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Hans Weder

METAFORE
DEL REGNO
Le parabole di Gesù:
ricostruzione e interpretazione

Edizione italiana con una nota a cura di Vittorio Fusco

Paideia Editrice
perVroni

Titolo originale dell'opera:


HansWeder
Die Gleichnisse ]esu als Metaphern
Traditions- und redalttionsgeschichtliche Analysen und Interpretationen
Dritte, durchgesehene Auflage
Traduzione italiana di Giovanni Garra
Revisione di Vittorio Fusco
© Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1978, '1984, rist. 1989
© Paideia Editrice, Brescia 1991 ISBN 88. 394.0468.6
Premessa alla prima edizione

«Siamo costretti a parlare in immagini e similitudini che


non rendono esattamente ciò che realmente intendiamo. A
volte non possiamo evitare neppure delle contraddizioni,
e tuttavia attraverso queste immagini possiamo avvicinarci
in qualche modo al dato di fatto reale» (W. Heisenberg,
Der Teil und das Ganze, Miinchen 1961, 28, ) .

Se Heisenberg anche solo per descrivere la realtà del mondo


non può rinunciare al linguaggio metaforico, tanto più indi­
spensabile sarà la metafora quando si tratta della verità di Dio.
Chi legge le parabole di Gesù può constatarlo con piena chia­
rezza, a patto però che non si ostini a volerle intendere esclusi­
vamente coi canoni della retorica antica. È questo l'intento che
la presente opera vo"ebbe contribuire a raggiungere, cercando
di intendere le parabole di Gesù a partire dal/'essenza della me­
ta/ora.
A prima vista si potrebbe avere l'impressione che nel testo si
miri alla ricostruzione della predicazione del Gesù storico.
Questa prima impressione è errata, ed invito il lettore ad anda­
re al di là di essa. Allora egli vedrà che il Gesù storico diviene
il tema delle riflessioni seguenti, solo nella misura in cui assu­
me una rilevanza nell'ambito del Cristo kerygmatico. Se la ri­
flessione si sforza di cogliere il rapporto tra il Gesù storico ed il
Cristo kerygmatico come una correlazione, si potrà riuscire a
superare l'infausta alternativa tra l'uno e l'altro. È questo,
anzi, lo scopo principale di quest'opera.
Nel semestre invernale i977/78 l'opera fu accettata come
dissertazione dalla facoltà teologica dell'Università di Zurigo.
Ringrazio il mio maestro prof dr. E. Schweizer per averla co­
stantemente accompagnata con occhio critico e con il suo assi­
duo incoraggiamento, senza il quale non sarebbe stata condotta
a termine. Estendo il mio ringraziamento al prof dr. E. Kase­
mann, che l'ha accolta nelle «Forschungen zur Religion und Li­
teratur des Alten und Neuen Testaments», alla Fondazione
Emi! Brunner e alla chiesa evangelica riformata del cantone di
7
St. Galtt.'11, cbt.• ba11110 contribuito in misura considerevole alle
spese di stampa, ed al collega Fritz Gloor che ha collaborato in
vario modo alla sua elaborazione.
Mannedorf, marzo 1978.
Hans Weder

Premessa alla terza edizione

Quando un libro si rivela utile, l'autore che cosa può desiderare


di più? La necessità di una terza edizione è dovuta a tutti coloro
che lo hanno accolto benevolmente dopo così poco tempo. Ad
essi vada la mia riconoscenza più viva.
La discussione scientifica ha richiamato l'attenzione su molti
particolari che avrebbero potuto o dovuto essere visti in modo
diverso. In molte questioni di dettaglio -in particolare nell'am­
bito delle analisi storiche inevitabilmente ipotetiche -io stesso
oggi procederei in modo diverso. Ho rinunciato tuttavia ad ap­
portare modifiche di dettaglio, cosa che avrebbe richiesto un
notevole ampliamento delle note, tanto più che non ha senso li­
mitarsi a registrare la bibliografia apparsa successivamente sen­
za esprimere un motivato consenso, una critica puntuale, e
avrebbe tutt'altro che facilitato la leggibilità. Mi sono limitato
pertanto a correggere ancora altri tre e"ori di stampa. Quanto
alle tesi fondamentali di questo tentativo di interpretazione
delle parabole di Gesù, nonostante le a volte veementi obiezio­
ni di alcuni colleghi, non ravviso alcuna ragione di modificarle.
Comprendere le parabole di Gesù nell'orizzonte del discorso
metaforico mi sembra tuttora la via giusta, anche se è ovvio che
su di essa debbano essere ancora compiuti ulteriori passi: ben
vengano altri a portare anch 'essi il loro contributo.
Accetto volentieri le indicazioni di alcuni recensori su alcune
lacune bibliografiche: a me stesso non sarebbe difficile segna­
larne altre. Tuttavia rinuncio a queste indicazioni bibli'ografi-
B
che: non vedo che senso possa avere limitarsi a citare una serie
di studi senza confrontarsi con essi. Recentemente comunque
sono apparse diverse opere che hanno proposto concezioni sor­
prendentemente simili a quelle della presente opera. Va men­
zionato il libro pubblicato quasi contemporaneamente da H.].
Klauck (Allegorie und Allegorese in synoptischen Gleichnis­
texten, Miinster 1978 [NTA.NF 13 ]), che nelle linee principali
concorda ampiamente col mio lavoro. Il limite di quest'opera è
che essa verifica le sue concezioni teoriche solo in poche para­
bole della tradizione sinottica. C'è da rallegrarsi che anche nella
disciplina collaterale della teologia sistematica si arrivi a risul­
tati analoghz� come mostra la tesi di Martin Petzoldt frattanto
pubblicata: Gleichnisse Jesu und christliche Dogmatik, Got­
tingen 1984. Infine bisogna richiamare l'attenzione sulla rac­
colta in due volumi curata da Wolfgang Harnisch per la Wis­
senschaftliche Buchgesellschaft (Gleichnisse Jesu. Positionen
der Auslegung von Adolf Jiilicher bis zur Formgeschichte,
Darmstadt 1982 [WdF 3 66] e Die neutestamentliche Gleich­
nisforschung im Horizont von Hermeneutik und Literatur­
wissenschaft, ivi 1982 [WdF 575]). Questi due volumi rendono
facz1mente accessibili importanti studi sull'interpretazione delle
parabole (anche se la scelta non mi sembra oggettivamente giu­
stificata in tutti i punti).
Alcuni recensori hanno manifestato una certa difficoltà a co­
gliere l'obiettivo centrale di quest'opera (esempi vistosi sono
W. G. Kiimmel, Jesusforschung seit 1965: Nachtrage 1975-80:
ThR 47 [I982] 358-3 60, e G. Strecker U. Schnelle, Einfiih­
-

rung in die neutestamentliche Exegese, Gottingen 1983, 79 s.).


Può darsi che non fosse del tutto facile individuarne l'obiettivo
essenziale; mi permetto perciò di richiamare esplicitamente l'at­
tenzione su due punti.
Di ogni parabola, ho tentato di ricostruire la storia sino alla
sua origine nel Gesù storico. L 'attribuire una determinata para­
bola al Gesù storico talvolta provoca anche l'accusa di essere
«conservatore» (cosa significa poi in questo caso «conservato­
re»? E in che senso la qualifica «conservatore» può divenire
9
un'accusa?). In realtà quello che mi stava a cuore in questo la­
voro non era salvaguardare l'attribuzione di tutte le parabole al
Gesù storico, quanto comprendere le parabole evangeliche nella
loro evoluzione. Capire un testo nella sua evoluzione significa
capirlo storicamente; capirlo storicamente significa sottrarlo a
forzature strumentalizzanti. Lo sforzo di ripercorrere a ritroso
tutto lo sviluppo delle parabole sino al Gesù storico si situa in
questo contesto.
Allo stesso modo ho tentato in quest'opera di offrire, di que­
sto gruppo di testi risalenti al passato, un'interpretazione con­
sapevole di tutte le implicazioni del problema ermeneutico. Le
prospettive della teoria delle metafore mi sembrano essenziali,
perché ci fanno prendere coscienza del problema del linguaggio
anche nell'ambito dell'esegesi neotestamentaria. Un 'esegesi
neotestamentaria che non si faccia carico di una riflessione sul
linguaggio - se non altro anche di quella implicitamente suppo­
sta nel suo metodo! - per quanto possa presentarsi talmente
elaborata da un punto di vista storico, resta a livello di assoluta
ingenuità da un punto di vista ermeneutico e sistematico. Il
procedimento qui adottato ha senz'altro bisogno di correzioni;
quando però sulla base della cosiddetta «esegesi puramente sto­
n"ca» esso viene definito «dogmatico», un giudizio si/fatto rivela
una sconcertante superficialità. Anche il cosiddetto approccio
«puramente storico» - a prescindere dalle aporie metodologi­
che, insite nel postulato della descrizione storica - soggiace a
opzioni ermeneutiche e valutazioni dogmatiche, solo che lo fa
irriflessivamente, il che è molto preoccupante per un autentico
sapere teologico.
Le parabole di Gesù racchiudono un incomparabile potenzia­
le di significato, a patto che strada facendo, per /issarne il signi­
ficato storico, non si finisca col fossilizzarle. Mantenere vivo
questo potenziale di significato, mi sembra il compito dell'ese­
gesi. Un compito che, indubbiamente, può essere affrontato solo
concentrando le forze.
Miinnedorf, ottobre 1983.
Hans Weder
IO
Indice del volume

7 Premessa alla prima edizione


8 Premessa alla terza edizione

I. Sulla teoria dell'interpretazione delle parabole

I7 I.I. La fase più recente della ricerca: i vari approcci


I7 I. I. O. L'inizio
27 I . I. I. L'approccio della storia delle forme
(Rudolf Bultmann)
30 I . I.2. L'approccio storicizzante
42 I.1.3. L'approccio ermeneutico
59 1.1+ L'approccio letterario

75 I. 2. Osservazioni per una teoria


dell'interpretazione delle parabole
75 I . 2. 0. La parabola come metafora
77 I . 2. I . L'analogia tra metafora e parabola
8o I.2.2. Discorso proprio e improprio
86 1. 2.3. Il regno di Dio come parabola
89 1.2.4. Parabola e allegoria
95 I.2. 5. Linguaggio e realtà
IOI I.2.6. Verità
109 1.2.7. Linguaggio che interpella
III I . 2.8. Apprendere giocando
115 1.2. 9. Anticipazioni dello spirito
117 I.2.IO. Parabola e Gesù storico
12I I.2.11. Conseguenze metodologiche (riepilogo)

2. Ricostruzione delle parabole secondo


la storia della redazione e della tradizione

127 2. I . L e parabole i n Mc. 4,I-34; Mt. I3,I-52;


Le. 8,4-I8; I 3,I8-2I
127 2.I.O. Analisi del capitolo delle parabole, Mc. 4,I-34

II
136 2.I.I. La parabola del quadruplice terreno
(Mc. 4,3-9; Ev. Th. 9)
147 2.1.2. Il seme che cresce spontaneamente
(Mc. 4,26-29; Ev. Th. 21c)
150 2.1.3. La parabola della zizzania
(Mt. 13,24-30.36-43; Ev. Th. 57)
1 60 2.1+ La parabola del grano di senapa
(Mc. 4,30-32 parr.; Ev. Th. 20)
e del lievito (Le. 1 3,18 s. par.; Ev. Th. 96)
170 2.1.5. La parabola del tesoro nel campo e della perla
(Mt. 13,44-46; Ev. Th. 109; 76)
176 2.1.6. La parabola della rete (Ml. 13,47-50; Ev. Th. 8)

182 2.2. Le rimanenti parabole nel vangelo di Marco


1 82 2.2.I. La parabola dei vignaioli omicidi
(Mc. 1 2,1-12 parr.; Ev. Th. 65 s.)
199 2.2.2. La parabola del portiere
(Mc. 13,33-37 par. Le. 12,35-38)

206 2.3. Le rimanenti parabole Q


206 2.3.1. La parabola della pecora perduta
(Mt. 1 8,12-14; Le. 15,4-7; Ev. Th. 1 07)
21 6 2.3.2. La parabola del grande banchetto
(Mt. 22,1-10; Le. 14,15-24; Ev. Th. 64)
233 2.3.3. La parabola dei talenti
(Mt. 25,14-30; Le. 19,11 -27; Ev. Naz. fr. 1 8)

252 2.4. Le rimanenti parabole


del materiale particolare di Matteo
252 2.4.1. La parabola del debitore spietato
(Mt. 1 8,23-35 )
261 2.4.2. La parabola degli operai nella vigna
(Mt. 20,1-1 6)
274 2.4.3. La parabola dei due figli dissimili
(Mt. 21 ,28-32)
283 2.4.4. La parabola delle dieci vergini (Mt. 25,1-13)

295 2.5. Le parabole del materiale particolare di Luca


295 2.5 .1. La parabola della dracma perduta (Le. 1 5,8-10)
298 2.5.2. La parabola del figliol prodigo
(Le. 1 5,11 -32)
308 2.5.3. La parabola dell'amministratore infedele
(Le. 1 6,1 -1 3)

12
314 2.5.4. La parabola del giudice e della vedova
(Le. 18,1-8)

3. Sguardo d'insieme e ulteriori applicazioni

3.1. L'approccio storico-tradizionale


alle parabole di Gesù
Spiegazione teologica - cristologia esplicita
Connessioni svelate Lo spazio linguistico
-

dell'autocomprensione storica
331 Comprensibilità di Dio - prassi etica dell'uomo
333 Vicinanza della basileia - fine dei tempi

336 3.2. Osservazioni sul problema del Gesù storico


336 3.2.1. Lo stato del problema
336 3.2.1.1. La ricerca sulla vita di Gesù nel XIX secolo,
owero la «vecchia» questione dcl Gesù storico
340 3.2.1.2. La teologia kerygmatica
344 3.2.1.3. La <cnuova» questione del Gesù storico
349 3.2.1+ In che cosa consiste la novità
della «nuova questione»?
349 3.3.2. I risultati dello studio delle parabole
in riferimento alla questione del Gesù storico

359 Bibliografia

Vittorio Fusco
373 Parabole e resurrezione
l. Sulla teoria dell'interpretazione
delle parabole
1 . 1. La fase più recente della ricerca:
i vari approcci

1 .1.0. L'inizio

L'inizio della moderna interpretazione delle parabole è se­


gnato dall'ampia opera in due volumi di AdolfJiilicher,' il cui
obiettivo principale consiste nello sviluppare una riflessione
metodologica fondamentale sui presupposti dell'interpreta­
zione delle parabole.' Il nuovo approccio di Jiilicher inaugurò
un'epoca nuova nell'interpretazione delle parabole; i suoi
punti di vista e le sue opinioni teoriche non hanno perso af­
fatto di significato o di rilevanza anche negli ultimi anni. 1
L'antitesi tra parabola ed allegoria messa a fuoco da Jiili­
cher appartiene ancor oggi ai principi più basilari dell'inter­
pretazione delle parabole. Va notato che questa antitesi rive­
la una componente chiaramente polemica: definendo esat­
tamente quell'antitesi Jiilicher vorrebbe « . . . partecipare alla
battaglia contro l'interpretazione allegorizzante delle 'parabo­
le' di Gesù».4 Jiilicher ha condotto questa battaglia con coe­
renza ammirevole. Egli trova l'opposizione tra allegoria e pa­
rabola insita già nelle loro rispettive forme embrionali [Vor­
stu/en] che sarebbero la meta/ora e la comparazione. Mentre la
prima «costituisce l'elemento fondamentale del discorso im­
proprio, la comparazione rimane interamente sul terreno del

1. A. Jiilicher, Die Gleichnisreden Jesu, Erster Teil: Die Gleichnisreden Jesu im A/lge-
111d11en, 2' ed., 2' rist., Tiibingen 1910; Zweiter Teil: Auslegung der Gleichnisreden
da drei ersten Evangelien, 2' rist., Tiibingen 1910.
i. Questo è il tema della «prima parte» che contiene ci principi validi per l'intero
genere letterario» (p. 3).
� - Cfr. il giudizio simile di Jiingel, Paulus und ]esus, 88.
4. Jiilicher, G/eichnisreden I, ,o (corsivo nel testo).

17
discorso proprio».' Nella comparazione «ogni parola . . . con­
serva il suo significato consueto»,6 ossia essa è discorso pro­
prio, mentre nella metafora «si dice una cosa, ma se ne pensa
un'altra»,7 ossia essa è discorso improprio. «La metafora con­
sente una spiegazione: accanto alla parola detta si può porre in
ogni caso ciò che realmente si pensa; nella comparazione in­
vece spiegare sarebbe un non senso».8 Per l'ascoltatore la pri­
ma è più impegnativa della seconda. La metafora <<non scende
verso l'ascoltatore, come la comparazione, ma lo innalza fino
a sé».9 Queste caratteristiche, messe in luce per la metafora e
la comparazione, valgono a questo punto anche per l'allegoria
e la parabola, perché «come la parabola è il prolungamento
di una comparazione ad un'intera frase, cosl l'allegoria è il
prolungamento di una metafora ad un'intera frase». IO Di con­
seguenza Ji.ilicher definisce la parabola come «quella figura del
discorso nella quale l'accettazione di una/rase (di un'idea) deve
essere assicurata mediante l'accostamento ad un'altra /rase ana­
loga, appartenente ad un altro ambito e la cui accettazione è data
per certa»." In questa definizione sono già insite le caratteristi­
che fondamentali della parabola. Innanzi tutto «la parabola
vuole illustrare un pensiero mediante un Ofl.otov, così si parla a
tal proposito di un unico tertium comparationis. 11 La parabola
consta necessariamente di due parti: da un lato l'enunciato che
ha bisogno di un ulteriore chiarimento, dall'altro quello co­
struito «in vista di tale chiarimento».'' Di qui la distinzione, di­
venuta così decisiva nell'interpretazione delle parabole, tra

5. Op. cii., 52.


6. Op. cii., 54.
7. Op. cii., 55.
8. Op. cit., 56 (corsivo nel testo). La metafora deve essere interpretata, poiché «essa
esige propriamente l'interpretazione»: op. cit., 57.
9. Op. cii. , 57.
IO. Op. Ct�., 58.
u. Op. cit., So (corsivo nel testo).
12. Op. cii. , 70 (corsivo nel testo).
13. lbid.

18
la parte reale e quella figurata,'4 dove figura e realtà sono riferi­
te l'una all'altra attraverso un tertium comparationis. Inoltre la
parabola ha la caratteristica di garantire l'accettazione di una
proposizione (una certa realtà). Rispetto a tale realtà, attra­
verso il ricorso a un'immagine, essa mira ad acquisire l'ade­
sione e il consenso di qualcuno che non è convinto. '' Ne con­
segue che una buona parabola deve necessariamente presen­
tare una parte figurata chiara, di sicuro effetto, che non ne­
cessiti in alcun caso di spiegazione.'6 L'efficacia di una para­
bola si basa sulla somiglianza evidente tra i rapporti fra i vari
elementi concettuali della parte figurata - da considerare co­
me discorso proprio - e quelli della parte reale. '7 Senz'altro
anche i rispettivi elementi concettuali delle due metà possono
essere simili gli uni agli altri, tuttavia questa somiglianza non è
un elemento costitutivo della parabola. Infine bisogna ricor­
dare il carattere didattico della parabola. La necessità di rap­
presentare un fatto sotto forma di parabola sorge non dalla
realtà stessa, bensl dalla volontà del narratore di ammaestrare
l'uditore.18 Se non ci fosse questo scopo di ammaestrare, il
contenuto potrebbe essere espresso anche senza la figura. Per
J iilicher lefficacia del reale è incontestabile, essa viene solo
garantita dalla figura. «La verità è più potente in forma con­
creta che non in forma astratta: da ciò deriva la potenza della
parabola».19 Definendo la parabola in tal modo «si esclude
ogni ambiguità e confusione con lallegoria», che viene defini-

1+ «Propongo di definire questi due elementi indispensabili della parabola 'realtà' e


'fi1tura' ...», op. cii. , 70.
15. Op. cii. , 73.
16. «Nella metà figurata della parabola, tutto deve essere chiaro, noto, inoppugnabi­
le» (op. cii., 74).
17. Op. cit., 7'·
11!. Vale già per la similitudine l'aver carattere didascalico (Jiilicher, op. cii., 57). La
11nrabola vuole illustrare, in quanto aiuta a riconoscere l'insolito attraverso il quoti­
diano (op. cii., 73). Gesù si servl delle parabole poiché trovò «che questa forma era
pnr1icolarmente adatta ad accrescere la chiarezza e la forza di convincimento delle
Mie i dee» (op. cii., 146, spaziato nel testo) .
Il). Op. cii., 72.

19
ta invece come quella «figura del discorso, in cui una serie di
elementi concettuali (una proposizione o un complesso di
proposizioni) viene rappresentata mediante una serie correlata
di elementi concettuali tratti da un altro campo»."' Qui non si
può più parlà re di un tertium comparati'onis. Al contrario,
ogni concetto dell'enunciato figurato deve essere interpretato
in senso improprio, cioè in relazione alla realtà che si ha di
mira. «L'allegoria raggiunge la perfezione . . . quando nella fi­
gura ogni singolo elemento, permettendo una duplice com­
prensione, è suscettibile di spiegazione»." L'allegoria non è
desunta dalla vita, è qualcosa di artificioso: «L'allegorista scri­
ve ogni parola avendo di mira un modello invisibile, che egli
tenta di riprodurre, di ricostruire in un materiale refratta­
rio. . . »." Di conseguenza «essa è una delle forme linguistiche
più artificiose che ci siano».11 Essa deve la sua esistenza a
quella tendenza al formalismo, con cui certe epoche compen­
sano la propria mancanza di creatività.'4 A differenza della pa­
rabola, che ama la chiarezza, lallegoria ricerca un «certo
chiaroscuro»; vuole che il lettore «perda la fiducia in ciò che
legge» e dietro a ciò che si dice cerchi un intendimento più
sottile.'' Al profano, l'allegoria non dice niente; per prima co­
sa egli deve imparare a riconoscere il «modello» dell'autore in
base alla spiegazione della figura, e solo allora, come un ini­
ziato, potrà gettare lo sguardo al di là della figura.'6 Nell'alle--

20. Op. cit. , 80 (corsivo nel testo).


21. Op. cit. , 81. L'allegoria necessita dell'interpretazione (op. cii., 76). Essa non signi·
fica ciò che dice (op. cit. , 73).
22. Op. cii., 81. Cfr. ibid.: l'allegoria si distingue dalla pm·.1!; l.1 in quanto «mentre la
..

prima modella la 'figura' sul 'pensiero', la seconda mantic11�· inalterata la 'figura' nel
suo colorito naturale e fine solo a se stessa».
23. Op. cii., 63.
24. «Una predilezione per l'allegoria si è manifestata sempre in quelle epoche in cui
la letteratura per mancanza di grandi temi, di idee nuove e significative, si risarcl con
forme poetiche fuor dell'ordinario, cercò di allontanare la noia con l'esecuzione di
difficili prove di abilità» (op. cii., 64) .
2,. Op. cii., 74.
26. Op. cii., 81.

20
goria la figura non accresce le conoscenze del lettore: come
nella metafora - deve solamente «interessarlo».27 L'allegoria
dunque - se raccontata senza spiegazione è una forma lin­ -

guistica che riflette una separazione tra il profano e l'iniziato e


col suo carattere enigmatico agli occhi del profano lo rafforza
ulteriormente.
Con questa differenziazione tra allegoria e parabola, de­
sunta fondamentalmente da categorie aristoteliche,28 Jiilicher
si arma molto bene per la battaglia contro l'interpretazione
allegorizzante delle parabole. In tale fraintendimento allego­
rizzante sono caduti già i vangeli stessi: «Secondo la teorie
degli evangelisti le 7tapcx�oÀcxt sono allegorie, quindi. . . discor­
so improprio, . . . mentre in realtà esse sono sempre state di­
scorso proprio».29 La «realtà» cui si appella Jiilicher contro il
«fraintendimento» degli evangelisti è il Gesù storico, non mi­
stificato. I racconti parabolici di Gesù non possono essere àl­
legorie, da un lato perché la maggior parte di essi sono com­
prensibili senza alcuna spiegazione, e come tali furono tra­
mandati, '° dall'altro perché è inverosimile che Gesù per il suo
insegnamento abbia fatto ricorso ad allegorie.3' Le sue para­
bole inoltre danno tutta l'impressione «di dover essere prese
in senso proprio».32 Questa impostazione storica data da Jiili­
cher all'antitesi tra parabola ed allegoria si rivelò di fonda­
mentale importanza per l'interpretazione moderna delle para­
bole;!! s'impone perciò un esame più dettagliato delle motiva-

27. Op. cit. , ,7.


28. L'ispirazione aristotelica della teoria di Jiilicher è sottolineata particolarmente da
Jiingel, Paulus und Jesus, 92. 94 (con riferimento a Socrate). 9,. Il guaio è che «con
la retorica di Aristotele entra anche la sua logica, e con la logica un'intera ontologia,
che determina quella logica da capo a fondo,. (op. cit., 9' s.) . A mio avviso le obie­
zioni avanzate da Jiingel (p. !)6) sono valide senza eccezione alcuna.
29. Op. cii., 49 (in corsivo nel testo).
w. Op. cii., ,2.
�1. Op. cit., 63. 32. Op. cit. , 66.
B· Cosl per esempio )ungei, Paulus und Jesus, 88. Essa viene talora modificata (per
esempio Jeremias, Gleichnisse, 14; Via, Gleichnisse, 2,), ma in sostanza accettata da
<1uasi tutti gli interpreti.

21
zioni soggiacenti alla valutazione jiilicheriana dei racconti pa­
rabolici di Gesù. Il suo giudizio storico è fondato su una de­
terminata immagine del Gesù storico: l'allegoria è artificiosa,
innaturale, 34 capace di sortire unicamente effetti di tipo esteti­
co," lontana dall'esperienza dell'uditore;� velata/7 capziosa/8
troppo pesante per «trasmettere non solo il sacro zelo, ma un
qualsiasi pathos elevato». 39 Tutte queste caratteristiche non so­
no compatibili con l'immagine di Gesù, che era in realtà un
autentico figlio della Galilea, radicato in quella terra e portato
a rivestire il pensiero «di forme tipiche della sua terra»/0 onde
«condurre con mano sicura i suoi fedeli dal noto all'ignoto,
dal mondo sensibile al regno dei cieli».4 1 Fu questa immagine
del Gesù storico che consenti a J iilicher di dare alla differenza
formale tra la parabola e l'allegoria una collocazione storica
come differenza tra Gesù e gli evangelisti. In ciò lo sostenne
la sua visione storica generale, secondo la quale semplicità,
autenticità e verità sono indissolubilmente legate l'una all'al­
tra. Per questo egli conduce una battaglia per le parabole di
Gesù e contro le allegorie dei vangeli e della chiesa «sotto il
vessillo simplex sigillum veri».4' Ne consegue purtroppo che il
giudizio formale su un determinato detto viene a confondersi
col giudizio storico sulla sua autenticità o meno.
L'argomentazione jiilicheriana sulla stretta correlazione tra
la parabola e il Gesù storico si è rivelata di grande importanza
per la moderna interpretazione delle parabole. Le parabole
« . . . rivelano nel modo più fedele . . . cosa e come ha insegnato

34. Jiilicher, Gleichnisreden, 63.


35. Op. cit. , 64.
36. Op. cii., 88.
37. Op. cit. , 141.
38. Op. cii., 145 .
39. Op. cii., 63.
40. Op. cii. , 145.
41. lbid.
42. Op. cii., 322 (corsivo mio).

22
Gesù».4� Esse sono «la parte della sua dottrina . . . , che ci con­
sente di penetrare lo sguardo in profondità nel suo cuore»,#
benché, per Jiilicher, le parabole non abbiano come oggetto
la persona di Gesù,4' ma espongano in modo inequivocabile le
sue idee, la sua dottrina46 (in particolare il suo tema princi­
pale e fondamentale: il regno dei cieli) . Nelle parabole Gesù
«mette l'uomo in contatto diretto col Padre celeste, senza in­
terporsi in modo artifìcioso».47 Se si analizza la dottrina di Ge­
sù solo nelle parabole, la cristologia della chiesa, secondo Jii­
licher, non ne deriva in alcun modo. È stata solo la storia a
fare di lui il Salvatore . .fll Per gli uomini è importante solo la
dottrina di Gesù, soprattutto la sua dottrina in parabole:
«perché nei suoi racconti parabolici la nuova era e già presen­
te. Tutto è già pronto, i peccati sono già rimessi a chi prega
con cuore sincero, non perché Cristo morirà presto per i pec­
cati del mondo, ma perché Dio che ama con amore paterno
non può respingere e non ha mai respinto tale preghiera».49
Dal punto di vista della salvezza Gesù può essere scisso dalla
sua dottrina, dal momento che la comprensione della sua dot­
trina, efficacemente mediata dalle parabole, è già salvezza.
La tesi di Jiilicher è agli antipodi della concezione che vede
il fatto stesso dell'insegnamento parabolico di Gesù - indi­
pendentemente dal suo contenuto - non privo di connessio­
ne con la cristologia della chiesa. Stando a Jiilicher non ci so­
no affatto nelle parabole delle implicazioni cristologiche da
scoprire, e a sua volta, di conseguenza, anche la cristologia

·U· Op. cit . , r50.


+J. Op. cit. , r48 s.
45. «Certamente una prorompente sensazione di forza e di sicurezza pervade le sue
parabole; ... ma in nessuna parabola emerge la minima allusione alla divinità di que­
sto figlio di Dio» (op. dt., 152). Ciò che Gesù «mostra predicando è la salvezza e non
il salvatore» (ibid. ).
46. Op. cit., 149.
47. Jiilicher, Gleichnisreden 1, 151.
41!. Op. cit., 152.
49. lhid.

23
della chiesa non ha nulla da dire per la comprensione delle
parabole. Problematica alla quale dovremo dedicare ulteriori
riflessioni (cfr. sotto, 1 .2.6; 1.2.m) .
Il rapporto tra le parabole ed il Gesù storico è importante
anche da un altro punto di vista. «Le parabole di Gesù mira­
vano ad un effetto immediato, creature dell'attimo, profonda­
mente immerse nella particolarità del momento».'0 Ne conse­
gue che la conoscenza della situazione, nella quale furono
raccontate, è di estrema importanza per la loro comprensio­
ne. Ciò vale particolarmente per quelle parabole che sono
state tramandate senza la «parte reale», che deve essere rico­
struita dal contesto originario (supposto) della vita di Gesù e
dalla relazione di tale contesto con la «parte figurata» (tra­
mandata) .'' È posta cosl la base per l'interpretazione storica
delle parabole di Gesù. Nel momento in cui Jiilicher definisce
le parabole come concrete mediazioni di una verità astratta,''
motivate dalle finalità didattiche di Gesù, le rende veicoli di
verità generali su Dio ed il mondo.,, Le parabole sono sì dei
prodotti storici, ma il loro scopo è appunto la mediazione di
,o. Op. cit., 91; in questo contesto si colloca anche la tesi, divenuta in seguito moho
importante, del «carattere argomentativo delle parabole» (op. cit., 90) . Tuttavia Jiili­
cher non utilizza ancora questo concetto nel senso di un'argomentazione polemica
(come viene presupposto in Jeremias, Gleichnisse, 18. 34 e passim), bensì nel senso
di un'argomentazione mirante a convincere, a guadagnare il consenso.
51. Jiilicher raccomanda come canone metodologico quello di «immergersi autore­
volmente nello spirito di Gesù» (Gleichnisreden II, 92 ). Proprio per questo il fatto
che a volte ignoriamo l'occasione di una parabola non è irreparabile «perché sappia­
mo che ogni parabola di Gesù aveva di mira l'insegnamento sul regno dei cieli ed
ovunque e comunque egli insegnasse, l'oggetto cui dedicava il suo insegnamento
erano le realtà attinenti al regno dei cieli» (op. cii., 104 s.). In tal senso l'approccio
storico non viene spinto fino in fondo.
52. Op. cit., 72, cfr. sopra, p. 19 nn. 18 s.
,3. Questo diventa assai chiaro nel secondo volume: cfr. Gleichnisreden u, 24' (Mt.
5,2 s.; Le. 12,,7-,9: era « ... in bocca a Gesù, un ammonimento molto semplice
all'arrendevolezza nei confronti di qualsiasi avversario. . . con la motivazione che la
resistenza conduce soltanto ad un male ancora peggiore») . 313 (secondo Mt. 18,21-
3 1 «Dio non ci perdonerà se noi abbiamo rifiutato un analogo perdono ai nostri of­
fensori che ce lo chiedono»). 363 (Le. 1,,n-32 è «una rivelazione sublime su una
questione fondamentale della religione: può il Dio della giustizia accogliere nella sua
grazia i peccatori?») e cosl via; cfr. ancheJercmias, Gleichnisse, 15.

24
ciò che è metastorico. In questo modo poi Jiilicher miscono­
sce in sostanza il carattere storico delle parabole di Gesù e, con
esso, di conseguenza, anche il loro carattere escatologico, che
consiste appunto nel rendere evento la vicinanza del regno di
Dio. Ma con ciò si misconosce un aspetto essenziale sia per il
contenuto delle parabole sia per la vita di Gesù.
Per quanto riguarda infine la classificazione jiilicheriana
delle parabole in diversi tipi, essa è stata ampiamente recepita
dalla più recente interpretazione delle parabole. Jiilicher le
suddivide in «tre classi» : la «similitudine [Gleichnis] », la «pa­
rabola [Parabel] in senso stretto», il «racconto-esempio [Bei­
spieleniihlung]».54 Tutte e tre risalgono alla stessa forma di ba­
se, cioè alla «comparazione»." Le accomuna il fatto che esse­
a differenza dell'allegoria - sono un discorso proprio, costi­
tuiscono un «insieme compiuto» ed esprimono solo un pen­
siero, una proposizione.'6 La similitudine si distingue dalle al­
tre due classi, perché presenta «una esperienza universalmen­
te nota, tratta dalla vita quotidiana», mentre le ultime due
espongono un «racconto completamente inventato».'7 La «pa­
rabola in senso stretto» è in «forma narrativa»,'8 e per questo
può anche essere chiamata «favola»,'9 essa si appella ad un
«caso particolare»,<>o a «ciò che è avvenuto una volta»;61 «la fa­
vola compensa con la sua concretezza visibile ciò che la para­
bola ottiene con l'autorità di ciò che è noto ed universalmente
riconosciuto».61 Essa è poesia e come tale più convincente de­
gli esempi storici.6i La favola viene definita come quella «figu-

H Jiilicher, Gleich11isrede111, 117.


55. lbid.
�6. lbid.
�7· lbid.
�X. Op. cit., 92 (corsivo nel testo) .
�9· Ad es., op. cii., 9().
r.o. Op. cit., 96.
<u. Op. cit., 97.
<•i. lbtJ. (corsivo nel testo).
<> \. Op . cii., 98.

25
ra del discorso, nella quale l'effetto di una proposizione ( . . . )
deve essere garantito mediante l'accostamento ad una storia
inventata, che si svolge in un altro campo e di sicuro effetto,
la cui struttura di pensiero è simile a quella della proposizio­
ne». 64 Questa definizione riguarda anche le «7tcxpcx�oÀcxt na"a­
tive» di Gesù:6' esse vengono raccontate «rispettando rigoro­
samente la verosimiglianza»,66 e sta proprio qui la loro forza.
Jiilicher è d'accordo con B. Weiss,67 sul fatto che la spiegazio­
ne delle parabole può essere trovata solo in una verità genera­
le, con la differenza che Jiilicher invece che di spiegazione
parla di «applicazione».68
Il «racconto-esempio» si distingue dagli altri due tipi di
parabole poiché si muove già «nell'ambito superiore», cioè
nella «sfera morale-religiosa», non su un terreno diverso dalla
proposizione che si vuole affermare: «l'episodio esemplifica la
proposizione che deve essere affermata».69 Esso rimane co­
munque discorso figurato, in quanto «adeguato ai sensi»,7° ma
l'uditore ne trova l'applicazione non col passaggio ad un altro
campo, bensì con generalizzazione del caso particolare illu­
strato.7' I racconti-esempio sono quindi narrazioni «che pre­
sentano una proposizione generale di carattere religioso-mo­
rale sotto l'aspetto di un caso particolare, costruito in maniera
avvincente». 1'

64. Op. cii., 98 (in corsivo nel testo) .


65. Op. cii., 100 (corsivo nel testo).
66. Op. cii., 103.
67. Op. cii., 105.
68. Op. cit., ro6.
69. Op. cii. , 112.
70. Op. cii., 113.
71. Op. cii., u3 s.
72. Op. cii. , 114 (in corsivo nel testo) . Con ciò i racconti-esempio si awicinano ai
racconti parabolici (favole). A mio awiso però non è esatto che Jiilicher possa defi­
nire «anche i racconti-esempio come racconti parabolici in senso stretto» (Jiingel,
Paulus und ]esus, 100). La frase su cui si fonda Jiingel («l'ultima è la similitudine, le
altre sono la parabola in senso stretto, cioè la favola al servizio di idee religiose ed il
racconto-esempio»: Jiilicher, G/eichnisreden I, 117) è per lo meno ambigua, ma pro-
L'opera di Jiilicher, fondamentale per l'interpretazione del­
le parabole, le liberò irreversibilmente «dallo spesso strato di
polvere che l'interpretazione allegorica aveva depositato su di
esse»,7J ma nello stesso tempo proprio per il radicalismo del­
!'approccio aristotelico inceppò le ricerche successive, in vin­
coli dai quali solo a fatica riuscirono a liberarsi.
Partendo dalla teoria jiilicheriana della parabole, nell'ese­
gesi neotestamentaria si sono venuti a formare numerosi ap­
procci all'interpretazione delle parabole, che ora verranno e­
sposti sulla base degli esempi più rilevanti.

1. 1 . 1. L'approccio della storia delle forme


(Rudolf Bultmann)
Nei detti di Gesù, «per lo più sorti su suolo aramaico»,74 è
particolarmente caratteristico «l'uso di similitudini ed imma­
gini di ogni tipo».75 Nell'analisi formale Bultmann (a differen­
za di Jiilicher) prende le mosse dal materiale biblico.
Egli distingue innanzitutto tra il «detto figurato» [Bild­
wort]76 (figura e realtà accostate senza la particella di compa­
razione), cui si apparenta anche la «metafora»,77 e il «parago­
ne»78 (con particella di comparazione) . Bultmann denomina
similitudini vere e proprie [Gleichnisse] «quelle formulazioni
che si differenziano da un paragone o da un detto figurato so­
lo per l'estensione che vengono ad assumere».79 Se ne distin­
guono (con Jiilicher) i racconti parabolici [Parabeln], che anzi-

hnbilmente da non intendere nel senso supposto daJiingel. In tal caso infatti «para­
/mia» dovrebbe senz'altro essere al plurale; l'interpretazione diJiingel forse è sorta a
musa della virgola mancante dopo «idee».

n Jeremias, Gleichnisse, 16.


7+ Bultmann, Synoptische Tradilion, 179 (corsivo nel testo).
75. Op. cii 181.
.,

76. Op. cii., 181 s.


77. Op. cii., 183.
71!. lbid.
19. Op. cii., 184.

27
ché «una situazione tipica o un fenomeno tipico e ricorrente»
presentano un «interessante caso particolare»;Bo nei dettagli,
la demarcazione tra la parabola e il racconto parabolico è
«fluttuante».81 Il racconto-esempio è formalmente affine a
quello parabolico, anche se in esso «di figurato non c'è nul­
la».112 La differenza fondamentale tra la similitudine ed il rac­
conto parabolico da una parte, e l'allegoria dall'altra, per Bul­
tmann consiste nel fatto che le une «richiedono la trasposizio­
ne ( . . . ) di un giudizio ad un altro ambito, quello che è oggetto
di discussione» mentre per le altre si tratta di «un travesti­
mento misterioso o fantastico di un fatto, in ordine alla predi­
zione del futuro o ad altri scopi». 83 «Di grande importanza è
soprattutto il metodico riscontro della tendenza della tradi­
zione ad ampliare le similitudini ed i racconti parabolici con
tratti allegorici o a trasformarli in vere e proprie allegorie».14
Se il principio metodologico ora ricordato attesta la posi­
zione di Bultmann per quel che riguarda la questione dell'au­
tenticità, le considerazioni formali, come l'individuazione di
parabole doppie,8' di combinazioni con detti fìgurati,116 di ag-

So. Op. cit., 188.


81. Ibid.
82. Op. cit 192. Qui Bultmann si distingue daJi.ilicher (cfr. sopra, n. 70). Bultmann
.,

ci tiene a sottolineare che i racconti-esempio sia per ciò che riguarda il contenuto
(contengono exempla storici) sia per quel che riguarda i concetti (non sono exempla,
che ill ustrano un'idea, bensl offrono «esempi» nel senso di «modelli» per il giusto
comportamento) si distinguono dai paradigmi della retorica antica; cfr. p. 192 n. 1.
83. Op. cii., 214. Sulla distinzione tra parabola ed allegoria Bultmann concorda espii·
citamente conJi.ilicher. Tuttavia egli relativizza il giudizio diJi.ilicher riguardo al sin·
golo caso perché non tutti gli elementi considerati allegorici da Ji.ilicher sono real­
mente tali; a volte si tratta semplicemente della «utilizzazione di tradizionali metafo.
re di Dio (il re) » e cosl via. Non è la presenza di metafore a trasformare la parabola
in un'allegoria, bensl la loro mancanza di riferimento alla pointe della narrazione ov·
vero all'applicazione della parabola; cfr. op. cit., 214 s. Evidentemente Bultmann
considera la meta/ora in modo completamente diverso da Ji.ilicher, in quanto non
ravvisa in essa uno stadio embrionale dell'allegoria.
34. Op. cit., 21, .
8,. Op. cit., 210.
86. Op. cit. , 211.
giunte esplicative,�7 ed ampliamenti allegorici,88 si traducono
direttamente in valutazioni storiche, perché le incoerenze for­
mali e stilistiche sono il risultato della storia attraverso cui so­
no passate le parabole. Gesù ha fatto uso della semplice simi­
litudine, del racconto parabolico stilisticamente puro.89 L'alle­
goria è il prodotto della comunità che cercò di adattare di
volta in volta la parabola originaria alla sua situazione storica.
Questo approccio metodologico di Bultmann è coerente con
tutta la sua impostazione storico-morfologica, poiché «questa
non si limita solo a presupporre valutazioni critiche sul con­
tenuto (sull'autenticità o meno di una parola, sulla storicità di
una narrazione e via dicendo) ma deve anche portare ad es­
se». 90 Circa la questione dell'autenticità Bultmann aggiunge
a queste considerazioni formali il criterio della discontinuità:
«Laddove rileviamo un contrasto con la morale e la pietà giu­
daiche, e quell'accento tipicamente escatologico, che costitui­
scono l'aspetto caratteristico della predicazione di Gesù, e se
d'altra parte non si riscontrano tratti specificamente cristiani,
allora si ha la maggiore possibilità di trovarsi di fronte ad
un'autentica parabola di Gesù».91 Tuttavia una somiglianza
con parabole giudaiche può nascere anche dal fatto che
«Gesù si situava nella tradizione giudaica e come uomo del
suo tempo e del suo popolo si serviva di parabole, come i suoi
contemporanei e conterranei», anche se bisogna fare i conti
con la possibilità che tra le parabole sinottiche ve ne siano al­
nme che «la comunità ha attinto alla tradizione giudaica e ha
posto sulla bocca di Gesù».92 Tuttavia, a differenza di Jiili­
rhcr, Bultmann non identifica lautenticità con la verità.
Secondo Bultmann tutte le parabole provocano il giudizio
117. Op. di., 212.
llK. Op. di., 213 s.
H•i. Gli indizi formali di autenticità sono senz'altro quelli elencati da Bultmann, op.
, ,, ' 203-208.
IJO. Op. cii., 6.
IJI. Op. cii., 222.
IJJ, Op. cii., 220.

29
dell'uditore. Pertanto esse hanno «un carattere argomentati­
vo» che si rivela spesso anche nella loro forma. 93 Questo però
non significa che siano rivolte principalmente agli avversari, o
che la conoscenza di questo fronte ostile apporti qualcosa
all'interpretazione della parabola in questione. Il ricorso al
Sitz im Leben come ausilio interpretativo, non tocca il signifi­
cato originario di una parabola, poiché Bultmann intendendo
il Sitz im Leben come una categoria sociologica (non come ca­
tegoria storica)94 lo utilizza solo per la comunità.

1 . 1 .2. L'approccio storicizzante


Da A. Schweitzer in poi la presa di coscienza della necessi­
tà di interpretare in senso escatologico il Gesù storico nel suo
comportamento e nella sua predicazione, è divenuta una
«conditio sine qua non per ogni ricerca sul Gesù storico».9'
Questa presa di coscienza venne a coinvolgere in seguito an­
che la concezione jiilicheriana delle parabole, poiché il suo
approccio, che considerava le parabole di Gesù illustrazioni
(a scopo didattico) di verità religiose fondamentali, venne
modificato a favore di un'interpretazione escatologica. Ma in­
tendere le parabole in senso escatologico significa intenderle
in senso storico.

Charles Harold Dodd


Dodd concorda con Jiilicher innanzitutto sulla necessità di
porre in relazione le parabole con il loro contesto originario
nella vita di Gesù, se le si vuole intendere adeguatamente.96 Le
93. Op. cit., 208. Già Jiilicher adopera questa espressione in maniera simile, cfr. so­
pra, p. 24 n. 50.
94. Cfr. Bultmann, op. cit., 4 s. Il concetto di Sitz im Leben, se usato correttamente in
conformità al suo significato originario, non può essere applicato al Gesù storico.
95. Jiingel, Paulus und Jesus, 108.
96. «From this (se. il riferimento della parabola «to the originai situation») will follow
the conclusion regarding its originai meaning and application . . . » (Dodd, Parab/es,
3 1 , corsivo mio).

30
parabole stesse si prestano a questo procedimento, poiché ri­
velano l'impronta di uno spirito individuale, e nessun'altra
parte delle narrazioni evangeliche risveglia più fortemente
l'impressione dell'autenticità.97 Ma Dodd al contrario di Jiili­
cher sostiene che anche l'applicazione delle parabole deve ri­
manere rigorosamente legata al contesto storico;911 pur ricono­
scendo che nella maggior parte dei casi l'esegeta deve accon­
tentarsi di porre in relazione una parabola con «la situazione
di Gesù globalmente considerata»,99 dato che la situazione
storica concreta per lo più resta ignota, il che, tuttavia, non
sminuisce affatto la certezza che Gesù con una determinata
parabola abbia avuto di mira soltanto una precisa applicazio­
ne. Per il problema della ricostruzione del significato e del-
'00

1' applicazione originari, Dodd indica due principi metodolo­


gici: da una parte gli elementi di risposta vanno cercati nelle
concezioni che erano tipiche degli uditori di Gesù (non della
comunità cristiana) ;'0' dall'altra, il significato dev'essere coe­
rente con l'interpretazione che Gesù stesso dava della propria
opera, quale emerge da altri suoi detti formulati in linguaggio
letterale ed univoco.'02

97. «Thcy (se. le parabole) have upon them . . . the stamp of a highly individuai mind
. . . ». «Cenainly there is no pan of the Gospel record which has for the reader a
dcarer ring for authenticity» (Dodd, op. cii. , n).
91!. Op. cii. , 3 1 : riferimento a Jiilicher, op. cii. , 24. Esse pertanto non possono venire
111>plicate nel senso di verità generali .
•,.,. «More ohen wc shall have to be content with relaring it to the situation as a
whole» (op. cii., 27).
ICK>. «We must suppose that Jesus intended some one definite application» (Dodd,
up. cii., 29).
1111. Op. cii. , 32; qui ci si awicina in sostanza a quello che la Linnemann definirà «il
h-nomeno dell incrociarsi [dei punti di vista]» (Linnemann, Gleichnisse, 3,).
'

1112. li significato «must be congruous with the interpretation of His own ministry
ollerl-d by Jesus in explicit and unambiguous sayings. . . » (Parables, 32); questo prin­
d11io sarà spesso utilizzato in seguito come criterio di conlinuilà nella questione del
l Ìl'SÙ storico (cfr. ad es. Perrin, Rediscovering, 43-4,) . Se questo criterio viene ap-
1•lirnto rigorosamente alle parabole di Gesù, potrebbe componare che Gesù nelle
""e p arab ole non poteva dire niente di diverso da quello che diceva in linguaggio
non-parabolico; ma un postulato del genere potrebbe essere accettato solo da chi

31
In questo modo, Dodd prende posizione a favore di una
interpretazione rigorosamente storica delle parabole di Gesù.
Come storico, che interpreta le parabole partendo dall'auto­
comprensione di Gesù, Dodd opta per una interpretazione
escatologica delle parabole, dal momento che l'autocompren­
sione di Gesù era segnata essenzialmente dalla presenza del
regno di Dio'"" (che coincide con I' eschaton) . '01 La conseguenza
negativa di questo approccio è che le parabole interpretate in
senso storico - proprio per la loro escatologia - finiscono
per rendersi estranee al lettore del nostro tempo. Se Jiilicher
aveva tentato di superare questa distanza facendo leva sugli
elementi religiosi universali, Dodd fronteggia la difficoltà at­
traverso un ripensamento del rapporto tra storia ed eschaton.
L'azione storica di Gesù assume un valore escatologico, per­
ché in essa ebbe luogo, in modo incomparabile, la manifesta­
zione dell'eterno nella storia. '0' Il tempo di Gesù è storia ed
eschaton al tempo stesso, è universalità e storicità: "16 è I' escato­
logia realizzata. '01 Vista in questa luce, la storia di Gesù assume
importanza decisiva per tutti i tempi, dal momento che I' e­
schaton altro non è che «l'ordine eterno».'o8 E poiché le para­
bole mirano ad introdurre il lettore o l'uditore nella situazio­
ne di Gesù,'°"' esse partecipano di questa importanza decisiva
e, proprio perché interpretate in senso storico, rimangono si­
gnificative per sempre, poiché I' «ordine eterno» non conosce
epoche prive di significato. Dodd sviluppa la sua concezione
della «escatologia realizzata» attraverso un'analisi del concet-

presuppone che le parabole non siano altro che un involucro esteriore (motivato di­
datticamente) di un contenuto dottrinale esprimibile anche senza di esse.
103. Per es. Dodd, Parables, 36 s. 44 e passim.
104. Op. cii. , 1 1 3.
105. Per es. op. cii. , VII (prefazione alla terza edizione).
1o6. lbid.
107. cRealized eschatology», cfr. pp. 51. 198 e passim.
108. Il concetto di «eternai order», ad es. op. cii. , 1o8; cfr. anche op. cii. , 109: cThe
eternai signifìcance of history had revealed itself in the crisis (ossia nella passione e
nella morte di Gesù)».
109. Op. cii. v n , cfr. anche p. 197.

32
to del regno di Dio in Gesù. Gesù predicò il regno di Dio co­
me oggetto di un'esperienza già attuale. "0 Non basta definirlo
imminente: esso è già presente. "' In Gesù, il regno di Dio dalla
sfera dell'attesa si è già spostato a quella dell'esperienza rea­
lizzata . ... Ma il mistero del regno di Dio non consiste solo in
questa sua presenza, bensl anche nel suo manifestarsi in for­
ma paradossale nella passione e morte del rappresentante di
Dio."1 L'eschaton pertanto non è ugualmente presente in ogni
singolo istante dell'attività di Gesù; bisogna dire piuttosto che
l 'intervallo tra l'inizio e la fine di quell'attività viene qualifica­
to, nella sua totalità, dal realizzarsi del regno di Dio. In tal
senso la presenza della basileia include anche un limitato
aspetto di futuro, nella misura in cui Gesù previde uno svi­
l uppo storico della situazione in cui viveva e annoverò nella
presenza dell'eschaton anche le crisi (sua personale, dei di­
scepoli, e del popolo giudaico) . "4
La concezione di Dodd della escatologia realizzata ha note­
voli conseguenze per quel che riguarda l'aspetto futuro ine­
rmte al regno di Dio nelle parole di Gesù. Così per esempio
l'immagine del giudizio universale servirebbe soltanto a con­
ferire vivacità e forza alle ammonizioni."' Tutte le affermazio­
ni sul futuro andrebbero viste come un insieme di immagini,

1 1 0. « . . . Jcsus intended to proclaim the kingdom of God not as something to come in


1 1 1<· ncar future, but as a matter of present experience» (op. cii., 46).
111. «h is not merely imminent, it is here» (op. cii. , 49) .
1 1 i . Op. cii. , 50.
1 1 1 . «This is the 'mistery of the Kingdom of God'; not only that the eschaton, that
whkh bclongs properly to the realm of the 'wholly other', is now matter of actual
1 · � 1 •l·1·icnce, but that it is experienced in the paradoxical form of the suffering and
dr.uh of God's represe ntat ive» (op. cii., 79 s. ) .
1 1 + ( ;csù «forecast historical devclopments o f the situation in which H e stood. I n
1 •111 1 in1lar, He forecast a crisis in which He Himself should die and His followers
-nl ll-r severe pcrsecution . . . ». Egli predisse parimenti «the disaster for the Jewish
l •l'l lplc and their tempie» ; Dodd, op. cii., 66 s. C'è da chiedersi però se si possa par­
oll l' nncora di «presente» senza che il concetto venga a perdere la sua pregnanza.
1 1 \. «Thc time-honoured image of a Last J udgement is simply assumed, and used to
111w vivi<lncss and force to solemn wamings» (op. cii., 83).

33
che serve solo ad esprimere simbolicamente le realtà eterne. 1 1 6
Si parla del futuro della basileia per esprimere simbolicamen­
te il fatto che essa si inserisce nella storia, ma senza esaurirsi
117
in essa. Le affermazioni sul futuro sono solo «accomodation
of language», poiché nell'ambito dell' «ordine eterno» non c'è
né un prima né un dopo. "� La comunità postpasquale (eccetto
Paolo e Giovanni)119 ha frainteso il carattere simbolico delle af­
fermazioni di Gesù sul futuro, e interpretandole in senso let­
terale ha sviluppato una nuova escatologia cristiana ispirata ai
modelli apocalittici del giudaismo (per es. Mc. 13)."0 Agli oc­
chi di Dodd, questa tendenza escatologica generalmente rico­
noscibile nell'interpretazione cristiana delle parole di Gesù,
equivale a una ricaduta nel giudaismo."'
È evidente che questo ripensamento doddiano dell'escato­
logia di Gesù incide notevolmente nell'interpretazione delle
parabole. Le «parabole della crisi», alle quali in primo luogo
ci si appella per attribuire a Gesù una escatologia futura,"' da
Dodd vengono radicalmente reinterpretate identificando la
venuta giudiziale del Figlio dell'Uomo con una serie di eventi
del presente: la persecuzione di Gesù e dei suoi seguaci, la di­
121
struzione del tempio e della nazione giudaica. In questo mo­
do diventa possibile applicare tutte queste parabole «escato­
logiche» al contesto della vita di Gesù.'"' Analogamente per le

n6. Op. cii. , rnS.


1 1 7. Ibid.
nS. Ibid.
n9. Op. cii. , 1 32 .
1 20. «But meanwhile those who took his words literally built up a new Christian
eschatology on the lines of the Jewish apocalyptic tradition» (op. cii , 1 3 3 ) .
.

1 2 1 . L a tendenza viene constatata, op. cit. , 1 35 ·


122. Op. cii. , 15+
123 . cii. , 170: « The coming of the Son of Man, in its aspect as judgement, is rea­
Op.
lized in the catastrophes which Jesus p redicted as lying immediately in store - thc
pcrsecution of Himself and Hìs disciples, the destruction of the t empie and of thc
Jewish nation».
124. Op. cii. , 174. È degno di nota che qui le attenuazioni sul futuro non sono più
solo «imagery», ma che vengono intese completamente in senso proprio.

34
«parabole della crescita» Dodd si schiera contro l'interpreta­
zione dominante che le riferisce alla storia futura della basi­
leia nel mondo (sia che la si intenda come sviluppo, sia che la
si intenda - nell'«escatologia conseguente» - come immi­
nente catastrofe finale) ."' Secondo Dodd, invece, le parabole
della crescita vanno riferite al presente: il raccolto è arrivato,
l'eschaton si rende presente nel complesso degli eventi messi
in moto da Gesù. "6 Un misterioso processo di crescita ha avu­
to già luogo in precedenza, "7 la storia di Dio con Israele ed il
mondo ha raggiunto il culmine in Gesù. "8 La concezione dod­
diana dell'escatologia realizzata fonda, infine, la distinzione
tra allegoria e parabola. La parabola, nel senso più generale, è
fondamentalmente «a metaphor or simile drawn from nature
or common life» che cattura l'uditore con la sua singolarità e
la sua vivacità e lo lascia un po' incerto sulla sua esatta appli­
cazione, stimolandolo a riflettere ulteriormente. "9 La demarca­
zione tra le tre classi di parabole (detto figurato, similitudine
e racconto parabolico) non può essere tracciata rigidamente,
ma tutte e tre risultano qualitativamente differenti dall'allego­
ria, poiché in questa ogni dettaglio equivale a una metafora
autonoma con un proprio significato, mentre la normale pa­
rabola presenta un unico termine di paragone. ' 10 La si ricono­
sce dal fatto che in esso ogni dettaglio risulta in armonia con
la natura e con la vita. Si può riscontrare qualche elemento

1 2 5 . Op. cii. , I]:; s.


l l6. Op. cii. , 185.
1 i7. Op. cii., 193: «An obscure process of growth has gone before it . » .
..

1 21!. Ibid. In Dodd la definizione dcl rapporto tra eschaton e storia implica una de­
l l'rm inata concezione della storia. La storia di Dio col mondo, che era iniziata nel­
!' A nt ico Testamento, si concluse con gli eventi attorno a Gesù ; questi eventi in
q 1 1 :111to fine della storia, in quanto pienezza dei tempi equivalsero alla rivelazione
l hl orica) del senso della storia, dal quale la storia profana è connotata prima e dopo
( Ì l·sì1 Cristo. Il compito della chiesa è, mediante la ripetizione di quella fine della
'1 nri:1 attraverso la sua parola, di introdurre nel giudizio la storia ulteriore e condur-
1 l' rosì l'uomo alla salvezza.
1 ' ' ' · Dodd , Parables, 16.
1 111. Op. cii. , 17- 1 9 .

35
che per la sua speciale configurazione si rivela determinato
dall' applicazione che si ha di mira;'1' essi però restano rigorosa­
mente subordinati alla pointe e non compromettono l'unità
della parabola.'1' Questo realismo della parabola, secondo
Dodd, non è motivato dalla necessità di un'efficacia didasca­
lica, bensi dall'intima affinità tra l'ordine naturale e quello
spirituale, dalle somiglianze tra il regno di Dio nella sua in­
trinseca realtà ed i fenomeni della natura e la vita quotidiana
degli uomini.'n L'affinità dei due ordini si basa sulla creazione
di entrambi da parte di uno stesso creatore.'>+ In tal senso in
Dodd la differenza tra parabola e allegoria deriva dal rappor­
to tra creazione ed eschaton, in quanto tra natura ed eternità,
tra ordine naturale ed ordine eterno, sussiste una analogia en­
tis. Colui il quale per descrivere l'ordine eterno si vede co­
stretto a far ricorso all'irrealtà dell'allegoria, dimostra di non
credere a tale analogia e di non prendere sul serio la natura
come creazione di Dio. In tal senso, c'è una precisa connes­
sione, negli apocalittici, tra la loro visione pessimistica del
mondo e il ricorso all'artificiosità dell'allegoria come unico
veicolo della verità divina. • n
È stato dunque il postulato dell'analogia entis tra natura ed
eternità che ha consentito a Dodd di trovare una risposta al
problema della verità delle parabole. T aie verità infatti riposa
sulla effettiva somiglianza tra la basileia e la vita della natura e
della società. Il realismo delle parabole diventa automatica­
mente la garanzia della loro verità, poiché questa si basa sul­
l'uguaglianza tra la basileia, la natura e la vita sociale.116 In una
1 3 1 . È probabile «that details will be insertcd which are suggestcd by their special
appropriateness to the application intended. .. » (op. cit. , 2 1 ) .
1 32. lbid.
1 3 3 · «lt (se. the realismi arises from a convinction that therc is no mere analogy, but
an inward affinity between the natural order and the spiritual order; or ... thc King­
dom of God is intrinsically like the process of nature and of the daily life of men»
(op. cit. , 21 s.).
1 34. Op. cit. , 22. 1 35 . Ibid.
1 36. A differenza del criterio di verità di Ji.ilichcr (simplex sigillum veri, cfr. sopra,
p. 22) si potrebbe dire nel senso di Dodd: la naturalezza è il sigillo della verità.
tale concezione però è reso impossibile quel trascendimento
critico del mondo, che è richiesto dalla basileia stessa; ed è
questo un punto sul quale si dovrà riflettere più approfondi­
tamente; 1 17 come pure sul fatto che in esso diventa secondario
chi pronunzia la parola e ilfatto stesso che essa venga pronun­
;data: Gesù come narratore delle parabole viene ad assumere
un ruolo puramente accidentale.

/oachim ]eremias
.Jeremias si ricollega esplicitamente all'opera di Dodd e ri­
leva che con essa è iniziata <<Una nuova epoca nella ricerca
sulle parabole».''8 Il collegamento sta soprattutto nello sforzo
sistematico di ricondurre le parabole alla vita del Gesù storico
e così di ricostruire « . . . la forma possibilmente più antica del­
la predicazione in parabole di Gesù». 1 19 Per l'impresa di ritro­
vare la «ipsissima vox di Gesù», le parabole si rivelano parti­
colarmente idonee. 140 Esse sono «parte della roccia primordiale
della tradizione»;141 «rispecchiano» la predicazione di Gesù
« con particolare chiarezza»,'+' «quando leggiamo le parabole,
11bbiamo a che fare con una tradizione particolarmente fede­
le, siamo a contatto immediato con Gesù».'41 Tuttavia le para­
lmle ci pongono di fronte ad « Un arduo problema . . . : la deter­
minazione del loro significato originario».'44 Jiilicher si è avvici­
nato notevolmente alla soluzione di questo problema elimi­
nando l'interpretazione allegorica, '4' «ma ha compiuto solo la

1 1 7 . Al r ig u ardo , si veda sotto, r . 2.2 e r .2.6.


1 18 . .J crcmias, Gleichnisse, 5 (premessa alla sesta edizione).
I l•J. f/Jùf.
"I"· lbid. e passim.
1 .p . Op. cii. , 7.
l .j l . lhùl.
1 .1 1 . Op. cii. , 8.
• ·H · Op. cii., 9 (corsivo nel testo).
"I ' . Op. cii. , 14.

