluto nell'introduzione in Mt. (cfr. Schwcizer, Mt, 307) è determinato dal
collegamento della parabola col v. 13. Nel caso in cui si possa supporre un certo in
flusso di Mc. 13,34 in Mt. 2.:;,14 s. (a tal proposito v. sotto, p. 236 n. 1 3 1 ) , l'wç di Mc.
può fornire un'ulteriore spiegazione di questo modo di iniziare di Mt. L'inizio in Le.
(Giv-9rwr.oç 't tç) invece può essere originario (con Schulz, Q, 288). Dal tema redazio
nale del pretendente al trono si spiega che l'uomo in Le. è un ti}ye:v·�ç e si reca t!ç
xropa.v !Jl'Xpav allo SCOpO di Àa.�tiV Éa.\l't'cj> ��IÀt ta.V xa.Ì iJr.o�pÉ\jia.1 (V. Il).
128. La narrazione presuppone un lungo periodo di tempo. Esso si rispecchia anche
nell'àr.OÒlJ!MÌJV, certamente originario e spiegato redazionalmente da Le. con l'attività
del pretendente al trono in un paese lontano.
129. Il numero dei servi non si può più ricostruire, perché i tre servi che compaiono
235
mina.'"' La disuguale ripartizione delle somme consegnate
(Mt. v. 15a) non faceva parte della parabola originaria;'3' anche
il successivo comando, nella versione di Le. , di investire il de
naro (v. 13b) è da considerarsi non originario.'3• In Le. vv. 14.
15a segue un intermezzo legato al tema del pretendente al
trono; ' " in Mt. all'antefatto segue immediatamente la descri
zione dell'esecuzione (vv. 16-18) : i servi hanno iniziato «su
bito» a lavorare. ' H
nel rendiconto hanno solo funzione esemplificativa (Jeremias, Gleichnisse, 58 n . 2).
Si deve riconoscere che anche il numero dieci in Le. è secondario (con Schulz, Q,
289). Il numero dei servi non ha alcun ruolo per il corso della narrazione. Allo stesso
modo è irrilevante se originariamente ricorreva ìòfo•..1c; (Mt ) o ÉatU'tW (Le., che usa
.
208 n. 4) che risulta secondario rispetto alle mine di Le. (Schulz, Q, 289, e come lui
la maggioranza degli esegeti) .
131. La parabola non vuol sottolineare la diversa capacità dei servi e spiegare con es
sa le differenti somme affidate, ma piuttosto che tutti i servi hanno la stessa situazio
ne di partenza. Se le somme fossero differenziate già all'inizio, ne verrebbe sminuita
la discrepanza tra il terzo servo e gli altri due. Inoltre l'origine di Mt. v. 15 è dovuta
probabilmente all'Éxanlfl -tò cpyov atù-r® (Mc. 13,34) , come mostra l'éxan<tl lCllt-tÒt
TÌ)v ìòlatv ò1'v0t11-1v di Mt. Racchiude già un'allusione, suggerita dall'applicazione della
parabola, all'esperienza della comunità, in cui c'erano diverse persone con carismi
differenti. In contrasto con Schulz, Q. 289; Jiilicher, Gleichnisreden 1 1 , 472; Derrett,
ZNW 56, 190 (nelle parabole non è primario il realismo! ) ; con Kamlah, KuD 14, 29;
Weiser, Knechtsgleichnisse, 232 s.
132. Può essere considerata un chiarimento. Anche intesa in tal modo, sta un po' in
tensione con la fine della parabola, dove non viene biasimata la disobbedienza del
terzo servo, bensl la sua incapacità a percepire l'esigenza insita nel capitale conse
gnatogli. Il comando al v. 13b mette in risalto invece il tema dell'obbedienza e fa
gravare cosi sul terzo servo una ulteriore colpevolezza (cosi Kamlah, KuD 14, 3 1 ) .
Identica valutazione in Dupont, RThPh 1 9 , 3 8 3 (il v. 1 3 b sottolinea la certezza del ri
torno); Schulz, Q, 289 s. (con rinvio al carattere lucano di XlltÌ tl-1ctv r.pòc; atihwc;,
op. cit. , 290 n. 195).
133. Redazionale (cfr. sopra, pp. 234 s. n. 12.4) e qui con la funzione di riempire l'in
tervallo dell'assenza del signore.
1 34. Anche questa parte è secondaria, già per il solo fatto di contrastare con la legge
stilistica della concisione narrativa. Essa inoltre anticipa la scena finale e pone I' ac
cento sull'intervallo tra la partenza ed il ritorno; con il suo inserimento la narrazione
perde tensione. Non è facile stabilire con certezza se l'inserimento risale alla tradi
zione prematteana (cosl Weiser, Knechtsgleichnisse, 237: «fonte particolare») o a Mt.
La parabola originaria invece descriveva (subito dopo l'an
tefatto) il ritorno del padrone e la resa dei conti coi servi.'3' An
che la scena del dialogo (Mt. vv. 20-29 par. Le. vv. 16-26) ri
vela ampliamenti nella prima parte sia in Le. sia in Mt. Chia
ramente secondaria, in Le. , la ricompensa ai servi buoni con
l'assegnazione al governo di dieci città l'uno e di cinque l'al
tro. 1 36 La designazione dei servi con b 'tà 7tÉvn (ovvero: òuo}
'taÀav'ta Àa�wv (vv. 20.22) risale invece a Mt. ;'37 da essa dipen
de anche la sua formulazione della risposta dei servi: «mi hai
consegnato cinque talenti (ovvero: due) , ecco, ne ho guada
gnati altri cinque (ovvero: due)».138 Colpisce inoltre, in Mt. ,
laggiunta di una seconda ricompensa che esula chiaramente
dall'ambito del racconto (vv. 21fìn.23fìn.) . ' 19 Se ne può con-
stesso (cosi Schulz, Q, 290; Kamlah, KuD 14, 29), perché la terminologia deriva es
senzialmente dalla successiva scena del dialogo. Le eccezioni sono: r.oi)tu-Sek il ver
bo è frequente in Mt. , raro in Mc. , molto frequente invece in Le. ; per i;pyi:b-a.To ì:v
a.ù-.-oiç cfr. l'ì:pyatea-Ba.1 in 7,23 (redazionale) ; 21,28(?); 26,10 (da Mc. ) ; il verbo ri
corre 1 X in Mc., 1 x in Le. ; l'waau-;w.; si trova in Mt. 20,5 (tradizionale) ; 2 1,30( ?).36
(redazionale). òpua'7ttv ricorre solo in Ml. 21,33 (da Mc. 12,1), altrove mai nel N.T.
Questo dato depone più a favore della redazione di Mt. che di una fonte particolare.
135. Entrambe le versioni descrivono il ritorno del padrone. In Mc. c'è esplicitamen
te !J-t'tà ÒÈ r.o),Ùv x@Ovov . Vero è che la narrazione stessa presuppone una lunga as
senza (cosi Schweizer, Ml, 308; Schneider, Parusiegleichnisse, 40), che peraltro non è
un elemento decisivo; tuttavia questo accenno esplicito è legato alla interpretazione
matteana della parabola (v. 1 3 ! ) e si riferisce dunque all'attesa della parusia (cosl pu
re McGaughy, JBL 94, 237; Kamlah, KuD 14, 30; contro Weiser, Knechlsgleichnisse,
238; Schulz, Q, 290 cfr. n. 201 ; quest'ultimo però parte dal presupposto che la para
bola fu composta nella comunità Q e già in partenza racchiudeva elementi «allegori
ci»). Il rendiconto è descritto in Mt. in maniera concisa e certo più originaria che in
Le. , il quale, invece, qui si dilunga di più nella descrizione. Lo confermano pure le
particolarità linguistiche lucane al v. 15b (cfr. Schulz, Q, 290 con nn. 198-200).
1 36. Anche questo elemento rientra nel tema del pretendente al trono e risale per
tanto alla redazione lucana (cfr. sopra, pp. 234 s. n. 124).
137. Ciò risulta dalla relazione con i versetti 15 e 16-18 parimenti di Mt. (cfr. sopra,
p. 236 nn. 1 3 1 . 1 34).
1 38. Contro Schulz, Q, 290 s. (che peraltro considera originaria in Ml. v. 15 la ripar
tizione delle somme). È degno di nota che qui il soggetto sia il servo (a differenza
della formulazione di Le. più originaria, dove è il denaro a produrre il profitto).
1 39. «Prendere parte alla gioia del padrone» è l'esatto opposto di Mt. v. 30, dove il
terzo subisce la punizione di essere gettato fuori nelle tenebre (cfr. sotto, p. 241 n.
160) . xa.pa va inteso qui, come mostra il verbo clatP1.ta-8a1 (un termine tecnico che
23 7
eludere dunque che i resoconti dei servi risultano più origi
nari in Le. , '"" mentre Mt. ha conservato meglio le risposte del
padrone: «bene, servo bravo;'"' sei stato fedele nel poco, •+z ti
darò autorità su molto».'43
Il rendiconto del terzo servo, come contenuto, è identico in
Mt. e Le. , anche se in Luca segue un ordine esattamente op
posto a quello di Mt. ; 144 l'unica differenza degna di nota, come
indica l'accesso al regno di Dio, cfr. Schneider, ThWNT 11, 674,40·6n,23, in parti
colare 67,,22 s.), nel senso di festa (cosi Jeremias, Gleichnisse, '7 n. 3), banchetto di
gioia messianico (cosl McGaughy, JBL 94, 237; Kamlah, KuD 1 4 29). Questo rad
,
doppiamento della ricompensa viene attribuito dalla maggior parte degli interpre
ti alla redazione di Mt. Per l'intera questione cfr. Str.-Bill. 1, 972 s. su Mt. 21 , 2 1b;
Fiedle1, BiLe II, 262; Weiser, Knechtsgleichnisse, 242. 269.
140. Anche la semplice indicazione dei servi con r.p<inoi;, &tunpoi; ed énpot; fa parte
della composizione originaria (già per il solo fatto di contrastare in un certo senso col
numero dieci della redazione, cfr. Le. v. 1 3a). Essa salvaguSida la tensione di questo
dialogo dd rendiconto, mentre Mt. (come già ai w. 16-18) con il suo modo di indi
care i vari servi riduce notevolmente la tensione. I rendimenti menzionati in Le. (la
somma decuplicata o quintuplicata) sono cospicui, ma non inverosimili, cfr. Derrett,
ZNW ,6, 190. Potrebbero essere originari, poiché suppongono una distribuzione
uguale dei talenti ai servi, anch'essa originaria (cfr. sopra, p. 236 n. 131). Se poi si
omette il r.otpcyivc-to lucano (v. 16a, cfr. �ì..'8 tv ai w. 18 e 20! ; cfr. Schulz, Q, 290
con n. 203) , il rendiconto dei servi doveva suonSie cosl: «E venne il primo (il r.poa
cì..'8wv in Mt. è secondario, con Schulz, Q, 290 con n. 202) e disse: 'Signore, la tua
mina ne ha fruttate (r.poatpyri"ccr8ot1, hapax nd N.T.) dieci! ',.,
141. Il r.1inÉ aggiunto in Mt. (w. 2 1.23) è secondario, già pe1 il solo fatto che anticipa
il successivo r.1a-t6t; . Inoltre accentua ulteriormente le ottime qualità dd servo; que
sto si confà da una parte al cambiamento di soggetto in Mt., dal «denaro» al «ser
vo», e dall'altra al raddoppiamento della ricompensa. Analoga conclusione per es. in
Weiser, Knechtsgleichnisse, 242; Dupont, RThPh 19, 381 s. ; diversamente Schulz, Q,
291 (con richiamo a Jiilicher, cfr. n. 207).
142. L'è>.rix17'tov lucano (v. 17) è un'enfatizzazione secondaria rispetto all'òì.iyot
(Mt. w. 21.23) ed inoltre è senz'altro una reminiscenza di Le. 16 ,1 0 (con Schulz, Q,
291 ), quindi redazionale.
143. Sulla formulazione lucana della ricompensa, cfr. sopra, p. 237 n. 136. Quella di
Mt. rimane nell'ambito della narrazione: al servo vengono affidate grosse somme in
base alla sua fedeltà nel poco (in contrasto con Fiedler, Bile n, 26 2 il quale pensa
,
a) e mieti quello che non hai seminato. Per l'intera questione cfr. McGaughy, JBL
94, 235, che individua qui una formula che rifletterebbe la concezione giudaica di
Dio (op. cii., 244 s.). Non si può più stabilire quale sia la sequenza originaria; a favo
re di quella lucana depone il parallelismo con il rendiconto degli altri due servi.
145. Ciò suppone una palese negligenza del terzo servo (Str. -Bill . 1, 971 s. e Jere
mias, Gleichnisse, 59 n. 1), e lo rende ancor più colpevole.
146. Era considerato in generale il miglior modo di nascondere gli oggetti (Str. ·Bill.
I, 971 s.).
147. La colpevolizzazione del terzo servo è caratteristica di Le. (c&. sopra, p. 236 n.
132). Inoltre il nascondere sotto terra risponde molto meglio alla motivazione con
fessata dal servo stesso (anche in Le. ) per il suo componamento (la paura). La stessa
posizione in Schulz, Q, 292; McGaughy, JBL 94, 239; Kamlah, KuD 14, 3 1 ; indeciso
Jeremias, Gleichnisse, 58 s.
148. A tal proposito Jeremias, Gleichnisse, 57 n. l, con l'indicazione che l'espressione
era proverbiale per indicare una persona avida di denaro (con richiamo a Bright
man). Non è sicuro però che la versione matteana sia secondaria: mentre infatti auv
ci.y e:1v è un vocabolo preferito da Mt. (Mt. : 23 X ; Mc. : 5 X ; Le. : 6 X ), ò1otaxo?r.i�e1v in
vece ricorre soltanto qui ed un'altra volta in una citazione (Mt. 26,31 par. Mc. 14,27);
cfr. Schulz, Q, 291 .
149· In Mt. inoltre manca la ripetizione della descrizione del padrone, in bocca a lui
stesso. Mt. d'altro canto amplia (redazionalmente, dr. Fiedler, BiLe u, 273 con la
traduzione «per motivi e paure di ogni tipo, non trovando la forza per agire,.; diver
samente Schulz, Q, 292) la requisitoria rivolta al servo, con ÒicVljpé, in analogia al
raddoppiamento ai w. 21.23.
150. Con ciò egli colpevolizza ancora il terzo servo (come già col particolare del de
naro riposto nel fazzoletto). Inoltre, r.Op.a è lucano (con Schulz, Q, 292 n. 219) .
151. La forma interrogativa e la terminologia utilizzata risultano senz'altro lucane
(cosi Schulz, Q, 292 nn. 220-224). Sorprende in Mt. l'uso del plurale, in contrasto
con l'«pyi.ip1ov redazionale (v. 18). Questo è un ulteriore argomento a favore dell'o
riginarietà della versione di Mt.
152. Il v. 24a di Le. è un chiarimento redazionale (vedi in particolare il r.otp1r.ci.vot1
2 39
ha già dieci mine (Le. v. 25) prepara indubbiamente il v. 26 ed
è pertanto secondaria. •n Si può constatare una concordanza
pressoché letterale in Mt. v. 2 par. Le. v. 26; ',.. questo versetto
per lo più viene considerato un'applicazione secondaria, alla
luce della presenza di un'altra tradizione uguale in Mc. 4,25 ;'"
tale ipotesi è però inverosimile già per il solo fatto che non si
riesce a formulare per un siffatto logion una collocazione sto
rica che abbia un minimo di plausibilità;1'6 a ciò si aggiunga
che il logion, come contenuto, si attaglia perfettamente alla
parabola originaria. ''7 A nostro avviso dunque non si può non
chiaramente lucano, con Schulz, Q, 292 n. ;2,). t interessante il fatto che qui il nu·
mero coincide in entrambe le versioni. Esso risale alla parabola originaria e potrebbe
aver portato da un lato al numero di dieci servi (Le.) e dall' altro alle cifre dei talenti
in Mt. (vv. l,.16-18.20-23).
1'3· Con Schulz, Q, 292.
1'4· Le. ha apportato dei miglioramenti sintattici nel v. 26b ed ha introdotto con un
ì.éyw Up.iv O--t 1 la legge fondamentale del capitale. Mt. aggiunge nella prima pane il
XGtÌ 11:Ep1�1:�T,au1u (come già in Mt. 13,12 parallelo a Mc. 4,2, ! ) . Il y!ip argomenta
tivo non è secondario, poiché il v. 29 effettivamente motiva la decisione del v. 28 (in
contrasto con Schulz, Q, 292), senza richiedere la creazione di una connessione arti·
ficiosa a mo' di motivazione.
1,,. Per es. Weiser, Knechtsgleichnisse, 244 s.; Fiedler, BiLe n, 272; Schulz, Q, 292;
McGaughy JBL 94, 239 s.; Kamlah, KuD 14, 33; Dupont, RThPh 19, 384 s.; }ere·
mias, Gleichnisse, '9 e n. 10; Linnemann, Gleichnisse, ,2; Schweizer, Mt, 309; già
Bultmann, Synoptische Tradition, 190; Jiilicher, Gleichnisreden Il, 478.
1s6. Jeremias, Gleichnisse, S9 n. 10, suppone come sfondo un proverbio («cosi è la
vita, cosi ingiusta»). Haenchen, Weg, 170 riferisce lo stesso detto di Mc. 4,2, alla ri
compensa dei cristiani secondo il loro comportamento (ma allora perché anche il se·
condo «ha» ?). Secondo Schweizer, Mk, ,o, potrebbe essere stato «Un proverbio di
rassegnazione - il ricco diviene sempre più ricco, il povero va di male in peggio -,
che sarebbe stato ripreso da Gesù o dalla comunità in un senso nuovo» (ma anche
questa spiegazione non risolve la difficoltà che colui che è veramente povero non
«ha»). Correggendo con òoia:i nel suo parallelo a Mc. (Le. 8,18), ma non qui, Le. fa
vedere chiaramente di essersi reso conto della difficoltà che si crea se il logion viene
citato fuori del suo contesto originario.
1s7. Se si tratta dell'affidamento di denaro, colui che può dimostrare di essere riusci·
to ad ottenere guadagni cospicui riceverà di nuovo somme sempre più cospicue,
mentre colui che non riesce a far fruttare il denaro dovrà restituire anche il capitale
iniziale. t questo il concetto perfettamente descritto nella nostra parabola. t signifi
cativo che anche la motivazione rabbinica della sentenza «Egli dà saggezza e cono
scenza a coloro che comprendono» in Midr. Qoh. 1,7 viene fornita attraverso una
parabola, nella quale si tratta della ripartizione del denaro (Str.-Bill. 1, 661 per Mt.
concludere che il logion avesse qui la sua collocazione origi
naria, e soltanto successivamente divenne un detto del Signo
re, trasmesso autonomamente (Mc. 4, 25) ; ' '1 con questo non si
nega che Le. (come mostra il Àéyro uµ.iv &t L) l'abbia inteso co
me applicaz.ione.''9 A questo punto terminava la parabola origi
naria.
In Mt. segue un raddoppiamento della punizione (v. 30),'6o
in Le. un ulteriore elemento legato alla vicenda del preten
dente al trono (v. 27) che descrive anch'esso la punizione (pe
rò non del servo, bensl della gente che vuole che il basileus
ritornato governi) . '61
Partendo da questi elementi si può elaborare la seguente
ipotesi di storia della tradizione. L'originaria parabola delle
mine presente in Q fu fortemente rielaborata da entrambi gli
evangelisti. Dopo lantefatto Matteo inserl una descrizione
dell'attività dei servi durante l'assenza del padrone (w. 16-
18, compresa la parte finale del v. 15) ; introdusse il particolare
della diversa ripartizione delle somme «a seconda delle capa
cità» dei servi; nel dialogo del rendiconto inserl gli accenni
alla «gioia del tuo padrone» (w.21fin.23fin.) e all'esser gettati
fuori nelle tenebre (v. 30) ; sottolineò che il padrone ritorna
13 ,12a); anche quest'esempio conferma che il nostro detto aveva il suo Siti. im Leben
negli affari finanziari. Per l'intera questione cfr. Derrett, ZNW ,6, 194: «lf a mer
chant possessing capitai shows a profit, people eagerly offer him further capitai, the
trader who reports no profit loses the capitai entrusted to him».
1,8. Già l'interpretazione postpasquale della parabola delle mine vide in Mt. v. 29
un'affermazione sul giudizio di Dio. Per questo motivo il breve detto poté essere tra
mandato anche indipendentemente dalla parabola, come detto che si riferisce al giu
dizio escatologico. Già Marco (4,2,) non comprese più questa sfumatura e lo tra
sformò in un ammonimento all'autentico ascolto.
159· La possibilità di intendere questo detto come applicazione si ebbe nel momento
in cui il rendiconto del padrone fu inteso come metafora del giudizio di Dio. Per
questo Le. poté qualificarlo espressamente come applicazione con un ì.�yw u11-iv &ti
(qui redazionale).
160. Il carattere redazionale di questo versetto è palese (cfr. Mt. 8,12; 1 3,50; 24,5 1 ) ;
Weiser, Knechtsgleichnirse, 2,4; Fiedler, BiLe n, 272; Kamlah, KuD 14, 2 9 ; Dupont,
RThPh 19, 379 s. ; diversamente invece McGaughy, JBL 94, 240.
161. Il versetto è redazionale con Kamlah, KuD 14, 30 (cfr. sopra, pp. 234 s. n. 124);
diversa opinione in Weiscr, Knechtsgleichnisse, 2,3 s.
«dopo lungo tempo» (v. 19) ; designò i servi a seconda di quel
lo che ognuno di loro aveva ricevuto (vv. 2oa.22a.24a), e in
ognuno dei rendiconti riformulò la costruzione con il servo
come soggetto del guadagno; rinforzò l'apostrofe ai servi ag
giungendo «fedele» (vv. 2r .23) o «infingardo» (v. 26) ed ag
giunse nella conclusione (v. 29) il xal 7te:ptaae:u-8fiae:'t'at.
Le. trasformò il protagonista della parabola originaria da
«un uomo» in un «pretendente al trono» (vv. r2.13b. 14.
15a.27) , modificando di conseguenza la ricompensa dei servi
(vv. 17b . 1 9b) ; inserì l'esplicito comando di impiegare il dena
ro (v. 13b) ; portò a dieci il numero dei servi (v. 13a) ; riformu
lò l'invito al rendiconto (v. r5b) e sostituì «poco» con «mini
mo» (v. qb) ; nella risposta al terzo servo mise in risalto che il
padrone lo giudica secondo le sue stesse affermazioni (v. 22a;
cui si connette anche il particolare del denaro avvolto nel faz
zoletto) e ripeté la definizione del padrone come «Un uomo
severo» (v. 22b ) ; al versetto 24 introdusse i «presenti» che o
biettano che il primo servo ha già dieci mine; col «vi dico che»
(v. 26a) caratterizzò la frase seguente come applicazione del
la parabola.
In Ev. Naz. fr. 18162 è attestata una tradizione più tarda161 che
mette in scena un totale di tre servi: uno che conseguì un no
tevole profitto, l'altro che nascose il talento ed infine uno
«che sperperò il patrimonio del padrone con prostitute e suo
natrici di flauto»; il primo verrà «accolto (con gioia)», il se
condo solamente rimproverato, il terzo invece cacciato in pri
gione.
162. Vedi Hennecke '1, 97. Lo stesso passo viene citato come Ev. Hehr. fr. 15 (cfr.
Schulz, Q, 293 n. 233).
163. Questa versione è dipendente dalla tradizione sinottica (soprattutto da Mt. , cfr.
il talento ! ) e completamente secondaria; con Jeremias, Gleichnisse, 55 s.; cfr. Viel
hauer, Nazaraerevangelium, 94: «Nr. 18, messo a confronto con Mt. 25, 14 ss., non
può avanzare alcuna pretesa di originarietà».
Interpretazione
Il testo della parabola originaria, risalente senz'altro al Ge
sù storico, '64 doveva essere all'incirca il seguente:
Avviene col re�no dei cieli come con un uomo che doveva andare in un
paese lontano' ' e che chiamò a sé i suoi servi e consegnò ad ognuno di
loro una mina. Ed il padrone di quei servi (dopo un certo tempo) ritor
nò e fece i conti con loro.
E venne il primo e disse: «Padrone, la tua mina ha fruttato dieci mi
ne».
Ed egli a lui: «Bene, (tu sei un) bravo servo, sei stato fedele nel poco
(perciò) voglio porti al comando di molto».
E venne il secondo e disse: «Padrone, la tua mina ne ha fruttate cin
que».
E il padrone gli disse: «Bene, (tu sei un) bravo servo, sei stato fedele
nel poco, (perciò) ti voglio porre al comando di molto».
Ed il terzo venne e disse: «Padrone, ecco qui (rieccoti) la tua mina,
che ho nascosto (sotto terra) . Avevo paura di te, perché sei un uomo
severo, che raccoglie dove non ha seminato e riscuote quello che non
ha messo in deposito ! ».'66
Ed il padrone gli disse: « (Tu sei un) cattivo servo; sapevi che raccol
go dove non ho seminato e che riscuoto ciò che non ho messo in depo
sito? Allora, avresti dovuto depositare il mio denaro dai banchieri,'"7 co
si al mio ritorno lo avrei riavuto con gli interessi. Perciò toglietegli la
mina e datda a quello che ne ha dieci! Perché a chi ha sarà dato, a co
lui che non ha sarà tolto anche ciò che ha».
244
l'avrebbe compromessa affatto. È stata dunque la paura del
padrone che lo ha portato a tralasciare ciò che era ragionevo
le. La paura del rendiconto futuro lo ha paralizzato a tal pun
to da impedirgli di comprendere le esigenze che il dono rice
vuto gli imponeva nel presente.
I primi due servi viceversa rivelano un atteggiamento ap
propriato nei confronti del denaro. Ma il narratore non li uti
lizza solo come sfondo'7' su cui far risaltare per contrasto il
comportamento negativo del terzo - a tal scopo ne sarebbe
stato più che sufficiente uno solo - anche se il suo interesse
principale non è rivolto a loro. Le figure dei due servi appaio
no in scena solo per illustrare plasticamente l'esigenza insita
nelle mine consegnate; come protagonisti non assumono un
ruolo autonomo; non è il loro comportamento la pointe della
parabola. Lo si vede anche dal fatto che l'ammontare del pro
fitto conseguito non ha alcun peso nella valutazione dei servi:
nella parabola originaria entrambi ricevono la medesima lode.
Il rendiconto non si svolge in base alla misura del loro succes
so. La misura consiste unicamente nell'a ver percepito l'esigen
za insita nel denaro.
Un padrone di questo mondo non si sarebbe comportato
cosl con i suoi servi: avrebbe invece ricompensato meglio il
servo più abile. Lo stesso può dirsi anche riguardo alla distri
buzione del denaro: che ogni servo riceva la medesima som
ma è un elemento dettato dalla espressa intenzione del narra
tore. Un padrone di questo mondo distinguerebbe già in par
tenza tra servi più o meno abili e distribuirebbe il denaro in
171. Contro Dupont, RThPh 19, 389, che pone al centro dell'attenzione il terzo servo
come persona, i cui argomenti contro il padrone sono validi (op. cii. , 388; il servo
non prende più di ciò che gli tocca; per questo egli entra in contrasto con il padro·
ne, la cui ingiustizia consiste nel mietere dove non ha seminato). Dupont traspone
poi questo tema della giustizia del servo ai farisei che - sulla base del loro sforzo di
giustizia - non sono come i servi che soddisfano le esigenze del loro padrone. Anche
Via, Gleichnisse, I I 3 s., mette in risalto unilateralmente il terzo servo, per dedurne la
cecità dci contemporanei di Gesù. L'approccio di Via porta all'interpretazione ge
neralizzante che la ricerca di sicurezza sia mancanza di fede e che il tempo presente
sia il tempo dell'impegno rischioso. Ma per dire questo non ci sarebbe stato alcun
bisogno di una parabola come questa.
245
proporzione all'abilità dei servi. Il narratore invece vuol met
tere in risalto che ciascuno riceve lo stesso dono (e in pari tem
po anche lo stesso compito) . Se il narratore avesse fatto di
stribuire somme differenti, la condanna del terzo servo avreb
be perso di evidenza: effettivamente egli avrebbe potuto an
che nascondere sotto terra il suo denaro, dal momento che
aveva a disposizione meno capitale iniziale degli altri; senz'al
tro avrebbe potuto ben giustificare il suo comportamento con
la mancanza di fiducia in lui da parte del suo padrone testi
moniata appunto da tale ripartizione. '12 I due elementi suddet
ti fanno dunque capire che il racconto non verte sulla produt
tività dei servi, ma esclusivamente sulla loro reazione nei con
fronti delle mine. L'intera parabola mira a mettere in evidenza
che in quelle mine è racchiusa un'esigenza da adempiere in
condizionatamente. Nei primi due servi viene messo in luce in
positivo, nel terzo invece in negativo. Chi non fa fronte a
quest'esigenza, si priva dei mezzi di sussistenza, poiché nessu
no più gli affiderà del capitale da amministrare.
Questa logica economica descritta nella parabola, il narra
tore l'applica al regno di Dio. Anche col regno di Dio avviene
come con quel capitale da amministrare che fu consegnato ai
servi. In questo modo la parabola mette in luce l'esigenza in
sita nel fatto stesso di aver ricevuto in dono il regno di Dio:
come il denaro non deve rimanere inutilizzato sotto terra, co
si il regno di Dio per sua natura è tale che l'uomo debba met
terlo in movimento. '7l Anche nei confronti del regno, come
nei confronti di questi soldi, il problema non è quello del ren
dimento conseguito dall'uomo: l'uomo non deve tradurre il
172. Derrett, ZNW ,6, 192, interpreta erroneamente la motivazione del terzo servo
cosl: tu mi hai dato troppo poco, perciò io non ho lavorato col mio denaro per pu
nirti della tua mancanza di fiducia. Ciò determina in Derrett una corrispondente ap
plicazione: cThose who complain that God has dealt hardly with them, that they are
poor, stupid, oppressed, etc., may abandon piety as impractical» (op. dt. , 194). In tal
modo la parabola diviene un ammonimento ai poco dotati, a fare qualcosa per Dio
anche con quel poco che posseggono.
173. Cfr. Weiscr, Knechtsgleichnisse, 263: al dono nella figura corrisponde la basileia
nella realtà.
regno nella prassi (magari attraverso le sue opere) ; quello che
deve fare è solo investirlo;173' e sarà il regno stesso poi a pro
durre il profitto. '74 Che significa «investire» il regno di Dio se
questo va inteso come il tempo dell'amore? Poiché il regno di
Dio, definito come il tempo dell'amore, è innanzi tutto il tem
po dell'amore di Dio per l'uomo, «investire» il regno equivale a
dire che l'uomo faccia spazio a quell'amore nei propri con
fronti; che veda se stesso come oggetto dell'amore di Dio e
diventi cosl una nuova creatura. Questo è l'effetto, che è cosl
certo nell'investire la basileia, cosl come lo è il profitto dei
denari investiti. Nel momento in cui una persona crea spazio
in se stessa al tempo dell'amore, per lei è arrivato anche il
tempo per l'amore nei confronti del fratello. Se poi è vero che
il regno di Dio come tempo dell'amore viene elargito all'uomo
essenzialmente attraverso la parola, investire la basileia signi
ficherà anche diffondere quella parola. Questa diffusione è un
imperativo dell'amore e fa fronte all'esigenza insita nel regno
di Dio. La diffusione è necessaria affinché la parola che an
nunzia il Dio vicino possa produrre sempre di nuovo l'effetto
che le appartiene con certezza.
La parabola interpretata nel contesto della vita di Gesù
- -
174. Ciò risulta dalla non casuale formulazione del rendiconto dei servi: «Signore, la
tua mina ne ha fruttato dieci (cinque) . Si noti la differenza della versione di Mt. , che
indica i servi stessi come soggetto del guadagno (al riguardo cfr. sotto, p. 250 n. 183).
247
rabola serve solo a far comprendere all'uditore l'esigenza insi
ta nella somma ricevuta, con questa parabola Gesù non an
nuncia il giudizio,'7' bensì mostra all'uditore che nella conse
gna della basileia è insita una richiesta, che val la pena di sod
disfare ad ogni costo. In questo modo Gesù crea nell'uditore
l'atteggiamento rispondente alla basileia. La parabola conse
gna all'uditore il regno di Dio in modo tale che egli possa
percepire l'esigenza insita nel dono; lo distoglie dall'atteggia
mento impersonato nel terzo servo. Questa dissuasione avvie
ne per la sua salvezza, non per il suo giudizio.
L'interpretazione della comunità di Q valorizza il fatto che
il donatore della basileia era Gesù, interpretando176 la parabola
in senso cristologico e trasponendola nel contesto storico fino
ad abbracciare tutto l'arco di tempo che va dall'epoca di Gesù
al giudizio escatologico. 177 Il padrone che ritorna diventa ora la
metafora del Figlio dell'uomo, giudice universale alla fine dei
tempi, che giudicherà la comunità a seconda che essa abbia
percepito o meno lesigenza insita nella basileia che le è stata
178
consegnata. In tal modo per la comunità la parabola diviene
un incoraggiamento a colmare il periodo dell'assenza di Gesù
(ossia il periodo tra la pasqua e la parusia), mettendo in mo-
in. Chi intende questa parabola come parabola del giudizio (rivolta ai farisei, Jere
mias, Gleichnisse, 59; o ai giudei, venuti meno al loro compito di buoni amministra
tori di Dio, Via, Gleichnisse, n3), misconosce il carattere parabolico del rendiconto.
Anche se si intende il rendiconto come metafora del giudizio, quest'ultimo viene
evocato solo all'interno della parabola; questo però proprio perché, nella realtà, il
giudizio venga allontanalo. In linea di principio, è qualsiasi uditore di Gesù a correre
il rischio di non corrispondere alle esigenze della basileia che gli è stata donata.
176. «Il proprietario di schiavi che va in un paese lontano è Cristo» (Schulz, Q, 294).
177. Peraltro ben difficilmente si può sostenere che la parabola sia divenuta adesso
una parabola del giudizio (in contrasto con McGaughy, JBL 94, 240). Anche qui, se
si parla del giudizio escatologico, chiaramente è allo scopo di qualificare la situazio
ne della comunità creatasi con la venuta di Gesù.
178. Ciò non significa un giudizio secondo le opere (in contrasto con Dupont, RTh
Ph 19, 385), perché anche qui il problema è solo se il servo adempie o meno agli ob
blighi di ciò che gli è stato affidato. Non è ancora determinante quanto egli abbia
guadagnato. Questa idea del giudizio è più vicina dunque ad un giudizio secondo la
giustizia della fede che ad un giudizio secondo le opere.
vimento la basileia. 1 79 È possibile che proprio in questo stadio
Mt. 25,29 par., che rappresentava in origine la conclusione
della narrazione, sia diventato (per fraintendimento) una pro
posizione sulla norma escatologica del giudizio.
Matteo si ricollega principalmente all'interpretazione stori
ca della comunità di Q e conferisce al dialogo del rendiconto
un carattere ancor più marcato di giudizio escatologico (cfr.
la ricompensa e la punizione dei servi: vv. 21 .23.30). ' ao Con l'i
nasprimento della pena aggiunto al v. 30, il racconto assume
l'aspetto di una parabola di giudizio: con l'allusione al giudi
zio finale, da non intendere più in senso metaforico, Matteo
motiva la sua ammonizione per il periodo tra la pasqua e la
parusia. In questo periodo è in vigore l'impegno di vigilare
(v. 13 ! ) e utilizzare bene i doni ricevuti in consegna. '81 Anche
qui non è il ritardo della parusia il vero problema, viene men-
179. � in gioco la fedeltà nel periodo intermedio (con Hoffmann, Studien, 49 ) A mio
.
avviso non si può sostenere che la parabola sia stata creata in riferimento alla parusia
che ritarda (cos} Schulz, Q, 293 con n. 239), perché non rivela alcun interesse diretto
al ritardo della parusia. Per la questione cfr. Hoffmann, Studien, 48 s. (ivi anche la
critica alla tesi di Grasser). Diversamente avviene con la «parabola» del servo fedele
e di quello infedele, difficile da giudicare da un punto di vista della storia delle for
me (Mt. 24,45-51 par., Q). Come parenesi ordinata sin dall'inizio a situazioni della
comunità primitiva, essa presuppone il ritardo della parusia (cfr. Mt. v. 48b ! , con
Schulz, Q, 274, cfr. la bibliografia citata alle nn. '4 s. ) . Questa parabola, nonostante
la sua parentela con quella delle mine, è talmente diversa da far supporre una diversa
origine. In Mt. 24,45-51 il tema è la fedeltà del servo, che va mantenuta, anche se l'as·
senza del padrone si protrae a lungo; il ritardo del padrone è pertanto un elemento
essenziale della parabola. Nella nostra parabola invece (anche in Ql il tema è la fe.
deità nei confronti del dono affidato alla comunità, ed ivi il ritardo della parusia non
è affatto indicato come una tentazione alla infedeltà.
180. Sta qui la differenza più palese con la rielaborazione lucana, in cui questo ele
mento non è messo in risalto (Kretzer, llemcha/t, 207, ritiene addirittura che in Le.
esso manchi del tutto. Ma che significa allora il v. 27?) . Il tema dell'cessere preparati
per la fine» traspare attraverso tutta la narrazione» (ihid. ). Sul rafforzamento dell'a
spetto del giudizio cfr. Schweizer, Mt, 309; Kamlah, KuD 14, 29; Dupont, RThPh
19, 379 s.; McGaughy, JBL 94, 237; Fiedler, Bile n, 263; Weiser, Knechtsgleich
nisse, 268 s.
181. L'appello alla vigilanza (v. 13) viene commentato anche dalla nostra parabola
(cfr. il yii;: al v. 14). Il ritardo della parusia non viene motivato, ma solo constatato
(con Kamlah, KuD 14, 29). Mt. intende la parabola come «insegnamento sul giusto
comportamento di fronte al giudizio futuro» (op. cii. , 28).
249
zionato solo per inciso con l'inserimento redazionale «dopo
molto tempo» (v. 19) . Sotto l'influsso della situazione postpa
squale i denari consegnati diventano somme favolose. 1 8' Nella
interpretazione matteana della parabola il periodo intermedio
assume un significato autonomo: esso viene descritto esplicita
mente come il periodo del lavoro con i denari affidati (vv. 16-
18) . '8 1 Inoltre Mt. sposta l'accento dall'originaria attività del
denaro stesso a quella dei servi: sono i servi a conseguire il
profitto. Di conseguenza, il padrone distribuisce le somme
secondo le capacità dei singoli servi.' 84 Per Mt. laccento cade
molto più sul comportamento dei cristiani nel mondo che
sulla scoperta dell'esigenza insita nel dono. Per lui si tratta più
di trasporre la basileia che di investirla. 11411
Luca si ricollega innanzi tutto alla interpretazione cristologi
ca della parabola di Q e la rende più chiara con la vicenda del
pretendente al trono, da intendere in senso cristologico.18'
L'inserimento di questa vicenda consente a Le. , al tempo stes
so, di utilizzare la parabola anche come motivazione del ritar-
182. Cfr. Kretzer, Hemcha/t, 208. Di qui anche l'enfasi sulla grande ricompensa ai
due servi fedeli (xotÌ r.tp1'l'at1r.9ljn't'ot1 v. 29). Si tratta ormai della potente parola della
basileia, che bisogna tradurre in azione (cfr. Kretzer, op. cit. , 2o6) . Perciò il padrone
(è Cristo) distribuisce il suo intero patrimonio (è la predicazione di Gesù) .
1 8 3 . I servi «subito,. s i mettono all'opera e fanno tutto i l possibile, per dare a l loro
padrone il massimo profitto. Questo significato autonomo del tempo intermedio era
estraneo alla parabola originaria, ma ne fu una conseguenza allorché la parabola fu
applicata alla ritua1.ione storica.
184. Lo spostamento di accento sul comportamento dei servi si rispecchia anche nel
raddoppiamento della lode in Mt. («buono,. e «fedele.. oppure «credente,., cfr.
Schweizer, Mt, 309 ) . Inoltre i servi vengono definiti di volta in volta con quello che
essi hanno ricevuto (e meritato) . Ciò fa capire che Mt. comprese la parabola come un
ammonimento a portar frutto, all'amore operoso, ad ascoltare la parola e metterla in
pratica. Cfr. Kret7.er, Hemcha/t , 2o6 s. 210 che rimanda all ' èpri�tTSot1 (25,16) ed al
suo riferimento a 2 1 ,28 e (in negativo) a 7,23. Analogamente Kamlah, KuD 14, 29;
Dupont, RThPh 1 9, 381 s.; Schweizer, Mt, 309 s.
1848. [Cfr. sopra, p. 247 n. 173a] .
185. Anche Weiser, Knechtsgleichnirre, intende la vicenda del pretendente al trono
come allegoria cristologica (p. 269) , che però egli vuole attribuire alla fonte partico·
lare di Le. (p. 270). Sullo sfondo di questa vicenda stanno l'ascensione di Cristo, la
sua intronizzazione a Signore, il rifiuto da parte di Israele e la punizione (finale?) di
quest'ultimo, cfr. Kamlah, KuD 14, 30.
25 0
do della parusia ( cfr. v. I I ! ) .'86 Inoltre Le. pone laccento non
più, come in Gesù e in Q, sull'esigenza insita nel dono ricevu
to, bensl sull'ubbidienza dei servi nei confronti del padrone (v.
13b). Di conseguenza condanna più duramente il terzo servo,
facendolo agire in modo negligente e facendo pronunciare a
187
lui stesso la propria condanna. Anche se il giorno del Signo
re è ancora molto lontano, 1 88 la parabola ammonisce ad evitare
ogni disobbedienza nei confronti del Signore Gesù, che alla
fine verrà a giudicare.
Nel secondo secolo l'interesse per il comportamento'119 mo
rale dei servi passò ancor più fortemente al centro dell'atten
zione. Nell'Ev. Naz. 18 viene meno completamente l'idea del
la risposta richiesta dalla basileia, e resta solo quella del modo
di trattare i doni di Dio; tanto che non si comprende più co
me mai il terzo servo (originario) fosse condannato, dal mo
mento che non aveva fatto niente di male; per questo viene
introdotta una nuova figura del terzo servo, che sperpera i
doni di Dio con le prostitute e le suonatrici di flauto, ossia si
comporta in maniera oltremodo immorale. È lui che viene
punito dal padrone con la prigione, mentre l'altro (quello che
in origine era il terzo} viene soltanto rimproverato.
186. Jeremias, Gleichnisre, 56; Weiser, Knechtsgleichnisse, 272; Schweizer, Mt, 309;
Kamlah, KuD 14, 28; McGaughy, JBL 94, 237; Dupont, RThPh 19, 382 s. Il viaggio
in «Un paese lontano» serve a mettere in risalto che dovrà trascorrere un lungo pe
riodo di tempo sino a quando il padrone ritornerà.
187. La condanna del terzo servo (cfr. Weiscr, Knechtsgleichnisse, 270 per la fonte
particolare; Kamlah, KuD 14, 31 per lo sccsso Le. ) rinvia alla concezione lucana del
tempo intermedio come periodo di prova.
188. «Per quanto lungo possa essere il tempo che dovrà passare sino al ritorno dcl
Signore, per i discepoli quello che è importante è lavorare fedelmente con i beni che
sono stati loro affidati» (Weiser, Knechtsgleichnisse, 272).
189. Cfr. Jeremias, Gleichnisse, 55 («grossolanità moralizzante») ; Schwcizer, Mt, 308
cfr. 301 .
2.4. Le rimanenti parabole
del materiale particolare di Matteo
I. Mt. 18,22 è una variante di Le. 17,4. A differenza di Le. , Mt. non parla di conver
sione. A entrambe le versioni soggiace un preesistente detto (di Gesù). La sua con
nessione con la parabola va attribuita verosimilmente alla redazione di Mt. (cfr. il ò1iX
o;rif':o al v. 23; Weiser, Knechtsgleichnisse, 99 s. ), dal momento che il detto e la para
bola non risultano pienamente coerenti (nella parabola non si parla più di un ripetu
to perdono; vedi Schweizer, Mt, 234; cfr. però p. 245 : «L'introduzione [ . . ] così co
.
me la parabola gli [re. a Mt. ] sono già preesistenti. ..). Per l'intera questione vedi an
che Via, Gleichnisse, 133, che riconduce a Mt. il legame con i vv. 21 s.
2. È tipico di Mt. far comparire Pietro se si tratta di questioni dominali che riguar
dano la comunità (Schweizer, Mt, 245).
3. Il v. 35 è tipico di Mt. per terminologia e per contenuto; Via, Gleichnisse, 133;
Weiser, Knechtsgleichnisse, 99 s.; Kretzer, Hemcha/t, 256; Schweizer, Mt, 247.
4. Bultmann, Synoptische Tradition, 191.
5 . Cfr. sopra, p. 15 1 n. 1 1 8 e pp. 217 s. n. 59 (qui anche un'analisi più particolareggia
ta di altre connessioni analoghe nel vangelo di Mt. ) .
cosa che non si addice ad un sovrano, sulla cui parola si do
vrebbe poter fare affidamento. Inoltre il v. 31 rivela in manie
ra molto evidente una terminologia tipica di Mt. 6 I vv. 32-34,
che dovrebbero allo stesso modo essere stati rielaborati da
Mt. ,7 presentano, com'è logico aspettarsi, numerosi punti di
contatto con i vv. 23-30, ma d'altra parte rivelano anche con
siderevoli differenze rispetto alla prima parte. 8 Il che fa pre
supporre che i vv. 32-34 siano stati aggiunti alla parabola ori
ginaria solo secondariamente, però senz'altro già prima di
Mt.9 La parabola originaria (vv. 23-30) costituisce una forma
6. <7UvòovÀoi; compare 4 X nella nostra parabola (vv. 28.29.31.33) cosi come 1 X in
24,49 (senz'altro tradizionale, cfr. Schulz, Q, 272). ),u7teiv già da un punto di vista
puramente quantitativo risulta molto più frequente in Mt. che negli altri sinottici
(Mt. : 6; Mc. : 2; Le. : o), il collegamento con a96ò@ 1t , matteano anch'esso (Mt. : 7; Mc. :
1 ; Le. : 1 ; nel rimanente N.T. : 2) è chiaramente redazionale ( 17,23; 26,22 cfr. Mc.
14,19). iì..Swv, usato come qui, è molto più frequente in Mt. che in Mc. (31 x rispetto a
12 X ) e ricorre spesso nella redazione. Ò1ot'7ot9eiv nel N.T. si trova solo qui e in Mt.
13,36 ( ? tradizionale, cfr. sopra, p. 153 n. 12; ) . -=� y1(e)v611-evot s'incontra in Mt. 27,
;4 in contrasto con Mc. , in 28,n (redazionale) collegato con &7totv-=1t. Anche Wei
ser, Knechtsgleichnisse, 85 s. sottolinea la chiara indicazione fornita dalla terminolo
gia di Mt. 18,31, e ne conclude che si tratta di una formulazione matteana finalizzata
ad una applicazione concreta ecclesiologica.
7. È tipico di Mt. il -=on al v. 32 che stabilisce la relazione col v. 3 1 . ò9uì.+, s'incontra
solo qui e in Rom. 13,7; 1 Cor. 7,3. Èxtivoi; ricorre spesso in Mt. (Mt. : 54 X ; Mc. : 19
[ + 3] X ; Le. : 32 X ) ; à 9 1 Évot 1 si trova in Mt. 6,r; (par. Mc. n,25 ) ; 6,14 (redazionale) ;
6,12 in relazione a ò1;mÀ+.!1-!1-=ot. ÈÀeeiv risulta u n po' più frequente in Mt. che negli
altri sinottici (Mt. : 7 X ; Mc. : 3 X ; Le. : 4 X ) ; si noti soprattutto Mt. 5,7 redazionale
(cfr. Schweizer, Mt, 53). iwi; oò in Mt. è per lo più redazionale: 1,2; ( ? ) ; 5,25 (0-=ou,
redazionale) ; 1 3,33 (Q) ; 14,22 (in contrasto con Mc. ) ; 17,9 (in contrasto con Mc. ) ;
26,36 (in contrasto con Mc. ). Sono certo presenti anche vocaboli tradizionali come
T.fl0'7X!1Àtiv, r.otpotxixì.eiv , �dì.e1v , òpyi�t'7'!Ì ix1, r.otpixò1ò6vix1. Ne consegue che Mt.
qui rielaborò una fonte. Identica conclusione in Weiser, Knechtsgleichnisse, 86-88.
8. Secondo il v. 25b non ci si aspetterebbe come punizione la consegna agli aguzzini
(come narra invece il v. 34), bensl l'esecuzione del comando ivi impartito. Nella de
scrizione del v. 33, che ricapitola il comportamento del servo, non vengono menzio
nati come al v. 26a l'inginocchiarsi e la supplica del servo, bensì il r.oti)IXXIXÌ.eiv del
compagno (come al v. 29). Mentre il signore al v. 27 ha compassione (=ì.ixn.v t'7.Sdi;) ,
al v . 33 si attribuisce l a pietà (·�ÀÉlj'71X). Al v. 27b il signore condona -= Ò òavuov, a l v .
32b invece itii'71tv -r�v ò9e1ì.-fjv . Al v . 3ob s i legge é'.wi; à7toÒ<j> -: ò ò9etÀ011-Evov, mentre
il v. 34b scrive twi; o� àitoò<j> itiiv -=ò òqi e: tÀO!l-EV OV . In generale, la punizione del primo
servo corrisponde al trattamento che egli aveva fallo al suo compagno. Il comporta
mento del sovrano si basa su quello del servo nei confronti dcl compagno.
9. L'aggiunta si mantiene anche senza il v. 3r, che descrive l'indignazione degli altri
più antica della tradizione e dovrebbe avere la sua origine nel
mondo palestinese. '0
Ne consegue la seguente ipotesi sulla storia della tradizione:
nella comunità prematteana la parabola originaria (vv. 23-30)
fu provvista della formula introduttiva caratteristica di questa
tradizione, e fu completata dai vv. 32-34. Matteo collocò la
parabola nel contesto della domanda di Pietro riguardo al
perdono, interpretandola come illustrazione della risposta di
Gesù (v. 22) ; inseri oltre a ritocchi minori il v. 31 da intendere
in senso ecclesiologico; e concluse la parabola (e l'intera «re
gola della comunità») col v. 35.
Interpretazione
Nello stadio di Gesù" la parabola era all'incirca la seguente:
Avviene col regno dei cieli come con un uomo" che voleva fare i conti
servi, dal momento che il resoconto al sovrano non aveva bisogno di essere narrato
esplicitamente. Jeremias, Gleichnisse, 207-211 ; Bultmann, Synoptische Tradition,
191; Linnemann, G/eichnisse, 116 considerano unitaria la parabola. Weiser, Knechts
g/eichnisse, 92, cfr. 76-88 prende invece in considerazione la rielaborazione mattea
na di una parabola tradizionale, che raggiungeva la sua pointe ai w. 33 s. (v. 31 tutto
di Mt. ; parti dei w. 32-34; ritocchi ai w. 2 3 - 3 0 ) .
10. Sono già sufficienti a dimostrarlo i numerosi semitismi (cfr. Jeremias, G/eichnis
se, 208 s.; Weiser, Knechtsg/eichnisse, 77. 81. 82). Tuttavia le situazioni giuridiche
presupposte dalla parabola non coincidono esattamente con quelle del giudaismo (la
vendita di un israelita avveniva solo in caso di /urto, Str.-Bill. 1, 797 s. per Mt.
18,2,a; la vendita della donna era sconosciuta all'halaka, Str.-Bill . 1, 798 per Mt.
18,26b; cfr. Jeremias, G/eichnisse, 20 8) . Esse tuttavia dovrebbero essere state note
anche agli uditori originari, in modo tale che la parabola pur non essendo realistica
(e non aveva bisogno di esserlo) era ugualmente comprensibile. Per la punizione della
tortura cfr. Jeremias, G/eichnisse, 210.
n. Non c'è alcun motivo di contestare l'attribuzione della parabola a Gesù; con Je
remias, G/eichnisse, 210 s.; Weiser, Knechtsg/eichnisse, 92; Dietzfelbinger, EvTh 32,
4,0 s.; Fuchs, ]esus, 3 1 s.
12. La narrazione sembra presupporre che l'uomo sia un re (cosi Jeremias, G/eich
nisse, 208 cfr. 24 n. 1), nonostante essa parli di un signore. L'esorbitante somma do
vuta ( 10.000 talenti) non deve farla ambientare in un mondo di governatori e di sa
trapi. Essa è, piuttosto, in funzione dell'applicazione, ed è chiaramente un tratto ar
tificioso (anche un satrapo difficilmente potrebbe avere avuto tanti debiti; cfr.
Schweizer, Mt , 246 ! ) . In6ne, se si tiene conto che l'espressione �v..9pwr.o; �7tÀe:u; è
254
coi suoi servi. E quando iniziò a fare i conti, ne fu portato'' innanzi a lui
uno che gli doveva'4 diecimila talenti.'' E poiché costui non era in grado
di ripagare (il debito), il padrone comandò di vendere lui, sua moglie, i
suoi figli e tutta la sua proprietà'6 e saldare cosl il debito. '7 Allora il servo
si gettò a terra, si inginocchiò dinanzi a lui e disse: «Abbi pazienza'" con
me e ti ripagherò tutto». Il padrone ebbe pietà di quel servo,'' lo lasciò
andare e gli condonò il debito.'° Ma quel servo andò via ed incontrò" un
altro servo come lui che gli doveva cento denari e lo afferrò per il collo
e gli disse: «Ripagami ciò11 che mi devi». Allora il servo si gettò in terra
e lo pregava dicendo: «Abbi pazienza con me e te {lo) ripagherò». Ma
egli non volle esaudirlo e lo fece gettare in prigione, fino a che egli non
ebbe saldato il debito.
255
do.'3 A questa metafora fondamentale si ricollega anche la di
versa entità delle due somme di denaro: il contrasto tra il de
bito col padrone, quasi incommensurabile, e quello irrisorio
con l'altro servo rimanda alla differenza tra il rapporto Dio
uomo'4 e il rapporto uomo-uomo. «Padrone» e «servo» sono
pertanto metafore di «Dio» e «uomo».'' Se si considera innan
zitutto il comportamento del servo nei confronti dell'altro
servo, prescindendo dall'antefatto, il suo modo di agire risulta
assolutamente «normale». È ovvio che il denaro prestato ven
ga richiesto indietro: chiunque farebbe lo stesso. L' «incro
ciarsi» dei due punti di vista opposti, in questa parabola, fa
leva proprio su questa ovvietà: essa viene incontro all'uditore
ricollegandosi al suo <<normale» modo di vedere. Essa conce
de un certo spazio, all'interno del racconto, al mondo ed alle
regole in vigore nel mondo. Tuttavia questo comportamento
«comprensibile» del servo la parabola lo colloca in un conte
sto ben determinato, facendolo precedere da un antefatto in
solito: prima di narrare il comportamento «normale» del ser-
23. [ Non può essere reso in italiano l'uso del medesimo termine. In tedesco Schuld,
«colpa .. , ha assunto anche il senso di cdebito» nel senso letterale del termine, mentre
in italiano «debito» può equivalere a «colpa» (metaforicamente) ma non viceversa] .
Chiaro, per esempio, il passo Ex. R. 3 1 (91b) (citato i n Str. -Bill. 1, 8oo s. per Mt.
18,33), in cui il debito di un uomo nei confronti del suo creditore viene messo in pa
rallelo col debito contratto dall'uomo innanzi a Dio col peccato. cPer il tardo giu
daismo, il quale concepisce il rapporto con Dio come un rapporto giuridico e con
trattuale, è naturale applicare l'immagine del debito pecuniario al rapporto etico-re
ligioso fra l'uomo e Dio. L'uomo che resta in arretrato colle sue opere pie viene a
trovarsi debitore verso Dio». (Hauck, ThWNT v, '61,18-22 cfr. i testi ivi citati, al
le note 1,-18). Per la visione di Gesù vedi Hauck, op. cit. , ,62,7-,63,16; Weiser,
Knechtsgleichnisse, 77.
24. Con Jeremias, Gleichnisse, 208; Weiser, Knechtsgleichnisse, 77; Fuchs, Zeitver
standnis, in GA 1 1 , 361; Idem, Unmerciful Servant, 493 ; diversamente Linnemann,
Gleichnisse, n4 con n. 12 (p. 175) , che non vuole attribuire la somma esorbitante
ad un influsso della «parte reale». Che siano questi i rapporti in gioco nella parabola
lo mostra anche il fatto che il servo csi inginocchia» davanti al padrone, mentre il
compagno, del quale per il resto si narra esattamente negli stessi termini (v. 29) non
si inginocchia, poiché questo atto è dovuto solo dinanzi a Dio.
2,. Queste metafore risultano molto diffuse nel giudaismo e sono di immediata com
prensione; c&. Jeremias, Gleichnisse, 2o8; Weiser, Knechtsgleichnisse, 7' s. (la meta
fora re è Dio e servo è uomo va presupposta già per l'età di Gesù).
vo, viene narrato il comportamento, estremamente sorpren
dente, del padrone.26 Ma una volta collocato in questo contesto
il comportamento del servo si rivela insensato, inconcepibile.
«Come può fare una cosa simile?». È questa la reazione che la
parabola vuol provocare negli uditori. Con quell'antefatto,
cambia tutto: quello che prima era la cosa più normale di
questo mondo, adesso si rivela addirittura assurdo.
Che la parabola qualifichi il comportamento del servo me
diante un antefatto, non è affatto casuale. Esso mira a porre
esplicitamente in risalto un'anteriorità. Essa illustra quindi la
misericordia preveniente di Dio, il suo amore preveniente, che
qui rimane incomprensibilmente senza effetto. L'amore di Dio
è preveniente non solo in senso temporale: il condono del pa
drone supera anche ciò che il servo aveva osato invocare (solo
un rinvio ! ) ; l'amore di Dio previene anche le aspettative e le
speranze dell'uomo. Come mai poi l'uomo, nonostante prece
dentemente abbia sperimentato questa misericordia illimita
ta, possa mostrarsi lui senza alcuna misericordia, rimane com
pletamente incomprensibile: è questo il giudizio che la para
bola vuole provocare nell'uditore;'7 per questo la domanda (v.
33) non aveva bisogno di essere formulata. Col v. 30 l'uditore
ha già trovato la risposta. '8
26. Fuchs, Unmerciful Servanl, 493 : non è un fatto insolito che un uomo sia coperto
di debiti, ma che questi gli vengano condonati è solo un gesto regale. Vedi anche
Linnemann, Gleichnisse, II.5. 117; Dietzfelbinger, EvTh 32, 44r.
27. L'interpretazione di Dietzfelbinger, EvTh 32, 437-4.5 1 , è valida nella misura in
cui il condono del debito fatto all'uomo può essere inteso anche come un donargli
tempo. Dietzfelbinger ravvisa nella preghiera del servo la preghiera che gli venine
dato tempo (op. cit. , 441) e di conseguenza individua la poinle della parabola nell'an
nuncio del dono del tempo (op. cii. , 4.5I) per una responsabile gestione della vita
(op. cii. , 443). Propone perciò un nuovo titolo alla parabola: cLa parabola del tempo
donato» (op. cii. , 442). Da un punto di vista storico sicuramente il tema era il perdo
no, ma da un punto di vista teologico è legittimo applicarla al problema del tempo.
Chi ha un debito, ha bisogno del suo tempo, per poterlo saldare; chi invece riceve il
condono, di tempo da donare ne ha a iosa.
28. Si deve riconoscere che una conclusione cosl brusca non ha paralleli tra le para
bole della tradizione sinottica; tuttavia ci si può chiedere se parabole come Le. l.5,II
� 2 ; Ml. 20,1-1.5 non finiscano allo stesso modo immediatamente e possano offrire
un'analogia al caso nostro. La brusca conclusione esprime a mio avviso l'apertura
257
Al contrario, per il giudizio pronunziato sul servo secondo
il v. 34 non poteva esserci posto nella parabola originaria, per
ché esso relativizza la misericordia preveniente di Dio, facen
dola dipendere dalla nostra capacità o meno di rispondere ad
essa. Il comportamento del servo in tal caso non viene più de
finito dall'antefatto, bensì dall'epilogo. •9 Nella parabola origi
naria trovava espressione la realtà del regno di Dio proprio in
quanto essa rendeva talmente vicino all'uomo il perdono pre
veniente di Dio, che il perdono fra uomo e uomo ne diventa
una conseguenza che va da sé. La parabola dona all'uomo la
comprensione del Dio che perdona, ed in tal modo gli rende
comprensibile la vicinanza della basileia. La comprensibilità
della basileia è quell'evento nel quale il comportamento uma
no «normale» viene collocato nel contesto di qualcosa che lo
previene, e posto in tal modo in una nuova luce.
Sempre in riferimento al significato della parabola nel con
testo della vita di Gesù, assume gran peso un'ulteriore osser
vazione. La parabola non parla della misericordia del padrone
in generale, bensì del realizzarsi di questa misericordia in un
determinato evento.30 Quest'evento dell'amore preveniente di
Dio viene a coincidere con Gesù stesso. L'amore che si rivela
nel comportamento di Gesù nei confronti dei «debitori di
Dio» e nella sua parola (comprese le parabole stesse) , ha il
suo fondamento nella «anteriorità» dell'amore di Dio. La
nuova situazione, il nuovo contesto in cui collocare i rapporti
umani è Gesù stesso, nel quale si dona agli uomini lamore
della parabola nei confronti dell'uditore. Ma la domanda del v. 33 può anche essere
considerata originaria, senza intaccare l'interpretazione che proponiamo.
29. A mio avviso è molto problematico sostenere che la parabola in questo punto non
ricalchi landamento di questo mondo, perché in essa il servo spietato non consegue
alcun successo (cosi Fuchs, ]esus, 39, che rimanda all'esperienza secondo la quale
nel mondo gli empi e gli iniqui hanno successo). Per quanto essa possa non ricalcare
il mondo empirico, la conclusione col giudizio sul servo spietato è conforme al nostro
mondo ideale, perché il fatto che l'ingiustizia non deve rimanere impunita corrispon
de al nostro modo di vedere umano.
30. A questo proposito Fuchs, ]esus, 3 1 : «La spietatezza del servo cattivo è in con
trasto con levento della misericordia del padrone».
preveniente di Dio.'' Se guardiamo a Gesù come uomo, la sua
accettazione incondizionata dell'altro è il riflesso del perdono
preveniente di Dio; se guardiamo a lui come Dio, è proprio
nella sua esistenza che si realizza quella liberazione dalla col
pa. Ma in Gesù di N azaret i due aspetti non possono essere
scissi, poiché è appunto come uomo che egli agisce al posto di
Dio. ,. In lui si rende visibile, come nella nostra parabola, la
radicale anteriorità dell'amore di Dio, che già in partenza, da
sempre, va al di là del nostro comportamento e delle nostre
aspettative, ne costituisce sempre lantefatto.
Con l'aggiunta dei vv. 32-34 la comunità anteriore a Matteo
introduce nella narrazione il giudi'zio, che la parabola origina
ria lasciava all 'uditore. Con questa aggiunta essa sottolinea
che quel comportamento del servo non rimarrà senza conse
guenze nel giorno del giudizio.n Nel padrone della narrazione
3 1 . Diversi interpreti ammettono questo riferimento a Gesù, per esempio Fuchs, ]e
sus, 32. 36; Idem, Unmeraful Servant, 494; Weiser, Knechtsgleichnisse, 97 s.; Dietz
felbinger, EvTh 32, 450.