37
metà dell'opera».'46 Il suo errore consistette nel vedere l'appli­
cazione delle parabole in verità di carattere generale miscono­
scendone in tal modo il senso originario. '47 L'elemento nuovo
e decisivo, secondo Jeremias (sulla linea di A.T. Cadoux,
B.T.D. Smith e principalmente Dodd) sta nella consapevolez­
za che ogni parabola «è stata narrata in una situazione con­
creta della vita di Gesù»,'48 dalla quale dipende il suo significa­
to originario. In Jeremias però la concretezza delle diverse si­
tuazioni viene subito sottoposta di nuovo ad una generalizza­
zione, in quanto viene ricondotta nell'ambito della conflittua­
lità, e le parabole (nella maggior parte dei casi) vengono defi­
nite «armi da combattimento».149
Chi vuole riscoprire il senso originario delle parabole deve
innanzi tutto tener conto del fatto che esse hanno «una dupli­
ce collocazione storica».'jO Da una parte infatti hanno la loro
collocazione storica originaria, di volta in volta «in una situa­
zione irripetibile del ministero di Gesù», dall'altra, hanno una
collocazione «nella vita e nel pensiero della chiesa primiti­
va». ''' In Jeremias l'approccio storico-morfologico''' assume
una funzione negativa, in quanto le leggi storico-morfologi­
che, assieme ad altre «leggi di trasformazione» •n costituiscono
lo strumento metodologico per riportare alla luce, partendo

146. Op. dt., 1 5 .


147. Ibid.
148. Op. di. , 17.
149· Op. di. , 18. Questo modo di vedere determina un restringimento nell'interpre­
t az io ne della parabole: quasi tutte le parabole servirebbero a di fendere, contro gli
avversari di Gesù, l'ammissione dei peccatori e dei disprezzati nella basileia. Defi­
nendole formalmente «armi da combattimento», viene limitata la ricchezza delle pa­
rabole. In questa concezione inoltre esse non sarebbero più il vangelo stesso, ma so­
lamente una difesa di esso.
150. Op. dt. , 19 (corsivo nel testo).
151. lbid.
152. Jiingel rileva come Jeremias limiti la categoria storico-morfologica di Sitz im
Leben alla comunità, mentre a proposito di Gesù parla di «situazione storica»; cfr.
Paulus und ]esus, 118.
153. Jeremias, G/eichnisse, 21-114; l'espressione è a p. 19.
dalle parabole tramandate dalla comunità, le parabole origi­
narie di Gesù. ' H La classificazione storico-morfologica delle
parabole in diverse categorie equivale per J eremias a volerle
ricondurre ad una legge «ad esse estranea»'" poiché il «masal
abbraccia tutte queste categorie ed altro ancora».''6 Le trasfor­
mazioni più importanti subite dalle parabole sono quelle do­
vute allo «spostamento d'accento . . . dall'escatologico al pare­
netico», determinato dall'applicazione delle parabole alla «si­
tuazione concreta» della chiesa primitiva.''7 Uno dei mezzi per
ottenere l'adattamento delle parabole alla situazione concre­
i a, che «era determinata innanzitutto dal ritardo della parusia
e dalla esperienza missionaria», consistette nell'allegorizzazio­
nc (di tipo cristologico e di tipo parenetico) .''8 L'allegorizza­
zione pertanto è una conseguenza del decorso storico da Gesù
alla chiesa primitiva. Come tale essa è allo stesso tempo la
conseguenza del modificarsi dell'escatologia. Se Gesù e le sue
parabole erano fortemente pervasi dalla «certezza della esca­
tologia in via di realizzazione»,''9 le parabole della chiesa pri­
m itiva sono pervase dallo sforzo di risolvere il problema del-
1 ' intervallo tra la pasqua e la parusia. Ma dove l'approccio
storico dell'interpretazione delle parabole da parte di Jere­
m ias rivela maggiormente la sua carica dirompente, è nella
t/Uestione della verità. «Quale grande fortuna per noi poter
i ntravedere dietro il velo (che la chiesa primitiva ha posto sul­
le parabole) anche solo parzialmente il volto del Figlio del­
l ' Uomo ! Tutto dipende dalla sua parola ! Solo l'incontro con
l u i può dare piena forza al nostro annuncio cristiano ! ».'00 Le
IH · Op. cii. , 1 14.
' '�· Op. cii. , 16.
' ' ''· lhid. Il metodo della storia delle forme non è in grado quindi dì cogliere il signi­
/11 1110 delle parabole.
IV Op. cii. ' II 3.
1 �K. Op. cii. , 64, cfr. p. 1 13 .
1 � · 1 . Op. cii. , 2 2 7 con l a n. 3, dove Jeremìas registra i l consenso di Dodd al suo con-
1 1• 1 1 0 di «escatologia realizzantesi». In verità, il consenso di Dodd nulla toglie alla di­
w r s i t à delle due concezioni nel concepire il rapporto fra storia ed eschaton!
1 lu I , Op. cii. , 1 1 4 .

39
parabole dunque sono vere poiché è stato il Gesù storico, «il
Figlio dell'Uomo», il «Salvatore»161 a pronunciarle. La ipsissi­
ma vox Iesu come fenomeno ricostruibile con strumenti stori­
ci diventa il criterio di verità anche in senso teologico. Da
questo punto di vista tutto il lavorio della chiesa primitiva
sulle parabole non ha fatto altro che occultarne la verità.
«Niente e nessuno più del Figlio dell'Uomo e della sua parola
possono conferire pienezza d'autorità alla nostra predicazio­
ne».16' Chi condivide un presupposto di questo genere, non
troverà nulla di riprovevole nell'intraprendere la sistematica
lacerazione di questo «velo».'61

Eta Linnemann
Partendo dalle «acquisizioni incontestabili dell'interpreta­
zione delle parabole nell'epoca più recente, legata ai nomi di
Cadoux, Dodd e Jeremias»,'6� Eta Linnemann sottolinea che
«l'interprete che s'interroga sul senso di una parabola (di Ge­
sù) . . . deve riflettere attentamente sulla sua situazione origina­
ria » . ' 6' «La sua situazione originaria è la conversazione, il dia­
logo».'66 «La parabola tende a superare il divario tra la valuta­
zione di una determinata situazione di parte di colui che par­
la, e quella degli uditori».'67 Una caratteristica fonda·mentale
delle parabole di Gesù è che esse sono «indirizzate per lo più
agli avversari», non però per confutarli, ma per ottenere il loro
consenso. 168 È per questo che nella parabola il narratore lascia

161. Op. cii. , 227.


162. Op. cii. , ' (prefazione alla sesta edizione) .
163. Per una presa di posizione critica c&. sotto, 1 .2.6.
164. Linnemann, Gleichnisse, 30 .
16, . Op. cii. , 31 (corsivo mio).
166. Op. cii. , 27.
167. Op. cii. , 30 .
168. lbid. (in tal modo la tesi di Jeremias viene essenzialmente modificata). La Lin­
nemann si rifà alle tesi di Jiilicher e Bultmann sul carattere «argomentativo» delle
parabole.

40
i ntenzionalmente spazio agli uditori, illustrando in un deter­
minato modo una realtà nota anche a loro, per far posto nella
parabola al loro modo di giudicare. '69 Di qui il fenomeno del-
1' «incrociarsi» [ Verschriinkung] , come lo definisce la Linne­
mann.'10 «Nella parabola il giudizio del narratore sulla situa­
zione in discussione viene ad incrociarsi con quello degli udi­
tori».171 Chi non prende in considerazione questo incrociarsi
dei punti di vista, non può «accedere a ciò che Gesù real­
mente ha inteso dire».'7' La Linnemann definisce le parabole
come evento linguistico, poiché in esse avviene «qualcosa di
decisivo . . . mediante la parola»: in la parabola «introduce nella
situazione una nuova possibilità e costringe il destinatario ad
una decisione».'74 Ne consegue che l'interprete odierno deve
tentare di « recepire le parabole di Gesù con l'orecchio dei
suoi primi uditori». '7' «Esse vanno analizzate in relazione alla
loro situazione storica originaria, poiché solo cosi rivelano il
loro significato, che trascende ampiamente quella situazio­
1 76
ne». La definizione, che la Linnemann dà delle parabole co­
me evento linguistico che vuol provocare un «cambiamento
csistenziale»,'n consente di stabilire una diretta relazione tra
l ' i nipetibile situazione originaria e tutte le situazioni successi­
ve . In tal modo diviene significativo ciò che è storicamente ir­
ripetibile.

' '"' · Op. cii. , 3,.


1 /1 1 . lhid.
1 1 1 . lbid.
1 ; i . Op. cii. , 36.
I / \ . Op. cii. , 39.
1 14 . Op. cii. , 38. La costrizione a prendere una posizione contraddice, a mio avviso,
1l ll·11omeno che la Linnemann definisce come l'«incrociarsi» [dei punti di vista] . Per
1 11111 riflessione più ampia v. sotto, 1 . 2.8.
1 1 1 . Op. cii. , 42.
I ;6. Op. cii. , 4 1 .
1 1 1 . Op. cit. , 39, cfr. p. 41. Il metodo che consente il riferimento al presente è quindi
I' 1•nncneutica esistenziale.

41
1.1.3. L'approccio ermeneutico

Per approccio ermeneutico nell'interpretazione delle para­


bole intendiamo quell'approccio che riconduce ad un'unità la
questione storica del significato delle parabole e la questione
teologica della maniera adeguata di parlare di Dio; e cosl si
pone l'unità delle due questioni come problema ermeneutico.
Come esempi particolarmente fecondi di questo approccio,
presentiamo le linee generali abbozzate da Ernst Fuchs e da
Eberhard Jiingel.

Ernst Fuchs
A prima vista si potrebbe avere l'impressione che Fuchs sia
abbastanza vicino all'approccio storicizzante di Joachim Je­
remias. 178 Se è vero che le parabole di Gesù si riferiscono a
Gesù stesso in modo tale da essere «illuminanti autotestimo­
nianze di Gesù»,'79 se «la prassi di Gesù . è la vera cornice in
. .

cui inquadrare la sua predicazione»,'8o si potrebbe dedurre che


Fuchs (come Jeremias) consideri la situazione storica origina­
ria delle parabole come elemento costitutivo del loro signifi­
cato. A questo però si oppone il fatto che né la «prassi di Ge­
sù» né I' «autotestimonianza di Gesù» possono essere intese
come categorie storiche. Infatti, .la «prassi di Gesù» è la cor­
nice della sua predicazione, in quanto essa è un agire al posto
di Dio;18 1 solo definita in questi termini costituisce il contesto
delle parole di Gesù, le quali mostrano che egli voleva essere
compreso unicamente in relazione a Dio, 1 82 e nelle �uali egli
178. Jeremias comunque espresse «vivo consenso» nei confronti di un saggio di E.
Fuchs (G/eichnisauslegung, in GA Il, 136·142), nel quale questi definiva le parabole
come «implicita autotestimonianza cristologica»; cfr. Jeremias, Gleichnisse, 227 n. 1.
179. Fuchs, /esus, 94 anche in Hermeneutik, 223. 227: cfr. Gleichnisauslegung, in GA
Il, 1 39: «Ma mi sembra che le parabole di Gesù riguardino innanzitutto il nostro
rapporto con Gesù stesso» (corsivo mio) .
180. Fuchs, /esus; cfr . anche, dello stesso autore, Neues Testament, in GA III, 15'.
181. Fuchs, ZThK ,3, 219.
182. Fuchs, Der historische /esus als Gegenstand der Verleiindigung, in GA 111, 439.

42
elargisce «i tesori di Dio e la potenza di Dio». 'K3 In tal senso la
«prassi di Gesù» è una categoria teologica. Ne consegue che la
particolare situazione originaria di una parabola rimane irri­
levante per l'interpretazione e pertanto da Fuchs non viene
considerata. Inoltre «l' autotestimonianza di Gesù» non può
essere intesa in senso psicologico come «autodefinizione», os­
sia come «definizione di un'autocoscienza di Gesù»;'14 piutto­
sto, le parabole sono autotestimonianze in quanto soprattutto
in esse (molto più che nei rimanenti logia) «si esprime lingui­
sticamente la comprensione che Gesù aveva della propria si­
t uazione».'8' Esse sono pronunziate « . . . nella situazione in cui
si trovava Gesù: la situazione di un uomo che pensava agli al­
t ri (al loro futuro) e solo partendo dagli altri pensava se stes­
so » . '116 «Autotestimonianza» dunque significa il dato sulla si­
t uazione di Gesù, sulla sua collocazione, piuttosto nel senso
d i un «esistenziale».1 87 L'autotestimonianza delle parabole tra­
scende la questione storica dell'autocoscienza di Gesù.
Fuchs si distingue dalla linea dominante sin da Jiilicher an­
d1e perché egli rinuncia alla distinzione tra «parte reale» e
«parte figurata». 1 88 «Le parabole come tali sono senza contesto
l' pertanto non possono avere un'applicazione ! Sono esse
st esse applicazione ! ».'89 Contro Jeremias, Fuchs sottolinea che
la parabola è essa stessa spiegazione e quindi non tollera in
11lcun modo un'applicazione,190 e questo perché la similitudine
t' i l racconto parabolico non mirano principalmente «allo svi­
luppo di proposizioni illustrative». 191 La parabola non ha lo

1 K \. Fu ch s , Wirklichkeit, in GA 111, 460; cfr. Jesus, 122 e Einleitung, in GA 111, n.


1 K.1 . F uch s , Jesus, 95 .
1 K � . Fuchs, Sprachgeschehen, in GA 1 1 1 , 239, cfr. 244.
' "'" Fuchs, l:Iermeneutik, 227.
1 K; . Elemento essenziale della situazione di Gesù è anche la «gioia di Dio», un da·
1 1 1 1·,istcnziale che caratterizza anche il Gesù storico nelle sue parabole più belle»
1 1 :11rhs, Selbstbeherrschung, in GA 111, 323).
1 KK. Fuchs, ]esus, 103. La supposizione di Jiingel si è rivelata valida.
I K•). Op. cii. , 105.
1 • 11 1 Fuchs, Gleichnisauslegung, in GA 11, 1 36.
1 •1 1 . Fuchs, Hermeneutik, 219.

43
scopo di ammaestrare l'uditore sulla verità, bensì vuole aiuta­
re l'uditore a prendere posizione di fronte a quella verità. '9' «Se
l'applicazione di ciò che è detto nella parte figurata deve re­
stare aperta, non è forse proprio perché così la parte figurata
costringe l'uditore ad una presa di posizione per responsabi­
lizzarlo ad un determinato comportamento?».'91
Il rifiuto della distinzione tra «parte figurata» e «parte rea­
le» deriva dunque dalla definizione fuchsiana delle caratteristi­
che delle parabole di Gesù. La forma linguistica della parabola
è determinata dalla vicinanza di Dio che non può essere assi­
curata da nessun'altra forma linguistica. Il problema non è
rendere vicino un Dio lontano, bensì rendere dicibile una vi­
cinanza di Dio, tale che finirebbe per bruciarci, se non si rea­
lizzasse attraverso la parabola. '94 La forma linguistica della pa­
rabola è atta a esprimere il futuro di Dio come evento, che
«quando si compie, si compie in una vicinanza tale che nessun
discorso diretto può esprimerla».19' In questo modo viene va­
lutata appieno la specificità teologica (ed escatologica)'96 della
parabola in quanto parabola e si abbandona la distinzione tra
forma e contenuto (che si manifesta nella distinzione tra metà
figurata e metà reale) .
Questo rendersi vicino del futuro di Dio, realizzato lingui­
sticamente nella predicazione di Gesù, implica che per l' «udi­
tore non può trattarsi di un semplice insegnamento sulla veri­
tà, bensì del fatto che il suo atteggiamento nei confronti di
quella verità diventa una questione incalzante. «Gesù si di­
stingue dal Battista, perché tenta di avvicinare la basileia ad
ogni singola persona nella sua esistenza». '97 I racconti parabo-

192. Cfr. ad es. Fuchs, Jesus, 38; Idem, Hermeneutik, 2 17. 2 1 9 ed altrove.
193. Fuchs, Hermeneutik, 222.
194. Cfr. Puchs, Jesus, 22.
195. Fuchs, Hermeneutik, 217.
196. Nella misura in cui la vicinanza appartiene all'essenza stessa di Dio (come mo­
stra chiaramente il discorso di Gesù riguardo alla basileia), teologia ed escatologia
(di Gesù) coincidono.
197. Fuchs, Jesus, 104.

44
l ici (e le similitudini) mirano a determinare «una nuova presa
di posizione degli uditori».1!18 Esse provocano nell'uditore una
decisione che coinvolge l'intera esistenza: fermo restando che
«il miracolo di questo cambiamento di posizione in noi» è
una questione che riguarda Dio solo.199 È in tal senso che alle
parabole viene attribuito un carattere argomentativo. Come
avviene che nasce in noi una nuova presa di posizione? In
quanto Gesù, servendosi del linguaggio parabolico, rende vi­
00
sibile Dio, «ma all'interno della nostra vecchia esistenza». 2
Nella parabola le strutture della nostra vecchia esistenza ven­
gono mantenute come presupposto per la comprensione e co­
me tali dialetticamente riferite alla nuova esistenza creata (o
desiderata) da Dio. 2°1 «Le parabole di Gesù operano uno stra­
niamento, con lo spingere all'estremo la logica del vecchio
mondo fondato sulla retribuzione»; 202 ci «ricordano la nostra
esperienza di vita, per poterci dire qualcosa di più importan­
t e . . . »: vogliono parlare di Dio. 203 Esse vanno a prendere l'uomo
là dove può essere raggiunto come uomo, per condurlo a
prendere posizione di fronte al futuro di Dio ormai vicino.
« Le parabole di Gesù non cambiavano gli uomini, ma certa­
mente cambiavano la loro situazione, non appena ciascuno
comprendeva cos'era che faceva parlare Gesù»."" In quanto
parola che dona all'uomo una nuova situazione, la parabola lo
mette in movimento, «è una parola che si prende cura dell'u­
d i tore, lo volge verso la salvezza, pertanto . . . una parola . . . che
lo m uove», è una «parola in movimento», un «logos ana lo-

1 •iK. Op. cii. , 38.


• 'l•J. Op. cii. , 40.
Joo. Op. cii. , 44 (corsivo mio).
" 1 1 . Cfr. ad es. l'espressione seguente (Fuchs, Jesus, 33): «Entrambe le parabole (se.
Alt. 20, 1 ss. e 18,23 ss. ) sono para bole ermeneutiche. Ossia: proprio perciò la bontà e
l,1 �cvcrità non si escludono a vicenda; poiché l'una rimane il presupposto per lo me·
110 per la comprensione dell'altra».
wi. Fuchs, ]esus, 123.
li i \ ,
ruchs, Wunder, in GA III, 476.
'"·I · Fuchs, Chrislliche Verkiindigung, in GA lii, 426.

45
gon».'0' La parabola libera l'uditore dal blocco che lo lega alle
mentalità di questo mondo, è «un appello a coloro che sono
morti, ai peccatori sottomessi alla legge del peccato e della
morte»."16 Lo muove a rendersi conto della presenza della ba­
sileia e proprio così essa resiste «in verità alla morte», condu­
ce «alla vita eterna. Non è così?»."'7 «La parabola di Gesù co­
me parabola escatologica è per così dire una rappresentazione
in miniatura, che mette in scena qualcosa».208 Con la sua forza
linguistica essa muove l'uditore a superare la sua distanza nei
confronti delle cose udite;'°"' se l'uditore ci riesce, in pari tem­
po guadagna una distanza nei confronti di se stesso, è rimesso
in via verso la sua salvezza. Fuchs intende fondamentalmente
le parabole non come dottrina sul regno di Dio, bensì come
annuncio che è a"ivato il momento del regno di Dio. Le para­
bole mirano a suscitare la consapevolezza che adesso il tempo
di amare è arrivato. Riguardo alla escatologia di Gesù, non è
in gioco «la questione banale, se Gesù si sia sbagliato nel cal­
colare la distanza cronologica», ma la «questione giusta e
sempre attuale, se Gesù si sia sbagliato nel credere che il mo­
mento di amare fosse arrivato»."" «La predicazione di Gesù,
al pari della sua prassi. .., altro non è che un annuncio sul
tempo, sul tempo nuovo del regno di Dio»."' Ciò vale per la
predicazione della prassi di Gesù in generale, ma vale in mo­
do particolare per le parabole: «esse danno voce . . . al tempo
nuovo, perché dischiudono il tempo della fede».m Poiché la
205 . Fuchs, Jesus, 77.
2o6. Fuchs, Einleitung, in GA m, 2 1 .
207. Fuchs, Neues Teslamenl, i n GA 111, 1 6o ; cfr. l a frase seguente (jesus,•79) : «Nella
parabola si manifesta la rivelazione definitiva di Dio, qualcosa come la resurrezione
individuale dci morti, come opera di Dio ed in nessun modo come opera nostra - e
tutto ciò in actu».
208. Fuchs, Jesus, 92.
209. lbid.
210. Fuchs, Zeitversliindnis, in GA II, 375 . Si tratta quindi della questione se la vici ­

nanza dcl regno di Dio sia realmente la sua essenza.


z u . Fuchs, Neues Testament, in GA 111, 155.

212. Fuchs, ]esus, 80 [gioco di parole, intraducibile, fra aus-sprechen, esprimere, e :cu­
sprechen, aggiudicare, assegnare] .
parabola annuncia il tempo nuovo, all'uditore viene aperto un
varco verso di esso, vien fatto entrare. «Quando Gesù parla in
parabola, utilizza la forza del linguaggio per farci accedere là
dove Dio ci parla, perché è da Dio che siamo interpellati»:'3
Poiché ci consente laccesso, «la parabola è. . . un dono. Essa
elargisce»."� In tal senso Fuchs richiede una «interpretazione
sacramentale»"' delle parabole cosl come di tutta la predica­
zione di Gesù.
Questa caratterizzazione delle parabole come parole «che
fanno entrare», «che aprono l'accesso», è in stretta relazione
con la concezione di Fuchs dell' essenza del linguaggio. Aprire
l'accesso è la natura stessa del linguaggio."6 Se chiamo un altro
uomo «fratello», gli apro l'accesso a me in quanto fratello."1
Quando in questo modo attraverso la parola viene aperto
l'accesso, il linguaggio si fa evento, si compie un «evento lin­
guisticm>."8 Altrettanto connaturale al linguaggio è l'essere
«annunzio del tempo»,"9 dove è da fare attenzione che «il
l inguaggio è presente come linguaggio solo là dove si compie
come evento»."°
Se il linguaggio è essenzialmente apertura di un «accesso» e
«annunzio del tempo», quando viene usato conformemente a
questa sua natura, esso crea nell'interlocutore una nuova si-

lI i· Op. 91.
cii. ,
i r 4. Op. 1o6.
cii. ,
l i � · Fuchs, Jesus, 1o6.
i r6. Op. di. , 90: «Il linguaggio fa entrare», per es. esso rende deplorevole ciò che
1 •sso condanna.

l l 7. Fuchs, Sprachereignis, in GA II, 426.


1 1 X . Per il concetto di «evento ling ui s tico » cfr. per es. Fuchs, Sprachereignis, in GA
1 1 , 427 e la frase: «L"cvento li nguisti co' è l'evento di un ap ert u ra che si dischiude
'

l l lcll iante il lin guaggio » (Fuchs, ]esus, 90 s.). Bisogn a di s t in g uere rigorosamente l'e·
wnto l inguistico [Sprachereignis] dall'«atto del parlare [Sprechereignis] », in cui si
rnmpic una «appropriazione, un dominio» (op. cii. , 89) . Anche i sacramenti, nella
misura i n cui vanno concepiti nella categoria dcl dono gratuito, non sono «un atto
i l1·I parlare, bensl un evento linguistico» (Fuchs, Sprachereignis, in GA II, 427) .
" "· Fuchs, Neues Teslamenl, i n GA 111, 1 5 2 .
1 w . Fuchs, Sprachereignis, i n GA I I , 426.

47
tuazione. Il linguaggio consente di superare il reale. Da un
punto di vista ontologico il linguaggio assume un rango supe­
riore rispetto a quello della realtà. «Nel linguaggio la realtà
viene aiutata a raggiungere la sua verità: solo nel linguaggio si
manifesta la verità della realtà»."' In primo luogo nel senso
che la realtà può essere afferrata soltanto attraverso il lin­
guaggio. «Se il reale di volta in volta deve essere afferrato . . . ,
ciò dipenderà dal fatto che il suo presente deve coincidere con
il mio».,., « È reale», per noi, «solo ciò che, attraverso il lin­
guaggio, si può esprimere ( . ) come presente».m Questa con-
. .

cezione linguistica implica « . . . che il linguaggio ha un ruolo


preminente rispetto alla realtà . . . »;"4 che non sia solo uno stru-
mento di comunicazione (che consente di comunicare circa il
reale) , ma abbia il «prius, la preminenza rispetto ad ogni pen­
siero»."' Il linguaggio infatti «rende evento non solo l'esisten­
te, bensl l'essere stesso»."6
Dicendo che il linguaggio fa raggiungere alla realtà la sua
verità, sottintendiamo una distinzione tra realtà e verità, per lo
meno nel senso che il reale non può essere esso stesso criterio
di verità. Esso è, piuttosto, ciò che dev'essere colpito dal lin­
guaggio per poter arrivare alla sua verità. È il linguaggio stes­
so dunque che porta con sé la verità. E per quanto riguarda il
linguaggio della fede, possiamo dire che «nel senso della fede
è il possibile che, linguisticamente, fa raggiungere al reale la
sua verità e cosl lo esprime, quale esso è, come realtà in dive­
nire». "7 Per «possibile» qui non si intende un possibile defini­
to a partire dalla categoria della «realtà», nel senso che «possi-

221. Fuchs, Hermeneulik, 132. È questa a parer mio l'affermazione fondamentale


della dottrina di Fuchs sul linguaggio.
222. Op. cii. , 130. Il passaggio dalla realtà al linguaggio va inteso come un evento sui
generis.
223. Op. cit , 1 30.
.

224. Op. cii. , 1 32.


225. Fuchs, Jesus, 78, cfr. 141 .
226. Fuchs, Sprachereignis, in GA 1 1 , 425.
227. Fuchs, Hermeneutik, 2u (corsivo mio).
bile» equivale semplicemente a ciò che non ancora è reale. Il
linguaggio della testimonianza neotestamentaria eleva «a veri­
tà in noi non qualcosa che è già reale ma qualcosa che viene e
che solo in tal modo si rende presente»."8
Questo possibile, che il linguaggio eleva a verità in noi, è il
futuro di Dio, la basileia ormai vicina. È essa il diveniente che
si esprime come qualcosa di venturo, e solo così come qual­
cosa di presente. Il linguaggio, che vuole esprimere questo di­
veniente, è essenzialmente il linguaggio analogico. Perciò «la
particolarità più vistosa del linguaggio neotestamentario» è
«l'analogia»."9 È nell'analogia infatti che il venturo si può
esprimere come presente, il che non sarebbe possibile al di­
scorso diretto. Poiché il futuro di Dio si compie come even­
to, «quando si compie, si compie creando una vicinanza tale,
che nessun discorso diretto può esprimerla. Questa vicinanza
si crea mettendo in movimento il tempo stesso. Appunto per
questo la testimonianza ha bisogno dell'analogia, ma non di
lluella che dischiude la verità in modo speculativo, bensì di
un'analogia che metta a confronto la presa di posizione ri­
chiesta nei confronti della sua verità con altre prese di posi­
:.i:ione, e per questo si presenta tutta intessuta di reminiscenze
del possibile»:10
Partendo dall' «analogia» Fuchs prende in considerazione
le classificazioni del materiale parabolico del Nuovo Testa­
mento, elaborate dal metodo della storia delle forme. «L'ana­
logia si esprime prevalentemente nella metafora»:'' Fuchs di­
sti ngue innanzitutto la metafora dal detto figurato definendola
cc dctto figurato improprio»:i• Tuttavia il detto figurato «tende
verso la metafora», poiché il detto figurato è adatto innanzi

nll. Op. cit. , 218 (corsivo mio). Sul rapporto tra possibilità e realtà e&. Jiingel, Die
\Vi·lt ,,/s Moglichkeit und Wirklichkeil, 2o6·233, spec. 226·231 .
U•1. Op.cii. , 212.
' 11 1. Op. cii. ,217.
' 11. Fuchs, Hermeneutik, 212.
' \ l , lhid.

49
tutto come proverbio,111 e «i proverbi si prestano ad essere uti­
lizzati in vario senso . . . lasciano aperto ciò che si deve fare e in
tal modo si rivelano propriamente come metafore, che otten­
gono la loro piena efficacia solo mediante l'applicazione con­
creta».2 34 Vero è che secondo Fuchs alla metafora compete
«dal punto di vista stilistico un rango inferiore a quello del
detto figurato . . . , poiché essa non è una similitudine comple­
ta», tuttavia rispetto al «detto figurato ha il vantaggio di sot­
tolineare. . . l'elemento analogico nella maniera più limpida»:n
In antitesi a Jiilicher che definisce la metafora come nucleo
embrionale dell'allegoria, secondo Fuchs la metafora deve es­
sere rigorosamente distinta dall'allegoria. Nella metafora certo
può ravvisarsi «un aspetto allegorizzante, in quanto per esem­
pio invettive metaforiche possono diventare facilmente il lin ­
guaggio cifrato di un particolare gruppo umano».2 36 «Tuttavia
altro sono le designazioni 'tipiche' delle invettive, ed altro il
cifrario allegorico».217 L'allegoria presuppone «un senso na­
2
scosto di ciò che va descrivendo», 38 mentre la metafora gioca
con le designazioni e stimola alle trasposizioni. 219 La metafora
presuppone una notevole «capacità di analogia», 2-4" cosa che
invece non si ha in alcun modo nell'allegoria.
Poiché la verità del futuro di Dio elevata a verità in noi nel­
le parabole di Gesù è «da un punto di vista logico la verità
della metafora», la metafora si addice a Gesù più del detto fi­
gurato vero e proprio. 241 Perciò similitudine e racconto parabo­
lico vanno compresi piuttosto partendo dall'essenza della me­
tafora. La similitudine, «(a differenza di una comparazione
233. Op. al. , 21,.
234. lbid.
23,. Op. cit. , 2 16.
236. Op. cit. , 212.
237. lbid.
238. Op. cit. , 2 1 2 s.
239. Op. cit. , 213.
240. lbid.
241 . Op. cit. , 218.

50
prolungata . . . ) , genera tensione, . . . perché non tradisce sin dal­
l 'inizio le intenzioni del narratore»:•• A differenza dal prover­
bio (o dal detto figurato) , che presuppone sin dall'inizio l'ac­
cordo del partner, la similitudine conduce a quell'accordo.041
Già per questo «essa si mantiene sul terreno della narrazione,
che naturalmente può essere notevolmente abbreviata o la­
sciata alla fantasia». •44 Similitudine e racconto parabolico han­
no in comune il carattere na"ativo. 04' «Le similitudini si distin­
guono dunque dai racconti parabolici solo per il fatto che il
racconto parabolico passa dal caso tipico e regolare a quello
singolare, pregnante, che naturalmente deve essere racconta­
6
to». ' 4 Anche i racconti parabolici (come le similitudini) , se so­
no ben riusciti, tralasciano l'applicazione».047
L'allegoria da Fuchs.48 viene messa a parte perché, in primo
luogo, non corrisponde al carattere analogico del linguaggio
di Gesù e in secondo luogo perché «non rende giustizia alla
11ttualità della predicazione di Gesù», celando solo apparen­
t emente «ciò che in Gesù rimane del tutto inespresso»;•49 que­
sto, evidentemente, può diventare anche un criterio di auten­
t icità. Ci si collega cosi alla questione della relazione tra la pa­
mhola e Gesù.
Fuchs sostiene: «la caratteristica particolare della predica­
;,, ione didattica di Gesù è la forza analogica, con la quale Ge­
sì1 , senza formularlo espressamente, pone come misura per la
mscienza dei discepoli se stesso, la sua personale vita di obbe­
d i cnz a» . ' '0 È in questo senso che le parabole sono «autotesti-

1 .1 1 . Op . cit. , 222.
' · I \ . Fuchs, Hermeneutik, 223.
' H · lf11'J.
' ·I ' · Op . cii. , 2 2 r .
' ·I'' · Op . cit. , 2 2 2 .
1 .f / . Op . cii. , 224.
1 .1 K Op . cit. , 220.
' · l'I Op . cit. , 228.
1 \1 1 lhid.

51
monianze di Gesù».''' Come tali esse non riguardano il nostro
rapporto con Dio, bensi «innanzitutto il nostro rapporto con
Gesù stesso» .• ,. Esse furono pronunziate là, dove si trovava
Gesù.'n Nella parabola si intrecciano il destino di Gesù e la
basileia: «come dal destino di Gesù le parabole acquistano
pieno significato, cosi a loro volta i loro temi, per esempio il
regno di Dio, ne vengono interamente illuminati».'H Non se ne
può concludere tuttavia che la persona del Gesù storico sia il
criterio di interpretazione delle parabole; nelle parabole Gesù
va al di là della realtà della sua esistenza storica; egli dice più
di quello che avrebbe potuto dire nella sua situazione vista
semplicemente come una situazione storica. «Certo i discepo­
li potevano dire essi stessi, sin da allora, di che cosa trattava­
no. Ma proprio quelle tre parabole particolari (cioè il semina­
tore, il figliol prodigo, gli operai della vigna) indicano di più.
Esse preparano il futuro dei discepoli, affinché essi al momento
delle difficoltà siano posti ancora una volta, attraverso la pa­
rola di Gesù, di fronte a quella stessa decisione della speran­
za, nella quale erano stati posti sin dall'inizio».'" Alcune para­
bole di Gesù si spingono perciò oltre il suo presente; rinviano
al periodo in cui Gesù a causa della sua morte fu sottratto
ai discepoli. Lo scopo della predicazione di Gesù era appun­
to «la loro (dei discepoli) speranza, la loro fede, il loro incon­
tro con Dio». •'6 Mirando a questo scopo, Gesù non poteva ri­
velarsi interamente ai discepoli, m poiché «non condividevano
in alcun modo la sua certezza».''8 Tale certezza divenne possi­
bile solo dopo la pasqua. Fuchs considera questa impossibili­
tà di rivelarsi totalmente come la vera passione di Gesù, alla
25 1 . Op. cit. , 227.
252. Fuchs, Gleichnisauslegung, in GA 1 1 , 1 39·
253. Fuchs, Hermeneutik, 227.
2.54· Fuchs, Gleichnisauslegung, in GA li, l4I .
2,,. Fuchs, Hermeneutik, 226 (corsivo mio) .
256. Op. cii. , 227 (corsivo mio).
257. lbid.
258. Op. cit. , 228.

52
quale pose poi fine la croce. «Proprio la certezza della sua
speranza spinge Gesù alla sua passione molto prima di quanto
lascino . . . intravedere ancora i vangeli . . . , Gesù dovette occul­
tarsi ai discepoli questa fu la sua passione».''9 In quanto le
-

parabole preparano il futuro dei discepoli, esse non coincido­


no con la vita di Gesù, ma la superano: «Le parabole di Gesù
completano la persona di Gesù».'lio Rispetto alla predicazione
di Gesù, con la pasqua subentrò una svolta fondamentale:
«Gesù stesso era divenuto la parola che egli dapprima aveva
predicato: era divenuto, di essa, non la parabola, bensl l'e­
vento, poiché essa adesso dopo la sua morte veniva portata
avanti nel suo nome».'61 Questa svolta fece sl che Gesù stesso
fosse inserito nelle parabole, determinando una nuova com­
prensione di esse. «L'appello di Gesù, percepito da noi come
rhiamata, divenne la predicazione della chiesa primitiva, che
fece di Gesù I" oggetto' di un nuovo linguaggio e adesso pote­
va identificarlo, volendo, con quella perla, quel granello di se­
napa e così via».'62 Con ciò viene chiarito anche il ruolo che
rompete alla predicazione storica di Gesù; essa non può esse­
re presa come unità di misura di un'adeguata comprensione
delle parabole; «la predicazione storica del Gesù storico assu­
me, piuttosto, un significato ermeneutico: fornisce il presup­
posto per comprendere la fede in Gesù».'6} In tal senso anche
le parabole del Gesù storico non sono il criterio della fede in
l u i , bensì il presupposto per la sua comprensione. Esse sono
t a l i perché Gesù era in grado di «donarci la fede nella presen­
26
za operante di Dio già all'interno del mondo del peccato». 4
E appunto questo donare la fede all'interno del mondo del
peccato, è quello che avveniva nella parabola.
227 s. (corsivo mio).
, , .,. Op. cit. ,
'''"· Fuchs, Jesus, 88.
1 '1 1 . Fuchs, An Jesus Glauben, GA l i i , 269.
1 <• i . Fuchs, Zeitverstiindnis, in GA n, 373 [gioco di parole fra Ruf, appello, grido, e
/la11f1111g, chiamata, vocazione] .
1'1 \ . Fuchs, Jesus, 43.
'''·I . Ibid.

53
Se ci si interroga sulla verità della parabola e quindi sulla ve­
rità della fede, che attraverso di esse viene donata, veniamo ri­
mandati al linguaggio stesso. Gesù si rimetteva completamente
alla sua parola.26' «La sua legittimazione come predicatore del­
la parola di Dio, egli la mette in gioco nella parabola come para­
bola». 266 Perciò «la sua parabola è la parola di Dio nel senso più
pieno». 267 Chi mette in gioco qualcosa, rischia qualcosa. «Gesù
mette a rischio Dio, rischiando nella sua parabola la parola di
Dio», e questo «nei suoi uditori».268 Una parabola è vera quan­
do in essa il linguaggio stesso si realizza, si fa evento linguistico.
Ma Fuchs non intendeva un linguaggio qualsiasi, come stru­
mento di comunicazione creato dagli uomini, bensì quel lin­
guaggio, dal quale l'uomo è generato.269 Esso è, primordial­
mente, il linguaggio di Dio, «e la sua caratteristica fondamen­
tale» si chiama «a ragione amore».210 Esso è il «linguaggio au­
tentico» nel quale noi come parlanti, fin da principio, rispon­
diamo al sì di Dio. 211 Una caratteristica essenziale della lingua
dell'amore è che essa venga parlata.212 Questo ha fatto Gesù;
tramite lui quel linguaggio ci è stato «aperto storicamente». • 7 i
Soprattutto nelle parabole, Gesù realizzava la caratteristica

26,. Fuchs, Zeilversliindnis, in GA 11, 36, .


266. Fuchs, ]esus, 96.
267. Ibid.
268. Ibid.
269. Hermeneutik, 63 (con rinvio alla concezione heideggeriana del linguaggio).
270. Fuchs, Christusversliindnis, in GA III, 308.
271 . lbid. , Fuchs traduce il logos di Io. 1 , 1 con questo «si» [gioco di parole tra spre­
chen, parlare, ed enlsprechen, rispondere, corrispondere] .
272. «Questa parola (se. dell'amore) deve quindi essere detta» (Fuchs, Christusver­
sliindnis, in GA 1 1 1 , 310).
273. Fuchs, Hermeneutik, 72. Per la questione, a parer mio, assolutamente decisiva,
se il linguaggio come linguaggio di Dio rappresenta una riserva di possibilità, che fu.
rono messe in atto dalla persona di Gesù, diventa determinante lesatto significato
attribuito all'espressione «apeno storicamente». Infatti dal significato di quest'e­
spressione dipende se il dono dell'amore di Dio rientra, per cosi dire, nella compe­
tenza del linguaggio come tale, oppure il linguaggio riceva la possibilità di dire il ve­
ro su Dio come polenlia aliena (cfr. sotto, 1 . 2.6). Se è questo il caso bisognerebbe in­
terrogarsi sull'evento (extralinguistico) dal quale il linguaggio riceve questa nuova
capacità. Questo porrebbe di nuovo il problema della apenura storica .

.5 4
fondamentale del linguaggio, concedendo all'uditore, attra­
verso il parlare del linguaggio,'7 32 l'accesso al tempo dell'amo­
re. Alla luce di queste premesse circa il linguaggio, bisogna
dire allora: il criterio di verità per le parabole di Gesù è la loro
conformità al linguaggio stesso (e non come in Jeremias la con­
formità all'essere storico di Gesù). Inteso in tal modo il lin­
guaggio è il criterio di adeguata comprensione, in base al qua­
le realizzare anche l'indispensabile demitologizzazione dell'e­
scatologia neotestamentaria: «chi vuole demitologizzare real­
mente l'escatologia neotestamentaria deve intenderla come
evento linguisticm>.'74 Il linguaggio ha un valore ermeneutico
fondamentale: il compito principale dell'ermeneutica è quello
di elaborare non la problematicità dell'esistenza, bensl la sua
l inguisticità. «Il suo compito speciale (se. dell'interpretazione
esistenziale) è divenuto l'elaborazione della linguisticità (non
solo della problematicità ! ) dell'esistenza umana». in

Eberhard fungei
Ji.ingel sviluppa il suo approccio all'interpretazione delle
parabole distanziandosi criticamente dalle teorie sulla para­
bola elaborate da J i.ilicher in poi e richiamandosi particolar­
mente all'approccio ermeneutico di Ernst Fuchs.'76 Come la
predicazione di Gesù in generale viene intesa come «evento
l i nguistico», «che ci impedisce in partenza di scindere il lin­
guaggio di Gesù come pura 'forma', da ciò che si è fatto lin­
guaggio nella predicazione di Gesù come 'contenuto' di que­
sta forma», così in particolare le parabole di Gesù costituisco­
no un'unità di forma e contenuto.in Pertanto nella stessa mi­
sura in cui «la basileia deve essere compresa partendo dalla

1; �a. [Gioco di parole intraducibile: durch das Sprechen der Sprache] .


1 ; + Fuchs, Sprachereignis, i n GA I I , 427.
i15. Fuchs, Exegese, in GA 11, 286.

i;<i. J i.ingel, Paulus und Jesus, 88- 135.


1 1 7 . ,Ji.ingel, op. dt. , 135.

55
forma linguistica delle parabole in quanto parabole, così a lo­
ro volta le parabole devono essere comprese partendo dalla
basileia»:78 Da questo rapporto reciproco tra forma e conte­
nuto deriva secondo Jiingel il «canone interpretativo fonda­
mentale»: «la basileia si fa linguaggio nella parabola in quanto
parabola. Le parabole di Gesù esprimono linguisticamente
[bringen . . . zur Sprache] il regno di Dio come parabola»:79
Con ciò si abbandona la distinzione tra «parte reale» e
«parte figurata» (che altro non è se non la distinzione tra for­
ma e contenuto) . A tale distinzione è legata anche la «ricerca
di un tertium comparationis», •8o che J iingel sostituisce con la ri­
cerca di un <<Primum comparationis», da intendere nel senso
che questo «primum comparationis» con la sua forza analogica
<<fa convergere su di sé, in qualità di pointe delle parabole, i
singoli elementi descrittivi e i tratti narrativi ed in tal modo
appare alla fine della parabola come 'ultimum comparatio­
nis'»:8 ' Raccogliendo insieme gli elementi narrativi, la parabo­
la raccoglie insieme anche gli uomini che l' ascoltano.'8' La
pointe [narrativa] diventa «pointe della sua esistenza» (dell'u­
ditore) .'81 Il rigoroso riferimento dei tratti narrativi alla pointe
distingue la parabola dall'allegoria.•84
Nel «canone interpretativo fondamentale», secoQdo il qua­
le la basileia si rende presente come parabola, è insita anche la
distinzione invalicabile tra Dio ed il mondo. Poiché la basileia
è interamente presente ed in tal modo è presente come para­
bola, essa preserva la differenza tra Dio ed il mondo.'8' La para-

278. lbid.
279. Ibid. (entrambe le frasi corsive nel testo).
280. Jiingel, op. cii. , 1 36.
281. lbid. ; Fuchs (/esus, 76) sostiene che il cprimum comparationis» di Jiingel è «Un
cambiamento di situazione».
282. Jiingel, op. cii. , l 36.
283. lbid.
284. J ungei, op. cii. , l 37.
285. Jiingel, op. cit , 138; in questo senso secondo Jiingel (con C. Westermann) tutte
.

le parabole possono essere definite come «parabole di contrasto».


boia si rivela perciò come la forma adeguata per parlare di
Dio in quanto essa crea, ed allo stesso tempo preserva, la dif­
ferenza che sussiste tra Dio ed il mondo. Se si intende la pa­
rabola in tal modo, è evidente che in essa può essere tematiz­
zato tutto: «la creazione (appare) . . . alla luce del regno di Dio,
che pone fine al vecchio mondo, mentre a sua volta nel lin­
AUaggio del vecchio mondo il regno di Dio si fa parabola».'86
Se dunque «il farsi-linguaggio della basileia» nelle parabo­
le di Gesù «è una forma ottimale della sua venuta», allora la
«prassi di Gesù» (intesa come categoria teologica) è il «com­
mento» delle parabole.'87 L'interpretazione delle parabole, se
vuole cogliere il senso, dovrà porre particolare attenzione al
comportamento di Gesù, poiché è nell'ambito di quel com­
l>ortamento. che esse recuperano la «forza dell'analogia che è
288
I oro propria».
In un successivo itinerario di riflessione Jiingel affronta la
ltttestione del «rapporto tra il regno di Dio e Gesù».'89 L'ese­
�csi moderna in genere discute questo rapporto come «pro­
hlema di durata cronologica»: «il regno di Dio viene misura­
to . . . sul modello di una durata cronologica, che a sua volta
viene raffigurata a partire dal presente di un io, come una
successione di distanze che si prolungano».'90 Jiingel mette in
ltttcstione questa concezione del tempo, che soggiace all'inte­
ro dibattito sull'attesa a breve scadenza, rilevando che già
nell'ambito delle «concezioni escatologiche di Gesù e del suo
11mbiente», non l'io umano bensl Dio stesso è «la misura del
t l'mpo».'91 Qui non si può più intendere il tempo come «un
p ro lungamento dell'adesso».'9' Sulla base di alcune parabole
.l ii ngcl fa vedere che in esse quel regno di Dio che determina
1 1111. lhid.
1 11; . .J u ngcl, op. cii., 1 39.
1 11 11 . lhid.
1 H11, .J iingcl, op. cii. , 1 39 ss.
1 111 1 . .J iingcl, op. cii. , 140.
1 11 1 . .f iingcl, op. cii. , 14r .
"" . . l iingcl, op. cii. , 142.

57
tutta la predicazione di Gesù «si fa linguaggio come il regno
di Dio vicinm>.'91 In tal modo «essa pone in relazione il futuro
di Dio col presente dell'uomo»;294 e con ciò stesso la questione
della durata diventa irrilevante. «Se nella persona di quel Ge­
sù che predica il regno di Dio, il futuro di Dio si incrocia con
il presente degli uomini, allora le parabole di Gesù, indicando
il futuro vicino del regno di Dio, indicano il futuro dell'agire
di Dio nella storia di Gesù». 29, Il rapporto degli uomini col fu­
turo di Dio si decide in base al rapporto «in questo momento
con Gesù».'91>
Che la questione della durata diventi una questione inap­
propriata in rapporto al regno di Dio vicino, appare chiaro
anche dal fatto che «la vicinanza non è un 'accidente' che
venga ad aggiungersi accessoriamente al regno di Dio, bensl
«la vicinanza del regno di Dio deve essere intesa come espres­
sione della sua stessa essenza».'97 «Il futuro come futuro vicino
tocca direttamente il presente; non conosce intervalli cronolo­
gici di alcun genere».'98 Non si tratta dunque di pensare l'av­
vento della basileia in un futuro (più o meno vicino), come se
il vecchio mondo sino a quel momento avesse ancora tempo.
«La fine del vecchio mondo è già qui, poiché l'inizio del nuo­
vo come basileia si è fatto vicino».'99 Se ci si attiene alla «pura
e semplice vicinanza del regno di Dio» e ci si sforza di inten­
derla (letteralmente) «come la sua essenza»,300 allora concetti
come «attesa a breve scadenza» e «ritardo della parusia», ri­
guardo alla predicazione di Gesù, si rivelano fuori posto.
Se ci si pone la questione della autorità (owero della verità)
della predicazione di Gesù e innanzi tutto delle sue parabole,
293 . Jiingel, op. cii., r73.
294. Ibid.
295 . Jiingel , op. cii. , 174.
296. Jiingel, op. cii. , 173-
297. J ungei, op. cii. , 17,5.
298. Jiingel, op. cii. , 180.
299. lbid.
300. Jiingel, op. cii., 181.
J i.ingel rimanda ancora una volta al regno di Dio stesso. «Il
regno di Dio nella sua futurità che è in relazione diretta col
presente si rende talmente attuale attraverso la piena autorità
di Gesù, che egli può osare di orientare il presente degli uo­
mini al futuro del regno di Dio».30 1 Nella parola di Gesù ir­
rompe la potenza della basileia. «L'autorità della predicazione
della basileia da parte di Gesù è la basileia stessa».302 Se si in­
tende il futuro vicino del regno di Dio come futuro vicino di
Dio e si considera che Gesù impegnava se stesso in modo sin­
golarissimo nella potenza del regno di Dio, allora diviene pa­
lese «che Gesù era presente nell'autorità di Dio».303 «L'autori­
tà della predicazione di Gesù era lautorità dell'oggetto di tale
predicazione». )"I Di conseguenza la questione della verità delle
parabole di Gesù è sempre in pari tempo la questione dell'es­
senza del regno di Dio in relazione alla prassi di Gesù (intesa
come categoria teologica) .

r • l .4. L 'approcdo letterario


Per «approccio letterario» intendiamo qui quell'approccio
nlle parabole che cerca di mettere a frutto le nuove acquisi­
zioni della linguistica e delle diverse scienze della letteratura,
nello sforzo di impostare un rapporto interdisciplinare tra
l1ucste correnti scientifiche e l'ermeneutica teologica.

lfohert W. Funk
Un importante pioniere dell'approccio letterario è R.W.
Funk. Nel suo libro Language, Hermeneutic, and Word o/

11 1 1 . . f u ngei, op. di. , 1 88.


11 1 J . .fiingcl, op. cii. , 193·
11 1 1 . l u ngel, op. cii. , 197·
.

'"·I · J ii ngel, op. di. , 197· La questione della verità dovrà essere posta pertanto come
I J l ll'�t iune della verità del (vicino) regno di Dio. Viene stabilita pertanto una relazio-
111· t m la parabola ed il destino di Gesù (vita, morte e resurrezione) ? Per un'analisi
p 1 1 1 ••11profondita cfr. sotto, 1 .2.6.

59
God10' egli dedica alle parabole un breve capitolo nel quale ab­
bozza la sua teoria dell'interpretazione delle parabole. Una
caratteristica fondamentale della teoria delle parabole di Funk
è che egli, considerando poco valido il ricorso alla compara­
zione, cerca di comprendere le parabole partendo dal feno­
meno della metafora. Metafora e comparazione sono differen­
ti in quanto in quest'ultima il confronto ( «comparison») è il­
lustrativo, nel linguaggio metaforico invece è creativo di nuo­
vi significati. jo6 La metafora è uno strumento per modificare la
tradizione linguistica,107 liberando il linguaggio dal dominio di
significati predeterminati. 1o8 La metafora intende più di quello
che dice,109 si presenta aperta, rimane incompleta fintanto che
l'uditore'IO non viene coinvolto in essa come protagonista.'"
Compresa partendo dalla natura della metafora, la parabola
non può avere alcuna applicazione, poiché quest'ultima eli­
minerebbe la conclusione aperta che mette in movimento l'u­
ditore.'" Man mano che le parabole nella tradizione sinottica
furono corredate di spiegazioni, furono immobilizzate ed il
loro potenziale ermeneutico andò perso.1'1 D'altra parte è in­
negabile che la parabola spinge ad una applicazione, una
spiegazione; solo bisogna precisare che essa va fatta sempre
di nuovo da ogni nuovo uditore. La parabola infatti invita ad
un'attualizzazione concreta, ma in nessuna di esse trova ripo-

305. R.W. Funk, Language, Hermeneutic, and Word o/ God, New York - Evaston -
London 1966.
3o6. Riguardo alle parabole il concetto di metafora è il punto di collegamento tra la
critica letteraria e l'esegesi neotestamentaria; cfr. Funk, op. cit. , 1 37· In maniera dia­
metralmente opposta ]iilicher aveva invece affermato il carattere illustrativo della
metafora, cfr. sopra, pp; 17 ss.
307. Funk, Language, 1 39·
308. Funk, op. cii. , l4I .
309. Funk, op. cii. , 142.
3 10. Ibid.
3 n . Funk, op. di. , 143·
312. Funk, op. di. , 1 34 (con rinvio a C.H. Dodd) .
313. Funk, op. cii. , r 34 ss.

60
1 '4
so . Solo in tal modo essa può mantenere il suo potenziale er­
meneutico ed allo stesso tempo la sua dimensione esistenzia­
le. 3'j L'uditore interpretando diviene protagonista della para­
bola. In questo senso le si può attribuire un carattere argo­
mentativo, in quanto l'uditore viene stimolato a una decisio­
ne; '16 fermo restando che è sempre la parabola a mantenere l'i­
niziativa.1'7
Riguardo al contenuto Funk sottolinea che tutte le parabo­
le hanno in comune la secolarità di quanto viene narrato.118 La
secolarità non è motivata dal fatto che Gesù richiama l'atten­
zione su un'immagine secolare per poi parlare di verità reli­
giose (questa sarebbe una motivazione didascalica della scelta
<li immagini secolari) .1'9 Essa è motivata invece dal fatto che la
parabola come genere linguistico metaforico o simbolico è
una forma linguistica atta ad esprimere l'irruzione del divino
nella storia, preservando il nascondimento di Dio nel monda-
110 . 1'0 È appunto questa irruzione che mette in gioco la sorte
definitiva dell'uomo all'interno della sua esistenza quotidiana,
c:reaturale.1" La parabola risente di questa situazione e per
lJUesto non distoglie l'attenzione dall'esistenza terrena ma la

1 1 4. Funk, Language, 143. Per questo motivo anche un'interpretazione storica non
può essere adeguala alla parabola. Punk non vede una differenza fondamentale tra
l'npproccio di Dodd e Jeremias da un lato e quello di Jiilicher dall'altro: la «verità
11c:ncrale,. di Jiilicher come principio interpretativo è stata sostituita negli altri due
1111tori dalla «situazione storica .. , cfr. op. cii. , 148. Una interpretazione storica priva la
pnrabola della sua ricchezza di sfaccettature («manyfaceted.. ), cfr. op. cii., 149.
1 1 � . Funk, op. cii. , 143, cfr. 135· 152.
1 1 6. Funk, op. cii. , 144, la definizione di «argomentativo,. segue quella di Bultmann,
mntro Jeremias e Cadoux.
1 1 7. La parabola non può avere una applicazione, essa è applicazione, poiché essa
interpreta i suoi uditori, dividendoli in due gruppi (coloro che l'accettano e coloro
d1c la respingono). Terlium non dalur! (Funk, op. cit. , 152). Ma è realmente questo
lo scopo della parabola? O non piuttosto quello di portare dalla stessa parte lulli gli
uditori?
1 1 8. Funk, op. cii. , l H (con rinvio a Wilder).
1 1 9. Funk, op. cii., 154.
1 20. lbid.
1i 1 . Op. cii. , 1 56: cMan's destiny is at stake in bis everyday crealurely exislence».

61
rivolge ad essa. 3" Non si ferma però alla quotidianità superfi­
ciale, ma riesce a far guardare attraverso di essa32j il fonda­
mento dell'esistenza umana.324 La quotidianità appare nell'o­
rizzonte del definitivo (ultimate) .12, Di qui la vivacità (vivid­
ness) della parabola.!'6 L'inserimento del quotidiano nell'oriz­
zonte del definitivo si rivela nella parabola con il mettere in
rapporto l'usuale con l'insolito, ed in modo tale che l'uno in­
terpreta l'altro.327 In breve: le parabole come narrazione del
quotidiano presentano una svolta ( «they bave an unexpected
'turn'») che - lasciando vedere attraverso l'usuale - rimanda
ad una nuova visione della realtà. i>8 Sono eventi linguistici nei
quali l'uditore è costretto a scegliere fra due mondi.3'9 È chiaro
dunque che in Funk la secolarità del mondo figurativo delle
parabole riceve una fondazione eminentemente teologica, es­
sendo ricondotta al rivelarsi di Dio nella storia, rivelazione che
però lascia intatto il mistero di Dio. Le parabole compiono
appunto questa rivelazione trasponendo il definitivo nel quo­
tidiano e determinando in esso una svolta.
Sebbene Funk consideri insufficiente un'interpretazione
storica delle parabole, egli ritiene che la vita di Gesù sia di
notevole importanza come contesto delle parabole. La para­
bola è messaggio nel contesto della vita di Gesù. 330 Gesù com-

322. Ibid. La questione è se lo scopo principale della parabola consista in ciò.


323. Funlc, op. cit. , 159·
324. Funk, op. cii. , 155·
325 . Funk, op. cii. , 160.
326. lbid.
327. Ibidem: «The everyday imagery of the parable is vivid fundamentally, then, be­
cause it juxtaposes the common and the uncommon . . . but only so that each has in­
terior signifìcance for the other».
328. Funk, op. cit. , 161 : «In sum, the parables as pieces of everydayness have an un­
expected 'turn' in them which looks throught the commonplace to a new view of
reality». Noi però ci chiediamo: la parabola si limita a fornire una nuova visione del­
la realtà mondana, o non è piuttosto la nuova comprensione di Dio, donata attraverso
la parabola, ad avere come conseguenza una nuova visione del mondo?
329. Funk, Language, 162.
330. Funlc, op. cit. , 196 (con l'esempio di Mt. 22,2-10).
pare nel margine di penombra ( «penumbral field») della pa­
rabola come colui che la dice: egli fa esistere un nuovo mon­
do, costruito per cosi dire con i brandelli linguistici di quello
vecchio. n• Nella parabola Gesù testimonia l' approssimarsi del­
la basileia e allo stesso tempo lo realizza.n• La parabola è un
invito di Gesù a seguirlo, un invito che non è solo provoca­
iione bensl anche concessione, conferimento di capacità
(«permission»).m Tuttavia la vita di Gesù come contesto delle
parabole non ha in alcun modo /unzione di criterio. La para­
bola è essa stessa il criterio: la grazia comunicata attraverso di
essa autentifica se stessa col trovar fede come parabola.JJ4 La
parabola detta da Gesù è la parola di Dio nella sua pienezza. "'

Dan O. Via
Nell'interpretazione delle parabole la preoccupazione fon­
damentale di Via è quella di «prendere le distanze da una
metodologia che interpreta le parabole in stretta correlazione
mn la situazione storica di Gesù». n6 Via fonda questa rottura
mn «la consapevolezza che le parabole - . . . - sono autenti­
rhe opere d'arte, veri e propri oggetti estetici» da intendere
« i n senso rigorosamente 'letterario'».337 I testi letterari non
hanno alcun riferimento diretto alla situazione storica del lo­
ro creatore ed a quella dei loro uditori originari.
Via relativizza innanzitutto la rigida distinzione, dominante
s i n dall'epoca di Jiilicher, tra allegoria e parabola, in quanto
\ Il. lbid.
1 1 i . runk, op. cit. , 197: «In parableJesus both witnesses to the dawn of the kingdom
1111il brings it near».
1 1 1. lbid.
1 1·1 · fonk, op. cit. , 198.
1 1 \ . Bi sogn a domandarsi però quale sia per Punk la fondazione di questa confessio·
'"" Sia proprio qui la questione della verità riguardo alla predicazione e al compor·
1 11111cnto di Gesù in generale.
1 1 11. Via, Gleichnisse, 9 .
1 1 ; . Via, op. cit. , 9 s. La postfazione di Giittgemanns dà una buona visione del «con·
l r\ l u lii scienza della letteratura» in cui si colloca Via (op. cit., 202-209).
l'impossibilità di «delimitare il senso delle parabole di Gesù
ad un unico punto di confronto centrale» non può essere af­
fatto considerata una caratteristica dell'allegoria. J3S Fondamen­
talmente, tra allegoria e parabola sussiste solo una differenza
«di grado e non di genere».m La diversità decisiva tra le due
forme linguistiche non è «la differenza tra un solo punto di
confronto o molti» ; consiste piuttosto «nella differente ma­
niera, in cui gli elementi del racconto sono riferiti gli uni agli
altri ed alla realtà extranarrativa». w> Nell'allegoria i singoli ele­
menti si riferiscono ad una «vecchia storia»/41 mentre nella pa­
rabola sono riferiti principalmente l'uno all'altro e soltanto
«in modo secondario» rimandano alla realtà extranarrativa. 1""
Schematizzando un po', potremmo dire che per Via la «situa­
zione storica» viene a cadere anch'essa nella categoria di
«vecchia storia», e di conseguenza l'interpretazione storica
viene ad essere addirittura un tipo di interpretazione allegori­
ca della parabola. 141 L'interpretazione storica delle parabole
parte cioè dal presupposto che certi dettagli rimandino prin­
cipalmente ad una situazione nella vita di Gesù (per esempio
il fratello maggiore, Le. 1 5 , n -32, o gli operai della prima ora,
Mt. 20, 1 - 1 5 , ai farisei) ; in tal senso l'interpretazione storica
per sua natura può essere considerata allegorica.
Sulla base di questa distinzione tra allegoria e parabola Via
abbozza il suo approccio ermeneutico, nel convincimento che
l'ermeneutica è «il problema teologico centrale»/44 Il carattere
338. Via, op. cii. , 28. Con «punto centrale di paragone» si intende qui il «lertium
comparalionis» di Jiilicher (cfr. op. cit. , 1,. 24).
339. Via, op. cii , 24 (questa differenza va individuata nella referenzialità dei singoli
.

elementi, cfr. sotto, n. 342).