32. Di qui l'infondatezza di alcune interpretazioni correnti: quando Jeremias vede
qui una «parabola del giudizio finale» «che è ammonimento e messa in guardia allo
stesso tempo» (Gleichnisse, 210), misconosce la priorità dell'amore di Dio, così evi
dente nella nostra parabola, e al tempo stesso opera un'indebita allegorizzazione del
la resa dei conti del padrone (per lo meno nella seconda parte) riferendola al giudizio
finale. In realtà, il comportamento sbagliato del servo viene narrato in modo tale che
l'uditore della parabola lo trovi del tutto incomprensibile; in tal modo la parabola lo
spinge a cogliere la possibilità di una vita fondata sul perdono gratuito, come quella
più a portata di mano. La nostra parabola dunque non è annuncio del giudizio, ben
sì dono del vangelo. Jeremias fonda troppo unilateralmente la sua interpretazione
sulla conclusione (di cui noi invece ipoteticamente prospettiamo la non-originarie
tà). Ma anche Weiser, Knechtsgleichnisse, 93, mette troppo in risalto l'esigenza, che
scaturisce dal perdono di Dio, in contrasto con la parabola stessa, che mediante la
narrazione mira invece a far prendere coscienza del perdono di Dio, ed a tal punto
che il rifiuto del perdono da parte dell'uomo diventi inconcepibile. In tal modo la
parabola dischiude la possibilità di un nuovo modo di pensare a partire dall'evento
<lei perdono, e in tal modo è essa stessa una componente di quell'evento. Tutto ciò è
preso troppo poco in considerazione da Via, Gleichnisse, 135-137, in modo tale che
l'esigenza di dare una risposta adeguata alla grazia corre il rischio di banalizzarsi ri
ducendosi a un luogo comune.
3 3 . Con ciò la parabola perde un elemento decisivo della sua forza analogica. La
consegna agli «aguzzini» deve essere vista come una punizione che non avrà fine,
perché il debito non può essere ripagato in questo modo. Essa serve dunque a de·
259
essa vede chiaramente Dio, che giudicherà l'uomo in base alla
sua disponibilità a perdonare. Si richiede la compassione4 nei
confronti degli altri uomini, dal momento che Dio ha manife
stato un'illimitata compassione nei confronti dell'uomo. Con
cepita in questo modo, la parabola non ha più nulla che tra
scenda il nostro modo di pensare: a colui che agisce male vie
ne inflitta la punizione. Dio allora ha revocato la sua miseri
cordia? La colpa susseguente dell'uomo è più grande, allora,
dell'iniziativa preveniente di Dio?
Matteo applica la parabola direttamente alla sua comunità,
come risulta chiaro già dal fatto che egli descrive espressa
mente (v. 3 r ) lo sdegno degli altri servi (che corrispondono ai
membri della comunità) e la loro denuncia al padrone. L'ap
plicazione della parabola alla comunità, partendo dalla para
bola originaria, è pienamente legittima, e tutt'al più la que
stione sarebbe se il perdono sia d'obbligo soltanto nei con
fronti degli altri servi. 3' Di portata ben più rilevante è invece
la sentenza finale al versetto 35 : «Così farà anche il mio Padre
celeste a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vo
stro fratello». In tal modo l'orientamento argomentativo della
parabola viene capovolto nel suo opposto. Il movente del per
dono umano non è più il perdono già ricevuto da Dio, ma la
sua condanna conseguente alla colpa dell'uomo. Non è più il
comportamento di Dio a determinare il comportamento del
l'uomo, bensì il comportamento dell'uomo a determinare
quello di Dio, dal momento che il giudizio di Dio si basa sulla
condotta umana. Il tono della parabola, a questo punto, si è
escluso che Mt 20,16 derivi da Q ed eventualmente sia stato collegato alla parabola
.
già prima della redazione di Mt. (confutazione in Schweizer, Mt, 255; de Ru, NT 8,
204; Mitton, ET 77, 308; Jeremias, Gleichnisse, 3 0 s. e molti altri). Inoltre la sequen
za in Mt 20,16 è chiarita in modo soddisfacente con il riferimento del logion alla pa
.
rabola (20,8 ! ) ; si rende superfluo, pertanto, il ricorso a ipotesi letterarie per chiarire
la concordanza con Le.
39. Mt. 19,30 coincide esattamente con Mc. 10, 3 1 , a parte la mancanza dell'{li, te
stualmente incerto anche in Mc. (N, A, D, W ecc. non lo riportano, e questo rappre
senta probabilmente la lezione più originaria, perché l'inserimento di oi può essere
spiegato col parallelo Mt. 20 16, oppure la sua mancanza col parallelo Mt. 19ao; i
,
copisti non avevano innanzi a sé una sinossi ed il logion rimane più impresso nella
forma di Mt. 20,16). Mt. 20, 16 presenta invece modifiche decisive: gli ultimi ed i pri
mi vengono indicati con l'articolo determinativo; viene omesso il ridimensionante
r.o1ì.oi; viene inserito un {llltwc; di saldatura. Il capovolgimento dell'ordine normale,
per di più ridimensionato dal r.{l),Àot, è diventato in Mt. un principio assoluto (cfr.
Dupont, NRTh 89, 792).
20,16a.40 Il detto aggiunto in una buona parte dei manoscritti:
«perché molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti» (cfr. Mt.
22,14) è da considerarsi secondario per motivi di critica te
stuale.41
Il contesto più ampio è determinato dal filo conduttore di
Mc. , che Mt. riprende con qualche modifica tipicamente mat
teana; esso è dato dalla domanda di Pietro riguardo alla ri
compensa della sequela (Mt. 19,27-29 cfr. Mc. 10,28-30) e
dal terzo annunzio della passione (Mt. 20,17-19 par. Mc. rn,32-
34) .4' La parabola trovata da Mt. nella tradizione comprende
va pertanto i vv. I - 15 ; "3 la formula introduttiva rivela che essa
appartiene al materiale particolare di Mt. 44 Al suo interno, la
parabola non rivela né tensioni né cesure: nessun elemento ri
sulta eliminabile senza far violenza al testo: va considerata
dunque libera da ritocchi redazionali."' Il processo della tradi-
40. Penanto Mt. intende la parabola come illustra1.ione del logion ripreso da Mc.
Cosl pensano pure, ad es., Dupont, NRTh 89, 789; de Ru, NT 8, 204; Mitton, ET
77, 308; Jeremias, Gleichnisse, 30 s.; Eichholz, Gleichnisse, 101 ; Jiingel, Paulus und
Jesus, 164; Bultmann, Synoplische Tradition, 191. Il logion peraltro non armonizza
con la parabola, perché si riferisce solo al v. 8. Presupponendo la teoria delle due
fonti, va considerato un'aggiunta redazionale matteana.
41. L'attestazione è debole con C, �\ , D ecc. in contrasto con B, N, L ecc. L'aggiunta
si spiega come ripresa di Ml. 22,14 e riflette la concezione di ceni ambienti ecclesia·
stici del secondo secolo (cfr. Dupont, NRTh 89, 788 s. ) .
42. L a promessa ai discepoli che essi siederanno su dodici troni (in larga misura una
creazione di Matteo, cfr. Schweizer, Ml, 2,1 s.) è particolarmente importante; essa è
di grande ponata per la concezione matteana di «Israele» (vedi Schweizer, Gemein·
de, 33. 36 s.). Riguardo all'inserimento della nostra parabola è significativo l'orienta·
mento escatologico (riguardo alla ricompensa dei discepoli), che Ml. ottiene canccl·
lando la ricompensa «già nel presente» menzionata in Mc. (Ml. l9,29b cfr. Mc.
10,30; v. anche Kretzer, Herrscha/t, 277) !
43 . In ciò concorda la maggior parte degli esegeti: cfr. Jeremias, Gleichnisse, 33; Jiili·
cher, Gleichnisreden 11, 469; Bultmann, Synoplische Tradilion, 191 ; de Ru, NT 8, 204
s. ; Dupont, NRTh 89, 793-797; Jiingel, Paulus und Jesus, 164; Fuchs, Zeitverstiind
nis, in GA 11, 362; Derrett, JJS 2,, 64; Schweizer, Mt, 2"; Dodd, Parables, 122.
44. La formula introduttiva si distingue, all'inizio, da quella tipica del materiale par
ticolare di Ml. (Qimia. yci.p ian11 invece di W(J.01w..9"/l, cfr. Schweizer, Gemeinde, 99 s.),
ma la differenza va attribuita senz'altro alla redazione di Mt. Per l'espressione ò.11-
-8pwtt(fl oixo&e:rnG-rn tipica del materiale particolare cfr. sopra, pp. 217 s. n. ,9.
4,. Opinione quasi generale. Tuttavia si è spesso tentato di individuare nei w. lb-1,
zione, a mio avviso, può essere ricostruito con sicurezza: l'at
tuale formula introduttiva si spiega con la storia della tradi
zione (Mt. 20,ia), l'inserimento nel contesto attuale e l'ag
giunta del v. 16a si spiegano con la storia della redazione, ed
infine l'aggiunta del v. 16b ( Mt. 22,14) si spiega con la sto
=
aggiunte redazionali. Tra gli studi recenti va menzionato in modo particolare quello
di Kretzer, che ritiene di dover costatare una forte rielaborazione redazionale (He"·
scha/t, 28o-284); in particolare, Kretzer vuole ricondurre a Mt. gli «elementi. . . chia
ramente non realistiei» (op. cit. , 281) , come il pagamento del salario a cominciare
dagli ultimi (20,8). Il presupposto, però, che Gesù abbia narrato solo parabole reali
stiche prese dalla vita, risulta ormai insostenibile. Quanto alle «tecniche di rielabora
zione» (op. cit. , 282), non hanno nulla di tipicamente matteano. Il fatto che la tecnica
narrativa della nostra parabola sia di alto livello (pp. 282 s.), non è una prova di re
dazionalità, come Kretzer stesso ammette (He"schaft, 283): «Vero è che le leggi nar
rative appena accennate possono essere valide per le parabole in generale, esse però
sembrano utilizzate con particolare predilezione in Ml. nelle sue parabole della basi
leia». Le «particolarità terminologiche e stilistiche» (op. cii. , 283 s.) elencate da Kret
zer, nella maggior parte dei casi non sono del tutto chiare, e dove lo sono rivelano
tutt'al più che nell'elaborazione linguistica c'è anche la mano dell'evangelista, il che
va presupposto in ogni caso, ma non dimostra la redazionalità. Il fatto stesso della
discrepanza tra il v. 16a, redazionale, e la parabola stessa, fa supporre che non si devo
no ipotizzare rilevanti interventi di Mt. nel corpo della parabola.
46. Non c'è quasi nessun'altra parabola neotestamentaria che secondo i criteri della
discontinuità (cfr. sotto, pp. 267 s. 270 con nn. 7'J s. 86) e della coerenza (per l'inqua
dramento storico nella vita di Gesù cfr. sotto, pp. 272 s. con nn. 91 -94) risalga tanto
sicuramente al Gesù storico: la sua autenticità è fuori discussione nell'esegesi recen
te (Jeremias, Gleichnisse, 1 37-1 39; Jiingel, Paulus und ]esus, 16,; Schweizer, Mt, 2,8;
de Ru, NT 8, 208; Dupont, NRTh 89, 793 s. ; Mitton, ET 77, 309; Eichholz, Gleich
nisse, 96 s.; Fuchs, Bemerkungen, in GA 1, 140; Id., Zeitverstlindnis, in GA 11, 363 ; Id.,
Jesus, 38; Derrett, JJS 2,, 88-9 1 ) , anche se le interpretazioni divergono fortemente.
47. Poiché l'espressione av-l>pwn:oi; oixo6trn6-nJi; tradisce la terminologia della comu
nità anteriore a Mt. , si può pensare che in origine ci sia stato solo oixo6trn6't11i;, e&.
il v. u. A tal proposito Derrett, JJS 2,, 67. 72.
48. Cfr. Jercmias, Gleichnisse, 136: «al levar del sole». L'alba era il momento iniziale
del conto delle ore.
49. Per il significato di inii-:11i; cfr. Bauer, Wb, s. v. Ia. Qui si tratta (come fa capire
gna.'0 Egli si accordò con gli operai per un denaro'' al giorno'' e li mandò
nella sua vigna. Quando alle nove" uscl di nuovo e ne vide altri che sta
vano sulla piazza"' senza lavoro," disse loro: «Andate anche voi nella vi
gna e vi darò ciò che è giusto»."' Allora essi andarono. Uscl di nuovo al
le dodici e alle quindici'1 e fece lo stesso. Ma quando uscl alle diciassette
ne trovò altri che stavano n attorno e disse loro: «Cosa state a fare qui
tutto il giorno senza lavoro ?». Essi gli dicono: «Nessuno ci ha ingaggia
ti». Egli dice loro: «Andate anche voi nella vigna ! » .
il contesto) di braccianti che venivano assunti solo a giornata (per la posizione sociale
di questi lavoratori nel giudaismo, cfr. Derrett, JSS 25, 67 s. 73 s.).
5 0 . L'assunzione (v. Wiirthwein, ThWNT l V , 700,27-36 per l'ellenismo; 701,27-31
per i LXX) era compito dell'amministratore. Essere assunti direttamente dal proprie
tario offriva però una garanzia in più, perché così si prècludeva la possibilità di truffe
(riguardo al salario pattuito) (Derrett, JJS 25, 72) .
5 1 . Un denaro era il salario co"ente per un lavoratore di questa categoria, come ri
sulta chiaramente dai testi addotti in Str. -Bill . l, 831. Non si può parlare dunque di
chardly a good wage» (come vorrebbe Derrett, JJS 25, 68).
52. Cosl è da tradurre il -:�v f.!J-Épotv (accusativo di estensione, v. Bl.-Debr. § 161,2).
'3· Questo orario deriva dal calcolo ebraico delle ore (cfr. Jeremias, Gleichnisse, 1 36
con n. 6). � la struttura drammatica della na"azione a richiedere che il padrone esca
più volte nello stesso giorno, per l'uditore comunque la cosa risulta plausibile perché
si può facilmente immaginare una situazione in cui era urgente il lavoro per il raccol
to (Jeremias, Gleichnisse, 1 36, pensa all'inizio del periodo delle piogge; Derrett, JJS
25, 72 ipotizza un raccolto da concludere prima dell'inizio del sabato, quindi vener
dl) . Anche se l'uscita del padrone alle diciassette risulta alquanto iperbolica, non è
questo un motivo per intenderla come allegorizzazione, ma può essere spiegata par
tendo dalla pointe della parabola. � importante non il realismo, ma la plausibilità
della narrazione.
'4· L'aggettivo àpyo<; qui equivale semplicemente a «disoccupato» (v. Bauer, Wb,
s. v. 1) e non dev'essere caricato del risvolto dispregiativo di «fannullone» o cbuono a
nulla». Rende appieno il termine aramaico biifel ( «empty, unemployed»; Derrett,
=
JJS 25, 73). Inesatta dunque la loro caratterizzazione come bighelloni in Jeremias,
Gleichnisse, 136.
55. Contro Jeremias, Gleichnisse, 136, che traduce cstarsene in giro», É�W-.ot<; impli
ca creadyness for activity» (cosl Derrett, JJS 25, 69 n. 14) ed armonizza molto bene
con il senso non dispregiativo di ànO<;. Sempre in dissenso con Jeremias, ibid. , la ri
sposta dei disoccupati al v. 7 non va presa come «pigre scuse» ma esprime la situa
zione reale di coloro che stavano ancora aspettando di essere ingaggiati.
56. Questo accordo è molto ben riuscito dal punto di vista della drammaturgia nar
rativa: fa supporre, pur senza dirlo, che i primi ingaggiati naturalmente riceveranno
un salario maggiore di coloro che sono stati assunti più tardi (cfr. al riguardo Joms,
Gleichnisverkundigung, 16 3) Lascia molto perplessi l'osservazione che verso sera il
.
costo del lavoro anziché scendere salirebbe (cosl Derrett, JJS 25, 69) ; la questione co
munque non tocca la nostra parabola, che dà per scontato il contrario.
57. Per la suddivisione delle ore e la parafrasi qui scelta cfr. sopra, n. ' 3 ·
Quando fu sera il padrone della vigna dice all'amministratore:'"
«Chiama gli operai e paga il compenso iniziando dagli ultimi sino al
primo ! »." Allora vennero quelli che erano stati assunti alle diciassette e
ciascuno ricevette un denaro.6o E vennero i primi e supponevano che
avrebbero ricevuto di più;0' ma anch'essi ricevettero un denaro.6' E nel
ricever(lo), mormoravano•• contro il padrone dicendo: «Questi ultimi
(qui) hanno lavorato solo un'ora64 e li hai fatti uguali a noi, che abbiamo
sopportato0' il peso della (intera) giornata e la calura». Ma egli rispose:
«Amico,66 non ti faccio alcun torto. Non hai concordato con me per un
denaro? Prendi quello che è tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a
quest'ultimo quanto a te. Non posso forse con ciò che è mio fare quello
che voglio?67 O forse il tuo occhio è cattivo.. perché io sono buono?».°'
58. Il pagamento dei braccianti alla sera era un'usanza comune (cfr. Str.-Bill. 1, 832
per Mt. 20,8), rientrava tra i principali compiti dell'amministratore.
59. La traduzione di lip�iiµ.tvoc; !Ì:ito = «compresi», sostenuta da Jeremias (G/eich
nisse, 32 con n. 2), non corrisponde al testo, che menziona inequivocabilmente an
che i primi (ewc; -r<i>v itpw-:wv). Risponde inoltre a una necessità na"ativa, che i primi
vengano pagati alla fine, perché altrimenti la loro reazione diventerebbe incompren
sibile. L'affermazione di Derrett, che gli ultimi dovevano essere pagati per primi per
potersene andare a casa e fare gli acquisti necessari UJS 25, 73) - a prescindere dal
fatto che essa non ha nessun appiglio nel testo - non serve ad altro che ad offuscare
l'idea cosl chiara nel racconto (con Schweizer, Mt, 256).
6o. Cfr. Bauer, Wb, s. v. 3.
61. La lezione r.Àdovct testimoniata da N, .\1 , L, � e molti altri, non si distingue, per
il contenuto, da r.ì.eiov (B, ecc.) , vedi Bauer, Wb, s.v. itoì.vc; 11 2 b.c . La prima si rife
risce più chiaramente a µ.1'J'86c;, potrebbe essere quindi una correzione secondaria.
62. Per la traduzione di -:ò iv'1 òr;viip1ov si vedano Bauer, Wb, s. v. livti. 3 e Bl.-Debr.
s 266,2.
63. Cfr. Wilckens, NT, ad locum.
64. L'uso del numerale (µ.ictv) con «Ora» sottolinea fortemente che gli ultimi hanno
lavorato un'ora sola. La traduzione concorda con quella di Schweizer, Mt, 255.
65. �r.ii"çe1v qui è in senso traslato ed intende la paziente accettazione di spiacevo
li condizioni di lavoro (v. Bauer, Wb, s. v. 26�).
66. L'appellativo i:'tcti�e (cfr. Mt. 22,12; 26,50) implica probabilmente un atteggia
mento bonario ma allo stesso tempo di rimprovero da parte del padrone. Lo si usa, a
colpo sicuro, con qualcuno cedi cui non si conosce il nome» (Jeremias, Gleichnisse,
137 con le nn. 5 s.).
67. Nonostante le obiezioni di Jeremias, Gleichnisse, 137, l'iv va tradotto in senso
strumentale, come fa capire il contesto. Per la questione cfr. Bl.-Debr. S 219.
68. L' ccocchio cattivo» sta qui come espressione del cccuore cattivo», visto che i moti
del cuore si manifestano negli occhi (Dupont, NRTh 89, 796; Schweizer, Mt, 103 per
Mt. 6,23). Il termine ccinvidia» tuttavia non esprime esattamente l'atteggiamento in
teso dalla parabola, perché designa un sentimento immotivato dell'uomo, moral-
Per il senso originario della nostra parabola è fondamentale
il campo semantico metaforico costituito dall'accostamento
tra datore di lavoro, operai, pagamento del salario. Questa
costellazione narrativa presente nella nostra parabola evoca
nell'uditore quel tipo di problemi e di categorie che riguarda
no la retribuzione da parte di Dio in relazione alla prestazione
religiosa da parte dell'uomo.70 Assai importante, per capire la
mentalità degli uditori, è che il pagamento della ricompensa
da parte di Dio nel giudaismo contemporaneo era un'attesa
rigorosamente riservata alla fine dei tempi.7'
266
La parabola illustra in modo accurato l'ingaggio degli ope
rai nelle diverse ore del giorno, scendendo persino a dettagli
di tipo giuridico-economico. La pointe del racconto si ha con
il comportamento sorprendente7' del padrone, che paga agli
ultimi venuti la stessa ricompensa dei primi: dal punto di vista
della ricompensa tutti gli operai vengono resi «primi».73 L'ac
cento principale non cade sull'idea che siano tutti eguali,74
bensl sul fatto che in questa vigna ci sono solo «primi». Que
sto comportamento, che si rivela abnorme secondo la conce
zione umana della giustizia, è una provocazione per i primi
venuti: essi mormorano contro il padrone, additandogli la sua
palese ingiustizia. Ogni uditore avrà considerato questa pro
testa del tutto fondata. La protesta dei primi è il punto in cui
la parabola viene a toccare la situazione dell'uditore, in quan
to questo spontaneamente è portato ad applicare il principio
del rendimento, valido giustamente nel mondo, anche alla ri
compensa della fine dei giorni.7' Dando spazio all'uditore, la
72. Il comportamento sorprendente del proprietario viene messo in rilievo da molti
interpreti, cfr. ad es. Via, Gleichnisse, 145 ; Dupont, NRTh 89, 793; Eichholz, G/eich
nisse, 95; Jorns, G/eichnisverkiindigung, 163. Il tentativo intrapreso da Derrett, JJS
25, 77-80 di caratterizzare il comportamento del padrone come «tutt'altro che don
chisciottesco» (noi quixolic) e «though generous, only marginally so» (p. 80) è smen
tito dalla protesta degli operai della prima ora, a prescindere dal fatto che rimane
puramente congetturale l'ipotesi del po'el bà!el citato a p. 77 («a national minimum
wage, balancing the sodai and mora! rights of the employer and eployee», p. 76) sti
mato in 0,7 denari. Derrett fa violenza all'evidenza della parabola. Come si potrebbe
prendere sul serio la protesta dei primi, se il proprietario si fosse comportato sola
mente «marginally generous»?
73. In tal senso è giusto che al v. 8 quello che interessa è solo la relazione «primi-ul
timi», proprio perché nella contrapposizione di questi due gruppi si comprende cosa
significhi che tutti vengono resi primi.
74. Con de Ru, NT 8, 2o6, il quale tuttavia come alternativa allo stesso salario per
tutti prospetta l'idea di «un salario maggiore per gli ultimi». De Ru definisce il moti
vo dell'azione del padrone come compassione per gli ultimi (perché essi non avevano
potuto guadagnarsi i mezzi di sostentamento per un giorno), ma anche quest'inter
pretazione non coglie il senso della parabola. È decisivo che il comportamento del
padrone non viene motivato da nient'altro se non dal suo sovrano «io voglio» (v. 14) .
Esso quindi non può essere ricondotto ad un concetto, sia pure quello della compas
sione anziché quello della iustitia distributiva.
75. Questa applicazione si rivela nella parabola su rabbi Bun, richiamata da molti
autori (Jiingel, Paulus und Jesus, 166; cfr. Str.-Bill. 1v/x, 492 s.; peraltro risalente al
parabola proprio qui rivela chiaramente di prendere di mira
la concezione largamente diffus a nel giudaismo, secondo la
quale rendimento e ricompensa sono proporzionali."'
La parabola raggiunge ancora una volta un momento cul
minante quando il padrone reagisce alla protesta degli operai
(vv. 13-15). Dopo aver respinto il rimprovero di ingiustizia ri
ferendosi a ciò che si era concordato, ed aver ingiunto agli
operai di andarsene, comincia ad esprimere il motivo vero e
proprio del suo comportamento: io voglio. Nessuno può con
testargli il diritto di fare ciò che vuole con la sua proprietà.
Questa volontà del padrone viene definita alla fine come bon
tà,77 alla cui luce il comportamento degli operai si rivela per
quello che è in realtà: invidia, gelosia. Non può sfuggire il pe
so considerevole, già semplicemente dal punto di vista quan
titativo, attribuito dal narratore agli argomenti del padrone.
Unitamente alla varietà delle argomentazioni, è un chiaro in
dizio che proprio questo è il problema su cui la parabola si
sforza di avvicinare all'uditore il punto di vista del padrone78 in
300 d.C. circa! ) dove il lavoro di due ore, stimato secondo il rendimento, viene valu
talo maggiore di quello di un'intera giornata degli altri lavoratori.
-,6. A parer mio di fronte all'abbondanza del materiale (Str.-Bill . 1vh, 492-494) è
incontestabile che l'idea che ccii salario è proporzionale al guadagno» (op. di. , 490)
aveva - come minimo - una rilevanza notevole nel giudaismo (checché ne pensi
Dcrrett, JJS 25, 81 s.). Anche se si deve riconoscere che in alcuni testi della letteratu
ra rabbinica antica fa capolino l'idea del salario elargito per grazia (Str.-Bill . IVh, 488
s.), proprio la nostra parabola stessa conferma che negli uditori viene presupposto lo
schema prestazione/retribuzione. Dcrrett, JJS 25, 88, trascura del tutto questo fatto
quando cosi commenta la parabola di Gesù: ccGod will indeed 'reward every man
according to his works' ( . . . ) but he will ( . . . ) calculate (as it were) the rcward accord
ing to the socia! as well as economie value of the work ! i.. Se nelle fonti rabbiniche
si dice talvolta che la torà deve essere osseivata per amore della lorà stessa (Abol
1,1 3; 4,5; cfr. Str.-Bill. 1vh, 496) o che è importante l'intenzione da cui sono animate
le opere (Ber. 17a; Str.-Bill. 1vh, 497), ciò non equivale affatto a un superamento
dell'idea di retribuzione, ma unicamente ad un suo trasferimento su un altro piano.
77. Ciò non significa che il suo comportamento debba essere ricondotto ad un con·
cetto (cfr. sopra, n. 74) . L'iiy11�6c; non può essere assolutamente scisso dal �ÉÀw &i
(v. 14), che mette in risalto l'assoluta indipendenza e sovranità nel comportamento
del padrone.
78. La parabola wole che si impari a conoscere il Signore nella sua superiorità e «a
vedere ... tutto con gli occhi di Dio» (Fuchs, Zeitverstiindnis, in GA 11, 363).
268
modo accurato e complesso. Essa vuole ottenere un consenso,
che faccia passare l'uditore dalla sua parte.
La parabola è una parabola del regno di Dio. Con la basi
leia le cose vanno in questo modo: in essa ci sono solo «pri
mi». Nella basileia i rapporti sono determinati dalla bontà di
Dio.79 Ma se le cose stanno così, c'è uno scontro frontale tra la
basileia e i nostri rapporti, nei quali le categorie umane di
«giustizia, ricompensa e rendimento»8o hanno l'ultima paro
la. 8 1 La basileia si fa tanto vicina, che ci brucerebbe se non si
avvicinasse attraverso la parabola. 8• «La vicinanza del regno di
Dio è tale da richiedere la forma linguistica della parabola per
potersi esprimere in modo tale che l'uomo abbia la possibilità
di prendere posizione di fronte ad esso». 8 1 Avvicinandosi a
noi sotto forma di parabola, fa spazio al nostro modo di pen
sare e di agire, per portarci ad una visione nuova. La nostra
parabola libera l'uditore dal suo schema rendimento/ricom
pensa,8• rendendogli plausibile attraverso degli argomenti il
79. La basileia «si esprime in quanto essa esprime l'evento di una bontà che giudica
le opere, ma non secondo le opere» Uiingel, Paulus und Jesus, 164; cfr. Jeremias ,
Gleichnisse, 33 s.).
80. Bornkamm, Lohngedanke, 88 (in corsivo), c&. p. 82.
81. Fuchs, Jesus, 24, parla di una «connessione delle opere», dalla quale è contrasse
gnata l'esperienza umana, e che non deve essere svilita considerandola un perverti
mento delle cose di questo mondo. I concetti di giustizia, ricompensa e rendimento
sono validi proprio laddove il mondo riesce più fedele a se stesso, laddove esso rea
lizza la parte migliore di sé (spesso purtroppo prevalgono situazioni che non sono
contrassegnate dalla giustizia). Il richiamarsi da parte degli operai della prima ora a
questa «connessione delle opere», non dev essere qualificato negativamente come
'
come forma non va motivata né didatticamente né con la sua situazione storica d'o·
rigine, ossia con il con&onto di Gesù con i suoi avversari.
84. È decisivo il fatto che il rapporto p restazione/retribuzione, valido per i rapporti
umani, fornisca il presupposto per la comprensione della bontà di Dio che infrange
proprio quel rapporto. In tal senso, la parabola conduce l'uomo a prendere coscienza
punto di vista del padrone. Il tal modo la parabola stessa di
viene evento della bontà di Dio.8' Sotto un certo aspetto, po
tremmo dire che essa elargisce sin da adesso la ricompensa
escatologica, in quanto porta l'uditore sin da adesso a mettersi
in sintonia con i rapporti in vigore nella basileia, dove è de
terminante soltanto la bontà di Dio. 86
Chi è quest'uditore? Certo si potrà pensare ai farisei, ai
quali Gesù rivolse la nostra parabola.87 Tra i farisei indubbia-
di se stesso, se vuole capire Dio (cfr. sopra, n. 81). La parabola tuttavia non elimina
l'idea di retribuzione, se con essa si intende che Dio prende sul serio le opere del
l'uomo. «Non viene accantonata l'idea di retribuzione, e non perché Gesù, cono
scendo l'uomo, voglia fare una concessione alla sua naturale debolezza, ma proprio
al contrario: perché non perde mai di vista Dio, perché lascia l'ultima parola alla de
cisione di Dio, per questo egli [cioè: Gesù] conserva l'idea di retribuzione• (Bom
kamm, Lohngedanlee, 89). Sull'idea di retribuzione in Gesù cfr. op. cit., 74. 77-81 ;
Schweizer, ]esus, 38-43. Ma la parabola insegna a capire «che la retribuzione non
rende l'opera più valida di quanto essa non sia, di modo che di essa non si parla più
come oggetto di una pretesa umana, ma la si colloca accanto all'opera come dimo
strazione della bontà di Dio.. (Jiingel, Paulus und ]esus, 167; a mio avviso è indispen
sabile questa puntualizzazione nei riguardi di Bornkamm). De Ru, NT 8, 222, coglie
questo aspetto solo in termini imprecisi quando afferma: «So the point in the teach
ing of Jesus is: service not 'for reward' but yet, to our surprise, 'rewarded' by thc
Lord in His goodness . .....
85. Il vero problema della parabola non è la bontà di Dio (in generale), bensl il mira
colo della bontà (che si realizza nell'evento linguistico della parabola); Fuchs, Jesus,
23; dello stesso autore cfr. Zeitverstiindnis, in GA 11, 363. Il miracolo della bontà è
allo stesso tempo l'evento del rendersi comprensibile di Dio. «Gesù non si preoccu
pa di nient'altro che di questo evento del rendersi comprensibile di Dio• (Fuchs,
ibid. ). Sta qui la specificità sia della predicazione di Gesù sulla bontà di Dio, sia della
forma da lui usata del linguaggio parabolico. «Mentre nelle parabole di Gesù la ba
sileia si fa linguaggio in modo tale da farsi evento nella parabola in quanto parabola,
in quelle dei rabbi prevale l'aspetto didattico, a servizio dell'interpretazione scrittu
ristica• (Jiingel, Paulus und ]esus, 166). Anche qui è vero: la parola dell'amore deve
essere parlata [cfr. I . I . 3].
86. In tal modo la parabola di Gesù va al di là di tutte le più audaci attese di una ri
compensa escatologica elargita da Dio per grazia. E la parabola stessa è l'evento del
la venuta della giustizia salvifica di Dio, e pertanto parallela al messaggio paolino
della giustificazione sola gralia. t valida dunque un'interpretazione paolino-luterana
della parabola (diversamente da quanto pensa Vincent, TU 73, 94). Per la valutazio
ne critica dei vari approcci esegetici cfr. Linnemann, Gleichnisse, 158-16o (n. 15).
87. Supposizione condivisa da moltissimi interpreti, per es. Jeremias, Gleichnisse, 34;
Dupont, NRTh 89, 794; Idem, AScign 56, 26; Eichholz, Gleichnisse, 98; Mitton, ET
77, 309; de Ru, NT 8, 208. Diversamente invece, a ragione, Schweizer, Mt, 257.
270
mente molti avranno ragionato come gli operai della prima
ora. Tuttavia ci si deve chiedere se sia corretto risalire imme
diatamente dalle proteste degli operai agli interlocutori della
parabola. E ci si dovrà chiedere, per prima cosa, se lo schema
rendimento/ricompensa soggiacente a quella protesta fosse
condiviso solo dai «forti», ossia dai farisei o dai discepoli.u
Non sono forse anche i «deboli», i pubblicani e i peccatori,
schiavi anche loro di quello schema, per cosi dire, in senso
negativo, in quanto accettano la gerarchia in vigore tra «forti»
e «deboli» e in quella luce valutano se stessi? Coloro che ven
gono ammirati non potrebbero esistere senza gli ammiratori.
Al «meccanismo» smascherato dalla parabola è assoggettato
fondamentalmente ogni uomo. 119 Ne consegue che Gesù non
indirizzò la parabola solo ad una determinata cerchia di udi
tori; ma che essa provoca senz'altro effetti differenti nei di
versi uditori: ai «forti» vuol far capire che devono smettere di
valutare se stessi innanzi a Dio in base alla loro forza; ai «de
boli» proclama che anche essi sono stati resi «primi» dalla
bontà di Dio. Essa libera i «forti» dalla loro costrizione alla
forza ed i «deboli» dal peso della loro debolezza. Ad entram
bi Gesù fa dono della basileia in modo tale che essa determi
ni interamente il loro presente. Con la parabola Gesù li aiuta
88. Per l'individuazione dell'uditorio nei discepoli o nei farisei cfr. Jiingel, Pau/us
und Jesus, 168 n. 2 (che si confronta con le varie posizioni e definisce «oziosa» la
questione) . t tutt'altro che certo che la parabola voglia effettivamente biasimare
chicchessia. t molto più probabile che Gesù voglia lasciare i suoi uditori di fronte
alla domanda «se sono disposti a imparare da lui a vedere con gli occhi di Dio e non
più con il proprio 'occhio cattivo'» (Schweizer, Mt, 2,7). Trasferire agli uditori di
Gesù la protesta degli operai della prima ora, risulta molto problematico già per il
solo fatto che la «connessione delle opere» può essere messa in luce solo così da es
sere realmente e positivamente rivendicata o messa in azione attraverso qualcuno dei
personaggi della parabola.
89. Perciò si pone la questione se la parabola intendeva effettivamente biasimare
chicchessia (cfr. l'ultima nota sopra, con Jiingel, Pau/us und ]esus, 168 n. 2). A mio
avviso essa invece mira a portare l'uditore a convincersi di come vanno le cose nel
regno di Dio, e cosi liberarlo dallo schema prestazione/retribuzione in cui è irretito;
per ottenere questo, deve prima portar alla luce questa mentalità, il che è possibile
solo facendone constatare l'inadeguatezza attraverso un caso ben preciso (vale a dire
appunto la ribellione dei primi).
a comprendere Dio, a tal punto da comprendere meglio an
che se stessi. 90
Cosi interpretata, la parabola si inserisce molto bene nel
contesto della vita di Gesù. Il commento della nostra parabola
è il suo comportamento nei confronti dei farisei e degli scribi,
che egli prende molto sul serio nella loro forza, ma anche il
suo comportamento nei confronti dei pubblicani e dei pecca
tori, che egli accetta altrettanto incondizionatamente.9' Tanto
con la parabola, quanto con il comportamento nei confronti
dei forti e dei deboli, l'amore di Dio si fa evento, attraverso
Gesù.9'
Come il comportamento di Gesù è il commento della no
stra parabola, cosl la parabola a sua volta è la spiegazione del
suo comportamento.9J Con la parabola, che rende presente la
90. Il rapporto tra conoscenza di Dio e conoscenza di sé nella nostra parabola viene
valorizzato in maniera particolarmente felice. «Gesù in questa parabola ha espresso
il regno di Dio in modo tale da renderci comprensibile in essa non solo Dio nell' e
vento della sua bontà, ma allo stesso tempo anche noi stessi» ijilngel, Paulus und ]e·
sus, 168 con richiamo a Fuchs, cfr. n. l). Nella parabola Dio si fa cosl vicino a noi
che anche noi ci ritroviamo più vicini a noi stessi; cfr. Dupont, ASeign ,6, 26.
91. Sebbene il padrone della parabola rimandi a Dio, in realtà dietro di lui c'è Gesù.
cNel rapporto di Gesù con il 'am ha'are! si manifesta la bontà di Gesù» (Fuchs, Je
sus, 38). Si potrà aggiungere che Gesù poteva accettare incondizionatamente come
primi anche i farisei: Le. 7,36; u,37; 14,1 (comunanza di mensa con i farisei, cfr.
Weiss, ThWNT IX, 37,14-17). Non si può sostenere che negli operai dell'ultima ora
Gesù alludesse a se stesso, perché la parabola non va intesa nel senso della storia
della salvezza (come vorrebbe Vincent, TU 73, 9,) .
92. Questa relazione viene sottolineata da molti autori; per es. Dupont, NRTh 89,
79, ; Mitton, ET 77, 309; Jiingel, Paulus und Jesus, 168: «Anche qui la poinle della
parabola coincide con la poinle dell'esistenza di Gesù». Ogni tentativo di tener fuori
dalla pointe della parabola l'esistenza di Gesù porta dritto a interpretarla in termini
generici, che la si intenda come dottrina sulla ricompensa (de Ru, NT 8, 222 ma cfr.
208), o sulla misericordia di Dio, o sul «senso ultimo della vita» (Via, Gleichnisse,
146). In Gesù dottrina e vita non possono essere scisse. La comunità con la cristolo
gizzazione della parabola non ha fatto altro che rispettare questa relazione.
93. Il termine «giustificazione» (cosl per es. Jeremias, Gleichnisse, 34 s. 136. 1 39) op
pure difesa (per es. de Ru, NT 8, 208; Dupont, NRTh 89, 794) non rende bene que
sto aspetto perché suggerisce che la parabola sia uno strumento di lotta contro colo
ro che criticano Gesù. Inoltre, questa parabola non costituisce una giustificazione
del gioioso messaggio (Jeremias, op. cii. , 34) bensl è essa stessa il gioioso messaggio e
mira a spiegare (non difendere) il comporlamenlo (non il vangelo) di Gesù. Vero è
comunque che l'uomo deve essere convinto anche contro se stesso.
bontà di Dio, Gesù spiega e legittima la sua parola e la sua
azione, nella quale l'amore per gli interlocutori si fa evento.
L' autocomprensione di Gesù è teologica, nel vero senso del
termine. La cristologia postpasquale ha salvaguardato corretta
mente questa autocomprensione, col proclamare Gesù come
Figlio di Dio. «E perché mai il Gesù storico non poteva esse
re proprio lui il Messia nascosto?»."'
In Matteo la parabola è rivolta ai discepoli e quindi alla
chiesa (Mt. 19,25) .9' Essa da un lato mette in questione ogni si
curezza della comunità ricordandole che la ricompensa dei
discepoli (adesso concentrata di nuovo sulla fine dei tempi)96 è
affare di Dio solo e si sottrae pertanto ad ogni calcolo.97 Dal
l'altro rassicura i pagani, arrivati per ultimi, che essi sono a
pieno titolo i beneficiari della basileia.911 Tuttavia in Mt. sussi
ste il pericolo che il commento (Mt. 20,16a cfr. 19,30) finisca
per soverchiare del tutto il messaggio della parabola e che
quindi levento della bontà di Dio che trasforma gli ultimi in
primi diventi un capovolgimento dei valori accessibile ancora
una volta al calcolo umano, che non lascia più spazio alla so
vranità di Dio.99
94. Fuchs, Bemerkungen, in GA II, 141.
9,. Cosl Matteo applica eia tradizione criticamente, criticamente nei confronti della
sua chiesa» (Eichholz, Gleichnisse, 103; cfr. Schweizer, Mt, 2,8; Jeremias, Gleichnis
se, 3,).
!)6. Ciò risulta dal cambiamento del contesto della nostra parabola: Mt. lascia cadere
la promessa della ricompensa terrena (in Mc. 10,30) e si limita alla ricompensa nella
vita eterna (con Schweizer, Mt, 2,4) .
97. � inconfondibile il tono ammonitore del contesto di Mt. (v. 16a) : ormai la para
bola si è ridotta ad un ammonimento ca non metterla (se. la bontà di Dio) a rischio»
(Schweizer, Mt, 2,8; cfr. Eichholz, Gleichnisse, 104; Kretzer, Hemcha/t, 286).
98. C'è da chiedersi però se all'epoca di Mt. l'ingresso dei pagani rappresentasse an
cora un problema o se con gli ultimi non vengano indicati piuttosto i «piccoli»; in
tal caso la parabola andrebbe intesa come ammonimento a un corretto atteggiamento
verso di loro (cosl Schweizer, Mt, 2'8). Certo anche in Mt. non si lascia affatto ca
dere l'aspetto storico-salvifico, come mostra chiaramente Mt. 22,1-14 (cfr. Kretzcr,
Hemcha/t, 288; Dupont, NRTh 89, 790) .
99. La modifica del logion in 20,16a rispetto a 19,30 (cfr. sopra, p. 261 n. 38) fa capi
re che questo pericolo è tutt'altro che immaginario e che pertanto il logion può esse
re inteso come regola generale (Dupont, NRTh 89, 792 cfr. Mitton, ET 77, 308).
27 3
L'aggiunta post-matteana nel v. 16b mostra anche come la
parabola, unitamente al commento del v. 16a, si prestava sen
z'altro ad essere (fra)intesa come minaccia. '00 Lo spazio illimi
tato dell'amore di Dio è divenuto una angosciosa ristrettezza,
che riesce a considerare «molti» i chiamati, ma solo «pochi»
gli eletti. Ma con ciò vengono date risposte che meglio sareb
be stato lasciare a Dio stesso, anzi alla sua bontà.
100. Col v. 16b «sarebbe espresso solo l' ammonimento, e la conclusione della para
bola da questione aperta si trasformerebbe già in una specie di verdetto sui molti•
(Schweizer, Ml, 258, cfr. Dupont, NRTh 89, 788).
101 . Sia lo stile narrativo (forme al passato! ) sia il materiale figurativo caratterizzano
la nostra parabola dal punto di vista della storia delle forme come «racconto parabo
lico• (cfr. Bultmann, Synoptische Tradition, 192).
102. Ml. segue nel contesto lo schema di Mc. : Ml. 21,23-27 par. Mc. n,27-33; Ml.
21,33-46 par. Mc. 21,1-12. Inoltre le quattro pericopi Ml. 21,23-27.28-32.33-46; 22,1-
14 costituiscono un'importante unità compositiva di Ml. , c&. sopra, p. 197 e n. 66.
103. Per il -ti ÒÈ: u11-iv 8oia:i e&. Ml. 18,12 (senza òé, se è esatta la lezione adottata) e
sopra, p. 2o8 con n. 16. Bultmann, Synoplische Tradition, 192, assume una posizione
diversa (ma come mai non include il òé nella formula introduttiva?).
104. Il òé rimanda alla pericope precedente. Anche l'uditorio qui presupposto è il
medesimo. Entrambe le cose - oltre a ciò che si è detto nella penultima nota - con
fermano chiaramente la redazione matteana. La domanda al v. 31a risulterebbe inol
tre ridondante, se l'intera parabola fosse stata retta originariamente dal cche ve ne
pare?•. Per un inserimento redazionale della parabola prendono posizione Schwei
zer, Gemeinde, 1 17, cfr. Mt, 267; Kretzer, He"schafl, 153; Merkel, NTS 20, 254-261
spec. 254 (il quale però ravvisa nella parabola una creazione di Mt. , op. cii. , 258).
105. È tipico di Ml. il ytip di saldatura (Kretzer, Hemcha/I, 156 con n. 33) ; è impor-
2 74
la menzione del Battista (v. 32, cfr. v. 26) ; 'o6 d'altra parte, sa
rebbe altrettanto plausibile che sia di Matteo stesso l'appli
cazione storico-salvifica della parabola a Giovanni. '07 In ogni
caso per Matteo è importante il «non gli avete creduto» (v. 32,
cfr. v. 2;) , con il quale stabilisce una stretta connessione con
ro8
la pericope precedente. Qualsiasi ipotesi si preferisca per il
versetto 32, risulta comunque chiaro che esso non appartene
va alla parabola originaria. '09 Ancora più difficile è stabilire se
sia appartenuto alla parabola originaria il logion (di Gesù) sui
pubblicani e le prostitute, i quali «vi passano avanti110 nel re-
tante in Mt. anche ìaG-r.c� (Kretzcr, ibid. ) ; Ò1>CC1t 1oWnj in Mt. è frequente (Mt. : 7 X ;
Mc. : o X ; Le. : I X ); matteana risulta anche l'espressione mcpov 'tOÙ 1:1a'tCUaCll oiÙ't<j)
(cfr. Merkel, NTS 20, 2,56). C'è pure il singolare abbinamento «pubblicani e prosti
tute», che però può derivare dal v. 31.
1o6. Cosl Jeremias, Gleichnisse, 78 s. ( m a i l suo argomento principale, che s i tratti di
un parallelo di Le. 7,29 s., non è molto convincente, perché il parallelismo tra i due
logia è piuttosto vago, e soprattutto perché in Le. 7,29 s. vengono nominati solo i "tc
Àwvoi1). Se, come Jeremias afferma, il logion autonomo sarebbe stato aggiunto a Mt.
21,31 già prima di Mt. , a causa dell'espressione o! nÀWvoi1 >CC1tÌ oii r.Opv�u, anche nel
logion originario si dovrebbero postulare entrllmbi i termini; in tal caso però biso
gnerebbe spiegare perché Le. in 7,29 s. cancella il r.6pvoi1.
107. Lo confermerebbero da una parte la terminologia matteana del v. 32 e dall'altra
gli argomenti di contenuto citati da Kretzcr, Herrschaft, 1,,-1,7 (con richiamo a
Strecker, op. cii. , 1,, nn. 22 s. 27). Per questa soluzione prendono posizione anche
Schweizer, Mt, 267; Bultmann, Synoptische Trtldition, 192. Però con questa soluzio
ne si deve supporre per Mt. 21,31 s. uno stlldio più llvanzato rispetto a Mt 3,2; 4,12-
.
17 per quanto riguarda la valutazione dcl Battista, poiché ora la proclamazione della
basileia da parte di Giovanni e di Gesù viene considerata «addirittura equivalente»
(Kretzer, Hemcha/t, 157). Se si considera questa soluzione come la più probabile,
l'originario appello ai gerarchi (che vale anche per la pericope precedente) e la pre
senza del termine «vigneto» (che certo ha un grosso ruolo in 21,33) devono aver
spinto Mt. a inserire qui la parabola.
108. Cosl Schweizer, Gemeinde, n8; la proposizione oùx bt1a"tcuaoi"tc oiÙ't<j) viene ri
petuta qui letteralmente dal v. 2,5 (op. cit. , n7).
109. In ciò concordano la maggior parte degli esegeti: Jeremias, Gleichnisse, 78 s.
I2,5; Bultmann, Synoptische Tradition, 192; Schweizer, Gemeinde, n7 s. cfr. Mt, 267
s.; Kretzer, Hemcha/t, 1,,; già Jiilicher, Gleichnisreden n, 382; presupposto anche in
Dodd, Parllbles, 23.
1 10. Per il senso di r.p�yo1.mv (presente ! ) cfr. Bauer, Wb, s.v. 2b. Il senso futuro
postulato da Jeremias, Gleichnisse, 12' (con n. ') non è dimostrato in maniera con
vincente, poiché Jeremias argomenta solamente con un altrettanto ipotetico partici
pio aramaico, che sarebbe atemporale; e poiché, inoltre, nel testo c'è incquivocabil-
gno di Dio»; 1 11 si tratta comunque di un logion sicuramente
antico.112 Dalla soluzione di questa questione dipende anche
quella dell'uditorio originario: se il logion apparteneva già in
partenza alla parabola, l'uditorio presupposto da Mt. (ossia i
sommi sacerdoti e gli anziani del popolo: cfr. v. 23) doveva es
sere il destinatario della parabola;"J se invece non le apparte
neva, l'uditorio non è più identificabile. La ricostruzione che
proporremo qui presuppone come più verosimile lultima ipo
tesi, che fa terminare la parabola originaria col v. 3ia.11� Il lo
gion pertanto va considerato un'applicazione della parabola"'
mente il presente. Bisogna invece dar ragione a Jeremias sul fatto che il 7:p'>- intro·
duce una sfumatura di esclusione (Gleichnisse, 126 n. 2).
n r . L'antichità e l'autenticità di questo logion non vengono contestati. Già Ji.ilicher,
Gleichnisreden 11, 382 lo definisce come una parola «che nella sua tagliente vivacità
non può essere contestata a Gesù». Giudizio simile in Jeremias, Gleichnisse, 125 s.;
Bultmann, Syn. Trad. , 192; Schweizer, Mt, 267 (con l'accenno al singolare abbina·
mento tra pubblicani e prostitute ed alla formula non matteana �11a1ì,ti11 't'>� -�E'>�).
n2. Jeremias, G/eichnisse, 125 s., considera il logion un elemento originario. Il suo
rinvio (op. cit. , 79 n. 1 ) a espressioni simili che concludono le parabole (Mt. 5,26; Le.
14,24; 15,7. 10; 18,14) non risulta però convincente. Le. 14,24 nella/orma attuale è dif
ficilmente originario (cfr. sopra, p. 221 n. 73). Lo stesso vale per Le. 15,7 (cfr. sopra,
pp. 209 s. con n. 26). 10 (cfr. sotto, p. 295 n. 3); 18, 14. In secondo luogo nelle para
bole le proposizioni conclusive introdotte con tÌtJ.'Ì;v ÀÉyw uii-iv sono originarie solo
quando rimangono nell'ambito dell'immagine, ossia indicano la pointe (ma non l'ap
plicazione! ) (cfr. Le. 14,24 nella forma originaria; 18,14a; Mt. 18,13); il che non vale
per Mt. 28,31b. In terzo luogo, di fronte a quelli citati da Jeremias, ci sono logia chia·
ramente secondari che vengono introdotti dalla stessa espressione (Mt. 24,47 par. cfr.
sopra, p. 249 n. 179 con Schulz, Q, 398) . Più cauti Bultmann, Synoptische Tradition,
192; Schweizer, Mt, 267 (che lascia aperta la questione). Michaels, HThR 61, 18 vede
una relazione tra i vv. 31b.32 e i vv. 23-27, con i quali la parabola stessa non si adat
ta bene.
n3. Il «voi» contrapposto ai pubblicani ed alle prostitute intendeva in origine i
«giusti d'Israele», l'élite religiosa del popolo. È proprio questa in effetti a scandaliz.
zarsi del comportamento di Gesù nei confronti dei pubblicani e delle prostirute (cfr.
Mc. 2,14-17; Mt. n , 19 par. Le. 7,34 cfr. v. 30; Michel, ThWNT VII, 103,12-106,3).
n4. Già Ji.ilicher considerava la possibilità che il logion v. 31b non appartenesse ori
ginariamente al nostro contesto (G/eichnisreden II, 382), ma presupponeva per lo
meno uno sviluppo del logion prima di Mt.
115. La formula introduttiva ÀÉyc1 11ù-:ol<; b llJa'>�<; è di Mt. Uguale o in forma simi
le essa ricorre come redazionale in Ml. 4,10 (4' Le. ); 8,4.22; 13,52 (si vera lectio) ;
14,31 ; 15,34 (in contrasto con Mc. ); 18,22; 19,21 (nel caso in cui sia giusta la lezione
di B e altri codici); 21,16 (cfr. Schweizer, Mt, 324); 26,64 (in contrasto con Mc.);
116
aggiunta dalla comunità anteriore a Mt. (o da Mt. stesso) . La
parabola originaria constava quindi dei vv. 28 (senza il «che
ve ne pare») -3 1a.
Anche la trasmissione del testo presenta alcune difficoltà: la
parabola è attestata in tre varianti: 1. dapprima compare il fi
glio che dice di sì ma non va, dopo quello che dice di no ma
va: la risposta alla domanda al v. 3ra è: «l'ultimo»."7 2. Prima
compare il figlio che dice di no ma va, poi quello che dice di
sì ma non va; la risposta al v. 3ra è: «il primo».11 8 3. Prima
compare il figlio che dice di no ma va, poi quello che dice di
sì ma non va; la risposta al v. 3ra è: «l'ultirno».119 Questa terza
possibilità va considerata in ogni caso secondaria, poiché ol
tretutto attestata solo da pochi manoscritti.110 Le prime due
possibilità potrebbero entrambe aspirare all'originarietà: se si
presuppone che Mt. (o già la sua comunità) aveva interpretato
la parabola in senso storico-salvifico e pertanto vedeva rap
presentati nel primo figlio i farisei, nel secondo invece i pub
blicani, in tal caso il testo originale di Mt. era senz'altro quello
della variante r . "' L'origine della variante 2 potrebbe spiegarsi
28,10 (cfr. Schweizer, Mt, 342). Viceversa la formula è tradizionale una sola volta
(Mt. 26,31 par. Mc. ) ; ed una volta incerta (8,20 forse da Q). Per la formula cfr. anche
Merkel, NTS 20, 256. Questi dati confermerebbero che fu Mt. ad aggiungere l'appli
cazione.
n6. Anche Bultmann, Synoptische Tradition, 192 la considera un'applicazione, ben
ché «la sua autenticità probabilmente non vada messa in dubbio» (cfr. anche sopra,
p. 276 n. I I 2).
1 17. Cosi il testo di Bpc, uguale nella struttura di base, tuttavia anche con delle mo
difiche (0), «I>, pc, sa•'.
u8. Cosi la tradizione di �. C, ,\ I , L, W, ecc.
n9. Cosi legge D, it, sy'.
120. Questa strana variante viene considerata originaria da Michaels, HThR 61, 26 e
passim; Schulz, Mitte, 169. La si potrebbe ritenere originaria solo interpretandola
nel senso che i farisei nel loro indurimento avrebbero dato intenzionalmente una ri
sposta falsa, per smussare il taglio della parabola (Schulz, op. ai. , 169 s.). Ma tutto
ciò è inverosimile: in primo luogo, in tal caso Gesù avrebbe dovuto rimproverarglielo
(Schwcizer, Mt, 268); in secondo luogo i farisei proprio per la concezione che aveva
no di se stessi non avrebbero dato una risposta simile, e sarebbe molto difficile che
una tale risposta sia stata loro attribuita.
t21. L'accurata analisi di Schmid, Problem, 68-84 conclude a favore di questa va
riante; allo stesso modo Derrett, StTh 25, no s.; cfr. Kretzer, Herrschaft, 154.
277
con l'ipotesi che col passar del tempo i pubblicani e le prosti
tute, che dissero di no e tuttavia andarono, vennero contrap
posti non più ai farisei ma ai cattivi cristiani che verbalmente
confessavano Cristo, ma non facevano la volontà del Padre:
di qui l'inversione tra i due figli .... In ogni caso la variante 3 è
11
dipendente dalla variante 2 . 3 Il problema testuale non può
essere risolto con certezza;"4 nella ricostruzione che qui pro
porremo, presupponiamo come più verosimile l'ipotesi ora
abbozzata, e quindi come originaria la variante 1 .
N e risulta l a seguente ipotesi di ricostruzione della tradizio
ne e della redazione: la parabola originaria"' fu prowista dalla
comunità anteriore a Matteo dell'applicazione al v. 3 1b. Allo
stesso modo da essa, o da Matteo stesso, deriva il riferimento
a Giovanni Battista al v. 3 2 . La parabola cosl intesa fu collo
cata da Mt. nel contesto della questione sull'autorità di Gesù
e della parabola dei vignaioli malvagi.
122. Poco convicente la motivazione del ritocco proposta da Derrett, StTh 25, 112,
mentre Kretzer, Herrschaft, 154 non ne adduce nessuna.
123. A parer mio questa è la collocazione più illuminante della variante nella storia
del testo. Non è verosimile che la variante 3 abbia determinato la nascita della va
riante 1 (ipotesi presa in considerazione da Schweizer, Ml, 268), perché la variante 2
(a differenza della 3) ricorre in manoscritti molto antichi.
124. Jeremias, Gleichnisse, 125 n. 2 (cfr. anche Schweizer, Mt, 268) prende posizione
per l'autenticità della variante 2. In realtà la nascita della variante 1 può essere ben
spiegata con l'interpretazione (re-interpretazione?) storico-salvifica della parabola.
Ma l'argomento di Jeremias, che il rifiuto del primo figlio spinge il padre a rivolgersi
al secondo, è insufficiente, perché la parabola nasce proprio dalla richiesta del padre
a entrambi i figli, di modo che il padre non ha bisogno di un motivo speciale per
pregare il secondo figlio. Jeremias assume come punto di partenza un realismo che è
fuori luogo. Né il testo offre qualche appiglio per pensare (come in Derrett, StTh
25, 111) che i due figli siano un maggiore e un minore, e che sia stato il minore (ov
viamente interpellato dopo l'altro), per motivi di tipo psicologico, a rifiutarsi.
125. Infondata l'ipotesi di Merkel (NTS 20, 254-261 in particolare 258) che la para
bola sia tutta una creazione di Mt. stesso, dal momento che le particolarità linguisti
che di Mt. da lui dimostrate (op. cii. , 255 s.) possono anche dimostrare soltanto una
rielaborazione matteana del materiale tradizionale (per l'aspetto linguistico cfr. Kret
zer, Herrscha/t, 155 s.) ; l'armonia poi tra la parabola e la concezione di Mt. non ne
contraddice l'autenticità. Per la tradizione prendono posizione Bultmann, Synopti
sche Tradition, 192; Jeremias, Gleichnisse, 78 s.; Schweizer, Mt, 267; Kretzer, Herr
schaft, 155; Derrett, StTh 25, 113.
Interpretazione
129. Nella critica in genere viene sostenuta l'opinione che l'Èyw x>.Jp1t rappresenti
qui un'espressione abbreviata nel senso di una risposta enfaticamente affermativa, e
vada integrato con un umiyw (cfr. Bl.-Debr. § 441.2 prima appendice; vedi anche
l'integrazione in D; Jiilicher, Gleichnisreden II, 369). L'altra possibilità di traduzio
ne, ossia «lo, signore?» aprirebbe suggestive possibilità d'interpretazione.
1 30. Ciò non può essere sminuito dal fatto che il primo figlio non può aver provato
alcun rimorso, in quanto è passato da un sì a un no. Piuttosto, il !J.t'tot!J.ÉÌ.t!7'9ot1 va di
stinto dal !J.t'tGtvoeiv poiché «non è necessariamente nemmeno un sentimento gradito
a Dio», ma può anche «indicare un semplice cambiamento d'umore (Ex. 1 3,17; 1
Mach. 1 1 , 10 )» (Michel, ThWNT IV, 631,36-38; cfr. Michaels, HThR 61, 20: «Futile
rcgrct is a long way from saving repentance») . In tal senso anche il primo figlio
avrebbe potuto «pentirsi» del suo sl.
2 79
dedurre che l'interesse principale della narrazione della para
bola è rivolto al comportamento del secondo figlio: egli ci ri
pensa; egli dunque non resta vincolato al suo no iniziale. La
domanda e la risposta (ovvia) al v. 31a vengono formulate per
assicurare che il secondo figlio (nonostante avesse detto di no)
aveva fatto la volontà del padre. Se poi si tiene nel debito
conto che la costellazione narrativa «padre - figlio - lavoro
nel vigneto» rimanda metaforicamente alla relazione di Dio
con l'uomo,'3' s'impone la conclusione che la nostra parabola
riguarda la richiesta di Dio e la risposta dell'uomo. La para
bola, dunque, mira a distogliere l'uomo dal suo no nei con
fronti di Dio, facendogli capire che il suo no iniziale non do
vrà essere necessariamente la sua risposta definitiva nei con
fronti di Dio e che sussiste la possibilità di ripensarci. Con
trapponendo in questa maniera un protagonista che ha detto
di si e un protagonista che ha detto di no, la parabola fa ve
dere che questi ha la possibilità di trasformare il suo no inizia
le in un sì di obbedienza, e che questo solo è ciò che conta ve
ramente. Chi ha compreso la parabola, è liberato dal suo irri
gidimento nel rifiuto. L'invito fatto da Dio all'obbedienza,
che la parabola propone, si esprime attraverso la parabola in
modo tale che la parabola stessa scioglie l'uditore dalla sua
disobbedienza ed in tal modo gli rende possibile accettare
l'invito. La parabola è al tempo stesso l'uno e l'altro : invito
all'obbedienza e dono di poter accogliere quell'invito.
La parabola deve essere interpretata nel contesto della vita
di Gesù. In questo contesto il sì o il no iniziale dei due figli
nei confronti del padre corrispondono ad un atteggiamento
fondamentale dell'uomo nei confronti di Dio, quale si riscon
tra ad esempio da una parte nei farisei e nei giusti e dall'altra
nei pubblicani e nei peccatori; il che non significa però che la
280
parabola miri alla contrapposizione di questi due gruppi so
ciali.132 Il suo tema è il cambiamento della decisione iniziale, in
particolare il cambiamento del no iniziale in un sì. Nel rifiuta
re Gesù il sì iniziale si rivela come un no a Dio, mentre nel
mettersi alla sequela di Gesù il no iniziale si rivela come un sì
a Dio. Nell'opzione nei confronti di Gesù si manifesta la vera
opzione dell'uomo nei confronti di Dio; è questa la dimensio
ne cristologica implicita nella nostra parabola.'H Con questo
non si nega che si possa pensare anche al sì dei giusti, che nel
no a Gesù si rivela come un no a Dio, ed al no dei peccatori,
che nel sì a Gesù si rivela come un sì a Dio. Non sta qui tutta
via l'interesse principale della parabola; il suo scopo è piutto
sto quello di distogliere i peccatori dal loro no iniziale e ri
condurli sulla via dell'obbedienza: spingerli alla sequela di
Gesù. In tal modo la parabola riproduce ciò che si compie
nella chiamata alla sequela: il dono di staccarsi dal no a Dio,
ripensarci, dire di sì a Dio dicendo di sì a Gesù. Sia nella pa
rabola sia nella chiamata alla sequela, la divinità di Dio viene
salvaguardata: è Dio che esprime l'invito a venire, ed è Dio
che concede all'uomo la possibilità di adempierlo.
La comunità anteriore a Mt. con la sua applicazione (v.
3 1b) riferì i due figli della parabola a due gruppi sociali ben
1 32. La maggior parte delle interpretazioni della parabola parte però da tale presup
posto. Secondo Jeremias la parabola proclama che i pubblicani e le prostitute sono
vicini a Dio più dei devoti (G/eichnisse, 1 2 5 s.). Secondo Schweizer la parabola si ri
feriva «a quelli che si consideravano fedeli e obbedienti alla volontà di Dio, ma non
lo erano, mentre quelli che si sentivano esclusi da Israele obbedivano realmente al
la volontà di Dio; quindi da una parte a quei devoti che respingevano Gesù, e dall'al
tra ai pubblicani e alle prostitute» (Mt, 268). Similmente Derrett pensa ali'élite che
«neglected the cali» (StTh 2'.), 115) che solo «pretend to serve» (op. cit. , 1 16), men
tre «those constantly hostile in their reactions, will ultimately turn out to show the
fullest obedience» (1bid. ). Tutte queste interpretazioni si basano a parer mio su
una affrettata trasposizione di singoli elementi dalla narrazione alla realtà. Inoltre
sottovalutano il fatto che l'accento principale della parabola cade sul secondo fi
glio, che si distacca dal suo no e diviene ubbidiente.
133. Contro Vincent, TU 73, che, secondo me a torto, interpreta cristologicamente il
figlio che dice di no: «We seem to have in this picture of dutiful obedience to the fa.
ther the kind of attitude which our Lord had to God, often holding back from His
will ( .. ), but finally giving in to it» (p. 88).
.
281
determinati: da una parte, coloro che con il loro no a Gesù
rivelano il vero volto che si celava dietro il loro iniziale si a
Dio, che si rivela puramente verbale: i farisei, i potenti, i giu
sti di Israele. Dall'altra parte, coloro che con il loro sl a Ge
sù manifestano un ripensamento e si staccano dal loro iniziale
no a Dio: «pubblicani e prostitute». Questa applicazione, per
quanto non esente da rischi, preserva per lo meno la dimen
sione cristologica della parabola; anzi: può essere ben definita
un'interpretazione cristologica, anche se può essere dettata in
parte dall'esperienza della comunità, in quanto riflette il no
di Israele ed il sl dei reietti e dei pagani'1" nei confronti della
predicazione cristiana.
Matteo a sua volta sembra interpretare la parabola in senso
storico-salvifico,'1' vedendo rappresentato nel primo figlio il
comportamento di Israele, nel secondo invece quello della
comunità cristiana.'16 Stabilendo un riferimento a Giovanni (v.