340. Via, op. cii. , 33.
341. L'espressione è coniata ricollegandosi a E. Honig (Via, op. cii. , 18). Una «vec­
chia storia» può essere sia una storia precedente sia un insieme di idee preesistenti, o
una situazione storica.
342. Via, op. cit. , 33 s. Questo fatto tuttavia era già stato notato da Jiilicher ( ! ) : in lui
il termine corrispondente a «vecchia storia» è «modello», cfr. sopra, p. 20 con n. 22.
343. Per una definizione più precisa dcl riferimento storico cfr. sotto, pp. 68 s. 72 s.
344. Via, op. cii. , 3' ss. con richiamo a G. Ebeling.
estetico delle parabole comporta da una parte che esse «ri­
spetto ad altri testi biblici sono meno legate al contesto stori­
co», che la necessità di una loro «traduzione in termini non­
parabolici» non è così stringente, e anzi in ultima analisi è im­
possibile. 14' Il contenuto o l'oggetto traducibile delle parabole è
una «visione dell'esistenza».H6 «Ogni parabola, presa nella sua
unità, drammatizza una possibilità ontologica... che è alla
portata di ogni uomo in quanto uomo; e le due possibilità on­
tologiche (umane) fondamentali, che offrono le parabole, so­
no la vita perduta/guadagnata . . . ».347 «Ma ogni parabola illustra
anche come l'esistenza viene perduta od acquistata ontica­
mente - in modo attuale e concreto - e la forma estetica tie­
ne insieme i due elementi - l'ontologico e l'ontico - in un'u­
n ità». 148 La traduzione nel nostro orizzonte di comprensione
avviene in primo luogo comprendendo il senso che è insito
nelle «strutture riconoscibili di connessioni e relazioni (pat­
tern o/ connections) fra i termini»149 ed in secondo luogo me­
diante la traduzione stessa, cioè mediante la trasposizione del
senso originario in una nuova «configurazione unitaria di for­
ma e contenuto», che lo metta in rapporto con la nostra epo­
ca. n o Condizione indispensabile del processo di comprensione
è la «pre-comprensione» ( Vorverstiindnis),3'' che in larga mi­
sura è data dal linguaggio stesso, in quanto esso determina «le
modalità con le quali la realtà ci viene incontr0>>.m Un punto
14,. Via, op. cii. , 40 ( ! ).
H6 . Via, op. cii. , 44. 51. 56 ed in molti altri passi. Questa definizione implica che la
l iusilcia, che è palesemente l'oggetto delle parabole di Gesù, viene interpretata a
pr i o ri in senso esistenziale ed il suo significato viene limitato a quello esistenziale
lthl· peraltro anche noi non intendiamo negare).
\.17· Via, op. cii. , 46 s. Le parabole offrono un aut aut?
HK. Via, op. cii. , 47. L'elemento ontico può corrispondere a qualcosa nella situazio-
111' di Gesù, per esempio il figliol prodigo corrisponde al comportamento dei pubbli­
' .mi e dei peccatori (ibid. ) .
H •J. Via, op. cii. , 48 s. Il «senso», a differenza del «significato», è radicalmente insito
t ll'l linguaggio.
1 1 0. Via, op. cii. , 50.
1 \ 1 . Via, op. cii. , 51 (con richiamo a R. Bultmann).
n i . Via, op. cii. , 53 (con P. Wheclwright).
fermo è che questa pre-comprensione non va identificata in
alcun modo con la fede in Gesù Cristo.m L'approccio erme­
neutico di Via - stando almeno alle sue stesse dichiarazioni -
si colloca nell'ambito dell'ermeneutica esistenziale, vale a dire
di quello sviluppo dell'approccio bultmanniano realizzato da
G. Ebeling e E. Fuchs, indicato nell'ambito anglosassone col
la dizione <<nuova ermeneutica».
Lo «sforzo ermeneutico» mira a rendere il testo «parola vi­
va o 'evento linguistico'»."" Se si parte dal presupposto che
una delle diverse legittime funzioni del linguaggio è «la fun­
zione produttiva (performative function)»/" ossia la funzione
con la quale il linguaggio provoca qualcosa, proclama qualco­
sa o dischiude una possibilità,3'6 è chiaro allora in che misura
il linguaggio possa divenire un evento. «Le parabole di Gesù
erano un evento linguistico, per il fatto che esse introduceva­
no nella situazione degli uditori una nuova possibilità» ed
inoltre «richiedevano dagli uditori un giudizio». 3'7
Riguardo a questo aspetto di evento linguistico che compe­
te alle parabole, assume particolare importanza il fatto che es­
se sono oggetti estetici; e infatti l'uso estetico del linguaggio
mette particolarmente in risalto la loro funzione performativa.
Questa concezione delle parabole di Gesù come oggetti este­
tici comporta secondo Via una «guerra su due fronti»: «con­
tro le tendenze dominanti nell'esegesi neotestamentaria si de­
ve dimostrare che una parabola, in quanto oggetto estetico,
non può essere considerata l'illustrazione di un'idea o l'invo­
lucro di una pointe».3'8 Se è proprio dell'opera letteraria coin­
volgere l'uditore primariamente in una maniera non referen-

3'3· Via, op. cit. , ,1 s.


3'4· Via, Gleichnisse, ,6.
3,,. lbid.
3,6. Via, op. cit. , ,7. Un'altra funzione del linguaggio sarebbe la riproduzione del
reale: la funzione descrittiva.
3,7. Ibid.
3,s. Via, op. cit. , 72.

66
ziale (non-re/erential)/'9 cioè richiamare l'attenzione dell'udi­
tore esclusivamente alla narrazione stessa, senza rimandarlo
al mondo extra-narrativo, ne consegue allora che essa è «auto­
noma», ossia va compresa indipendentemente dall'autore e
dal suo mondo, come pure indipendentemente dall'uditore e
dal suo mondo. J6o Dal punto di vista estetico, l'opera letteraria
rivela un'unità «di contenuto . . . (e) di struttura» non riscon­
trabile nel «discorso oggettivante (propositional) o nel discor­
so analitico». 361 Per questo «l'unica cosa cui fare attenzione è
i l senso interno dell'opera stessa»;162 è in questo che consiste
l'autonomia dell'oggetto estetico, misconosciuta dall'interpre­
tazione storica delle parabole, che fa del mondo di Gesù e
dci suoi uditori il criterio interpretativo senza il quale una pa­
rabola non può essere compresa in modo adeguato. Inoltre al
metodo del tertium comparationis soggiace la negazione «del-
1' unità di forma e contenuto strutturata in senso centripe­
t o » . 161
Contro questa tendenza dominante nell'esegesi neote­
stamentaria va dunque difesa con forza l'autonomia delle pa­
rabole.
L'altro «fronte» di questa guerra è la critica letteraria, nei
rni confronti «si deve dimostrare che le parabole nonostante
In loro dimensione teologico-esistenziale restano autentici og­
�ctti estetici». 364 Ciò può essere dimostrato solo se si riesce a
rt'lativizzare quell'assoluta autonomia dell'opera letteraria, po­
s i ulata dalla critica letteraria; e Via s'impegna in questo com­
p i to da una parte appellandosi alla funzione referenziale del
l i nguaggio (through-meaning), che non può andare totalmente
perduta neanche quando viene usato in senso estetico; e d'al­
l l'a parte col sottolineare che la forma costruita esteticamente,
1 1 la struttura interna (in un'unità centripeta di forma e conte-

1 w. Via, op. cii. , 78. 79. 84 e passim.


'"" · Via, op. cii. , 78. 80.
111 1 . Via, op. di. , 78.
''' ' · Op. cii. , 79; cfr. anche sopra, n. 349.

''' 1 . Via, Gleichnisse, 89.


'''·I Via, op. cii. , 72.
nuto) racchiude essa stessa implicitamente una visione della
vita, una concezione dell'esistenza.'6' Ne consegue che la para­
bola, benché richiami l'attenzione primaria dell'uditore alla
narrazione stessa, gli fa percepire «in secondo piano - a un
livello più profondo della sua coscienza - anche i diversi tipi
di riferimento al mondo extranarrativo».'66 L'autonomia asso­
luta viene pertanto relativizzata.
Contrapponendosi dunque in pari tempo all'esegesi neote­
stamentaria e alla critica letteraria, Via opta per una «legitti­
ma autonomia» delle parabole: «Quando un'opera è realizza­
ta efficacemente, essa ha un suo rapporto col mondo, ne di­
venta la finestra, poi lo specchio, e poi di nuovo ancora la fi­
nestra». 167 Vale a dire: gli elementi combinati nell'opera lette­
raria funzionano innanzitutto come una finestra, attraverso la
quale si vede il solito mondo, poiché rimandano ad esso (in
forza del carattere referenziale del linguaggio) . Poi queste fi­
nestre divengono specchi, che a seconda della struttura del­
!' opera si riflettono l'un l'altro, assumendo nuovi significati. A
questo punto gli specchi divengono nuovamente finestre, at­
traverso le quali vediamo il mondo in modo nuovo. Riguardo
alle parabole di Gesù potremmo quindi dire che l'attenzione
primaria dovrebbe essere rivolta alla struttura narrativa, e
un'attenzione più in secondo piano alla visione dell'esistenza
implicita in questa struttura; solo in ultimo luogo l'attenzione
deve andare al riferimento di alcuni tratti alla vita di Gesù. i68
Qui ancora una volta risulta chiaro come la dimensione stori­
ca delle parabole entra nel campo di osservazione dell'inter­
prete solo indirettamente, ossia solo in quanto è mediata dalla
visione dell'esistenza (di Gesù) implicita in esse. Come ogget­
ti estetici le parabole sono «in grado di rivolgere l' attenzio­
ne primaria di tutto l'uomo, in maniera non referenziale (non-
365. Via, op. cii. , 83, cfr. 84. 88. 93 ccc.
366. Via, op. cii. , 87 e passim. Per questo motivo «gli elementi allegorici» sono inevi·
tabili, senza che la loro presenza trasformi la parabola in allegoria.
367. Via, op. cii. , 8.:; (con richiamo a M. Krieger) .
368. Via, Gleichnisse, 88.

68
re/erential), ad una certa configurazione di esistenza vissuta.}69
È l' «esistenza» dunque il continuum ermeneutico tra narrato­
re e uditore, tanto da un punto di vista ontologico quanto da
un punto di vista ontico: la caratteristica delle parabole è
quella di esprimere una visione dell'esistenza (elemento onto­
logico) attraverso un'esistenza vissuta (elemento ontico) . 110 Ed
è appunto questo che le rende oggetti estetici.
Da questa distinzione tra visione dell'esistenza ed esistenza
vissuta deriva tutta la problematica difondo dell' interpretazio­
ne delle parabole. Mentre «nell'esperienza estetica» l'atten­
iione primaria è rivolta all'esistenza vissuta nel racconto, nel­
l ' interpretazione passa al centro dell'attenzione la visione del-
1 ' esistenza in esso implicita (che nella parabola sts:ssa era solo
di importanza secondaria) . J7' L'interpretazione si sforza siste­
maticamente di portare alla chiarezza del concetto tutte quel­
le implicazioni pre-concettuali, non pienamente consapevoli.
l ,'interpretazione usa pertanto un linguaggio completamente
diverso da quello delle parabole: un linguaggio oggettivante,
referenziale, a differenza di quello non-referenziale degli og­
�etti estetici.'72 Essa non può far rivivere la parabola come
evento linguistico, ma può «illuminarne le connessioni e cosi
rendere più efficace l'evento linguistico». m L'analisi critico-let­
lt'raria delle parabole svolge questa funzione. Ma poiché la vi­
Nione dell'esistenza implicita nelle strutture narrative è una
«visione dell'esistenza nella fede o nell'incredulità», e poiché
cc<leterminate figure nelle parabole rimandano accessoriamen-
1<', ma inevitabilmente a Dio» e poiché infine «l'elemento del­
la sorpresa e della straordinarietà segnala la dimensione del
divino», 174 il punto di vista critico-letterario deve essere inte-

''"' Via op. cii. , 93, cfr. ivi n. n !


· ,

1 70. Ciò risulta per analogia al rapporto tra esistenza possibile ed esistenza attuale,
mnc1·cta, cfr. sopra, p. 6.5 con le nn. 347 s.
1 ; 1 . Via, op. cii. , 94. 372 . Via, Gleichnisse, 9.5·
1 7 \. lhid. Si potrebbe definire tutto ciò come «trascrizione» delle parabole.
1 1+ Via, op. cii. , 9.5 s. ( ! ) . A quest'ultimo dei tre elementi elencati si deve il non-rca­
h�mo delle parabole di Gesù.
grato da quello teologico: nella interpretazione delle parabole
devono andare di pari passo «la critica letteraria e l'esegesi
teologico-esistenziale». m
Via elenca come segue le principali caratteristiche delle pa­
rabole come oggetti estetici:
r . «esse sono storie liberamente inventate».J;6
2 . Al pari dell'intera «letteratura occidentale» le parabole
rivelano una struttura narrativa comica o tragica.m
3. La loro qualità drammatica si manifesta - come nel tea­
tro moderno - nell'incontro (conflitto) e nel dialogo.)78
4. In base all a «capacità d'azione del protagonista principa­
le» le parabole appartengono alla classe «mimetica di livello
più basso» ovvero «realistica».)79
;. Il patrimonio figurativo è di tipo «descrittivo», cioè trat-

37'· Via, op. cit. , 96.


376. Via, ibid. Un crealismo» in senso storico (come lo richiedono Dodd o Jeremias)
non è necessario. La storia funziona mediante la giusta combinazione degli elementi
narrativi. In tal modo Via riesce a valutare positivamente il carattere· fittizio [Filetio­
nalitiit] delle parabole.
377. Via, op. cii. , 96 s. Per i concetti di cromico» e «tragico» cfr. sotto.
378. Via, op. cit. 97 s. Questo aspetto scenico, teatrale viene messo in risalto da G.
,

Eichholz; cfr. dello stesso autore, Gleichnisse, 26. 28 (collegato al carattere/itti:cio) e


passim.
379. Via, op. cit. , 98. La classificazione assume come criterio il protagonista e pona a
questa suddivisione:
a) mito (il protagonista superiore per natura al mondo ed agli uomini, quindi un
Dio);
b) finzione romanzesca (leggenda, narrazione popolare, fiaba; il protagonista è su­
periore di grado al mondo ed agli uomini) ;
e ) classe mimetica di alto livello (il protagonista è superiore d i grado agli uomini,
ma non al mondo);
d) classe mimetica di basso livello (il protagonista è uguale agli uomini ed al mon­
do) ;
e) classe ironica (il protagonista è inferiore agli uomini ed al mondo).
Una osservazione qui sulla terminologia: il traduttore di Via usa nelle due classi
parallele una volta l'avverbio (c) ed una volta l'aggettivo (d). Sarebbe meglio dire
«hoch mimetisch» e «niedrig mimetisch» senza declinare gli avverbi, oppure «hohe
mimetische» e «niedrige mimetische» Klasse, e allora i due aggettivi vengono decli­
nati. La stessa incongruenza si trova anche nell'articolo di Giittgemanns su Via, cfr.,
di Giittgemanns, l.inguistisch-didaletische Methodile, 163.

70
to dall'esperienza quotidiana. Questo simbolismo appartiene
al tipo mimetico di livello più basso.38o
Secondo Via ci sono fondamentalmente due tipi di parabo­
le: da una parte le parabole «tragiche», la cui struttura narrati­
va sfocia nella catastrofe e nell'isolamento del protagonista; 311
con la differenza che mentre nella tragedia classica domina il
tema dell' «inevitabilità della sofferenza»,382 nelle parabole di
Gesù «ha maggior risalto il tema della libertà».113 Inevitabili, in
esse sono semmai le conseguenze della visione dell'esistenza
t)rescelta. 38'' E mentre nella tradizione letteraria il protagonista
vive una vicenda «contrassegnata da un certo grado di serietà
o di grandezza», nelle parabole invece le azioni del protago­
nista hanno un carattere «del tutto quotidiano».38' Le azioni
dci personaggi delle parabole sono «sbagliate o cattive alla lu­
ce di norme enunciate da un'altra persona o implicitamente
presenti nella vicenda narrata» ; i personaggi ai quali viene at­
tribuito un potere di giudizio rimandano in secondo piano a
Dio ( ! ) .186 «La perdita dell'esistenza autentica e l'esperienza
dcl giudizio di Dio sono le due facce della medesima real­
tà». is1

1Ko. Via, op. cii. , 98 s.


1K 1 . Cfr. sopra, punto 2 con la nota 377 ed anche Via, Gleichnisse, I09 e passim. Via
m n sidera tali Mt. 2,,I4-30; 2,,I-I3; 22,n-14; Mc. 12,1-9; Mt. 18,23-3,.
1K2. Via, op. cii. , 109 con richiamo a O. Mandel.
1K4. lbid.
1K+ Via, op. cii. , no.
1K5. Via, op. cii. , no s. Esse appanengono per questo alla classe «mimetica di basso
l ivello».
1H6. Via, op. cii. , I I I . Il ruolo di Dio viene a trovarsi accostato, in senso esistenziale,
11 llucllo della morte.
1H7. lbid. A questo riguardo va notato: la possibilità ontologica della perdita dell'esi­
\ l l'nza crea, da un punto di vista estetico, il movimento tragico e sta quindi a fonda­
l l ll'lllO delle parabole tragiche (Via, op. cii. , 101 ) . Qui risulta perfettamente chiaro
' hc con l'ermeneutica di Via e con la sua interpretazione esistenziale l'escatologia
m·olcstamentaria viene ridotta ad un esistenziale. L'ontologia dcl Nuovo Testamento
1 1 ivicnc ontologia esistenziale, cfr. anche p. I87 ( ! ) cosl come p. Io' : «Nelle parabole
11 1 111 concezione esistenziale implicita nell'escatologia viene conferita penanto una
' onligurazione nuova e diversa». E ancora: «La concezione esistenziale delle para­
i mie è . . . che l'escatologico si realizza nel quotidiano» (ibid. ).

71
AI secondo tipo appartengono le parabole «comiche», la cui
struttura narrativa sfocia nella salvezza e nell'accoglimento
del protagonista in una nuova o ripristinata comunione. 188 La
dinamica comica è costituita dalla possibilità ontologica della
esistenza guadagnata. 3119 A differenza però di quel tipo di com­
media che descrive «un itinerario dalla disperazione alla fidu­
cia», e nella quale il protagonista conferma tutta la sua capa­
cità umana, nelle parabole di Gesù al protagonista «viene da­
ta una nuova possibilità extra se», della quale non ha lui la di­
sponibilità.J!IO In ciò si configura la grazia di Dio, che è il pre­
supposto che rende possibile lesito «comico» della trama, il
passaggio dalla morte alla vita.!9'
Concludendo la parte metodologica del suo libro, Via
prende posizione sulla «rilevanza teologica del realismo delle
parabole di Gesù».191 Esso infatti «suggerisce una qualche ana­
logia tra Dio e l'uomo». 391 Le parabole peraltro non ci dicono
come è Dio, ma soltanto che egli ci viene incontro nel quoti­
diano e che «se noi gli rispondiamo, la nostra esistenza divie­
ne come quella del figliol prodigo e non come quella del servo
spietato»;194 l'accento posto su questo « ch e » [dass] ricorda
chiaramente quello famoso del Gesù storico di Bultmann. m
Assume una rilevanza teologica anche un'altra caratteristica
formale delle parabole di Gesù, la serietà con la quale viene
trattato il quotidiano, che nella letteratura classica trovava

388. Cfr. sopra, punto 2 con n. 377 ed anche Via, op. di. , 138 e passim.
389. Via, op. cii. , 10r .
390 . Via, op. cii. , 1 39·
391 . Via, ibid.
392. Via, op. cit. , ro3.
393. lbid. Via tuttavia si distanzia dal concetto di Dodd di «affinità.. ovvero di analo·
gia entis (cfr. sopra, pp. 3' s.) tra ordine naturale e sovrannaturale, cfr. anche Via, op.
cit. , 103 n. 107.
394. Via, Gleichnisse, 103. Qui emergono chiaramente ancora una volta le implica­
zioni dell'ermeneutica esistenziale di Via.
39, . La struttura delle due posizioni è dcl tutto analoga; cfr. Bultmann, Chrislusbot­
scha/t, passim.

72
espressione solo «nella forma di una leggera comicità».,116 Sulla
linea di Auerbach, Via indica in questo fenomeno una conse­
guenza dell'incarnazione, poiché fu essa a determinare la rot­
tura col canone stilistico classico (quello cioè della separazio­
ne tra le vicende «serie» e quelle di tutti i giorni).i97
Rimane da chiarire il rapporto tra le parabole e I' autocom­
prensione di Gesù. Via parte dal presupposto «che I' autocom­
prensione di Gesù oltrepassava i confini di tutte le categorie
giudaiche disponibili e che egli in un certo senso parlava di se
stesso come di persona escatologica (sic!)».198 Le parabole per
parte loro « (rimandano) secondariamente a Gesù come a co­
lui il quale . . . ha creato la situazione» in esse descritta.i99 Quel­
la decisione alla quale Gesù invitava gli altri nelle parabole,
lui stesso personalmente l'ha già presa: sussiste dunque «una
certa continuità tra la visione dell'esistenza implicita nelle pa­
rabole e l'autocomprensione di Gesù».- Quella fede cui chia­
mava gli altri nelle parabole, Gesù la realizzò fino in fondo, e
questo per Via è un «dato di fatto metafisico».40 1
Ci si può chiedere infine in che cosa consista la verità delle
parabole. Al concetto di verità Via preferisce quello di «for­
za»."'°2 «La forza delle parabole di Gesù» non risiede comun­
que né nel linguaggio stesso""'i né nella fede,- bensl in quella
«continuità dell'esistenza» di Gesù, che il Nuovo Testamento
esprime parlando di «resurrezione».""'' «La resurrezione come
�96. Via, op. cii. , 104.
�w. Ibid. con n. no.
�98. Via, op. cii. , 189 (Via lascia aperta la questione dei titoli cristologici).
�99· Via, op. cit. , 190.
400. Via, op. cii. , 191. A mio awiso non sussistono motivi validi per cui Via qui non
po1rli di identità .
•101 . Via, op. cii. , 193-19,. Questo concetto (cfr. p. 19, ) è problematico, in particola­
l'c r iguardo alla delimitazione delineata da Via tra «realtà metafisica• e «affermazio­
ne di fede• e «deduzione da testi storici• (op. cii. , 194).

402. Via, op. cii. , 19, .


•103. Via, op. cii. , 196. 198 .
•104. Via, op. cii. , 196 s .
•105. Via, op. cii. , 199.

73
dato di fatto metafisico o ontologico», vale a dire la continuità
dell'esistenza di Gesù, coinvolse profondamente i discepoli e
li condusse alla fede.406 I racconti delle apparizioni, il messag­
gio della resurrezione e i racconti di resurrezione sono il pro­
dotto di quella /ede."°1 La forza {owerosia la verità) delle para­
bole di Gesù si fonda dunque sul fatto che «esse sono l'e­
spressione della sua esistenza»."°8 Existentia Iesu sigillum veri.
4o6. Via, ibid.
407. lbid. A mio avviso da un punto di vista storico questa tesi è insostenibile per-

quanto possa apparire comprensibile partendo dall'approccio ermeneutico di Via.


Né la storia della tomba vuota (Mc. 16,1-8) né il kerygma prcpaolino della resurre­
zione in I Cor. 1 , ,3_, consentono una tale interpretazione: dai testi si ricava precisa­
mente l'opposlo della tesi di Via. Le apparizioni del Cristo risorto resero possibile la
fede, e questo a persone che si trovavano in situazione di incredulità. Con questo,
peraltro, rimane aperta la questione della modalità della resurrezione .

408. Questo «essere» non è né una categoria teologica né storica, bensl metafisica
(ontologica) , dr. Via, op. cii. , 200 s.
1 .2. Osservazioni per una teoria
dell'interpretazione delle parabole

Le seguenti osservazioni per una teoria dell'interpretazione


delle parabole vanno considerate come il risultato del con­
fronto con i diversi approcci dianzi descritti ed allo stesso
tempo come una valutazione critica di essi. Inoltre in questa
sezione verranno messe a punto le categorie e verranno ela­
borate le problematiche sulla cui base saranno affrontate nel­
la seconda parte le interpretazioni delle singole parabole di
Gesù, rispetto alle quali le prospettive teoriche qui esposte
assumeranno una funzione euristica.

1 .2.0. La parabola come metafora


Punto di partenza delle nostre riflessioni sarà la tesi fonda­
mentale, sempre più diffu sa nell'esegesi contemporanea, che
le parabole vanno comprese come metafore: tesi sostenuta
soprattutto nelle analisi delle parabole ispirate dal recente
«literary criticism» americano, quali quelle di A. Wilder, R.
Funk, D.O. Via e J.D. Crossan, ' ma abbozzata già almeno im­
plicitamente in E. Fuchs, ed esplicitamente affermata in E.
,I i.ingel.' Chi aderisce a tale posizione, si oppone alla tesi enun­
ziata da Jiilicher e divenuta fondamentale per la moderna in­
terpretazione delle parabole, secondo cui la parabola andreb-

1 . Cfr. le indicazioni bibliografiche già date in 1 . 1 .4; inoltre, Perrin, Language, 127·
1 1 1 (Wilder) . 1 32·141 (Funk). 141-155 (Via). 155-168 (Crossan) ; c&. anche TeSelle,
Sp,·11ki11g, 72 nella seconda nota.
1 . Per Fuchs rinviamo ai testi già menzionati sopra, in 1 . 1 .3 ; per la condivisione di
queste concezioni in Jiingel cfr. sopra, 1.1.3. La interpretazione di Fuchs in Perrin
1 L111x11age, 107-1 1 3 ) è incompleta e va corretta nel senso già indicato. Lo stesso di-
1 ;1si per TeSelle (cfr. sopra, n. 1 ) .

75
be compresa partendo dalla comparazione, lallegoria invece
partendo dalla metafora, laddove comparazione e metafora
sono considerate fenomeni intrinsecamente diversi. Nono­
stante la questione possa sembrare marginale, questa opzione
antijiilicheriana ha delle ripercussioni di enorme portata in
tutte le questioni di interpretazione riguardanti le parabole di
Gesù, come avremo modo di rilevare più avanti. La legittimi­
tà di questa nostra azione di comprendere le parabole di Gesù
partendo dal fenomeno della metafora, si fonda innanzitutto
sull'esito cui è approdata la riflessione più recente sia nel-
1' ambito della filosofia del linguaggio sia in quello esegetico­
teologico. Mentre da un lato riguardo alle parabole di Gesù la
ricerca - almeno teoreticamente - si è allontanata considere­
volmente dai postulati di Jiilicher, dall'altro nuovi sviluppi
nella teoria della metafora' fanno vedere che la distinzione tra
metafora e comparazione, proposta da Jiilicher sulla linea
della retorica classica, risulta per molti versi superata. In se­
guito a tali sviluppi sono emerse riguardo all'essenza della
metafora prospettive tali da suggerire l'opportunità di ricon­
durre ad essa il linguaggio figurato della Bibbia ed in partico­
lare le parabole, per poterle vedere in una luce nuova. La si­
tuazione attuale nell'interpretazione delle parabole ha spinto
Ricoeur ad osservare che «gli studi biblici non hanno ancora
tratto tutti i vantaggi che avrebbero potuto trarre dalla situa­
zione nuova che è venuta a crearsi nel campo della semiolo­
gia, della critica letteraria e dell'epistemologia»;� e questo è
tanto più sorprendente, se si considera che «la recente ricerca
teologica sulle parabole . . . di fatto viene spesso a contatto con
i vari tentativi linguistici per un ripensamento della metafo­
ra».' Non è infondato dunque il progetto di ripensare le para­
bole di Gesù partendo dalla natura della metafora, di inten-
3.Per l'area di lingua tedesca cfr. }Ungei, Metaphorische Wahrheil, 76 con nn. 6 s.
Per l'area francofona e anglofona v. la ricca bibliografia, citata e discussa in Ricoeur,
Métaphore, passim.
4. Ricoeur, Stellung, '4·
5. JUngel, Melaphorische Wahrheil, 76.
dere cioè metafora e parabola come due fenomeni linguistici
analoghi.

r .2.1. L'analogia 'tra metafora e parabola


Nella terminologia corrente «metafora» designa un termine
usato in senso traslato (per esempio quando diciamo: la punta
dell'keberg, per indicare qualcosa di cui emerge solo una pic­
cola parte) . Va ribadito invece che «la metafora appartiene
alla semantica della frase, ancor prima che alla semantica del
termine; la metafora genera il significato solo all'interno di un
enunciato: essa stessa è un fenomeno di enunciazione».11 La
terminologia corrente denomina come «metafora», solo una
fJiccola parte dei fenomeni cui si riferisce questo concetto; in
essa si manifesta l'erronea concezione che le metafore siano
solamente un abbellimento, un espediente stilistico di tipo re­
torico, piacevole forse ma per nulla necessario. A rigore inve­
ce «la peculiarità della metafora è far entrare in contatto due
diversi orizzonti semantici, rappresentati da due termini al­
l'interno dell'enunciato; in senso stretto dunque la metafora
non è un termine bensl un enunciato».7 La struttura linguistica
di base della metafora è quella di un enunciato, che comporta
per lo meno le seguenti parti: il soggetto (S), il predicato (P) e
la copula (C) ; S - C - P. La metafora enuncia qualcosa, in
quanto attribuisce un predicato (P) ad un soggetto (S) , per
es., «Achille è un leone». 8
Se si parte da questa struttura linguistica di base della me­
tafora, è inconfutabile la sua analogia con le parabole di Ge­
sù. Esse sono parabole del regno di Dio, raffigurano il regno

6. Ricoeur, Stellung, 47; cfr. Métaphore, 220. uo: «C'est un énoncé entier qui consti-
1 uc la métaphore, mais l'attention se concentre sur un mot particulier dont la pré­
M:ncc justifie qu'on tienne l'énoncé pour métaphorique». Cfr. anche lngendahl, Me­
l11phorischer Pror.ess, 6,.
7 . CoslJiingel, Metaphorische Wahrheil, 1 1 2 (con richiamo a Vonessen, nota 103).
K . Per questo esempio e per la sua diffusa utilizzazione nella tradizione retorica cfr.
.f iingel, op. cii. , 73 -e passim. Ricoeur utilizza un esempio analogo: «La natura è un
lcmpio . . . » (Stellung, '3).

n
di Dio.9 Nella maggior parte dei casi il riferimento al regno di
Dio è assicurato dalla formula introduttiva;'0 in alcuni casi in­
vece la narrazione inizia senza introduzione, o la parabola è in
forma interrogativa; ma anche in questi casi ciò che la para­
bola vuole illustrare è il regno di Dio, ovvero l'agire di Dio. Il
posto del soggetto (S) nella metafora è occupato, nella para­
bola di Gesù, dal regno di Dio, mentre il posto del predicato
(P) è preso dalla narrazione stessa (quella cioè che si usava
chiamare «la parte figurata») . Il posto che ha la copula (C)
nella metafora viene occupato nella parabola di Gesù da di­
verse espressioni: in molti casi c'è qualche forma dalla radice
Ò!J.Ot-," in altri un semplice wc; (wcrn:tp), in cui va sottinteso un
«è»;" in qualche caso la copula può addirittura mancare del
tutto. 'J Pertanto la struttura di base delle parabole di Gesù,
analoga a quella della metafora, è la seguente: basi/eia e - -

narrazione. Stando a questa definizione della struttura di base


delle parabole di Gesù, metafora non è solo la narrazione, in
quanto sarebbe in tensione con la quotidianità, con la menta­
lità corrente di questo mondo;14 la tensione semantica (tra S e
P) tipica della metafora, va ravvisata invece essenzialmente tra
la basi/eia (S) e la narrazione (P). Un'ulteriore tensione tra la
vicenda narrata e la realtà della vita quotidiana, è solo una
conseguenza di questa tensione primaria, come avremo modo
di constatare più dettagliatamente.

9. «Do qui per presupposto senza fornire altre giustificazioni, che era essa (se. la ba­
sileia) il tema delle parabole di Gesù» (]ungei, Paulus und ]esus, 142).
10. Sulle formule introduttive cfr. per es. Jeremias, GleichniJse, 99-102.
1 1 . Vedi per es. bp.Q1w'1WIJ.tV (Mc. 4,30), �ibJ.,w (Le. 13 ,20) ; wµtJ1w�lì (Ml. 13,24) ;
o!Jll 1�+-o-e:-.0t1 (Mt. 2 5 , 1 ) ; oiu.»i0t èr.iv (Ml. 1 3,44.45 ) .
1 2 . Mc. 1 3 ,34 w c; ; Ml. 25,14 wrnc;i ; cfr. l'oif:wc; èr.iv anteposto in Mc. 4,26.
13. Si tratta in ispecie delle parabole in forma interrogativa (Le. 15,4.8) o che inizia­
no senza un riferimento esplicito alla basileia, per es. Le. 14,16; 1 5 , 1 1 ; Mc. 12,1 parr.
14. Questa concezione sembra soggiacere in Funlc e Via (cfr. sopra, 1 . 1 .4). Analoga­
mente si esprime anche Ricoeur, Stellung, 65 : «Si potrebbe dire anche che ciò che
nella parabola funziona come metafora, non è altro che la narrazione presa in tutta la
sua articolazione drammatica; . . . la tensione sussiste allora tra la vicenda messa in
scena e la realtà della vita quotidiana».
Una precisazione infine è necessaria per la semantica della
copula «è». Nella metafora la funzione della copula «è» non
si limita a produrre una qualsiasi correlazione tra S e P (fun­
zione «relazionale» della copula), ma implica «che qùesta re­
lazione in qualche modo descriva nuovamente ciò che la cosa
è ; afferma che la cosa sta realmente così».'' Achille è in realtà
un uomo (uso reale della copula), non è un leone. Ma nella
metafora viene descritto in modo nuovo come un leone. Que­
sto viene ottenuto attraverso quell' «è»; il quale pertanto non
può essere inteso letteralmente. È il verbo «essere» stesso che
«assume valenza metaforica», riproducendo la tensione che
sussiste tra S e P. «Quell"è' equivale allo stesso tempo a un
' non è' in senso letterale e ad un 'è come' in senso metafori­
co». 16 Se applichiamo lo stesso principio alle parabole di Ge­
sù, ne consegue: nella copula viene stabilita una relazione
metaforica tra la basileia e la narrazione, di modo che sia
chiaro in pari tempo che la basileia, in senso letterale, non è
ciò che viene narrato come P, e tuttavia è come ciò che viene
narrato. La metaforicità della copula («è») nelle parabole si
realizza col mettere a confronto la basileia e ciò che viene rac­
contato. Questa valenza di «essere come», racchiuso nell'uso
metaforico del termine «essere», in molte parabole di Gesù
viene espressa esplicitamente. Non se ne deve concludere
perciò che si tratti di una comparazione e non di metafora,
perché la distinzione tra metafora e comparazione vale solo
all'interno della retorica classica. La metafora dice come quale
rosa è una determinata cosa, la parabola dice come quale cosa
,� la basi/eia.
Se la parabola viene compresa partendo dal fenomeno della
metafora, insieme alle loro affinità, vanno notate anche le loro
differenze. '7 Mentre nella metafora la tensione semantica si
realizza a livello dell'enunciato come tensione tra termini, la

1 1. Ricoeur, op. cii. , '3 s.


1 '1 . IUcoeur, op. ai. , ,4.
1 7 . Per quel che segue cfr. Ricoeur, op. cii. , 63-6,.

79
parabola opera a livello della composizione. La composizione
come unità (ossia la narrazione) viene messa accanto alla basi­
leia ed è il loro impatto a generare la tensione semantica.' 8 Ne
consegue un'ulteriore differenza che riguarda la durata di vita
delle due forme linguistiche. Mentre le metafore, come feno­
meno di tensione, hanno un' «esistenza momentanea», che si
prolunga solo finché «continua ad essere percepito lo scontro
(clash) semantico tra i termini», i racconti figurati invece
«sembrano non esaurirsi allo stesso modo, o per lo meno non
così presto come ci si potrebbe aspettare in base a questa teo­
ria».19 Una terza differenza tra le metafore secondo il modello
«Achille è un leone» e le parabole di Gesù intese come para­
bole del regno di Dio consiste nel fatto che nelle prime entra­
no in relazione reciproca due orizzonti semantici diversi [ver­
schiedene] mentre nelle parabole entrano in relazione due
orizzonti semantici intrinsecamente incomparabili [prinzipiell
unterschiedene] , quali Dio ed il mondo. Mentre le metafore
rendono il mondano predicato del mondano, le parabole di
Gesù rendono il mondano predicato di Dio. Questo dato di
fatto costringe a distinguere già per la metafora tra metafora
«comune», che rimane nell'ambito del modano, e metafora
teologica. Su questa distinzione si dovrà ritornare a proposito
della verità delle metafore. '0 Per il momento è sufficiente aver
messo a frutto lanalogia finale tra metafora e parabola ai fini
di una teoria delle parabole.

1.2.2. Discorso proprio e improprio


Nella retorica classica la metafora era concepita come un

18. Ricoeur, op. cii. , 63, rileva a ragione che la parabola come «genere letterario»
opera a livello della composizione. A parer mio bisogna aggiungere il riferimento
delle parabole al regno di Dio, preso troppo poco in considerazione da Ricoeur.
19. Ricoeur, op. cit. , 63 s. Riguardo alle parabole di Gesù la loro vitalità è motivata
inoltre dal fatto che la tensione che si instaura nella parabola tra il regno di Dio e I'e­
sperienza dd mondo non è facilmente superabile.
20. Cfr. sotto, pp. 103-107.

80
tipo di discorso improprio:" una di quelle espressioni figurate
(tropus), che vengono usate principalmente per esigenze arti­
stiche del discorso. Compito primario della metafora all'in­
terno del discorso è convincere l'uomo, presentandogli il «ve­
rosimile in una forma gradevole»." La metafora è una deroga,
esplicitamente prevista dalla retorica, dall'uso letterale, ossia
proprio, dei termini. Il discorso metaforico si distingue dal
discorso proprio, in quanto conferisce a determinati termini
u n a polisemia mentre il discorso proprio per motivi di chia-
1·ezza deve supporre sempre l'univocità di ogni termine.'3 Ri­
e.lotta così la metafora ad un abbellimento retorico, ne conse­
gue che ciò che la metafora esprime in linguaggio figurato
può essere detto altrettanto bene anche col discorso proprio,
e anzi ancora meglio, se si tratta di descrivere la realtà. In tal
senso dunque secondo questa concezione tradizionale del lin­
guaggio la meta/ora rimane sempre fondamentalmente traduci­
bile. '4
È appunto tutto questo che viene contestato dalla linguisti­
ca più recente, non più disposta a classificare la metafora nel­
l'ambito del discorso improprio. Se, infatti, la metafora viene
definita un enunziato il cui particolare valore semantico nasce
dall'accostare l'uno all'altro due termini che intesi «propria­
mente» non sarebbero accostabili, ne consegue che essa non
può essere tradotta in linguaggio proprio senza perdere il suo
significato. La metafora ha la capacità di generare innovazioni
semantiche:'' è quella che Ricoeur definisce la loro «funzione

1 1 . }ungei, Metaphorische Wahrheit, 74; cfr. n. 1 ; Ricoeur, Ste/lung, 46 s. Per una


;malisi della teoria aristotelica della metafora, che assunse imponanza fondamentale
pl·r tutta la valutazione di questo elemento nella storia della cultura occidentale, v.
J i ingcl, op. cii. , 86- 100; dello stesso autore, Paulus und ]esus, 96 con n. 1. Sul proble­
ma cfr. Blumenberg, Beobachtungen, 190; SOhngen, Analogie, 74.

n Ricoeur, Stellung, 46; cfr. Jiingel, Metaphorische Wahrheit, 75.

i \ . Al riguardo, Jiingel, op. cii. , 75.


J�. Ricoeur, Stellung, 46: «Il significato sostitutivo non introduce alcuna innovazione
�1·1mmtica; pertanto una metafora può essere tradotta, ossia si può restituire al posto
1 ldl 'espressione figurata quella letterale».

1 � . Ricoeur, op. cii. , 45 .

81
poetica contraddistinta da una funzione puramente retorica;
capacità di operare all'interno del discorso generando un senso
nuovo, riuscendo a trasformare in linguaggio certi settori del-
1' esperienza e della realtà, che attendono ancora di essere e­
spressi». '6 Intesa cosl, dal rango di fenomeno linguistico mar­
ginale la metafora viene promossa a quello di processo lingui­
stico fondamentale. •7 La concezione della metafora come feno­
meno linguistico marginale si basa «sulla visione caratteristica
dell'antichità, secondo la quale sussiste una corrispondenza tra
essere e concetto». 2 8 Se kosmos e logos sono correlati l'uno
all'altro, la metafora, col suo discostarsi dall'uso univoco dei
nomina e quindi dal linguaggio concettuale, non è in grado di
dire nulla sulla realtà del kosmos. Per attribuirle invece la ca­
pacità di generare significati e di ridescrivere il mondo nuovo,
occorre lasciar cadere l'antica tesi della correlazione tra kos­
mos e logos, e riconoscere al linguaggio la capacità di spin­
gersi anche al di là dei suoi confini per dischiudere il kosmos. È
questa la posizione della più recente teoria della metafora, in
forza della quale «il discorso metaforico non è linguaggio im­
proprio né ambiguo, bensì una forma particolare del discorso
proprio, del linguaggio determinativo»:9
Viene a cadere allora, per quanto riguarda le parabole di
Gesù, la distinzione jiilicheriana tra «parte figurata» e «parte
reale» (basata sulla distinzione tra la metafora e la compara­
zione) . Se infatti la metafora non è solo il rivestimento figura-
26. Ricoeur, op. cii. , 46 (corsivo mio).
27. Jiingcl, Metaphorische Wahrheit, 77. SOhngen distingue oltre alle funzioni logiche
della lingua (Analogie, 23 ss.) anche quelle estetiche ed etiche (op. cii. , 45) . A quelle
estetiche appaniene, accanto a quella fàtica-mimetica (espressione della cosa stessa;
«mostrarsi delle cose stesse attraverso le parole,., op. cii. , 48) , a quella di visione del
mondo (weltanschauliche, op. cii. , 86) e a quella enfatica (autoespressione della per­
sona, op. cii. , 54), anche la funzione metaforica della lingua come enunciato in figure
e similitudini {op. cit. , 57). Anche questa è un procedimento fondamentale della lin­
gua, poiché la clingua vive di traduzione, trasposizione, con esse opera e crea .. (ibid. ) .
28. Jiingel, op. cii. , 79.
29. Jiingel, op. cii. , 1 19. Si trova una tesi simile, sui discorsi figurati di Giovanni, in
Schweizer, EGO BIMI, 1 29, dove si contrappone all'interpretazione mitologica delle
immagini (pastore, vigna e così via).
to di una realtà che in se stessa può essere espressa anche col
discorso proprio, ma è essa stessa discorso proprio, allora an­
che la parabola, intesa partendo dalla natura della metafora,
non è solo l'immagine di una realtà ugualmente esprimibile
anche senza di essa. Non basta dire che la parabola esprime il
vecchio in modo nuovo, o il vero attraverso immagini, ma bi­
sogna sottolineare che la verità espressa in essa non può essere
detta se non attraverso l'immagine. Il contenuto espresso nelle
parabole non può essere scisso dalla forma, nella quale esso
viene espresso. In tal modo viene a mancare il fondamento a
qualsiasi teoria che voglia spiegare il linguaggio parabolico di
Gesù partendo dagli effetti di esso, sia che si tratti della moti­
vazione didattica della parabola da parte di Jiilicher, sia che si
tratti della loro definizione come strumento nella battaglia
contro gli avversari della lieta novella da parte di Jeremias. È
la verità stessa espressa nelle parabole a richiedere questa for­
ma particolare. Per questo esse non sono difesa o giustifica­
iione della lieta novella, ma sono esse stesse vangelo. Con
questo non si nega che tale forma linguistica comporti il con­
seguimento di un effetto, in quanto la parabola impone all'u­
ditore una presa di posizione nei confronti del contenuto di
essa. Ma Gesù di N azaret ha parlato in parabole non perché
voleva conseguire un effetto, bensì perché il regno di Dio da
lui predicato è una verità che non ha sussistenza «in se stes­
sa», ma per sua natura mira all'adesione dell'uditore.JO La for­
ma linguistica della parabola corrisponde a questo tipo di veri­
tà, e solo in tal senso mira ad un effetto. Esprimere questa ve­
rità ed annunciare questa verità sono un tutt'uno, così come
contenuto e forma della parabola sono un tutt'uno.
Eliminata così, in forza di questa unità, la distinzione fra
i mmagine e realtà, viene a cadere anche la ricerca di un tertium
mmparationis. Non esiste un tertium che possa mediare tra la
\o. Già nella predicazione di Gesù si può cogliere un tratto essenziale del discorso su
I >io, che emergerà più tardi nella dottrina trinitaria della chiesa: Dio non può essere
pl'll s ato diversamente se non come colui che (nella persona di Gesù) si rivolge sem­
pn: all'uomo e (nella persona dello Spirito Santo) lo muove all'adesione.
basileia e la parabola: al contrario, la basileia si rende presen­
te solo nella parabola e solo come parabola. 3' Di qui, ancora
una volta, la intraducibilità delle parabole: una regola da os­
servare rigorosamente e che non può essere trasgredita impu­
nemente né deducendone verità generali (Jiilicher) né spre­
mendone come succo «visioni dell'esistenza» (Via) . L'intra­
ducibilità delle parabole pone l'interpretazione di fronte al
problema di come essa - in quanto linguaggio pur sempre
di tipo concettuale - possa salvaguardare la metaforicità. In­
nanzitutto, riteniamo, col rinunciare a sostituirsi alle parabole
(per esempio deducendone affermazioni teologiche di portata
generale), e mantenendo invece in primo piano sempre la pa­
rabola stessa, facendone emergere le strutture e fornendo, se
necessario, un inquadramento storico. L'autentica metafora
non può essere tradotta, però può essere trascritta. l'
La metafora intesa come discorso proprio, nella sua strut­
tura fondamentale, nasce dalla tensione tra il soggetto ed il
predicato, che si produce quando ad un soggetto (per es.
Achille) viene attribuito un predicato (per es. leone) che in
base al suo «significato proprio»31 non potrebbe essere ammes­
so come predicato all'interno di questo enunciato; la tensione
allora determina una frantumazione del significato già fami­
liare (quello «letterale» o «proprio») del predicato e l'acquisi­
zione di un significato nuovo all'interno dell'enunciato meta­
forico. Il nuovo contesto nel quale viene collocato il termine,
ne impone una reinterpretazione: «l'interpretazione metafori­
ca presuppone quella letterale, nel momento stesso in cui la
frantuma; essa consiste nel trasformare una contraddizione
priva di significato in una contraddizione carica di significa-

3 1 . A mio avviso tra i «canoni ermeneutici» derivanti da un ripensamento delle para­


bole a partire dall'essenza della metafora, è questo il più importante (per l'espressio­
ne, cfr. Jiingel, Paulus und Jesus, 13.:;).
32. «Che esse (se. le metafore autentiche) siano intraducibili, non significa che non se
ne possa fare una trascrizione, ma che la trascrizione non ha mai fine e non esaurisce
mai la carica innovativa del significato» (Ricocur, Stellung, 49) .
33. Per questa espressione v. Jiingcl, Metaphorische Wahrheil, 7'·
to». 14 La metafora pertanto si discosta dall'uso linguistico cor­
rente (che si manifesta nel significato proprio delle parole)
per aprire al linguaggio nuove possibilità; a tale scopo essa ri­
chiama alla memoria il significato corrente di una parola, per
poi distruggerlo e farne emergere un significato nuovo. Chi
ignora cosa sia propriamente un «leone», non potrà capire il
senso della metafora «Achille è un leone»; il vecchio significa­
to è il presupposto per la comprensione di quello nuovo. Que­
sta distruzione del significato proprio di un predicato, riscon­
trabile già in qualsiasi metafora, diviene particolarmente vi­
stosa e viene a collocarsi ad un livello qualitativamente supe­
riore quando si passa a considerare la metafora teologica. «Lu­
tero poneva come assioma generale omnia vocabula in Christo
novam significationem acdpere in eadem re significata».,, Se in
un enunciato il mondano viene riferito come predicato a Dio
(in Christo) , allora all'interno di tale relazione esso acquista
un senso che infrange tutti i significati consueti (anche quelli
metaforici ! ) pur senza perdere il riferimento ad essi. «Quando
Gesù dice 'lo sono la vite', non si può intendere la vite nella
vigna e tuttavia è indispensabile richiamarla alla mente.,6
Come nella metafora teologica (ed in qualsiasi metafora) il
significato consueto viene distrutto ossia viene infranta la tra­
dizione linguistica corrente, così nella parabola il mondo non
è più quello di prima. In alcuni casi lo si può vedere dal fatto
che il mondo narrato nella parabola non coincide con quello
esistente, la narrazione cioè non si presenta realistica. Il senso
nuovo che la narrazione, equivalente al predicato P, acquista

H· Ricoeur, Stellung, 47; cfr. anche Lipps: « ... il significato (se. di una parola) si
compie [voll-zieht, con trait d'union a marcare i due componenti: arrivare-a-pie­
nezza ] soltanto quando è accolta in un contesto concreto» (Metaphern, 67) ; cfr.
Jiingcl, op. cii. , 1 20.
35. Jiingel, op. cii. , 77. Con l'espressione «in Cristo» si crea un contesto escatologico
nuovo, rispetto a ogni altro contesto nel quale le parole sono usate comunemente.

36. Jiingel, op. cii. , 1 20. Il predicato «Gesù è la vera vite» non può più essere definito
rnme metafora, bensi come enunciato proprio, perché l'aggettivo «vero» garantisce
d1c quella copula «è» viene usata in senso reale. In una frase del genere non è più
presente in nessun modo un «non è».
con il riferimento metaforico al regno di Dio, lascia delle
tracce nella struttura narrativa stessa: sia che la narrazione
prenda una piega completamente inaspettata (come nella para­
bola degli operai della vigna, dove il pagamento del salario
avviene in una forma inaspettata) , sia che dò che d si aspette­
rebbe, venga di gran lunga superato (come il raccolto del seme
caduto sul terreno buono in Mc. 4,3-9, il comportamento del
padre in Le. 1 5 , u ss. o il rifiuto da parte di tutti gli invitati
nella parabola della grande cena Le. 14, 15 -24 par. ), sia che
contrasti effettivamente presenti- vengano spinti all'estremo
(come la piccolezza del granello di senape a confronto del
grande albero in cui esso si trasforma, Mc. 4,30- 32 parr. ) .
Una concezione delle parabole che fa del loro realismo narra­
tivo il criterio di verità (Dodd) o la garanzia dell'autenticità
(Jiilicher, Jeremias) , misconosce gli elementifitti'zi della nar­
razione, che necessariamente derivano dal riferimento metafo­
rico del mondo narrato al regno di Dio. I tratti iperbolici e
paradossali di una parabola non sono solo un ausilio per l'in­
terpretazione, ma attestano che ogni parola riferita a Dio di­
viene una «parola rinnovata».i7 E tuttavia resta valido anche
qui che il mondo esistente, ciò che realisticamente ci si do­
vrebbe aspettare (al pari del significato proprio del termine
nella metafora) rimane il presupposto per la comprensione del
significato nuovo, che si esprime nella parabola attraverso il
racconto. Nell'interpretazione delle parabole bisogna prestare
dunque piena attenzione innanzitutto all'elemento P (ossia al­
la narrazione stessa), interpretando la narrazione considerata
in se stessa, e prendendo in particolare considerazione i rap­
porti tra il mondo narrato e quello esistente.

1.2.3. Il regno di Dio come parabola


Nell'ultima sezione è stata presa in considerazione l'analo­
gia tra la metafora e la parabola, prestando particolare atten-

37. lbid. (citazione di Lutero).

86
zione al predicato; ora è importante soffermarsi anche sul
soggetto. Nelle parabole di Gesù il regno di Dio occupa il po­
sto del soggetto (Achille) nella metafora. Come l'interpreta­
zione metaforica della frase «Achille è un leone» è completa
solo quando viene spiegato il riferimento del predicato «leo­
ne» al soggetto e i nuovi significati che esso crea, cosl l'inter­
pretazione della parabola deve partire innanzi tutto dal riferi­
mento della narrazione al regno di Dio; deve interpretare la
parabola come una raffigurazione del regno di Dio ; il mondo
narrato nella parabola (cfr. sopra, 1 .2.2), analizzato in un pri­
mo momento solo in se stesso, dev'essere collocato nel conte­
sto del regno di Dio, e devono essere interpretati l'uno alla
luce dell'altro.
Solo trascurando questo riferimento, si potrà avere l'im­
pressione che ogni parabola nella sua unità non faccia altro
che mettere in scena «una possibilità ontologica - una pos­
sibilità fondamentalmente data e accessibile per l'uomo in
quanto uomo - ... ».)8 L'oggetto della parabola sarebbe in
questo caso «una visione dell'esistenza»/9 e l'idea di Dio
espressa nella parabola sarebbe solo un'espressione (mitologi­
ca) di questa visione dell'esistenza; con la conseguenza che
nelle parabole Gesù avrebbe predicato la sua visione dell'esi­
stenza. In questa maniera si riducono a <<Una ridescrizione
dell'esistenza» ;""' e infine, come ultima conseguenza, la perdita
dell'esistenza autentica (illustrata in diversi personaggi delle
parabole) e l'esperienza del giudizio di Dio sarebbero solo
due aspetti della stessa realtà. 4' Chi invece interpreta le para­
bole partendo dalla natura della metafora, dovrà innanzitutto
tener conto che, sempre secondo il nostro esempio, non è
Achille ad essere posto nel contesto del leone, bensl il leone in
quello di Achille: è il leone stesso, in questo contesto, ad ap­
parire sotto una nuova luce. Applicato alle parabole, questo
�8. Via, Gleichnisse, 46 (cfr. sopra, 1 . 1 .4).
�9· È cosl nell'approccio di Via, cfr. sopra, I . 1 .4 particolarmente nn. 347-349.
40. Ricoeur, Slellung, 45.
4 r . Via, Glechnisse, u i , cfr. sopra, p. 71 n. 387.
comporta che la visione del mondo e dell'esistenza implicita
nella narrazione è solo una conseguenza del fatto che l'uomo
ed il mondo vengono collocati nel contesto del regno di Dio.
Quello che sta a cuore a Gesù è vedere l'uomo ed il mondo
nell'orizzonte di Dio,42 e non, viceversa, ridurre Dio a una
funzione dell'esistenza umana. Il «leone» acquista un nuovo
significato allorché appare nell'orizzonte di Achille; è il leone
che viene utilizzato per descrivere Achille e non Achille per
descrivere il leone. Allo stesso modo il riferimento delle para­
bole al regno di Dio testimonia che il mondo diviene predica­
to metaforico di Dio, non Dio predicato metaforico del mon­
do. Un'interpretazione puramente esistenziale capovolge tale
rapporto.
Con questo non si vuol sostenere che assumere il mondo
come predicato di Dio non comporti delle conseguenze anche
per il mondo, descrivibili eventualmente anche in categorie
esistenziali, ma non esauribili in esse. Nelle parabole di Gesù
si fa linguaggio il regno di Dio come vicino.�i Come nella me­
tafora Achille appare così vicino al leone, che quest\1ltimo
non può più rimanere solo un animale nel deserto, così nelle
parabole Dio compare così vicino all'uomo ed al suo mondo,
da rendere necessaria una nuova visione dell'uomo e del
mondo.+1 Per quanto riguarda la comprensione di sé, la visione

.µ. Impostazione analoga in ]ungei quando critica la tesi di Robinson secondo la


quale il messaggio di Gesù consisterebbe nel portare a espressione linguistica la sua
concezione dialettica dell'esistenza (Paulus u11d ]esus, 186). Rinviando ad una affer­
mazione di Fuchs, }ungei sostiene che la questione della concezione dell'esistenza da
pane di Gesù «non (può) sostituirsi prematuramente alla questione della sua conce­
zione del tempo» e «che la concezione del tempo da pane di Gesù implicita nel suo
annuncio della basileia non ha altro oggetto se non la vicinanza di Dio; nella predi­
cazione di Gesù non è Dio ad apparire a//'orizzonte dell'esistenza umana, bensì l'uo­
mo ad apparire dentro l'orizzonte di Dio» (op. cii. , 1 87, corsivi miei).
43. «La vicinanza del regno di Dio è tale che ha bisogno della forma linguistica della
parabola, per potersi esprimere in modo tale che l'uomo possa prendere posizione
nei suoi confronti» (]ungei, op. cii. , 168 s.) .
44 . A differenza della metafora, dove non s i ha d i mira una nuova comprensione
senza conseguenze sulla comprensione che l'uomo ha di se stesso e del mondo. Ri­
guardo a qualsiasi discorso su di Dio si può dire: «L'esigenza di comprensione insita

88
dell'esistenza dell'uditore, attraverso la parabola la basileia e
Dio stesso gli si fanno comprendere in maniera tale da fargli
comprendere al tempo stesso in maniera nuova e più autenti­
ca anche se stesso. Ma questo cambiamento nella visione del­
!' esistenza è solo una conseguenza di questa nuova compren­
sibilità di Dio e come tale non può essere messa al posto di
essa. Soltanto entro questi precisi limiti può aver senso inter­
pretare le parabole di Gesù anche in senso esistenziale.

1 . 2 .4. Parabola e allegoria


Se le parabole di Gesù vengono comprese partendo dalla
metafora, si rivela fragile la distinzione tra parabola ed allego­
ria ricondotta da ]Ulicher alle rispettive forme embrionali,
comparazione e metafora; la distinzione va formulata in modo
nuovo. Nella parabola, la struttura di base della metafora, «S
- C P», viene talmente sviluppata che P non è più un sin­
-

golo termine, bensì un racconto oppure una descrizione (se­


condo che si tratti di un racconto parabolico o di una simili­
tudine) , risultanti da tanti singoli elementi (E,, E,, E1, E") ta­ • • •

li da configurare una determinata struttura narrativa. Come


nella metafora P deve essere interpretato in senso metaforico,
allo stesso modo, nella parabola, P preso nella sua totalità: la
struttura narrativa come totalità (all'interno della quale i sin­
goli elementi sono tenuti insieme dall'orientamento ad un'u­
nica pointe) viene messa in tensione semantica con l'elemento
S (ossia con il regno di Dio) . I singoli elementi dunque sono in
rapporto primariamente tra di loro; e tale rapporto è un pre­
supposto essenziale per la comprensione della parabola. Que­
sto però non significa che i singoli elementi vadano intesi
esclusivamente in senso letterale; essi invece possono assume­
re significati metaforici importanti per la comprensione del­
l'insieme. Già da molto tempo è stato rilevato che termini co-
nel discorso su Dio si esplica chiaramente, solo se essa introduce nel più vasto conte­
sto in cui s'intrecciano conoscenza di Dio, conoscenza di sé e conoscenza del mon­
do» (Ebeling, Sprachlehre, 225 s.).
me «padre», «re», «padrone di casa» e simili, anche all'inter­
no di una parabola, rimandano metaforicamente a Dio, senza
che per questo la parabola diventi un'allegoria. Lo stesso vale
anche per altri elementi narrativi come per esempio l'assun­
zione degli operai nella vigna (metafora di Dio che attende
qualcosa dall'uomo) o il pagamento del salario (metafora del­
la retribuzione dell'uomo da parte di Dio) . Le valenze meta­
foriche insite in questi elementi sono importanti per la com­
prensione della parabola. Nella interpretazione va sempre te­
nuta presente la preistoria dei temi [Motivgeschichte] ; ci si de­
ve chiedere cioè di volta in volta se quelle valenze erano già
note ai primi ascoltatori della parabola. Nella misura in cui
appartenevano alla tradizione linguistica in possesso dell'udi­
tore medio di quell'epoca, esse erano patrimonio comune, e
non avevano alcuna funzione di occultamento. Per la distin­
zione fra parabola e allegoria è importante però che questi
eventuali riferimenti insiti nei singoli elementi della narrazio­
ne non assumano una funzione autonoma, ma vadano consi­
derati solo nell'insieme del racconto; soltanto in secondo pia­
no essi possono rinviare al vecchio mondo (linguistico). 4' In
uno schema grafico la parabola si presenta cosi:
metafora: s -- e p

parabola: E, oo E, oo E, oo E, oo E.
tensione
s �---�
semantica
<I l� struttura
narrativa

S, s.
45. Via ribadisce «che il senso delle parabole di Gesù non può essere limitato ad un
solo termine centrale di paragone, ma che non per questo le parabole si trasformano
in allegorie» (G/eichnisse, 28). Le parabole si distinguono dalle allegorie perché nella
parabola i diversi elementi narrativi stanno in rapporto tra loro, mentre ciò non av­
viene nell'allegoria (op. cii. , H s.). Eichholz parla di «andatura da racconto» come
caratteristica della parabola (G/eichnisse, 19). La storia della parabola è costruita in­
tenzionalmente; il ricorso alla vita quotidiana è guidato da ciò che si intende affer­
mare (op. cit. , 28). L'affermazion.e si basa essenzialmente sulla combinazione degli
elementi narrativi. Anche J ungei sottolinea questo aspetto: «La parabola si distingue
chiaramente dall'allegoria, poiché tutti gli elementi descrittivi o tratti narrativi . ri­ ..

mangono rigorosamente riferiti alla pointe» (Paulus u11d ]esus, 1 37).


Completamente diverso invece il modo in cui procede I' al­
legoria. In essa non c'è l'elemento S, che è collegato con P at­
traverso C: non c'è, cioè, alcun soggetto principale, col quale
l'allegoria come totalità possa entrare in relazione predicativa.
AI contrario, l'allegoria consta di tanti singoli elementi, ognu­
no dei quali ha la struttura di base di una metafora. Tra di lo­
ro questi singoli elementi non hanno alcun rapporto se non
quello che collega i rispettivi soggetti (S,, S,, . . . S") . I singoli
elementi rimandano primariamente all'esterno, ai soggetti da
essi intesi, e solo secondariamente l'uno all'altro. La struttura
narrativa dell'allegoria non deve essere pertanto interpretata
in senso metaforico; non fa altro che ricalcare direttamente la
struttura della realtà significata, tanto che l'allegoria funziona
anche senza una pointe.46 In una rappresentazione grafica ne
risulta la seguente immagine:
(metafora: S --- C ------- P)

allegoria: E, E, E,
! ! !
S, oo S, oo S, oo

L'intento di occultare la realtà non è un elemento essenziale


dell'allegoria, ma può subentrare qualora la maggior parte
delle singole metafore che si susseguono risultino estranee alla
tradizione linguistica dominante, oppure le metafore non sia­
no formate per analogia. L'allegoria pertanto si presta come
linguaggio cifrato, in quanto dà al narratore la possibilità di
costruirla con una serie di metafore ignote, inventate da lui
stesso. Di qui la possibilità di spiegare queste metafore ad un
gruppo ristretto di persone, conferendo all'allegoria la fun­
zione di confermare gli iniziati come tali, gratificandoli con la

46. «L'allegoria - codifica il linguaggio usuale in un linguagg io cifrato e per questo


richiede un processo di decifrazione» (Eichholz, Gleichnisse, 14). Le relazioni ven­
gono stabilite da una realtà exlralinguislica, ossia dalla correlaz ione dei significali
racchiusi negli elementi figurati (Via, Gleichnisse, 17). L allegoria è ricalcata sull'og­
'

getto (rispetto alla relazione S,. .. S,l (Linnemann, Gleichnisse, 16) .

91
comprensione, e smascherare invece i profani come coloro
che non sanno; questo tipo di allegoria serve dunque a sepa­
rare coloro che sono all'interno di una cerchia da quelli che
ne stanno al di fuori. Esso però risulta assente dalla tradizione
sinottica, anche se Mc. 4,10- 1 2 rispecchia /orse una equipara­
zione delle parabole ad allegorie nel senso di cui sopra.
Le interpretazioni «allegoriche» delle parabole presenti nel­
la tradizione sinottica vanno chiaramente distinte dalle allego­
rie nel senso stretto del termine. La differenza principale con­
siste nel fatto che in quelle dei sinottici si tratta non di allego­
rie concepite originariamente come tali, bensì di interpretazio­
ni successive di testi concepiti originariamente come parabole.
Questa differenza può essere chiarita anch'essa partendo dal­
la natura della metafora. «La metafora ha una potenzialità di
implicazioni, di connotazioni, che non possono essere scam­
biate a caso, che sono sempre a disposizione, ma possono an­
che rimanere inutilizzate sino a quando qualcuno non ne ha
bisogno».47 Le metafore, proprio perché intraducibili, sono
protese verso l'esperienza, vogliono essere utilizzate nella
prassi della vita; si presentano aperte nei confronti dell'udito­
re. Nel corso dell'utilizzazione può succedere che nella stessa
metafora emergano nuove connotazioni e vengano scoperte in
modo nuovo le loro implicazioni. Ne consegue che le meta/o­
re hanno una storia, anzi fanno storia, essendo protese ad una
utilizzazione sempre nuova.48 Il loro rapporto con la storia è

47. Blumenberg, Beobachtungen, 192.


48. Blumenberg, Beobachtungen, elenca esempi molto istruttivi di metafore che han­
no dietro di sé tutta una storia. Egli mostra con l'esempio della metafora storico-fi­
lologica «fonte», come in essa nel corso del tempo siano stati scoperti nuovi aspetti e
come abbia poi finito per diventare un termine tecnico (pp. 190-19, ) . Innanzitutto
non di rado si può osservare che le metafore vengono prese alla lettera (op. cii. ,
209) ; evidentemente è insita i n esse una tendenza a formare concetti sulla base di
una ambiguità linguistica. Varrebbe la pena di approfondire in che misura la forma­
zione della cristologia della chiesa antica nell'orizzonte della logica greco-romana
era appesantita dalla difficoltà dovuta al fatto che essa già in partenza era portata a
prendere alla lettera la metafora «Gesù è il Cristo». Illuminanti anche le vicissitudini
della metafora del naufragio, che Blumenberg segue dall'antichità sino all'epoca mo­
derna prendendone in considerazione le implicazioni ontologiche (op. cii. , 171-190).

92
dialettico: da una parte recepiscono esperienze storiche, riatti­
vando il loro potenziale di implicazioni e inglobando nel loro
campo di connotazioni nuovi aspetti; dall'altra creano espe­
rienze storiche, anticipando nell'immaginazione delle connes­
sioni che non potevano essere riconosciute dalla tradizione
linguistica preesistente. Lo stesso vale per le parabole di Ge­
sù: «Alla intraducibilità nel linguaggio corrente si può ovviare
soltanto con l'applicatio (applicazione) mediante la prassi di
vita».49 Questa applicatio non va fraintesa però nel senso di
una trasposizione morale della parabola. La parabola si rivol­
ge prima alla nostra immaginazione e solo successivamente
alla nostra volontà: «per essa questo tipo di linguaggio apre
possibilità di rinnovamento e creatività».'0 L'intraducibilità
della parabola comporta che in determinati strati della tradi­
zione sinottica si rinuncia del tutto a tradurre l'esperienza ge­
nerata dalla parabola in una spiegazione in linguaggio concet­
tuale. Anche in questo caso però la parabola non è rimasta
estranea alle esperienze che essa ha reso possibile: esse sono
penetrate nella parabola stessa sotto forma di interpretazioni
metaforiche di singoli elementi narrativi o sotto forma di ag­
giunta di nuovi dettagli. Quali esperienze siano state fatte con
una determinata parabola, non è affatto irrilevante per l'inter­
pretazione; l'interpretazione invece deve leggere le tracce che
quelle esperienze hanno lasciato nella parabola, e coglierne
l'importanza per la comprensione della parabola. Per la meto­
dologia dell'interpretazione delle parabole ne consegue che le
parabole di Gesù devono essere dapprima ricostruite nella lo­
ro forma originaria attraverso un procedimento analitico con
l 'aiuto dei metodi della storia della redazione e della storia
della tradizione. Con un procedimento sintetico si deve ri­
pensare poi tutta la storia che quelle parabole originarie han­
no vissuto all'interno della tradizione sinottica, arrivando fino
49. Ricoeur, Stellung, 70.
50. Ibidem. Già Fuchs sottolinea che le parabole hanno come scopo il cambiamento
dcl nostro alleggiamenlo e non vanno intese primariamente in senso etico (cfr. so·
pra, L l .3).

93
al Vangelo di Tommaso. Questo procedimento sintetico in­
troduce nel lavoro esegetico «la dimensione della Wirkungs­
geschichte [storia degli effetti] »/' intendendo con questo
termine non solo la storia (postcanonica) degli effetti di un
testo neotestamentario, ma più ampiamente la storia di un
evento linguistico dalla sua origine sino al presente dell'inter­
prete.'' Unicamente per motivi pratici tale ricerca viene qui li­
mitata nell'arco che va dal Gesù storico sino alla fine della
tradizione sinottica (oppure fino al Vangelo di Tommaso) ; in
linea di principio andrebbe prolungata sino al presente. L'esi­
genza di integrare nel lavoro esegetico la «storia degli effetti»
parte dal presupposto che «quanto una determinata tradizio­
ne contenga di impulsi veramente decisivi e determinanti non
si manifesta solo risalendo alla forma originaria di una tradi­
zione», ma anche da come la forma originaria ha operato nel
corso della storia trasformando la realtà." Procedimento par­
ticolarmente adatto alle parabole di Gesù, perché in virtù
della loro natura di metafore esse sono essenzialmente orien­
tate alla storia, in quanto recepiscono esperienze - interpre­
tando il vecchio mondo - e generano nuove esperienze -
dando vita a un mondo nuovo. Le parabole di Gesù hanno una
storia e fanno storia.
Va superato pertanto quel pregiudizio largamente diffuso
secondo cui le interpretazioni subentrate nel corso della tradi­
zione sinottica sarebbero solo «sovrapposizioni allegoriche»,
dalle quali le parabole devono essere liberate. Il ricorso alla
forma originaria della parabola è metodologicamente legitti­
mo; anzi è doveroso, perché indispensabile anche per deli­
neare la «storia degli effetti». Limitarsi ad esso equivarrebbe
però a fermarsi a metà strada. L'analisi deve essere integrata

5 1 . Per q uesto concetto dr. Stuhlmacher, Neues Testament und Hermeneutik, 35-38
( il concetto si trova a p. 35).
,2. Alla distinzione tra storia degli effetti por/neotestamentaria e neotestamentaria
soggiace il problema teologico del canone neotestamentario, che in questa sede non
possiamo affrontare.
53. Stuhlmacher, Neues Testament und Hermeneutik, 36.

94
dalla sintesi, all'interno della quale caso per caso, per ognuno
di questi ritocchi interpretativi ci si chiederà se risulta illumi­
nante e oggettivamente fondato. In particolare bisognerà esa­
minare attentamente quali tracce abbia lasciato nelle parabole
quella svolta storica, di fondamentale importanza, dal Gesù
che predica al Cristo che viene predicato. Dei problemi er­
meneutici connessi a questa svolta dovremo parlare più diffu­
samente a suo luogo.
Per il momento è sufficiente osservare che questi ritocchi
interpretativi della comunità possono dirsi allegorici solo nel
senso che sfruttano la metaforicità dei singoli dettagli. Ciò
non si differenzia fondamentalmente dalle parabole origina­
rie, poiché anche in queste svolge un suo ruolo la metaforicità
dei singoli dettagli. Un'interpretazione «allegorica» non tra­
sforma la parabola in un'allegoria, nella misura in cui questa
referenzialità dei dettagli rimane subordinata alla loro funzio­
ne nella totalità della struttura narrativa, mentre nell'allegoria
è la concatenazione interna ad essere subordinata alla refe­
renzialità dei singoli dettagli. L'interpretazione «allegorica»
integra nella parabola ulteriori esperienze,'4 l'allegoria al con­
trario codifica lesperienza o la visione nelle immagini, integra
la figura nella realtà significata.

1 .2.5. Linguaggio e realtà


La metafora conferisce al reale qualcosa di più di quanto
esso possieda in realtà. Achille in realtà non è un leone, bensl
un guerriero coraggioso. Ed il leone in realtà non è un predi­
cato di una persona, bensl un animale del deserto. «Il discor­
so traslato dà l'impressione di non cogliere la realtà della
res» :,, ma è l'impressione che può avere chi pensa che il signi-

H- t!. molto discutibile, pertanto, se si possa definire con Perrin «the process of in­
tcrpretation of the parables in the early Christian communitics» come il «process of
thcir domcstication» (Language, 199 ) .
5 5 . Jiingel, Metaphorische Wahrheit, 78. Benn parla d i «esagerazione» come contras­
�cgno della metaforicità ( Blumenberg, Beobachtungen, 169).

9.5
ficato «letterale» dei termini esprima esaurientemente e pie­
namente la realtà. La concezione linguistica che sta alla base
di questo modo di vedere fa del linguaggio un epifenomeno
della realtà, un semplice strumento di comprensione del rea­
le. Di conseguenza questa concezione linguistica considera il
discorso metaforico un abbellimento accessorio e si sforza al
massimo di evitarlo quando si tratta di descrivere il reale.'6 La
più recente teoria della metafora parte invece dal presupposto
che la metafora, considerata discorso proprio, non ha solo un
carattere «emozionale», ma è veicolo di «una nuova in/orma­
zione».'7 Mediante «l'errore programmato»'8 con il quale la
metafora accosta l'uno all'altro elementi diversi della realtà
già esistente, vengono dischiusi campi semantici nuovi. Nasce
cosl un senso [Sinn] nuovo; ma anche un nuovo significato
[Bedeutung] . Se per «senso» si intende il contenuto ideale di
un enunciato, l'assetto interno dell'enunciato, e per «signifi­
cato»'9 la pretesa di verità, il reale extralinguistico, l' «essere
56. In filosofia le metafore vanno ridotte al minimo. Questo postulato di Kainz
(Sprachverfiihrung, 104) mette in chiaro le riserve, cui va incontro l'uso della metafo­
ra in un linguaggio mirante alla verità ed alla realtà. «Le immagini per lo più dicono
troppo, in ogni metafora è insito un elemento di iperbolicità. Ma in questo «di più»
ridondante è incluso il rischio di una particolare seduzione linguistica: l'oggetto vie­
ne considerato cosl buono o così cattivo a seconda di come la metafora iperbolica lo
rappresenta» (op. cit. , 1 14). Questa ambivalenza vale per il linguaggio in generale.
«Mediante il linguaggio si dischiude il regno della verità, ma allo stesso tempo anche
quello della menzogna» (Ebeling, Sprachlehre, 109). Con questo tuttavia si dà per as·
sodato che al linguaggio non viene attribuita una mera funzione di segno. Esso non
può ridursi solo a un epifenomeno del reale. La «concezione che attribuisce al lin­
guaggio funzione di segno ha una qualche validità, ma solo molto limitata» (op. cit. ,
113). «La funzione specifica del linguaggio . . . si realizza solo quando l'oggetto di cui
si tratta non è già presente e riconoscibile o comunque non lo è senz'altro sotto
quell'aspetto di cui si parla, ma si rende presente solo mediante l'espressione lingui­
stica» (op. cit. , 115).
57. Ricoeur, Stellung, 49. «Contro la concezione 'puramente retorica' della metafora
sta già la constatazione che spesso anche termini considerati verba propria sono dive­
nuti qualcosa di simile a metafore autonome» (Jiingel, Metaphorische Wahrheit, 77) .
58. Ricoeur parla a questo proposito di un «category mistake» (Stellung, 48. 49) , di
un «miss assignement» (ossia di una falsa attribuzione; op. cit. , 53) o di un «errore
calcolato» (op. cii. , 48).
59. Per la distinzione tra senso e significato cfr. Ricoeur, op. cit. , 49 (ibid. anche l'e­
spressione citata) .
detto del mondo», allora le affermazioni ora fatte sulla meta­
fora sottintendono una concezione linguistica ben diversa da
quella prima citata: il linguaggio ha la funzione di articolare la
nostra esperienza del mondo; non esiste solo in sé e per sé, ri­
manda all'esterno, al mondo, alla realtà; e tuttavia non è sem­
plicemente una riproduzione del reale. Proprio il procedi­
mento metaforico fa vedere come il linguaggio si spinge oltre
il reale, stabilendo dei nessi che nella realtà non esistono.00 Se
pertanto si assume la metafora come il fenomeno linguistico
fondamentale, allora la funzione del linguaggio, oltre a quella
di articolare l'esperienza del mondo, è quella di darle forma:
dando forma alla realtà, il linguaggio la descrive in modo nuo­
vo , ossia crea una realtà nuova; è questa la funzione poetica o
performativa del linguaggio. Essenza del linguaggio non è solo
la mimesis dell'esistente, ma anche la sua poiesis. «Nel discor­
so metaforico collimano in sommo grado la capacità creativa
della lingua e la rigorosa necessità del concetto, la sorpresa
linguistica provocata dall'innovazione e l'affidabilità conferita
al linguaggio dalla sua familiarità con ciò che ci è già noto da
sempre. In tal senso, con la metafora si realizza un arricchi­
mento, lorizzonte del!'essere viene ampliato linguisticamen­
te». 6 1 In concreto ciò avviene in quanto la referenza, che il lin­
guaggio consueto attribuisce ai termini accostati nella metafo­
ra, viene superata per far posto ad una «referenza di secondo
grado, ad un livello più alto».6'
Se ora estendiamo alle parabole di Gesù queste linee essen­
ziali del rapporto tra metafora e realtà (o, se vogliamo, tra lin­
guaggio e realtà) ne conseguono osservazioni di grande porta­
ta. In primo luogo, la parabola attribuisce alla basileia più di

60. Cfr. Ricoeur, op. cii. , 5 1 : «Ho detto che il senso metaforico crea una 'vicinanza'
tra significati finora estranei». Ciò vale anche per il linguaggio in generale. «Per que­
sto l'esperienza come tale è sempre di tipo linguistico» (Ebeling, Sprachlehre, 1 16).
«L'apertura al senso» insita nel linguaggio è la possibilità di vedere relazioni e nessi
che alla percezione come tale non sarebbero accessibili» (ibid. ).
6 1 . Ji.ingel, Metaphorische Wahrheil, 93 (corsivo mio).
62. Cfr. Ricoeur, Stellung, 50 s.

97
quanto essa non sia «in realtà». Infatti cosa sia la basileia «in
realtà» risulta dalla concezione del regno di Dio che avevano
i contemporanei di Gesù, cioè dal significato letterale della
locuzione «regno di Dio» caratteristica dell'uso linguistico al­
lora in vigore.6J Nel primo giudaismo il regno di Dio è un con­
cetto puramente escatologico,64 riferito esclusivamente all' aldi­
là. Esso designa la regalità di Dio, che pone fine al mondo e
introduce un'epoca nuova: regalità che il credente può accet­
tare sin d'ora attraverso la confessione di fede nella torà e
nell'unico Dio,6' ma la cui realizzazione rimane qualcosa che
riguarda Dio solo.66 L'aldilà della basileia si esprime nei testi
apocalittici come/uturità;67 in essi è in primo piano la drastica
separazione tra il mondo presente e il mondo futuro di Dio,
che porrà fine ad esso.68 Quando invece nelle parabole di Gesù
la basileia viene posta metaforicamente in relazione con il
mondo narrato, il significato letterale di questo termine viene
superato, in quanto l'insuperabile aldilà del regno di Dio vie­
ne trasformato in vicinanza al mondo,f.J ed al mondo nella sua
mondanità.7° La basileia viene vista «cosmomorfìcamente»;7' il

63. È problematica l'applicazione dell'espressione «in realtà» al regno di Dio, poiché


fondamentalmente esso si dà soltanto «in verità». In analogia alla comprensione «let­
terale» dei termini nella metafora, che come tali significano il reale, io qui applico l'e­
spressione «in realtà» alla basileia, dando per presupposta la distinzione tra realtà e
verità.
64. Cfr. Kuhn, ThWNT I, 572,3-8. 573,14 s.
65. Kuhn, op. cit. , 571,n-28.
66. Per la rivelazione del regno di Dio si può solo pregare; esso si rivelerà alla fine
dei tempi ( Kuhn, op. cit., 572,3-6; cfr. Schmidt, ThWNT I, 575,35-37).
67. Cfr. von Rad, ThWNT I, 569,23-35.
68. lbid.
69. Già in Funk la secolarità del materiale figurativo usato dalla narrazione fa ravvi­
sare nella parabola una forma linguistica che riflette la «incursion of the divine»
(Language, 154).
70. È compito della metafora creare vicinanza tra cose che erano lontane l'una dall'al­
tra. Essa rivela il legame tra cose che a prima vista apparivano differenti (Blumen­
berg, Beobachtungen, 191).
7r. La metafora «l'uomo è una roccia» (per indicare una persona che persevera con
coraggio) comporta da un lato che la roccia venga intesa antropomorficamente e
mondo nella sua mondanità assurge a condizione previa per la
comprensione del regno di Dio. Mentre per esempio nei testi
apocalittici il mondo destinato alla rovina viene sempre più
distanziato dal mondo venturo di Dio (e questa distanziazione
,
si manifesta anche col fatto che nelle allegorie dell apocalittica
il significato «letterale» dei singoli dettagli narrativi e la loro
relazione reciproca sono totalmente irrilevanti), invece nelle
parabole di Gesù il (vecchio) mondo presente rimane condi­
zione previa per la comprensione di quello futuro. Il nuovo
mondo col suo rendersi presente conferisce dignità a quello
vecchio.
Se si tiene conto del fatto che nell'enunciato metaforico si
realizza un accostamento tra S e P, senza che la copula «è»
comporti un 'identificazione tra S e P, allora la forma linguistica
della parabola si rivela la più adeguata ad esprimere tanto la
basileia quanto il mondo, perché in essa viene salvaguardata la
vicinanza tra basi/eia e mondo, ma al tempo stesso anche la
differenza.
La metafora attribuisce non solo al soggetto ma anche al
predicato più di quanto esso non sia in realtà. Di conseguenza
le parabole della basileia dicono anche del mondo più di
quanto esso non sia nella realtà. Nella realtà il mondo non è
affatto un predicato del regno di Dio, ma solo un predicato
di se stesso. Ma poiché nella parabola il mondano viene «tra­
sposto» al regno di Dio, il mondo viene visto «teomorfìca­
mente». Questa nuova visione si esprime nel fatto che la na­
tura viene interpellata come creatura e l'uomo come immagine
e somiglianza di Dio. Perciò per esempio quella terra porta
frutti «da sola», senza che l'uomo debba lavorare col sudore
della fronte per la crescita del raccolto (Mc. 4,26-29). Perciò
quel padre si comporta come gli detta l'amore, e quel datore
di lavoro secondo ciò che gli fa sembrare logico la sua bon­
tà (Le. 15, 1 1 -32; Mt. 20,1-15) . Spingendo il mondo vicino a

<lall'altro l'uomo «petro-morficamente» (Jiingel, Melaphorische Wahrheil, 102 con


richiamo a Snell>.

99
Dio, la parabola ne fa riscoprire la creaturalità. Poiché nella
parabola la natura viene interpellata come creatura e l'uomo
come immagine di Dio, colui che accoglie questo linguaggio
viene distolto dalle owietà del suo mondo (e cioè della sua
realtà) e viene stimolato a scoprire nel mondo una più pro­
fonda dimensione di significato. In questo senso le parabole
sono paragonabili ad un modello che genera costruzioni fit­
tizie con funzione euristica [heuristische Fiktionen] .7' Questo
carattere fittizio [Fiktionalitat] va particolarmente sottolinea­
to, poiché tra il mondo e Dio non può sussistere un'analogia
entis, per lo meno se si prende sul serio la differenza qualita­
tiva tra creatore e creatura. L'analogia tra il regno di Dio ed il
mondo narrato nella parabola è un'analogia fidei, in quanto il
mondo, in se stesso e in rapporto a Dio, nella fede viene visto
come creazione. Solo con questa precisazione possiamo dire
che le parabole di Gesù svolgono una funzione euristica an­
che in riferimento al mondo. Nel momento in cui il termine
«padre» diventa un predicato metaforico di Dio, anche il
comportamento dei padri di questo mondo non può più ri­
manere quello di prima.
La parabola dunque ci insegna entrambe le cose: da una
parte a vedere il regno di Dio con gli occhi del mondo, a
comprenderlo con gli strumenti del linguaggio mondano; dal-
1'altra a vedere il mondo con gli occhi di Dio. Comprendendo
Dio, per mezzo della parabola, l'uomo impara a comprendere
meglio anche se stesso ed il mondo.
Un ultimo aspetto di questo superamento metaforico della
realtà da mettere a frutto per la comprensione delle parabole
di Gesù, è che «una delle caratteristiche del linguaggio è che
esso ama denominare l'esistente in vario modo»,73 tanto da
«dar l'impressione che in ultima analisi manchi di univoci-

72. Ricoeur ricorre al «modello» come strumento euristico per il confronto con la
metafora (Stel/ung, 51 s.). Da questa affinità Ricoeur deduce che la metafora nella sua
funzione euristica porta a una ri-descrizione della realtà (op. cii. , 52).
73. Questa particolarità si rivela nd fenomeno dell'omonimia (ridondanza della lin­
gua) e della polisemia (povertà della lingua) ; Jiingel, Metaphorische Wahrheit, 73.

100
tà».74 Tuttavia al linguaggio parlato non va addebitata una
«fondamentale incapacità di raggiungere l'univocità».n «Esso
è univoco in quanto genera l'univocità».76 Soprattutto nell'e­
nunciato metaforico l'univocità deve essere intesa come even­
to. La verità che trova espressione linguistica in una metafo­
ra, si realizza come evento. 77 Il fatto che la vicinanza della ba­
sileia non viene espressa in linguaggio concettuale, bensl nella
forma linguistica della parabola, testimonia che in essa si trat­
ta di una verità che può essere adeguatamente espressa come
evento. Sono le parabole stesse a creare questa vicinanza del
regno di Dio. La loro verità non è «generale», ma va intesa in
senso decisamente storico, ossia come evento. Questo punto
sarà di particolare importanza per quel che concerne il rap­
porto tra parabola e Gesù storico.
Se il compito principale del linguaggio è quello di esprime­
re la verità, allora le parabole possono essere qualificate even­
to linguistico. Poiché le parabole esprimono la verità come
evento, con esse si realizza il linguaggio stesso. La questione è
allora: in esse si realizza realmente la verità?

r .2.6. Verità
«Che un enunciato metaforico possa avanzare pretese di
verità è oggetto di grosse obiezioni».78 Esse nascono dalla no-

74. Ibid.
75 . Jiingel, op. cit. , 74.
76. lbid. (corsivo mio) .
77. L analisi di Jiingcl della posizione di Nietzsche che riconduce la verità ad un
'

evento metaforico (Metaphorische Wahrheit, 82-86) fa vedere come già il passaggio


dall'essere al linguaggio sia esso stesso un evento (op. cit. , 107 s.). « ti. l'evento della
verità, in cui l'esistente si lascia scoprire e come scoperto entra in relazione con ciò che
è già stato scoperto ( .. . ), in opposizione a ciò che deve ancora essere scoperto ( . . ) ed in
.

accordo con la scoperta» (op. cit. , 108). Di qui la « stru ttura metaforica del linguaggio
e della verità» della quale le metafore esplicite e le parabole non sono altro che una
reminiscenza (op. cit. , 109).
78. Ricoeur, Stellung, 50. Alla metafora viene attribuito non di rado un potere di se­
duzione ( per es. Kainz, Sprachver/iihrung, passim) .

101
zione cli verità dominante nella tradizione occidentale: la veri­
tà come una «adaequatio i'ntellectus et rei nel senso di una
adaequatio intellectus (humanzJ ad rem».79 Una volta stabilita
questa corrispondenza tra il linguaggio concettuale e l'essere,
la realtà, ogni enunciato che utilizza i concetti in maniera am­
bigua7911 può essere sospettato di menzogna. La concezione re­
torica della metafora che si basa sull'identificazione tra realtà
e verità, pretende che il contenuto di verità di un enunciato
metaforico venga soppesato attraverso la trasposizione nel
linguaggio concettuale. La nuova teoria della metafora con­
traddice questa concezione, in quanto considera la metafora
intraducibile (e pertanto sottratta al controllo «logico») . E
tuttavia essa rivendica anche alla metafora una sua verità.
«Chi dice di un reale ciò che esso non è realmente, non men­
te, qualora parli meta/oricamente».ao Questa rivendicazione di
verità presuppone una distinzione tra realtà e verità; non però
nel senso che la verità della metafora prescinda dalla realtà
dell'essere. Anzi si può parlare, «con la dovuta prudenza, di
'verità metaforica', per indicare quella pretesa ad attingere la
realtà, in forza della quale il linguaggio creativo della poesia
ha in sé la capacità di descriverla in modo nuovo». 81 La verità
di una metafora consiste dunque innanzi tutto nel fatto che
essa coglie la realtà. Essa va oltre il reale, ma non prescinde
da esso. In quali casi una metafora coglie la realtà? Già Ari­
stotele sosteneva che l'enunziato metaforico non può essere
fatto a caso,82 deve essere fondato su una corrispondenza:8) af-
79. Jiingel, Metaphorische Wahrheit, 72.
79a. [L'originale tedesco ha «in maniera non ambigua» (nicht iiquivok) ma si tratta
di un lapsus] .
So. Jiingel, op. cii. , 73-
81. Ricoeur, Stellung, '3 (corsivo mio). Bisogna sempre tener conto che «il linguaggio
(può) rendersi talmente autonomo da perdere il contatto con la realtà ed il riferi·
mento all'esperienza» (Ebeling, Sprachlehre, u7).
82. Jiingel, Metaphon'sche Wahrheit, 89.
83. Jiingel, op. cit. , 90; cfr. Ricoeur, Stellung, 46. Un elemento costante della conce­
zione tradizionale è che «nella metafora il motivo della deviazione è la somiglianza».
V. anche Blumenberg, Beobachtungen, 191.

102
finché le metafore siano ben riuscite è necessario scoprire la
somiglianza. 11.i Anche se secondo la concezione più recente
questa tesi va modificata, precisando che una metafora ben
riuscita «crea la somiglianza piuttosto che riprodurla», 8' ciò
non significa che si abbandoni il principio fondamentale della
struttura analogica della metafora. «Ogni metafora ben riu­
scita dovrebbe lasciare intravedere qualcosa della corrispon­
denza che tiene insieme il mondo nel profondo». 86 Una tale
metafora viene riconosciuta vera, se il nesso stabilito da essa
viene percepito [preso per vero, wahr-genommen] .87 Il pre­
supposto per la percezione [Wahr-nehmung] di una metafora
è aver familiare il significato «letterale» di S e P. Il processo
linguistico metaforico «può aver luogo solo se si sa cos'è un
leone e che è Achille».88 Posta tale familiarità, allora può esse­
re riattivata la corrispondenza tra i due fenomeni e la «distor­
sione» dei significati letterali può essere compresa come crea­
zione di un nuovo senso. La metafora dunque coglie la realtà,
allorché partendo dal reale si spinge oltre, verso «ciò che tiene
insieme il mondo nel profondo». Allora è vera anche se va al
di là del reale. Il linguaggio metaforico aiuta la realtà a farsi
verità.89
Se alla questione della verità delle metafore si risponde nel
senso suddetto, la distinzione tra metafora comune e metafora
teologica si impone decisamente, dal momento che «ciò che

84. Jiingel, op. cit. , 92.


85. Ricoeur, Stellung, 48.
86. Jiingel, Metaphorische Wahrheit, 93.
87. Ciò è vero già per il creatore della metafora, che scopre la somiglianza. «Scoprire
significa: percepire [wahr-nehmen] qualcosa come qualcosa» (Jiingel, op. cii. , 1 20).
La struttura basilarmente metaforica del linguaggio «è dovuta al fatto che la verità
è evento, nel quale il mondo continuamente si fa linguaggio e così l'essere si lascia
scoprire» (ibid. ). [Gioco linguistico sull'etimologia di wahr-nehmen, letteralmente
«prendere come vero»] .
88. Jiingel, op. cii. , 1 1 3 . Cosa è un leone normalmente lo si sa e chi sia Achille lo si
può dire narrando.
89. Per il linguaggio in generale Fuchs sostiene che «nel linguaggio la realtà viene
aiutata a conseguire la sua verità» (Hcrmencutik, 132; cfr. sopra, 1.1.3).

10 3
tiene insieme il mondo nel profondo» non può essere criterio
di verità per la metafora teologica, che non mette in rapporto
il mondo col mondo, ma con Dio. Affinché la metafora teolo­
gica, che stabilisce una corrispondenza tra Dio ed il mondo,
possa essere riattivata e percepita, per prima cosa deve essere
stabilita una familiarità con Dio. «Per prima cosa deve essere
reso noto Dio, onde poter divenire sensatamente il soggetto
del predicato metaforico, l'unico a lui adeguato».90 Questa fa­
miliarità con Dio, a sua volta, può però essere stabilita solo at­
traverso il linguaggio metaforico, se vogliamo che in questo
render noto Dio venga pur sempre ribadita in pari tempo la
differenza tra Dio e il mondo.9' Questa circolarità può essere
evitata solo se si presuppone che Dio stesso si è reso noto al
mondo. Si è reso noto al mondo venendo egli stesso nel mon­
do. È venuto nel mondo attraverso l'evento della resurrezione
del Crocifisso dai morti.9' È questo evento che consentl al lin­
guaggio umano la formulazione della metafora teologica fon­
damentale «Gesù è il Cristo».91 Questa metafora fondamentale
testimonia che in relazione a Dio «anche l'atto mondano della
scoperta viene scoperto esso stesso in modo nuovo»,'* poiché in
esso viene scoperta una corrispondenza tra Dio e ciò che ra­
zionalmente non potrebbe essere messo in corrispondenza
con Dio, ossia la morte di croce. Con questa metafora fonda­
mentale si entra dunque nel mondano, ma in modo tale che
allo stesso tempo la realtà del mondano viene «attraversa­
ta».9' Con essa «si penetra nel reale in maniera tale che questo
non solo s'incontra con un orizzonte di significato diverso dal
90. Jiingel, Melaphorische Wahrheit, 1 14.
91. Cfr. ibid.
92. Cfr. Jiingel, op. cii. , 1 16, il quale definisce l'evento «nel quale Dio è venuto nel
mondo una volta per tutte e si è manifestato come colui che interpella l'uomo», co­
me eia vita, la morte e la resurrezione di Gesù Cristo, in quanto evento della giustifi­
cazione del peccatore».
93. Per il concetto di «metafora teologica fondamentale» si veda Jiingel, op. di. , 1 17
n. 1 14 cosi come n. 1 18.
94. Jiingel, op. cit. , 1 1, .
9 5 . Cfr. Jiingel, op. cii. , 1 18.

104
proprio, un altro 'mondo'», ma «viene posto di fronte alla
possibilità del suo non essere, dal quale soltanto può sorgere,
escatologicamente, un essere nuovo».96 Una metafora teologica
ha la pretesa di toccare il reale attraversandolo e trasforman­
dolo in un essere nuovo. «La metafora teologica si serve del
mondo per creare spazio a Dio nel mondo».97 Una metafora
teologica è vera se riproduce la metafora fondamentale «Gesù
è il Cristo» e al pari di essa scaturisce dall'evento della venuta
di Dio nel mondo.
Quello che si è detto della metafora teologica riguardo alla
questione della verità, vale anche per le parabole di Gesù. Per
poter percepire la verità di una parabola, l'uditore deve cono­
scere sia S che P; deve avere una certa familiarità sia col regno
di Dio che col mondo. Col mondo, l'uditore è già familiariz­
zato, avendone fatto esperienza; e la parabola rimanda l'udi­
tore alle sue esperienze, dispiegando il mondo dinanzi a lui
attraverso la narrazione, in modo tale che vengono ricapitola­
te le esperienze dell'uditore e da questa ricapitolazione egli
possa riconoscere quale sia la natura del mondo: un mondo

5)6. Jiingel, op. cii. ,


u8. Per l'importante differenza tra metafora teologica e metafora
religiosa v. ibid. : «Il linguaggio biblico . . si distingue dal linguaggio religioso a questo
.

ri guardo solo... perché esso descrive la vittoria sul non-essere non soltanto come
possibile solo da parte di Dio, ma come di fatto già realizzata, poiché essa proclama
l'esistenza di una nuova creatura».
97. Jiingel, op. cii. , u9 (a mio avviso questa è l'esatta analogia al «canone interpreta­
tivo fondamentale» di Jiingel, in riferimento alle parabole: «La basileia si fa linguag­
gio nella parabola in quanto parabola»; Paulus und /esus, 1 3,). Il processo per creare
spazio a Dio nel mondo è necessariamente un processo linguistico: «L'essenza della
teologia stessa è la parola, non solo perché il vangelo di fatto si ha sotto forma di pa­
rola ... bensl perché il contenuto stesso del vangelo non può raggiungere l'uomo se
non attraverso la mediazione linguistica» (Ebeling, Sprachlehre, 247). Solo cosi, in­
fatti, può essere messo in rapporto, come vangelo, all'esperienza del mondo (mediata
dal linguaggio) , rendendosi vicino al mondo come parola senza perdere la sua tra­
scendenza nei suoi confronti. Cfr. a questo proposito la delimitazione che Ebeling
stabilisce ispirandosi alla differenza tra legge e vangelo: «La dottrina teologica sul
linguaggio . . . premunisce da entrambi i pericoli: da una parte conservare il vangelo
come un'entità atemporale isolata dall'esperienza del mondo - il che equivarrebbe a
stravolgerlo in una pseudolegge; dall'altra, inserirlo direttamente come legge nell'e­
sperienza attuale di questo mondo trasfonnandolo in un programma di azione poli­
tica - il che equivarrebbe a fare della legge uno pseudovangelo» (op. cii. , 249).

105
dominato dal rigoroso prmc1p10 prestazione/retribuzione
(per es. Mt. 20,1-15), un mondo che di fronte a un gesto im­
previsto di bontà si turba e rimane sconcertato (cfr. per
esempio il figlio maggiore in Le. 15,1 1-32) . Attraverso il rac­
conto, dunque, la parabola risveglia nell'uditore questa sua
familiarità col mondo; ma come potrà far acquisire all'uditore
una familiarità col regno di Dio, con quello che esso è in veri­
tà? Prima di tutto, in quanto la parabola lo avvicina al suo
mondo; l'uditore impara prima di tutto a conoscere le conse­
guenze di questa vicinanza dal modo in cui la parabola rac­
conta del mondo. La parabola mentre dispiega davanti agli
occhi dell'uditore il mondo dell'egoismo e della prestazione,
lo distrugge, volgendolo verso un esito nuovo ed esprimendo­
lo in maniera nuova come creazione di Dio, come spazio nel
quale lamore ha un futuro certo. A questo contatto indiretto
dell'uditore con il regno di Dio si aggiunge come necessario
complemento la conoscenza più immediata e familiare che se
ne può avere guardando alla prassi di Gesù. È nella prassi di
Gesù infatti che il regno di Dio si fa vicino al mondo. 911 La
prassi di Gesù è dunque il quadro delle parabole di Gesù, nel
senso che è esso a offrire quella conoscenza della basileia, che è
il presupposto necessario all'uditore delle parabole per poter
riattivare il processo metaforico attuato da esse. Per far acquisi­
re questa familiarità col regno di Dio, è necessario narrare la
chiamata di Gesù alla sua sequela, che libera i chiamati dal
peso del passato, al quale la vicinanza della basileia proibisce
di guardare indietro (Le. 9,62). Oppure è necessario narrare la
sua commensalità con i pubblicani ed i peccatori o con i fari­
sei, che all'interno del mondo del peccato fu un segno dell'a­
more incondizionato di Dio; o dei miracoli di Gesù, che da­
vano al malato salute e salvezza al tempo stesso (Mc. 2,1 ss.) e
manifestavano cosl la vicinanza del regno di Dio apportatrice
di benessere e di salvezza. Ne risulta il principio metodolo­
gico che le parabole di Gesù devono essere interpretate nel

98. Espressioni come Le. 1 1 , 3 1 s. o Le. 1 1 ,20 s. lo attestano con sufficiente chiarezza.

106
contesto della vita di Gesù. Intendere le parabole come ogget­
ti estetici autonomi (Via) significa sganciarle dal loro legame
con la persona di Gesù, senza il quale vien meno la loro com­
prensibilità.
Che la vicinanza del regno di Dio, affermata dalle parabole
di Gesù e commentata dal suo comportamento, esiste vera­
mente, può fondarlo unicamente il fatto che Dio è veramente
venuto nel mondo.99 E che Dio è veramente venuto nel mondo
nella parola e nell'azione di Gesù può dimostrarlo unicamen­
te l'evento della resurrezione del Crocifisso da parte di Dio.
La metafora fondamentale «Gesù è il Cristo», resa possibile
da questo avvenimento, è pertanto il criterio di verità anche
delle parabole di Gesù. Ne deriva una valutazione critica del­
le varie risposte, date alla questione della verità delle parabole
nella storia recente dell'esegesi.
L'identificazione di verità e semplicità (il simplex sigillum
veri di Jiilicher) riduce a circostanza puramente accidentale il
fatto che sia Gesù a pronunciare la parabola, in quanto solo
di fatto, accidentalmente, la parabola semplice coincide con
quella storicamente autentica. Questo implica inevitabilmente
che la parabola illustri una verità generale, che come dottrina
di Gesù può essere benissimo scissa dalla persona di Gesù. In
tale interpretazione delle parabole è insita poi una tendenza
al moralismo, dal momento che una siffatta verità coinvolge
l'uditore solo rispetto alla sua vita etica e può divenire evento
solo nella attuazione etica.
Se si eleva a criterio di verità il realismo {Dodd), sul pre­
supposto di un rapporto tra mondo (natura e storia) e Dio
{eschaton) nel senso dell' analogia entis, allora il mondo come
tale diventa raffigurazione di Dio: quello che tiene insieme il
99. Del Gesù storico si può dire che la basileia è l'autorità che fonda tanto le sue pa­
rabole quanto il suo comportamento concreto (cfr. Jiingel, Paulus und ]esus, 18, : il
regno di Dio determina il componamento di Gesù a tal punto che noi possiamo ri­
conoscere dal suo componamento l'autorità su cui si fonda la sua predicazione) . Ma
l'autorità della basileia è l'autorità di Dio stesso. Di qui l'esigenza, come per qualsia­
si espressione linguistica, di una verifica, come riprova della corrispondenza di una
metafora teologica alla metafora fondamentale «Gesù è il Cristo».

107
mondo nel profondo viene identificato con Dio stesso. A
questo punto però la parabola non è più intesa come metafo­
ra teologica. Ne deriva inoltre un misconoscimento dell' ele­
mento fittizio della narrazione della parabola e lobbligo di
dimostrare storicamente in ogni parabola che «è stata presa
dalla vita». Così però viene compromessa la prerogativa del­
le parabole di Gesù, di porre il mondo di fronte al suo non­
essere e di dargli una svolta in direzione di un essere nuovo.
Se viceversa si assume come criterio di verità della parabo­
la lautenticità storica, allora la parola del Gesù storico viene
identificata concettualmente con quella di Dio stesso (J ere­
mias) . La proposizione «Gesù è il Cristo» non viene più inte­
sa in senso metaforico ma in senso concettuale. Ne consegue
inoltre che è la ricostruzione storica come tale a condurre alla
conoscenza della verità di Dio, il che equivale ad attribuire a
strumenti conoscitivi umani di questo mondo una potenzialità
che ad essi non compete.
Se poi si fa dipendere la verità delle parabole dalla loro ri­
spondenza al linguaggio stesso e cioè al linguaggio di Dio, il
cui tratto di fondo è lamore e la cui parola principale è il sì
(Fuchs) , si lascia troppo in ombra il fatto che la potenzialità
della vera metafora teologica non è insita nel linguaggio come
tale; essa è una potentia aliena che è stata conferita al linguag­
gio quando Dio fece risorgere Gesù dalla morte. L'autentica
metafora teologica va concepita come arricchimento linguisti­
co, che deve la sua esistenza solo al fatto che Dio è venuto
nel mondo.
Se infine si indica come criterio di verità delle parabole la
loro visione del/'esistenza limitandosi a rilevare solo una certa
continuità con quella di Gesù stesso (Via), allora in primo
luogo questa visione dell'esistenza diviene una entità assioma­
tù:a, sottratta a qualsiasi discussione e interrogativo in merito
alla verità: la visione dell'esistenza può essere solo accettata o
respinta. In secondo luogo, si dimentica che nelle parabole di
Gesù si tratta innanzitutto di una comprensione di Dio, che
solo per ripercussione comporta anche una comprensione del-
I08
l'esistenza umana. Le parabole ci dicono innanzitutto come è
Dio, e non semplicemente che Dio c'è e che ci viene incontro
nella vita quotidiana (cosl Via, cfr. sopra, p. 72) . La vicinan­
za della basileia al mondo, messa in atto dalla parabola, coin­
volge indubbiamente anche la concezione che l'uomo ha di
sé, e non questa soltanto, ma il mondo nella sua totalità.
Contro tutti questi tipi di risposta alla questione della verità
delle parabole, va ribadito dunque che l'unico criterio adegua­
to è la corrispondenza tra la parabola e la metafora fondamen­
tale «Gesù è il Cristo». Si pone allora sin da adesso l'interro­
gativo se l'interpretazione cristologica delle parabole, qual è
stata intrapresa dalla comunità cristiana, non sia proprio essa
l'unica interpretazione adeguata delle parabole, in quanto te­
stimonia che la parabola corrisponde alla metafora teologica
fondamentale e che essa deve la sua verità a quell'evento, che
ha condotto alla formulazione della metafora «Gesù è il Cri­
sto». Ma su questo interrogativo si rifletterà in maniera più
accurata nel paragrafo riguardante il rapporto tra parabola e
Gesù storico.

1 .2.7. Linguaggio che interpella


Anche la valutazione tradizionale che ascriveva la metafora
alla retorica, fa capire che questa forma linguistica mira in mo­
do particolare a interpellare l'interlocutore. «Quello che noi
oggi tendiamo a valutare negativamente come 'mera retorica'
era considerato un tempo un elemento necessario per la piena
efficacia della verità».100 Secondo la concezione tradizionale la
metafora viene costruita a beneficio dell'interlocutore.101 Se
adesso, con la nuova teoria della metafora, essa viene promos­
sa dalla condizione di fenomeno marginale a quella di processo
fondamentale del linguaggio, allora il linguaggio stesso è visto
100. Jiingel, Metaphorische Wahrheit, 79.
10I. La «metafora per inopia» costituisce un'eccezione, che si ha quando ciò che de­
ve essere detto non può essere detto concettualmente, poiché manca il concetto ade­
guato (cfr. Kainz, Sprachverfohrung, u 5 ; Jiingel, op. cii. , 90) .
essenzialmente come linguaggio che interpella; e le forme lin­
guistiche metaforiche come la metafora e la parabola diventa­
no fenomeni nei quali questa essenza del linguaggio si mani­
festa con particolare chiarezza. Il riferimento al mondo, insito
nella metafora, comporta al tempo stesso «quella caratteristica
fondamentale del linguaggio che è l'interpellare l'uomo in
quanto uomo». ' 0' È mediante il linguaggio che l'uomo esiste co­
me interpellato e può essere interpellato sulla base della sua
condizione, che è già in partenza quella di un essere-interpel­
lato dall'essere che si presenta a lui come mondo, per «tradur­
re in linguaggio se stesso insieme al mondo che lo interpella, e
nel linguaggio tradurre l'uno nell'altro». '°' Il linguaggio asse­
gna all'uomo la sua collocazione ontologica, rivelando l'essere
1
dell'uomo come un essere-interpellato. 04
Se dunque la basileia di Dio viene espressa nella parabola,
la scelta di questa forma linguistica mette in particolare rilievo
il fatto che la verità della basileia è una verità che interpella.
La vicinanza della basileia ci interpella. Se questa vicinanza
viene messa in atto nella parabola, l'uomo appare come colui
che è interpellato, e interpellato da Dio stesso. 1 0' In quanto
l'uomo viene interpellato dal regno di Dio, viene alla luce che
egli proprio in qualità di interpellato ne fa parte. La parabola
pertanto è incompleta senza l'uditore. Essa lo attira, interpel­
landolo dapprima là dove egli si trova, vale a dire in se stesso,
nei suoi modi di pensare e nei suoi modelli di comportamen­
to. In base a questo interpellare l'uomo là dove egli si trova,
può avere la sua legittima funzione il fenomeno dell' «incro­
ciarsi» dei punti di vista (Linnemann) . Tuttavia la parabola

102. Jiingel, op cii. , 101 .


.

103. Jiingcl, op. cit. , 120.


104. Cfr. Jiingel, op. cii. , 105.
105 . «Dio è, persino come invocazione, che evoca solo tacitamente la ronnexio ver·
borum metaforica, una parola che interpella» Uiingel, op. cit. , 1 15). «In termini teo­
logici l'uomo si può definire come quell'essere che è sempre, già in panenza, inter­
pellato da Dio, e proprio per questo deve essere sempre di nuovo interpellato da
questa sua condizione» (op. cit. , 1 16).

1 10
non si limita a interpellare l'uomo per quello che egli è in
realtà: vuole interpellarlo per quello che egli è in verità: un
uomo amato da Dio e pertanto divenuto capace di agire an­
che lui secondo le esigenze dell'amore. Interpellandolo così,
essa non lo abbandona a se stesso, ma avanza su di lui le sue ri­
chieste. Interpellato da ciò che egli è in verità, l'uomo viene
distolto da ciò che egli è in realtà; e questo anche per quanto
riguarda il comportamento col quale l'uomo risponde alle ri­
chieste avanzate dalla parabola. Pertanto ci si deve chiedere
se quella più tarda interpretazione parenetica delle parabole
di Gesù (l' «allegorizzazione parenetica») non trovi una sua
legittimazione proprio dal fatto di dare espressione a queste
richieste che le parabole avanzano anche sul comportamento
umano; e se a questa domanda si risponde affermativamente,
le interpretazioni parenetiche devono essere considerate come
tracce, lasciate dalla parabola nei suoi uditori, di importanza
tutt'altro che irrilevante per l'interpretazione della parabola.
Le molteplici spiegazioni aggiuntesi man mano alle parabole
non vanno viste allora come depauperamento del loro origi­
nario potenziale ermeneutico (Funk) , ma come utili modelli
di comprensione, i quali testimoniano che il linguaggio delle
parabole è un linguaggio che interpella. Quelle spiegazioni
vanno viste allora come un ausilio utile anche all'interprete di
oggi, in quanto offrono dei modelli di corretta ricezione delle
parabole di Gesù.

1 .2.8. Apprendere giocando


Se veramente le metafore traducono in linguaggio l'essere
«nonostante di volta in volta esse dicano del reale più di quel­
lo che esso non sia in realtà», esse dunque riproducono «per
colui che le accoglie quell'arricchimento, consistente in un
ampliamento dell'orizzonte dell'essere, che si è attuato al mo­
mento in cui quella metafora è nata»."16 La metafora conduce

J 06. Jiingcl, op. cii. , 94 (nell'interpretazione della concezione aristotelica della meta-

III
colui che la accoglie ad un arricchimento conoscitivo. Il lin­
guaggio metaforico «è perciò per il destinatario un eccellente
processo di apprendimento, il cui pregio rispetto ad altri tipi
di linguaggio consiste nel fatto che esso si svolge, per cosl di­
re, giocando».'07 Aristotele sostiene che «per qualsiasi uomo,
per natura, un apprendimento /acile riesce gradito e dilettevo­
le». 1o11 La metafora viene incontro a questa natura dell'uomo,
facendo realizzare il processo di apprendimento utilizzando le
parabole come in un gioco. '09
Le parabole di Gesù - intese come metafore - mettono in
gioco il regno di Dio per l'uditore e gli consentono cosi di
mettere in gioco se stesso per il regno di Dio. Ogni gioco, se
si gioca a dovere, esige serietà; esclude però ogni legalismo,
perché le sue regole servono solo a rendere possibile il diver­
timento del gioco. Il giocatore non sente le regole del gioco
come una limitazione imposta alle sue possibilità, bensl come
condizioni che gli rendono possibile l'autorealizzazione attra­
verso il gioco. Lo stesso si può dire - in senso traslato - an­
che della parabola di Gesù. Essa mette sotto gli occhi dell'u­
ditore la sua realtà, non però per imprigionarlo nel mondo
del peccato; solo per potergli donare la sua verità, deve ri­
chiamargli alla memoria la sua realtà. 11 0 Nella parabola l'uomo
fora). cL'accostamento creato dalla metafora fa scaturire una nuova visione della
realtà,. (Ricoeur, Stellung, 5 1 ) . «La metafora è quella strategia del discorso mediante
la quale il linguaggio si libera dalla sua consueta funzione, per assumere quella
straordinaria della ri-descrizione,. (op. cii. , 5 3 ) . Però, se si prende sul serio la strut­
tura fondamentalmente metaforica del linguaggio bisognerebbe chiedersi se ciò che
da Ricoeur viene descritto come funzione straordinaria non sia proprio il vero com­
pito del linguaggio.
107. Jiingel, Metaphorische Wahrheit, 94 (nell'interpretazione della concezione ari­
stotelica) .
108. Jiingel, op. cit. , 94 con la seguente citazione di Aristotele.
109. L'attuale avversione nei confronti delle metafore potrebbe avere la sua profonda
motivazione nel fatto che l'uomo di oggi non sa più giocare e quindi svaluta ciò che
ha imparato nel gioco come «solo un gioco,. in contrapposizione alla vera realtà (cfr.
a questo proposito Kamper, Spie/, 821-83 1 , in particolare p. 83 1 ) .
1 10. Questo elemento fondamentale delle parabole s i lega al fatto che Dio «come
svolta del mondo . . . in senso mondano non può essere concepito come necessario.
Proprio come Salvatore che dà una svolta al mondo, Dio è più che necessario,. (jiin-

II2
ed il suo mondo vengono posti dinanzi alla possibilità del
non-essere, ma solo come una possibilità già superata. La pa­
rabola, servendosi della tensione narrativa, distoglie l'uditore
da se stesso e lo coinvolge nel gioco, che essa mette in scena
dinanzi ai suoi occhi e nel quale entrando anche lui in gioco
potrà scoprire con gioia la vicinanza della basileia al mondo.
Se ciò è vero, la parabola già come/orma linguistica è un even­
to della grazia di Dio che non vuol mettere l'uomo sotto il gio­
go di una nova lex ma nella libertà dalla legge del peccato e
della morte (Rom. 8,2) . "' La parabola consente un apprendi­
mento giocoso e sotto questo aspetto è una forma linguistica
che rende essa stessa possibile all'uomo quello che chiede. Alla
luce di questa affermazione, fatta già a proposito della forma
linguistica come tale e ribadita poi più volte a proposito del
contenuto delle parabole, riesce difficile definire le parabole
di Gesù come arma nel conflitto contro gli awersari della lieta
novella (Jeremias) . Nel conflitto, i nemici vengono annientati:
vengono giudicati e in tal modo fissati per sempre nella loro
condizione di inimicizia; nella parabola di Gesù invece viene
presentata all'uomo la sua inimicizia nei confronti di Dio, ma
solo come un'inimicizia cui Dio stesso ha già posto fine."' Ne
consegue che le parabole di Gesù non devono essere interpre­
tate come apologia della lieta novella (Jeremias), bensl come
vangelo esse stesse, poiché conducono l'uomo a quel punto in
cui ogni apologia del vangelo diviene superflua. Così pure di­
venta difficile vedere nelle parabole di Gesù la richiesta di una
decisione, che pone l'uditore dinanzi alla scelta decisiva di

gel, Metaphorische Wahrheit, 1 17; cfr., dello stesso autore, Goti a/s Geheimnis der
Welt, 16-44) , perché la necessità di quella svolta diviene comprensibile solo parten­
do dalla svolta già realizzata.
1 1 1 . Questa libertà è «soprannaturale, basata sull'evento della salvezza (re. in Cristo)
e sulla potenza della grazia che da esso sempre deriva. Solo Dio realizza ciò che egli
esige» (Kasemann, Rom, 208, corsivo mio) .

1 12. Cfr. Harnisch, StTh, 28, il quale tuuavia non considera il contrasto un elemento
caraueristico del linguaggio parabolico di Gesù (op. cit. , 8), e sottolinea quell'aspetto
affermativo costitutivamente insito nelle parabole, nel quale si rivela il «potere unifi­
cante del linguaggio» (op. cit. , 20, con richiamo a Fuchs).

II3
perdere la sua esistenza o di guadagnarla accettando la possi­
bilità che gli viene offerta. Chi intende le parabole di Gesù
come richiesta in questo senso tiene troppo poco conto dell'e­
lemento giocoso insito nel processo di apprendimento indotto
dalle parabole di Gesù. La parabola richiede decisioni, solo in
quanto è essa stessa a renderle possibili. Essa distoglie l'udito­
re da se stesso; fa di tutto per mettergli in gioco la nuova pos­
sibilità, in una maniera tale da fargli sembrare ovvio coglier­
la. Certamente «solo la applicatio (applicazione) attraverso la
prassi della vita» è compatibile con l'intraducibilità della pa­
rabola;") precisando però: non (legalisticamente} nel senso
che l'uditore deve trasporre eticamente nella prassi ciò che ha
udito, ma nel senso che la parabola provoca «innanzitutto una
scelta nella capacità di immaginare»,'14 e da questa poi deriva­
no conseguenze tangibili anche in senso etico. Ma la prassi di
vita con la quale si risponde alla parabola non è opera delle
sole capacità morali dell'uditore; essa è piuttosto anche un ri­
sultato della parabola stessa. Ancora una volta: Dio interpella
l'uomo, là dove l'uomo si trova, e cioè nella sua debolezza e
nella sua incapacità di fare il bene.
Intese così, le parabole di Gesù non possono essere inter­
pretate in alcun caso come proclamazione del giudizio. Anche
se in alcune parabole compaiono degli elementi che, in se­
condo piano, rinviano al giudizio, non va dimenticato che
tutto ciò avviene nella parabola. Una parabola sul giudizio non
può essere confusa con una proclamazione del giudizio: nella
parabola il giudizio, nel momento stesso in cui viene ricorda­
to, è stato già superato, volgendo l'uditore verso la salvezza.
La presenza del giudizio nella parabola pone l'uomo dinanzi
alla possibilità del non-essere; ma il fatto che esso sia men­
zionato in parabola dimostra che questa possibilità è già stata
superata per opera di Dio stesso.
I I 3 . Ricoeur, Stellung, 70.
I I4. Ricoeur, op. cii. , 70. Perciò l'etica va subordinata alla poietica, a differenza da
quanto fa l'interpretazione esistenziale che pone l'accento principalmente sulla deci­
sione per la nuova esistenza (ibid. ) .
1 . 2.9. Anticipazioni dello spirito"""

La metafora è una forma linguistica nella quale lo spirito


del suo creatore anticipa se stesso attraverso le immagini."'
«Dalla funzione della metafora deriva anche la sua proprietà
di anticipare, protendersi al di là di quanto teoreticamente è
già acquisito, unendo però a questa anticipazione malferma,
esitante, ancora incerta nel cammino, una sensazione di sicu­
rezza di cui non è in grado di dare la ragione».116 La metafora
stabilisce delle relazioni che non trovano giustificazione nel
reale, perché lo superano. Contro il reale essa mette in campo
117
la forza del possibile, ma servendosi del reale stesso. In tal
senso, la metafora è una anticipazione dello spirito nella quale
lo spirito anticipa il reale con il coraggio del possibile e me­
diante queste anticipazioni determina la sua storia. È per
questo che la «ri-descrizione della realtà»118 ottenuta dalla me­
tafora ha un effetto di apertura: "9 genera nuove esperienze e
diventa così un fattore di trasformazione storica.
Considerata in questo contesto la parabola appare come
una anticipazione dello spirito di Gesù. Nelle sue parabole
Gesù anticipa il mondo in direzione del regno di Dio. La vici­
nanza della basileia al mondo, messa in atto dalle parabole, è

n4a. [In tedesco Geist come ogni sostantivo ha sempre l'iniziale maiuscola. In italia­
no si è preferita la minuscola, nonostante riferimenti a Gesù e alla resurrezione, per­
ché parlando della metafora in genere si tratta semplicemente dello spirito umano].
11 ; . Cfr. Jiingel in riferimento a Blumenberg: «Un'ermeneutica che tiene conto della
fondamentale funzione antropologica della metafora avrebbe invece il compito 'di
arrivare alle infrastrutture del pensiero' e di scoprire 'con quale coraggio lo spirito
nelle sue immagini preceda se stesso e grazie a questo coraggio dell'anticipazione
sviluppi la sua storia'» (Metaphorische Wahrheit, 8o s.).
1 1 6. Blumenberg, Beobachtungen, 212.
1 17. Jiingel, Metaphorische Wahrheit, 101. Cfr. anche Blumenberg che sull'esempio
della metafora storico-filosofica «fonte» fa vedere come nell'immaginazione viene
afferrato anticipatamente come determinati eventi possano collegarsi l'uno all 'altro;
Beobachtungen, 192.
1 18. Ricoeur, Stellung, 70.
1 19. Cfr. Kainz, Sprachver/iihrung, 104, il quale concede che le metafore «in certi ca­
si possano operare come simboli chiarificanti».

I l .5
un'anticipazione che va al di là della realtà già data, facendo
appello alle risorse del possibile: quel possibile che divenne
«realtà» solo con la resurrezione di Gesù. Anche sotto questo
aspetto, ancora una volta appare chiaro che la resurrezione
del Crocifisso non poté non avere conseguenze per le parabo­
le. In ogni caso nell'interpretazione delle parabole, da una
parte occorre prestare attenzione a queste conseguenze, dal-
1' altra occorre stabilire in quale misura già le parabole stesse
possedevano la capacità di dischiudere l'evento della vicinanza
di Dio. Se è vero che la basileia è presente nella parabola co­
me anticipazione di Gesù, e se questa anticipazione dello spi­
rito ha la capacità di operare questo dischiudimento, l'inter­
rogativo suddetto è pienamente legittimo.
Se una caratteristica della metafora è che in essa lo spirito
anticipa se stesso, l'uso linguistico metaforico a differenza di
quello «proprio» implica una situazione di privilegio lingui­
stico di colui che parla rispetto a colui che ascolta, "0 che viene
poi annullata nel momento in cui colui che ascolta comprende
la metafora, e viene cosl raggiunta una nuova intesa (contro
l'uso linguistico corrente presupposto dal linguaggio lettera­
le) tra l'uditore ed il parlante. «Ed è appunto questo evento
dell'intesa che si raggiunge, a rendere il discorso metaforico
un discorso eminentemente interpellante» . ...

Se la parabola di Gesù va intesa partendo dal fenomeno


della metafora, allora anche per la parabola vale ciò che si è
detto della metafora: colui che parla ha una situazione di pri­
vilegio linguistico rispetto a colui che ascolta. Nelle parabole
di Gesù è facile notare con quanta premura venga ripreso l'u­
niverso mentale dell'uditore (di qui l' «intrecciarsi» dei punti
di vista) e con quanto sforzo si cerchi di condurre l'uditore

120. Mentre il presunto uso linguistico proprio «fa sempre concordare già in panen­
za (consuetudo) chi parla e chi ascolta sul fatto che tale parola in tale accezione ha ta­
le significato ed esprime perciò questo presupposto, l'uso linguistico metaforico de­
termina una preminenza da pane di chi parla (in termini semantici: voluntas) rispet­
to a chi ascolta» Qiingel, Melaphorische Wahrheil, 99).
121. Jbid.

1 16
alla nuova intesa. Ne risulta chiaro che le parabole già nella
loro struttura formale mirano ad annullare il privilegio lingui­
stico di colui che parla e ad elevare colui che ascolta al mede­
simo livello linguistico. Già nella loro forma linguistica le pa­
rabole sono un gesto di amore da parte di Gesù nei confronti
dell'uomo e pertanto corrispondono formalmente a quel ren­
dersi vicino del regno di Dio al mondo, che va interpretato
come il gesto di amore di Dio.

1 . 2 . 10. Parabola e Gesù storico


A questo punto occorre chiedersi quale significato assuma
il fatto che sia stato Gesù, a pronunziare le parabole del regno
di Dio. L'interrogativo è duplice: si tratta di approfondire da
una parte che cosa comporti questo fatto per la nostra com­
prensione del Gesù storico, e dall'altra che cosa esso compor­
ti per la nostra comprensione delle parabole stesse.
Nelle sue parabole Gesù stabilisce tra il regno di Dio ed il
mondo una relazione che in realtà non esiste. Se si prende sul
serio il fatto che le parabole sono anticipazioni dello spirito
di Gesù, è inevitabile concludere che esse vanno al di là del
mondo e di conseguenza vanno al di là anche della persona
del Gesù storico. Esse anticipano l'evento della vicinanza di
Dio al mondo. Sono vangelo, nel senso che fanno dono all'u­
ditore, già nel presente, della vicinanza del regno di Dio e co­
sl lo aprono all'evento della venuta di Dio (che coincide con
la resurrezione del Crocifisso) . Le parabole rimandano, al di
là del Gesù storico, a Gesù il Cristo. È questo che s'intende
quando si afferma che completano la persona di Gesù . ..,
Il fatto che nelle parabole viene predicata la vicinanza del
regno di Dio, le pone in stretta relazione con l'insieme della

122. Cfr. Fuchs, ]esus, 88. La resurrezione di Gesù dai morti è l'evento della venuta
di Dio nel mondo, poiché in esso Dio si identifica con Gesù, il crocifisso, a tal punto
che egli, in quanto crocifisso, sia innalzato alla gloria «eterna ... Con ciò stesso la pos­
sibilità del non-essere del mondo si manifesta come una possibilità di cui Dio ha già
trionfato.

1 17
predicazione di Gesù, al centro della quale sta appunto que­
sta vicinanza. Il problema, che ancor oggi vede divisi gli ese­
geti, è come debba essere intesa questa vicinanza. Caratteri­
stico della predicazione della vicinanza del regno di Dio nella
predicazione di Gesù è che per Gesù - a differenza dal giu­
daismo apocalittico - questo avvicinarsi della basileia è sot­
tratto a qualsiasi calcolabilità (Le. 17,20 s.)."' Del tutto inade­
guato, quindi, è esprimere lavvicinarsi della basileia al pre­
sente in termini di distanza di un intervallo temporale. 124 Per
riferire la basileia al presente Gesù sceglie verbi che non
esprimono nient'altro che questa vicinanza. 12' «Predicando la
vicinanza del regno di Dio, Gesù non faceva altro che espri­
merne l'essenza stessa».126 Ciò posto, per Gesù la categoria
dell'attesa a breve scadenza si rivela inapplicabile, mentre è
perfettamente applicabile alla successiva interpretazione apo­
calittica di Gesù da parte del cristianesimo primitivo. Solo co­
sì, a mio avviso, si spiega nel modo più chiaro anche il singo­
lare fenomeno che il ritardo della parusia non provocò nessu­
na crisi profonda della fede cristiana.
Sulla vicinanza della basileia tuttavia va detto qualcosa di
più. Secondo la comprensione che Gesù aveva di sé, la vici­
nanza della basileia al mondo si realizza attraverso la sua azio­
ne. «Se invece io scaccio i demoni con il dito di Dio, è dun­
que giunto a voi il regno di Dio» (Le. 11,20) ."1 La vicinanza
123. Cfr. Schmidt, ThWNT 1 , '86,4'·'87,3. Discutibile però interpretarlo solo come
una maggior riservatezza di Gesù rispetto ai suoi contemporanei (cosl Schmidt, op.
cii. , '87, 1 ) : si tratta piuttosto di un superamento della concezione tradizionale.
124. Esprimendo la vicinanza nella categoria di spazio-tempo se ne suppone neces­
sariamente la calcolabilità. Viceversa: cli futuro, in quanto futuro vicino, è in rap­
porto diretto col presente; esso non conosce alcun intervallo cronologico» (]ungei,
Paulus und Jesus, 1 8o) .
12,. Cfr. �yyixEv, Mc. 1 , 1 , ; èyy,jç ir.1v, Le. 21,31; EF'X,1:":111, Le. 17,20; t9.S11'l'tv, Le.
n ,20 par. Sull'intera questione cfr. Schmidt, ThWNT 1, ,8,,2,-32.
126. Jiingel, Paulus und Jesus, 180. «Essenza» qui è da pensarsi nell'aspetto verbale
(op. cii. , 181 ! ) .
127. Cfr. Mt. 12,28, la cui versione risulta secondaria rispetto a Le . L a speciale riven­
dicazione, che Gesù pone con queste parole, appare anche in Le. n,31 s. par Mt.
12,41 s. (Q) o nelle «antitesi» del discorso della montagna.