32), egli salvaguarda il senso cristologico della parabola riba
dendo che con Giovanni è arrivato quel tempo in cui deve
manifestarsi chi realmente compie la volontà del Padre. Col
Battista inizia il tempo del Messia; Israele si è mostrato incre
dulo già nei confronti di Giovanni (v. 32, cfr. v. 25), e in que
sto modo il suo sì a Dio si è rivelato un no. Al posto di Israele
è subentrato un altro popolo che percorre la «via della giusti
zia», compiendo la volontà del Padre e dando frutti ( cfr. Mt.
21,43 ! ) .137 Anche questa interpretazione della parabola può ri-
1 34. « È verosimile che dopo la pasqua si sia pensato ai giudei che rifiutavano Gesù
ed ai pagani che lo accettavano, dei quali i pubblicani offrivano una sorta di prefigu
razione (Schweizer, Mt, 268). Ciò vale a parer mio proprio per la comunità anteriore
a Mt. , che forse proprio per questo motivo ha aggiunto il logion.
135. L'interpretazione storico-salvifica è avvalorata anche dalla pericope dell'albero
di fico e soprattutto da tutta la struttura dei capp. 21-25. Israele serve a Mt. come
esempio ammonitore (Kretzer, Herrscha/t, 156 s.).
136. In questo, Mt. potrebbe essersi ricollegato all'interpretazione della sua comunità
(Schweizer, Mt, 268 e sopra, la penultima nota).
1 37. Per Mt. il riferimento a Giovanni è importante, perché secondo lui la decisione
è presa già di fronte al Battista (una analogia con i vv. 25 s. ) ; cfr. Schweizer, Mt, 268.
La «via della giustiziai. (Kretzer, Hemchaft, 157 s. ) è una via nella quale si mette in
pratica ciò che si predica. A Mt. sta a cuore «sottolineare l'importanza del /arei.; chi
tenersi valida, a patto però di non perdere assolutamente di
vista che il nuovo popolo non è esente nemmeno lui dal ri
schio di capovolgere il suo iniziale si in un concreto no. E che
anche adesso coloro che hanno detto di no attendono di esse
re liberati dal loro no.
Mt, 304. 197; cfr. Idem, Gemeinde, 101. Per il futuro O!J-Otw-S�.,.t-rcu cfr. op. cit. , roo.
143. Se si considera il carattere fittizio proprio della parabola, la questione tanto
spesso affrontata se la parabola sia in accordo o meno con le usanze nuziali dell'epo
ca non ha più l'importanza che le attribuiscono i rappresentanti delle diverse posi
zioni (a questo proposito vedi la controversia di Jeremias, Gleichnisse, q1-174 con
Bornkamm, Verzogerung, 49·55 ; Donfried, JBL 93, 417; Strobel, NT 2, passim). Che
essa sia «quite a realistic story» (Dodd, Parables, 173), non ha molto peso nell'inter
pretazione della parabola, perché non è il realismo il fattore determinante.
144. Anche perché l'uso di aggettivi per caratterizzare i personaggi non è conforme
al consueto stile narrativo delle parabole (Bultmann, Synoptische Tradition, 204 s.).
Se poi si tiene conto del fatto che la contrapposizione f1.Wp6c;-9p6v1µ.oç ricorre unica
mente nella parabola della costruzione della casa (anch'essa una tradizione particola
re di Mt. , cfr. Schweizer, Gemeinde, 101), si è autorizzati a ipotizzare che si tratti di
un ritocco interpretativo della comunità anteriore a Mt. (che ha lasciato le sue tracce
nel materiale parabolico particolare di Ml. ). Come connotazione negativa fl.Wpoc; ri
corre solo in Ml. (7 X ) e forse 1 X in Mc. (7,13) . Coincide con questo dato anche quello
di !pp6vt(.IJ.I<;, che ricorre 7 volte in Ml. (sempre tradizionale), 2 volte in Le. (di cui una
volta in Q, e una volta in una parabola prelucana), 5 volte anche in Paolo.
145. Il duplice appellativo kyrie qui potrebbe essere anteriore a Ml. (Schulz, Q, 425
con n. 163), cfr. la formulazione per il resto senz'altro originaria in Le. 13,25-28. Il
duplice kyrie si rivolge al Cristo giudice escatologico (Schulz, Q, 426).
146. Cfr. Schweizer, Ml, 304.
tuazione narrativa: anch'essa certamente venne inserita dalla
comunità anteriore a Mt. , ricalcando la terminologia usata
per il Cristo glorioso del giudizio finale. Lo stesso dicasi infi
ne di «In verità vi dico» (v. 12) '47 che è fuori luogo in bocca
a uno sposo di questo mondo; originario invece può essere
considerato il «Non vi conosco».148 Altrettanto originario il ri
tardo (un po' insolito) dello sposo (v. 5), indispensabile alla
struttura narrativa della parabola.
Da ciò che si è detto si può ipotizzare la seguente ricostru
zione della storia della tradizione e della redazione: la parabola
originaria comprendeva i vv. i . 3 -12, tuttavia senza «stolte» e
«sagge», «Signore ! Signore! » e «In verità vi dico»: elementi
che, insieme al v. 2 e alla struttura formale della formula in
troduttiva, risalgono alla comunità prematteana. Per parte
sua, Matteo premette «allora» (v. l) ed aggiunge il v. 13 per
inserire la parabola nel contesto del discorso sulla parusia.
Interpretazione
Partiamo dalla parabola originaria, che suonava probabil
mente come segue:
Avviene col regno dei cieli come con dieci vergini che presero le loro
lampadc149 cd uscirono per andare incontro allo sposo.''" Cinque di loro
147. Cfr. Strobel, NT 2, 202; per la formula ).Éyw U!J-iv vedi ad es. Schulz, Q, 390.
148. A questo proposito Jeremias, G/eichnisse, 175 con rinvio ai paralleli giudaici in
Str.-Bill. I, 469; IV, 293.
149. Nonostante il termine nella maggior parte dei casi significhi «fiaccola» (cfr. Jere
mias, Gleichnisse, 174 con n. 4), nella nostra parabola si deve rendere con «lampada»
(argomenti in Schweizer, Mt, 304 s.). Il termine non consente di dedurre che servis
sero solo per uso domestico (come vorrebbe Strobel, NT 2, 2n). Questo postulato
di Strobel deriva dalla sua ipotesi di far derivare la parabola dalla tematica teologica
della veglia pasquale (il battesimo celebrato con lampade nella notte di pasqua).
1 50. L'aggiunta xott -rijç vul'-�ii� (D, 0, al, latt, sy' "), a prescindere dalla scarsa attesta
zione, si spiega col fatto che la mancata menzione della sposa in questa parabola fu
percepita come un errore già dai copisti. Lectio difficilior è pertanto quella che men
ziona solo «lo sposo» (cfr. Jeremias, ThWNT IV, 1093 n. n). Circa l'accoglienza del
lo sposo, vedi Jeremias, G/eichnisse, 172 s. La terminologia qui utilizzata ricorda 1
Thess. 4,17 (EÌç IÌn:av'r"l)atv 'rOÙ xupiou). Il significato metaforico dell'espressione va
ammesso per la /orma definitiva della parabola.
presero con sé le lampade ma non l'olio. Le altre cinque invece presero
con sé l'olio in vasetti''' assieme alle loro lampade.'''
Ma poiché lo sposo tardava,'" si assopirono tutte e si addormenta
rono.
Nel cuore della notte',. si levò un grido: «Ecco lo sposo! andategli in
contro! ».
Allora tutte le vergini si svegliarono'" e prepararono le loro lampa
de. ' '6 Ma le prime cinque dissero alle altre: «Dateci del vostro olio, per
ché le nostre lampade si spengono! ». ·
286
È estremamente difficile rispondere alla questione se que
sta parabola risalga al Gesù storico o alla comunità cristiana.
In ogni caso la risposta non può dipendere né dalla presenza
di elementi allegorici nella parabola né dalla sua corrispon
denza alle usanze matrimoniali della Palestina, ma piuttosto
dal fatto che il predicato metaforico proposto con l'intera
narrazione esprima il regno di Dio, cosl come esso si esprime
in altre parabole di Gesù, oppure già in partenza si riferisca
alla parusia di Cristo (e quindi non alla basileia) .'6o Ne conse
gue che si potrà rispondere alla domanda solo se la na"azione
è interpretata come unità.
La narrazione si articola in tre momenti scenici: la prima
scena illustra i preparativi per il ricevimento dello sposo ed il
suo ritardo. Nella seconda scena Io sposo arriva e le vergini
completano gli ultimi preparativi per accoglierlo; a questo
punto però si constata che metà delle donne non è preparata
all'arrivo dello sposo. La terza scena illustra gli eventi dopo il
qualcosa che è già realtà ( . . . ) ma qualcosa che verrà, e che solo come tale è già pre
sente» (Fuchs, Hermeneutik, 218; corsivo mio).
170. Su questa linea, anche se con diverse interpretazioni, ad es. Jeremias, Gleichnis
se, 50; Via, Gleichnisse, 1 19 s. ; Maisch, BiLe 1 1 , 254; Ford, NT 9, 121 s.
171. Propendono per questa supposizione ad es. Bornkamm, Parusieverzogerung, 54
Se la parabola è una parabola di Gesù sul regno di Dio, es
sa deve venire interpretata nel contesto della vita di Gesù. Dio
come colui che viene, o la (vicina) basileia sono presenti nella
persona di Gesù. La vicinanza della basileia viene qui espres
sa attraverso la categoria della venuta di Dio (che elimina
ogni determinazione in termini di spazio-tempo) . La predica
zione di Gesù riguarda il Dio che viene ed il comportamento
di Gesù rispecchia la vicinanza del regno di Dio. Per questo
il tempo dell'attesa di Dio è adesso (cfr. scena 1 ) . Per questo
adesso non si può più digiunare. '7' Adesso è decisivo prendere
posizione nei confronti di Dio come colui che viene. Questo
esser pronti comincia sin dall'inizio anche nella parabola,
perché da esso dipende il lasciarsi sfuggire o meno larrivo di
Dio.'7j Adesso è arrivato il tempo di stare pronti� di vivere l'atte
sa del Dio che viene, l'attesa che si sottrae ad ogni calcolo. Ed è
proprio questo l'atteggiamento che la parabola fa nascere,
s.; Donfried, JBL 93, 427 (creazione di Mt. ); Strobel, NT 2, 225 (il quale, in maniera
un po' perentoria, considera superflua ogni ulteriore ricerca su un ipotetico nucleo
originario); Linnemann, Gleichnirse, 132. 187-192 (alle nn. 7 s. un esauriente con
fronto con le posizioni rappresentate nella ricerca).
172. Partendo dalla parabola così intesa appare in una luce interessante la sentenza
di Gesù in Mc. 2,19a (cfr. Schweizer, Mk, 32). Anche Il Gesù spiega il suo comporta
mento con un'immagine che descrive metaforicamente la presenza di Dio (non c'è
bisogno di intenderla in senso messianico, come vorrebbe Pesch, Mk, 175). Anche Il
è la comunità a reinterpretare identificando lo sposo con Gesù (v. 20, cfr. Schweizer,
Mk, 33 s.; Pesch, Mk, 175). È verosimile che la metafora «sposo ,Q, Dio» sia qui sia Il
risalga al Gesù storico. Mentre in Mc. 2,19a il presente di Gesù viene qualificato me
taforicamente con il presente di Dio, la nostra parabola definisce il presente di Gesù
come presenza del Dio che viene (ossia come tempo della prossimità della basileia).
Se si tiene conto della radicale differenza tra Dio ed il mondo, la presenza di Dio de
ve essere pensata come una venuta. In questo contesto la metafora «sposo-Cristo»
andrebbe spiegata come una reinterpretazione della comunità divenuta necessaria
con la pasqua, ma comprensibile solo partendo dalla predicazione di Gesù.
173· Proprio il comportamento ragionevole delle vergini nella scena centrale fa sl che
l'errore commesso all'inizio equivalga a lasciarsi sfuggire lo sposo. Solo partendo dal
la conclusione la precauzione presa dalle altre cinque si rivela come saggezza. L'erro
re delle altre non consiste semplicemente nel fatto di affidarsi avventatamente all'e
ventualità che qualcun altro si prenda cura di loro (così Via, Gleichnisse, 122); anzi
questa eventualità si rivelerà reale. L'errore consiste piuttosto nel fatto che esse non
attendono sul serio lo sposo come colui che viene.
mostrando sull'esempio delle vergini stolte come l'attesa cal
colatrice faccia perdere all'uomo la partecipazione alla festa.
La parabola rende sin d'ora l'uditore partecipe della salvezza
finale, in quanto gli consente l'atteggiamento giusto per non
farsi sfuggire la volontà di Dio. In questo modo essa impedi
sce il giudizio, in cui incorrerebbe l'attesa calcolatrice, ed aiu
ta l'uomo a conseguire la salvezza.'74 Donando all'uomo un
nuovo atteggiamento nei confronti di Dio, la parabola gli do
na anche un corretto rapporto col mondo; mettendo la venu
ta di Dio in rapporto diretto col presente, lo libera dal peri
colo di evadere dal mondo, come nel fanatismo apocalittico.
Insegnandogli a saper vivere l'attesa di Dio rinunziando a
qualsiasi calcolo, gli insegna un tipo di attesa da vivere anche
nei confronti degli uomini. Egli imparerà a vedere anche ogni
uomo come qualcuno che viene a lui e non si lascerà più sfug
gire le occasioni per un'opera d'amore. L'annuncio di Gesù
che il tempo dell'amore è arrivato, 175 va di pari passo col dono
di poterlo mettere a frutto momento per momento. Ovvia
mente, questa relazione tra la comprensione di Dio e l'auto
comprensione dell'uomo non è espressa esplicitamente nella
parabola; essa però è una necessaria conseguenza della teoria
generale dell'interpretazione delle parabole (cfr. sopra, i .2.8).
La comunità anteriore a Matteo esprime la sua interpreta
zione della parabola innanzitutto denominando esplicitamen
te le vergini sagge e stolte; in tal modo essa anticipa già all'ini
zio ciò che risulterà alla fine della parabola: è saggio chi è
pronto; che invece non è pronto è stolto e si lascerà sfuggire
l'arrivo del Signore. Con i ritocchi interpretativi ai vv. I I s. la
comunità mostra chiaramente che lo sposo che essa attende è
Cristo. 176 Con questa interpretazione cristologica la comunità
174. Perciò a mio avviso è infondato annoverarla tra le parabole della crisi (come
vorrebbe Jeremias, Gleichnisse, 49 s. ; condiviso da Maisch, BiLe u, 2'4) .
175. Cfr. Fuch s , Zeitverstiindnis, in GA Il, 375 .
176. Il «Signore, Signore» si riferisce al Cristo giudice escatologico (v. sopra, p. 2 84
n. 145) e l'«amen, amen, vi dico» è la formula che spesso introduce un detto di Gesù
(cfr. sopra, p. 2 85 n. 147) .
tiene conto del fatto che in Gesù Dio si è manifestato come
colui che viene, a tal punto che ormai la venuta di Dio non
può più essere pensata a prescindere da Gesù, bensl deve es
sere intesa come venuta del Cristo alla fine dei tempi. Con ciò
essa ripete a suo modo l'evento della pasqua, nella quale si ri
velò l'autoidentificazione di Dio nel Crocifisso. D'ora in poi
poteva valere per Cristo ciò che finora veniva attribuito a
Dio. Interpretata cosi, la parabola da proclamazione della ve
nuta di Dio, che tocca già il presente, si tramuta in visione
storico-salvifica con l'annuncio della parusia futura del Figlio
dell'uomo. Interpretata in chiave storica (ed una tale inter
pretazione è una conseguenza dell'interpretazione cristologi
ca) , la parabola diviene espressione della visione storica di
questa comunità. Essa interpreta il presente come un tempo di
attesa a cui porrà fine la parusia del Figlio dell'uomo; però la
parabola stessa impedisce che al futuro venga attribuita una
funzione autonoma, salvaguardando il suo riferimento al pre
sente, poiché la prontezza ad accogliere il Cristo della parusia
qualifica il presente. Da parte sua, la svolta storica avvenuta
con la pasqua conferisce a vari elementi del racconto un nuo
vo significato metaforico. '77 In particolare il ritardo della paru
sia viene tematizzato in modo tale da porre l'accento sulla di
sponibilità necessaria adesso. In ciò si rivela efficace un ele
mento originario della parabola, che faceva riflettere sulla
imprevedibilità della venuta di Dio.
Matteo riprende l'interpretazione della sua comunità, in
tendendo la parabola come un appello alla vigilanza, che egli
177. Bornkamm, Verzogerung, invita tuttavia alla cautela riguardo ad un'«allegoresi»
generalizzata (p. n>. In ogni caso però vanno annoverati in essa: l'accoglienza dello
sposo (cfr. sopra, n. 1,0), il suo arrivo nel cuore della notte (cfr. sopra, n. 16o) e l'e
sclusione dal banchetto nuziale ( come condanna nel giudizio). In questo sta dio è
possibile anche che l'addormentarsi e il risvegliarsi delle vergini (vv. 5 s.) raffigurino
la resurrezione dei morti in vista del giud izio Avremmo qui, in tal caso, un ulteriore
.
chiesa sarebbe descritta come corpus mixtum. Resta però soltanto una congettura.
2 93
motiva esplicitamente con l'impossibilità di calcolare il mo
mento della parusia (v. 13 ) . '18 Sotto questo aspetto, la nostra
parabola si armonizza bene con quella precedente (Mt. 24,45-
51) nonostante sussista con quella un certo contrasto: in Mt.
24,45-51 è malvagio quel servo che conta sul ritardo dell'arri
vo, mentre in Mt. 25,1-13 ciò viene considerato saggio.'79 Nel
contesto del vangelo di Matteo entrambe le parabole devono
essere intese come espressione della imprevedibilità della fi
ne. È difficile stabilire come Matteo abbia inteso concreta
mente questo tenersi pronti. È possibile che lo facesse consi
stere nel compiere la volontà di Dio. • Ho Ad ogni modo, dal mo
mento che l'evangelista riprende in maniera esplicita il riferi
181
mento della parabola alla parusia, è chiaro che anche per lui
il presente è determinato dalla parusia di Cristo.
178. Il vegliare viene «usato già in senso traslato per designare questo stare pronti
che non evade dal tempo ma che già nd presente vive rivolto al futuro» (Schweizer,
Mt, 3o6).
179. Cfr. Bornkamm, Veniigerung, ,o. A mio avviso la questione è se entrambe le
parabole vengano interpretate correttamente quando li: si intende solo a partire dal
loro riferimento alla parusia.
180. Cosi Donfried, JBL 93, 423, che dal simbolismo ddla luce deduce che si tratti
delle «buone azioni» (cfr. Mt. ,, 14-16). Il contesto (parabola dei talenti) mostra che
una tale interpretazione è possibile (cfr. Bornkamm, Enderwartung, 20) .
181. Ciò risulta dal -;on e dal futuro 01J.01�ljn-:a1; vedi anche Schweizer, Mt, 305.
2.5. Le parabole
del materiale particolare di Luca
Interpretazione
O quale donna se ha dieci dracme,7 (e ne) ha perduta una dracma,8 non
.un
accende la lucerna• e spazza la casa'0 e cerca attentamente finché non la
ritrova? e dopo averla trovata chiama le amiche e le vicine dicendo:
«Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dracma che avevo perdu
ta ! ».
che la parabola parla di Dio, awalorato anche dall'analogia con le parabole della pe
cora perduta e dcl figliol prodigo.
16. Proprio la vicinanza creata attraverso la commensalità di Gesù con le persone più
diverse non è soltanto «l'espressione di un atteggiamento umano» (Bornkamm, ]e
sus, 73), bensl l'evento del regno di Dio vicino (op. cii. , 74) .
17. Per questo la parabola non è ccl' apologia dcl vangelo da pane di Gesù» (come
pensa Jeremias, Gleichnisse, 1 3 5 la cui individuazione dcl quadro storico della nostra
parabola nel conflitto con i farisei e i devoti porta a questa inversione).
297
parabola delfigliol prodigo
2 . 5 . 2 . La
(Le. 15, 1 1-3 2)
Ricostruzione
Questa parabola'8 fu collocata da Luca nel contesto attua
le.'9 Riguardo alla coerenza interna della parabola si è tentato
recentemente innanzi tutto di distinguere tra una fonte ed
una sua rielaborazione lucana'° o tra una prima parte origina
ria (w. 1 1-24) ed una seconda parte secondaria (w. 25-32)."
Per quel che riguarda la questione della rielaborazione reda
zionale, solo la tesi di un intervento stilistico da parte di Luca
regge ad un esame più attento." Per quel che riguarda il con
tenuto la parabola è unitaria; nessun singolo elemento può
essere eliminato senza pregiudicare l'intera struttura narrativa
della parabola. 21 Anche la tesi del carattere secondario della
seconda parte non convince, poiché né il riscontro di partico-
18. Per la classificazione secondo la storia delle forme, cfr. Bultmann, Synoptische
Tradition, 190; Fuchs, Zeitverstiindnis, in GA n, 369; Pesch, Exegese, 141 ; Schott
roff, ZThK 68, 39.
19. Cfr. sopra, p. 207 n. 10; Bovon, En/ant, 37; Giblin, CBQ 24, 15. 22 s.
20. Qui va citata in modo particolare la tesi di Schweizer, ThZ 4, 469-471, che am
mette una fonte (semitizzante) nella prima pane della parabola ed intraprende una
ricostruzione della formulazione originaria (op. cit. , 470). A tal proposito cfr. il reso
conto di Pesch sulla discussione tra Schweizer e Jeremias (Exegese, 142 s., cfr. 149).
Ad ogni modo, l'ipotesi di Schweizer è stata accantonata da lui stesso (ThLZ 99, 724
s.), in quanto anch'egli ha riconosciuto l'unitarietà della parabola. Bovon, En/ant,
48. 51 considera redazionali i w. 24.32.
21. L'interrogativo affiora già in Bultmann, Synoptische Tradition, 190, ma riceve ri
sposta negativa (op. cit. , 212). Di recente Sanders, NTS 15, 433-438 ha rilanciato il
tentativo di attribuire Le. 15,25-32 all'evangelista.
22. Lo mettono in luce, a mio avviso, le analisi statistiche lessicali di Jeremias, ZNW
62, 174- 181 ed in particolare l'analisi di Carlston, JBL 94, 369-383. Entrambi gli au·
tori giungono al risultato che l'intervento di Luca sulla parabola si limita alla rielabo
razione stilistica (Jeremias, op. cit. , 181 ; Carlston, op. cii. , 383; ripreso da Pesch, Exe
gese, 150; Broer, NTS 20, 461). La decisione sui w. 24.32 rimane incerta: possono
essere sia redazionali sia tradizionali.
23. L'unità viene esplicitamente sostenuta da Schottroff, ZThK 68, 37; Eichholz,
G/eichnisse, 216; Jiingel, Pau/us und Jesus, 160; Pesch, Exegese, 145 ; e risulta giustifi
cata dall'analisi della narrazione.
larità linguistiche, 24 né il rinvio a contraddizioni tra i rapporti
giuridici presupposti nelle due parti,'' né considerazioni di ti
po storico-morfologico26 possono avvalorare questa tesi.21 Re
sta verosimile unicamente la supposizione che Le. 15 , 1 1 - 3 2 sia
essenzialmente una parabola unitaria, elaborata stilisticamen
te da Le. 28 Con ciò anche la tesi che la parabola sia opera di
Lc.'9 va respinta come infondata. L'argomento principale di
questa tesi è che la parabola concorderebbe con la soteriolo-
24. Carlston, JBL 94, 390 cfr. 38 3 giunge alla conclusione che in ogni caso le partico
larità linguistiche di Le. ai w. 2,-32 non sono più frequenti che ai w. 1 1-24; cfr. la
controprova di Jercmias, ZNW 62, 178 s., che trova anche ai w. 25-32 un consisten
te materiale tradizionale; per un confronto con la tesi di Sanders vedi O'Rourke,
NTS 18, 431-433 la cui analisi dimostra «that the arguments adduced from rhetoric
and vocabulary do not prove much, if anything, concerning the originai unity of the
parablc» (op. cii. , 433 ) .
2 5 . Questo già per il solo fatto che il narratore non ha alcun interesse alla conformità
con le norme giuridiche (Schouroff, ZThK 68, 41) . La narrazione spezza senz'altro la
normalità dci rapporti di questo mondo (Fuchs, Zeitverstiindnis, in GA Il, 370).
Inoltre, già all'interno della prima parte ci sono delle incongruenze di tipo legale, in
quanto per esempio il padre al ritorno del minore sembra disporre lui anche dell'e
redità del maggiore (w. 22 s.; cfr. Pesch, Exegese, 1 ...,.. con richiamo a Daube; sul
problema vedi anche Derrett, NTS 14, 62 s.).
26. Contro Sanders, che argomenta con l'inesistenza di parabole «a due vertici»
(NTS 1,, 433 s.) va tenuto fermo che la contrapposizione di due tipi non autorizza,
per se stessa, a ipotizzare un'amplificazione secondaria (cfr. Mt. 20,1-1,; 21,28-32).
In tal senso anche Jiingel, Paulus und Jesus, 16o ; Fuchs, Zeitverstiindnis, in GA I l ,
369; Jeremias, Gleichnisse, 131; Schottroff, ZThK 68, 43; Bovon, Parabole, 295; Gib
lin, CBQ 24, 20; Broer, NTS 20, -46o; già Bultmann, Synoptische Tradition, 212. An
che la presenza di elementi «allegorici» nella seconda parte (cosl Sanders, op. cit. ,
436) non dimostra alcunché, dal momento che, in primo luogo, essa non è un argo
mento contro l'autenticità, e, in secondo luogo, elementi allegorici (o meglio: meta·
forici! ) si trovano anche nella prima parte (con Pesch, Exegese, 1...,.., il quale riman
da ai w. 14 s.24) .
27. Si può rilevare al contrario che la parabola sin dall'inizio presuppone entrambi i
figli (w. 11 .12.13) e quindi crea nell'uditore l'aspettativa di sapere qualcosa anche
del figlio maggiore. «La parabola, per non lasciare insoddisfatti gli uditori, non può
finire col v. 24» (Pesch, Exegese, 1...,.. s.).
28. Tra i sostenitori più rappresentativi si possono ricordare: Jeremias, ZNW 62, 181
e Carlston, JBL 94, 383: «On the contrary, linguistic criteria seem strongly to indica
te that the entirc parable carne to Luke via the tradition and that the has treated it
with about the same degree of freedom that be shows in his treatment of tbc Marcan
and Q materials».
29. Ipotesi sostenuta dalla Schottroff, ZThK 68, 27-,2, in particolare 49. 'I s.
299
gia lucana e per questo motivo sarebbe da considerare reda
zionale. J<> In realtà, a prescindere dal fatto che non si può di
mostrare tale conformità, 3' largomentazione è dubbia già per
motivi metodologici, basandosi sull'assioma che un theologu
menon di un evangelista non possa corrispondere con la pre
dicazione di Gesù. Escluso dunque Luca come autore, si può
supporre che la nostra parabola risalga al Gesù storico; e
questa supposizione può essere dimostrata anche positiva
mente - sempre <<nella misura di ciò che è possibile in senso
storico-critico»3' - come verosimile. n La nostra ipotesi dun
que circa la storia della tradizione e della redazione di questa
parabola è che essa sia una parabola di Gesù, che da Luca ven
ne rielaborata stilisticamente e collocata nel nostro contesto. 34
Interpretazione
La parabola di Gesù suonava così:
Un uomo aveva due figli." Ed il più giovane dei due disse al padre:
3 00
«Padre, dammi la parre• del patrimonio che (mi) spetta» ." Ed egli divi
se tra di loro i suoi beni.1" Dopo non molti giorni il figlio più giovane
trasformò tutto in denaro liquido'• ed andò in un paese lontano"" e là
sperperò•' il suo patrimonio conducendo una vita dissoluta.42 Quando
ebbe speso tutto, in quel paese venne una forte carestia•' e cominciò a
trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise al servizio di un abitante di
quella regione44 che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci.4'
Ed egli avrebbe voluto riempirsi la pancia•• con le carrube•1 che man
giavano i porci, ma nessuno gli(ene) dava:'" Allora rientrò in se stes-
36. Secondo Deul. 2 1 , 17 la parte a lui spettante sarebbe i/3 del patrimonio (cosl Je
remias, Gleichnisse, 1 28) ; forse anche 2/9 (supposizione di Derrett, NTS 14, 62). La
situazione giuridica è oscura: il figlio maggiore al v. 3 1 viene indicato come l'unico
proprietario futuro. Egli dunque dispone del possesso, ma non dell'usufrutto. Si
tratta quindi di una «donazione tra vivi» (Jeremias, op. cii. , 128 s.). Ma evidentemen
te il figlio minore pretende un accomodamento. Per la questione cfr. Derrett, op. cii. ,
59-63 ; Pesch, Exegese, 157.
37. Cfr. Jiilicher, Gleichnisreden l i , 337 s.; Bauer, Wb, s. v. ; Bovon, En/ant, 43.
38. La distinzione tra i due vocaboli che indicano il possesso non è casuale, poiché
r:h:rlri indica l'autonomia del figlio, �i'J� invece il suo rapporto col padre (con Pesch,
Exegese, 158). Per rendere questo aspetto qui si distingue tra «patrimonio» e «beni».
39. Traduzione con Bauer, Wb, s. v. �ayc1v 1 .
40. S i suppone senz'altro che s i trasferl (Jeremias, Gleichnisse, 1 29) per dimostrare la
sua autonomia ed indipendenza dal padre.
41. Nel òvxax'1pr.i"ttv è presente l'aspetto dello «sperperare», del maneggiare il de
naro senza uno scopo (cfr. Baucr, Wb, s.v. ).
42. Lo "wv à:,,-w't"w� indica una vita «sans espoir dc salut» ed implica indubbiamente
un comportamento immorale (Bovon, En/ant, 44).
43 . i;yÉvt't"'J ),1!Jh� è un'espressione biblica (cfr. Gen. 47,1 3 LXX) ; Bovon, op. cii. , 44.
44. Nell'improvviso cambiamento di soggetto Jeremias vede un semitismo (G/eich
nisse, 129) .
45. La situazione costringe il figlio minore a mettersi a servizio di un datore di lavoro
pagano. Pascere i porci per un ebreo è una cosa impura (a tal proposito Str.-Bill. 11,
2 1 3; Schweizcr, ThZ 4, 469; Jeremias, Gleichnisse, 129; Derrett, NTS 14, 66) ed
equivaleva a una degradazione morale e religiosa (Carlston, JBL 94, 379).
46. Cosi si deve rendere l'espressione grossolana (con Jeremias, Gleichnisse, 129).
«La grossolanità dell'espressione vuol mostrare come il protagonista nel cibarsi si è
ridotto ad avere solo i bisogni di un maiale, avendo rinunciato ormai da tempo ad
ogni gusto» (Jiilicher, Gleichnisreden li, 344) . «La schiavitù di un'esistenza ridotta
a bisogni elementari non poteva essere rappresentata in maniera più cruda» (Pcsch,
Exegese, 160).
47. Per l'espressione cfr. Jiilichcr, Gleichnisrede11 li, 344. È importante che si tratti
del nutrimento dci maiali (vedi Str.-Bill. li, 213-215).
48. La traduzione si rifà a quella di Jeremias, Gleichnisse, 129. Il figlio ha già dimen·
301
so49 e disse: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza,
mentre io qui muoio di fame! Voglio alzarmi e andare da mio padre e
dirgli: 'Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te.'0 Non sono più
degno di essere chiamato figlio tuo, trattami come uno dei tuoi salaria
ti! '».'' E si alzò ed andò da suo padre. Ma quando egli era ancora lon
tano il padre lo vide e si impietosl e (gli) corse (incontro)" e gli si gettò
al collo e lo baciò." Il figlio gli disse: «Padre, ho peccato contro il cielo
e contro di te, non sono più degno di essere chiamato figlio tuo». Ma
il padre disse ai suoi servi: «Presto, portate il vestito più bello,. e rive
stitelo! E mettetegli un anello al dito" ed i calzari ai piedi.'6 Portate il
ticato da tempo le sue remore religiose, qui di tratta solo del rifiuto del cibo da parte
degli uomini.