118
del regno di Dio va concepita dunque come evento, e come
evento legato alla persona di Gesù. Di qui lo stretto legame tra
la predicazione della basileia vicina e la prassi concreta di Ge­
sù; la prassi di Gesù fa da inquadramento alla sua predicazio­
128
ne, nel senso che essa commenta la vicinanza della basileia
affermata nella sua predicazione; la prassi concreta di Gesù è
un commento della sua predicazione in parabole, e questa a
sua volta è la spiegazione della sua prassi concreta. Nella para­
bola Gesù spiega il suo comportamento con il comportamen­
to di Dio, e questo si può vedere anche dal fatto che non po­
che figure che nella parabola rinviano indirettamente a Dio
vengono utilizzate in modo tale da lasciar trasparire il com­
portamento di Gesù. Gesù dunque spiega il suo comporta­
mento teologicamente; e in questa spiegazione teologica, data
attraverso le parabole, è insita la rivendicazione «cristologica»
che Gesù avanza in qualità di narratore delle parabole e a li­
vello prepasquale si presenta come implicita. Per quanto ri­
guarda le parabole ne consegue allora che esse, attraverso il
loro tema, ossia il regno di Dio, sono legate indissolubilmente
alla persona del Gesù storico. Ad esse non compete dunque
129
nessuna autonomia {Via) nei confronti del loro autore.
Se le parabole vanno al di là della persona del Gesù storico
anticipando levento della vicinanza di Dio nella resurrezione
del Crocifisso, allora non possono essere scisse dall'interpre­
tazione divenuta necessaria con «la pasqua»; tale interpreta­
zione diventa anzi un elemento indispensabile per la loro
comprensione. Come anticipazione le parabole hanno la fun­
zione di dischiudere quell'evento della vicinanza di Dio. A
sua volta la nuova interpretazione acquisita con la pasqua
proietta la sua luce sulle parabole, in quanto esse già racchiu­
dono la relazione tra il regno di Dio reso vicino attraverso la

128. Fuchs, Frage, 220; con le puntualizzazioni in Idem, Nachwort, 19.


129. Chi trascura questo rapporto, non può più comprendere la vicinanza della basi­
leia come evento nel vero senso del termine. Sarà costretto a interpretarla come veri­
tà generale o come possibilità ontologica (cfr. la «comprensione dell'esistenza,. in
D.O. Via) .

1 19
parabola ed il narratore della parabola stessa. Da questo pun­
to di vista non è affatto casuale che i principali ritocchi inter­
pretativi della comunità siano quelli cristologici. Dopo la pa­
squa, le parabole del regno di Dio divengono parabole su Gesù,
perché Gesù aveva proclamato la vicinanza della basi/eia in ter­
mini tali che dopo la resurrezione del Crocifisso non era più
possibile esprimere la vicinanza di Dio al mondo senza far rife­
rimento a quella proclamazione. ' 10 Ne consegue la tesi che l'in­
terpretazione cristologica, in quanto conseguenza necessaria
della svolta storica dalla croce alla resurrezione, costituisce
l'interpretazione più adeguata delle parabole di Gesù: le pa­
rabole dunque non vanno interpretate né teologicamente ( co­
me affermazioni su Dio) né antropologicamente (come affer­
mazioni sulla retta comprensione di sé o dell'esistenza), bensl
cristologicamente, come immagini di Gesù Cristo (oppure
del regno di Dio che in lui si rende vicino).
Di conseguenza nel metodo di interpretazione delle parabole
bisogna distinguere per ogni parabola in base alla storia della
tradizione la forma prepasquale e l'interpretazione postpa­
squale, affinché l'interpretazione divenuta necessaria con la
pasqua possa essere riattivata dall'interprete di oggi. Questa
riattivazione certo non dovrà awenire in modo acritico, ma
piuttosto chiedendosi di volta in volta se le aggiunte interpre­
tative riescano o meno a riprodurre nella parabola la corri­
spondenza con la metafora fondamentale «Gesù è il Cristo».111
Se è valido questo approccio metodologico e la fondazione
che ne abbiamo proposta, allora la storia delle parabole, dal
Gesù storico come narratore originario sino alla interpreta­
zione postpasquale delle parabole da parte della comunità

130. N ell uso linguistico del cristianesimo primitivo ciò si manifesta, per esempio,
'

col subentrare della persona di Cristo al regno di Dio (cfr. Schmidt, ThWNT I,
,90,39-,91 ,16). È in questa maniera che la fede nel regno di Dio viene conservata
nella esperienza postpasqualc dcl Cristo (op. cii. ,91 , 37 s.).
131. È qui che ha il suo posto la critica teologica interna [Sachkritik] ; e questa impo­
stazione la salvaguarda dal rischio di sottoporre i testi biblici a valutazioni fondate su
criteri imposti ad essi dall'esterno.

1 20
primitiva, ci offre un modello che ci consente di mettere in ri­
lievo la /unzione assunta dal Gesù storico nei confronti della
fede nel Cristo, nel corso della tradizione cristiana primitiva. Il
caso delle parabole si rivela paradigmatico per mostrare in
che senso il Gesù storico fu determinante per la fede nel Cri­
sto, e quale contributo viceversa fu offerto, per la compren­
sione della persona del Gesù storico, dalla fede nel Cristo,
scaturita dalla resurrezione del Crocifisso. I risultati di queste
due problematiche possono offrire qualche indicazione su co­
me la teologia di oggi possa avviare a soluzione il problema
del Gesù storico.

I.2.11. Conseguenze metodologiche (riepilogo)


Se le parabole di Gesù vengono comprese partendo dal fe­
nomeno della metafora, per la loro interpretazione ne deriva­
no questi principi fondamentali:
I . Va eliminata la distinzione tra «parte figurata» e «parte
reale» e con essa la ricerca di un tertium comparationis.
Compito dell'interpretazione delle parabole non è la tradu­
zione in linguaggio concettuale, bensl la riproduzione del fe­
nomeno metaforico che ha luogo in esse.
2. È inadeguata la distinzione tra allegoria e parabola, col­
legata a quella tra metafora e comparazione, perché anche la
metafora è discorso proprio, e, a suo modo, linguaggio deter­
minativo.
a) La parabola si distingue dall'allegoria poiché nella para­
bola è l'intera narrazione (ossia la trama narrativa, la struttu­
ra) che funziona come metafora. Ciò non esclude che alcuni
dettagli non possano comportare dei riferimenti metaforici:
essi hanno valore, ma solo nell'insieme della narrazione; vanno
messi in luce ricostruendo la preistoria dei vari temi.
b) L'allegoria consiste di diversi elementi, di cui ciascuno ha
la struttura di base di una metafora, e che sono tenuti insieme
solo dal riferimento alla realtà significata.
c) Le cosiddette interpretazioni «allegoriche» presenti nella
121
tradizione sinottica vanno distinte dalle allegorie; sono solo il
risultato dell'applicazione di una parabola all'esperienza; ap­
plicazione che lautentica parabola non solo non esclude ma
addirittura esige (apertura nei confronti dell'uditore) . Tali
esperienze vengono inserite nella parabola sotto forma di
reinterpretazione metaforica di alcuni dettagli o di aggiunta
di nuovi dettagli (da intendere in senso metaforico) .
3 . Le parabole di Gesù esigono un'interpretazione coeren­
temente storica, una completa ricostruzione di tutta la storia
della tradizione. Un momento analitico ricostruisce la forma
originaria; un momento sintetico ripercorre in maniera riflessa
tutte le vicissitudini che una parabola ha subito nell'applica­
zione alle esperienze dell'uditore ( Wirkungsgeschichte, «storia
degli effetti») .
a) La struttura originaria è del tipo della struttura fonda­
mentale: basileia C [copula] - narrazione. Bisogna consi­
-

derare innanzi tutto la narrazione, con particolare attenzione


ai rapporti tra il mondo narrato (ossia fittizio, in quanto inse­
rito nel processo metaforico) ed il mondo reale (utilizzato co­
me condizione previa per la comprensione di quello narra­
to) .''' La narrazione, a questo punto, deve essere spiegata co­
me raffigurazione del regno di Dio. m
b) La forma originaria (nella misura in cui risale a Gesù) va
interpretata nel contesto della vita di Gesù. Non si può scin­
dere la parabola dal suo narratore, perché il comportamento
di Gesù è un commento delle parabole e le parabole sono una
spiegazione (teologica) del suo comportamento.

1 32. � qui che hanno un loro legittimo campo di applicazione gli approcci di tipo
letterario o strutturale, nella misura in cui la narrazione si presenta in una forma che
può essere analizzata sincronicamente. Vengono utilizzati invece in modo sbagliato se
si pretende di ricavarne delle conclusioni storiche (per esempio l'eliminazione di un
determinato elemento narrativo perché rompe una determinata struttura ) . Essi tutta­
via sono senz'altro strumenti validi per cogliere il senso (non il significato) di una
narrazione parabolica.
133. La nuova visione del mondo, implicita nella narrazione, che rende possibile e
anzi necessaria una interpretazione esistenziale, deve essere considerata come canse­
guen1.a del rispettivo enunciato metaforico.

122
e) I ritocchi interpretativi accumulatisi nel corso della storia
della tradizione vanno valutati criticamente in base alla loro
coerenza con la parabola stessa. La valutazione critica del loro
contenuto va formulata sulla base della loro corrispondenza o
meno alla metafora teologica fondamentale «Gesù (il Croci­
fisso) è il Cristo (risorto dai morti) ».
4. Poiché le parabole originarie di Gesù sono anticipazioni
dell'evento in cui Dio si è reso vicino al mondo (la resurrezio­
ne del Crocifisso), una interpretazione cristologica era inevi­
tabile, affinché esse potessero essere tramandate come para­
bole di Gesù. L'interpretazione cristologica diventa perciò il
punto di partenza per ogni ulteriore attualizzazione da intra­
prendere nell'ambito della predicazione cristiana.
2. Ricostruzione delle parabole
secondo la storia della redazione
e della tradizione
Coerentemente alla tesi esposta nella parte metodologica se­
condo cui la forma della parabola valida per la nostra predi­
cazione può essere trovata solo ripercorrendo tutta la storia
attraverso cui una parabola è passata da Gesù sino alla defini­
tiva fissazione scritta nei vangeli, ci dedicheremo adesso allo
studio delle singole parabole appunto sotto questo aspetto.
Come itinerario, per evitare il rischio di classificazioni aprio­
ristiche, scelgo quello offerto dalla tradizione sinottica (Mc. e
paralleli; Q; materiale particolare di Mt. ; materiale particolare
di Le. ) . I racconti-esempio, la cui interpretazione rappresenta
un problema sui generis, verranno lasciati da parte.
2.1. Le parabole in Mc. 4,1-34; Mt. 13,1-52;
Le. 8,4-18; 1 3,18-21

2.1.0. Analisi del capitolo delle parabole, Mc. 4, 1-34

Già dalle evidenti dissonanze percepibili nel testo attuale,


si può capire che questo capitolo presuppone un lungo svi­
luppo della tradizione,' come del resto è ampiamente ricono­
sciuto, sebbene le singole ipotesi di ricostruzione differiscano
notevolmente l'una dall'altra.•
vv. 1 s. I versetti 1 e 2 presentano caratteristiche tipiche di
Marco: alla cornice linguistica marciana appartengono termi­
ni come 7taÀtv/ òtòci.axe:tv,4 7tcxpà 'tljv -Bci.Àcxaacxv,' UJ.}.o�,6 7tOÀ-
1. La tensione tra i w. l s., dove Gesù predica alla moltitudine, e il v. 10, dove il luo­
go del suo insegnamento viene descritto con xotTÒt �v!I:;, è particolarmente evidente.
Invece al v. 33 si presuppone di nuovo che l'uditorio sia la folla (cfr. Kuhn, Samm·
lungen, 13,), cfr. anche i w. 3' s., dove compare di nuovo la barca (Schweizer, Mk,
46). Chiaro anche il carattere secondario dei w. 14-20 (cfr. ad es. Jeremias, Gleich­
nisse, n s.). Circa poi il contenuto sussiste un contrasto tra i w. 1 1 s. e il v. 33, cosi
come tra il v. 33 e il v. 34 (cfr. Kuhn, Sammlungen, 132. 134). Colpisce anche il plu­
rale di it!lpa�Àf, al v. 10 che si riferisce ad una sola parabola ( w. 3-9). Sorprendente è
l'accostamento dei diversi logia (Q) ai w. 21-2' ; così pure l'ampliamento delle para­
bole ai w. , . 7 . 8cd , cfr. i w. 16 s.19c.20; al v. 28; al v. 3 1 . Una leggera tensione, poi,
sussiste tra i w. 10-12 e il v. 13 (secondo il quale nessuno comprende) ; così come tra
il v. 9 (dove si tratta dell'ascoltare) e il v. 20 (dove si parla di «ascoltare ed accoglie·
rei.) . Infine, Mc. 4,1 -34 rivela diverse formule di saldatura: xotÌ eÀe:re:v otÙ':tJiç (w.
2.11.21 .24), in contrapposizione a xotÌ ),Ére:1 aùttJiç (v. 13) e xotÌ tÀE:TEV (w. 9.26. 30) .
2. Bultmann, Synoptische Tradition, 3,1; Jeremias, Gleichnisse, 9 s. 91 ; Linnemann,
Gleichnisse, 179 (n. 1), e&. 120; Schweizer, Mk, 47 s.; Cave, NTS 1 1 , 374-387; Lamb­
recht, Redaction, 269-307; Boobyer, NTS 8, '9-70; Burkill , NT 1, 246-262; Cros·
san, JBL 92, 244-266; Drury, JThS 24, 367-379; Gerhardsson, NTS 14, 16,-193 in
particolare 179; Haacker, NT 14, 219-22'; Brown, JBL 92, 60-74; Pryor, ET 38, 244
s.; Kuhn, Sammlungen, 99-146; Schmid, Mk, 87 s. Per il confronto con le varie ipo­
tesi, cfr. sotto, di volta in volta.
3. Schweizer, Leistung, 26 n. 14, che considera questo luogo redazionale.
4. Ibid. , 2, (con n. 7) detto quasi esclusivamente di Gesù; allo stesso modo 818ot1T,.
, . Indicazione topografica utilizzata spesso nella redazione; cfr. 1,16; 2,13; 3,7; ,,1
(e:lç TÒ itÉpotV 'ri)ç -8otÀciO'aYj:;) ; ,,21; 6,47( ?); 7,31 (E:Ìç �V -8fiÀaaaav Tljç rotÀIÀaiotç).
6. Tuttavia non in connessione con itÀe:iaTtJç (solo qui e Mt. 21,8) ; cfr. tuttavia 2,13;

1 27
ÀrX.7 Tradizionali sembrano invece l'indicazione della barca
(cfr. 4,36; 3,9) , 8 xa-8ijcr-8cu,9 come pure l'espressione È7tÌ. 't'ijç
yijç. '0 Incerto rimane xaì. eÀe:ye:v aù-to iç ; la saldatura tra «egli
"

insegnava loro» e «egli diceva loro» ricorre anche in 9,3 1 dove


sembra redazionale (qui però con «ai suoi discepoli»)" ed in
1 1 , 17 dove sembra tradizionale'J (qui senza complemento) . '4 I
vv. 1 s. sono probabilmente un'introduzione, in larga misura
redazionale, al capitolo delle parabole; potrebbe essere una
rielaborazione della introduzione tradizionale alla raccolta pre­
marciana delle parabole che iniziava pressapoco cosl: «Gesù
sall sulla nave e sedette, stando in mare, e la gente sedeva sul­
la riva. E diceva loro: . . . ».
vv. 3-9. La parabola del quadruplice terreno non rivela ri-

3,9.20.32( ?) ; 4,36(?) ; ,,21.24; 6,34.45 ; 7,14.17; 8,1 .2( ?) . 34; 9, 1 4. 1 .5- 17( ?) ; x o, x .46;
1 1 , 1 8; 12,12( ?) . 38(?), quindi 22 dei 36 luoghi nei quali la parola ricorre (senza 4, 1 ) .
L'Ox,ì.oc; appartiene allo scenario tipico della parole e delle azioni d i Gesù i n Mc.
7. In connessione con xr,p�'!l''!l't&v (Mc. 1,45) , con Ò1Òa'!l'Xlt1v (Mc. 6,34) ; mai in Mt. e
Le. ha xo volte in assoluto n:oUa.
8. Schweizer, Mk, 4, .
9. Cfr. Mc. 2,6.14; 3,34; 5 , 1 5 ; 10,46( ?) ; 12,36 (citazione) ; 14,62; 16,,.
10. Tutti gli altri luoghi che ricorrono in Mc. sono tradizionali: 2,10; 4,26( ! ) . 31 ( ! ) ; 6,
47; 8,6; 9,3.20; 14,3,.
n. Kuhn, Sammlungen, 13 0 s., che considera questa espressione come una «tipica
formula di allineamento» di Mc. , si richiama a Jeremias, Gleichnisse, 10. Tuttavia i
luoghi ivi indicati non sono inequivocabilmente marciani: 2,27 è più probabilmente
tradizionale (cfr. Schweizer, Mk, 35), lo stesso dicasi di 6,10 (cfr. op. cii. , 67 s.), e di
7,9 (cfr. op. cii. , 77 s.); 4,1 1 è per lo meno incerto (cfr. sotto, pp. 130 s. con le nn. 26 s.).
Con una certa probabilità sono redazionali 4,21.24; 8,2 1 ; 9,1. Gli altri casi indicati da
Kuhn, 6,4 (tradizionale, cfr. Schweizer, Mk, 64) ; 9,31 (redazionale) ; 1 1 ,17 (premar­
ciano, cfr. Schweizer, Mk, 127), non autorizzano alcuna conclusione sicura.
Che la formula ricorra solo una volta negli altri due sinottici può essere spiegato
col fatto che qui si tratta di una formula di allineamento tipica sia di Marco sia della
comunità premarciana. Questa conclusione è avvalorata anche dalla distribuzione
uniforme dei testi fra la tradizione e la redazione.
12. Kuhn, Sammlungen, 1 38.
1 3 . Contro Kuhn, Sammlungen, 1 38; con Schweizer, Mk, 127.
14. A ciò si aggiunge che Mc. quando è lui stesso a formulare - utilizza piuttosto
-

uno dei due verbi in funzione participiale, cfr. 1 2,3' (Éì.cycv òt&i'!l'XWv) ; 1 ,7 (èidipw­
'!l'&:V ì.Éywv); 3,33 (àn:oxp1.Srìc; a�oic; ì.éyc 1), cosl come molti esempi con àn:oxp1.Scìc; +
ì.Éyuv.

128
tocchi marciani. Tuttavia è evidente che la sua struttura fon­
damentale estremamente coerente viene disturbata da diverse
spiegazioni e ripetizioni. Il v. 5 o7tou oùx e lx ev yijv 7toÀÀfiv è
un'aggiunta esplicativa; l'eù-8uc; svolge un ruolo rilevante nel­
la spiegazione (vv. 14-20) ;'' anche 8tà. -tÒ IJ.� exe tv �ti-8oc; yijc;
dev'essere un'aggiunta esplicativa;'6 lo stesso dicasi per il v. 6b
che ripete il v. 6a da un altro punto di vista.'7 Il v. 7c risulta
superfluo ed inoltre anticipa la conclusione (cfr. v. 8 ! ) . ' 8 Al v.
8 ( àvcx�cxtvov't' cx xcxl cxù�cxvo(J.tVcx) c'è un rallentamento della
descrizione.'9 Sorprendente anche l'elenco del raccolto al v. 8:
dopo dc; -tptcixov�cx (sino al trenta [per uno] )'° non ci si aspet­
terebbero ulteriori dati numerici; basta uno sguardo alle va­
rianti testuali a confermare che questa sequenza presenta dif­
ficoltà. La lezione preferibile Etc; EV . . . EV21 suggerisce l'ipo-
• • .

l!i. Cfr. i vv. l!i.16.17.


16. Si riferisce all'Eù-8uç nello stesso versetto. Dal punto di vista linguistico è rilevante
il fatto che &1ci con l'infinito è particolarmente frequente in Lc./Acl. (Ml. 3 volte,
delle quali due volte dipendente da Mc. ; Mc. 4,,.6; , ,4 [tutti tradizionali]; Le. 8 volte
I Aci. 8 volte; nel rimanente N.T. : l volta lo. 2,24; l volta Paolo Phil. 1 ,7; 3 volte
Hebr. ; l volta lac. ). !3ii-9oç invece Mt./Mc. solo qui; Le. ,,4; 4 volte in Paolo (Rom.
8,39; 1 1 ,33; 1 Cor. 2,10; 2 Cor. 8,2); nelle lettere deuteropaoline solo in Eph . 3,18;
mai nel resto del N.T.
17. Cfr. Crossan, JBL 92, 246. Per l'aspetto linguistico c&. sopra, n. 16 e pt�a Mt.
3,10 par. Le. 3,9 (Q) ; Mc. 4,6 par. Mt. 1 3,6; Mc. 4,17 par. Mt. 13,21; Mc. 4,17 par. Mt.
13,21 par. Le. 8,13; Mc. 1 1 ,20 tradizionale; 4 volte Rom. ( 1 1,16. 17. 18; 1,,12) ; altre 4
volte nel resto del N.T. Inoltre �1lptxive:1v Mt. 3 volte (dipendente da Mc. ) ; Mc. 6
volte (tutte tradizionali); Le. 1 volta (dipendente da Mc. ) ; altre ' volte nel rimanente
N.T. ; questo bilancio fa pensare dunque a un vocabolo usato nella tradizione pre-
marciana.
18. Il xrxpr.bv &i&wl'-1 è piuttosto semitizzante, creato in analogia al v. 8. L'espressione
ricorre raramente: Mc. 4,7 par. Mt. 13,8; Mc. 4,8.29 ( ! con n:rxprx-); Mt. 21,41 ; Apoc.
22,2 (entrambi con à:n:o-) .
1 9 . Cfr. Crossan, JBL 9 2 , 248. à:va(hivuv, detto d i piante solo i n Mc. 4,7 s. (par. Mt.
13,7). 32( ! ) ; cfr. Bauer, Wb, s. v. 1b; rxù�tivc�a1 spesso per la parola di Dio in Aci.
(6,7; 12,24; 19,20), per il vangelo (Co/. 1 ,6), per la fede (2 Cor. I0, 1,), per la cono­
scenza (Co/. 1,10). Qui il termine avrebbe potuto avere già un significato metaforico.
20. Questa traduzione si ottiene per analogia con i passi di Arriano indicati da Bauer,
Wb, s. v. 6c, come pure per analogia c<?n EÌc; in riferimento a «misura e grado,. (ibid.
3) dove indica in modo inequivocabile la meta.
21. Contro Jeremias, G/eichnisse, 149 n. 2 va scartato il triplice et�. perché è molto
più difficile che siano caduti due cr� anziché l'ipotesi che il secondo e terzo iv sia-

12 9
tesi che gli ultimi due elementi siano stati aggiunti in un se­
condo tempo, e precisamente partendo dalla spiegazione.
Il v. 9 appartiene alla parabola originaria; .. va di pari passo
con l'introduzione anch'essa originaria, «Ascoltate ! »; non è
di Marco, che avrebbe costruito piuttosto con e:t -ttc;;'1 né può
appartenere allo stesso strato dei vv. 14-20, perché i vv. 14-20
sostituiscono il v. 9 (con la differenza che nella spiegazione
non si tratta più dell' <ixoue:tv, bensì dell' <Xxoue:tv , xcxl 1ta.pa.­. . •

òqe:a-8cxt) .'4
vv. 10 ss. Già da tempo è assodato che Mc. 4,n s. è una
tradizione premarciana originariamente autonoma. 2' Fu Marco
a inserire qui questi versetti? Il v. 10 crea l'impressione di una
transizione tradizionale tra parabola e spiegazione (vv. 3-9 e
14-20) ; esso inoltre non rivela nessun tratto tipico di Mar­
co.'6 Anche la formula introduttiva al v. n non è necessaria-

no stati sostituiti con Elç (� Cal.) . Tre volte Év è . già lectio /acilior a causa del v. 20
(contro Klostennann, Mk, 40) . La supposizione che la lezione originaria fosse dc; . . .
bi . . . iv contrasta da un lato con l'impossibilità grammaticale e dall'altro con la mi­
nor plausibilità della correzione attribuita a Mt. Inoltre la nostra lezione è ben atte­
stata: L e ? B�L. Di conseguenza allora al v. 20 va letto tre volte iv (con Jeremias,
ibid. ): ? D, À, 9, latt, sah. Per il carattere secondario della triplice indicazione dd
raccolto al v. 8, cfr. Grundmann, Mk, 89 (il quale tuttavia considera originario il
«cento per uno») .
22. Contro Jeremias, Gleichnisse, 109, che tuttavia lascia aperta la questione i n Mc.
4,9, ma che considera l'esortazione ad ascoltare «nella maggior parte dei casi secon­
daria». Secondo Kuhn, Sammlungen, 1 3 1 , il v. 9 è premarciano.
23. Cfr. v. 23 (di Mc. ) ; 7,16 ( ? posteriore a Mc. , ma senz'altro non tradizionale;
Schweizer, Mk, 79) . La costruzione d �1c; in Mc. 8 volte, mentre Hv •ne; 3 volte;
Mt. : 2 (1 volta dipendente da Mc. ) : 4; Le. 2 (1 volta dipendente da Mc. ): 4. L'espres­
sione Oc; (!x,c1) ha invece l'aria di essere antica.
24. L' «ascoltare» viene attribuito anche al primo (v. 1,), al secondo (v. 16) ed al terzo
gruppo (v. 18), mentre il quarto gruppo ascolta ed accoglie.
2,. Cfr. per es. Jeremias, Gleichnisse, 1 1 ; Jiingel, Paulus und Jesus, 132; Haufe, Ev
Th, 32, 414 s.; Haacker, NT 14, 224; Burkill , NT 1, 247. 2"; Schweizer, Mk, 46;
Kuhn, Sammlungen, 1 34 s. ; vedi anche Branscomb, Mk, 78 s . ; Schelkle, Zweck, 74.
26. Marciano potrebbe essere al massimo lo strano inserimento di aùv -roiç òW8EXIX.
In effetti esso risulta spesso redazionale, tuttavia è perfettamente possibile trovarlo
anche in tradizioni anteriori, cfr. 14,10.20.43; 1 Cor. 1,,, (v. anche Schweizer, Mk,
46. 66 s. ) . Inoltre xtnà (J-6vaç è singolare in Mc. , oi r.cpì aù-r0v nd senso di discepoli
di Gesù solo in 3,34 (tradizionale) e qui.

1 30
mente marciana. 27 Si può concludere dunque che la cosiddetta
«teoria della parabola» (vv. 1 1 s.) era stata inserita tra la para­
bola e la spiegazione già prima di Mc.
Al v. 13 la statistica lessicale non porta a risultati chiari;28
tuttavia il v. l 3a e il v. 13b non possono appartenere allo stes­
so strato di tradizione, perché «questa parabola» si riferisce
chiaramente ai vv. 3-9, mentre il plurale al v. l3b presuppone
già la generalizzazione dei vv. lo.12. Se ne dovrà concludere
che il v. l3a appartiene alla vecchia transizione tra parabola e
spiegazione, mentre il v. l3b fu inserito più tardi, certamente
da Marco stesso;29 la generalizzazione infatti si differenzia
chiaramente da quella dei vv. 1 1 s.
vv. 14-2 0. La spiegazione (vv. 14-20) sicuramente non ap­
partiene alla parabola originaria.10 Il brusco passaggio tra il v.
14 e il v. l.5 si spiega facilmente se si ammette che la spiega­
zione fu sempre utilizzata assieme alla parabola. La struttura
dei vv. 14-20 corrisponde esattamente a quella dei vv. 3-9, a
volte al punto tale che si deve ammettere una rielaborazione
della parabola originaria nel senso della spiegazione. 1'
vv. 2 1-25 . La raccolta di logia nei vv. 2 1 -25 contiene diversi
detti tradizionali, che ricorrono anche in Q. Essa interrompe
il discorso in parabole, che viene ripreso nei vv. 26-32. I vv.
21a.23 . 24a12 derivano sicuramente da Marco; anche perché la
27. Cfr. sopra, p. 1 28 con n. n .
28. -.au-.'IJV posposto ricorre i n 4 luoghi: 4,1 3 ; 10,, (tradizionale, cfr . Schweizer, Mk,
108 s.); n ,28 (cfr. op. cit. , 130); 12,10 (tradizionale). La formulazione 7tic; b ricorre sia
nella redazione (1 ,32; 6,33; 7,3; 13,10) sia nella tradizione (3,28; 4,3 1.32). L'intro­
duzione con -i ÀÉyt 1 aù-.oìc; potrebbe essere qui tradizionale (così anche Kuhn,
Sammlungen, 131).
2 9 . Mc. mette in risalto l'intelligenza da parte di tulli, cfr. Schweizer, Mk 48 (che pe­
raltro considera marciano l'intero v. 13).
30. Cfr. per es. Bultmann, Synoptirche Tradition, 202 s.; cfr. la dettagliata analisi les­
sicale di Jeremias, Gleichnirre, n·n; Kuhn, Sammlungen, 113. 1 16 s.; Schweizer,
Mk, 48 s.; Lohmeyer, Mk, 85 ; Branscomb, Mk, 8o s.; Bowker ijThS 2,, 316 s.) ve­
drebbe invece di nuovo un'unità nei vv. 1-20).
31. Cfr. sopra, pp. 129 s. con le nn. 15-21.
32. La formula introduttiva xaì ÉÀe:ycv aù-.oic; qui potrebbe essere marciana, co­
si come l'appello all'ascolto al v. 23. Cfr. sopra, p. 1 30 n. 23 e Schweizer, Mk, ,o;
Kuhn, Sammlungen, 129 n. 28 (con Jeremias ) .

131
loro prospettiva contrasta con quella dei w. 1 1 ss. La cosa più
verosimile è che Mc. stesso abbia inserito qui questi detti.
vv. 26-29 . La parabola del seme che cresce spontaneamente
rivela un ampliamento ai w. 27 s . ; il v. 28 per motivi di conte­
nuto e di forma linguistica non avrebbe potuto appartenere
alla parabola originaria;JJ lo stesso dicasi per la citazione di
Gioele al v. 29b.34 Ragioni redazionali spiegano come mai que­
sta parabola sia presente solo in Mc. : Mt. l'ha sostituita con la
parabola della zizzania," Le. ha preferito ometterla perché po­
co consona al suo contesto. J6
vv. 30-32. La parabola del grano di senapa, presente sia in
Mc. che in Q/1 presenta ai w. 31b.32a un chiarimento (che
manca nella versione Q) . 18 L'allusione a Dan. 4,18; Ez. 3 1 ,6

33. Il v. 27, che mette in risalto l'inattività del contadino, viene qui ampliato con l'a·
spetto temporale (cfr. Crossan, JBL 92, 2,2). xap'ltoipopa:iv cfr. Mc. 4,20( ! ) ; r.ì.f,p1jc; ri­
corre spesso in Aci (8 volte) ; i: he:v è hapax ( una forma ionico-ellenistica) (Bauer,
.

Wb, s.v. ) .
34. Le allusioni all'A.T. i n generale sono opera della comunità primitiva, i n partico­
lare quando utilizzano la versione dei LXX (a questo proposito cfr. Dupont, Se·
mence, 103 che peraltro considera unitaria la parabola; op. cii. , 1o6). a:ù.9uc; in Mc.
4,14-20 svolge un ruolo predominante (cfr. anche sopra, p. 128 con n. 1,). Per la ci·
tazione cfr. Apoc. 14, 1,.18 ("tÒ 8pé'ltatvov ) . La terminologia apocalittica è abbondan ·
temente presente anche nell'interpretazione, w. 14-20.
3,. Si può constatare una certa affinità linguistica tra Mc. 4,26-29 e Mt. 13,24-30
(Kuhn, Sammlungen, 127 s . ) . Inoltre, probabilmente Mt. trovò una forma abbreviata
di questa parabola in una raccolta prematteana (assieme a Mt. 13,44-48: cfr. Schwei­
zer, Gemeinde, 99) . Questa parabola si adatta meglio anche alla formulazione mat­
teana dell'interpretazione della parabola del seminatore (che mette in risalto il portar
frutto, cfr. Schweizer, Mt, 196 s.); cosl pure Haenchen, Weg, 172.
36. Le. collega la pointe dell'interpretazione all'episodio dei parenti di Gesù (pointe
al v. 21: ascoltare e mellere in pratica, cfr. Klostermann, Lk, 99 e Kuhn, Sammlun­
gen, 128 s.). Per questo motivo egli non riporta la parabola del seme che cresce da
solo, mentre inserisce altrove quella del granello di senapa in coppia con quella del
lievito (Le. 13,18-2 1 ) . Per Le. era «pressoché impossibile per motivi interni» (Haen­
chen, Weg, 172) riportare qui la parabola.
37. Cfr. per es. Bultmann, Synoptische Tradition, 186; Schweizer, Gemeinde, 98;
Idem, Mt, 198; Idem, Mk, '2; Kuhn, Sammlungen, 99; McArthur, CBQ 33, 198;
Crossan, JBL 92, 2,4.
38. Essa è probabilmente anteriore a Mc. , cfr. l'espressione Èr.Ì Tijc; Tilc; (v. sopra, p.
128 con n. 10), cosi come 11-ucp0npoc;, Mt. u , u ; 13,32 par. Mc. 4,3 1 ; Le. 7,28; 941
altrove mai nel N.T. ; ar:ép11-at in Mc. solo qui e 4 volte in 12, 19-22; sorprendentemen-
(Mc. ) e Dan. 4,21 I 4,18 I Ps. (LXX) 103,12 (Q) è opera della
comunità cristiana (che si serviva dei Settanta). La parabola
del lievito, che segue in entrambi i paralleli sinottici, era col­
legata con la parabola già in Q. 19
vv. 33 s. Tra il xa.-8wc; iJòuva.v�o à.xouetv (v. 33) ed il v. 34
sussiste una contraddizione evidente:""' il v. 33 presuppone che
Gesù parlava alle folle, mentre il v. 34 si ricollega ai vv. 10-
12. Il v. 33 presenta tratti tipici di Marco,4' mentre il v. 34 pre­
senta piuttosto un lessico tradizionale.42 Se ne può dedurre che
il v. 34 era la vecchia conclusione della raccolta premarciana
mentre il v. 33 è stato inserito da Mc.
Da tutte queste osservazioni si ricava la seguente ipotesi di
storia della tradizione e della redazione: il più antico stadio rag­
giungibile di tradizione, che coincide con quello di Gesù, com­
prendeva le tre parabole: vv. 3-9 (senza i vv. 5b.6b.7d.8c.
8d�y), vv. 26-29 (senza i vv. 28.29, reminiscenza scritturisti­
ca), vv. 30-32 (senza 3 1b.32a.c, reminiscenza scritturistica).
Verosimilmente queste tre parabole furono tramandate molto
presto come raccolta. 4 1 In un secondo stadio fu prodotta una

te 5 volte in Ml. 13,24-38; ì.ci'X,!lt'IOY Ml. 1 3,32 par. Mc. 4,32; Le. 1 1 ,42, Rom. 14,2, un
termine usato nell'ellenismo (cfr. Bauer, Wb, s.v. ; Flavio Giuseppe; Neopitagorici in
Diogene Laerzio; Filostrato) , e [J.d'i;o'I . . . 111xp6npoc; Ml. 1 1, 1 1 par. Le. 7,28 (Q), cosi
come èì.ciaaw'I Rom. 9,12 (di persone).
39. Cosi per esempio Schweizer, Ml, 179.
40. Per lo meno se si traduce l'espressione «cosl come essi potevano ascoltarla (ossia
intenderla)» (Kuhn, Sammlungen, 1 34).
41 . In particolare Èì.ciì.Et aù-toic; -:ò.,, ì.oro" è redazionale (cfr. Mc. 2,2; 8,32[ ! ] senza
!XÙ'toic;; 12,1 [senza -:Ò'I ì.6ro.,, ] ) ; -:01où-toc; Mt. 3 volte; Mc. 6 volte; Le. 2 volte; r.oì.uc;
in Mc. è più spesso posposto che anteposto ( 1 3 : 9); come termine ricorre più spesso
in Mc. che in Mt./Lc.
42. x.wpic; in Mc. solo qui (molto ricorrente nelle lettere dcl N.T. ) ; r.apa[Y.iì.ijc; è sor­
prendente, ci si aspetterebbe piuttosto il plurale, se il v. 34 fosse stato creato assieme
al v. 3 3 ; anche "t'oii; i8foti; 11a..911Taic; singolare in Mc. ; È'lttÀuEt'I in questo senso solo
qui nel N.T. (ancora una volta al passivo in Aci. 19,39), èr.iì.intc; nello stesso senso
in 2 Petr. 1,20. xa-: ì8 ia" sembra essere peraltro una formulazione di Mc. (probabil­
'

mente un adattamento dello scenario al v. 10, xaTà. �ac;).


43. Non si tratta di una raccolta che intenzionalmente riformula le parole di Gesù,
bensl di una raccolta che le tramanda il più fedelmente possibile. A mio avviso non
si può partire dal presupposto che Gesù abbia pronunziato le tre parabole in una

1 33
raccolta in senso vero e proprio. Essa veniva introdotta da al­
cuni elementi degli attuali vv. 1 s. (più o meno: «Gesù sali in
una barca e là restò seduto, stando in mare, mentre la folla
era a terra lungo la riva; e diceva loro: . . . » ) ; a meno che tale
introduzione non appartenesse già ad una delle tre parabole
come ambientazione originaria. La raccolta proseguiva poi
con i vv. 3-9 (cosi come si presentano in Mc. ) e la spiegazione
ai vv. 14-20. La transizione tra la parabola e la spiegazione
suonava probabilmente: «E quando egli fu da solo,.... coloro
che gli stavano attorno lo interrogavano sulla parabola,�' ed
egli disse loro: 'Non comprendete questa parabola?.ili Il semi­
natore . . . '». A questo stadio della tradizione appartengono inol­
tre i vv. 26-29.30-32. Che la raccolta comprendesse tutti gli
elementi suddetti, compresa la spiegazione, risulta dalla note­
vole coerenza tra ampliamenti e spiegazione: a) e:ù-8uç, vv.
5bh5.16. 17h9b ; b) entra in gioco il fattore tempo, v. 8c I verbi
al presente = ascoltare, accogliere, portare frutti, v. 20 I elen­
cazione dei vari stadi di crescita al v. 28a; c) il tema dell'inco­
raggiamento appare al v. 8 I il participio aoristo indica che ci
si rivolge solo agli uditori, v. 20 I il «la terra fruttifica da so­
la», v. 28 I il più piccolo diviene il più grande, vv. 3 1b. 32a;
infine d) compare soprattutto il valore attribuito dopo la pa­
squa a Gesù e alla sua parola: l'enorme raccolta del seme al v.
8d implica già l'identificazione seme = parola e deriva dal v.
20 I la citazione scritturistica, v. 29, presuppone l'escatologia
cristiana primitiva I la citazione della scrittura v. 3 2 implica
medesima occasione, ma da quello che queste tre parabole furono senz'altro traman­
date assieme (c&. il triplice «e diceva.. , vv. 9.26.30).
44. Traduzione con Bauer, Wh, s . v . 3 (degni di nota anche i paralleli indicati).
45. Il plurale -:�� r.cxpcx�oì..2� nel testo di Mc. risale allo stadio più recente (cfr. sotto,
p. 135). La domanda che introduceva l'interpretazione può essersi riferita solo ai
vv. 3-9, cfr. v. 13a!

46. L'appartenenza di questo semiversetto alla raccolta premarciana non è certa. Si


potrebbe piuttosto supporre che Mc. , il quale inserl il v. 1 3b (cfr. Schweizer, ETR
43, 258; Idem, Mk, 489), sia autore anche del v. 13a; per i dati della statistica lessica­
le cfr. sopra, p. 131 con n. 28. Per la connessione tra il v. 10 e il v. 13 c&. Jeremias,
Gleichnisse, 14 n. 6, cfr. 10; Kuhn, Sammlungen, 131. 137, che però non attribuisce
il v. 13a alla formula di collegamento.

1 34
l'identificazione seme di senapa � Gesù. Ne risulta (proba­
bilmente a livello della raccolta) una notevole rielaborazione
rispetto allo stadio di Gesù. La conclusione della raccolta non
è più ricostruibile; in ogni caso, non sono certamente in causa
i vv. 33 e 34. 47 In un terzo stadio (sempre anteriore a Marco) la
transizione tra la parabola (vv. 3-9) e la spiegazione fu tra­
sformata nel senso di una generalizzazione; al v. 10 l'inseri­
mento dei vv. u s. determinò il passaggio di -t�v 7tcxpcx�oÀ�v
al plurale. La concezione fondamentalmente diversa delle pa­
rabole come discorso enigmatico, che mira intenzionalmente
([J.�7to-tt) addirittura ad indurire, e la separazione tra il gruppo
di coloro che comprendono e quello degli esclusi («voi» -
«quelli di fuori») sono bene in linea col v. 34,"8 che dev'essere
stato inserito alla fine della raccolta in questo stadio.49
Mc. a sua volta rielaborò ancora una volta il terzo stadio
tramandatogli dalla tradizione provvedendolo di un'introdu­
zione rispondente alla sua teologia (vv. 1 s.) ;'0 inserendo dei ri­
tocchi correttivi anche al v. 13b, che nella formulazione attua­
le mette in risalto il fatto che tutti non comprendono;'' ag-

47. Contro Kuhn, Sammlungen, 1 32, che definisce il v. 33 come conclusione, cosa
difficilmente ammissibile in base al suo carattere mordano; cfr. sopra, p. 133 n. 41 . A
mio avviso bisognerebbe piuttosto prendere in esame l'ipotesi se la prosecuzione,
w. 3' ss. (tema della barca ! ), non fosse già nella tradizione.

48. Sulla connessione interna tra i w. 1 1 s. e il v. 34 cfr. Kuhn, Sammlungen, 134 s.


127 con n. 16. Va notato innanzitutto il r.cir.ci, w. n .34.
49. Nell'attribuire questi versetti alla tradizione anteriore a Marco dissentiamo da
Kuhn, Sammlungen, 132; Schmid, Mk, 93; cfr. Linnemann, Gleichnisse, 179 (n. 1 ) ;
Jeremias, Gleichnisse, 10 s., e l a maggior parte degli autori. Mc. non può aver inserito
i w. II s. perché a lui interessa la mancanza di comprensione dei discepoli (contro
Schelkle, Zweck, 71; con Schweizer, Mk, 47; Burkill, NT 1, 2,,). Inoltre la concezio­
ne marciana delle parabole si rivela più chiaramente nei w. 21-2' (scopo: la rivela­
zione di ciò che è celato), che sono cenamente un'inserzione sua. I dati della statisti­
ca lessicale depongono anch'essi contro l'attribuzione dei w. 11 s.34 a Mc. (contro
Lambrecht, Redaction, 2n, che in primo luogo considera i w. 33 s. come un'unità e
in secondo luogo i w. 11-12 come redazionali: v. in particolare pp. 248 s.).
,o. Motivi tipici di Mc. sono qui innanzitutto la folla, l'insegnare vicino al mare e la
«dottrina• di Gesù. A tal proposito cfr. anche Lambrecht, Redaction, 271 s.
,1. Il versetto 13b annulla la distinzione dei w. I I s. tra coloro che comprendono e
coloro che non comprendono (cfr. Schweizer, Mk, 49) . Il v. 13b non autorizza a sup-

1 35
giungendo ai vv. 21 -2' alcuni logia tradizionali, nei quali vie­
ne ritrattata la separazione tra coloro che comprendono e
quelli che non comprendono (vv. 1 1 s.}, o quanto meno la sua
definitività: la parola di Dio raggiungerà il suo scopo (vv. 21
s.}, essa sarà intesa da coloro che avranno orecchie per inten­
dere (vv. 2 3 . 24 s.) .'2 Infine la concezione marciana delle para­
bole di Gesù viene espressa ancora una volta al v. 33 : la paro­
la proclamata nelle parabole dona agli uomini la capacità di
comprendere.n

2 . 1 . 1 . La parabola del quadruplice terreno


(Mc. 4,3 -9; Ev. Th. 9)
Nello stadio di Gesù la parabola potrebbe aver avuto la for-
ma seguente:
Ascoltate ! Ecco, il seminatore usci a seminare.
E awenne, nel seminare, (che) una parte cadde sulla via
e vennero gli uccelli e la divorarono.
E un'altra parte cadde sul suolo roccioso"
e quando il sole si alzò, fu bruciata.
E un'altra parte cadde tra le spine,
e le spine crebbero e la soffocarono.
E tutto il rimanente" cadde su un terreno buono

porre che l'interpretazione, w. 14-20, rappresenti una chiave per tutte le parabole
(Boobyer, NTS 8, 66) (il v. 13a si riferisce ai w. 3-9, non ai w. 14-20), cfr. Brown,
JBL 92, 67).
,2. Cfr. Schweizer, Mk, ,o. Per il problema della storia della tradizione di questi
versetti cfr. Lambrecht, Redaction, 28,·290. Alcuni logia che si trovavano originaria·
mente in un altro contesto (cfr. ibid. ) adesso sono riferiti alle parabole. Diversamente
per esempio Haenchen, Weg, 170; Jeremias, Gleichnirre, 90; Lohmeyer, Mk, 8,.
'3· Pertanto Mc. co"egge la tendenza presente ai w. u s.34. Posizione differente in
Bultmann, Synoptische Tradition, 3,7. 366 (w. 33 s. marciani) ; Haenchen, Weg, 171
(v. 33 conclusione della fonte) ; Jeremias, Gleichnisse, 10 s. (il v. 33 appartiene al se­
condo strato della tradizione), similmente anche Linnemann, Gleichnisse, 179 (n. 1);
Kuhn, Sammlungen, 132 (v. 33 conclusione della raccolta). La mia posizione concor·
da con quella di Schweizer, Mk, ,3 (anche il v. 34a è di Marco) ; cfr., dello stesso au·
tore, ETR 43, 2,8 (senza il v. 341).
,4. Con Bauer, Wb, r.v.
,,. Con questa parafrasi di Mc. 4,8a si deve tentare di esprimere il plurale (!ÌÀÀCl) a
differenza del triplice ringoiare w. 4 (0).,.7 (iiì.Ào); cfr. Lohmeyer, Mk, 83.
e portò frutti, e rese sino al trenta.
E diceva: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti ! ».
Colpisce innanzi tutto la struttura formale ben costruita della
parabola: dopo un breve antefatto (Mc. 4,3) seguono tre frasi
perfettamente parallele anche nei particolari, che descrivono
l'esito (negativo) di tre porzioni minori (singolare ! ) della se­
menza. Ad un «e» introduttivo segue un pronome al singolare
{o, aÀÀo, aÀÀo), poi il verbo «cadde» e l'indicazione del luogo
(«sulla via», «sul suolo roccioso», «tra le spine») . La seconda
parte della frase inizia di volta in volta con «e»; segue poi un
verbo che descrive la venuta del nemico («vennero», «si al­
zò», «crebbero») , la sua natura («gli uccelli», «il sole», «le spi­
ne») ed infine leffetto distruttivo che esso provoca («la divo­
rarono», «fu bruciata», «la soffocarono»). La quarta frase
(Mc. 4,8) descrive la sorte (questa volta positiva) della mag­
gior parte della semenza (plurale ! ) . Essa è perfettamente pa­
rallela alle tre frasi precedenti, con la differenza che la casella
nella quale si parlava del nemico (e nella quale qui per motivi
formali ci si aspetterebbe un amico) rimane vuota.
La struttura formale ci permette di trarre delle conclusioni
sul significato della parabola. È chiaro che la parabola non ri­
guarda il seminatore; egli fa parte solo dell' ante/atto;'6 del suc­
cesso o dell'insuccesso del suo lavoro non si fa parola. Il pro­
tagonista della parabola è invece il seme stesso: il tema del
racconto è la sua sorte.'1 La prima parte ci fa vedere come il
seme in vario modo va perduto (vv. 4-7) ; questa prolungata
descrizione dell'insuccesso'8 ha lo scopo di intensificare la ten­
sione ed accrescere l'effetto della seconda parte (v. 8), dove
si descrive il successo della semina.'9 Il racconto si conclude

56. Contro Bultmann, Synopl. Tradilion, 189; Jcrcmias, Gleichnisse, 149 s.; Fuchs,
Zeitverslandnis, in GA 11, 348; Frankemolle, Bile 13, 194; implicitamente anche Per­
rin, ]esus, 172 s. Con Linnemann, G/eichnisse, 120.
57. A questo riguardo anche il titolo «La parabola del quadruplice suolo» (Linne­
mann, Gleichnisse, 120) non è del tutto appropriato.
58. Constatato per esempio da Schweizer, Mk, 45.
59. Già per motivi formali la parabola deve essere suddivisa in due parli (bene Lin-

1 37
quando è arrivato al punto decisivo: ogni qual volta viene se­
minato del seme, è certo che darà frutto: la maggior parte ca­
de su un terreno buono e produce il raccolto; la perdita di
qualche piccola parte non pregiudica il lieto fine.6o
Alcuni sostengono che la ricostruzione del senso originario
della parabola sulla bocca di Gesù sarebbe diventata ormai
impossibile;61 ma è proprio cosl? Una prima indicazione sul
senso originario çi è offerta già dall'inquadratura (w. 3a.9) : la
parabola ha a che fare col problema dell'ascoltare. Ma ulterio­
re indicazione si ricava dal significato metaforico di «semina­
re» : si può parlare di un «seminare la giustizia» (Prov. n,21;
cfr. Hos. 10,12 LXX) ; chi «semina il proprio» è una persona
generosa che distribuisce i suoi beni (Prov. 1 1,24 LXX) : il te­
ma della semina ha il significato meta/on'co di qualcosa di effi­
cace, qualcosa che si compie.6' Anche la parola di Dio è effica­
ce, rende feconda la terra, dà il seme al seminatore, non gli ri­
torna indietro a mani vuote (Is. 55,10) . In questo senso si po­
trà dire più tardi che Dio semina la sua legge nel cuore degli
uomini (4 Esdr. 9,31 ) .6i
Da queste indicazioni si può dedurre che il «seminare» nel­
la parabola poteva essere compreso come metafora della pre­
dicazione di Gesù. Il suo annunzio della basileia (cfr. Mc. l,14
nemann, Gleichnisse, 122; Crossan, JBL 92, 2,0) . L'impressione della suddivisione in
quattro parli deriva eia una certa inlerprelazione (allegorica) della spiegazione.
6o. La descrizione dell'insuccesso ai w. 4-7 è in funzione del v. 8 (contro Schnie·
wind, Mk, 7 1 ) . Poiché al narratore interrcssa quesla pointe (v. 8), egli narra l'insuc·
cesso e coinvolge l'uditore nel suo punto di vista. La questione se i w. 4-7 corri­
spondano o meno alle tecniche di coltivazione in Palestina, è i"ilevanle (se per
esempio normalmente si arava prima o dopo la semina; cfr. Jeremias, Gleichnisse, 7
s. e Linnemann, Gleichnisse, 1 2 1 : prima; opinione contraria in White, JThS 1,, 300-
307; replica in Jeremias, NTS 13, 48-,3), perché non è decisivo il realismo della nar­
razione, ma solo il fatto che i tratti na"ativi combinati in funzione della pointe risul­
tino verosimili all'uditore (cfr. anche Frankemolle, Bile 13, 193; per quel che riguar­
da laspetto fondamentale, anche le osservazioni sul carattere fittizio delle parabole in
Via, Gleichnisse, passim). Il narratore wole sottolineare il successo, e proprio perciò
si sofferma prima sull'insuccesso.
61. Cosl già Bultmann, Synopt. Tradition, 216; oggi di nuovo Kuhn, Samml. , n2.
62. Quell, ThWNT v u , '41,27.
63 . Jeremias, Gleichnisse, 77.
s.), la sorte che essa subisce tra gli ascoltatori, è la chiave per
comprendere questa parabola. Con la parola della basileia ac­
cade come con la semenza nella parabola: potrà anche darsi
che non venga ascoltata interamente e da tutti, ma dove sarà
ascoltata non mancherà di produrre il suo effetto, porterà
buon frutto. La parabola rispecchia da una parte la fiducia di
Gesù nella potenza insita nel suo annunzio della basileia (la
maggior parte porta frutto ! ) e dall'altra incoraggia l'uditore
ad ascoltare, poiché quando la parola viene ascoltata, tutto ciò
che l'uomo può fare, è stato fatto;64 il fruttificare poi sarà affar
suo: sarà la parola stessa, una volta ascoltata, a creare nell'u­
ditore l'atteggiamento ad essa rispondente. Gesù dunque con­
sidera la sua parola, lannunzio della basileia, in analogia alla
parola di Dio stesso,6, che produce immancabilmente effetto
(«non mi ritorna indietro a mani vuote», Is. ;;,10 ! ) ; e se stes­
so come uno che parla al posto di Dio. L'ascolto, al quale gli
uditori vengono incoraggiati (v. 9 ! ) viene ottenuto attraverso
la parabola stessa, in quanto essa racconta una storia avvin­
cente, che prende interamente l'uditore, lo distoglie da se
stesso e lo porta fino al punto desiderato per rivolgergli il suo
appello. Questa parabola comunica all'uditore la potenza del­
la parola in una forma tale da mettergliela in scena dinanzi ai
suoi occhi.
In tal modo la parabola è la forma linguistica atta ad inco­
raggiare ali' ascolto, in quanto la sua forma rende possibile ciò
che il suo contenuto incoraggia a fare. Forma e contenuto
realizzano cosl la loro unità.
64. Partendo di qui si possono respingere diverse interpretazioni. Non si tratta del­
l'allività di Gesù (Frankemolle, Bile l3, l94 s.), bensì dell'efficacia insita nella paro­
la. Non si tratta della divisione del popolo nei confronti della parola (Gerhardsson,
NTS l4, t88), ma di un incoraggiamento per tulli. Non si tratta di incoraggiamento a
seminare la parola (Branscomb, Mk, So) , bensl della fiducia (attiva e passiva) nella
forza insita in essa. Né si deve partire dal contrasto semina-raccolto, inteso in senso
escatologico (Jeremias, Gleichnisse, 149; cosl pure Eichholz, G/eichnisse, 75-78;
Schmid, Mk, 93 ) , bensl dalla sorte della semina al v. 8! Non si tratta neanche del se­
minatore che deve mettere in conto l'insuccesso (Michaelis, Gleichnisse, 25), bensl
della sua fiducia nella potenza della sua parola.
65. Schniewind, Mk, 71, intende l'intera parabola come parabola sulla parola di Dio.

1 39
Il primo stadio della comunità

rilegge la parabola di Gesù alla luce del Cristo postpasqua­


le. Non si tratta più della parola della basileia, bensì della pa­
rola del vangelo. 66 Colui che pronunciava la parola è divenuto
parola egli stesso. Questa nuova situazione ha indotto la co­
munità a sviluppare una dettagliata spiegazione della parabo­
la di Gesù: una spiegazione (4,14-20) che, nell'autocoscienza
della comunità, è in completa armonia con la parabola origi­
naria tanto da poter essere messa sulle labbra di Gesù stesso
(Mc. 4,10* ) . In effetti essa presenta non pochi elementi in co­
mune con la parabola: l'articolazione in due parti viene man­
tenuta («seminare» è per tre volte al presente: vv. 15.16. 18, in
contrapposizione all'aoristo del v. 20; «ascoltare» è per tre
volte all'aoristo, vv. lJ . 16. 18, in contrapposizione al presente
v. 20) ; rimane in primo piano la parola (non il seminatore, che
non viene spiegato: v. 14) ; anche qui attraverso i vv. 1 5 -19
viene creato un intervallo carico di tensione (gli avversari del­
la parola appaiono in crescendo: uccelli [v. 4] " satana [v.
15] ; sole [v. 6] " tribolazione + persecuzione [v. 17] ; spine
[v. 7] " preoccupazioni di questo mondo + seduzione della
ricchezza + tutte le altre bramosie [v. 19] ; un'articolazione
ben studiata ed efficace) .�7
Tuttavia la spiegazione ha comportato anche qualche spo­
stamento d'accento: viene posto maggiormente in rilievo l'at­
teggiamento degli uomini nei confronti della parola: al v. l 5 la
corrispondenza sembra intercorrere tra gli uomini e la strada;
ai vv. 16. 18.20, al contrario, gli uomini sono «coloro che ven­
gono seminati». Per il secondo gruppo l'insuccesso della pa-
66. o ìhyo� usato in senso assoluto nella spiegazione indica l'evento di Cristo, oppure
il messaggio su di esso, ed è sinonimo di vangelo (Kittel, ThWNT IV, 100 ss., in par­
ticolare 124,8-20. 127,4-7).
67. Che nella spiegazione sia stato conferito maggior peso all'insuccesso (Kuhn,
Sammlungen, n4), non autorizza a concludere che la parabola sia stata interpretata
come conforto per la comunità agli insuccessi della sua attività missionaria (op. cii. ,
n6). Il soffermarsi più a lungo sull'insuccesso è sempre in funzione del successo (si­
milmente anche Kuhn, op. cii. , n9).
rola non viene più spiegato con l'intervento dell'avversario,
bensl col fatto che l'uomo non ha radice in se stesso,68 è «l'uo­
mo dell'istante»69 (v. 17; cfr. l'introduzione del v. 6b ! ) . Rispet­
to alla parabola originaria entra in gioco nella spiegazione un
fattore temporale, che si manifesta innanzitutto nella scelta
dei tempi al v. 20 (presente di durata per «ascoltare», «acco­
gliere», «portar frutto»Y" e nell'aggiunta al v. 8 («crescendo ed
aumentando») . Tutto ciò corrisponde alla nuova situazione
della comunità, che comincia a volgere lo sguardo alla propria
storia.7' La potenza della parola, sperimentata dopo la pasqua,
ha determinato il fatto che il raccolto della semenza ossia il
frutto abbondante (v. 20 ) venisse messo in risalto ed enfatiz­
zato fino a sfociare nel miracoloso;7' di pari passo con l'esplici­
ta menzione della infruttuosità nella prima metà della parabo­
la (v. 7d, cfr. fine v. 19), di modo che il contrasto tra le due
parti assume un risalto ancor maggiore.73 Va notato inoltre che
nella spiegazione l'ascolto non viene più preso nel suo signifi­
cato più forte (viene attribuito infatti indistintamente a tutti e
quattro i gruppi) , e perciò viene completato da «accogliere,
acconsentire» (v. 20) .
L'etichetta di «allegorica»74 generalmente attribuita a questa
spiegazione si fonda a mio avviso su un preconcetto: il pre­
concetto cioè che la parabola abbia un termine di paragone ed
68. Il termine ?il;iz ha metaforicamente il senso di sostegno e stabilità (Mauer,
ThWNT VI, 98,,33). È degno di nota che Le. ( 18,13) tralasci èv Éezir.tJit;, che sembra
mettere in risalto il riferimento al suolo (ibid. , 998,30-33).
69. Traduzione con Wilckens, NT su Mc. 4,17; cfr. Bauer, Wb, s. 11. Nei testi extra­
biblici il termine può avere un significato morale (Delling, ThWNT 111, 46, , 1 8 s.). È
un grecismo (Jeremias, Gleichnisse, 76 con n. 12).
70. Il termine (xapr.fJ99p tiv) fa supporre un significato metaforico che consiste nel
fatto che il soggetto dell'evento sono gli uomini (cfr. Kuhn, Sammlungen, 1 20 s. ed i
testi del cristianesimo primitivo ivi indicati).
71. Il problema dell'attesa imminente o dcl ritardo della parusia non compare né
nella parabola stessa (Grisser, Parusievenogerung, 63) né nella spiegazione.
72. Già un raccolto del trenta per uno va considerato molto buono (Schweizer, Mk,
44 s. ) .
7 3 . I n ciò si rivela ancora una volta l a bipartizione della spiegazione.
74. Rappresentativo della posizione più comune: Jeremias, Gleichnisse, 77.
uno solo, a partire dal quale deve essere interpretata.7' Se al
contrario si parte dal presupposto che la parabola sortisce il
suo effetto attraverso una determinata combinazione di sin­
goli tratti (ossia attraverso una «struttura narrativa») , si deve
ammettere che, a condizione che la struttura stessa venga sal­
vaguardata, essa può essere trasposta ad un altro livello senza
perdere il carattere di parabola. Ed è quello che è accaduto in
questa spiegazione: essa è la stessa parabola originaria di Gesù
però trasformata, trasportata nel/'ambito del/'esperienza della
comunità postpasquale:76 trasformazione resasi necessaria per la
nuova situazione postpasquale, anche se non è detto che
quella qui offerta sia l'unica possibile; in ogni caso, essa è im­
portante se non altro perché può offrire uno spunto utile per
ulteriori trasformazioni. Analizzata da questo punto di vista
questa spiegazione non può essere etichettata neppure come
de-escatologiuazione o come moralizzazione. 77 Al contrario,
viene salvaguardata la pointe originaria; l'incoraggiamento ad
ascoltare: chi ascolta la parola e laccoglie può star certo che
porterà frutti, e frutti abbondanti, e cioè che verrà trasforma­
to nella sua intera esistenza.78 È incontestabile che in questo
abbiano un certo ruolo anche le opere dell'uomo, che però
restano ancora concepite come creatura verbi. In tal senso la
spiegazione può essere qualificata come parenetica, fermo re­
stando però che l'assoluta priorità dell'indicativo rispetto

7'· Questo pregiudizio fu introdotto da Jiilicher, cfr. sopra, p. 18.


76. I termini elencati da Jeremias, Gleichnisse, 76, tipici della comunità apostolica,
rivelano molto chiaramente come la spiegazione sia legata all'esperienza ecclesiale.
77. Entrambe in Jeremias, Gleichnisse, 77. Si può parlare di de-escatologizzazione
solo se si affibbia alla parabola un orientamento escatologico nel senso di Jeremias.
Di parenesi poi nell'interpretazione nessuna traccia, a meno che non la si consideri
una allegoria, i cui singoli elementi come tali assumono un significato autonomo. In
tal caso tuttavia si potrebbero vedere nei w. 16-19 delle ammonizioni. Diversa opi­
nione in Eichholz, Gleichnisse, 83; Schmid, Mk, 97. 100.
78. La spiegazione dunque non tratta solo dell'attività missionaria infruttuosa (cosl
Kuhn, Sammlungen, n9), bensì della mancanza di fiducia nella potenza della parola
(determinata probabilmente anche dall'insuccesso missionario, benché non soltan­
to da esso).
all'imperativo non è sacrificata in alcun modo.79 Quando in
questi termini si parla all'indicativo della certezza di portar
frutto, questo equivale appunto a invitare l'uditore ad ascol­
tare ed accogliere la parola, per essere anche lui partecipe
della sua fecondità.

Il secondo stadio della comunità,


che ha modificato l'originario v. rn* nel senso di una gene­
ralizzazione ed ha introdotto i vv. I I s., non concepisce più la
parabola originaria, vv. 3-9, come una parola udibile (ossia
comprensibile), che mette l'uomo in movimento, bensl come
un mistero confidato ad una delimitata cerchia e che «quel­
li di fuori» addirittura non possono comprendere. Stando a
questa concezione, la spiegazione (vv. 14-20) non deriva più
dall'applicazione ad una situazione specifica, ma è essa stessa
un mistero che viene rivelato. Non basta più, allora, ascoltare
le parabole; colui che le vuole comprendere deve appartenere
alla cerchia (ristretta) di coloro ai quali «è stato dato il mistero
del regno di Dio» (v. IIa) .8o Il Sitz im Leben originario dei vv.
II s. era la spiegazione teologica del fatto dell'incredulità del-
1' ambiente attorno alla comunità postpasquale. 81 Quelli di fuo-

79. Contro Eichholz, Gleichnisse, 83: «L'indicativo viene deviato in senso pareneti­
co», ossia diviene imperativo.
So. L'ipotesi di Haacker, NT 14, 219-225, sul v. n come spiegazione della parabola
(w. 3-9) non è in grado di chiarire perché sia stato aggiunto il v. 12. Tuttavia la tra­
duzione di !'ua-n\p1011 �ç ��1ì.daç con cii regno di Dio (ancora) celato» (in analo­
gia con 2 Thess. 2,7; Ios. , beli. 1 ,470) è degna di attenzione (ibid. 220); il senso com­
plessivo comunque non cambia. Anche il recente tentativo di dimostrare che i w.
n s. sarebbero l'interpretazione marciana della parabola del seminatore (come vor­
rebbe Lampe, ZNW 65, 140. 146), non è convincente, perché in questo caso si do­
vrebbe supporre che il v. 12 sia stato aggiunto da Mc. a del materiale a lui anteriore
nei w. 1oa. 1 1 (op. cii. , 147). Innanzi tutto: come mai Mc. avrebbe dovuto aggiunge­
re un'interpretazione della parabola così oscura, per giunta per motivi parenetici
(op. cit. , 149), e che inoltre contraddice il v. 33 (di Marco ! ), se già ai w. 1 3-20 c'era
già un'interpretazione, che diceva né più né meno le stesse cose che Lampe attribui­
sce ai versetti 10-12?
81. Cosi Haufe, EvTh 32, 416; cfr. Schelkle, Zweck, 74 (che tra l'altro considera i w.
10 s. - senza la citazione un detto riconducibile a Gesù).
-

1 43
ri percepiscono la predicazione della comunità come un di­
scorso enigmatico da capo a fondo; e questo accecamento del­
!' ambiente circostante è opera di Dio stesso.8• La citazione
scritturistica fu introdotta in funzione di questa teoria dell' ac­
cecamento, e notevolmente inasprita.8J L'applicazione dei v. 1 1
s . alle parabole implica che l'accecamento d i «quelli d i fuori»
sia considerato come una mancanza di conoscenza (come
ignoranza della spiegazione) ; in tal modo la mancanza di fede
è sminuita a mancanza di conoscenza. Il linguaggio di Gesù di­
venta un linguaggio enigmatico, incomprensibile, che esige
assolutamente una «decifrazione». Questa concezione della
parabola, espressa dai vv. 10-12, si manifesta ancora nello
stesso senso al v. 34: le parabole sono elementi di un linguag­
gio segreto che rimane incomprensibile se non viene decifrato
(È1téÀuev ! ) .14

L'evangelista Marco
non condivide affatto questa concezione delle parabole tra­
smessagli dalla sua fonte. Per lui le parabole di Gesù si rivol­
gono alla folla (vv. 1 s.), esse anzi sono un tipo di insegnamen­
to che viene incontro soprattutto al popolo (v. 33 ! ) . Sotto un
certo punto di vista esse sono sl un mistero, 8' ma un miste­
ro per tutti (v. 13). In Marco il tema del segreto è in funzione
della di'stinzione Gesù/Cristo, 116 nel senso che il regno di Dio è
un mistero che non rimarrà nascosto ma con la pasqua verrà
svelato (ovvero: dovrà essere svelato: vv. 21-2, ) . Marco viene
cosi a ritrovarsi vicino al primo stadio della comunità, che
82. Haufe, op. cii. , 4 1 7-419 .
83. Cfr. Schweizer, Mk, 46, che attribuisce alla traduzione in greco questo inaspri­
mento di Is. 6,9 s. (qui citato in forma vicina al Targum) . Is. 6,9 s. è nel Nuovo Testa­
mento il locus c/assicur per sp iegare l'incredulità dei giudei (Haufe, EvTh 32, 418).
L'asprezza non può essere mitigata attraverso l'esegesi (ben visto in Schelkle, Zwecle,
n. contro Jeremias) .
84. Cfr. Biichsel, ThWNT IV, 338,27-339,3, con i paralleli citati a p. 393 n n . r s.
8,. Con Brown, JBL 92, 61, che giustamente mette in risalto la differenza tra questo
mistero e il segreto messianico. 86. Con Brown, op. cii. , 72 (discontinuità) .

144
aveva espresso questa distinzione Gesù/Cristo mediante l'ac­
costamento della parabola (vv. 3-9) alla trasformazione post­
pasquale (vv. 14-20) .87

Matteo e Luca88
operano a loro volta qualche ulteriore spostamento d' ac­
cento: Mt. sottolinea di meno la divisione in due parti della
parabola (usa sempre il plurale per i vari semi: cfr. vv. 4.5.
7.8)89 e un po' di più la divisione in quattro parti, individualiz­
zando di conseguenza i rendimenti al v. 8;90 sulla stessa linea,
nella spiegazione usa sempre il singolare, per indicare i diver­
si tipi di uomini. Mt. rilegge tutta la parabola sin dall'inizio a
partire dalla spiegazione. Significativo anche l'inserimento di
«comprendere» ai vv. 11 (yvwvat). 19.23 ; cfr. 13,5 1 ; 13,14 s. : lo
scopo non è più l'ascolto ma la comprensione della parola, e
questa appunto è data ai discepoli.9' La medesima contrappo­
sizione tra i discepoli che comprendono ed il popolo che è
accecato si rivela nei ritocchi di Mt. 13,10-179' rispetto a Mc.
4,10-13 .9' In questa maniera, Mt. rispetto a Mc. si colloca più
vicino al «secondo stadio della comunità».94 Infine in Mt. si
87. Il fatto che il regno di Dio verrà rivelato solo ai discepoli, nulla toglie al carattere
segreto della basileia nella fase prepasquale.
88. Questo itinerario presuppone valida la teoria delle due fonti (contro Wenham,
NTS 20, 305-307, che ipotizza come fonte di Mt. e Le. una versione premarciana).
89. La v. I. i:çlJp!iv..9lJ (v. 6) in D it è lectio poslerior. 90. Lohmeyer, Mk, 83.
91. Per la concezione matteana dei discepoli, molto differente da quella marciana
(4,c3), cfr. Schweizer, Ml, 195.
92. I discepoli chiedono a Gesù perché parli «a loro» (ossia alla folla) in parabole (v.
10). Ai discepoli è data la comprensione del regno dei cieli, a «quelli» invece no (v.
1 1 ) . I discepoli infine vengono proclamati beati, perché comprendono (vv. c6 s.).
Si osservi inoltre l'eliminazione di Mc. 4,33b.34b, anch'essa motivata dalla conce­
zione matteana dei discepoli.
93. Sul significato ecclesiologico dei discepoli nella visione di Ml. cfr. Barth, Gesel­
zesversliindnis, 99-104.
94. Il tentativo di Gerhardsson, NTS 14, 165-193 di comprendere Ml. partendo dal­
l'interpretazione rabbinica dello Sma', risulta non convincente, già per il fatto che
dovrebbe supporre che a) parabola e spiegazione siano della stessa mano (pp. r90
s.), e che b) Ml. rappresenti meglio di Mc. la tradizione presinottica (p. 191). Oltre-

1 45
può notare qualche indizio di una tendenza a mettere più
chiaramente al centro dell'attenzione il personaggio del semi­
natore (cfr. l'aù-rov al v. 4 e il «titolo» dato alla parabola al v.
18) . In tal caso soggiacerebbe un'interpretazione cristologica
della parabola.9'
Luca sembra innanzitutto porre più chiaramente l'accento
sulla relazione tra seme e seminatore (v. 5 ) . Anch'egli sostitui­
sce al puro e semplice «ascoltare» altri termini correnti nella
prima comunità cristiana come «credere», «essere salvati» (v.
12), «credere» (v. 13), «perseverare» (v. 15) ;9" un'accentuazione
dei requisiti umani è palese innanzitutto nella spiegazione (v.
1 3 ; cfr. il v. 6 dove il nemico distruttore viene eliminato ! il v.
15 : «cuore buono e perfetto», «perseveranza»). Mentre in
Mc. la spiegazione rimaneva ancora essa pure in linguaggio fi­
gurato, in Le. invece l'applicazione alla situazione della comu­
nità è fatta in termini più diretti. A lui non interessa più I' a­
scolto come tale, ma il «come» si ascolta (v. 18) e le sue con­
seguenze (cfr. al v. 2 1 : «ascoltare e mettere in pratica») . In tal
modo la parabola all'indicativo si è avvicinata molto ad una
parenesi all'imperativo.

Il Vangelo di Tommaso
mette ancor più in risalto la figura del seminatore (Ev. Th.
9 inizio). Il fatto che sia la terra e non il seme a portare frut­
to,97 fa capire che da una parte è già presupposta l'interpreta­
zione metaforica dei diversi tipi di terreno, soggiacente alla
spiegazione nei sinottici, e dall'altra il maggior peso attribuito
alle predisposizioni umane. 911 Anche se il Vangelo di Tommaso

tutto, le allusioni allo S·ma' sono tutt'altro che sicure. Tutt'al più bisognerebbe pren­
dere in considerazione la domanda posta da Gerhardsson se non sia stato Mt. stesso
a riformulare la spiegazione per ricalcarla sullo S'ma' (p. 192).
9,. Cfr. Lohmeyer, Mt, 195 .
96. Bauer, Wb, s. v. 1b�. 97. Perrin, Jesus, 171; Crossan, JBL 92, 248.
98. Eichholz, Gleichnisse, 68, in questo contesto parla di «psicologi:z:zazione». Schra·
ge, Thomasevangelium, 47, pensa alla metafora seminatore ,è padre; terra buona ,è
riporta la parabola senza la spiegazione, questo non significa
che essa sia divenuta meno «misteriosa»: tutt'altro ! La spie­
gazione dei sinottici infatti elimina il mistero, mentre il Van­
gelo di Tommaso si presta assai più ad una interpretazione
esoterica. Dal punto di vista della storia della tradizione, que­
sta versione è più recente di quella sinottica.99

2 . 1 .2. Il seme che cresce spontaneamente


(Mc. 4, 2 6-29; Ev. Th. 2 1c)
La vistosa divergenza delle interpretazioni, che questa pa­
rabola ha ricevuto nella esegesi moderna,'00 va ricondotta in
gran parte al mancato approccio storico-tradizionale da parte
degli esegeti. In base alla nostra ipotesi'0' si possono chiara­
mente distinguere due stadi:

La stadio di Gesù
avrebbe dovuto avere più o meno la seguente forma:
(Con) il regno dei cieli è come (con un) uomo che (prima) getta il seme
sul terreno e (dopo) dorme e si alza, giorno e notte, ed il seme germo­
glia e cresce senza che egli ne sappia nulla. Quando però il frutto lo
permette, (egli si mette a mietere).'0•

In questa forma il protagonista è il contadino del racconto; ci


si interessa di quello che egli fa oppure non fa. Ciò che viene
particolarmente sottolineato è che il seme, una volta semina-

gnostico; cfr. Ev. Phil. 8 : «ponerà frutti (XGtpito.;) in proporzione (w.;) [alla sua gran·
dezza]», op. cii. , 48.
99. Cfr. innanzi tutto «sulla roccia» e «sulle spine», come pure l'aggiunta «il verme li
divorò» e la quantità del raccolto (per una valutazione del logion come secondario
rispetto a quello sinottico, cfr. Crossan, JBL 92, 2,0) . A mio avviso la dimostrazione
convincente viene addotta da Schrage, Thomasevangelium, 44-47 che rivela correla­
zioni con la versione sahidica; cosl pure Montefiore, NTS 7, 22,. 229. 231.
100. Ricapitolate ad es. anche in Kiimmel, Saat, 226-229.
101. Cfr. sopra, pp. 133 ss.
102. Non è più possibile stabilire il testo originario del v. 29b. Molto probabilmente
l'allusione a loel 4,1 3 è secondaria (contro Stuhlmann, NTS 19, 162).

1 47
to, '0J può essere abbandonato a se stesso e arriverà certamente
a maturazione. '04 Questo crescere e maturare vengono descritti
come un processo miracoloso e sorprendente: il contadino
non ne sa niente (v. 27 fine). Non si fa parola invece né della
sua perseveranza né dell'abbondanza del raccolto. '0' La pointe
è la certezza che alla semina segue il raccolto, ed il suo carat­
tere miracoloso. •o6 Cosl avviene con la basileia. Questa parabo­
la acquista un profilo netto nel contesto della predicazione e
de/l'azione di Gesù: come il contadino dopo la semina non fa
più niente per la maturazione del seme, e tuttavia il raccolto
sopraggiungerà senz'altro, cosl Gesù non fa nient'altro che
rendere vicino il regno di Dio (con la parola e con l'azione), il
compimento della basileia non è affar suo, sarà un miracolo
della potenza di Dio. Con questa interpretazione la parabola
è in armonia con altre affermazioni di Gesù sul regno di Dio:
nei suoi miracoli esso «è già giunto a voi» (Le. 1 1 ,20), si mani­
festa «in mezzo a voi» (Le. 17,21 cfr. Mt. 24,23 s.), «è vicino»
(Mc. 1,15). Tra l'esistenza e l'opera di Gesù e il compimento
della basileia c'è una connessione cosl necessaria, come quella
che intercorre tra la semina e il raccolto.'01 E poiché il compi­
mento della basileia è un intervento di Dio, miracoloso e sot­
tratto ad ogni conoscenza umana, se ne può parlare solo me­
taforicamente, come appunto fa la nostra parabola; e proprio
come discorso metaforico sulla basileia appartiene essa stessa
a questo necessario inizio della basileia, che poi certamente
l'intervento conclusivo di Dio porterà a buon fine.

103. Cfr. il congiuntivo aoristo di �ril1t1v; e Schweizer, Mk, , 1 . Dupont, Semence,


99, interpreta gli aoristi come espressione di un evento che awiene una volta sola.
104. Questa accentuazione è molto forte, perché in realtà nessun contadino si com­
porterebbe in tal modo (Schwcizer, Mk, '1 s. ; cfr. Lohmeyer, Mk, 86 s.).
10,. Contro Jeremias, Gleichnisse, 1,1 s. con Dupont, Semence, 100; Stuhlmann,
NTS 19, 161 .
1o6. Cosl pure Stuhlmann, op. dt. , 1,7 ; Kiimmel, Saal, 233; così pure Crossan, JBL
92, 2,2 s.; Kuhn, Sammlungen, 109; Schmid, Mk, 103.
107. Così pure Kiimmel, Saat, 234; cfr. l'interessante interpretazione di Lohmeyer,
Mk, 87 s.

148
Lo stadio della comunità

ha apportato alla parabola alcune modifiche che esprimono


chiaramente la sua interpretazione: innanzitutto ha accentuato
l'aspetto dell'incomprensibilità mediante il «la terra fruttifica
per opera di Dio» (v. 27 fine)'aa ed allo stesso tempo ha reso
più chiaro che il compimento di ciò che è cominciato con
Gesù è affare di Dio solo. L'uso di xcxp7toipopeiv si riferisce
forse già al frutto abbondante, che la parola del vangelo sta
portando nel mondo (v. 28) .""J Nel v. 28b con l'enumerazione
delle fasi della crescita emerge un nuovo aspetto: il tempo ri­
chiesto dalla crescita. "0 Anche in questo stadio viene ribadito
che per il compimento non si deve far niente; anzi stando al
v. 28b ciò vale anche se il compimento si fa attendere. La co­
munità dunque volge lo sguardo all'indietro verso l'epoca
della semina, quando era in azione Gesù; essa si trova nell'e­
poca di questa misteriosa crescita, e volge lo sguardo in avan­
ti verso il momento del raccolto, quando entrerà in azione
Dio ( v. 29) . Intesa in tal modo la parabola consente alla co­
munità di situarsi nella storia di Dio: essa vive in un periodo
in cui l'intervento conclusivo di Dio in modo incomprensibile
e miracoloso tende alla sua meta. "' La certezza dell'intervento
futuro di Dio rende liberi di dedicarsi al presente. Questa

rn8. L'interpretazione di ctù-:Ojl4-:ll concorda con quella di Stuhlmann, NTS 19, 1,4-
1,6, la cui analisi dei paralleli dimostra in maniera convincente che la sfumatura di
«miracolo operato da Dio» sarebbe una caratteristica generale di ctÙ":o1J4":oi;; diver­
samente Bauer, Wb, s.v.
109. Ciò è tanto più vero, qualora il v. 20 e questo inserimento derivano dalla stessa
mano, cfr. sopra, p. 1 34.
I I O . Jiingel, Paulus und Jesus, 1,1 lo rawisa già in ctù-:oi.ui":lJ; cfr. anche Crossan, JBL
92, 2,2; diversamente Kuhn, Sammlungen, 109; Rawlinson, Mk, ,6.
1 1 1 . Tutto ciò non ha niente a che fare con la «Crescita» nel senso di un processo, già
solo per il fatto che «processo» è sinonimo di comprensibilità (a tal proposito Griis­
ser, Parusieven.ogerung, 6o s.). Di un processo del «regno di Dio qui sulla terra sotto
la forma della comunità cristiana» (Schreiber, Vertrauen, 209) non vi è qui alcuna
traccia. Ma anche il «ritardo della parusia» risulta fuori luogo, perché la parabola
originaria non trattava della vicinanza cronologica del regno di Dio, bensl della cer­
teua della sua venula (cosi pure Masson, Paraboles, 44; Klostermann, Mk, 44) .

1 49
reinterpretazione della parabola originaria da parte della co­
munità primitiva, fin qui abbozzata, raggiunge la sua piena
espressione con la formulazione del v. 29: il tema della «mi­
1 12
sura escatologica» di cui qui si percepisce la risonanza rinvia
ancora una volta alla concezione del tempo descritta prece­
dentemente. È affare di Dio solo determinare la fine dei tem­
pi."' Con la citazione di Ioel 4, 1 3 (che si riferisce al giudizio fi­
nale)" 4 la comunità interpreta il momento del raccolto come il
compimento finale."' È chiaro dunque ancora una volta che la
comunità ha utilizzato la parabola originaria come strumento
linguistico per descrivere la storia di Dio col mondo, iniziata
con Gesù Cristo e destinata ad arrivare a compimento col
giudizio finale. La parabola di Gesù è stata cosl trasformata in
una parabola su Gesù, legando indissolubilmente l'inizio della
vicinanza del regno di Dio, attuato con Gesù, al suo futuro
compimento da parte di Dio. In questa maniera la comunità
ha tenuto conto di quella svolta da «Gesù» a «Cristo», che
indichiamo come «la pasqua». Essa preserva la parabola co­
me parabola di Gesù, proprio con l'interpretarla cristologica­
mente (come immagine di Gesù Cristo) .

2.i.3. La parabola della zizzania


(Mt. 13,24-30.3 6-43; Ev. Th. 57)
Ricostruzione
La parabola della zizzania si trova in Mt. al posto in cui ci

112. Cfr. Jeremias, Gleichnisse, 1 ' 1 n. '; Stuhlmann, NTS 19, 1,9.
1 13. Stuhlmann, op. cit. , 1,9-161 vorrebbe individuare l'idea della misura escatologi­
ca solo nell'ambito della questione «Dio verrà oppure no?» (e non «quando verrà
Dio?»). In realtà però le due questioni non possono essere scisse.
1 14. Cosl Schweizer, Mk, , 1 ; cfr. Klostermann, Mk, 44, che tuttavia parla solo di una
particolare rappresentazione; v. anche Rawlinson, Mk, ,6 s.
1 1 , . La citazione è più vicina ai LXX che al T.M. (contro Stuhlmann, NTS 1 9 , 161 s.,
con Dupont, Semence, 103); lo dimostra in particolare il 11:eipÉ'1':'1l1CCV. Per l'uso della
stessa citazione nel cristianesimo primitivo cfr. Apoc. 14,1' s. (nello stesso senso che
ha qui ! ) .

150
si aspetterebbe Mc. 4,26 - 29. 1 16 L'introduzione, v. 24a, rivela
particolarità linguistiche matteane.117 Mt. tramanda anche una
spiegazione della parabola della zizzania ( [36] .37-43) , però
dopo l'inserimento dei vv. 31-35 che seguono lo schema di
Mc. (vv . 31 s.34 s.) aggiungendo un'altra parabola da Q (v. 33
par. Le. 13,20 s.).
Sia la parabola sia la spiegazione rivelano incoerenze inter­
ne. Dal punto di vista formale la formula introduttiva è analo­
ga ad alcune formule introduttive del materiale particolare di
1 18
Mt. La connotazione del seme come xa.Àov anticipa quella
che era la pointe di un determinato stadio della tradizione; a
questo punto essa risulta inutile; avrà senso solo ai vv. 27.28a.
Risulta sorprendente il sonno degli uomini (come mai vengo­
no introdotti?), e anche la comparsa del nemico che semina la
zizzania; il nemico e la sua seminagione verranno ripresi nel­
la spiegazione (vv. 38c. 39a), il dormire invece no. "9
n6. C&. sopra, p. 132 con la n. 35. Dodd, Parables, 138; Jeremias, Gleichnisse, 98;
Jiingel, Paulus und Jesus, 149 con n. 1 (con richiamo a Fuchs) ; Schweizer, Mt, 197;
Hill, Mt, 230; già Jiilicher, Gleichnisreden II, H6. Diversamente invece Lohmeyer,
Mt, 212 s. (attribuisce l'inserzione alla tradizione anteriore a Mt. ) .
117. a).ÀlJV 'lta:pa:fjo).Y,v 'lta:pWl]xtV, Mt. 13,24; 13,31 (redazionale) ; ),Éywv (cfr. Jere­
mias, Gleichnis.re, 98 con n. 1; per il secondo, op. cii. , 81 con n. 8 ) .
n8. W!Jl)IW.9lJ ii fna1).da: -:wv QÌlpa:vwv àv./J.pw7t<!J rne:ipa:V't" t, forma particolare chiara­
mente distinguibile di «formula introduttiva col dativo,.; cfr. Schwcizcr, Gemeinde,
99. Analogo è Mt. 18,23; 22,2; strettamente affine 25, 1 ; simile 7,24.26 (op. cit. , 99 s.).
Schweizer suppone dietro queste parabole una «tradizione particolare,. (op. cii. ,
103 ) , però non scritta (Q o M), bensl orale (op. cii. , 104) . Anche Robinson, Mt, 1 2 1 ,
postula una rielaborazione della parabola originaria.
n9. Con Schweizer, Mt, 197, che vede nella comparsa del nemico un elemento sor­
prendente; contro Jeremias, Gleichnisse, 222 ( fatto di cronaca: ibid. n. 2) e Dodd,
Parab/es, 184 s., che non trova insolito questo elemento. La locuzione «nel momen­
to, in cui si dorme» (Jiilicher, Gleichnisreden 11, 547) è insolita per Mt. Per quel che
riguarda l'aspetto linguistico: xa..9e:Uòe1v nel N.T. ha spesso il significato metaforico
del comportamento dell'uomo rispetto alla parusia (che ritarda) , c&. Mt. 25,5 (tut­
te! ) ; Mc. 13,36; r Thess. 5,6.7. L'èx..9-po<; (con l'articolo), secondoJeremias, Gleichnis­
se, 222,7 n. 2 sarebbe un semitismo (ma c&. v. 28 senza l'articolo; invece l'articolo è
motivato dall'interpretazione, v. 39a! ), negli scritti pseudepigrafi ( Test. Dan 6,3 s. ;
Apoc. Mos. 2.7.25 .28; Vit. Ad. 17; Bar. gr. 1 3 ,2) spesso indica il diavolo (a tal proposi­
to cfr. Foerster, ThWNT II, 813,14 s. con n. 1 3 ) ; nel Nuovo Testamento soltanto Le.
10, 19 (e&. ibid. 814,27-29). È interessante Aci. 1 3 , 10: . . . !JiÈ ò1a:f30).�J, ix./J.pÈ 'lt�O"lJ<;
ò1xa 1QmlJ; • • •
Il v. 26 sviluppa il filo del racconto sino alla maturazione
della messe.120 I w. 27-28a introducono immediatamente dei
servi che interrogano il padrone (otxo8emt6-r1Ji; e non più av­
.Spw7toi;) sull'origine della zizzania. La loro domanda si ricolle­
ga chiaramente al v. 24b (xaÀÒv (J'7tÉpµ.a) , e la risposta del pa­
drone si riferisce al v. 2 5 ( b ix..Spoi; è diventato adesso ix..Spòi;
" () UI
avvpw7toc;; ).
I w. 28b.29.3oa, in contrasto con l'awenuta maturazione
descritta dal v. 26, presuppongono la crescita ancora in corso,
e pongono la questione (al presente ! ), "' se la zizzania debba
essere raccolta prima della mietitura. "J
Il v. 3ob illustra infine ciò che capiterà alla zizzania e al

120. L'espressione K1Lpr.Òv (e -oùi;) r.01tiv non significa mai nel Nuovo Testamento
«metter frutto» (in contrasto con la traduzione di JUlicher, Gleichnisreden II, .548),
bensì «portar frutto», quindi indica il momento della maturazione. Essa ricorre spes­
so in Q (Ml. 3,8 par. Le. 3,8; Ml. 3,10 par. Le. 3,9; Mt. 12,33 par. Le. 6,43[?]) dove de­
signa metaforicamente il portar frutti da parte dell'uomo. Come aggiunta matteana
si trova in Mt. 21,43 (4' Mc. ) . Secondo Lohmeyer, Ml, 214, col v. 26 si conclude la pri­
ma pane della parabola.
12I. I servi si meravigliano della presenza della zizzania, non della quantità (con de
Goedt, RB 66, ,5 1 , contro Jeremias, Gleichnisse, 222), il che è sorprendente. La do­
manda dei servi serve solo a introdurre la risposta del padrone; cfr. Lohmeyer, Mt,
21,5 ; Klostermann, Mt, 120. Per quel che riguarda l'aspello linguistico: oìxo8tar..Yn; i;
viene introdotto spesso redazionalmente da Mt. (Mt. 10,25 ; 1 3,,52; 20, 1 [ ?] ; 21,33 [4'
Mc. ] ; r.pwÉp1p1.Sa.1 è un vocabolo prediletto da Matteo (Jeremias, Gleichnisse, 81 n.
6); per r.o.Stv o�v t'X,EI l;1"iiv ta. cfr. la formulazione analoga in Ml. 13,,56 (redazio­
nale) : r.o�tv ow -:ou-.!iJ -.i:iù-;a. r.!iv":'a. (Jiilicher, Gleichnisreden II, ,548).
122. Il presente storico (Jeremias, Gleichnisse, 223), ammesso e non concesso che
qui sia tale (bisognerebbe chiedersi: il presente non ha piuttosto la funzione di assi­
curare un riferimento alla situazione attuale?), non è tipico di Ml. Normalmente egli
lo evita (Jeremias, Gleichnisse, 198 n. 2 ) .
123. Sorprendente suona non tanto la domanda dei servi (sebbene essa in realtà non
sia una domanda, perché la zizzania in ogni caso va falciata; Jeremias, Gleichnisse,
222 s. con nn. 7 e l) quanto il termine a>.JÀÌ,Éyttv per l;tl;iiv1a. (Jiilicher, Gleichnisre­
den II, 549; Bauer, Wb, s.v. ), che altrove viene per lo più usato per -i:m:ov , non per
l'erbaccia: Mt. 13,48 (i pesci buom) ; Mt. 7,16 par. Le. 6,44 (a-ta.cpuÀiii; oppure 'JVxa.).
Èxp1l;ouv viene usato in immagini che parlano della distruzione dell'uomo da parte
di Dio: Mt. l,5,13 (farisei, cfr. Schweizer, Mt, 213); ludae 12 (falsi maestri). Lo sfondo
LXX è evidente: Sap. 4,4 (gli empi); Dan. 4,14 (LXX) (di un albero, che rappresenta
allegoricamente il re; lo sradicamento descrive il giudizio che si abbatte su di esso,
cfr. 4,23-26 LXX ) ; Sir. 3,9 (traslato: distruggere, cfr. Soph. 2,4) ; v. anche Maurer,
ThWNT VI, 991 , 16-20.

152
grano al momento del raccolto. '24 Nella parabola dunque si di­
stinguono tre segmenti diversi, collegati solo blandamente l'u­
no all'altro: I. lo sviluppo fondamentale che va dal periodo
della semina (v. 24b), attraverso quello della maturazione (v.
26), fino a quello del raccolto (v. 3ob) ; 2. la semina del nemi­
co (v. 25) e la discussione in merito ( vv. 27.28a) ; 3 . la questio­
ne se sradicare la zizzania e la risposta negativa del padrone
(vv. 28b.29.3oa) .
vv. 36-43. La spiegazione - vv. 36 (37-43) - già da un
punto di vista formale non costituisce un'unità. Il v. 36 rivela
peculiarità linguistiche matteane."' I vv. 37-39 offrono un
elenco dei significati metaforici corrispondenti ad ognuna
delle espressioni che ricorrono nella parabola, mentre i vv. 40-
43 possono essere denominati come «piccola apocalisse».'16
Sorprende che l'elenco si riferisca soltanto ai versetti 24-28a.
3ob lasciando inesplicati i vv. 28b.29.3oa (dialogo sullo sra­
dicamento della zizzania) ."7 Ma anche con i versetti prece­
denti relenco non si armonizza bene, e rispetto ad essi po­
128
trebbe essere secondario. I vv. 40-43 si ricollegano con un
124. La zizzania evidentemente viene usata per alimentare il fuoco ijeremias,
G/eichnisse, 223; ma diversamente Jiilicher, Gleichnisreden 11, ,;o, che trova «strana,.
questa idea), il grano viene riposto nel granaio (O"UV11yriyEn) [B al] è lectio diffici/ior,
contro Jiilicher, ibid. ).
12,. Fra i termini elencati d a Jeremias, Gleichnisse, 81, andrebbe notato tutt'al più
che anziché qipriaov va letto cl111ari9lj7GV (con de Goedt, RB 66, 3'), anche a voler te·
ner conto solo dell'attestazione nei testi (B, N*, -Il e cosl via). Lo stesso verbo ricorre
solo in Mt. 18,31 (dr. 2.4. 1), non lo si potrebbe definire quindi tipico di Mt. (con de
Goedt, ibid. ) ; potrebbe appartenere alla saldatura prematteana tra parabola ed in­
terpretazione.
126. I vv. 40-43 non sono «explication allégorique stricte,. (de Goedt, op. cii. , 42)
bensi «un bref discours de révélation apocalyptique .. (op. cii. , 43, condiviso in Jere­
mias, Gleichnisse, 79 n. 4, da cui deriva anche l'espressione «piccola apocalisse,.).
Per la differenza tra i vv . 40-43 e i vv . 37-39, cfr. Lohmeyer, Mt, 223-22,.
127. Constatano una disarmonia con la parabola, fra gli altri: Bultmann, Synoptische
Tradition, 203 con n. 1 (l'interpretazione non coglie «la vera pointe,., che è !'«am­
monimento alla pazienza,.); Dodd, Parables, 184; Jeremias, Gleichnisse, 79 (argo­
menti di contenuto e di forma); Schweizer, Mt, 201; Crossan, JBL 92, 26o s.; Jiingel,
Paulus und Jesus, 148. Di opinione diversa de Goedt, RB 66, ,o s., che vuole far risa­
lire al Gesù storico i vv. 37-39.
128. Il v. 26 viene tralasciato; cosl pure il sonno degli uomini (forse perché era già

153
'
ow ai 37-39,' 9 presentano tuttavia solo un'interpretazio­
vv.
ne del v. 3ob. L'apocalisse presuppone i vv. 37-39, ma non
sembra mostrare interesse all'elenco. Il che fa concludere che
i vv. �0-43 non provengono dalla stessa mano dei vv. 37-
39. ''0 E sorprendente inoltre che i vv. 40-43 spieghino solo al­
cuni dettagli del v. 3ob, lasciando inesplicati gli altri.'''
Se si tenta di porre in relazione logica tutti i dati ottenuti
dall'analisi precedente, ne risulta la seguente ipotesi di rico­
struzione della storia della tradizione:
1. La forma più antica della parabola abbracciava i vv. 24b
(senza xa.Àov che è stato aggiunto a crnÉplJ.a. solo assieme ai vv.
27.28a) . 26.3 ob. Questi versetti costituiscono una narrazione
compiuta che è quasi perfettamente analoga alla parabola
della rete: l'uomo semina i semi � la rete viene gettata; il
grano e la zizzania crescono l'uno accanto all'altro (v. 26) "

sufficientemente chiaro?); anche i servi non vengono interpretati; parimenti il gra­


naio non svolge alcun ruolo (cfr. de Goedt, RB 66, 40).
129. L'espressione :111V't"ÉÀe:1Cl -:où czìwvoc;, caratteristica di Mt. , si distingue da -zw-:i­
ì.e:1cz czlwvoc;. Gli 1.1ioì -.iJc; �a1Àa:iczc; sono diventati òixcz101. Il campo non è più il
xoa� bensl la �cza1Àdcz ":'OÙ 1.ltoU 't"OÙ à.v.Spwr.ou. Gli uioì 't"OÙ 1tOVlJpoÙ sono dive­
.

nuti r.iiv'l"tx -:Òt axiiv&czÀcz xczì -:o;,c; r.oiomtxc; -:�v à.vop.iczv. Il collegamento con i vv.
37-39 diviene chiaro appunto in queste differenze.
130. Anche l'analisi linguistica convalida questa posizione: ai pochi matteismi dei vv.
37-39 (la maggior parte di quelli addotti da Jeremias, Gleichnisse 81 s., non regge ad
un esame più attento, v. de Goedt, RB 66, 35-39, che conserva solo o x6a� e 7VV­
't'ÉÀe:1cz cziwvoc;) se ne contrappongono, in proporzione, molti di più ai vv. 40-43
(Jeremias, G/eichnisse, 82 s. con le puntualizzazioni di de Goedt, op. dt. , 35-39 che
ne considera validi sette, ed è d'accordo nell'attribuire i vv. 40-43 a Mt. : op. cit. 41 ).
Per x6ap.oc; in particolare va notato che anche in Mt. in alcuni passi risulta tradiziona­
le: Mt. 4,8 (Q, Schweizer, Mt, 30 s.); 5,14( ?); 13.35 (citazione) (in �* C St D -8 pi) ;
16,26 (tradizionale) ; 18,7 (tradizionale, Schweizer, Mt, 237); 25,34( ?); 26, 13 (tradi­
zionale). Risultato: a parte due casi incerti, risultano tutti tradizionali, quindi nessun
caso sicuramente redazionale. Inoltre va notato che la formulazione di Mt. è 7VV't"ÉÀciCl
't"OÙ txiwvoc;, quindi '7'.1v-:ÉÀe:1cz czì�>voc; potrebbe essere tradizionale, tanto più che si
tratta di termine tecnico apocalittico (in Tesi. Dan, cfr. Delling, ThWNT vm, 66,29-
44). Jercmias, Gleichnisse, 82 n. So, definisce come scmitismo tipico di Mt. la man·
canza dell'articolo.
131. Al futuro i:pw (v. 3ob) corrispondono i futuri à.r.wre:Àei, 7VÌ.ÀÉ�wa1v, �czÀO"n1v,
ta't'cz1, ÈxÀiip.�a1v (vv. 41-43, al xcz-:czxczùacz1 corrisponde i:v 'l:'.ipi ( ! ) xcz-:czxczincz1, il
ai-:oc; viene interpretato con òixcz101. Rimane non interpretato il legare la zizzania in
fasci, il :111Vczyliyc't'E (al v. 43 ha luogo un cambiamento di soggetto!) , e la à.r.O.ST,xlJ.

154
la rete pesca pesci di ogni tipo; il periodo del raccolto (v.
3ob) A la rete piena viene tirata a riva; la zizzania viene mes­
sa assieme e bruciata, il grano viene riposto nel granaio A i
pesci buoni vengono raccolti in canestri, quelli cattivi gettati
via (inversione! ) .'3' Questa forma dovrebbe risalire allo stesso
Gesù.'JJ
2. In un primo stadio della comunità furono inseriti i w.
25 .27.28a che attribuiscono al nemico l'origine della zizzania.
Poiché l'elenco dei w. 37-39 si riferisce a questo stadio (cfr.
il xaÀÒv aitÉp!J.a v. 38; la comparsa del nemico v. 39) , esso do­
vrebbe essere sorto contemporaneamente ad esso ed avere
avuto come transizione una formulazione anteriore di quello
che ora è il v. 36.'34
3 . In un secondo stadio della comunità furono inseriti i w.
28b.29. 3oa, che sollevano la questione dello sradicamento
precoce.•n
4. A Mt. stesso risale la spiegazione dei w. 40-43 , l'inver­
sione al v. 30 e la riformulazione al futuro del v. 3ob (Èpci'>, cfr.
l'uso dei tempi ai w. 40-43) . ''6 Inoltre, con l'introduzione (v.
132. Il cambiamento potrebbe risalire alla redazione di Mt. , poiché sia nella interpre­
tazione della rete (Mt. 13,49 s.) come pure nei w. 41·43 redazionali, vengono nomi­
nati prima i cattivi. Qui inoltre colpisce anche il rafforzativo r.ptil"cov.
133. Lo rivela la sorprendente corrispondenza tra questa forma e la parabola della
rete (criterio della coerenza). Il fatto che la separazione tra buoni e cattivi, a diffe­
renza della attuale raccolta di tutti, è rinviata al futuro della basileia, si adatta bene
alla predicazione di Gesù ijilngel, Paulus und Jesus, 14') s. ; argomentazione esau­
riente in Jeremias, Gleichnisse, 224) . Inoltre la tendenza a separare sin d'ora (e pre­
maturamente) giusti ed ingiusti non era estranea al giudaismo ed alla comunità cri­
stiana, cfr. w. 28b-3oa, v. sotto, pp. 1'8 s. (criterio della discontinuità). Hill, Mt, 232,
fa risalire l'intera parabola a Gesù.
134. Essa non può più essere ricostruita. In ogni caso avrebbe potuto appartenervi
ò12-:rli9Tjaov. La denominazione della parabola è tuttavia di Mt. (cfr. p. 1'3 n. 12,).
1 3,. Cfr. sopra, p. 1,2 n. 123. La «motivazione di dover attendere sino alla mietitura in
considerazione dei danni che altrimenti potrebbero aversi rispecchia . . . una riflessio­
ne che tiene conto della situazione della chiesa• ijilngcl, Paulus und Jesus, 148, con
rinvio a Fuchs).
136. Mt. volge lo sguardo alla parusia come al momento futuro della separazione, si
trova quindi nell'epoca corrispondente ai w. 28b-3oa (presente!), mentre per la pa­
rabola stessa questo futuro rappresenta una frattura di stile (cfr. in particolare il 'ZW ­
ÉÀi�otv nella parabola della rete).

155
24a) Mt. ha situato la parabola della zizzania al posto di quel­
la del seme che cresce spontaneamente, poi ha seguito Io
schema di Mc. (vv. 31-35 ; con l'inserimento del v. 33) ed è
passato col v. 36 all'interpretazione.
5. Il Vangelo di Tommaso (57) non tramanda alcuna spiega­
zione, ma rivela nella parabola stessa delle modificazioni, che
possono essere spiegate da una parte come ritocchi corretti­
vi, •J7 dall'altra come abbreviazioni che presuppongono la ver­
sione di Mt. ,a È degno di nota che in Ev. Th. 57 manca ciò che
.

è narrato in Mt. 13,26, cosi come il dialogo sul nemico e la


sorte del grano.

Interpretazione
Nello stadio di Gesù la parabola suonava all'incirca cosi:
Nel regno dei cieli avviene come un uomo, che seminò nel suo campo.
Ma quando crebbero gli steli verdi e portarono frutti comparve anche
la zizzania. Nel periodo della raccolta vennero i mietitori e riposero il
grano nel granaio, raccolsero la zizzania e la legarono in fasci per bru­
ciarla.
In questa parabola vengono messi in relazione tre fasi: l'epoca
della semina, in cui viene posta la premessa per le fasi succes­
sive; il periodo della maturazione, durante il quale compare la
zizzania; il momento della raccolta che determina la sorte sia
del grano sia della zizzania. Nella semina è insita la possibilità
che si sviluppi un campo, in cui il grano e la zizzania crescono
l'uno accanto all'altra. Ma è insita anche la certezza che ci sarà
una separazione, poiché dopo la semina arriva inevitabilmen­
te il momento della mietitura. Oggi il regno di Dio viene an-
137. «Di notte»; il v. 26 viene tralasciato; la zizzania viene sradicata; sradicare e bru­
ciare. Schrage, Thomasevange/ium, dimostra anche per motivi di storia del testo la
dipendenza da Mt. (pp. 124 s.) e sottolinea panicolarmente l'antitesi «di notte» I
«nel giorno (!) del giudizio». Ugualmente Monte6ore, NTS 7, 228.
138. Egli aveva della semenza (non si racconta niente della semina) ; cnon li fece sra­
dicare» rimane oscuro, se non si tiene presente la versione di Mt. Al momento della
mietitura la zizzania diverrà visibile, ciò ricorda Mt. 13,26! Per una valutazione com­
plessiva cfr. sopra, n. 137 e Crossan, JBL 92, 261 .
nunciato, qua e là già fa frutti; tra gli steli che fanno frutto si
nota qua e là della zizzania, erbaccia inutile; entrambi reste­
ranno assieme sino alla mietitura, l'avvento del regno di Dio,
che porterà con sé il momento della separazione.
La fiducia nella certezza della separazione futura preserva
dalla preoccupazione per la sorte della semenza. Essa rende
liberi di accogliere gli uomini nel regno di Dio senza l'osses­
sione di creare una «pura» comunità di giusti. Il commento
di questa parabola è l'invito incondizionato rivolto agli uomi­
ni da parte di Gesù, il suo rifiuto di costituire una cerchia ri­
stretta, un «resto santo». E la parabola da parte sua rende
comprensibile agli uomini questo atteggiamento di Gesù;'}9 di­
venta essa stessa l'invito, in quanto rammenta che adesso è il
momento della semina; l'invito a lasciarsi introdurre nel regno
senza preoccuparsi se si potrà essere all'altezza delle sue esi­
genze. Ed allo stesso tempo, ricordando la separazione sicura
tra frutto ed erbaccia, fa capire che l'uomo viene preso sul se­
rio. È affare di Dio solo seminare la sua semenza nei nostri
cuori, farla crescere ed infine separare ciò che ha valore da ciò
che non lo ha; quello che è affar nostro è far spazio senza esi­
tazioni alla parola del regno di Dio.
Il primo stadio della comunità, alla luce della propria situa­
zione, si pone il problema della provenienza dei «figli del ma­
ligno»;140 come mai nel mondo, che in tutta la sua totalità è
la sfera della sovranità del Figlio dell'uomo, ci siano anche
uomini che non lo riconoscono. ' 4' La risposta di questa comu­
nità viene data introducendo come responsabile della semina

139. Cos1 pure de Goedt, RB 66, 53. Non riesco a vedervi un ammonimento alla pa·
zienza (Jeremias, G/eichnisse, 224) o l'assicurazione di Gesù che il regno è venuto,
nonostante in Israele ci siano ancora dei peccatori (Dodd, Parab/es, 185), o a conclu­
dere che l'interpretazione di Gesù della parabola non è più riconoscibile (Jiilicher,
G/eichnisreden 11, 563). Per una confutazione dell'ammonimento alla pazienza dr.
)ungei, Paulus und Jesus, 148 con rinvio a Grasser (n. 5).
140. L'espressione Tl')U n:ov·tjpl')u deve essere presa come maschile [non come neutro]
(Jeremias, G/eichnisse, 82 n. 6).
141. Il mondo come ambito della sovranità del Figlio dell'uomo e l'idea del Figlio
dell'uomo giudice universale sono correlativi. Cfr. Schweizer, Jesus, 57-6o. 75·82.

157
della zizzania un avversario del padrone, il suo nemico ( v.
25) ; e facendo confermare al padrone stesso esplicitamente,
nel dialogo, che l'erbaccia deriva dall'azione del nemico (nel­
l'interpretazione: il diavolo) (vv. 27.28a), mentre gli uomini
dormono (va tenuto presente il significato metaforico di que­
sto verbo, cfr. in particolare Mc. 1 3,36; 1 Thess. ,5,6.7, in con­
trasto con 1 Thess. ,5,10), il nemico ha mano libera. Come
conferma la spiegazione aggiunta alla fine, che elenca i signifi­
cati metaforici dei vari dettagli della parabola, questa comu­
nità interpreta apocalitticamente tanto se stessa quanto il mon­
do: il Figlio dell'uomo era venuto nel mondo ed aveva fatto
sorgere i «figli del regno»; ma anche il diavolo non rimase
inattivo, fece sì che venissero i «figli del maligno». Alla fine
del mondo però verranno gli angeli a introdurre nel regno
venturo del Figlio dell'uomo i figli del regno (cfr. Mc. 13,26
s. ! ), mentre i «figli del maligno» verranno consegnati al giu­
dizio definitivo.••• Abbiamo qui un bell' esempio di come una
parabola di Gesù poté servire alla comunità anche, per così
dire, come spazio linguistico, nel quale poteva esprimere se
stessa e la sua situazione nel mondo. Pertanto la parabola fu
interpretata in senso cristologico (l'uomo che semina è adesso
il Figlio dell'uomo risorto) . Non si pone ancora la questione
del quando avverrà la mietitura e del comportamento da assu­
mere sino a quel momento.
Essa invece si pone assai chiaramente nel secondo stadio
della comunità. Qui la questione decisiva è se la comunità
debba prendere delle misure nei confronti della zizzania che
prolifera al suo interno. Con il prolungarsi del tempo e il ri­
tardo della separazione, si pone il problema se i servi debbano
assumersi sin d'ora essi stessi il compito dei mietitori, oppure

142. Con ciò, alla questione di come mai esistessero dei non credenti la comunità die­
de una risposta del tutto diversa da quella di Mc. 4,10-12 e della tradizione soggia­
cente. Se là si partiva dall'accecamento di Israele, ed anche dei pagani, determinato
da Dio stesso, qui è l'avversario di Dio ad essere reso responsabile della incredulità
(cfr. Foerster, ThWNT 11, 78,40-42) . Il demonio ha una funzione simile in Mc. 4,1, e
paralleli.
no (v. 28b) . La risposta del padrone è univoca: una immedia­
ta purificazione della comunità è impossibile, perché anche i
figli del regno verrebbero annientati assieme a quelli del mali­
gno, ed è prematura, perché la fine non è ancora giunta (vv.
28. 3oa) . La retta distinzione tra Dio e l'uomo (che si rispec­
chia nella distinzione tra i mietitori e i servi) , e la retta distin­
zione dei tempi, libera la comunità per una convivenza fidu­
ciosa, senza I' ossessione continua di dovere distinguere buoni
e cattivi (v. 3oa).'fj
Anche Matteo si collega a questa prospettiva. Tuttavia più
che il problema dei buoni e cattivi nella comunità,'44 gli sta a
cuore quello della sorte finale dei cattivi, che egli descrive con
un linguaggio veterotestamentario. 14, Questo centro d'interesse
è palese già nel titolo «parabola della zizzania» (v. 36) , come
pure dall'inversione al v. 3ob (zizzania-grano anziché grano­
zizzania, com'era originariamente: cfr. v. 48!) . Ma non va tra­
scurato il fatto che la descrizione della cattiva fine dei malva­
gi persegue uno scopo parenetico: '46 e questa interpretazione
viene avvalorata ulteriormente dall'osservazione che Mt. in­
tenzionalmente ha inserito la parabola della zizzania al posto
di Mc. 4,26-29 (che evidentemente mal si adattava ad uno
scopo parenetico) . Ma accanto all'intento parenetico bisogne­
rà far posto anche a quello di infondere fiducia: la certezza di
un giudizio che raggiungerà tutto il mondo e dello splendore
radioso dei giusti incoraggia la comunità a compiere senza
esitazione la volontà del Padre.

143. Con ciò viene reso esplicito u n elemento implicito nella parabola originaria di
Gesù e nella sua intera esistenza. Si noti la differenza rispetto alla netta separazione
tra «quelli di dentro» e «quelli di fuori» di Mc. 4,11 s.
144. Con Schweizer, Gemeinde, 24, che attribuisce questa concezione alla tradizio­
ne, in contrasto con Barth, Geseti:esverstiindnis, 5 5 .
145. Vv. 40-43. Il testo ebraico di Soph. 1,3 è supposto al v . 41, quello di Dan. 12,3 al
v. 43 (cfr. Schweizer, Mt, 201 s . ) . Per l'interesse al giudizio dr. op. cit., 202. Born­
kamm, Enderwartung, 40, pensa alla distinzione tra la chiesa e la schiera di coloro
che entreranno nel regno dei cieli, oppure alla distinzione tra la chiamata, già avve­
nuta, dei molti, e l'elezione dei giusti ancora futura (op. cit. , 41).
146. Schweizer, Gemeinde, 25.

159
Il Vangelo di Tommaso {logion 57) parte dal presupposto
che prima della raccolta non si può distinguere affatto il grano
dalla zizzania «poiché questa è riconoscibile solo nel giorno
della raccolta». Il manifestarsi dell'erbaccia, il suo sradica­
mento e l'incenerimento sono la pointe del racconto in questo
stadio; della sorte del grano non si fa parola. Rispetto alla
versione di Matteo, un elemento nuovo è che, sebbene l'esi­
stenza del male venga presupposta e venga ricondotta al «ne­
mico», viene contestata la possibilità di individuarlo e così
viene legittimata la rinuncia a distruggerlo prematuramente.147

2.I.4. La parabola del grano di senapa


(Mc. 4,30-32 parr.; Ev. Th. 20)
e del lievito (Le. 13,18 s. par.; Ev. Th. 96)
Ricostruzione
L'ipotetica forma originaria della parabola del grano di se­
napa, ricostruita nelle pagine precedenti, fu tramandata sia
nella comunità premarciana148 sia nella comunità di Q. En­
trambe le versioni furono concluse {forse indipendentemen­
te l'una dall'altra) con una citazione mista che riecheggia i
LXX. ' -111 La versione di Mc. evoca chiaramente Ez. 3 1 ,6 {gli uc­
celli del cielo; i rami; l'ombra, in connessione con il dimorare
147. Se si osserva che l'accento cade sul manifestarsi della zizzania alla fine, l'idea
non è quella della convivenza tra lo gnostico ed il non-gnostico (cosi Montefiore,
NTS 7, 231, ripreso come possibilità da Schrage, Thomasevangelium, 126). Semmai
sarebbe più probabile l'idea che prima della fine il vero e il falso gnostico non pos­
sono essere distinti con sicurezza. Non si può stabilire se ci sia una metafora «seme
buono» = 't'Ò =Ér;iux -:ò ltVtUtJ.Gt-:1xòv t!� 't''Ì;v o,Jivx.Y,v e «zizzania» � -:ò =Épiux -:o�
Ò1Gt�Àou, che è bµ.ooU>;1ov col diavolo (cosi Schrage, ibid. con rimando a Exc. ex
Theod. , 53), ma più probabilmente non c'è, perché lo =Épiux ltVtU(UX't'txQv diverrà
palese come tale non solo «al giorno della raccolta».
148. Sulla rielaborazione da parte di questa comunità, cfr. anche sopra, p. 134.
149. Non si può dire con certezza se l'allusione ai LXX sia stata introdotta già prima
di Mc. e di Q, se stia quindi alla base di entrambe le versioni (così Crossan, JBL 92,
259). In ogni caso, l'allusione all'Antico Testamento è secondaria (con Grasser, Pa·
rusieverziigerung, 142 e Kuhn, Sammlungen, roo in contrasto con Dodd, Parables,
191 e McArthur, CBQ 33, 2o6, che fanno risalire l'allusione alla versione più origi­
naria; e Schulz, Q, 301, che tuttavia non riconduce la parabola al Gesù storico).

16o
dei popoli) e Dan. 4,21 (Teodozione; T.M. 4,18) (gli uccelli
[non 7tETEt'\la bensl op"Vecx] del cielo; abitare; i rami),1'0 mentre
nella versione Q è in primo piano soprattutto Dan. 4,21 (Teo­
dozionet' (nei suoi rami; abitano o nidificano; gli uccelli [op­
"Vecx , vedi sopra] del cielo), senza riprendere da Ez. 31,6 l'ele­
mento della totalità dei popoli, che abitano «alla sua om­
bra».''' Le modificazioni rispetto alla forma originaria, intro­
dotte dalla comunità premarciana, vanno ravvisate, oltre che
nella già menzionata citazione veterotestamentaria, in partico­
lare nell'inserimento dei vv. 31b. 32a (ad eccezione di &.vcx�cxl­
'H
vet ) . In questo modo la parabola viene trasformata in para­
bola di contrasto. ''"' Luca da parte sua, ad eccezione dell'intro­
duzione probabilmente redazionale (Le. 13,18a) , ha mantenu­
to intatta la versione Q:"' la versione Q parla di un uomo che
getta il seme di senapa nel suo orto; essa mette in risalto
esplicitamente la crescita della pianta fino a diventare un albe-

150. Diversamente Dupont, Couple, 343, che pensa ad fa. 17,23 (LXX) e Ps. 104
(103),12.
151. Schulz, Q, 301 n. 291 ; Dupont, Couple, 343. Forse sullo sfondo sta l'immagi·
ne del cedro di Israele, che è il luogo della pace escatologica per tutti i popoli (cfr.
Ez. 17,22-24; Dan. 4; così Funk, lnterp. 27, 4). Per le concezioni che fanno da sfon­
do cfr. anche McArthur, CBQ 33, 202 s.
1 5 2 . Schweizer, Mt, 199.
153. Già dal materiale si può dedurre che originariamente si trattava di una vera e
propria parabola (diversamente da Schulz, Q, 301) , che fu trasmessa nella comunità
premarciana (ma non in quella di Q!) cfr. sotto, e Kuhn, Sammlungen, 103.
154. Questo sviluppo non risale a Mc., poiché qui mancano le sue peculiarità lingui­
stiche (cfr. sopra, pp. 132 s. n. 38); vedi anche Kuhn, Sammlunge11, 103 in contrasto
con Crossan, JBL 92, 257 (di Marco). Ma esso non è neanche originario (in contra�to
con McArthur, CBQ 33, 206; Jeremias, Gleichnisse, 147; Schmid, Mk, 103 s.); l'espan­
sione è evidente anche da un punto di vista puramente grammaticale (Jiilicher, Gleirh-
11isse II, 571, però con l'argomento che sarebbe più originaria la versione di Luca).
155. L'introduzione matteana (v. 31a) è redazionale (cfr. Mt. 13,24; vedi sopra, p. 151
n. 1 17, e Dupont Couple, 333), quella lucana è incerta. La doppia domanda in Le. è
simile alla versione di Mc. , mentre Mt. 13,31b presenta una formula tipica della tra­
dizione prematteana (Schweizer, Gemeinde, 9 8 s.), qui dunque non dovrebbe rap­
presentare quella di Q {così pure Schulz, Q, 299 con n. 273, e gli altri autori ivi cita­
ti) . In Mt. 13,31c.32 tutti gli elementi divergenti da Le. possono essere spiegati con il
fatto che Mt. combina la versione Q con quella di Mc. (analisi in Schulz, Q, 299 s.);
per una valutazione complessiva cfr. Jiingel, Paulus und Jesus, 152.

161
ro, tra i cui rami possono nidificare gli uccelli; essa infine ha
trasformato la similitudine originaria in un racconto paraboli­
co, descrivendo tutto quel processo sotto forma di una storia.
L'idea del contrasto non è marcata, è messa in risalto invece
la crescita; la parabola del grano di senapa si avvicina cosl alla
parabola del lievito formulata anch'essa come racconto para­
bolico, che in Q le venne abbinata.•'6 In Mc. 4,30-32 non sono
rilevabili elementi redazionali marci'ani. Le. pone ambedue le
parabole nel contesto di un richiamo alla conversione rivolto
ai giudei (13,1-9, seguito dalla disputa con un capo della sina­
goga: 13,10-17) ed in quello della chiamata dei pagani al re­
gno di Dio (13,22-30). Mt. scrive «nel suo campo» (13,31),
che ricorda 13,24; per il resto, combina Mc. e Q, senza però
riprendere da Mc. l'allusione aUa totalità dei pagani. La collo­
cazione nel contesto risale alla fonte premarciana.
L'Ev. Th. (20) non collega la parabola del grano di senapa
a quella del lievito (Ev. Th. 96) . Esso presuppone la cono­
scenza di Mt. (regno dei cieli! ) e della versione saidica di
Mc. ;''1 rivela inoltre elementi secondari rispetto alla tradizione
sinottica: domanda dei discepoli come introduzione; la terra
coltivata; un germoglio di grandi dimensioni; mandar fuori;
ricovero per gli uccelli; eliminazione delle allusioni veterote­
stamentarie.1'8 È ben chiaro dunque che la parabola del Van­
gelo di Tommaso non può essere utilizzata per la ricostruzio­
ne della tradizione della parabola sinottica. ''9

156. Così anche Bultmann, Synoptische Tradition, 186 (l'abbinamento non può essere
originario); Dodd, Parab/es, 192 (contro l'autenticità; ma non accenna per niente a
Ql; cfr. Punk, lnterp. 25, 167. Dupont, Coup/e, 336 si pronunzia per una combina­
zione originaria.
157· Schrage, Thomasevange/ium, 62 s.
158. Cfr. Schrage, Thomasevange/ium, 64 s.; Montefiore, NTS 7, 227-229; Giirtner,
Theo/ogy, 212. 232; per il carattere secondario anche Perrin, ]esus, 173; diversamente
invece Crossan, JBL 92, 258 s., che fa risalire la versione dell'Ev. Th. alla parabola
originaria di Gesù indipendentemente dalla tradizione sinottica.
159. In contrasto con Crossan, JBL 92, 259; Jercmias, G/eichnisse, 146. Il rinvio ai
tratti «allegorici» assenti nell'Ev. Th. (sui motivi di tale assenza cfr. sotto, pp. 169 s.
con le nn. 194-196) non si riesce a comprendere cosa possa dimostrare.
La parabola del lievito (Le. r3,20 s. par.) già in Q era colle­
gata a quella del granello di senapa ed era introdotta da xcxl
7tciÀtv d7te:v.'6<> La forma interrogativa (Le. 13,2ob) è origina­
ria, tanto più che l'introduzione di Mt. risulta in parte reda­
zionale (13,33a)' 6 1 in parte anteriore a Mt. (33b) .'62 Per il resto le
due versioni coincidono quasi del tutto. '6J Non c'è alcun moti­
vo per non attribuire la parabola al Gesù storico. '64 Il contesto
nei vangeli è lo stesso del granello di senapa. Il Vangelo di
Tommaso parla del «regno del Padre», lo paragona ad una
donna (non al lievito) , introduce il contrasto «poco lievito I
grossi pani», lascia cadere la quantità della farina ed aggiunge
un ammonimento: tutti elementi chiaramente secondari. '6'

Interpretazione
Sulle labbra di Gesù la parabola del granello di senapa ave­
va pressapoco la forma seguente:
Come dobbiamo raffigurare il regno di Dio, in quale parabola dobbia­
mo rappresentarlo? (E) come un granello di senapa, che una volta semi­
nato nella terra cresce, e produce dei rami cosl grossi che gli uccelli pos­
166
sono nidificare alla sua ombra.

160. Bultmann, Synoptische Tradition, 186; Schulz, Q, 307 con le nn. 327 s.
161. Cfr. sopra, p. 161 n. 155 all'inizio.
162. Cfr. sopra, p. 161 n. 155 al centro con la bibliografia indicata.
163. La scelta fra Mt. (èvÉxptJljiEv, hapax) o Le. (éX?ui.jiEV, un po' più frequente) è in­
certa. � possibile che Mt. abbia preservato qui la versione originale (Schulz, Q, 307);
la cosa però non ha alcuna importanza.
164. La versione Q concorda per molti aspetti con la parabola del granello di senapa
ricostruita nella forma risalente a Gesù (la dinamica inarrestabile che da una iniziale
piccolezza porta a una grandezza iperbolica). Anche la provocatoria utilizzazione
dell'immagine del lievito (Jeremias, Gleichnisse, 148 s.; Schulz, Q, 308 s. e la maggior
parte degli autori) è tipica del Gesù storico (Jeremias, Gleichnisse, 149; si pensi in
particolare alla parabola dell'amministratore infedele, Le. 16,1-8). Indimostrata la te­
si di Schulz, Q, 309, che vede nella parabola una creazione della comunità giudeo­
cristiana ellenistica.
165. Identica valutazione anche in Montefiore, NTS 7, 227; Schrage, Thomasevange­
lium, 183-185; Giirtner, Theology, 230-232; Haenchen, Botscha/t, 46.
166. Non è più possibile ricostruire del tutto la forma di quest'ultima parte della pro-
Se si legge questa parabola senza preconcetti, l'alternativa
«contrasto»l«crescita»'67 si rivela infondata. Se si analizza la
costruzione con éhav, risulta chiaro che è in gioco da un lato
il rapporto tra la proverbiale piccolezza del granello di senapa
e la grandezza dell'arbusto, dall'altro il rapporto tra il neces­
sario momento iniziale, corrispondente alla semina, e il gran­
dioso momento conclusivo. Il granello di senapa, una volta
seminato, diviene con la certezza di un evento naturale un
grosso arbusto,168 tra i cui rami possono trovare addirittura di­
mora gli uccelli. Nel rapporto dinamico tra il granello di se­
napa e l'arbusto, Gesù rappresenta il regno di Dio affinché al­
l'uditore diventi chiaro il rapporto dinamico tra il regno di
Dio presente sin d'ora nella piccolezza ed il suo grandioso
compimento futuro. «La conclusione magnifica è certa. Per­
ciò ci si può fidare dell'inizio impercettibile».'69 L'inizio imper­
cettibile è il regno di Dio presente nei segni miracolosi e nelle
parabole di Gesù, la sua presenza nella parola e nell'azione di
Gesù. Questo inizio impercettibile è il presupposto necessa­
rio'10 per il compimento futuro della basileia nella gloria con
l'intervento di Dio alla fine dei tempi. Gesù dunque intende
il proprio presente come il presupposto necessario del futuro
di Dio, vede l'impercettibilità della sua parola e del suo agire
posizione. Ma l'accenno agli uccelli può essere inteso come illustrazione concreta
della sorprendente grandezza raggiunta da quest arbusto di senapa (non è necessa·
'

rio vedervi un'allusione all'Antico Testamento).