49. L'e:ìc; fo:u'tÒv òì: ÈÀ-Bwv non deve essere equiparato a priori al pentimento (così
anche Str.-Bill. II, 215 che, pur riportando dei paralleli col significato di «pentimen
to», tuttavia nota che l'espressione potrebbe ricorrere anche «nel senso più generale
di ripensarci, ricredersi» e cosi via). Qui sta a significare il ritorno del figlio alla ra
gione, che consiste nel riflettere sulla situazione e fare la scelta migliore (cfr. Bauer,
Wb, s. v. ·1. 2c). Il ritorno in ogni caso non deve essere inteso come una prestai.ione
meritoria da parie del figlio. Lo mostra anche la natura delle sue motivazioni, in cui
egli paragona la sua situazione a quella dei servi del padre.
50. La variazione nell'espressione (tic; ovvero Èvc�mov) è determinata da motivi pu
ramente stilistici (Lohfink, ThQ 15�;, 52); entrambi vanno resi con «contro». Un'ana
lisi dell'uso linguistico dei LXX rivela che è sbagliato tradurre: «i miei peccati sono
arrivati a raggiungere l'altezza del cielo» (ibid. ) . «Nel paese straniero il figlio minore
della parabola aveva distrutto ad uno ad uno ogni legame con la famiglia; aveva di
strutto anche il rapporto con Dio, quando in mezzo ai pagani aveva perduto la fede
- perciò potrà dire di aver peccato contro il cielo e contro suo padre» (ibid. ; cfr.
Str.-Bill. II, 217, che mette in risalto il parallelismo; Pesch, Exegese, 161) . Diversa
mente invece Bovon, En/ant, 46 ; Schweizer, ThZ 4, 470.
5 1 . Il (.Lfo·-81oc; aveva una posizione di assoluta subordinazione (Bovon, En/anl, 46; Je
remias, Gleichnisse, 130). Il figlio non ha più nessuna speranza di ridiventare figlio
del padre. Non si può quindi dire che si appelli «al padre in quanto padre» e sia di
sposto a ricevere «la misericordia del padre» (come vorrebbe Pesch, Exegese, 166 s.) .
5 2 . Una tale fretta per u n padre ebreo è «del tutto insolita e contraria alla sua digni
tà» Ueremias, Gleichnisse, 130 con richiamo a Weatherhead, n. 2).
H· Il bacio è segno del perdono Ueremias, op. cii. , 130).
54. Non si tratta di un abito da cerimonia, bensì dell'abito che il figlio - quando era
ancora a casa - era solito indossare (cfr. Bovon, En/anl, 47). Che ne venga rivestito
sta a significare che è stato reinvestito del suo rango di figlio (Pesch, Exegese, 163).
55. L'anello significa l'investitura ad essere partecipe dell'autorità domestica (cfr. Je
remias, Gleichnisse, 130; Pesch, Exegese, 163; Derrett, NTS 14, 66).
56. I calzari non servono solo a distinguere l'uomo libero dallo schiavo scalzo, sim
boleggiano anche... che il figlio condivide di nuovo l'autorità domestica» (Pesch,
Exegese, 163; Jeremias, Gleichnisse, 130).
3 02
vitello da ingrasso," scannate(lo) e poi facciamo festa con un banchet
to. Poiché questo mio figlio era morto ed è ritornato in vita,'" era per
duto ed è stato ritrovato». Ed iniziarono a far festa. Ma il figlio maggio
re si trovava nei campi;" e quando ritornando si avvicinò a casa, udl
musica e danza6o e chiamò uno dei servi0' e chiese•• cosa fosse tutto ciò.
Allora quello gli disse: «Tuo fratello è venuto e tuo padre ha fatto scan
nare il vitello da ingrasso, poiché lo ha riavuto sano e salvo». Allora egli
si adirò e non voleva entrare. Allora suo padre andò da lui e gli parlò
in modo benevolo.°' Ma quello rispose al padre: «Ecco, ti ho servito per
(tutti) questi anni e non ho mai trasgredito un tuo comando e non mi
hai dato (neanche) un capretto64 per far festa con i miei amici. Ma quan
do tuo figlio - quello là, che ha sperperato i tuoi beni con le prostitute
- è arrivato, tu hai fatto scannare il vitello da ingrasso». Ma egli �li dis
se: «Figlio,"' tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio, è tuo: ma si
doveva far festa e rallegrarsi0' che questo tuo fratello che era morto è ri
tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».
57. Il vitello da ingrasso viene riservato per ricorrenze particolari; altrimenti si man
gia carne solo raramente (Jeremias, ibid. ) .
58. Con questa immagine viene rappresentata metaforicamente l a svolta nella sorte
del figlio (Jeremias, ibid. ; cfr. Pesch, Exegese, 163). La seconda parte di questo ver·
secco («perduto. . . ritrovato»), qualora non venga considerata un tutt'uno con la pri·
ma parte in virtù del para//elismus membrorum, potrebbe essere stata inserita da Le.
stesso a motivo del contesto (vv. 4-7.8-10) (similmente Bovon, En/ant, 48, che con
sidera redazionale l'intero versecco) .
59. Cfr. Bauer, Wb, s.v. 1 .
60. Per l a traduzione cfr. Jeremias, Gleichnisse, 1 30.
61. I r.al&e� qui sono identici ai oouì,ot del V. 22 (Bovon, Enfant, 49).
62. Cfr. Bauer, Wb, s.v. 1.
63. Va notato l'imperfetto (in contrapposizione ai precedenti aoristi; Jeremias,
G/eichnisse, 1 30). Per la traduzione cfr. Bauer, Wb, s. v. 5.
64. Cfr. Bauer, Wb, s. v.
65 . L'appellativo è affettuoso (Jeremias, G/eichnisse, 1 30) e ben si accorda con il
r.apaxaÀetv del v. 28.
66. Evidentemente i beni del padre erano stati garantiti al figlio maggiore.
67. Il padre con molto tacco usa la costruzione impersonale: «Si doveva far festa e
rallegrarsi», per non ferire il figlio maggiore (Bovon, Enfant, 5 1 ) .
30 3
prima parte (vv. 13-24) , che narra la sorte del figlio minore.
La sua degradazione (vv. 13-16) inizia con la sua emigrazione
in un paese lontano, dove egli perde il patrimonio; la degra
dazione prosegue: il figlio si trova nel bisogno; inoltre perde
la sua purezza religiosa ebraica, quando è costretto a pascola
re i porci di un pagano. La degradazione raggiunge il culmi
ne, quando il figlio - che ormai lotta per la pura e semplice
sopravvivenza - non riesce a saziare la sua fame neanche col
cibo dei maiali. 68 A questo punto la narrazione arriva alla peri
pezia68• (vv. 17-19) nella quale il figlio riflette razionalmente
sulla sua situazione mettendola a confronto con quella dei sa
lariati di suo padre. Il confronto gli rivela che la cosa più ov
via è tornare a casa69 e chiedere al padre di essere assunto co
me salariato.70 Il figlio riconosce che non ha più alcun diritto
di essere chiamato figlio, perché ha peccato contro il cielo e
contro il padre. Gli eventi al suo ritorno si svolgono in manie
ra inaspettata (vv. 20-24) : il padre previene la sua confessione
di colpevolezza, abbracciando e baciando il figlio; in questo
modo il padre annulla il passato del figlio, gli ridà la condi
zione di figlio e fa preparare una festa. Il figlio non riesce
neppure a formulare la richiesta di essere assunto come sala-
68. «Il narratore è palesemente interessato ad accentuare lo stato di necessità dcl fi
glio, a sottolineare la degradazione profonda del ricco erede, per condurre così l'u
ditore alla soglia della scena decisiva» (Pesch, Exegese, 155). A questo punto i pro
blemi religiosi od etici non hanno più alcuna importanza, è in gioco la pura soprav
vivenza, a qualsiasi prezzo. Lo smarrimento del figlio non consiste nella sua colpa re
ligiosa o morale, bensl nell'essere arrivato a breve distanza dall'annientamento.
68a. [Nel senso della drammaturgia antica: la svolta che cambia il corso dell'azione].
69. La struttura narrativa rende evidente che il ritorno è determinato dalla situazione
del figlio; non lo si può considerare un'opera meritoria (Eichholz, Gleichnisse, 207 : il
figlio pone termine alla sua vita precedente, o Pesch, Exegese, 155: egli progetta una
«nuova vita»). Il figlio non è più capace né di progetti né di prestazioni meritorie;
imbocca l'unica via d'uscita. Il rendersi conto di aver peccato non è (in questa situa
zione ! ) una prestazione meritoria.
70. Questa richiesta, secondo il senso di giustizia del figlio, è il massimo che egli può
offrire. Essa, secondo lui, può essere tollerata solo se accompagna/a dal riconoscimen
to della propria colpa. Il figlio non osa più rivolgersi al padre come padre (con Jiin
gel, Paulus und Jesus, 161, a differenza di quanto dice Pesch, Exegese, 166 s.).
30 4
riato/' poiché è già divenuto di nuovo il figlio del padrone e la
festa non consente rinvii.72
Nella seconda parte (w. 25-32) è in primo piano il figlio
maggiore: ritornando dai campi gli arriva l'eco della musica e
delle danze; irritato si informa sull ' accaduto; il resoconto del
servo è formulato in modo tale da suggerire l'ovvietà del
comportamento paterno.71 Il figlio maggiore non riesce però a
vedere la questione con gli occhi del padre; adirato rimane
fuori. Il padre viene a pregarlo. Ma il figlio resta aggrappato
alla sua giustizia;74 non può accettare il minore come fratello
(perciò dice: «questo tuo figlio», v. 30) . Il padre ascolta i suoi
argomenti7' e li confuta; ancora una volta prega il figlio di par
tecipare alla festa, affinché nella festa comune ridiventi figlio
e fratello.
La figura centrale della narrazione (anche se non è sempre
lui il protagonista) è il padre.76 È lui che conferisce unità alla
305
vicenda dell'uno e dell'altro figlio; il suo amore77 incontenibile
lo spinge a correre incontro al figlio minore e ad invitare il
maggiore a lasciar da parte la sua giustizia ed a far festa assie
me. 78 L'obiettivo fondamentale di quest'amore è la ricomposi
zione della totalità.79
Il padre di questa parabola rimanda a Dio.Bo Più precisa
mente: l'amore che si fa evento in questa parabola è l'amore
di Dio,8' ed in tal senso in essa «il regno di Dio» si fa linguag
gio «in quanto amore che si realizza».8' Dal punto di vista di
quest'amore è ovvio che il padre ricolmi di segni di affetto il
figlio ritrovato. L'amore di Dio come perdono trionfa sul pas
sato dell'uomo,8J e come invito alla festa comune trionfa anche
sulla giustizia dell'uomo. s.i La parabola, insegnando a colui che
era perduto a fare la cosa più ovvia, ritornare dal padre, di
venta essa stessa, se raggiunge l'obiettivo, un evento dell' a
more divino.8' E se riesce a distogliere l'adirato dalla sua giu-
77. L'amore di questo padre è fuor dell'ordinario. Chi potrebbe accogliere così colui
che si è perduto e pregare cosl il figlio che è rimasto a casa? «L'amore del padre è il
tema che ricongiunge i due figli perduti» (Jiingel, Paulus und ]esu:r, 162).
78. Non viene narrato l'adempimento od il rifiuto della preghiera. In questo modo la
parabola crea un'apertura nei confronti dell'uditore (cfr. per es. Pesch, Exegese,
1'6). Se l'uditore attraverso la narrazione ha imparato a vedere le cose con gli occhi
del padre, la risposta affermativa la darà lui stesso. Poiché la conclusione rimane
aperta, «le texte de l'Evangile s'adresse à nous, jeune camme au premier jour, 'in
vieilli'» (Antoine, Mi:réricorde, 1 3 2 . 13,, qui la citazione).
79. Il vuoto creato dall'emigrazione del minore viene colmato dall'amore del padre
che perdona (Beirnaert, Parabole, 138 s.), mentre il vuoto creato dal rifiuto del mag
giore viene colmato dall'amore del padre che prega.
80. Cosljeremias, Gleichnis:re, 12 8 ; Via, Gleichni:rse, 16o s.
81. Certo non si dovrà semplicemente identificare il padre con Dio (cosi a ragione
Jiingel, Paulus und ]esus, 162); l'amore del padre raffigura tuttavia l'amore di Dio.
82. Jiingel, op. cit. , 162 s.
83. Questo awiene in entrambi i figli: il padre annulla il passato del minore col rico
noscerlo di nuovo come figlio; il passato del maggiore, che s'interpone tra lui e il pa
dre attraverso il rifiuto, con l'indicargli ciò che ora è necessario e col pregarlo.
84. Anche il figlio minore parte da una sua idea della giustizia; tuttavia, nella sua si
tuazione, non deve essere pregato a lungo.
8,. «Se in Gesù il regno di Dio si fa linguaggio come l'evento che riconcilia coloro
che si sono perduti, allora nella parola di Gesù ( ... ) si tratta dell'essere di Dio come
st1z1a, anche per lui diventa vangelo.86 L'amore di Dio vuol
riunire entrambi i «perduti» nella festa dell'amore. In questa
parabola dunque il regno di Dio si fa cosi vicino all'uomo da
rendere l'uomo, per un verso, più vicino a se stesso (risco
prendosi figlio) e per un altro verso, al tempo stesso, più vici
no all'altro uomo (riscoprendolo fratello) . L'evento di un tale
amore irrita il mondo87 perché il mondo non prevede il perdo
no. 88 Ma proprio come amore irritante esso rinnova il mondo.
Se quindi la parabola esprime la vicinanza del regno di Dio
come evento d'amore, essa deve essere interpretata nel conte
sto della vita di Gesù. Il padre della parabola, nel richiamare
Dio, rinvia a Gesù stesso.119 La parabola non illustra l'amore di
Dio in generale - a tal scopo non ci sarebbe stato bisogno di
nessuna parabola - ma lo rende evento. La storia di Gesù
realizza questo evento, poiché la sua chiamata alla sequela,
che trionfa sul passato, e la sua comunione di mensa offerta a
tanti, sono espressione di quell'amore di Dio. In questi suoi
pasti « . . . Gesù anticipa la festa che si realizzerà in futuro co-
evento d'amore, e del nuovo essere di coloro che l'amore di Dio ha ritrovato» (]iin
gel, Paulus und Jesus, r63). L'amore di Dio rende tutto nuovo a tal punto che la vi·
renda dell'amato deve essere descritta adeguatamente come un passaggio dalla mor
te alla vita (vv. 24.32). Appartiene all'essenza dell'amore il pregare; di qui l'impotenza
di Dio che solo nel suo amore si rivela «onnipotente» (Schweizer, ThLZ 99, 724 s.).
86. Di ciò non tengono conto le interpretazioni che partono dall 'identificazione del
figlio maggiore con i farisei ed i devoti; esse interpretano unilateralmente la parabola
come apologia del gioioso messaggio (ad iniziare da Jeremias, Gleichnisse, 1 3 1 ; ripre
so in Derrett, NTS 14, 72; Sanders, NTS r,, 438; in forma modificata anche in Eich
holz, Gleichnisse, 2 17, cfr. 220). In senso contrario invece, a ragione, Jiingel, Paulus
und ]csus, 163; Broer, NTS 20, 462.
87. Il mondo in realtà non si irrita per il male, ma per il bene: «Non il male, ma il
bene, attraverso l'amore, introduce nel mondo qualcosa che sfugge a tutti i suoi cal
coli» (Fuchs, Zeitverstiindnis, in GA 11, 371 ) . L'esempio più chiaro di questa irrita·
zione provocata dall 'amore, è la crocifissione di Gesù.
88. Entrambi i figli lo mettono in luce in maniera differente: l'uno non riesce più a
vedersi come figlio, l'altro non sa che cosa sia il perdono nei confronti del fratello
(cfr. anche Eichholz, Gleichnisse, 212; peraltro solo riguardo al figlio maggiore) .
89. Cfr. Via, Glcichnisse, 16o s . Questa doppia funzione referenziale d el padre non è
affatto casuale. Essa si basa sul fatto che nell'essere di Dio come evento dell'amore
«è in gioco anche l'essere di Gesù stesso, nella cui storia si fa incontro ai perduti, pre
veniente, l'essere di Dio che si realizza come amore» (]iingel, Paulus und ]esus, 163).
me regno di Dio».90 Gesù fonda pertanto il suo comportamen
to in quello di Dio stesso, che egli nella parabola fa diventare
evento. Il comportamento di Gesù e la parabola sono stretta
mente legati l'uno all'altra: «Dapprima è la parabola a riceve
re dal banchetto di Gesù la sua comprensibilità; ma poi è il
banchetto a ricevere dalla parabola la sua verità».91
Luca ha salvaguardato questo rapporto tra la parabola e il
comportamento di Gesù, se non altro col collocarla nel con
testo attuale ( vv. r-3 ) . Accostandola alle altre due parabole
dei perduti (vv. 4-7.8-ro), nelle quali sottolinea in modo par
ticolare la gioia del ritrovamento (v. 6 ! ), Luca forse mostra di
mirare in modo particolare ad invitare i suoi lettori a condi
videre la gioia di Dio (e di Gesù) per la conversione di un pec
catore.9' Fino a che punto Luca qui intenda il pentimento co
me condizione per la salvezza, non è possibile stabilirlo. 9J La
parabola in ogni caso insegna il contrario: è la salvezza a pre
cedere il pentimento. 94
308
vera e propria comprende certamente i vv. rb-7; l'inizio della
parabola (v. rb) è tipico delle parabole del materiale partico
lare di Lc.97 Il versetto 8 è discusso: o il soggetto è il padrone
della parabola, e in tal caso egli loda (inspiegabilmente) il suo
amministratore disonesto,98 o il soggetto è Gesù, e in tal caso
il v. 8 riferisce il commento originario di Gesù alla parabola.99
Qualsiasi posizione si assuma, resta fermo che il comporta
mento disonesto dell'amministratore viene lodato. Il versetto
8b presenta una generalizzazione della lode del versetto 8a,
con la contrapposizione tra «i figli di questo mondo» e «i figli
della luce».""'
Il v. 9 riprende, volgendo lo sguardo dall'amministratore
«d'iniquità» ("t'·�ç llòtxta.ç) al mammona «d'iniquità» ("t'iJç &òt
xla.ç) col cui aiuto l'uomo deve crearsi degli amici, per essere
accolto da loro nelle «dimore eterne».'01 I vv. 1 0- 1 2 si ricolle
gano al «mammona iniquo» (aòtxoc;) ed applicano la parabola
s.; Jeremias, Gleichnisse, 44). Non è certo se risalga a Luca oppure alla comunità;
quest'ultima ipotesi, a mio avviso, è la più probabile.
97. C fr . sopra, p. 300 n. 3:;.
98. Prospettato da Dodd, Parables, 3 1 ; sostenuto da Derrett, NTS 7, 217 (con la mo
tivazione che la rinuncia dell'amministratore a tassi da strozzino era nell'interesse an
che del padrone); Via, Gleichnisse, 147 (per motivi connessi al genere letterario) ;
Schwarz, BZ 1 8 , 94 s. (che peraltro considera u n errore d i traduzione «lodare», cfr.
sotto, n. 112); Topel, CBQ 37, 218 (ivi, 216 n. 1 ulteriore bibliografia sulla parabola).
99. Bultmann, Synoplische Tradition, 190; Jeremias, G/eichnisse, 42; Jiingel, Paulus
und Jesus, 1:;7; Descamps, NT 1, 47 (kyrios qui è usato, a differenza della parabola, in
maniera assoluta) ; Dupont, ASeign :;6, 70. Questa posizione è più verosimile di
quella indicata nell'ultima nota.
100. Proprio in questa generalizzazione la lode del v. Sa viene relativizzata (con Jiin
gel, Paulus und Jesus, 1:;7) . La contrapposizione - cosi poco lucana - risale alla tra
dizione anteriore a Le. (cfr. Topel, CBQ 37, 219; Bultmann, Synoptische Tradition,
c90 con n. 1 ) . Simili contrapposizioni si trovano negli scritti di Qumran (per es. «figli
della luce» e «figli delle tenebre»; Lohse, ThWNT VIII, 3:;9,38 s. e 39 s.). La termi
nologia non è «sincretistica» (come vorrebbe Bultmann, op. cii. , 190 n. l). Sembra
che negli scritti rabbinici l'espressione «figli di questo mondo» non ricorra (Schwei
zer, ThWNT VIII, 366 n. 220 con riferimento a Lohse, op. cit. , 3:;9,26; c&. anche
Str.-Bill. 11, 219).
lOI. Secondo Williams, JBL 83, 29.:;, gli «amici» sarebbero la personificazione delle
«elemosine» (a tal proposito c&. anche Jeremias, Gleichnisse, 43 n. 3), sarebbero esse
a consentire all'uomo l'accesso alle dimore eterne. Una tale interpretazione può es-
e contrario. '0' Col v. 13 Luca aggiunge un detto ripreso da Q,
che esprime la contraddizione irriducibile tra il servizio a Dio
e quello a mammona.101 La diversità di queste applicazioni ai
vv. 9-13 attesta le difficoltà che la parabola originaria creava
alla comunità cristiana.
Il nostro itinerario interpretativo si basa su un'ipotesi di ri
costruzione della storia della tradizione e della redazione, se
condo cui la parabola originaria comprendeva i vv. l -7 e fu
tramandata sin dall'inizio col commento di Gesù (v. 8a) . Nel
lo stadio della comunità furono inseriti i discepoli come desti
natari della parabola (v. ia) e la parabola venne interpretata
con i vv. (8b).9. Luca a sua volta inserì la parabola nel conte
sto attuale (v. ra) ed aggiunse le due ulteriori applicazioni
collegate dal termine «mammona».
Interpretazione
10�
Partiamo dalla parabola di Gesù ricostruita come segue:
sere anche possibile, sebbene sussista una notevole differenza tra l'amico e l'inter·
cessare. Il versetto, tuttavia, può essere perfettamente inteso nel senso di Jeremias,
Gleichnisse, 43 . Il ÒÉ�wvtat va inteso allora come una perifrasi per non nominare
Dio (Str.-Bill. n, 221 ) . Colella, ZNW 64, 1 24-266 (in base ad una ritraduzione in
aramaico ! ) vorrebbe cambiare I'Èx 'tOÙ in potius quam («e non») : «fatevi degli amici e
non mammona» (op. cii. , 126). Questa correzione, oltre a rimanere ipotetica, sulla
base del contenuto non è affatto necessaria. L'aggiunta del v. 9, anche solo per il suo
sfondo teologico, potrebbe essere avvenuta in uno stadio relativamente precoce (in
contrasto con Descamps, NT 1, 49 s. ) . Esso comunque non apparteneva alla parabo
la originaria (contro Jalland, TU 73, ,04 s.; Williams, JBL 83, 29' s.; entrambi ravvi
sano nell'elemosina la pointe della parabola originaria).
102. Quest'applicazione può essere attribuita a Luca, che qui aggiunge del materiale
(probabilmente antico) legato dal filo conduttore [J.a(MllVà 'tij; àònda; e così rende
meno sconcertante la parabola (cfr. Jeremias, Gleichnisse, 43 s.; Descamps, NT 1, ,1
s . , secondo i l quale i vv. 10-12 sono fortemente rielaborati d a Luca) .
103. Questa sentenza deriva da Q (Schulz, Q, 4,9-461) e può essere un detto di Ge
sù, che fu collocato qui da Luca (Descampes, NT 1, p).
104. La parabola si confà alla predicazione di Gesù e potrebbe risalire ad essa, argo
mento non ultimo anche il suo carattere provocatorio. I cristiani che hanno traman
dato la parabola hanno avuto però sin dall'inizio - come mostrano i vv. 9-13 delle
-
difficoltà con la parabola (la stessa posizione in Kamlah, Ungerechter Verwalter, 293
3 10
C'era una volta un uomo ricco, che aveva un amministratore, e questi
fu accusato'"' dinanzi a lui di sperperare'"' il suo patrimonio. Allora egli
lo chiamò innanzi a sé e gli disse: «Che è tutto quello che sento dire di
te? rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere
amministratore».'07 Allora l'amministratore disse tra sé e sé: «Cosa farò,
se il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Non sono (abbastanza)
forte per zappare, mi vergogno a mendicare. So cosa farò affinché
qualcuno
.
mi accolga in casa sua, quando sarò allontanato dall'ammini-
straztone». . ..
Ed egli chiamò a sé uno ad uno i debitori del suo padrone e disse al
primo: «Quanto devi al mio padrone?». Quello rispose: «Cento barili
di olio».'"' Allora egli gli disse: «Ecco qui la tua ricevuta,"" siediti e scrivi
presto 'cinquanta' ! ». Poi disse al secondo:"' «E tu quanto devi?». Quel
lo rispose: «Cento misure di grano». Allora egli gli disse: «Ecco qui la
tua ricevuta, scrivi 'ottanta'».
Ed il Signore lodò l'amministratore infedele perché aveva agito con
scaltrezza."'
Il racconto concentra tutta lattenzione sulla persona del-
s.; Descamps, NT 1, 48 s. ; Jeremias, Gleichnisse, 181; Jiingel, Paulus und Jesus, 1.57;
Dupont, ASeign .56, 70 s. ) .
I0.5. I l Ò1tz�Ì.Àciv qui non può significare «calunniare», in quanto sia il padrone sia
l'amministratore prendono sul serio l'accusa (Drexler, ZNW ,s, 288).
106. Cfr. Bauer, Wb, s.v. ; traduzione con Wilckens, NT, ad locum.
107. Il proprietario ha annunziato il licenziamento, che avrà luogo al momento del
rendiconto (Drexler, ZNW ,s, 288).
1o8. La traduzione si rifà a Drexler, ibid. , che vede in iu-:tza-rtz..9«ii un futuro I I .
109. L'ammontare del dowto sembra consistente Ueremias, Gleichnisse, 18o s.) .
1 10. Traduzione con Jeremias, Gleichnisse, 181.
111. Cfr. Bauer, Wb, s. v. i:-tepoi:; 1.b.ò
112. La scandalosità di questo inciso non può essere eliminata. La congettura di
Schwarz, BZ 18, 94 s., di supporre un doppio errore di traduzione dall'aramaico e di
correggere èr.f.vc-zcv in cmaledl» ed tppovi(J.Wi:; in «perfidamente» non ha alcun ap
piglio nel testo. Vero è che '!J".):jl (l'equivalente di Èr.tztveiv) e Cl�.,ll (l'equivalente di
�pov i(J.Wi:;) possono essere stati usati in senso sia buono sia cattivo; qui però non vi è
alcuna necessità di supporre un errore di traduzione. Anche Derrett, NTS 7, 209-
219, tenta di rimuovere per via di esegesi la scandalosità del v. Sa: l'amministratore
avrebbe cancellato solo gli interessi da strozzino contraffalli nelle ricevute sotto for
ma di debito originario; in questa maniera di fronte al licenziamento avrebbe prefe
rito la legge di Dio alla prassi commerciale; ciò facendo avrebbe contribuito anche
al buon nome del padrone; perciò la sua lode sarebbe anche giustificata. A confutare
questa interpretazione basta già il solo fatto che l'amministratore viene esplicitamen
te definito «ingiusto».
31 I
l'ammini'stratore;"1 è in primo piano unicamente il suo com
portamento. Il proprietario (padrone) che appare nell'antefat
to è invece la figura che fondamentalmente determina il com
portamento dell'amministratore. L'azione prende avvio con la
notizia che l'amministratore perderà il suo posto. L'ammini
stratore da parte sua è costretto a far fronte al licenziamento
ormai deciso. Con tutti i mezzi a sua disposizione egli fa fron
te al suo futuro ormai inevitabile. Egli ha compreso che il suo
futuro si decide adesso. È degno di nota che il racconto non
fa parola della sorte futura dell'amministratore; esso ha di mi
ra, chiaramente, solo come il protagonista (là per là) fa fronte
alla situazione. Far fronte a questo futuro, dal punto di vista
dell'amministratore, appare un imperativo dettato dalla ra
gione. "4 Alla certezza di quel futuro corrisponde la radicalità
delle sue reazioni, che non indietreggiano neppure dinanzi a
decisioni disoneste."' Il futuro cattivo è presentato, nella nar
razione, come un futuro che può essere evitato in base a come
si agisce nel presente.
Intesa così la narrazione, la parabola si rivela come annun
cio del regno (imminente) di Dio. Questa imminenza è formu
lata in modo tale da essere posta in rapporto diretto col pre
sente dell'uditore. «Poiché la vicinanza del regno di Dio ha
legato il futuro al presente in modo tale che il presente viene
116
definito come una possibilità escatologica». Adesso vanno
prese le decisioni necessarie di fronte al futuro inevitabile. La
vicinanza del regno di Dio, stabilita attraverso la parabola
312
stessa, consente all'uditore di comprendere il presente come
momento decisivo (qualificato in senso escatologico) e gli
permette allo stesso tempo di intendere il suo cattivo futuro
come qualcosa che può essere evitato agendo adesso. Così il
narratore esprime il regno di Dio come venturo, e - si noti
bene - venturo per la salvezza (non per il giudizio) dell'uo-
mo. "7
Chi comprende il regno di Dio - e la parabola dona pro
prio questa comprensione - impara a comprendere meglio
il proprio tempo. "8
L' «adesso» della parabola si riferisce al tempo di Gesù. Con
lui il regno di Dio è così vicino che i suoi uditori possono
prendere posizione nei confronti di esso. E questa presa di
posizione è creata da Gesù stesso attraverso la parabola; essa
si concretizza, per l'uditore, come presa di posi'zione nei con
fronti di Gesù, perché l'accesso a quello «spazio dell'amore»,
che Gesù dischiude con la sua parola e la sua opera, è la presa
di posizione adeguata nei confronti del futuro di Dio.119 Anche
Gesù stesso compie questa presa di posizione, con l'intero suo
essere, di fronte al futuro immancabile di Dio. In questo con-
3 14
prevedibile della basileia, o del Figlio dell'uomo) ed è stata
introdotta con 18,1.'24 La narrazione segue nei vv. 2-5 e si pre
senta in sé completa."' Riguardo ai vv. 6-8 sussistono diverse
ipotesi. Da un lato viene rilevato il carattere secondario di
questi versetti, con la precisazione che il v. 8b sarebbe ulte
riormente secondario rispetto ai vv. 6-8a.126 D'altro canto vie
ne constatata la coesione originaria dei vv. 2-8, e la pericope
nel suo insieme viene ricondotta o al Gesù storico127 o alla pri
ma comunità postpasquale.128 A parer mio un'alternativa di
questo tipo non è appropriata; semmai i vv. 6-7 vanno con
siderati il commento del narratore originario della parabo
la, 129 mentre al versetto 8 con l'«io vi dico» viene introdot
to un nuovo elemento che riprende il termine ixatxljatc; ma
spostando lo sguardo dal soggetto dell'ixalx·r,atc; al suo ogget
to (v. Sa) . Qui non è più in questione se venga il giorno nel
quale sarà fatta giustizia;'10 la questione è piuttosto che esso
124. Cfr. Jeremias, Gleichnisse, 156 con richiamo a op. dt. , 92 n. 3 (dove la connessio
ne tra Le. 18,1-8 e 9-14 viene ricondotta alla tradizione prelucana) . Il v. 1 in ogni ca
so è in larga misura lucano (Harnisch, EvTh 32, 431 ; Spicq, RB 68, 68; Deschryver,
RHPhR 48, 357; George, ASeign 60, 69; incerto Delling, ZNW 53, 1 .
125 . Cfr. Delling, Z NW 53, 6-13.
126. Così Jiilicher, Gleichnisreden I I , 284; condiviso da Bultmann, Synoptische Tradi
tion, 189.
127. Così per esempio Delling, ZNW 53, 13. 19 s: (che considera il v. 8b un'appendi
ce secondaria ricavata dal materiale particolare di Luca, op. cii. , 20 s.); Jeremias,
Gleichnisse, 155 s. (incluso il v. Sb ! ); Deschryver, RHPhR 48, 356. 365 s.; Stiihlin,
JAC 17, 18.
128. Cfr. in particolare Linnemann, Gleichnisse, 127 (cfr. p. 185, con Fuchs: Le. 18,1-
8a omogeneo e interamente secondario).