167. Ritengono centrale il «contrasto»: Jeremias, Gleicbnisse, 147; implicitamente
Haenchen, Weg, 181 s.; Perrin, ]esus, 174; Crossan, JBL 92, 258 s.; McArthur, CBQ
33, 207; Schmid , Mk, 104; Rawlinson, Mk, 58; Schniewind, Mk, 78; la «crescita» in·
vece: Jiilicher, Gleichnisreden 11, 576; Dodd, Parables, 190 s. Lohmeyer, Mk, 88, ri­
conduce il «contrasto» e la «crescita» a versioni differenti .

168. La pianta di senapa raggiunge effettivamente, nei pressi del lago di Genezaret,
un'altezza di due metri e mezzo I tre metri (Jeremias, Gleicbnisse, 147 con richiamo
a Dalman e Wilken, n. 2); per il contrasto di senapa· arbusto di senapa, Str.-Bill. I,
669. Il parallelo Ta'an. 41, che si accosta di più alla nostra parabola, non parla però
di un granello di senapa.
169. J ii ngel, Paulus una Jesus, lH; cfr. Fuchs, Zeilversliindnis, in GA 11, 347; dello
stesso, Exegese, in GA 11, 289. 291 .
170. L o mostra innanzi tutto l a costruzione con OT(ltv; per OT(ltV col congiuntivo aori­
sto cfr. Baucr, Wb, s. v. 1b.
alla luce della gloria del compimento divino. Con la parabola
del granello di senapa gli uditori vengono coinvolti in questa
realtà : vengono invitati a riconoscere il futuro glorioso di Dio
nella parola e nell'agire di Gesù, e in base a questa certezza
del futuro glorioso a fidarsi dell'inizio impercettibile. '7' La pa­
rabola «dona agli uomini una realtà che essi non potevano
sperare e su cui non potevano contare».'7'
Del tutto simile è il senso della parabola del lievito:
A che cosa devo paragonare il regno di Dio? È simile al lievito che una
donna prese e nascose in tre staia di farina fino a che non lievitò tutto.

Anche qui è in gioco da un lato il rapporto tra la piccola


quantità del lievito e l'enorme quantità di farinam che essa rie­
sce a lievitare, dall'altro la certezza che - una volta mescolato
il lievito alla farina - l'intero impasto lieviterà. Anche qui si
tratta di un inizio impercettibile nel nascondimento,'74 al quale
seguirà sicuramente la conclusione grandiosa, pienamente vi­
sibile. Come nella parabola del granello di senapa, anche qui

171. Questo «fidarsi• può certo essere indicato più precisamente come «fede». Pe­
raltro mi sembra poco fondato riferire il granello di senapa alla fede (Fuchs, Jesus, 83:
nel tempo escatologico anche la fede più piccola è grande, cfr. op. cit. , 84: «In con­
fronto a ciò che è la basileia, la fede deve essere sempre piccola - . .. - e tuttavia in
se stessa è un prodigio») . Non si tratta di contrapporre la basileia allafede, bensl di
contrapporre la presenza di Dio alla fine e la presenza di Dio adesso in Gesù. Chi
condivide fiduciosamente la certezza della relazione tra il presente di Gesù ed il fu­
turo, può certo essere definito «credente», ma non per questo è la sua fede ad essere
«miracolosa in se stessa».
172. Fuchs, Exegese, in GA 1 1 , 291. Qui si rivela limitativo l'approccio metodologi­
co di Jeremias, secondo il quale il conflitto e l'autodifesa sono il luogo storico delle
parabole nella vita di Gesù: il luogo storico di questa parabola (e di quella del lie­
vito) sarebbe secondo Jeremias «il manifestarsi di dubbi sulla missione di Gesù»
(Gleichnisse, 148). Per la critica, cfr. Jiingel, Paulus und /esus, 154.
173. Circa la quantità di farina, cfr. Jeremias, G/eichnisse, 146 con n. 4. Essa viene in­
-

tesa da Jeremias (ibid.) e Funk, Interp. 25, 167, come riferimento alle «cose di Dio».
In ogni caso si tratta di un elemento chiaramente iperbolico.
174. Si può intendere éxplllji&v come accenno alla «presenza nascosta» del regno di
Dio (menzionata come possibilità in Schweizer, Mt, 199; come elemento della para­
bola originaria in Funk, lnterp. 25, 158 s.); questo però non è necessario, cfr. Bauer,
Wb, s.v. 1d: «senza l'intenzione, ma col risultato, che l'oggetto in questione viene
sottratto alla vista• (cfr. il parallelo di lpponatte [VI, v] 250 ivi indicato).
non si sottolinea un processo di sviluppo, ma ci si limita a
mettere in rapporto il momento iniziale e quello finale. '1' Nello
stadio di Gesù abbiamo lo stesso messaggio della parabola
del granello di senapa; con in più però, forse, l'effetto provo­
catorio cui può dar luogo il paragonare il regno di Dio al lie­
vito, che tradizionalmente simboleggia la forza corrosiva del
male. 176 Il fatto che proprio il lievito, usato spesso come sim­
bolo del male, sulla bocca di Gesù diviene una metafora del
regno di Dio, è il riflesso linguistico del fatto che la novità del
regno di Dio ha reso vecchio tutto ciò che era esistito sino ad
allora (anche ciò che era esistito a livello linguistico) .m
La comunità premarciana reinterpretò la parabola di Gesù
del granello di senapa alla luce della proclamazione postpa­
squale su Cristo. Il futuro del regno di Dio che ha avuto inizio
in Gesù di Nazaret viene descritto ora in linguaggio veterote­
stamentario come «dimora» di tutti i popoli della terra (Mc.
4,32b),178 espressione che riecheggia l'aspettativa, viva nella

1n. Tuttavia anche qui non si può parlare né di una parabola di contrasto (cosìJere­
mias, Gleichnisse, 147, confutato da Funk, lnterp. 2,, 167) né di una parabola della
crescita (così Dodd, Parables, 193: «There was in it [se. the ministry ofjesus] no ele­
ment of extemal coercion, but in it the power of God's Kingdom worked from wi­
thin, mightily permeating the dead lump of religious Judaism in His time»), i due
aspetti si intrecciano l'uno all'altro (come già nella parabola del granello di senapa).
176. Cfr. a questo proposito Jeremias, Gleichnisse, 149; Schulz, Q, 309; e Funk, In­
terp. 2,, 161 s., che trae la conclusione - a mio awiso azzardata - che il regno giun­
ge «as a negation of the established tempie and cult and replaces them with a sacra·
ment of its own - a new and leavened bread» (p. 162).
177. A questo proposito Funk, lnterp. 2,, 163: la convenzione linguistica viene «re­
fracted». Secondo Funk è «il mondo» a costituire il «nesso referenziale», nel quale
gli oggetti vengono conosciuti (op. cii. , 16,). Proprio a questo mondo pone fine lin­
guisticamente il regno di Dio, infrangendo i significati stabiliti (op. cii. , 166); «world­
gain is concomitant with... language-gain» (op. cii. , 168). In questo processo si ri­
specchia l'essenza delle metafore di Gesù, che conducono alla sua fine il vecchio
mondo e lo trasformano in un mondo nuovo.
178. L'allusione ad fa. (31,6) percepibile in Mc. 4.32, parla dell'abitare (xlX'tt)IXEiv)
della moltitudine dei pagani (r.iiv r.ì.ij-8oç i-8vfdV) all'ombra (-:rxiix) dell'albero (è
Egitto, cfr. Ez. 31,2 s.). Gli «uccellh• nel giudaismo simboleggiano i pagani ijere­
mias, G/eichnisse, 146 n. 2 con riferimento a T.W. Manson), Xll'tt)IKEiv è un termine
tecnico escatologico ijiingel, Paulus undJesus, 1n con riferimento aJeremias); per lo
sfondo veterotestamentario generale cfr. Schweizer, Ml, 199; Idem, Mk, H·

166
prima comunità (e forse già in Gesù) del raduno dei popoli
alla fine dei tempi. '79 Per questa comunità la parabola abbrac­
cia tutta la storia a partire dal ministero terreno di Gesù fino
alla parusia del Figlio dell'uomo. Divenuta cosi un contenito­
re linguistico in cui calare tutto lo svolgimento della storia, al­
l'interno di esso si poté trovar spazio per inserirvi anche la si­
tuazione della comunità stessa. La parabola offri in tal modo
una specie di «spazio linguistico», all'interno del quale fu
possibile alla comunità esprimere la propria situazione colle­
gandola alla venuta di Gesù. Introducendo il contrasto tra il
granello di senapa e l'arbusto (Mc. 4,31b.32a) , la comunità fe­
ce della parabola raccontata in modo nuovo un conforto per
quelli che pativano scandalo per la impercettibilità di questo
regno di Dio presente solo nella parola;'8o e un incoraggiamen­
to per coloro che dubitavano del compimento glorioso e per­
ciò non erano affatto disposti a fare affidamento su un inizio
cosi stentato. Contro questi dubbi e questa incredulità si fece
ricorso all'autorità di ciò che è universalmente riconosciuto;
la parabola del granello di senapa fu tramandata sotto forma
di similitudine nel senso stretto del termine. L'evangelista
Marco poté fare completamente sua questa concezione.181
Diverso è l'accento posto dalla comunità Q. La sua inter­
pretazione di questa parabola si rivela innanzitutto nel fatto
che essa non sottolinea in modo particolare il contrasto 18• e, di
conseguenza, abbina la parabola del granello di senapa a quel-
179. I popoli pagani arriveranno al momento della parusia del Figlio dell'uomo, cfr.
Ml. 8,11 s. (Schulz, Q, 324 s.; Schweizer, /csus, So).
180. In questo stadio della tradizione il contrasto è addirittura la pointe; cfr. Kuhn,
Sammlungen, 100. È ad esso che si confà l'interpretazione di Jeremias, Gleichnisse,
147 (che egli però propone per il Gesù storico). Circa l'inserimento del contrasto
cfr. sopra, p. 161 n. 154.
181. Mc. intese l'allusione veterotestamentaria nel senso di Dan. 4,18 (21) come riferi­
mento al tema (importante per lui) dell'ingresso dei pagani nella comunità di Gesù:
v. Schweizer, Mk, 53. 148 (riguardo a 13,10). Per Mc. dunque la predicazione univer­
sale del messaggio su Cristo è allo stesso tempo «spazio linguistico.,. per tutti i popoli
della terra [cfr. 3.1.2].
182. L'affermazione di Mc. 4,31b.32 s. manca, notoriamente, in Q, cfr. Crossan, JBL
92, 254; Schulz, Q, 300; Kuhn, Sammlungen, 100 s.
la del lievito. Invece del contrasto essa mette in risalto la ma­
gnificenza del futuro («albero» ) '8' e la sicurezza, insita nella
certezza della crescita, 184 che ad un inizio modesto seguirà un
compimento magnifico. Le allusioni veterotestamentarie fanno
supporre che il «nidificare» di tutti i popoli nella basileia è at­
teso solo alla fine dei tempi.18' Rispetto alla comunità premar­
ciana, questa comunità riferisce più chiaramente il momento
della semina del granello di senapa al periodo del Gesù terreno
(«che un uomo prende e semina nel suo orto») ,'86 e mediante
«e crebbe» lo collega al momento escatologico. Da questa in­
terpretazione della parabola del granello di senapa come sin­
tesi di tutta la storia da Gesù fino alla parusia, deriva anche la
sua trasformazione in racconto parabolico.'87 La comunità sa di
collocarsi nel periodo della crescita, un periodo di crescita
misteriosa, miracolosa, che ha preso awio con il Gesù terre­
no. L'awio è dato, il grande futuro è certo, e quindi anche il
presente è in movimento. La comunità Q mette in risalto
questo aspetto anche con labbinare la parabola del lievito a

183. Jeremias, Gleichnisse, 146, e molti altri notano questo tratto iperbolico, che però
può essere derivato anche dalle citazioni dell'Antico Testamento. Kuhn ne deduce
che qui l'accento cade inequivocabilmente sullo stadio finale (Sammlungen, 100).
184. Il verbo 11ùçi1n1v racchiudeva già da tempo un significato metaforico (cfr. so­
pra, p. 129 n. 19), qui però la crescita non implica una prospettiva evoluzionistica
(a ragione Schulz, Q, 303-30,) .
18,. È difficile stabilire se qui sia già presente l'idea della missione a i pagani come
evento escatologico (cosi Jeremias, Gleichnisse, 146; ancora più chiaramente Grlis­
ser, Parusievenogerung, 142), o se le allusioni veterotestamentarie mirino solo a indi­
care la pienezza escatologica della basileia (la venuta dei pagani: questa posizione è
sostenuta da Schulz, Q, 30' con n. 316 così vivacemente da escludere ogni riferimen­
to alla missione tra i pagani e a non ritenere valido il riferimento, comune negli ese­
geti, a Giuseppe e Asenet 61,10-13).
186. La semina nell'«orto• (e i richiami LXX) rivelano un ambiente ellenistico, cfr.
Schulz, Q, 299 con richiamo a Jeremias, Gleichnirse, 22 con n. 3.
187. Cfr. Kuhn, Sammlungen, 103; Jiingel, Paulus und Jesus, 1, 2 riconduce eia predi­
lezione del linguaggio parabolico per il racconto parabolico e il racconto-esempio•
all'«essenza della parabola, che esprime la natura come storia•. Questo però a sua
volta andrebbe ricondotto al fatto che il materiale parabolico, ricavato dalla natura, è
stato usato nel corso della storia della tradizione come meuo linguistico per un'espo­
sizione storica [cfr. 3.1.2].

168
quella del gran,ello di senapa: il lievito è nascosto nella pasta,
modifica una quantità enorme, il processo di lievitazione è at­
tualmente in atto.188 La comunità Q intende ambedue le para­
bole come connotazione del presente, senza alcuna traccia né
di attesa a breve scadenza né di ritardo della parusia. '119
Con la collocazione delle due parabole nel contesto di un
appello alla conversione indirizzato ai giudei e della chiamata
dei popoli Luca rende evidente che egli le interpreta nel senso
di una missione universale tra i pagani, nella quale si compie
il movimento del presente. Matteo le contrappone alla para­
bola della zizzania: '90 il mondo'9' è in movimento, il regno dei
cieli si affermerà in modo irresistibile, anche se nascosto, fino
al compimento glorioso. '9' Matteo si interessa sia al contrasto
presente nella versione di Mc. sia alla crescita prodigiosa (ac­
centuata nella versione Q) messa in moto sin dal periodo di
Gesù.
Il Vangelo di Tommaso interpreta le due parabole in modo
del tutto differente dalla tradizione sinottica. '93 La parabola del
granello di senapa (Ev. Th. 20) è posta nel contesto di un inse­
gnamento ai discepoli. Le allusioni veterotestamentarie, che
rinviavano alla storia, vengono qui eliminate a favore di una
interpretazione incentrata sull'esistenza dello gnostico. Il re­
cettore del granello di senapa (la terra) deve essere prima
preparato («la terra che si coltiva») affinché esso'94 possa gene-

188. Schulz, Q, 303: «Questa parabola di Q può essere interpretata correttamente


solo partendo dall'attesa apocalittica a breve scadenza». Ma in base a che cosa?
189. Griisser, Parusieverzogerung, 142 sostiene sia per Le. sia per Q una riformulazio·
ne legata al ritardo della parusia (cosl pure Schulz, Q, 303).
190. L'introduzione, v. 31a, corrisponde a quella del v. 24, con la quale è evidente
che Mt. considera le parabole dci vv. 24-30.31-33 «come una specie di unità» (Kret­
zer, Herrscha/t 123). Sussiste una certa discrepanza tra i vv. 24-30 e i vv. 3 1-33 (cfr.
,

op. cit. , 108. 127).


191. Il campo è il mondo (cfr. 13,38.24) . Qui il campo è introdotto daMt. (o forse già
dalla sua comunità) (cfr. sopra, p. 162).
192. A questo proposito Kretzer, Herrscha/t, 108; Schweizer, Mt, 199. È dubbio che
sia presente il contrasto discepoli-Israele (come vorrebbe Wilkens, ThZ 20, 319).
'
193. Anche qui non vengono tramandate come parabola doppia.
194. Schrage, Thomasevangelium, 65, rileva che è la te"a (non il granello di senapa,
rare qualcosa di grande («mette fuori un grosso germoglio») .
È ovvio intendere «la terra» come metafora del vero gnosti­
co, il «granello di senapa» come scintilla luminosa divina (op­
pure come la conoscenza di essa, la gnosi)'9' ed «il grosso ger­
moglio» come la gloria che toccherà alla scintilla divina nel
196
suo ritorno alla realtà originaria. Il contrasto «il più piccolo
di tutti i semi I grosso germoglio» serve a rafforzare l'uomo
nella fede nel suo nucleo essenziale divino; in questa forma
pertanto la parabola è espressione dell'antropologia gnostica
e strumento per propagandarla. La parabola del lievito (Ev.
Th. 96) è talmente modificata che il protagonista non è più il
lievito, bensì la donna. Diviene palese che, come nell'altra pa­
rabola, non si tratta più dell'azione della basileia, bensl di
quella dello gnostico, che riesce a ispirare al suo nucleo es­
senziale tutta la propria esistenza. 197 Il risalto particolare del
contrasto (poco lievito I grossi pani) allude al contrasto «tra
lelemento spirituale dell'uomo e la grandezza che lo gnostico
realizzerà» e mira, come nell'altra parabola, a suscitare questa
fede. 198 Anche questa parabola pertanto esprime lantropologia
dello gnosticismo e la sua radicale destoricizzazione.

2 . r .5 . La parabola del tesoro nel campo e della perla


(Mt. 13,44-46; Ev. Th. 109; 76)
Ricostruzione
Le due introduzioni (v. 44a e v. 45a) , di forma perfetta­
mente uguale, dovrebbero essere state riprese già cosl da
come troviamo erroneamente in alcune traduzioni) a far nascere un grosso germo­
glio.
19'· Schrage, Thomasevangelium, 6,. 66, la interpreta come «il nucleo essenziale
[dell'uomo]»; Haenchen, Botscha/t, 46; Montefiore NTS 7, 229 come «la gnosi».
Difficile scindere nettamente le due interpretazioni, perché il contenuto della gnosi è
appunto questo «nucleo essenziale» divino.
196. Schrage, Thomasevangelium, 66; cfr. Haenchen, Botschaft, 46.
197. Cosl Schrage, Thomasevangelium, 185 con riferimento a Ippolito, re/. ,,8,8;
Hacnchen, Botschaft, 46; Giirtner, Theology, 231 .
198. Per i l contrasto cfr. Schrage, Thomasevangelium, 18, .

170
Mt. ;'9'J in tal caso le due parabole furono riunite in una doppia
parabola già prima di Mt. ;""' lo conferma anche la struttura
molto simile delle due parabole:0' Non si rilevano interventi
redazionali e la presentazione del mercante101 come commer­
ciante di perle non è un abbellimento, né prematteano né
matteano, bensl un elemento originario. '0J Tutt'al più potrebbe
risalire a Mt. il cambiamento di tempo al v. 46 (eliminazione
dei presenti storici), che però non ha alcuna incidenza sul
contenuto. Sia il «tesoro nascosto» sia la «perla di grande va­
lore»104 denotano un'occasione molto rara. Ambedue i temi
nell'ambiente di Gesù sono tra i soggetti preferiti dei racconti
popolari. '0, La mano di Mt. si rivela solo per la collocazione
nel contesto: le due parabole creano un effetto di contrasto
col tono minaccioso dei vv. 41 s.49 s:o6

199· Cfr. sopra, p. 161 n. l''' in contrasto con Jiingel, Paulus und ]esus, 142 (con ri­
chiamo aJeremias).
200. Non si può stabilire se già in origine si trattasse di una doppia parabola (a tal
proposito cfr. Jeremias, Gleichnisse, 89 s. 197; Linnemann, Gleichnisse, 103 con n. r ;
Hill, Mt, 237), la questione tuttavia non è importante per l'interpretazione delle due
parabole (conJiingel, Paulus und Jesus, 142).
2or . Cfr. Lohmeyer, Mt, 227. A livello formale la differenza più importante consiste
nel fatto che nell'una è l'oggetto rinvenuto (il tesoro nascosto nel campo) ad essere
paragonato al regno dei cieli, nell'altra lo scopritore (il mercante di perle). Da ciò non
può essere tratta alcuna conclusione, poiché la comparazione non si ferma né all'u­
no né all'altro, ma fa riferimento alla storia che ha luogo tra loro. Di qui la traduzio­
ne di Jilngel (Paulus und Jesus, 142): «Il regno di Dio è come la storia, che avvenne
con... ».
202. Per É1J-�opo1; cfr. Jeremias, Gleichnisse, 198 («mercante all'ingrosso»).
203 . In contrasto con Jeremias, Gleichnisse, 1 98 (che argomenta con la versione del­
l'Ev. Th. !) ; v. Schrage, Thomasevangelium, 1,7, che sostiene l'originarietà della ver­
sione di Mt. Il fatto che il mercante sia un mercante di perle è un elemento necessa­
rio della narrazione, poiché egli deve essere in grado di stimare il valore della perla
(Jiingel, Paulus und Jesus, 144), mentre un tesoro nascosto nel campo può essere ri­
conosciuto nel suo valore da qualsiasi scopritore. Gli elementi indicati come reda­
zionali da Kretzer, He"scha/t, 146 s., non sono necessariamente tali.
204. Per la traduzione vediJeremias, Gleichnisse, 198 con n. 6.
20,. A tal proposito Jeremias, Gleichnisse, 199 e Str.-Bill. I, 674 s. In particolare è
interessante il parallelo del Testamento di Giobbe 18,6-8 (Berger, NT 1,, 2-9) .
206. Dupont, NTS 14, 416-418. Cosi pure Kretzer, Herrscha/t, 14,- 148 (che però am­
mette molti interventi redazionali).
Il Vangelo di Tommaso riporta le due parabole separata­
mente (Ev. Th. 109; 76) . La parabola del tesoro nel campo si
differenzia vistosamente dalla parabola di Mt. :207 qui colui che
ritrova il tesoro è il proprietario stesso del campo, che Io aveva
comprato dal figlio del proprietario originario, senza che il
padre, il figlio e l'acquirente sapessero niente del tesoro; l'ac­
quirente Io trova durante l'aratura e col denaro trovato intra­
prende un'attività di prestito ad interesse; questa versione
della parabola è chiaramente secondaria. La parabola della
perla narra di un aweduto mercante che aveva un carico di
merci e trovò una perla; qui, a differenza di Matteo, non si
tratta di un commerciante di perle; inoltre costui per acqui­
stare la perla (non particolarmente preziosa ! ) non vende tutto
ciò che ha, ma solo il carico di merci; tutti gli elementi risul­
tano secondari rispetto a Matteo;""8 inoltre l'Ev. Th. presup­
pone la traduzione saidica di Mt. "'9

Interpretazione
Sulla bocca di Gesù la parabola del tesoro nel campo suo-
, 210
nava cosi:
Il regno dei cieli è simile (alla storia) di un tesoro nascosto in un cam­
po, che un uomo trovò e (ri)nascose e nella sua gioia"' va e vende (tut­
to) ciò che ha e compra quel campo.

207. Jeremias, Gleichnirre, 197, parla di una «versione completamente rinselvatichì·


ta» ; cfr. Schrage, Thomarevangelium, 196-199; Haenchen, Botrcha/t, 47.
208. Ciò vale soprattutto per il componamento del mercante, che rimarrebbe in­
comprensibile senza la conoscenza di Mt. (Schrage, Thomarevangelium, 1'6). L'ele­
mento della ricerca manca nella parabola, ma compare nell'applicazione (che secondo
Giinner, Theology, 3 7 , non ha niente a che fare con la parabola), ed è presupposto
anche nella parabola: «Cercate anche voi ... » (diversa opinione in Montefiore, NTS
7, 227). Per la valutazione complessiva v. anche Dupont, NTS 14, 409.
209. Schrage, Thomarevangelium, 1,7.
210. «Non esiste alcun motivo per non attribuire le due parabole alla predicazione
di Gesù» (Ji.ingel, Paulur und ]erus, 142) .
211. L'a:ù->oo dopo x.a:p<i viene visto da Ji.ingel, Paulur und ]erur, 143 n. 4 , come geni­
tivo di specificazione.
La parabola della perla:
È simile (con) il regno dei cieli come (con la storia di) un mercante che
cercava delle perle preziose; trovatane una di (eccezionale) valore an­
dò, vendette tutto ciò che aveva e la comprò.

Tema di entrambe le parabole è il rapporto tra il ritrova­


mento ed il ritrovatore. Il ritrovamento in entrambe le para­
bole appare come un caso particolarmente fortunato, al quale
l'uomo reagisce in modo ovvio . ... Nel caso del tesoro del cam­
po il ritrovamento provoca una gioia cosl grande che il ritro­
vatore - certamente un bracciante") - si lancia senza esitazio­
ne nell'acquisto del campo. Nel caso della perla, l'esemplare
inaspettatamente trovato si rivela di tale valore, che il mer­
cante di perle impegna tutti i suoi averi per acquistarla. In en­
trambe le parabole la conclusione è la stessa: i ritrovatori de­
cidono un impegno radicale, per possedere quell'unico og­
getto danno via tutto. Va notato che la decisione non viene
presa dal ritrovatore, che si trova di fronte a un'occasione ec­
cezionale da cogliere immediatamente per non lasciarsela
scappare; la decisione in realtà è già presa al momento del ri­
trovamento. «Il tesoro scoperto si è impadronito dello scopri­
tore». "4 Nonostante da un punto di vista formale i protagoni­
sti siano le persone,''' il vero protagonista in entrambi i casi è

212. Questo va sottolineato, contro tutti i tentativi di intendere l'impegno dello sco­
pritore nel senso di un sacrificio; cfr. per es. Jeremias, Gleichnisse, c99 (mette in ri­
salto la gioia); Linnemann, Gleichnisse, 107 (parla di un «impegno deciso e totale»
che è «necessario» di fronte a una tale occasione. La Linnemann corre il rischio di
porre come elemento centrale l'attività dello scopritore [notato da Jiingel, Paulus
und ]esus, 1 4, ] e di ricadere nell'idea del sacrificio. Ella stessa però nota che questo
sarebbe un equivoco [ibid. , 171 n. 13]). Anche Dupont, NTS 14, 41' s., corre lo stes·
so rischio; Hill, Mt, 238. Cfr. al contrario Lohmeyer, Mt, 227: cChi possiede il regno
dei cieli, si fa volontariamente povero, e proprio per questo è il più ricco di tutti».
213. L'ipotesi del bracciante è quella che più si adatta alla situazione legale, v. Der·
rett, ZNW ,4, 31-42; Jeremias, Gleichnisse, 197 s.; Lohmeyer, Mt, 226.
214. Jiingel, Pau/us und Jesus, 143, da confrontare con Fuchs, Zeitverstiindnis, in GA
I l , 332 s.

21,. Dupont, NTS 14, 4c3, ne deduce che l'accento cade sulla decisione di dar via
tutto ciò che si possiede (op. cit. , 414). Al che si può obiettare: di fronte ad un ritro-

17 3
la cosa trovata: un tesoro nascosto, una perla particolarmente
JI6
preziosa.

Allo stesso modo, è la basi/eia che diviene protagonista


quando l'uomo si imbatte in essa. Chi trova il regno di Dio,
trova se stesso come qualcuno che reagisce con la sua intera
esistenza a quel ritrovamento. Dove si trova la basileia? Certo
non in ogni luogo ed in ogni momento, bensi, per gli uditori
di Gesù, innanzitutto in Gesù stesso.211 Il regno di Dio è pre­
sente nelle sue parole e nelle sue azioni, per cosi dire come un
tesoro nascosto in un campo o come una perla preziosa. Gesù
da parte sua appartiene alla realtà che viene scoperta: appun­
to attraverso le parabole egli vuole condurre l'uditore alla
scoperta, portandolo vicino ad essa con metafore che lo inter­
pellano. Il resto non è affar suo, ma del regno di Dio stesso.
Le parabole di Gesù si rivelano, da questo punto di vista,
eventi linguistici che fanno spazio all'azione del regno di Dio,
anche se spesso parlano dell'azione dell'uomo. Lo stesso si ri­
pete negli episodi di vocazione, dove è Gesù stesso che chia­
ma i discepoli, dove egli stesso dunque è il vero protagonista,
nonostante coloro che vengano chiamati siano quelli che agi­
18
scono - a volte persino in modo radicale. 2 Le due parabole in
questione rivelano all'uditore di Gesù la relazione tra il regno
di Dio come agens e l'uditore come re-agens. E proprio per
questo esse non si riducono a prescrizione di una risposta ra­
111
dicale: sono un invito a trovare. 2
Matteo narra le due parabole in questo contesto per sotto-

vamento così fortunato nessun uomo deve «decidersi», si tratta solo di trovarlo. La
questione di come egli debba decidersi, non è posta affatto. Per la questione v. Loh­
meyer, Mt, 226.
2 16. Fuchs, Zeitverstiindnis, in GA 11, 334 s.; il paradosso consiste nel fatto che la pa­
rabola dello scopritore che agisce ha di mira proprio l'uomo che non agisce. Trovare
è innanzitutto non agire.
217. Sta qui l'aspetto implicitamente cristologico di queste due parabole (cfr. in par­
ticolare Dupont, NTS 14, 41,).
218. Mc. 10,21 s. ; Le. 9,,7-62; Mc. l,16-20; 2,13-17.
219. Al riguardo, v. Schweizer, Mt, 203, il quale rileva che «dall 'azione del regno dei
cieli . . . .. scaturisce «l'azione degli uomini ...

174
lineare, tra i minacciosi versetti 41 s. e 49 s., l'aspetto positi­
vo, che era già accennato al v. 43 .220 Egli le intende come invito
ad una risposta completa che è l'unica idonea al regno dei cie­
li,"' o alla parola del regno dei cieli: .. È possibile che per Mt.
l'uso del presente storico serva anche a sottolineare certi ele­
menti divenuti importanti nel periodo seguente."3 L'accento
cadrebbe sulla «preparazione della comunità alla fine, mo­
mento per momento»;224 in linea con l'interpretazione mattea­
na della parabola della zizzania e della rete; in questo modo
però sarebbe andato perduto qualcosa del messaggio origina­
rio sulla basileia che non si limita e prescrivere la risposta, ma
la rende possibile.
Il Vangelo di Tommaso ha apportato notevoli correzioni al­
le due parabole. La parabola del tesoro nel campo mette in
particolare risalto che il tesoro è nascosto. Non si tratta più
del rapporto tra il ritrovamento e la reazione dello scopritore,
bensl del trovare stesso e di ciò che il ritrovatore riesce a fare
con loggetto ritrovato. Se ne deduce che qui il tesoro nel
campo rappresenta l'elemento spirituale nascosto nell'uomo,
che la maggior parte degli uomini non immagina neanche e
che se riconosciuto e valorizzato condurrà"' alla ricchezza spi-
. u6
r1tua le.
La parabola della perla - alla luce della simbologia della
perla nello gnosticismo - è espressione dell'antropologia

220. Cfr. Dupont, NTS 14, 417.


221. Sostiene questa posizione Kretzer, Herrscha/t, 147. 148.
222. Dupont, NTS 14, 418. 223. Cosl Kretzer, Herrscha/t, 146.
224. lbid. Magass, Ung. Bib/. , 3, che peraltro non si pone questioni di storia della
tradizione, inquadra la nostra parabola nella catechesi («esempio con struttura ap·
pellativa», op. cii. , u), dove essa servirebbe alla legittimazione ecclesiastica dcl pas·
saggio (op. cii. , 12).
22,. Schrage, Thomasevangelium, 198 lo deduce dall'accenno agli interessi; un ele­
mento che secondo Haenchen, Bo1scha/1, 47, non deve derivare da Tommaso, poiché
l'Ev. Th. condannerebbe il prestito a interessi (ma in quale passo si legge tale con·
danna?).
226. Schrage, Thomasevangelium, 199 concorda; Haenchen, Bo1scha/1, 47; Gartner,
Theology, 237 (fa notare il lavoro dello scopritore: «purpose/ul /abour is rewarded») ;
Montefiore, NTS 7 , 232.
gnostica secondo la quale il nucleo essenziale divino è simbo­
leggiato dalla perla per la quale l'uomo avveduto dà via tutto
il resto (il carico) ;211 l'uomo avveduto sceglie senza esitazione
la sua vera identità . ..s Il «regno del Padre», in entrambi i casi,
è stato radicalmente reinterpretato in termini antropologici
come realtà presente nel singolo uomo.

2 . 1 .6. La parabola della rete (Mt. 13,47-50; Ev. Th. 8)


Ricostruzione
Anche la parabola della rete (Mt. 13 s.) fa parte del mate­
riale particolare di Mt. ed è collegata alle parabole del tesoro
e della perla mediante la solita formula introduttiva.219 La pa­
rabola in se stessa è unitaria e non rivela tratti secondari o ca­
ratteristiche linguistiche di Matteo. 2 30 Ben diverso invece è il
caso per la successiva spiegazione (vv. 49 s.), che si accosta
fortemente ai vv. 40-42 (matteani) della spiegazione della pa­
rabola della zizzania e rivela inoltre caratteristiche linguistiche
di Matteo. 231 Evidentemente Matteo si è reso conto della so-

227. Schrage, Thomasevangelium, 158 mette in luce questo aspetto. In particolare


presuppone una correlazione tra il «canto della perla» degli Atti di Tommaso (o una
sua forma anteriore) e la rielaborazione della parabola nell'Ev. Th. (9.);r:r.iç [ !]; "rÒv
tva !J-IXFY<X?t"rljv; 1tr.ipda).
228. Schrage, Thomasevangelium, 158 s.; Haenchen, Botscha/t, 48.
229. C&. sopra, p. 161 n. 155 e Mt. r3,45, che è del tu tto uguale sino a r.iùpavwv .
230. Ci si può chiedere se È:x r.av"rÒi; yi.vr.iuç (l'Uvayay•Ùrr, sia secondario, perché su­
perfluo per lo svolgimento del racconto (non si distingue tra diversi yiv11, bensì tra
xaH e 'l"a1tp�). T.miym è un vocabolo preferito di Mt. (Mt. : 24 X ; Mc.: 5 X ; Le. : 6 X ) ,
ma ricorre anche nella tradizione (per es. Mt. 3,12 Q; Mt. 13,2 da Mc. 4,1). Più pro­
babilmente con questa espressione si vuole indicare la funzione della rete, che racco­
glie indifferentemente tutti i pesci e pertanto si contrappone alla funzione di sepa­
rarli, che spetterà poi al pescatore. Per il resto la parabola ha anche molti vocaboli
tradizionali (yivr.iç ; r.Ì,1jpr.iw; à.va�tthl;m ; xaì,,)ç-'J"ar.p,)ç ; ��w thÀÀm).
231. Contro Klostermann, Ml, 125. Il v. 49a (letteralmente identico al v. 4ob, anche
qui o-unÉì,eta "rl)u aìwvl)ç ! cfr. sopra, p. 154 n. 129) è senz'altro redazionale; cosl
pure il v. 50 (letteralmente identico al v. 42). Nel v. 49b sono redazionali: èHp-l,t ­
o-.Sat; r.ii �yyeÀot ( v. 41 ) ; :ic;;l) ptl;m ( q ui e Ml. 25,32 redazionale, cfr. Schweizer,
=

Mt, 3 n ) ; r.ov1Jp,)ç (Ml. : 24 X ; Mc. : 2 X ; Le. : 12 X ) ; òlxatl)ç (Mt. : 16 X ; Mc. : 2 X ; Le. :


1 1 x ). A tal proposito cfr. Jeremias, Gleichnisse, 83 s. che rileva che «venir fuori» e

1 76
miglianza tra le due parabole e perciò le ha interpretate allo
stesso modo.'1'
L'Ev. Th. nel logion 8 presenta una versione molto diffe­
rente della parabola della rete:m l'uomo (non il regno di Dio)
è simile ad un avveduto pescatore'H (non ad una rete) che get­
ta la sua rete e la tira su piena di pesci piccoli (non di pesci di
ogni tipo) , tra i quali però ne trova uno ottimo grosso; allora
l'avveduto pescatore getta via tutti quelli piccoli e sceglie sen­
za esitazione il pesce grosso (non i pesci buoni) . Poiché la
struttura narrativa è simile a quella della parabola della rete in
Mt. , e d'altra parte è innegabile una certa somiglianza con la
parabola del tesoro e della perla, si può avanzare l'ipotesi che
nell'Ev. Th. la parabola della rete di Mt. , sotto l'influsso delle
due precedenti, sia stata sottoposta ad una reinterpretazione
gnostica che l'ha trasformata nella parabola del pescatore av­
veduto. •J>

Interpretazione
Nulla impedisce di ricondurre la parabola della rete al Ge­
sù storico.'36 In questo stadio il testo doveva essere il seguente:
Con il regno dei cieli avviene come (con la storia di) una rete che fu

«fuoco» si adattano alla parabola della zizzania, ma non a quella della rete. Bultmann,
Synoptische Tradition, 1 8 7, fa risalire invece la spiegazione alla parabola originaria;
diversamente Lohmeyer, Mt, 227 s.
2 32. Non se ne può concludere che si tratta di una doppia parabola (con Jeremias,
Gleichnisse, 222).
233. Jeremias, Gleichnisse, 199 s., evidentemente non nota una correlazione tra Ev.
Th. 8 e Mt. 13,47 s. , poiché colloca il logion 8 nel contesto di Mt. 1 3,44-46 e ne indi­
ca come pointe la «gioia per il xa:H1x-8u.;», grazie alla quale l'uomo, «senza alcuna
esitazione», fa la scelta giusta (op. cii. , 200).
234. La caratterizzazione del protagonista mediante tale aggettivo è frequente nel­
l Ev Th. , cfr. per es. Ev. Th. 76 e Schrage, Thomasevangelium, 39.
' .

235. Così Schrage, Thomasevangelium, 37-40. La dipendenza però può essere diffi­
cilmente dimostrata.
236. Se la parabola della zizzania tra il grano nella sua forma originaria regge ai crite­
ri della discontinuità e della coerenza (cfr. sopra, p. 155 n. 133), allora per motivi di
coerenza anche la parabola della rete dev'essere attribuita alla predicazione di Gesù.

177
gettata in mare e raccolse'11 (pesci) di ogni tipo; e quando fu piena la ti­
rarono a riva, si sedettero e raccolsero quelli buoni nei cesti, ma quelli
inutilizzabili li gettarono via.
Se si considera la parabola indipendentemente dall'interpre­
tazione di Mt. , non sussiste alcun motivo di vedere in essa una
parabola del giudizio.238 Se poi si tiene conto della forte analo­
gia con la parabola della zizzania, è chiaro che qui è in gioco
la contrapposizione delle due azioni «raccolta» e «separazio­
ne».219 «Mentre la rete raccoglie tutti i tipi di pesce (. .. ), i pe­
scatori selezionano la massa del pesce raccolto».'4° Ma raccolta
e selezione sono correlate l'una all'altra in modo tale che l'una
non è possibile senza l'altra. Le figure scelte sono perfetta­
mente adatte a mettere in risalto da un lato la raccolta incon­
dizionata (la rete «raccoglie pesci di tutti i tipi») , dall'altro
l'ovvietà della separazione («i pesci non commestibili non
vanno al mercato»).241 Questo rapporto raccolta/separazione
formulato in questi termini viene ora posto in relazione con
il regno di Dio: nel regno di Dio il futuro indubitabile della
separazione è indissolubilmente intrecciato al presente della
raccolta incondizionata. Questo intreccio deve essere mante­
nuto e non può essere eliminato, né col privilegiare il presente
a scapito del futuro (nel senso di un processo graduale dalla
raccolta alla separazione, iniziato già nel presente,242 per cui il
237. Traduzione con Bauer, Wb, s.v. 1.
238. In contrasto con J. Jeremias: «Entrambe l e parabole sono parabole escatologi­
che, perché entrambe trattano del giudizio finale, che introduce il regno di Dio . . . »
(Gleichnisse, 223 s . ) . Con pari fondamento invece si potrebbe dire che entrambe trat­
tano del presente di Gesù, che introduce il regno di Dio.
239. Cfr. sopra, pp. 156 s. (ivi espressa attraverso la distinzione di tre tempi). Il pe­
riodo intermedio qui scompare. Per il rapporto «raccolta/separazione» cfr. Jiingcl,
Paulus und Jesus, 146 s.
240. Op. cit. , 146.
241 . lbid.
242 . Così per es. Jiilicher, Gleichnisreden II, 567: ciò che «Gesù spera e ciò che i
suoi fedeli devono sperare, non è la venuta del regno di Dio, . . . bensì il completa·
mento definitivo del regno già presente nel mondo, la sua comparsa in uno splendo­
re inoffuscato». Il carattere escatologico della separazione viene qui totalmente tra·
scurato. Lo stesso si dica per Dodd: dopo avere sottolineato che «the mission of

178
futuro si riduce a perfezione del presente), né col privilegiare
il futuro a scapito del presente (nel senso di un giudizio apo­
calittico futuro, del tutto indipendente dalla raccolta in atto
nel presente) . •o
Se la parabola cosl intesa viene messa in rapporto col Gesù
terreno, si evidenziano interessanti sfaccettature di significa­
to. Riguardo alla autocomprensione di Gesù, risulta significati­
vo il fatto che la raccolta in corso nel presente, che si compie
attraverso l'insegnamento parabolico e si rinnova con la rac­
colta incondizionata di farisei, pubblicani e peccatori intorno
a Gesù, è un presupposto necessario per il futuro del regno di
Dio. Senza la sua parola e la sua azione destinata a raccogliere
gli uomini intorno a lui, non ci sarebbe la separazione futura.
Si manifesta cosi il rapporto che lega il presente al futuro;
mentre quello che lega il futuro al presente viene salvaguar­
dato in quanto la indubitabile separazione (escatologica) con­
sente a Gesù di vedere se stesso esclusivamente come 'colui che
è inviato a raccogliere, e raccogliere senza condizioni. Riguardo
all ' uditore di questa parabola di Gesù bisogna dire che la para­
bola gli rammenta la certezza della separazione, affinché egli
non si lasci sfuggire l'occasione di volgersi a Gesù ...... L'occa­
sione per la raccolta nel regno di Dio non sussiste in qualsiasi
momento ed in ogni luogo, ma solo adesso, attraverso Gesù di
Nazaret. '4' Inoltre la parabola preserva la «differenza escatolo-
J esus and His disciples involves an indiscriminating appeal to men of every class
and type» (Parables, 188), parla della «selection» che avverrà nella cerchia dei po­
tenziali seguaci di Gesù: « The worthy are separated from the unworthy by their
reaction (sic!) to the demands which the appeal (se. ofJesus) involves» (op. cii. , 189).
243 . Così l'interpretazione di Mt. (v. sotto, p. 180) e così anche quella di Jeremias
(nonostante egli, Gleichnisse, 84, svaluti quella matteana come «allegorizzante»), op.
cii. , 223 s. (limitazione all'affermazione del giudizio) .
244. Formulazione simile inJiingel, Paulus und]esus, 147: «La differenza escatologica
tra regno e mondo impone (corsivo mio) all'uomo (in base alla separazione) la deci­
sione, poiché Gesù (in base alla raccolta) assicura all 'uomo spazio per la decisione».
245. Da questo punto di vista non è un caso che la parabola si sia sviluppata in/orma
di racconto parabolico (Jiilicher, G/eichnisreden II, 565, pensa addirittura ad una pe­
sca concreta) . La parabola deriva la sua verità non dall'autorità di ciò che è consueto,
bensì dalla singolarità dell 'esistenza di Gesù.

179
gica».146 tra separazione e raccolta in modo tale che l'uditore
viene liberato dalla costrizione, insita nella sua esistenza uma­
na, a distinguere il buono dall'inutilizzabile sia riguardo a se
stesso sia riguardo agli altri raccolti insieme a lui per il regno
di Dio. La parabola, facendo prendere coscienza all'uditore
di questa differenza, gli dischiude l'accesso al regno di Dio
(nella misura in cui esso è già presente) in modo tale da fargli
accettare spensieratamente l'invito di Gesù.
Matteo ha espresso la sua interpretazione della parabola
nella spiegazione aggiunta ad essa (vv. 49 s.): egli mette in ri­
salto in modo particolare l'elemento della separazione, tra­
scurando quello della raccolta. 247 Passa potentemente in primo
piano il giudizio sui malvagi, 248 soprattutto se si considera che
della sorte dei giusti - a differenza della spiegazione mattea­
na, assai simile, della parabola della zizzania - qui non si fa
parola. 249 In tal modo la parabola assume un tono di ammoni­
mento che vuol richiamare l'attenzione dell'uditore (o del let­
tore) sulla serietà della sua decisione nei confronti del regno
dei cieli. Prendere coscienza della serietà del momento equi­
'
vale a «comprendere» il regno dei cieli. 2 0
Il Vangelo di Tommaso non mostra interesse né per la con­
nessione con l'escatologia (chiaramente supposta dall'inter­
pretazione di Mt. ) né per la differenza escatologica tra futuro
e presente della basileia. La sostituzione dell'uomo alla basi­
leia è comprensibile nell'ambito dell'antropologia gnostica,
secondo la quale «il 'regno' si realizza nello gnostico, l'uomo
xix-.'è�oX,f,v ( . . . )».''' Il paragone tra l'uomo e un avveduto pe-

246. Al riguardo Jiingel, Pau/us und ]esus, 146 s.


247. Egli interpreta l'attività dei pescatori e pone in rapporto la parabola sia per for­
ma sia per contenuto con Mt. 1 3 , 24-30.37-43.
248. Schweizer, Mt, 204.
249. Kretzer, Hemcha/t, 149.
2,0. Il verbo «intendere», così importante per il cap. 1 3 (cfr. sopra, p. 14' nn. 91-
93), ricorre ancora una volta significativamente nei versetti finali , 1 ,3 (e&. Schwei­
.

zer, Mt, 20,).


2,1. Schrage, Thomasevangelium, 37.

180
scatore che «sceglie» senza esitazione il pesce buono e gros­
so,''' fa capire com'è stata reinterpretata la parabola: lo gnosti­
co (o il suo redentore?)'n compie l'unica scelta giusta gettando
via tutti i pesci piccoli e trattenendo solo quello grosso (l'uo­
mo sceglie la parte divina di se stesso; oppure: il redentore
scarta gli uomini carnali e sceglie lo gnostico? } . 254 In tal modo
il regno dei cieli viene interpretato in senso intimistico, la pa­
rabola in senso individualistico:255 diventa un incoraggiamento
per l'uomo a riconoscere il suo vero io e ad ispirare ad esso la
sua intera esistenza.

2 5 2 . V. op. cit. , 4 1 .
2 5 3 . Spesso non si riesce a stabilire se il termine di paragone sia il redentore o il re­
denco (Schrage, op. cit. , 41 indica questa mescolanza come tipicamente gnostica e ri­
corda il simbolismo redentore è pescatore nella gnosi mandea e manichea).
254. La qualifica del pesce come «grosso» (cfr. il germoglio Ev. Th. 20; i pani Ev.
Th. !}li; la pecora Ev. Th. 107) fa supporre che il pesce simboleggi l'elemento pneu­
matico. Cfr. Clem. Al., Strom. 1 ,16,3, dove le contrapposizioni tra le «molte piccole
perle e l'unica» e tra «la gran massa di pesci e il x11)J,t-x.-!ìu�» sono immediatamente
contigue. Così interpretano anche Haenchen, Botscha/t, 48; Giirtner, Theology, 233;
diversamente invece Montefìore, NTS 7, 231.
255 . Si parla solo di u n pescatore (a differenza del plurale nella versione di Mt.) ;
Haenchen, Botscha/t, 48.
2.2. Le rimanenti parabole nel vangelo di Marco

2.2.1 . La parabola dei vignaioli omiddi


(Mc. 12, 1-12 parr.; Ev. Th. 65 s.)
Ricostruzione
L'introduzione alla parabola (v. ia) presenta tratti tipici di
Mc. e potrebbe essere redazionale. ' La parabola stessa inizia
direttamente e senza riferimento al regno di Dio. Nella narra­
zione preliminare (Mc. 12,1b) colpisce subito il chiaro paralle­
lo a Is. 5,2 LXX' che mette in gioco alcuni elementi irrilevanti
per la narrazione (la siepe, il torchio, la torre) : possiamo con­
siderarli un ampliamento che non appartiene alla parabola
originaria. 3 L'affitto del vigneto e l'assenza del proprietario
sono invece elementi necessari alla struttura narrativa. La
successiva unità narrativa, l'invio dei servi, rivela un'elegante
struttura formale: tre volte il proprietario invia il suo servo,
che deve ritirare la parte del raccolto4 dovuta al padrone; tre

1. Cfr. ii?Xe:a.9111, che in Mc. ricorre spesso nella redazione (Ml. : 13 X ; Mc. : 27 X ; Le. :
31 X ) . Per 11lhl)i� èv n11p11�),11i� ),11),e:iv cfr. Mc. 4,33 (redazionale, v. sopra, pp. 133
n. 41. 1 36 n. ,53).
2. Innanzitutto il ne:ptéi9-11xe:v �p11yiWv ('# T.M.) rivela che si tratta dei LXX (non del
T.M . ) . Cosl Jeremias, Gleichnisse, 68 n. 1 . Stessa posizione, fra gli altri, in Klauck,
BiLe I I , 122; Frankemolle, BiLe 13, 197; Léon-Dufour, Vignerons, 317; Hengel,
ZNW 59, 19 (che riconduce l'uso dei LXX al traduttore).
3. L'allusione al cantico della vigna va presupposta però anche nella versione origi­
naria (con Hengel, ZNW 59, 16). Tuttavia gli elementi sviluppati in Mc. 12,1b non
sono conciliabili con quella linearità che caratterizza le narrazioni paraboliche. V.
anche Jeremias, Gleichnisse, 68 (argomenta erroneamente con l'Ev. Th. , cfr. sotto, p.
187 n. 30 e p. 188 n. 3 3 ) ; Via, Gleichnisse, 1 29; Léon-Dufour, Vignerons, 3 18; Blank,
Sendung, 14; Robinson, NTS 21, 44.5 s. Diversamente Grundmann, Mk, 239.
4. Qui si tratta del canone d'affitto (perfettamente legale) che viene pagato in natu·
ra, v. Hengel, ZNW 59, 15 s. ; cfr. Grundmann, Mk, 23 9 .
volte i vignaioli si oppongono alle richieste del padrone. La
reazione dei vignaioli dal punto di vista formale viene descrit­
ta in «diminuendo» (primo invio: afferratolo, lo bastonarono
e lo rimandarono «a mani vuote»: tre verbi; secondo invio: lo
picchiarono sulla testa' e lo coprirono di insulti: due verbi;
terzo invio: lo uccisero: un solo verbo) ; dal punto di vista del
contenuto invece in «crescendo» (percosse, oltraggi, uccisio­
ne) . Il triplice invio dei servi è giustificato dallo svolgimento
della narrazione: serve a preparare l'invio del figlio, dimo­
strando la risolutezza degli affittuari e accrescendo la tensione
narrativa.6 Il v. 5b.c risulta invece ridondante: «e (di) molti al­
tri (che egli mandò) alcuni li bastonarono, altri li uccisero».7 A
questo elemento si collega anche il v. 6a «ne aveva ancora uno
solo . . . ») ; il v. 6a motiva infatti l'invio de/figlio col fatto che i1
proprietario non ha più servi, poiché li aveva inviati tutti. Il
che contraddice la motivazione presente al v. 6b: «avranno ri­
spetto per mio figlio». Il proprietario stesso motiva l'invio del
figlio col rispetto che ci si può aspettare nei confronti del suo
rappresentante. 8 Per la narrazione inoltre non è importante il
fatto che il figlio sia quello «prediletto»; mentre dal punto di

5. Per la traduzione di questo hapax neotestamentario cfr. Bauer, Wb, s.v. , e Wilk­
kens, NT, ad /ocum.
6. L'invio di un terzo servo viene spesso considerato un «ampliamento popolare»
(cosi Jeremias, G/eichnisse, 69; cfr. per es. Via, Gleichnisse, 129; Frankeméille, BiLe
13, 198; Pedersen, StTh 19, 173 s.; Dodd, Parables, 129; Robinson, NTS 21, 446). Si
deve obiettare però che il terzo invio del servo non anticipa la climax, né può essere
spiegato con qualche interesse della comunità (in tal caso perché avrebbe dovuto es­
sere aggiunto il v. 5b?). Se si vuole argomentare con la «regola del tre» (argomenta­
zione peraltro molto problematica in materia storica), essa confermerebbe semmai la
tesi della autenticità. Blank, Sendung, 16 s., constata uno sfondo veterotestamentario
(ler. 7,27 s.).
7. Già dal punto di vista grammaticale questo versetto non si inserisce bene (c&. Je­
remias, G/eichnisse, 69 n. 3); anche dal punto di vista formale disturba ed inoltre ri­
sulta dettato dall'applicazione della comunità (servi � profeti storici). In generale
viene considerato secondario (oltre a Jeremias, cfr. per es. anche Haenchen, Weg,
399; Crossan, JBL 90, 453; Via, Gleichnisse, 129; Hengel, ZNW 59, 7; Frankeméille,
BiLe 13, 198; Pedersen, StTh 19, 174; Klauck, BiLe 11, 123; Léon-Dufour, Vigne­
rons, 320), anche se non marciano (Klauck, ibid. ).
8. Hengel, ZNW 59, 3 8 .
vista del redattore Mc. l'aggettivo ha un senso (cfr. Mc. r,11 ;
9,7 ! ) .9 La narrazione procede con la decisione dell'omicidio e
la sua motivazione (v. 7)'0 e si conclude con l'assassinio del fi­
glio e con la profanazione del cadavere." Al v. 9a segue la do­
manda che mette in rapporto l'uditore e la storia narrata e
sollecita dall'uditore una presa di posizione. " Va rilevato il
cambiamento di tempo al futuro, che potrebbe essere spiega­
bile per la domanda (che però avrebbe potuto essere anche al
passato), mentre per la risposta (v. 9b) è comprensibile solo
se la punizione dei vignaioli non è ancora sopraggiunta. •) Men­
tre è possibile intendere la domanda come applicazione della
parabola, si deve collegare invece la risposta all' interpretazio­
ne, che non dev'essere originaria. ' 4 La citazione di Ps. 117
(118),22 s. LXX' ' ai vv. ro s. riprende un altro elemento della
narrazione: con la citazione sulla pietra angolare, utilizzata
nella comunità primitiva per l'interpretazione della morte e
resurrezione di Gesù, il figlio di cui narra la parabola viene

9. L'aggettivo ricorda troppo chiaramente la terminologia del cristianesimo primiti­


vo per poter essere tradotto semplicemente con «unico» (contro Jeremias, Gleich­
nisse, 73 n. 2); cfr. Robinson, NTS 2 1 , 447.
10. Il movente risulta plausibile in base ai presupposti giuridici in vigore nel giudai­
smo (Jeremias, Gleichnisse, 73 s.).
u . Qui il panicolare del gettar fuori (a differenza di Mt. e Le. , cfr. sotto, pp. 186 s.)
non racchiude nessun'allusione metaforica alla crocifissione, ma illustra semplice­
mente l'arroganza degli affittuari; cfr. Robinson, NTS 21, 449.
12. Bultmann, Synoptische Tradition, 1 97 s. Il riferimento al cantico della vigna, che
finisce anch'esso con una domanda, non basta a dimostrare che il v. 9a sia seconda­
rio (così per es. Jeremias, Gleichnisse, 72, influenzato dalla mancanza di questa do­
manda nell'Ev. Th. !), in panicolare poi se si presuppone già per Gesù lo sfondo ve­
terotestamentario.
13. Il futuro, all'interno della domanda, può rinviare semplicemente alla narrazione
stessa, poiché il parabolista interrompe la narrazione ad un ceno punto e stimola l'u­
ditore a dire egli stesso come andrà a finire quella storia (che per lui è ancora futu­
ro) . Non così invece per il futuro usato poi all'interno della risposta.
14. La domanda presuppone che l'uditore stesso dia la risposta (e&. anche Bultmann,
Synoptische Tradition, 197). Con una risposta data dal narratore, il coinvolgimento
dell'uditore verrebbe a mancare.
1 5 . La concordanza con i LXX è letterale; si deve quindi presupporre qui la loro uti·
lizzazione.
identificato con il Cristo respinto dai giudei e risuscitato da
Dio.' 6 L'epilogo al v. r2 indica l'uditorio (in base a Mc. u,27
«essi» si deve riferire a «sommi sacerdoti, scribi ed anziani),
distingue nella maniera tipica di Mc. tra capi e popolo, 17 de­
scrive la comprensione degli ascoltatori; 18 con esso si conclude
la pericope. 19 L'epilogo dovrebbe essere stato formulato da
Mc. , anche se può contenere elementi che possono corrispon­
dere alla realtà storica. '0
In base alle osservazioni fin qui svolte si può formulare la
seguente ipotesi di storia della redazione e della tradizione: la
parabola originaria comprende i vv. rb (senza l'allusione ai
LXX) . 2-5a.6b-9 e risale a Gesù stesso." La comunità aggiun­
ge l'allusione ai LXX al v. rb, inoltre 5b.c.6a (senza tiya.rrr, ­
-.oi:;), il v. 9b ed infine la citazione LXX ai vv. 10 s. (forse an­
che un primo abbozzo del v. r2). Tutti questi elementi vanno
insieme, essendo sviluppati partendo da una applicazione
della parabola alla storia della salvezza, dai profeti dell'Anti­
co Testamento fino alla resurrezione di Gesù. A Mc. stesso,
infine, vanno attribuiti l'introduzione (v. ra) , l'à.ya.mytoi:; al v.
6a e l'epilogo al v. r2, oltre alla collocazione della parabola
nell'attuale contesto.

16. Cosi ad es. Jeremias, Gleichnisse, 7 1 ; Schweizer, Mk, 1 3 1 ; Schmid, Mk, 221; Loh­
meyer, Mk, 247 riconduce la citazione del Salmo a Gesù (idea del servo di Dio). Per
l'uso di Ps. 1 18,22 s. cfr. Lindars, New Testament Apologetic, 169-174.
17. Schweizer, Mk, 132 per il v. 12.
18. Ciò può valere come argomento contrario alla redazione marciana solo se si pre­
suppone che Mc. 4,10-12 sia reda:r.ionale (così Klauck, BiLe 11, 142 che rileva l'in­
coerenza). Ma questa supposizione è debolmente motivata, cfr. sopra, pp. 1 30 s.
19. Partendo dalla pointe della parabola è plausibile l'uditorio indicato al v. 12 (Léon­
Dufour, Vignerons, 327).
20. Tuttavia il dato statistico lessicale non è univoco: 'i;r.-:El-11 ricorre nella redazione
(1 ,37 [? Schweizer, Mk, 25]; 3,32; 1 1 , 18[?] ; 14, 1 . 1 1 [?]) e nella tradizione (8, 1 1 ; 8,12;
14,55[?] ; 16,6). xp11-:tiv (non considerando i testi paralleli in Mt. e Le. ) risulta più
frequente in Mc. (Mt. : 5 X ; Mc. : 15 X ; Le. : 2 X ), ma qui spesso anche tradizionale: 1 ,
3 1 ; 3,2 1 ( ? ) ; 5 ,41; 6,17( ?); 7,8(?); 9,27; 14,1 (Schweizer, Mk, 1,56); 14,44.46. t)xì,o� inve­
ce è indiscutibilmente un vocabolo prediletto da Mc. Gli altri vocaboli non consen­
tono di trarre alcuna conclusione.
21. Per quel che riguarda la questione dell'autenticità cfr. sotto, p. 189 n. 34.
Matteo dopo la questione sull'autorità (21,23-27 par. Mc.
1 1,27-33) presenta la parabola dei due figli (materiale suo
particolare) e inserisce dopo quella dei vignaioli la parabola
del banchetto nuziale, per poi tornare di nuovo al filo con­
duttore di Mc. Nella parabola egli apporta alcune modifiche
importanti: l'uomo diviene un «padrone» (v. 33 b ) ; " l'allusione
ai LXX diventa più chiara mediante alcuni spostamenti; so­
stituendo a 't'tj°) xcxtptj°) (Mc. ) la costruzione o"e òè: �yytae" b
xcxtpÒç 't'Ù.w xcx pmi>v dà maggior risalto al xcxtpoç; il padrone in­
via i servi solo due volte; entrambi i gruppi vengono bastona­
ti, uccisi, lapidati;'3 essi non richiedono solo una parte, bensl
l'intero raccolto (v. 34 fine i= Mc. ) ; di conseguenza Mc. 12,5
viene cancellato; l'invio del figlio si richiama a Mc. (ad ecce­
zione di àycx7t1J"Oç che manca in Mt. ) ; il figlio viene dapprima
cacciato fuori dalla vigna, solo dopo viene ucciso; la risposta
alla domanda del v. 4ob viene data dagli uditori; gli «altri»
vengono definiti in maniera più precisa come coloro che con­
segnano il raccolto È" "oiç xcx tpotç cxù-rwv; dopo la citazione
del salmo ( = Mc. ) Mt. introduce il v. 43 (che si richiama al v.
41) ; il v. 44 potrebbe essere un'aggiunta testuale derivata da
Le. ;'4 nell'epilogo (vv. 45 s.) la comprensione dei sommi sacer­
doti e dei farisei viene narrata prima della decisione di ucci­
derlo e la paura della folla viene motivata col fatto che essa lo
considera un profeta.
Luca nel contesto segue il filo conduttore di Mc. , però indi­
ca esplicitamente «il popolo» come uditorio (i= Mc. ) . Cancella
l'allusione a Is. 5,2 LXX e fa soggiornare il proprietario «per
molto tempo»'� in un paese straniero. Il servo richiede «una

22. Cfr. Robinson, NTS 2 1 , 445 .


23. L'accenno alla lapidazione potrebbe essere un richiamo alla lapidazione dei pro·
feti (cfr. Mt. 23,37, Schweizer, Mt, 270) e non è solo una «spedes atrox dell'omici­
dio» (come pensa Michaelis, ThWNT IV, 271,21 s. con n. 9).
24. Le piccole differenze rispetto a Le. si spiegano appunto con questo procedimen­
to. Per gli argomenti a favore di una espunzione del v. 44 cfr. Schweizer, Mt, 270 s.
Léon-Dufour, Vignerons, 340, sostiene invece l'autenticità.
2:;. !xavoc; è già da un punto di vista puramente statistico un vocabolo prediletto di

186
parte del raccolto» dell a vigna (xap11:6c; al singolare ! ), il triplice
invio viene mantenuto ed è ben costruito stilisticamente. De­
gni di nota i due verbi 11:poai;t.Siv«t e 7tÉtJ.7tttv.26 Le. cancella
l'uccisione del terzo servo; riprende da Mc. l'invio del figlio
ed il trattamento subito da questo, con alcuni miglioramenti
stilistici, usando anche qui il verbo 11:ÉtJ.7tttv (v. r3), e capovol­
ge la sequenza uccidere - gettare fuori ( = Mt. ).'7 La domanda
e la risposta seguono Marco. All'annunzio del castigo gli udi­
tori reagiscono: «Non sia mail » (v. r6) . Le. cita dal Salmo solo
il v. 22 (v. r7) aggiungendo però un altro detto collegato dal
termine «pietra» (v. r8). Vepilogo segue essenzialmente quel­
lo di Mc.
Il Vangelo di Tommaso (log. 65) costituisce una forma mi­
sta di tutti i sinottici.28 Degna di nota, indubbiamente, la per­
dita degli elementi metaforici,'9 che però non dimostra uno
stadio della tradizione presinottica nell'Ev. Th. , in quanto es­
so anche in altri casi cancella redazionalmente elementi che si
riferiscono alla storia della salvezza o alla cristologia."' Cosl

Le. (Ml. : 3 x ; Mc. : 3 X ; Le. : IO x ; Acl. : I8 x ; nel rimanente N.T. : 7 x ) . Per definire la
durata temporale (ad eccezione di Rom. 15,23) ricorre solo nell opera lucana. Con
'

questa precisazione Le. mira ad un maggiore realismo nel corso dell'azione.