129. Nello stadio di Gesù la necessità del commento deriva dalla scelta dell'immagi
ne (il giudice ingiusto), il cui riferimento metaforico a Dio contraddice i concetti fa.
miliari all'uditore. L'analogia tra il v. 6 e Le. 16,8a è vistosa (b XU@ IO� assoluto; carat
terizzazione dei protagonisti con "rij; �a1xiot� ). Anche Le. 16,8a è il commento dd
narratore originario (cfr. sopra, p. 309 n. 99) . Per la questione cfr. Delling, ZNW
53, 13-16; Deschryver, RHPhR 48, 362. A ciò si aggiunga che la conclusione del v. 7
risulta sorprendente, anche solamente dal punto di vista grammaticale (cfr. sotto, p.
316 n. 132), e che il v. 8 presenta chiaramente un nuovo inizio, che sminuisce la forza
analogica della parabola (con Harnisch, EvTh 32, 435).
1 30. Con ixaixr,a1� dovrebbe essere inteso non un qualsiasi ricevere soddisfazione
bensì il giorno dcl giudizio escatologico di Dio (in contrasto con Schrenk, ThWNT
3 15
verrà «presto». 'J' Con ciò concorda pienamente la domanda
autonoma aggiunta a quella del v. 7: « . . . e li farà a lungo aspet
tare?».'J' La questione decisiva al momento della sua venuta
sarà se il Figlio dell'uomo troverà la fede. •u Se in questa pro
spettiva si considerano i w. 2-7 come unità, la questione del
l'autenticità dev'essere impostata in altro modo; vi si potrà ri
spondere solo in base all'interpretazione. In ogni caso si deve
prendere in considerazione l'aggiunta secondaria (ma prelu
cana) dell'ultima parte del v. 7 e del v. 8,'w cosicché la redazio
ne lucana avrebbe munito i w. 2-8 di un'introduzione (v. 1 )
per utilizzarli i n funzione della tematica che le stava a cuore.
Interpretazione
La parabola originaria era dunque la seguente:
In una città e' era un giudice che non temeva Dio e non aveva riguardo
II, 444,6-15, che non vuole presupporre in Le. 18,1-8 l'uso di questo gruppo lessicale
nel senso dei LXX) . Anche in Le. 21,22 Yi11-Ép r11 i:xa1xlj aewc; rimanda al giudizio fina
le. Infine anche il v. 8b conferma che il termine è usato qui in senso escatologico,
oppure fu inteso dalla comunità in un contesto escatologico.
1 3 1 . Non c'è nessun motivo di tradurre i:v 'tii.xe:1 con «improvvisamente» o «imme
diatamente» (come vorrebbero Jeremias, G/e;chnisse, 154 s.; Spicq, RB 68, 81. 85 ) .
Con Delling, ZNW 53 1 9 ; Linnemann, Glekhn;sse, 128. 186; Klostermann, Lk , 179;
,
con «protrarsi a lungo» (con Bauer, Wh, s.v. 3; George, ASeign 6o, 70 s.; diversa-
'
mente Ddling, ZNW 53, 17 s.).
1 3 3 · A tal proposito v. Delling, op. cii. , 22 s.
1 34. Dimostrato in maniera convincente da Jeremias, G/e;chnisse, 155 n. 2. Owia
mente con ciò non viene dimostrata una connessione originaria con la parabola (Lin
nemann, Glekhnisse, 186 n. 17). Si tratta di un ritocco interpretativo ddla comunità.
3 16
per nessuno. Ed in quella città c'era una vedova che andava (sempre)'u
da lui e diceva: «Fammi giustizia''6 contro il mio avversario ! ». E per un
certo periodo di tempo egli non volle.''7 Poi egli disse tra sé: «Anche se
non ho timor di Dio e non ho riguardo per nessuno - poiché questa ve
dova mi è cosi molesta le farò giustizia; affinché alla fine''" ella non ven
ga da me a rompermi la testa».'" Ma il Signore disse: «Udite quello che
dice il giudice iniquo ! E Dio non dovrebbe far giustizia ai suoi eletti'"°
che gridano a lui giorno e notte?».
Nell'interpretazione di questa parabola bisogna prestare
particolare attenzione a non interpretarla partendo da Le. 1 1,5-
8. Ma anche a volerlo fare - benché i testi in se stessi non
diano spunto in tal senso - le differenze restano molto piu
grandi. L'accostamento a Le. 1 1 ,5-8 porta l'interprete a sotto
lineare anzitutto la perseveranza e il Jattore temporale'4' impli
cito nel rifiuto del giudice; in questo modo però si opera un
restringimento, legando l'interpretazione al problema «paru
sia - preghiera perseverante per la parusia - ritardo della pa
rusia».
13'· Così va reso l'imperfetto (Deschryver, RHPhR 48, 36o; Delling, ZNW 5 3 . 8).
136. Al rivale non deve essere consentita l'ingiustizia (cfr. Delling, op. cit. , 8-n;
Schrenk, ThWNT n , 442,,.10) .
137. Questo elemento non è stato inserito panendo dall'interpretazione (sotto l'in
flusso del ritardo della parusia), ma esprime la dipendenza della vedova dal giudice:
egli non vuole soddisfare la preghiera, perché non è abituato a tener conto delle pre
ghiere.
138. El:; 'tÉÌ.Q<; non è da tradursi con «dcl tutto» (come vorrebbe Jeremias, Gleich·
nisse, 1'3; cfr. invece Delling, ZNW ,3, 12).
1 39. La proposizione con iva descrive il sarcasmo del giudice, e dal punto di vista
del narratore costituisce un elemento ironico (Harnisch, EvTh 32, 433). Perciò ww
r.1ii"uv va inteso lelleralmenle (con Delling, ZNW '3. 12).
140. Il senso di ixì,a:x-:oi in questo contesto è problematico. Sulla bocca di Gesù, ci
si sarebbe aspettato qualcos'altro (per es. un u(J-Ci:;) . Attribuendolo alla comunità, in·
dicherebbe gli eletti in senso escatologico, quindi la comunità stessa (il termine va di
pari passo con «Figlio dell'uomo» al v. 8; cfr. Schrenk, ThWNT IV, 192,27-194,9 con
riferimento a Mc. 13,19-27).
141. Entrambi gli aspetti in Spicq, RB 68, 86-90 (in base al confronto con Le. n,5-
8). Anche Linnemann, Gleichnisse, 126-128 calca troppo la mano sui due elementi.
In realtà, per un giudice come quello descritto dalla parabola, è chiaro già a priori
che la preghiera dovrà essere ponata avanti con una cena perseveranza, proprio per
ché è soltanto una preghiera (non accompagnata per esempio da regalie tese a cor
romperlo). Questo panicolare dunque non va collegato col ritardo della parusia; è
funzionale al tema «preghiera».
Se invece si considera la parabola come brano narrativo
autonomo, colpisce subito il fatto che la na"azione mira alla
contrapposizione di due figure. Da una parte il giudice'4' «sans
foi ni loi»143 è un uomo che conosce un metro solo di compor
tamento, ossia se stesso. '44 Il narratore, rasentando l'inaccetta
bile, utilizza questo autoritarismo del giudice come metafora
della sovrana libertà di Dio.'4' Dall'altra parte c'è una vedo
va,'411 cioè una povera donna allo scalino più basso della gerar
chia sociale. Ella non dispone né di potere né di strumenti di
pressione; non può neanche sperare che quel giudice l'aiuti
per timore di Dio147 o per paura di perdere la sua buona fama.
Le rimane solo una possibilità: ricorrere alla preghiera. Non
può fare nient'altro che ripetere continuamente: «Fammi giu
stizia . . . ». Con questo comportamento essa reagisce perfetta
mente all'autoritarismo del giudice. Ed il seguito della narra
zione rivela che l'unico motivo che spinge il giudice autorita
rio a soddisfare la richiesta è proprio questa ripetuta preghie
ra. Il timore del giudice che alla fine ella potrebbe rompergli
la testa serve ad esprimere il sarcasmo di quest'uomo. Il moti
vo della sua azione, in realtà, è che la vedova lo infastidisce
con le sue ripetute richieste.
Il narratore stesso indica la pointe: se persino un giudice
come questo148 cede alle richieste di una debole vedova, perché
142. Il «giudice» racchiude un'equivalenza metaforica con «Dio», in quanto Dio alla
fine dei giorni terrà il suo giudizio sul mondo, secondo la concezione comune a tutto
il giudaismo (cfr. per es. Biichsel, ThWNT lii, 93,,1-936,3).
143 · Spicq, RB 68, 73.
144. Cfr. Delling, ZNW H. 7. 14'· Cfr. Stiihlin, JAC 17, 19.
146. La vedova è il tipo della donna del tutto impotente, in balia dei potenti senza
alcuna difesa; cfr. Stiihlin, ThWNT IX, 43 3,32-434,33. Ulteriori valenze metaforiche
(nel senso di «Gerusalemme», «nuovo popolo di Dio» ; Stahlin, JAC 17, 12. 19) qui
sono completamente infondate.
147· Gli ammonimenti a beneficare le vedove sono rivolti nell'Antico Testamento a
tutti i devoti (Stahlin, ThWNT IX, 43,,1-4) . Se il giudice fosse stato timorato di Dio,
la vedova avrebbe potuto appellarsi proprio alla sua condizione di vedova e senz'al
tro aspettarsi che le avrebbe reso giustizia.
148. Il "":"ij<; àòndot<; riprende la caratterizzazione del giudice della parabola. La sua
ingiustizia consiste nel fatto che egli non ha timore né di Dio né degli uomini.
318
Dio non dovrebbe prestare ascolto ai suoi eletti che invocano
la venuta del giorno in cui sarà fatta giustizia? In tal modo la
parabola dona all'uditore la certezza della correlazione tra la
sua preghiera per la venuta della fine149 ed il suo esaudimento
da parte di Dio. E con ciò essa gli assicura anche la libertà di
abbandonarsi, per ciò che riguarda la fine, solo alla sua pre
ghiera. Lo libera dalle proprie opere, nelle quali egli potrebbe
essere tentato di vedere un mezzo per affrettare la fine. Gli
restituisce la libertà di presentare le sue preghiere, e precisa
mente delle preghiere che non hanno altro da offrire che se
stesse.
Colui che è in grado di rivelare tali correlazioni, deve essere
ricolmo di certezza sulla prossimità della fine. Deve essere
convinto che l'esaudimento di quella preghiera da parte di
Dio è già in atto. E non è appunto questa la certezza di Gesù,
che nella sua parola e nella sua opera il regno di Dio, il giorno
della giustizia, si è fatto vicino? Non è Gesù colui che chiama
i suoi seguaci a pregare per la venuta della basileia (Mt. 6,10
par.) ? Se a queste domande la risposta è - e non può essere
affermativa, allora la parabola deve risalire a Gesù. '"' Ma allora
essa tratta del regno di Dio: l'esaudimento della preghiera per
la sua venuta è certo, perché la basileia si è già resa vicina. E
allora è la parabola stessa levento del farsi vicino del regno di
Dio, in quanto all'uditore viene assicurata la certezza che la
sua preghiera per la venuta del regno dei cieli verrà esaudita.
Ed allo stesso tempo viene salvaguardato che il regno è di
Dio, dal momento che il rapporto dell'uomo col regno di
Dio, la preghiera, è tale da lasciare intatta la libertà di Dio. La
parabola riesce cosi ad esprimere l'amore di Dio (che esaudi
sce le preghiere umane) senza deformare la libertà di Dio in
31 9
un rapporto di dipendenza. Questa parola rispettosa della li
bertà di Dio crea spazio anche per la libertà dell'uomo, libe
randolo dal peso di dover mirare alla venuta del regno di Dio
attraverso le proprie opere e donandogli così il tempo per l'a
more nei confronti dell'altro.
La comunità intese la vicinanza del regno di Dio nella cate
goria di un intervallo temporale. Dio tarderà? No, egli farà
venire presto il giorno della giustizia. Non è facile stabilire se
queste affermazioni vanno intese come espressione dell'attesa
a breve scadenza o già come conseguenza del ritardo della
parusia.''' Esse si riferiscono, in ogni caso, all'azione finale di
Dio nei confronti degli eletti. ''' La comunità identifica la ve
nuta escatologica di Dio con la venuta del Figlio dell'uomo al
la fine dei giorni: identificazione fondata su quella tra Dio ed
il Crocifisso realizzatasi con la resurrezione. Ravvisando la ve
nuta di Dio nella venuta del Figlio dell'uomo, la comunità
tiene conto del fatto che la certezza della sua preghiera per la
venuta del regno non può essere espressa indipendentemente
dalla vicinanza della basileia nell'esistenza di Gesù. Espri
mendo ora come esplicita cristologia il fondamento teologico
dell'esistenza di Gesù, essa salvaguarda il ruolo di Gesù come
autore della parabola. L'interrogativo che preoccupa la co
munità, riguardo alla fine, è se il Figlio dell'uomo troverà la
fede sulla terra. Troverà gli uomini intenti alla preghiera per la
venuta del regno - nella quale si concretizza la loro fede nel
regno di Dio oppure gli uomini, affannati nella pretesa di
-
3 20
1 ) . 'H Nella parabola egli pone in particolare risalto la perseve
ranza della vedova, che diviene l'esempio delle preghiere per
severanti dei cristiani. Il contesto (17,20-37) fa capire che an
che Luca pensava alla preghiera per la venuta del regno.'" In
tal modo Luca non fa altro che rendere esplicito un elemento
della parabola, in quanto la certezza dell'esaudimento è anche
la condizione per potere perseverare nella preghiera. E il fatto
che Luca esorti alla perseveranza nella preghiera conferma
che anche lui concepisce il regno di Dio come regno di Dio
nel senso più stretto del termine, rispetto al quale è la pre
ghiera l'atteggiamento adeguato da parte dell'uomo.
1a. [L'originale tedesco gioca sul senso etimologico di wahr. . . nehmen = prendere
per vero].
percepire l'esigenza insita in essa, di essere messo in movimen
to (Le. 19,1 1-27). Con Gesù il festoso banchetto escatologico è
già imbandito, perciò chi comprende il tempo, deve accogliere
adesso l'invito (Le. 14, 15-24) . In Gesù Dio rivolge il suo ultimo
invito alla conversione, perciò tutto si gioca nella posizione
presa nei confronti del Figlio (Mc. 12,1-12).
Queste connessioni svelate nelle parabole ora ricordate,
che andavano considerate rigorosamente metaforiche, dopo la
pasqua non furono più intese in senso puramente metaforico.
Potremmo dire che le metafore in questione furono prese alla
lettera, in quanto la comunità intese le parabole di Gesù come
«abbozzi» di tutta la storia da Gesù sino alla fine dei tempi, o
anche dall'Antico Testamento sino al presente della comunità
cristiana (Mc. 12,1-12) .
La spinta in direzione di questa interpretazione storica na
sce dal fatto stesso dell'interpretazione cristologica delle para
bole di Gesù. Se infatti metafore come la semina o l'invito al
banchetto venivano riconosciute come metafore atte a descri
vere il tempo di Gesù, e di conseguenza la mietitura o il ren
diconto venivano identificati col momento della parusia, di
veniva ovvio applicare anche altri dettagli delle parabole all'e
sperienze o alla storia. In tal modo le parabole di Gesù pote
rono diventare uno spazio linguistico entro il quale dare espres
sione all'autocomprensione storica della comunità cristiana. Es
se consentirono alla comunità di formulare la sua collocazione
all'interno della storia di Dio col mondo. Intese in tal modo le
parabole divennero una possibilità linguistica per definire il
presente della comunità. Poiché quest'ultima doveva distin
guere la propria epoca da quella di Gesù, l'intervallo tra l'ini
zio della basileia in Gesù ed il suo compimento futuro da
parte di Dio assunse un suo significato autonomo: era il tem
po della crescita misteriosa, della mescolanza tra zizzania e
grano, tra buoni e cattivi. Era il tempo in cui risuonava con
urgenza escatologica l'invito del kyrios, sotto la forma della
predicazione missionaria cristiana; era il tempo dell'attesa del
Dio che viene, della perseverante preghiera per la venuta del
suo regno. Di qui il rapporto, in entrambe le direzioni, tra
l'esperienza storica e la parabola: da un lato le parabole parla
vano un linguaggio tale da consentire nuove esperienze, dal-
1' altro le esperienze portavano ad una nuova comprensione
delle parabole. La proprietà inerente al linguaggio metafori
co, di aprire all'esperienza e di rifletterla in sé, trova piena
applicazione nel processo di tradizione delle parabole di Gesù
all'interno del cristianesimo primitivo.
Quanto siano legate l'applicazione storica (o storico-salvi
fica) delle parabole di Gesù e la loro interpretazione cristolo
gica, lo conferma in maniera singolare e sorprendente il Van
gelo di Tommaso. In tutte le parabole ivi raccolte furono can
cellati, attraverso una sistematica riscrittura, tutti i riferimenti
cristologici. Attraverso questo processo di decristologizzazio
ne venne ad essere eliminata in pari tempo la dimensione del-
1' applicazione storica. Le parabole della tradizione sinottica
vengono interpretate nel Vangelo di Tommaso senza eccezio
ne in senso individualistico e puramente antropologico. Esse
non sono più un abbozzo della storia di Dio col mondo, e
perciò tutti i riferimenti storici vengono eliminati. Vengono
ridotte a strumenti che dovrebbero convincere l'uomo della
verità dell'antropologia gnostica, portarlo alla scoperta del
suo vero io e al passaggio dall'esistenza inautentica a quella
autentica, quella dello gnostico (con particolare chiarezza lo
si può vedere nella versione gnostica della parabola del gra
nello di senapa ed in quella del lievito, Ev. Th. 20 ; 96) . Ridot
te a mezzo di espressione e al tempo stesso di diffusione del
l'antropologia gnostica, non vengono più interpretate in senso
cristologico e - come conseguenza della decristologizzazione
- neppure in senso storico. Questa discrepanza nell'interpre
tazione delle parabole, che sussiste tra la tradizione sinottica
ed il Vangelo di Tommaso, potrebbe offrire un modello stori
co di comprensione, in base al quale affrontare la problemati
ca di un'ermeneutica radicalmente antropologico-esistenziale
in riferimento alle parabole di Gesù; ma lo sviluppo di questa
problematica particolare esula dall'ambito del nostro lavoro.
330
3 . 1 . 3 . Comprensibilità di Dio - prassi etica dell'uomo
1b. [È il già notato gioco di parole, intraducibile, fra einsetzen ( investire, mettere in
gioco) , e umsetzen (tradurre, trasportare ) . Cfr. sopra, p. 247 n. 173a e p. 250) .
333
mondo viene a trovarsi a contatto diretto col futuro di Dio.
Questo significa che lattesa della rivelazione escatologica di
Dio, propria del giudaismo apocalittico, viene superata in
maniera peculiare. La predicazione di Gesù instaura un rap
porto dialettico tra il futuro di Dio ed il presente di Gesù,
poiché nelle parabole le realtà del regno di Dio escatologico
vengono comunicate all'uditore in modo tale che egli le faccia
essere determinanti anche per il suo presente. All'uditore di
Gesù viene donato sin d'ora ciò che si rivelerà alla fine dei
tempi, poiché da un lato il futuro di Dio interpreta il presente
di Gesù e dall'altro il presente di Gesù segna l'irruzione del
futuro di Dio. Per l'uditore, dunque, le parabole offrono
un'anticipazione della fine dei tempi. Esse realizzano sin d'o
ra in lui l'azione escatologica di Dio: le parabole/anno passare
sin d'ora dalla morte alla vita, poiché in esse quel Dio che
rende la vita ai morti si avvicina all'uomo a tal punto da tra
sformarlo in nuova creatura. Questo però non significa che
nelle parabole venga eliminata la dimensione del futuro; essa
invece viene salvaguardata, perché il dono già in atto rinvia al
futuro di Dio e solo alla luce di esso può avere il suo vero si
gnificato. Instaurando questo rapporto dialettico tra futuro e
presente, le parabole realizzano nell'uditore ciò che Paolo poi
formulerà teologicamente nella dialettica di giustificazione e
salvezza (per es. Rom. ; ,8 s . ) .
Che il Dio reso vicino dalle parabole d i Gesù sia colui che
fa passare l'uomo dalla morte alla vita, si è manifestato vero
nella resurrezione di Gesù dai morti (cfr. Rom. 4,17) . È dun
que la resurrezione di Gesù levento della vicinanza di Dio al
mondo, che dà univocità alla predicazione parabolica di Ge
sù, perché il Dio che riporta in vita il Crocifisso non può es
sere altri che il Dio comunicato all'uomo attraverso le para
bole del Crocifisso. In tal senso, le parabole di Gesù compio
no nell'uditore, proletticamente, ciò che Dio compirà prima
in Gesù e poi in tutto il mondo: il risveglio dalla morte alla
vita. In altre parole: le parabole di Gesù attuano lessenza di
Dio.
334
Tutto ciò va messo in luce con alcuni esempi particolar
mente chiari. Se l'uditore riconosce la connessione dinamica
tra i modesti inizi in Gesù ed il compimento glorioso della
basileia (Mc. 4,30-32; Le. 13,21 s.), egli avrà fiducia in questo
inizio impercettibile e in tal modo sarà partecipe sin d'ora
della salvezza futura. Se l'uditore comprende che il festoso
banchetto messianico inizia già con Gesù (Le. 14,5-24 par.) ,
la parabola fa sl che egli accolga l'invito sin d a adesso; i n tal
modo la fine dei tempi determina già il suo presente. Se la
parabola in Mt. 20,15 rende evento la bontà di Dio in modo
tale che la basileia, nella quale ci saranno solo primi, diventi
subito il metro di giudizio per il presente dell'uditore, in
quello stesso istante, attraverso di essa, la ricompensa finale
gli è stata già data. Se Mt. 25,1 - 1 3 rivela Dio come colui che
viene, in modo tale che l'uditore assuma l'atteggiamento di
chi si tiene pronto, egli certamente non si lascerà sfuggire la
venuta di Dio alla fine dei tempi. Se, infine, Le. 15,11-32 co
munica all'uditore l'amore di Dio in modo tale che esso come
perdono trionfa del suo passato e come preghiera trionfa del
la sua giustizia, egli è passato sin d'ora dalla morte alla vita
(cfr. vv. 24. 32 ! ) .
3.2. Osservazioni sul problema
del Gesù storico
La ricerca fin qui svolta sulle parabole, nella loro storia che va
da Gesù, loro narratore originario, alla loro molteplice rice
zione nella comunità, si presta come modello interpretativo
per chiarire la questione del ruolo teologico del Gesù storico
(cfr. sopra, r .2.10). A questo scopo verranno fatti adesso alcu
ni accenni.
337
lore supremo: I' «unicità» della sua persona poteva essere
espressa nella categoria del superlativo; ma I' «una volta per
tutte», salvaguardato dal Nuovo Testamento con la sua cri
stologia e dalla chiesa antica con la dottrina delle due nature,
rompeva la misura del possibile in sede storico-critica e do
veva essere abbandonato. Era il tributo da pagare allo spirito
del tempo. Al valore escatologico della persona di Gesù si so
stituiva il valore eterno delle verità da lui insegnate. Quando
la persona e lopera di Gesù conservano ancora un posto
all'interno della teologia cristiana, è solo come modello, esem
pio di autentica umanità. In ciò lapproccio puramente storico
a Gesù rivela un aspetto radicalmente legalistico: i modelli,
appena li si è accettati come buoni modelli, impongono l'imi
tazione; sottomettono l'uomo al giogo della legge; non hanno
potuto mai redimere nessuno. Ridotto Gesù nella categoria
dell'esemplarità, la dimensione soteriologica della sua esisten
za non poteva più avere il posto che le compete.'
Ad Albert Schweitzer viene spesso attribuito nella letteratu
ra teologica il merito di aver «tenuto il discorso funebre» alla
ricerca sulla vita di Gesù. 6 Questa valutazione ha bisogno a
parer mio di una correzione. È vero che Schweitzer ha ricono
sciuto e rilevato con acume inesorabile il fallimento della ri
cerca sulla vita di Gesù;7 secondo Schweitzer però quello che
è fallito è il tentativo di portare vita e movimento nella figura
storica di Gesù in maniera tale da poter reinserire nella nostra
epoca questa figura, cosi rivitalizzata, «come Maestro e Salva
tore».8 Quello che Schweitzer sottopose a una critica radicale
sono i tentativi di modernizzazione intrapresi nell'ambito della
5. A mio avviso è degno di nota come proprio in questo periodo fosse cosl diffusa
l'idea di un continuo progresso del regno di Dio all'interno della storia. Bisognereb
be verificare se non sia stata proprio l'incapacità a parlare di Gesù in modo adeguato
in termini soteriologici, a portare a un tale esito.
6. Bornkamm, ]esus, u .
7 . I l «bilancio della ricerca sulla vita d i Gesù» è «negativo» (Schweitzer, Geschichte,
631).
8. Schweitzer, op. cit. , 631, cfr. p. 632: «Egli tuttavia non si fermò, passò davanti al
nostro tempo e ritornò nel suo».
«vecchia» ricerca su Gesù. In questo, egli portava a termine
una parte del compito di quella critica della religione che
Karl Marx aveva lasciato in eredità all'epoca moderna: non
soltanto nei cieli l'uomo aveva finito per ritrovare solo un ri
flesso, anche nella ricostruzione storica di Gesù i teologi ave
vano finito per ritrovare solo il riflesso delle loro idee. Questo
è il rimprovero di Schweitzer al xix secolo. All'intera ricerca
sulla vita di Gesù, egli contrappone l'estraneità di Gesù, alla
quale approda una ricerca storica veramente onesta. La critica
di Schweitzer rimase interamente nell'ambito della «vecchia»
ricerca sia perché ne condivise senz'ombra di dubbio la fidu
cia nella sostanziale possibilità di conoscere Gesù di N azaret
per via storiografica, sia perché anche lui ai risultati della ri
cerca storica continuava ad attribuire una rilevanza, in quanto
essa rispettava sufficientemente l'estraneità di Gesù (legata
essenzialmente alla sua escatologia) . Schweitzer rimane legato
al xix secolo anche per l'importanza fondamentale che annet
te alla personalità di Gesù.9 Inoltre egli condivide l'opzione
della «vecchia» ricerca di scindere la dottrina di Gesù dalla
sua persona e di attribuirle fondamentale importanza per la
religione attuale. '0 Il continuum ermeneutico tra l'estraneità
del Gesù del passato ed il presente della religione cristiana va
ravvisato nell' «intimo accordo della volontà, della speranza e
del desiderio»." Il significato della persona e della dottrina di
Gesù non consiste però nel fatto che egli ci riveli «l'idea della
perfezione etica universale» - in quanto questa «è presente in
noi ed è data con la volontà etica» - ma esclusivamente nel
9. «Abbiamo l'immediata sensazione che la sua personalità ... arricchirà la nostra reli
gione in tutti i tempi» (Schweitzer, op. cii. , 633 s.).
10. «L'azione di Gesù consiste in questo, che la sua etica naturale e profonda si im
possessa dell'escatologia tardogiudaica ed esprime cosl nel materiale ideale di quel
l'epoca la speranza e la volontà di un compimento etico del mondo» (Schweitzer,
op. cii. , 63, ).
n . Schweit1.er, op. cii. , 637, cfr. p. 638: «In una religione la comprensione del Gesù
storico è direttamente proporzionale alla forza appassionata della fede nel regno di
Dio».
33 9
fatto che egli ci aiuta «a far sì che essa domini anche in noi»,
affinché <<noi diventiamo forze etiche per il nostro tempo» . ..
La critica di Schweitzer alla ricerca sulla vita di Gesù rima
ne completamente all'interno del sistema. Perciò non può es
sere essa il vero motivo della fine di quell'impresa, anche se
può avere aperto gli occhi a più d'uno sulle radicali aporie in
site nella «vecchia» ricerca su Gesù. A seppellire quest'ultima
fu un'impresa teologica molto più radicale, quella della teolo
gia kerygmatica.
12. Schweitzer, op. cii. , 640. Sullo sfondo c'è la visione della storia propria dell'Illu
minismo. [Più che «perfezione» l'idea è «perfezionamento», con sfumatura più di
namica: il progresso morale dell'umanità] .
1 3 . Kahler, Christus, 44.
14. lbid.
1 5 . Kiihler, op. cii. , 53, cfr. p. 5 9.
340
del Nuovo Testamento, il Cristo storico della Bibbia,'6 che non
si distingue da noi solo per grado, ma essenzialmente. «Se 'ri
velazione' è solo una designazione impropria della coscienza
religiosa nel suo sviluppo storicamente condizionato; se Gesù
è solo un'anima religiosa genuina, che si è elevato al di sopra
di noi solo gradualmente . . . allora la confessione di fede neo
testamentaria è solo un'alterazione della realtà».'7 Proprio in
nome di questa professione di fede Kahler rivolge il suo mo
nito ai contemporanei affinché Cristo rimanga l'oggetto della
fede. Ma tutto ciò non significa per Kahler che si debba
«promuovere nei confronti della Bibbia una fede fondata solo
sul principio di autorità». 1 8 La categoria dell' «immagine» con
sente a Kahler di superare l'antinomia tra la critica storica e la
fede cieca nell'autorità: l'immagine neotestamentaria di Cristo
è il punto di partenza della nostra fede, poiché a dar vita a
quell'immagine è stato Cristo stesso.'9 Kahler non nega che la
tradizione biblica qua e là sia caduta in «disattenzioni» e
«fraintendimenti» del materiale risalente a Gesù. Ma «quanto
più oscuro rimane lo svolgimento dei fatti che devono aver
preceduto la fissazione scritta, tanto più sicura si sente, al di
là della trascuratezza della comunità primitiva, una mano invi
sibile che tutto controlla».2° A questo punto, anche se la pre
servazione dell'immagine di Cristo non viene legittimata col
«dettato dello Spirito Santo», Kahler non può non suscitare
interrogativi per questa maniera di legittimare dogmaticamen
te un processo storico di tradizione.
Karl Barth considera inammissibile sia dal punto di vista
storico sia dal punto di vista teologico ogni tentativo di risali-
3 41
re al di là degli scritti neotestamentari. Dal punto di vista sto
rico, perché è completamente estraneo al Nuovo Testamento
qualsiasi tentativo di descrivere Gesù a prescindere dalla sua
resurrezione." Dal punto di vista teologico, perché l'umanità
di Gesù Cristo, rivestita di regalità, sta di fronte ai membri
del popolo di Dio nel mondo «non in una specie di oggettivi
tà, non come un 'Gesù storico', non . . . come una possibilità
offerta loro in modo tale che siano loro a dover conferire o
meno alla sua esistenza una portata decisiva per se stessi»,
bensl come il Signore di tutti gli uomini risorto dai morti e di
conseguenza anche come il loro Signore." Va da sé che Gesù è
anche una «figura della storia universale» e come tale oggetto
delle scienze storiche. Gli storici in quanto storici «conoscono,
lui e la sua esistenza, ma non riconoscono, anzi disconoscono
l'uno e l'altra».'1 Ciò deriva dal fatto che Gesù di Nazaret - se
deve essere riconosciuto - può essere riconosciuto solo come
Figlio di Dio.l.\ Come Figlio di Dio egli è la rivelazione di Dio,
e la rivelazione di Dio non può essere in alcun modo oggetto
della ricerca storica, perché «dove avviene la rivelazione, essa
avviene in ogni caso non per mezzo della nostra intelligenza o
abilità, bensl nella libertà propria di Dio di rendersi libero
per noi. . . ».'' Di qui le necessità, ma al tempo stesso i limiti,
della ricerca storica nell'ambito della teologia.
Rudolf Bultmann segna il culmine della critica più radicale
alla ricerca sulla vita di Gesù. Bultmann parte dal presuppo
sto che l'oggetto della fede è il Cristo del kerygma e non il
342
Gesù storico.'6 Poiché il kerygma è ormai subentrato al posto
del Gesù storico e ne fa le veci, il Gesù storico appartiene solo
ai presupposti della teologia neotestamentaria. '1 Egli rimane in
teramente nell'ambito del giudaismo.'8 Quanto poi all'interro
gativo sul rapporto tra il messaggio su Cristo della comunità
primitiva ed il Gesù storico, è necessario distinguere rigoro
samente tra la questione della continuità storica e quella della
relazione intrinseca. •9 Per quel che riguarda la continuità stori
ca questa si limita al puro fatto, il «che» [dass] della storia di
Gesù; solo in questo senso formale il kerygma presuppone il
Gesù storico.30 La continuità formale non implica però in al
cun modo una relazione intrinseca da formulare positivamen
te. «Tutti gli sforzi per mostrare che il Gesù storico ha già vi
sto nella sua opera l'irrompere del tempo della salvezza non
possono far perdere di vista la differenza fondamentale tra la
sua predicazione ed il kerygma cristiano». i ' Questa differenza
fondamentale Bultmann può esemplificarla nelle categorie:
«promessa-adempimento» o <<Una volta - una volta per tut
te», ovvero «passato-presente».i•
La differenza fondamentale resta valida anche se il fenome
no «Gesù storico» non viene più inteso nel senso di una sto
riografia oggettivizzante, ma nelle categorie di un «incontro
storico [geschichtlich] ossia esistentivo», quale viene reso pos
sibile da un approccio storico di tipo esistenziale. 11 Rispetto
alla vecchia, la nuova concezione storica ha indubbiamente il
vantaggio di non distanziare più la storia, considerata come
26. Bultmann, Verhiiltnis, 26 (la fede in Cristo è insieme fede nella chiesa come por
tatrice del kerygma, ossia, «detto in termini dogmatici: nello Spirito Santo»).
27. Bultmann, Theologie, 1 s.
28. Bultmann, Verhiiltnis, 8.
29. Bultmann, op. cii. , 6.
30. Bultmann, op. cit. , 8 s.
3r. Bultmann, op cii. , 26.
.
343
passato oggettivo, ma di coinvolgere nell'incontro con la sto
ria la persona stessa di chi studia la storia. 14 Non per ciò, tut
tavia, i risultati di questo approccio storico di nuovo tipo as
sumono una rilevanza teologica ! Il Gesù storico cosl raggiun
to e collocato nell'orizzonte contemporaneo mette l'uomo di
fronte «alla decisione a favore (o contro) una . possibilità del
. .
34. Bultmann sviluppa questa nuova concezione della storia nel suo libro su Gesù
(cfr. Jesus, 7- 15).
35. Bultmann, Verhiillnis, 25 (corsivo mio).
36. Bultmann, op. cii. , 14.
37. Cfr. Kasemann, Problem, 1 89.
344
sta la «contingenza della rivelazione», che «(rispecchia) la li
bertà del Dio che in essa agisce, e . . . (fonda) la possibilità della
nostra decisione». 3� In secondo luogo, nel fatto che il carattere
di passato che segna la storia di Gesù nei vangeli mette in ri
salto l' «extra nos della salvezza, la sua anteriorità rispetto alla
fede». 39 In terzo luogo, il valore della «storicità» sta nel fatto
che la fede pasquale rinviando alla vicenda di Gesù tiene fer
ma l'identità del Signore con il Gesù terreno e testimonia in
tal modo che il kerygma cristiano non trae il suo contenuto
«solo ed esclusivamente» dalla fede pasquale.40 Da queste tre
affermazioni ne consegue che la questione della storia di Gesù
non può essere posta a prescindere dal kerygma cristiano, ma
che nell'ambito del kerygma deve essere posta. «La questione
del Gesù storico è, legittimamente, la questione della continuità
del vangelo nella discontinuità dei tempi e nella variazione del
kerygma».41 Questa impostazione del problema si distingue da
quella della ricerca sulla vita di Gesù non solo perché rinun
cia ad una biografia di Gesù e non solo perché introduce il
kerygma nel lavoro storico, ma ancora più fondamentalmente
perché torna ad assumere la storicità come problema. «La
'nuova questione' merita di essere denominata 'nuova' solo
perché la rilevanza teologica della storicità è divenuta, in mi
sura finora inedita, un problema acuto e decisivo, e sostan
zialmente irrisolto».4, La domanda da porre a Kasemann è di
come andrebbe concretizzata metodologicamente la questione
della «continuità nella discontinuità».
Gerhard Ebeling parte dal principio che «il criterio della
cristologia è Gesù».43 Già da questo risulta chiaro l'amalgama
tra la questione storica su Gesù e quella dogmatica: non è
possibile interrogarsi sulla cristologia, senza tirare in ballo il
3 45
Gesù storico, cosl come, viceversa, non ci si può interrogare
sul Gesù storico senza coinvolgere la questione cristologica.
Se per «Gesù storico» si intende «Gesù quale può essere co
nosciuto attraverso una metodologia rigorosamente stori
ca»,44 allora esso diventa - sulla base del concetto di storia
dominante nell'epoca moderna, incentrata sulla categoria dei
«dati di fatto»"' qualcosa di relativo. 46 Di qui l'aporia consisten
te nell'attribuire ad una persona storica rilevanza dogmatica:
aporia non superabile né limitandosi all'aspetto storico né ri
tornando alla cristologia, ma solo attraverso un «ripensamen
to» del Gesù storico:"7 «Solo un concetto di storia incentrato
sull ' evento della parola e quindi sulla linguisticità della realtà
può portarci fuori dal vicolo cieco della storia» . ..s Nel quadro
di questa concezione storica generale49 il teologo si chiede che
cosa è divenuto linguaggio in Gesù.'0 La risposta è che in Gesù
è divenuta linguaggio la fede. '' Per quel che riguarda la que
stione della «continuità tra Gesù e la fede cristiana», essa de
ve coinvolgere anche «il punto di vista della brusca disconti
nuità» che è data dal fatto che «la via da Gesù alla fede cri
stiana passa attraverso la morte e la resurrezione, quindi at
traverso un puro e semplice miracolo, che infrange ogni con
tinuità».'' Tenendo conto di questa riformulazione si può di-
lui e al suo cammino, condividerlo e cosi condividere ciò che è promesso alla fede,
ossia l'onnipolen1.a di Dio» (op. cii. , 315; corsivo mio).
56. Fuchs, Einleilung, 1. È dagli anni Cinquanta che Fuchs si occupa intensamente
del problema del Gesù storico; quindi bisognerebbe allargare lo sguardo a tutte le
sue opere pubblicate sinora.
57. Fuchs, Frage, 211 inizia con «I. La fede in Gesù» e passa a «Il. Il Gesù storico»
(op. cii. , 218).
58. Fuchs, Frage, 218.
347
di Paolo'9 giustificano una risposta positiva alla questione della
continuità. Poiché Gesù si comporta come se facesse le veci
di Dio, 6o il suo comportamento, che fa da sfondo alla sua pre
dicazione, equivale in qualche modo a quella dimensione cri
stologica che diventerà esplicita nell'interpretazione kerygma
tica del Gesù terreno da parte della comunità postpasquale.61
Sta qui la continuità tra il Gesù terreno ed il Cristo (o la fede
in lui} postpasquale. Tuttavia Fuchs non sottovaluta l'elemen
to di discontinuità: per la comunità prepasquale «non si può
parlare ancora di una fede in Gesù», perché prima della pa
squa la fede in Gesù non era possibile. 6' Sebbene «credere in
Gesù» significhi ri/are6 3 la decisione compiuta da Gesù stesso,
questo «rifare» postpasquale non è una pura e semplice ripe
tizione, dal momento che racchiude necessariamente in sé co
me elemento nuovo una determinata presa di posizione nei
confronti di Gesù.� Inoltre, «la predicazione cristiana primiti
va si distingue da quella di Gesù per il fatto che essa è consa
pevole del già (se. della regalità di Cristo) in Gesù e si sforza
di inquadrare la sua esperienza di fede all'interno di questa
sua conoscenza di Gesù».6' La domanda da porre, questa voi-
59. Fuchs menziona come analogie esemplificative: come per Paolo la fede nella si
gnoria di Cristo significa la salvezza, in quanto libera dalla paura dell'ira di Dio, così
Gesù assicura la grazia di Dio nei confronti del peccatore che si converte (Frage,
216. 219). Come Paolo in nome di Gesù Cristo predica che è arrivato il tempo della
fede nella sua signoria (op. cit. , 217), così Gesù mette al centro della sua predicazione
l'annuncio del tempo della basileia (op. cii. , 222). Infine la fede in Gesù è la ripetizio
ne della decisione di Gesù che il tempo dell'amore è arrivato (op. cit. , 227).
6o. Fuchs, op. cit. , 219.
61. Fuchs, op. cii. , 220. In un saggio successivo Fuchs modificò la sua concezione:
«La mia affermazione che il comportamento di Gesù è 'la cornice' della sua predica
zione ( ... ) è un'affermazione ermeneutica. Ciò che Gesù disre è addirittura il 'nucleo'
del suo comportamento» (Einleitung, 19). Jiingel, Paulus und Jesus, 139, definisce
teologica l'affermazione citata (respingendone un fraintendimento sociologico o sto
ricizzante).
62. Fuchs, Frage, 223.
63. Fuchs, Frage, 227.
64. Ibid.
65. Fuchs, op. cii. , 228 (corsivo mio).
ta, dovrebbe essere innanzitutto quella sulla precisa distinzio
ne tra la decisione di Gesù e quella dei suoi discepoli o della
sua comunità postpasquale.
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Vittorio Fusco
Parabole e resurrezione
L'intervento di H. Weder nella discussione sulle parabole
l. Per un panorama più ampio rinvio ai miei lavori: Oltre la parabola. Introduzione
alle parabole di Gesù, Roma 1983; Tendances récenles da11s l'inlerprélalion dcs para
boles, in J. Delorme (ed.), I.es paraboles éva11géliques. Perspeclives nouvelles, Paris
1989, l9-6o; più sinteticamente, Parabola/parabole, in P. Rossano G. Ravasi A.
· -
5 . V . Fusco, Parola e Regno. La sezione delle parabole (Mc 4, 1 -34) nella prospelliva
marciana, Brescia 1980; breve sintesi in Idem, La seclion des paraboles (Mc 4, 1-34), in
Delormc, op. cii. , 219-234.
3 73
senzialmente una serie di immagini (il fidanzamento è l'Alleanza,
l'infedeltà è l'idolatria ecc.) sprowiste, al limite, di una concatena
zione interna, dal momento che la trama che tiene in piedi tutto è
offerta dall'altra storia, quella vera. L'antichità cristiana ha letto co
si le parabole di Gesù: ha letto per esempio la storia del Samaritano
(Le. 10,25-37) come la storia dell'umanità ferita dal peccato e salva
ta da Cristo, o quella del figliol prodigo (Le. 15,n-32) come la sto
ria del cristiano peccatore e penitente, o del rapporto fra i due po
poli, giudei e pagani, o altro ancora.6 In questa maniera riusciva con
grande facilità a ritrovare in esse tutto ciò di cui aveva bisogno in
tutti i campi, dottrina, morale, pastorale, spiritualità.
Non ci volle molto per riscoprire che non era questo il funziona
mento originario delle parabole di Gesù. In esse la narrazione esige
un primo momento di essere considerata unicamente in se stessa,
nella sua dinamica interna, che porta ad una certa valutazione (cfr.
Le. 7,36-50: «Chi dunque di quei due lo amerà di più? Quello a cui
è stato condonato di più ! ») , la quale poi una volta ottenuta si rivela
applicabile ad un'altra situazione («Vedi questa donna . . . ») . È un
funzionamento che possiamo definire «dialogico-argomentativo»; a
patto di non legare al termine «argomentativo» reminiscenze di una
certa apologetica a oltranza mirante a schiacciare l'awersario; esso
però ci aiuta, in mancanza di meglio, a impedire che «dialogico»
faccia pensare a una specie di «tavola rotonda» in cui viene data la
parola alle varie posizioni mettendole tutte sullo stesso piano: la pa
rabola vuole aiutare l'interlocutore a liberarsi di un suo vecchio
punto di vista per aderire a quello di Gesù :7 cosl quella del figliol
prodigo è costruita in modo tale da aiutare l'interlocutore a liberar-
374
si del punto di vista del fratello maggiore, ispirato al criterio presta·
zione/retribuzione, e aderire al punto di vista rappresentato dal
personaggio del padre."
Già per Jiilicher dunque - contrariamente ad un equivoco ripe·
tuto troppe volte e al quale anche Weder non si è sottratto - le pa·
rabole hanno un'applicazione estremamente concreta, legata alle si
tuazioni del ministero di Gesù;9 fu poi purtroppo la prospettiva ge·
nerale ispirata alla teologia liberale a vanificare la scoperta linguisti
ca: le parabole rinviano al ministero di Gesù, questo però a sua vol
ta, tutto intero, viene ricondotto alla situazione generica e pura
mente didattica di un qualsiasi maestro religioso.'"
Ed in effetti fu proprio questa, fra le tesi di Jiilicher, non solo a
non essere coinvolta nella crisi della teologia liberale ma ad essere
valorizzata, contro tutte le intenzioni di Jiilicher, per riscoprire nelle
parabole la dimensione escatologica e, almeno implicitamente, an
che cristologica. Dodd e Jeremias non ebbero bisogno di modificare
questa tesi linguistica sul meccanismo parabolico: fu sufficiente loro
recuperare la prospettiva più generale che Jiilicher aveva miscono
sciuto, il carattere escatologico e implicitamente cristologico del mi
nistero di Gesù, al quale rinviano le parabole.
Nella forma ricevuta soprattutto in Jeremias, questo approccio fu
largamente accolto, messo a frutto e ulteriormente approfondito da
molti altri studiosi.'' Critiche non mancarono, soprattutto all'unila-
8. Cfr. V. Fusco, Narrazione e dialogo nella parabola detta del Figliol Prodigo (Le
15, 1 1 -3 2), in Galli, op. cit. , 17-66.
9. «Generale» o «astratta» non è l'applicazione bensl, necessariamente, il tertium
comparationis ossia quella valutazione che viene formulata in base alla vicenda fittizia
per essere poi trasferita a quella reale (per esempio, nd caso già ricordato: cHa mag
gior motivo di riconoscenza colui al quale si è condonato di più»).
10. A noi pare che qualcosa di simile si sia verificato in Dodd (le parabole rinviano
alle situazioni concrete vissute da Gesù, queste però a loro volta vengono tutte unifi
cate nell'unica invariabile situazione dcll'ceterno» che si manifesta nel tempo); e a
volte anche in Fuchs e Jiingel, i quali, pur legando le parabole alla prassi di Gesù,
tendono poi a interpretare questa prassi in termini atemporali (comunicare agli uo
mini Dio, la salvezza . . . ), tanto da considerare le parabole «prive di inquadratura»
(rahmenlos) (sopra, p. 43), o da dichiarare «oziosa» la ricostruzione dell'uditorio
originario (sopra, pp. 271 n. 88) .
n. Tra le opere accessibili in italiano ricordiamo: L. Algisi, Gesù e le sue parabole,
Torino 1!)64; F. Mussner, Il messaggio delle parabole di Gesù, Brescia 1972 ; E. Lin-
37 5
terale concentrazione di Jeremias sugli ipsissima verba lesu e alla sua
svalutazione di tutte le interpretazioni postpasquali ridotte a null'al
tro che «velo» da lacerare per far riemergere il volto del Figlio del
l'uomo;" al suo disinteresse per la problematica ermeneutica del si
gnificato delle parabole per noi. Ma queste critiche, almeno per la
maggioranza degli studiosi, non potevano tradursi in alcun modo in
un ritorno all'antica identificazione con l'allegoria.
In altri autori però - fra quelli ai quali Weder fa più direttamen
te riferimento ricordiamo E. Fuchs, E. Jiingel e P. Ricoeur' 1 - si è
manifestata un'insoddisfazione più profonda e l'esigenza di un
completo ripensamento. All'approccio affermatosi attraverso Jiili
cher, Dodd e Jeremias essi rimproverano di non essere abbastanza
teologico, perché fa delle parabole una forma linguistica generica,
separabile dal «contenuto» cioè il regno, utilizzabile da chiunque e
non specifica di Gesù.
Per superare questa posizione moderna senza però ricadere in
quella antica dell'identificazione con l'allegoria, questi autori hanno
ritenuto di trovare una via proprio nella metafora, grazie alle sue
speciali prerogative messe in luce dalla linguistica moderna. Oggi
infatti essa non viene considerata più, come a volte nell'antichità, un
fenomeno di mera sostituzione, a fini puramente ornamentali, di un
termine «improprio» al posto di quello «proprio» («leone» al posto
di «Achille») , cui poi corrisponde semplicemente l'operazione in
versa, la restituzione del termine proprio al posto di quello impro
prio. I moderni preferiscono considerarla un fenomeno di tensione,
provocata dall'accostamento di due termini appartenenti a campi
semantici diversi e normalmente separati, tale da sprigionare una
Jiingel, Paolo e Gesù. Alle origini della crirtologia, Brescia 1978; Dio mistero del mon
do, Brescia 1982; P. Ricoeur, Ermeneutica biblica. Linguaggio e simbolo nelle parabole
di Gesù, Brescia, 1978, '1983 ; E. Jiingel - P. Ricoeur, Dire Dio. Per un 'ermeneutica
del linguaggio religioso, Brescia 1978.
nuova carica di significati, tanto più forte e creativa quanto più sor
prendente è l'accostamento, e che potrà poi conservarsi o attenuar
si o rivivere in misura maggiore o minore, quando si riutilizza una
metafora già nota (la raffica degli scioperi o delle tasse, l'esodo delle
vacanze, divorare i chilometri. . . ) o addirittura svanire del tutto nella
metafora «morta», ridotta a un modo di dire corrente, non più per
cepito come novità semantica (il letto del fiume . . . ) . ' •
È appunto questo sovraccarico semantico insito nel linguaggio
metaforico, che lo rende intraducibile in termini puramente concet
tuali, polivalente e in qualche modo «inesauribile»,', ad aver richia
mato su di esso lattenzione per la problematica del linguaggio del
regno e in particolare per le parabole. Ed è proprio spingendo all'e
stremo queste caratteristiche che si sono avuti soprattutto in Ameri
ca sviluppi ancor più radicali, dei quali Weder qui registra solo la
prima fase: la polisemia è stata sottolineata a tal punto da compro
mettere proprio quel riferimento al regno di Dio che si voleva me
glio assicurare; mentre Weder ed altri, pur continuando a puntare
sulla metafora, si sforzano in vario modo di salvaguardarlo.
Mentre però i predecessori già ricordati - teologi, filosofi, lingui
sti, più che esegeti di mestiere - si sono limitati per lo più ad ab
bozzare nuove idee sulle parabole in termini generali, senza una
concreta verifica esegetica sui testi evangelici, o limitandola ad un
campione ristretto, il Nostro invece dopo aver delineato nella prima
parte del libro tutta una «teoria dell'interpretazione delle parabo
le», nella seconda parte la applica poi puntualmente all'intero cor
pus delle parabole dei sinottici; ed è questa la ragione principale per
cui la sua opera, benché non isolata, presenta motivi di particolare
interesse. A ciò si aggiunga, e non è cosa da poco, lo sforzo di ri
condurre ad una forma più chiara e coerente la frammentarietà ge
niale e a volte oscura di Fuchs, che dissemina le sue osservazioni
sulle parabole qua e là attraverso tutte le sue opere, il periodare ser
rato e denso di Jiingel, le rapide incursioni in campo biblico di Ri-
14. Per un panorama sintetico delle diverse teorie antiche e moderne, cfr. B. Mortara
Garavelli, Manuale di retorica, Milano 1989, 160-167.
1,. Polisemia da non estendere però oltre il lecito! Cfr. U. Eco, I limiti del/'interpre
trnione, Milano 1990, 142-161 («Sull'interpretazione delle metafore») .
377
coeur. Ed è anche questa forse, insieme alla posizione più moderata
e più in linea con la grande tradizione teologica ed omiletica, una
delle ragioni del successo meritatamente arriso all'opera. Per trova
re un'impresa analoga bisogna risalire addirittura a Jiilicher stesso,
che articolò la sua opera in due volumi, l'uno introduttivo e l'altro
esegetico; in seguito invece per lo più ci si accontentò di una breve
introduzione che richiamava rapidamente le premesse linguistiche
comunemente condivise; più ampia l'introduzione di Jeremias ma
quasi esclusivamente di carattere storico. Eccezioni importanti sono
Eta Linnemann,'6 che dà all'introduzione uno sviluppo più ampio e
personale, e dom Jacques Dupont che ha preferito procedere indut
tivamente dedicandosi dapprima allo studio concreto delle singole
parabole'7 e solo più tardi raccogliendo in sintesi le linee maestre del
18
suo approccio.
•
Bibliografia completa in U. Luz H. Weder (edd.), Die Mitte des Neuen Testaments.
-
gen '1985, 81 s.; analoghe riserve in W.G. Kiimmel, Jesus/orschung seit z965 ... Nach
triige z975-z980: ThR N.F. 47 (1982) 348-383 (cfr. 358-360).
23. G. Segalla, StPat 27 (198o) 159-162.
24. Cosl Kiimmel, /oc. dt.; A. Fuchs, StNTU 4 (1979) 167 s.
379
La chiave di lettura per cogliere l'unità dell'opera è offerta, a nostro
avviso, dalla terza ed ultima parte, materialmente più breve, in cui
l'autore collega le parabole al problema del Gesù storico.
L'obiettivo primario dell'opera, e a nostro avviso l'aspetto che la
rende più preziosa, è lo sforzo di superare I' «infausta alternativa»
tra il Gesù della storia e il Cristo della fede, in nome non soltanto
dell'esigenza ermeneutica generale di leggere ogni testo alla luce
della sua ricezione, la sua Wirkungsgeschichte, ma soprattutto di
un'istanza ermeneutica più specificamente cristiana, legata al ruolo
decisivo della resurrezione (cfr. soprattutto i §§ 1 . 2 . 1 ; 3 . 1 . 1 ) . In essa
Dio stesso ha preso posizione a favore di Gesù, confermando l'in
terpretazione «teologica» che Gesù aveva dato della sua attività e
della sua persona ; la fede pasquale dunque non rappresenta un'al
terazione, bensl la chiave di comprensione indispensabile: evento
pasquale e ministero prepasquale rinviano necessariamente l'uno al
l'altro. Ma allora anche le molteplici riletture-riscritture delle para
bole nella chiesa primitiva - in funzione non soltanto di una cristo
logia «esplicita», ma anche di una parenesi morale, di un'ecclesiolo
gia, di una visione più completa della storia della salvezza - non so
no più, come in Jeremias, soltanto un «velo» da far cadere; assumo
no un valore altamente positivo: esse sano la trascrizione, necessaria
ed inevitabile dopo la svolta pasquale, della verità già insita in esse,
e quindi l'unico modo concreto di salvaguardarla; anche se non
possono essere messe semplicemente al posto delle parabole origi
narie. La ricostruzione di queste resta legittima e doverosa; però
non è più, come in J eremias, un obiettivo a sé stante, tanto meno
quello primario o addirittura esclusivo, ma solo un momento indi
spensabile per poter valorizzare l'intera storia della tradizione , Su .•
2,. Sulla stessa linea il nostro Oltre la parabola, cit., 168-189; ora anche D. Margue
rat, Les paraboles, de Jésus aux évangiles: une hirtoire de réception, in Delorme, op.
cii. , 61-88.
pasquale, anche Weder sembra considerarla solo una conferma an
ziché un evento che ha un suo contenuto nuovo, imprevedibile e
decisivo anche rispetto al ministero prepasquale, per quanto inscin
dibile da esso. Sottolinea a tal punto la presenza della salvezza già
nell'incontro prepasquale con Gesù da concludere che la venuta di
Dio altro non è che l'essere stesso di Dio, la sua presenza (pp . 44
n. 196. 291 n. 172); >6 fa risalire a Gesù solo l'annunzio della salvez
za già presente e non quello del giudizio imminente (cfr. per es.
§§ 1 .2.10; 2 . 4. 1 ; 2.,.4; 3 . 1 . 4) ; 17 ammette per il kerygma pasquale stes
so l'esigenza di una critica teologica (Sachkritik) che dovrebbe va
gliarne la validità assumendo come misura l'insegnamento prepa
squale. Vien fatto allora di chiedersi - con von Balthasar e con lo
stesso Karl Barth cui Weder pure si ricollega - se per esaltare la
grazia in questo modo non si rischi di sminuirla; se non prendendo
abbastanza sul serio la legge e il peccato, il giudizio e la morte, non
si tolga alla grazia il suo collegamento con la croce e non si finisca
per svuotarla della sua grandezza. In tal senso anziché attenuare la
tensione legge/vangelo, giudizio/grazia, dovremmo piuttosto sotto
linearla, renderla estrema, fino a una sorta di aporeticità, tale da non
poter trovare soluzione neppure nell'insegnamento di Gesù, ma solo
nella sua morte e resurrezione.
Questa problematica soteriologica, di solito trascurata rispetto a
quella cristologica e che Weder invece ha il merito di affrontare ri
petutamente, tocca assai da vicino anche le parabole. Si pensi per
esempio a quella del servo spietato.18 Nella prima scena trionfa in
condizionatamente la gratuità: il debito enorme che nessuno po
trebbe pagare viene semplicemente annullato. Il racconto però pro
segue con una seconda scena, in cui si rivela altrettanto incondizio
nata lesigenza di una certa risposta, pena il ripristino del debito,
30. Alla quale si ricollegano organicamente i concetti, spesso contestati perché mal
compresi, della distinzione tra la vicenda fittizia e quella reale (Sachhiil/te/Bildhii/f
te); dd tertium comparationis, la struttura comune a entrambe che consente il trasfe
rimento del giudizio dall'una all'altra; della unidtà di esso (non dei componenti la
struttura stessa che possono essere molteplici); e via dicendo.
pire, per esempio, perché Gesù avrebbe avuto bisogno cli ricorrere
alle parabole della misericordia se si fosse limitato semplicemente a
richiamare la verità generale e già nota della misericordia di Dio; ne
ha avuto bisogno perché aveva scandalizzato i contemporanei con la
pretesa inaudita di essere lui stesso, qui e adesso, la presenza di
questa misericordia in mezzo agli uomini. In tal senso possiamo dire
addirittura che la funzione argomentativa della parabola è una ri
scoperta storico-linguistica avvenuta in Jiilicher nonostante i suoi
presupposti teologici liberali; questi certamente non gli permisero
di valorizzarla, come poté avvenire più tardi dopo la crisi della teo
logia liberale.
Tra le tesi linguistiche di Jiilicher dunque Weder, come molti al
tri autori recenti, rifiuta proprio quella ricavata induttivamente e, a
nostro avviso, rivelatasi più valida, mentre lo segue in pieno (pur in
dicando come nucleo di partenza non più la comparazione ma la
metafora) per quella via genetico-deduttiva che oggi ci appare assai
discutibile, perché riduce a differenza quantitativa, di maggiore o
minore «lunghezza», quelle che invece sono differenze qualitative
tra fenomeni che si collocano a diversi livelli del discorso. ''
Egli tuttavia percorre questa via in una maniera sua particolare. A
suo avviso infatti nell'enunciato metaforico (§ r.2.1) la tensione -
che viene a racchiudersi precisamente nella copula «è» - è data
dallo sdoppiarsi in due enunciati, uno negativo («Achille non è un
leone», nel senso letterale del termine) e uno positivo: «Achille è
come un leone». Le due realtà, estranee e non identificabili nel sen
so letterale dei termini, vengono comparate, messe a confronto
(verglichen ) : le accosto perché nell'una trovo qualche tratto che mi
tale, per quanto la si voglia «prolungare» (Oltre la parabola, cit., 81 -85). Cfr. ora an
che J. Delorme, Récit, parole et parabole, in Idem, op. cii. , 1 30- 1 3 1 : «Le débat entre
comparaison et métaphore se trouve aujourd'hui dépassé. Ce sont des phénomènes
analysables dans les limites d'une phrase et parler de comparaison ou de métaphore
'développée', c'est cacher par cet adjectif ci: qui fait problème: la parabole est un fait
de discours. Et c'est un récit, elle ne déploie pas, ne file pas une similitude, elle
raconte un processus, avec transformations d'états, voire conflit et suspense».
aiuta a comprendere e descrivere in maniera nuova l'altra. Ma non è
questa appunto la posizione di Jiilicher che fa derivare la parabola
dalla comparazione ( Vergleichung) ?
A quest'obiezione l'autore replica che la distinzione tra metafora
e comparazione è divenuta insostenibile nella linguistica moderna.
Ed in effetti, stando a quest'ultima, « . . . i rapporti tra metafora e pa
ragone non sono affatto semplici, e meno che mai si lasciano ricon
durre alle dimensioni degli enunciati o alla presenza/assenza del se
gno esplicito del confronto, cioè la congiunzione come . . . ».'' Poco
importa cioè dire: «Achille è come un leone», o dire: «Achille è un
leone», o dire soltanto «leone», riferendolo però attraverso il conte
sto ad Achille; l'effetto estetico certo non è il medesimo, ma in ogni
caso devo conoscere le due realtà ed accostarle, considerarle con
temporaneamente.
Però se la distinzione tra comparazione e metafora sotto questo
aspetto formale può venir meno, essa può ristabilirsi attribuendo al
la prima la «percezione statica delle affinità» e alla seconda «un
meccanismo di natura eminentemente dinamica, che produce una
qualche forma di fusione, o per meglio dire compresenza, tra i due
enti raffrontati»; " oppure, reintroducendo all'interno delle metafore
la distinzione tra quelle «vive» e quelle «morte». L'obiezione perciò
si ripropone: non è ben chiaro se per Weder la distinzione tra com
parazione e metafora si elimini riconducendo la prima alla seconda
o la seconda alla prima; se si attribuisca a qualsiasi metafora quello
che altri attribuiscono solo alla metafora «viva» o se ci si limiti a
cambiare solo la terminologia chiamando «metafora» il medesimo
fenomeno che Jiilicher chiamava «comparazione», in sostanza il tra
sferimento di alcuni tratti da una realtà più nota a un'altra meno
nota in forza di una somiglianza già esistente (§ 1.2.6 ) . Dov'è allora
la differenza rispetto alla tanto deprecata analogia ?
Ma il problema emerge ancor più chiaramente quando l'autore
35. Cfr. Fusco, Oltre la parabola, cit., 105-109; Tendances récentes, cit., 50-55.
36. Cfr. Fusco, Oltre la parabola, cit., 85-103. 187-189; Tendances récentes, cit., 22-24.
37. F. Bovon, Parabole d'Évangile, parabole du Royaume: RThPh 122 (1990) 33-41;
la citazione a p. 40.
38. H.-J. Klauck, Allegorie und Allegorese in synoptischen Gleichnistexten, Miinster
1978.
rano l'insostenibilità ( Unangemessenheit) della posizione contraria
(§ 2.4.2 n. 89) , rivelano un' «andatura argomentativa» (Argumenta
tionsrichtung: § 2+1), offrono «argomenti» (§ 2.4.2), concedono
«Spazio» al punto di vista dell'interlocutore: a questo riguardo l'au
tore valorizza spesso il fenomeno dell'«incrociamento» ( Verschran
kung) dei punti di vista, messo in bel risalto da Eta Linnemann e da
dom Dupont, senza però notare che esso presuppone appunto la
funzione dialogica della parabola. C'è veramente differenza allo
ra, a questo punto, nel dire che la parabola non intende difendere
ma spiegare ( § 2.4.2 n. 9 3 ) ? E non suonano troppo aspre le ripetute
critiche a Jeremias per aver parlato delle parabole come «armi»
(§ I.2.2 e passim), dal momento che Jeremias stesso precisava che
non mirano a distruggere l'awersario ma a ottenerne il consenso?
Indubbiamente c'è però un prezzo da pagare per queste oscilla
zioni. Per l'esegesi delle singole parabole, l'impossibilità di valoriz
zare fino in fondo questi concetti dopo averli misconosciuti in sede
teorica. Per il discorso generale, l'impossibilità di mettere bene in
rapporto le parabole con la svolta segnata dalla resurrezione: tor
nando di fatto - con la tradizione cristiana antica - a identificare le
parabole con una sorta di allegorie, differenziandosi però da essa
per lo sforzo di attribuirne direttamente al Gesù storico solo un nu
cleo incentrato sul regno, la differenza teologica e linguistica fra si
tuazione prepasquale e situazione postpasquale viene vanificata e
come appiattita; l'impatto della svolta pasquale sulle parabole viene
ridotto in sostanza ad aver awiato un processo di ulteriore allego
rizzazione: non più soltanto allegorie del regno ma allegorie della
chiesa, della vita cristiana, della storia della salvezza. Misconoscen
do l'originario meccanismo linguistico dialogico-argomentativo
della parabola, ci si preclude la possibilità di individuare proprio in
esso gli elementi di continuità e di discontinuità che collegano, e al
tempo stesso distinguono, le parabole di Gesù e le loro riletture e
riscritture postpasquali.