26. r.potrt1"8Év0tt è un vocabolo tipico di Le. (Ml. : 2 X ; Mc. : I X ; Le. : 7 X ; Aci. : 6 X ;
rimanente Nuovo Testamento: 2 X ) . r.É1.1.r.E111 nei sinottici è più ricorrente in Le. (Ml. :
4 X ; Mc. : 1 X ; Le. : IO X ; Aci. : u X ). Notevole l'uso specifico in Giovanni (cfr. Reng­
storf, ThWNT 1, 402, Io-405,32).
27. Schlatter, Mk, 22I, sostiene che sia Mc. a cambiare la sequenza di Ml. Ma questa
concordanza tra Ml. e Le. non è una ragione per rimettere in discussione la teoria
delle due fonti; essa si spiega più facilmente col significato metaforico assunto da
questo elemento in riferimento alla crocifissione di Gesù.
28. Schrage, Thomasevangelium, I39. elenca i dettagli che rendono verosimile questa
supposizione. La parabola comunque non è una «semplice narrazione» (contro Jere­
mias, Gleichnisse, 70) .
29. Così Schrage, Thomasevangelium, I 39· Anche Jeremias, Gleichnisse, 66-70 dà
una stessa valutazione. Dehandschutter constata che Ev. Th. 65 «se révèle etre une
adaptation de la version de Luc» ( Vignerons, 2I8).
30. Cfr. l'eliminazione delle allusioni veterotestamentarie nella parabola del granel­
lo di senapa (Ev. Th. 20) ; l'interpretazione individuale-antropologica della parabola
del lievito (Ev. Th. 96), del tesoro nel campo ( Ev. Th. IQ9), della perla ( Ev. Th. 76) .
l lengcl, ZNW 59, 6 con riferimento all 'Ev. Th. e a Le. ammette come fenomeno se-
qui manca in particolar modo il riferimento alla crocifissione
di Gesù, presente in Mt./Lc. Inoltre sono tratti chiaramente
secondari: la duplice menzione del «frutto» (singolare; :#
Mt. ; ma anche * Le. che dice «una parte del raccolto») ; il ri­
torno del servo al padrone e la supposizione di quest'ultimo
(«forse non lo hanno riconosciuto» )3' che è decisamente fuori
posto, poiché il presupposto per il cattivo trattamento del
servo è proprio il fatto che essi lo conoscono; la spiegazione
che i contadini sapevano che egli era l'erede. Infine anche il
logion 66 immediatamente successivo rivela da un lato che
l' Ev Th. ha conosciuto la versione sinottica con la citazione
.

del Salmo, e dall'altro che esso svuota il detto della testata


d'angolo del suo riferimento cristologico: qui Cristo non è più
lui stesso la testata d'angolo, bensl colui che parla di «questa
pietra» che è la «testata d'angolo». 32 Tutte queste osservazioni
rivelano che l' Ev Th. costituisce una versione secondaria della
.

parabola rispetto ai sinottici e non può essere usato come ar­


gomento per una versione più originaria (possibilmente risa­
lente a Gesù) .n

condario una tendenza d i fondo alla deallegoriz7.azione; cfr. a tal proposito Franke­
molle, BiLe 13, 199; Klauck, BiLe I I , 1 36.
3 1 . Uno sviluppo tipicamente gnostico, c&. Schrage, Thomasevangelium, 144; contro
Montefìore, NTS 7, 226 che senza ulteriore motivazione considera originario questo
elemento.
32. Cosi anche Montefìore, NTS 7, 230.
33. L'Ev. Th. , in particolare da Jeremias, viene utilizzato molto spesso - del tutto a
torto - come argomento per ricostruire eventuali stadi prcsinottici. Per la nostra pa­
rabola per es. egli scrive: «Già nelle edizioni precedenti l'analisi aveva portato alla
conclusione che i tratti allegorici, che troviamo in Marco ma soprattutto in Matteo,
sono secondari. Questo risultato viene ora pienamente confermato (sic!) dall'Ev.
Th. ,,. (Gleichnisse, 68). In base all'Ev. Th. viene considerata secondaria l'allusione a
Is. ,,2 (ihid. ), originario invece il duplice invio del servo (op. cii. , 69) . «Non è rimasto
niente . . . della semplice narrazione come la leggiamo nell'Ev. Th. e in Luca,,. (op. cii. ,
70). Commettono lo stesso errore anche Newell, N T 14, 229; Crossan, JBL 90, 4'6-
461; Robinson, NTS 21, 451. Contro tali tentativi, c&. Dehandschutter, Vignerons,
203-216, in particolare p. 216: «Nous pensons pouvoir comprendre les indications
en faveur d'une telle tradition ancienne (introduction brève, triple mission, finale sur
la mort du fìls) comme le résultat d'une rédaction postérieure aux synoptiques» (op.
cii. , 219). Conclusione simile anche in Snodgrass, NTS 21, 144.

188
Interpretazione

La versione originaria che risale a Gesù stesso aveva proba­


bilmente la forma seguente:34
Un uomo piantò un vigneton e lo affidò a dei vignaioli ed andò lontano
in un altro paese. '' A tempo debito11 inviò un servo dai vignaioli per ri­
cevere da loro (la sua parte) dei frutti del vigneto. Ma questi lo afferra­
rono e lo maltrattarono e lo rimandarono indietro a mani vuote. Di
nuovo egli allora inviò da loro un altro servo; essi lo bastonarono a san­
gue e (lo) insultarono. Allora ne inviò loro ancora un altro : e questo lo
uccisero. Infine inviò da loro (suo) figlio dicendo (tra sé e sé) : «Avran­
no rispetto di mio figlio ! ». Ma quei vignaioli dissero tra di loro: «Que­
sto è l'erede, su, uccidiamolo e l'eredità sarà nostra ! ». Essi lo afferraro­
no e lo uccisero e lo gettarono fuori del vigneto.
Che farà il padrone del vigneto? '"

Se si considera innanzitutto la struttura narrativa di questa


parabola/9 si può constatare che essa è costituita da due ele-
34. Non ci sono prove sicure che dimostrino che la parabola è opera della comunità
primitiva. Innanzitutto è sbagliato far leva sugli clementi allegorici (o piuttosto meta­
forici! ) come indizi di non autenticità (come fa Klostermann, Mk, 120 s.); aprioristi­
co è infatti il presupposto (che Gesù avrebbe solo narrato delle parabole realistiche,
prive di elementi metaforici). Il fatto stesso che la comunità dovette rielaborarla non
poco per adattarla al suo uso, conferma l'autenticità della parabola (criterio della di­
scontinuità). È un dato storico certo, inoltre, la coscienza filiale di Gesù (come appa­
re in questa parabola) pur senza l'uso di titoli cristologici (cfr. Vincent, SelfRevela­
lion, 86; implicitamente anche Jeremias, Gleichnisse, 74; Weiser, Knechlsgleichnisse,
,1 s.; Hengel, ZNW .59. 37 s.; Frankemolle, Bile 13, 203; Léon-Dufour, Vignerons,
322 con riferimento a Ml. 1 1 ,27; Mc. 13,32; Robinson, NTS 21, 444 s. ; Grundmann,
Mk, 240 s.); (criterio della coerenza).
3.5· Traduzione con Bauer, Wb, s. u.
36. Rimane una supposizione il fatto che il proprietario fosse uno straniero (Jere­
mias, Gleichnisse, 73) . La situazione descritta era possibile anche in Galilea (Hengel,
ZNW .591 1.5 s.).
37. Con ciò si intende il tempo che è necessario affinché un vigneto appena piantato
inizi a produrre. xtz tp6i:; per lo meno in Mc. non può essere inteso in senso me­
- -

taforico (contro Montefiore, NTS 71 236, che attribuisce la mancanza di questo tratto
nell'Ev. 'J' h. alla sua tendenza deallegorizzante).
38. La ricostruzione si differenzia in punti essenziali da quella che presenta Léon­
Dufour, Vignerons, 3271 il quale elimina l'omicidio del terzo servo (ma per quale
motivo?) e considera perciò originario l'annuncio del giudizio (v. sopra, pp. 183 n. 6.
184 nn. 13 e 14) .
39. Dal punto di vista della storia delle forme questa versione va definita come crac-
menti: il comportamento di un uomo che pianta un vigneto
dandolo in affitto, ed il comportamento degli affittuari. Il
rapporto tra il proprietario del te"eno e gli affittuari4° è il cen­
tro della narrazione, che può essere trascritto con la coppia
di concetti «azione e reazione». Mentre nella parte prelimina­
re il soggetto è «un uomo», nel corso della narrazione è il
«padrone» o «gli affittuari». Il chiasmo dell'ultima fase (deci­
siva) è particolarmente bello: lui invia - diceva tra sé e sé - i
fittavoli dicono tra di loro - uccidono. Nella domanda finale
(v. 9a) il soggetto è ancora una volta il padrone. In questo
contrasto che costituisce la narrazione, egli ha per primo la
parola, piantando il vigneto e dando così agli affittuari un
mezzo di sostentamento, ed avrà la parola per ultimo inflig­
gendo loro la giusta punizione. L'azione del proprietario con­
siste nel suo ripetuto rivolgersi ai vignaioli che - iniziando
con l'invio dei servi - raggiunge il culmine con l'invio del fi­
glio. La reazione degli affittuari consiste al contrario nel loro
ripetuto rifiuto che - iniziando con il maltrattamento e con
l'uccisione dei servi - raggiunge il culmine nell'assassinio del
figlio. La narrazione pertanto ha come tema il rifiuto degli af­
fittuari alle giustificate richieste del proprietario: un rifiuto
che dovrà avere ovviamente le sue conseguenze. La questione
se questa parabola sia «realistica» o meno41 apporta poco alla
sua comprensione: decisivo piuttosto è il fatto che la combina­
zione degli elementi narrativi appaia verosimile all'uditore e
conto parabolico», perché non argomenta con l'autorità di ciò che awiene solita­
mente, e rivela tratti chiaramente fittizi (cfr. Crossan, JBL 90, 462; Frankemolle, Bi
Le 13, 198) . La presenza di qualche tratto metaforico non è incompatibile con la for­
ma del racconto parabolico (cfr. Bultmann, Synoptische Tradition, 214 s. ) .
40. Ciò risulta chiaramente dalla struttura narrativa e d esclude che il ruolo d i prota­
gonista spetti agli affittuari (postulato per es. in Via, Gleichnisse, 1 30, in base alla sua
concezione esistenziale, secondo la quale questa parabola deve avere come tema la
concezione esistenziale di costoro) oppure alfiglio (Frankemolle, BiLe 13, 201 ).
41. Il «realismo» della parabola non può assurgere a criterio di autenticità (rappre­
sentativo: Jeremias, Gleichnisse, 72-74 che vede nel realismo l'elemento distintivo tra
parabola ed allegoria e pertanto si sforza di dimostrare punto per punto il realismo
della nostra parabola) anche se si deve concedere che la parabola funziona solo se
descrive un awenimento «immaginabile» (Hengel, ZNW 59, 25) .

190
possa condurlo al punto decisivo. Qui più che mai si deve pre­
stare attenzione al carattere fittizio delle parabole. La narra­
zione non è «tratta dalla vita» ma deve la sua esistenza all'in­
tenzione comunicativa del narratore .µ Lo scopo è raggiunto
.

nel momento in cui gli uditori vengono sollecitati a prendere


una decisione: «che cosa farà il padrone del vigneto?». La do­
manda finale impedisce all'uditore di mantenersi a distanza
nei confronti della storia (come sarebbe potuto avvenire con
una grossolana descrizione della punizione). Essa invece lo
coinvolge e in modo tale che egli deve accettare la punizione
dei vignaioli come una conseguenza ovvia da supporre.
Questa parabola presentava già nello stadio di Gesù alcuni
tratti inequivocabilmente meta/orid. Sin dall'inizio viene rie­
vocato all'uditore il cantico della vigna di Isaia: il protagoni­
sta diventa pertanto una metafora di Dio, la vigna una meta­
fora di Israele; 43 ne deriva pure che i servi raffigurano i profe­
ti inviati da Dio a rammentare ad Israele il suo compito. In
questa sequenza viene collocato anche «il figlio», che diviene
così una metafora dell'inviato definitivo, il cui invio coincide
con l'ultimo tentativo di Dio per ricondurre alla ragione
Israele.44 Oltre agli elementi suddetti, nella parabola compaio-

42. A ragione l'invio del figlio viene considerato come un'esagerazione voluta, detta­
ta dall'intento del parabolista (ossia dal pninum comparationis! [cfr. 1.1.3: Jiingel]) e
non è imposto né dal realismo né dalla logica interna del racconto (Weiser, Knechts­
gleichnisse, 50-52), anche se è un'eventualità pienamente possibile (Hengel, ZNW
59, 27). lntutile dunque una verifica storica della parabola (con Schniewind, Mk, 145
s.; l'impossibilità della narrazione non è indizio di inautenticità; cfr. Frankemolle,
BiLe 13, 200). Gesù vede rappresentato nell'invio del figlio il suo stesso invio; perciò
racconta cosl. Per altri tratti «non realistici» v. Lohmeyer, Mk, 244.
43. Notata già da Jeremias, Gleichnisse, 68, questa metaforicità («carattere allegori­
co»), deve essere presupposta già per gli uditori di Gesù (cfr. per es. Léon-Dufour,
Vignerons, 318; Blank, Sendung, 15).
44. Il figlio come «vero vicario del proprietario» (Hengel, ZNW 59, 38) è essenzial­
mente differente dai servi, nonostante riceva il loro stesso incarico. Dal punto di vi­
sta formale questa differenza fondamentale è sottolineata anche dal fatto che la serie
degli invii dei servi raggiunge il culmine con l'uccisione del terw servo e giunge cosl
alla sua conclusione. In questo modo viene lasciato aperto uno spazio per una nuova
ripresa narrativa (anche per questo motivo non mi sembra giustificata l'espunzione
del v. 5a) .
no molti elementi che servono solo alla logica del racconto e
non esigono alcuna interpretazione metaforica. 4' Se si parte
dal presupposto che il Gesù storico fu il narratore di questa
parabola,-t6 essa deve essere interpretata innanzitutto nel con­
testo della vita di Gesù. Il rifiuto del popolo nei confronti di
Dio si esprime in essa come rifiuto nei confronti dei suoi invia­
ti, in particolare come rifiuto nei confronti dell'inviato defini­
tivo, il figlio. Ma ciò implica che Gesù ha inteso se stesso co­
me l'inviato definitivo, il cui rifiuto equivale al rifiuto di Dio
stesso. Gesù come «figlio» fa le veci di Dio:47 la sorte del po­
polo giudaico si decide in base al comportamento nei suoi
confronti. Qui si potrà parlare a ragione di una autocompren­
sione escatologica e teologica di Gesù. Escatologica, in quanto
Gesù considera se stesso, in analogia ai profeti, come l'inviato
di Dio respinto e perseguitato, ma come fondamentalmente
diverso da essi allo stesso modo che il figlio si distingue fon­
damentalmente dai servi. 411 La pretesa di definitività, che Gesù
solleva in questa parabola riguardo alla sua persona, deriva
dalla sua concezione della vicinanza del regno: nella sua per­
sona la basileia si era avvicinata al mondo in modo tale da

4, . Tra questi annovero l'ccandare in un paese lontano•, il ccmomento giusto•, i


ccfrutti•, il trattamento dei servi, il fatto che il figlio viene riconosciuto come l'erede e
gettato fuori dal vigneto. Per questi elementi cfr. Léon-Dufour, Vignerons, 328 s. ;
Schmid, Mk, 218.
46. Per una motivazione di questa ipotesi v. sopra, p. 189 n. 34 .

47. Questo rientra nei significati cui può estendersi il termine ccfiglio•. Si tratta di
una rivendicazione caratteristica del Gesù storico, cfr. Fuchs, ZThK '-3• 219; Rawlin­
son, Mk, 162; Blank, Sendung, 2 1 s. 40: ccMi sembra fondato prendere in considera­
zione come punto di partenza della designazione 'Figlio' il Gesù terreno•.
48. Sullo sfondo non c'è, owiamente, una visione storico-salvifica, quanto piuttosto
una interpretazione tipologica della storia anche se non nel senso di una tipologia
universale e sistematica. V. Weiser, Knechtsgleicbnisse, '1 s. (la differenza figlio-ser­
vo va intesa in senso escatologico! ) . Questo tratto non viene preso in considerazione
da Jeremias (G/eichnisse, 74). Pertanto, «Figlio• non va necessariamente inteso come
specifico titolo cristologico (con Hengel, ZNW ,9, 38), ma nel contesto della co­
scienza «filiale• di Gesù. Importante, comunque, la rivendicazione della definitività,
avanzata da Gesù (un po' come nelle antitesi del discorso della montagna). Cfr. an­
che Léon-Dufour, Vignerons, 323; Blank, Sendung, 17 s. (che attribuisce la conce­
zione al giudeo-cristianesimo palestinese, non a Gesù) .
comportare una differenza essenziale tra lui e tutti gli inviati
precedenti; ed è per questo che la sorte di Gesù nella nostra
parabola viene tematizzata molto di più che nelle altre. A
questo riguardo va rilevato che oggetto della parabola non è
la sorte di Gesù in se stessa ma solo in quanto col destino del­
la sua persona è in gioco la basileia stessa. Rifiutando Gesù, il
popolo di Dio in pari tempo rifiuta la presenza del regno di
Dio. E poiché la vicinanza della basileia instaurata attraverso
Gesù non può essere superata da nessun'altra più grande, la
storia di Dio con Israele con l'invio del figlio raggiunge la sua
conclusione. In tal senso, l'uccisione del figlio nella parabola
corrisponde alla valutazione che Gesù dava del suo conflitto
con il giudaismo ufficiale, e non è una profezia o una predi­
zione della sua passione. Il contesto storico della parabola
potrebbe essere quindi l'ultima fase dell'attività di GesÙ.49
In quest'ultima fase del conflitto Gesù stimola gli uditori a
prendere coscienza, a rendersi conto dell'enormità del rifiuto
nei confronti dell'ultimo inviato divino. La parabola deve
mostrare agli uditori che cosa è in gioco nel loro comporta­
mento nei confronti di Gesù, definendo il comportamento
nei confronti di Gesù come comportamento nei confronti di
Dio stesso. La domanda finale provoca il consenso dell'udito­
re sull'owietà con la quale al rifiuto ostinato seguirà la puni­
zione. In tal modo la parabola rammenta agli uditori la puni­
zione di Dio, che il loro comportamento ha provocato, ma
non per annunciare,0 il giudizio, bensi per ricondurli alla ra­
gione e alla conversione. Perciò la parabola ripete con pres-

49. Con Jeremias, Gleichnisse, 74 s. e Hengel, ZNW 59, 37. C'è da chiedersi però se
la parabola abbia realmente il suo contesto storico nel conflitto coi farisei (così per
es. Rawlinson, Mk, 162).
50. Solo con grande cautela si può parlare di una «parabola di giudizio» (Hengel,
ZNW 59, 33). Il giudizio non compare come oggetto diretto di annunzio, ma solo
nella vicenda parabolica, in cui è menzionato come qualcosa che va da sé. Viene a n­
nunciato nella parabola solo perché possa essere evitato. Questa forma metaforica
che assume qui l'annuncio del giudizio, a mio awiso dovrebbe essere oggetto di ben
più attenta considerazione. Essa senz'altro si presenta fondamentalmente come non­
apocalittica, perché fa di tutto per portare l'uditore dalla parte della salvezza.

193
sante insistenza il tentativo di Dio, già palese -in tutta la storia
di Israele, di dissuadere Israele dal «no» nei suoi confronti e
portarlo al «SÌ» nei confronti dell'inviato definitivo.'' Il fatto
stesso che questo tentativo assume la forma di una parabola è
espressione dell'azione di Dio, che vuole attirare a sé, invitare
al consenso: azione di Dio che era iniziata con i profeti del-
1'Antico Patto ed ha raggiunto il culmine e al tempo stesso la
conclusione con l'invio del figlio, perché Dio con la resurre­
zione di Gesù si è tanto avvicinato al mondo da superare an­
che il «no» del mondo nei suoi confronti.
La comunità premarciana ha utilizzato la parabola di Gesù
per rappresentare la sua visione della storia della salvezza. Da
una parte con l'allusione ai LXX al v. rb essa indica che la
parabola riguarda innanzi tutto il rapporto tra Dio e Israele.
Dall'altra, l'inserzione del v. 5b rende assolutamente chiaro
che l'invio dei servi rappresenta quello dei profeti.'' Ne conse-

51. Su questa base vanno respinte alcune interpretazioni correnti. Un esempio parti­
colarmente chiaro di interpretazione che si attiene rigorosamente al canone jiiliche­
riano del lerlium comparalionis è offerto da J.E. e R.R Newell, NT 14, 226-237: il
lerlium comparationis sarebbe il trattamento crudele subito dai messi del padrone;
la parabola perciò si rivolgerebbe agli zeloti o ai loro simpatizzanti: «An audience of
Zealot sympathizers would not be sympathetic to the foreign landlord» ma piuttosto
al riformismo agrario degli zeloti. «The hcarers of the parable are forced to a con­
clusion that they would not normally accept: that the logica! outcome of such tactic
(se. la «violence» degli zeloti) is self destruction» (op. di. , 236) La pointe della para­
.

bola sarebbe: «violence» porta alla catastrofe. Esempio perfetto di quell'interpreta­


zione moralistica (che è essenzialmente insita nel metodo del lertium comparationis).
Parimenti va escluso che la parabola significhi semplicemente che gli uomini che
valutano adeguatamente la loro situazione debbono agire di conseguenza (come vor·
rebbe Crossan, JBL 90, 464) , e tanto meno che l'uomo che non crede in una realtà
trascendente può cedere alla tentazione della violenza (come vorrebbe Via, Gleich­
nisse, 1 3 1 s.). Né si può stabilire con certezza che la parabola originaria mirasse a di­
fendere la predicazione del vangelo ai poveri (così Jeremias, Gleichnisse, 74) o a mi­
nacciare la punizione per la cattiveria dei farisei (così Klauck, Bile u, 135; anche
Branscomb, Mk, 2n).
52. Cfr. Crossan, JBL 90, 452 s. ; Weiser, Knechtsgleichnisse, 55 (non si pensa alla
sorte dei singoli) ; Jeremias, Gleichnisse, 68 s. Se si considera il v. lb assieme al v. 5b,
anche il primo rivela chiaramente un riferimento storico-salvifico (contro Hengel,
ZNW 59, 17 s.), poiché l'immagine viene intenzionalmente abbandonata e viene in­
trodotto un riferimento alla storia effettiva dei profeti (che furono più di tre). Per la
questione cfr. anche Léon-Dufour, Vignerons, 323.

194
gue la nuova motivazione dell'invio del figlio: dopo che Dio
aveva inviato al suo popolo tutti i profeti, non gli rimaneva
più nessun'altra possibilità che inviare suo figlio. Nonostante
la diversità della motivazione originaria, anch'essa serve alla
comunità per esprimere la definitività dell'invio del figlio.H In
tal modo la sorte del figlio viene compresa in analogia con
quella dei profeti.'4 L'interpretazione cristologica della para­
bola di Gesù, già evidente nei ritocchi suddetti, lo diventa an­
cor più con l'aggiunta della citazione del Salmo (vv. 10 s.) : la
storia di Dio con Israele non fini con la morte violenta del fi­
glio; al contrario, Dio stesso pose un nuovo inizio facendo ri­
sorgere il Crocifisso e trasformando la pietra scartata in pietra
angolare." Questo nuovo inizio da una parte ed il comporta­
mento degli affittuari dell'altra implica che il vigneto sia
«consegnato ad altri». Il disegno di Dio su Israele è fallito per
il rifiuto del suo popolo; il progetto di Dio d'ora in poi dovrà
avere altri interlocutori: la comunità cristiana.'6
Questa trasformazione, che la parabola originaria di Gesù
ha subito strada facendo nella comunità, assume un valore
paradigmatico e merita una analisi approfondita. Essa mette
in luce come la «metà figurata» della parabola di Gesù sia di­
venuta nella comunità il veicolo linguistico della sua cristo­
logia e della sua autocomprensione storica (storico-salvifica) .

n. Con l'accenno i-:1 iv11 Elxtv la comunità indica che l'epoca dei profeti è già pas·
sala e che è giunta l'epoca del Figlio. Questo aspetto di definitività viene qui motiva­
to, più che in senso cristologico-funzionale (come nella parabola originaria), in senso
s t orico - salvifico (adesso è la pienezza dei tempi).

;4. Questa potrebbe essere una delle prime forme documentabili della cristologia,
cfr. Klauck, BiLe I I , 139; Frankemolle, BiLe r3, 202; Blank, Sendung, 19-22.
;;. L'aggiunta della citazione del Salmo conferma ancora una volta che la parabola
era di Gesù e non implicava la resurrezione; l'aggiunta, infatti, rompe chiaramente
l'unità della forma (v. Klauck, BiLc I I , 1 36-140; Léon-Dufour, Vignerons, 333 s.;
Crossan, JBL 90, 4.5,5; cfr. Lohmeyer, Mk, 246, che tuttavia attribuisce la citazione al
redattore). Blank, Sendung, 18 (nel presupposto di un'origine postpasquale) definisce
questa aggiunta altamente significativa.
56. Qui ci troviamo dinanzi ad uno stadio arcaico dell'autocoscienza ecclesiologica
della comunità: essa si considera subentrata ad Israele (cfr. anche Frankemolle, BiLe
1 3, 202).

1 95
Da un lato l'immagine originaria fu sviluppata, per riflettere
più chiaramente l'esperienza storica (citazione di Is. , v. 5b, v.
9b, citazione dal Salmo) . Dall'altro, venne utilizzata per inter­
pretare la morte e la resurrezione di Gesù come l'intervento
definitivo di Dio, come la svolta del mondo. In tal modo la
parabola consenti alla comunità di comprendere la morte di
Gesù come conclusione della storia di Dio con Israele ed allo
stesso tempo come inizio di una nuova storia. Con questa in­
terpretazione la comunità esprimeva il fatto che Gesù era il
narratore ed allo stesso tempo l'oggetto della parabola. Con
la sua interpretazione «allegorizzante» essa prese sul serio il
fatto che il contenuto della narrazione non fosse valido per
chicchessia ma solo per Gesù, che - crocifisso al posto di Dio
- era stato da Dio richiamato alla vita.'7
Marco a sua volta definisce gli uditori come i rappresentan­
ti del popolo giudaico e attesta cosl di condividere l'interpre­
tazione della sua comunità. Nella parabola, per lui, è in primo
piano non tanto la promessa di Dio alla comunità cristiana
quanto l'affermazione cristologica: lo dimostra l'inserimento
del predicato cristologico àya7tT,'toc; come pure la collocazione
della parabola nel contesto delle controversie in Gerusalem­
me.'8
Matteo invece, a differenza di Marco, si interessa principal­
mente alla dimensione storico-salvifica ed ecclesiologica della
parabola. Egli riformula le metafore in modo tale che appari­
rà più chiaro il passaggio del regno di Dio da Israele ad un
«popolo che darà i suoi frutti (vale a dire i frutti del regno di
Dio) (v. 43 cfr. v. 41 ! ) .'9 Tuttavia mentre la versione di Marco
,7. Per questo motivo l'interpretazione cristologica viene definita, a ragione, come la
principale preoccupazione di questa comunità (Léon-Dufour, Vignerons, 33, ) .
,s. Identica valutazione, a d esempio, i n Léon-Dufour, Vignerons, 33, ; Klauck, Bile
II, 142.
,9. Ilv. 43, che rimanda anche al v. 3 1 (�1271),a:i� 't'Q'j �a:ou !), è un inserimento di Mt.
Contro Léon·Dufour ( Vignerons, 343) si deve dire che la versione di Mt. rivela chia­
ramente ritocchi storico-salvifici (cfr. per es. la lapidazione dei servi, l'inversione
gettar fuori - uccidere) o dettati dalla polemica col giudaismo, anche se non si limita
solo a questi aspetti.

196
si volge indietro verso quella svolta nella storia della salvezza,
la versione di Mt. la sposta nel/uturo. Questo spostamento va
spiegato nel senso che Mt. col giudizio nei confronti del po­
polo d'Israele vuole annunciare60 allo stesso tempo anche il
giudizio sui discepoli, sul nuovo popolo di Dio; 6' egli fa notare
alla sua comunità che il vigneto può essere tolto di nuovo an­
che a lei. Cosl si spiega anche l'accentuazione del portar frut­
ti: il servo richiede «i frutti» (v. 34) ; il vigneto viene dato ad
altri che diano frutti (v. 41) ; il regno di Dio verrà dato a un
popolo che produca frutti (v. 43) .62 Questa accentuazione del
portar frutti (chiara metafora del «compiere la volontà del Pa­
dre» : cfr. v. 3 I l t rivela indubbiamente l'interesse parenetico
di Matteo. 64 Questa prospettiva viene rafforzata anche dal
contesto accuratamente strutturato: mostrando come Israele
subisce l'interrogatorio (21,23-27), la condanna (21 ,28-32), la
sentenza (21,33-46 spec. v. 43 ! ) e la sua esecuzione (22,1 -14
particolarmente v. 7) , Mt. indica alla sua comunità (22,11-14 ! )
quale giudizio verrà emanato su di essa se essa non si com­
porta6' secondo le norme del giudizio.66 I ritocchi di Mt. svi­
luppano la dimensione storico-salvifica della parabola mar­
ciana, subordinandola però alla parenesi. Evidentemente la
situazione della comunità di Mt. richiedeva che fosse denun­
ziato e neutralizzato il pericolo della securitas, insito in quella
autocomprensione storico-salvifica. È questo l'obiettivo per-

6o. Resta degno di nota che la comunità «non (è) semplicemente il nuovo popolo di
Dio, bensl un nuovo popolo di stampo particolare» (é,9.voi;) , Schweizer, Mt, 270.
61. Bornkamm, Enderwartung, 40; cfr. a tal proposito Schweizer, Mt, 271 ; Léon·
Dufour, \lignerons, 344.
62. Evidente il crescendo dal v. 41 («consegnare i frutti») al v. 43 («produrre i frut­
ti») (Schweizer, Mt, 270).
63. La connessione del v. 43 con il v. 31 non può essere trascurata (Schweizer, Ge­
meinde, 117 s.).
64. Cosl pure Barth, Gesetzesverstiindnis, '6; Léon-Dufour, \lignerons, 341 («pers­
pective catéchétiquei.).
6,. La misura del giudizio futuro è il fruttificare, cioè compiere la volontà divina;
cfr. Bornkamm, Enderwartung, 18.
66. Per l'intera questione cfr. Schweizer, Mt, 261-263 ; Idem, Gemeinde, 1 17-1 19.

197
seguito da Mt. con la sua interpretazione della parabola dei
vignaioli.
L'interpretazione di Luca si caratterizza da un lato per l'eli­
minazione di alcuni riferimenti alla storia della salvezza (egli
sopprime l'allusione ai LXX: v. 9; i servi non rinviano più co­
sì chiaramente ai profeti) e dall'altro per la ripresa dell' accen ­
tuazione cristologica (colpisce particolarmente il v. 1 8 che sot­
tolinea la necessità fondamentale67 della decisione nei con­
fronti di Cristo) .68 Va notato inoltre che sia per l'invio dei ser­
vi sia per quello del figlio viene usato il verbo 7tÉtJ.7tm1 : ciò po­
trebbe indicare che Le. non ravvisa una differenza fondamen­
tale tra i servi ed il figlio; con ciò concorderebbe il fatto che
per Luca il figlio sarebbe solo il punto finale di una linea ini­
ziata coi profeti, dal momento che il terzo servo non viene uc­
ciso. 69
Nell'interpretazione del Vangelo di Tommaso va presa in
considerazione innanzi tutto la mancanza di qualsiasi metafo­
ra cristologica e storico-salvifica: la storia finisce con l'ucci­
sione del figlio. Al centro della parabola, chiaramente, non sta
più il figlio, bensì il compito che egli deve assolvere (ricevere
il frutto in qualità di «erede») .70 Lo mostra anche la trasforma­
zione del Salmo: nel log. 66 la pietra non è Gesù, bensì qual­
cosa sulla quale è reso possibile l'insegnamento di Gesù, dun­
que certamente la vera gnosi.7' Pertanto la parabola mira es­
senzialmente a mettere in luce come i portatori di questa gno­
si vengono respinti dal mondo e questo - altro elemento tipi­
camente gnostico - a causa dell'ignoranza della loro origine
divina. L'ultimo portatore, il figlio, è noto come erede, e viene
ucciso proprio per questo: tale consapevolezza è per lo gnosti-

67. Klauck, BiLe 1 1 , 144.


68. Cosl pure Léon-Dufour, Vignerons, 337 (ripresa della linea cristologica in Le. ).
69. Probabilmente qui la cristologia è subordinata alla storia, il che comporta uno
sminuire la dimensione escatologica di Gesù Cristo.
70. A tal proposito Schrage, Thomasevange/ium, 145. Il figlio raffigura il redentore
ovvero il rivelatore.
71. Cfr. Montefiore, NTS 7, 230.
co allo stesso tempo il contenuto della vera gnosi; questa è la
testata d'angolo.12

2.2.2. La parabola del portiere


(Mc. 13,33 -37 par. Le. 1 2,35 -38)
Ricostruzione
La parabola tramandata da Mc. rivela da un lato elementi
paralleli a Le. 12,35-38,73 dall'altro contiene elementi che ri­
cordano la parabola dei talenti o delle mine (Mt. 25,14-30
par.) .74 Una dipendenza letteraria è inverosimile anche se Mc.
e Le. attingono certamente a un fondo comune.7' Mentre la
versione di Le. si presenta in certo qual modo conclusa in se
stessa, quella di Mc. rivela delle contraddizioni: il v. 34a pre­
suppone una lunga assenza del padrone, il v. 35 al contrario
prende in considerazione un ritorno nella notte (cosa invero­
simile in un lungo viaggio) ; al v. 34a il padrone dà ai suoi ser­
vi «i pieni poteri»,76 mentre al v. 35 si presuppone solo una sua

72. Questo è un tratto secondario, con Schrage, Thomasevangelium, 144, contro


Montefiore, NTS 7, 226 (che lo considera originario). Il mancato riconoscimento di
colui che porta la rivelazione è un tema fondamentale tra i più importanti nella gno­
si, cfr. Ev. ver. 31,3 s. Questa interpretazione appare «plausibile» anche a Dehand­
schutter ( Vignerons, 217 s.), sebbene egli preferisca ravvisarvi una condanna della
«poursuite du bien matériel» (come in Ev. Th. 63.64) (op. cii. , 217).
73. Le differenze sono comunque considerevoli: la versione di Le. paragona gli udi­
tori agli uomini (in Mc. invece l'«uomo» è il padrone); tu/li attendono il padrone (in
Mc. solo il portiere) ; il padrone è fuori per un banche/lo; il padrone ri'compensa i ser­
vi vigilanti (v. 37) ; le ore della notte vengono calcolate in maniera diversa da quelle
di Mc. (cfr. Weiser, BiLe 13, 27, e Schneider, Parusiegleichnisse, 3 1 ) ; l'introduzione
(v. 35) è completamente diversa da quella di Mc. (v. 33).
74. Cfr. Jeremias, Gleichnisse, 5 1 (come si può immaginare concretamente una deri­
vazione di Mc. 13,349 da Mt. 25,14?); Haenchen, Weg, 4H (è stato lo stadio Q, o uno
anteriore, l'coccasione per la formazione di questo detto?»); Schweizer, Mk, rn (la
formulazione più cauta).
7.5 · Stessa valutazione in Schneider,
Parusiegleichnisse, 32, che peraltro prende in
considerazione una versione Q (per questa questione non è possibile nessuna solu­
zione convincente) ; cfr. Dupont, Maitre, 1o6.
76. Il tema generale è un padrone che è fuori per un banchetto (cfr. Jeremias, Gleich­
nisse, 52) e di cui bisogna attendere il ritorno. Un tratto metaforico va visto nella

199
breve assenza; al v. 34a viene conferito ad ogni servo «il pro­
prio compito», mentre il v. 36 (come anche il v. 35a) vede co­
me compito di tutti i servi il «vegliare».77 Queste contraddizio­
ni portano alla conclusione che qui sono confluiti due temi
diversi: da un lato il tema di un padrone che rientra tardi di
notte (vv. 33.34b.35 s.; soggiacente anche alla versione di Le. )
e dall'altro il tema del padrone che si assenta per un lungo
periodo (v. 34a) . Alla domanda da dove provenga il secondo
tema,78 non è più possibile rispondere. I vv. 33-36, in ogni ca­
so, non rivelano particolarità linguistiche di Mc. ;79 ma la gene­
ralizzazione al v. 37 può benissimo risalire a Mc. Bo
Per la storia della tradizione ne consegue che è difficile sta­
bilire quale dei due sia il tema originario della nostra parabo­
la; un argomento a favore della originarietà del primo tema
(il padrone che ritorna di notte) è che esso si inserisce bene
nella predicazione di Gesù e della comunità primitiva81 ed

straordinaria ricompensa dei servi (v. 37b), come pure nel fatto che tutti attendano il
padrone.
77. Per l'intera questione cfr. Jeremias, G/eichnisse, 51; Schweizer, Mk, 153; già Jiili­
cher, Gleichnisreden 11, 169 s.; Dupont, Maitre, 105-107.
78. Difficile immaginare che derivi da Mt. 2,,14. Sarebbe pervenuto alla comunità
premarciana da una forma anteriore di Mt. 2,,13 ss. (cosl Haenchen, Weg, 453?)?
79. Ha al contrario alcuni termini rari: iiyFumtiv in Mc. solo qui, altrove: solo in Le.
21,36; Eph. 6,18; Hebr. 13,17. r.Qu Mc. 9,19 (2 x , tradizionale) ; 13,4 (senz'altro anche
tradizionale, cfr. Schweitzer, Mk, 144) ; 13,33.3'; ypr,yot:tiv 3 x nella scena del Get­
semani (Mc. 14,34.37. 38) ; 3 X nella nostra pericope. &:r.�lJi.a.oi:; (se è giusta la lezione
prescelta dal Nestle) è hapax. oìxlat ricorre in Mc. più spesso come tradizione ( 12 X )
che come redazione (3 X ). Anche ceoualat può ricorrere nella tradizione (2,10 ! ) , con­
tro Weiser, BiLe 13, 30. Éxata-roi:; ricorre in Mc. solo qui ( ! ) ; ipyov ricorre in Mt. 6 x , in
Mc. e Le. 2 x ciascuno; assai spesso invece in lo. , Act., Apoc. -8upwp6i:; ricorre solo qui
e 3 X in lo. ÈnÉÀÌ.etv si trova ' X in Mt. , 2 X in Mc. , 1 X in Le. è�atl9VlJi:; si trova solo
qui in Mc. , 2 X in Le. , 2 x Act. ; ><at-8ciJattv si trova 3 X in Mc. nella scena del Getsema­
ni, inoltre in Mc. 4,27 (tradizionale, cfr. p. 132). 38 (tradizionale) ; ,,39 (tradizionale) .
So. N e risulta che fu senz'altro Mc. a collocare questa parabola nel contesto del di­
scorso escatologico (13,1-27) (cosl Schweizer, Mk, 1,2 s.), perché l'allargamento dei
destinatari si spiega solo in riferimento a 13,3. La stessa posizione anche in jeremias,
Gleichnisse, '1 n. 4; Haenchen, Weg, 4'3; Schweizer, Mk, 1,,; Weiser, BiLe 13, 27;
Dupont, Maitre, 90. 9,.
81. Cfr. ad es. da una parte il logion Mc. 13,32; Mc. 9,1 (se autentico), v. anche Le.
17,20 s. (con Jiingel, Paulus und ]esus, 193 s.), e dall'altra, 1 Thess. , ,2; Le. 12,39.

200
inoltre che la versione di Le. conosce solo questo tema. Un
argomento a favore della originarietà del secondo tema (la
lunga assenza) è che anch'esso è pensabile in bocca a Gesù o
nella primitiva predicazione cristiana ed inoltre armonizza con
la parabola dei talenti.82 La combinazione con l'invito alla vigi­
lanza sarebbe in questo caso una ri-apocalitticizzazione di
una parabola (di Gesù) che originariamente mirava a mettere
in luce le esigenze del regno di Dio. 83
Il primo tema, in ogni caso, si fece strada da una parte nella
comunità premarciana, che lo intese in senso apocalittico, 84 e
dall'altra nella comunità prelucana, dove Luca lo trovò e lo
situò nel contesto dei detti sulla vigilanza e la fedeltà (Le.
12,35-48).

Interpretazione
Lo stato del materiale tramandato,8' fortemente rielaborato,
costringe a rinunciare alla ricostruzione di una parabola origi­
naria (di Gesù) . In compenso, per i due temi combinati in
Mc. è possibile ricostruire il loro significato nel Gesù storico.
Il tema della breve assenza e del ritorno notturno di un
«uomo» (o di un padrone) già nello stadio di Gesù potrebbe
essere stato collegato con l'invito alla vigilanza (che riguarda­
va solo il portiere: cfr. Mc. r3,34b) .86 In questo contesto l'im­
magine esprime la vidnanza del regno di Dio, e in termini tali
da mettere in risalto la sua incidenza sul presente, senza però
consentire di stabilire l'intervallo cronologico tra il presente e
82. In bocca a Gesù esprimerebbe l'esigenza insita nella basileia; nella comunità ri·
fletterebbe il problema dcl ritardo della parusia. Secondo Bauckham, NTS 23, 168
l'inserimento del tema dcl padrone che torna di notte equivale ad una «deparaboli­
zation» secondaria del tema originario.
83. Sulla ri-apocalitticizzazione delle parole di Gesù nella comunità, cfr. Kiisemann,
An/iinge, 82-104, in panicolare pp. 100-ro4; anche Bauckham, NTS 23, 166 s.
8+ Lo mostra il legame del v. 34b con il v. 33 e i vv. 35 s. (cfr. sotto, p. 203) .
8 5 . Jeremias, Gleichnisse, conclude, a ragione: «è stata fonemente scomposta . . . » .
86. L a stessa posizione in Jeremias, Gleichnisse, 5 1 ; Weiser, Bile 13, 2 8 ; Dupont,
Maitre, III.

20!
/'(imminente) avvento del regno di Dio. 67 Il portiere sa che il
suo padrone è vicino, ma non sa quando verrà, perciò deve
vegliare. Intesa cosi, l'immagine rivela una sua particolare ef­
ficacia per eliminare la struttura temporale dell'attesa nel sen­
so dell'apocalittica giudaica. Come il portiere ha il compito
di vigilare per non lasciarsi sfuggire l'arrivo del padrone, cosi
l'uditore di questa «parabola» viene spinto a prestare atten­
zione ai «segni del tempo» per non lasciarsi sfuggire l'arrivo
della basileia. Questa venuta è da intendere come venuta di
Dio stesso che sazia gli affamati e fa ridere coloro che piango-
88
no.
Già nella prima comunità postpasquale questa immagine fu
interpretata in senso apocalittico. I segni del tempo erano sta­
ti constatati: nella comparsa di Gesù si vedeva l'inizio del re-
87. La direzione giusta mi sembra quella indicata da Jiingel quando scrive che Gesù
intende il futuro «come futuro vicino in rapporto diretto col presente». Questo futu­
ro non conosce «tempi intermedi» (Pau/us und ]esus, 180). Ne consegue che la vici­
nanza della basileia è la sua essenu. «Ma se Gesù espresse l'essenza del regno di Dio
come 'vicinanza alla storia', è inadeguato caratterizzare la predicazione di Gesù con
lo slogan 'attesa a breve scadenza', al quale poi segue necessariamente l'altro 'ritardo
della parusia'» (ibid. ). Questo aspetto della predicazione di Gesù riguardo alla basi­
leia, a parer mio, viene considerato troppo poco, anche se si deve concedere che
Mc. 9 1 sembra contraddire questo modo di vedere; cfr. tuttavia Linnemann, G/eich­
,

nisse, 138 n. 26. Sul problema, v. anche Dupont, MaiJre, n , : «L'importance décisive
de l'heure présente lui vient du lien qui l'unit à l'intervention finale de Dieu . . . Puis­
que son ministère (se. di Gesù) atteste que le Règne de Dieu est tout proche, il est in­
vitation à se tenir pret, à se tenir en éveil, sans quoi l'événement tournerait à la catas­
trophe».
88. Va criticata perciò l'interpretazione di Jeremias, poiché definisce unilateralmente
come «crisi» la venuta della basileia, e vede perciò nella nostra parabola una parabo­
la della crisi. Questa unilateralità deriva dall'altra unilateralità nell'individuare i de­
stinatari di questa parabola (gli scribi), G/eichnisse, ,2. E questa a sua volta deriva
dallo scopo attribuito alle parabole da Jeremias: strumento di lotta (cfr. sopra, p. 38).
L'interpretazione di Weiser (Knechlsg/eichnisse, 149 s.; cfr. BiLe 13, 28 s.) tiene trop­
po poco conto del fatto che la «vigilanza» è originariamente un'immagine e non può
essere trasposta direttamente nell'applicazione. Tale trasposizione diretta della «Vigi­
lanza» presupporrebbe già una interpretazione apocalittica e cristologica del tema.
Dodd (Parab/es, 16,-167) trascura il carattere escatologico della basileia, quando di­
ce: «lt (la parabola originaria) was not spoken to prepare the disciples for a long
though indefinite period of waiting for the second advent, but to enforce the neces­
sity for alertness in a crisis now upon them» (Parab/es, 167). Per crisi si intende «His
(se. di Gesù) own ministry» (p. 16,).

202
gno di Dio, e si attendeva tra breve il suo compimento come
parusia del Figlio dell'uomo. La concezione del tempo impli­
cita nella concezione apocalittica si rivela chiaramente nell 'e­
lenco delle varie ore della notte tramandate diversamente in
Le. e Mc.
Le esortazioni a prestare attenzione e a vigilare furono ag­
giunte, al più tardi, nella comunità premarciana (vv. 33.35a.
36) ; in tal modo fu sottolineata l'interpretazione apocalittica.
Se si parte dal presupposto che nella comunità premarciana
questo tema sia quello originario,119 l'inserzione del tema del
padrone che va in un paese lontano conferma la validità del­
la nostra ricostruzione. In effetti, sotto l'impressione del ritar­
do della parusia, si rese necessario correggere la precedente
interpretazione apocalittico-entusiastica: alla concentrazione
sull'incondizionata attesa dell'arrivo del padrone subentrò il
problema del senso da attribuire all'intervallo tra l'inizio e la
venuta. 90 La risposta fu la seguente: come ogni servo ha i pieni
poteri durante l'assenza del padrone per adempiere ai compi­
ti che gli sono stati assegnati, così il credente deve esercitare
la funzione che gli è stata conferita, e così dare un senso al
tempo che si prolunga sino alla parusia.
Marco a sua volta colloca qui la parabola, cosi intesa, per
sottolineare la tesi evidente nell'intero capitolo, del ritardo
della parusia, e d'altra parte per mettere in risalto la connota­
zione etica del periodo intermedio.91
Anche nella comunità prelucana l'interpretazione apocalitti-

89. Come presuppongono molti interpreti; cfr. per es. Jeremias, Gleichnirre, 5 1 ;
Schweizer, Mk, l H ; Weiser, Knechtrgleichnirre, 137·
90. A tal proposito Schweizer, Mk, 153: «Quando la sola immagine dell'improvvisa
venuta del padrone durante la notte non bastò più, poiché non si può aspettare per
anni e decenni il momento apocalittico della comparsa del Figlio dell'uomo, era ine­
vitabile che questa seconda immagine passasse più fortemente al centro dell'atten­
zione».
9 1 . Con la sua rielaborazione Mc. ha «allontanato l'attesa apocalittica a breve sca­
denza» facendo entrare nella riflessione della comunità cela sua (di Gesù) regalità sul
futuro sino al compimento finale» (Schweizer, Mk, 146; c&. Lohmeyer, Mk, 248 s.).

203
ca92 dell'immagine del portiere viene ripresa e ulteriormente
rafforzata dal particolare che ora tutti i servi hanno il compito
di vegliare ed aspettare il padrone (v. 36).113 Le implicazioni
cristologiche, constatabili già nella comunità premarciana,
passano più in primo piano: il v. 37b descrive la ricompensa
dei servi vigilanti con l'immagine del banchetto di festa esca­
tologico, dove il «Signore» servirà i servi; la versione preluca­
na dunque identifica chiaramente il kyrios con il Cristo ven­
turo della parusia.114 Luca riprende questa concezione preesi­
stente e colloca la parabola nel contesto della vigilanza (v. 35)
e della fedeltà (v. 42) . 9' Con ciò egli sembra mettere ancor più
in risalto il periodo intermedio tra la pasqua e la parusia.96
Poiché in Le. 12,45 il xpovl"et esprime una posizione sbaglia­
ta, l'accento cade (a prescindere dal problema del ritardo del­
la parusia) sulla fedeltà nel periodo intermedio.
Nello stadio di Gesù il tema della lunga assenza del padrone
dovrebbe essere connesso in qualche modo ad un'assenza di
Gesù stesso. Non nel senso che Gesù si sia identificato col
padrone che andava in un paese lontano, ma nel senso che
l'immagine di un uomo che va in un paese lontano, che dà il
potere e dei compiti ai suoi servi, serve a Gesù per esprimere
la permanente validità delle esigenze della basileia anche dopo
la sua morte. In questo caso il ritorno del padrone andrebbe
inteso in senso puramente figurato (quindi senza riferimento
metaforico alla venuta di Dio). L'esigenza scaturisce dalla vi­
cinanza della basileia, posta in atto da Gesù. In quanto la vici-

92. Lo mostra già il v. 38 (prelucano, cfr. Schneider, Parusiegleichnisse, 35), che va


compreso sullo sfondo del ritardo della parusia.
93. Cosl}eremias, Gleichnirse, 5 1 . Schneider, Paruriegleichnisre, 34 attribuisce questo
versetto sostanzialmente a Q (36b.c).
94. A tal proposito Jeremias, Gleichnisse, 50 s. Cfr. Le. 22,27; lo. 1 3,4 s. Cfr. Schnei­
det, ParusiegleichniJ·se, 30. Schneider attribuisce il v. 37b alla redazione lucana (op.
cii. , 35).
95. A tal proposito Schneider, Parusiegleichnisse, 37: «La reinterpretazione della pa­
rabola mette l'accento soprattutto sulla vigilanza, sulla disponibilità al servizio e sulla
feddtà dei capi della comunità».
96. In questo, non si allontana molto dall'interpretazione di Marco.

204
nanza della basileia coincide con la sua stessa essenza, tutto
ciò che essa dà e tutto ciò che essa esige valgono anche dopo
la morte di Gesù. Se uno dei compiti delle parabole è di pre­
parare i discepoli di Gesù al futuro,97 se è vero che «nella pa­
rabola . . . Gesù» va oltre «la sua stessa persona»,911 allora è chia­
ro il senso di quest'immagine nel contesto della predicazione
di Gesù: come i servi anche durante l'assenza del padrone
esercitano la sua autorità (tutto ciò che egli dà) ed adempiono
ai loro compiti (tutto ciò che egli esige), cosi tutto ciò che il
regno di Dio dà e tutto ciò che il regno esige valgono per i di­
scepoli anche quando Gesù viene loro a mancare. In tal modo
viene espressa metaforicamente la vicinanza del regno di Dio
in relazione all'assenza di colui che l'ha reso vicino.
Se supponiamo che questo tema fosse originario anche nel­
la comunità premarciana, se ne deduce che esso, sotto l'influs­
so di una autocomprensione apocalittica della comunità, fu
combinato col tema del padrone che torna di notte, già inteso
anch'esso in senso apocalittico. La vicinanza della basileia, in­
tesa precedentemente come l'essenza stessa di essa, venne co­
sì reinterpretata in senso temporale-apocalittico come venuta
imminente del Figlio dell'uomo. In tal modo l'urgenza della
vicinanza viene motivata in senso temporale e si trasforma
nell'urgenza della vigilanza.

97. Fuchs, Hermeneutik, 226; cfr. Jesus, 88: le parabole rinviano al di là di Gesù.
98. Fuchs, Jesus, 108.
2.3. Le rimanenti parabole Q

2 . 3 . 1 . La parabola della pecora perduta


(Mt. 18, 12-14; Le. 15,4-7; Ev. Th. 107)
Ricostruzione
La parabola compare in Mt. in un contesto diverso da quel­
lo di Le. : mentre in Mt. si trova nella «regola della comuni­
tà»,' in Le. è unita ad altre due parabole, con uguale struttura,
che trattano il tema dei «perduti».• Per il problema del conte­
sto originario della parabola Mt. non offre alcun elemento/ ed
anche il contesto di Le. esige un'analisi più approfondita. In
Le. 1;,1-3 si nota una leggera tensione tra il v. 1 e il v. 2 per­
ché dapprima si parla dei pubblicani e i peccatori che ascolta­
no Gesù, poi invece solo di Gesù che accoglie «peccatori» e
mangia con loro. Inoltre il v. 1 rivela peculiarità linguistiche
lucane: mentre al v. 2 ci troviamo di fronte ad un materiale
tradizionale. ' Il raccordo alla parabola stessa (v. 3) è di nuovo

l. Per Mt. 18,1·3.5 cfr. Kiimmel, Einleitung, .58 s. 6o; Schweizer, Mt, 233 s.

2. Per la composizione cfr. già Klostermann, Lk, I.5.5.


3 . Una regola della comunità è certamente postpasquale; cosl anche Schweizer, Mt,
239; Schulz, Q, 3 87 ; Jeremias, Gleichnisse, 3.5 s.; Linnemann, Gleichnisse, 74.
4. Lucano è innanzitutto l'iyyll;e1v, che ricorre in Mt. 7 X (3 X della basileia, l X del.
I'«ora»; 1 X del kairòs; 1 X con avverbio di luogo par. Mc. ; l X del traditore par.
Mc. ), in Mc. 3 X , in Le. invece 18 X (4 X col dativo, soltanto in Le. all'interno dei si·
nottici) . La costruzione con n:i<; t) sembra cara a Le. (Mt. : .52i Mc. : 22; Le. : 7.5• cfr.
Jeremias, ZNW 62, 18.5). àxouuv con il genitivo è anch'esso tipico di Le. : Mt. : 3 ;
Mc. : 9; Le. : 1 3 (ACI. 1 8 ! ) .
.5· � tradizionale: 8111yoyyu"e1v, solo qui e Le. 1 9 , 7 (tradizionale) nel N.T. i1J.11p-:w ­
ì.o<;, che ricorre in Mt. .5 x , in Mc. 6 x , in Le. invece 1 7 x , a prima vista potrebbe sem­
brare redazionale, ma ad una più attenta osservazione si rivela tradizionale: si trova in
Mc. 2,1, par. Mt. 9,10 (dove Le. lo cancella), inoltre in Le. ,,30 (par. Mc. ) ; ,,32 (par.
Mc. ) ; 24,7 (par. Mc. ) ; 7,34 (Q); .5,8 (materiale particolare, tradizionale) ; 6,32.3) .34

206
lucano.6 L'applicazione in Le. (v. 7) presuppone chiaramente
il v. 2 («peccatori») .7 Solo con un � si passa alla parabola se­
guente;8 con un dm:" ÒÉ.9 tipicamente lucano viene introdotta
poi la parabola del figliol prodigo. Tutti questi elementi sug­
geriscono la seguente ipotesi sulla composizione di Le. 15 : la
composizione come tale risale probabilmente a Le. , che rag­
gruppò le tre parabole in base alla loro affinità (peccatori,
smarrimento, ritrovamento, gioia) .'0 Le. ha trovato le prime
due parabole già tramandate con la rispettiva applicazione
(vv . 7.10) . 1 1 Anche l'introduzione alla prima parabola (v. 2) gli
(senz'altro Q, v. Hoffmann, S1udien, 48 s. 141 s. 156 s. 309; definito redazionale da
Schulz, Q, 129, che tuttavia nella n. 280 sostiene: «mancano peraltro paralleli sicu­
ramente redazionali» (cfr. anche op. cii. , 130 s.); 7,37.39 (patrimonio particolare, tra­
dizionale) ; 13,2 (patrimonio particolare, tradizionale); 15,1.2; 1 5 , 7 (tradizionale, cfr.
sotto) ; 15,rn (tradizionale); 18,13 (patrimonio particolare, tradizionale); 19,7 (patri­
monio particolare, tradizionale) . Questi dati, a mio avviso, possono essere spiegati
unicamente ammettendo che si tratta del termine usato dalla tradizione prelucana,
largamente usato anche in Mc. , Q e nel materiale particolare di Le. Un punto di vista
puramente statistico può condurre, qui, a conclusioni sbagliate. r.po.,.aÉ'X,t.,...9cu è pre­
sente in Le. 23,51 (par. Mc. ) ; 2,25 (materiale particolare); 2,38 ( ? ) ; 12,36 (tradizionale)
e qui. auvt'l'..9it1v si trova nei sinottici solo qui, inoltre 2 x in Aci. e 2 x in Paolo. In­
dica sempre la commensalilà: Aci. rn,41 (con il Risorto) ; 11,3; I Cor. 5 , 1 1 ; Gal. 2,12
(coi pagani e col trasgressore a Corinto). Jeremias, ZNW 62, 186 riconduce l'intero
versetto (ad eccezione di r.po'l'8É'X,t'l'-lÌc:tt) alla redazione.
6. Ben dimostrato in Jeremias, ZNW 62, 187.
7. Inoltre anche qui non si trovano particolarità linguistiche lucane: µ.t'Tc:tvotiv non è
presente nel parallelo lucano a Mc. 1,15; lo si trova per il resto in Le. rn,13 par. Ml.
11,21 (Q) ; in Le. 1 1,32 par. Ml. 12,41 (Q); 13,3.5 (materiale particolare, tradizionale) ;
16,30 (materiale particolare, tradizionale) ; 17,3.4 (entrambi Q , cfr. Schulz, Q , 321
s.). Per tiµ.c:tp-;wì.6� cfr. sopra, n. 5. 'X,ptic:tv É'X,t1v è presente in Ml. 6 X, Mc. 4 X, Le. 7
X , risulta dunque equamente distribuito. µ.t'Tcivo1c:t si trova in Le. 3,3 (par. Mc. ) ; 3,8
(par. Ml. , Ql; redazionale in 5,32 e incerto in 24,27 ( inoltre 6 X in Aci. ) . Diversa con­
clusione in Dupont, lmplicalions, 336.
8. A tal proposito v. Klostermann, Lk, 155, che pone la questione se Le. abbia trovato
già preesistente l'accoppiamento. Cfr. anche Bultmann, Synoplische Tradilion, 210 s.
9. Sono interessanti le proporzioni statistiche di o ai (con eventuale ulteriore indica­
zione del soggetto) . . dr.EV, a confronto con dr.tv ai (con eventuale soggetto) :
.

Ml. 23 : 1 ; Mc. 23 : o; Le. 31 : 59. Il risultato è lampante.


IO. La stessa posizione in Jeremias, ZNW 62, 181. 185. 188.

11. Non si può dimostrare di nessuna delle due applicazioni che sia redazionale; cfr.
invece Schulz, Q, 387, che considera il v. 7 una creazione lucana, nello stesso senso
forse Linnemann, G/eichnisse, 73 (senza indicarne i motivi) . Jereinias, ZNW 62, 185
le considera tradizionali (eccezion fatta per la frase relativa v. 7c) .

207
era fornita dalla tradizione; essa potrebbe senz'altro riflettere
correttamente la situazione storica (e sarebbe già stata pre­
sente in Q") .'J Se la composizione del cap. 15 risale a Le. , se ne
può dedurre che il v. 6, poco adatto alla parabola della pecora
perduta, venne inserito in essa sotto l'influsso dell'altra para­
bola della dracma perduta, dove invece era originario (v. 9). '4
Riguardo alla parabola stessa le due versioni rivelano contatti
talmente numerosi da dover supporre che essa sia stata pre­
sente in Q. ' , È abbastanza facile una ricostruzione del testo Q,
a prescindere da alcuni dettagli minori. La domanda intro­
duttiva in Mt. («Che ve ne pare?») non è originaria,' 6 al con­
trario va considerata tradizionale quella di Le. 17 È originaria
anche la costruzione con E"f..WV rispetto a quella al condiziona­
le di Mt. 18 Il participio IÌ.7toÀÉacx� di Le. è da preferire al 7tÀcxvr,­
'8f;, vista la predilezione di Mt. per 7tÀcxvfJ.v,'9 e anche perché
12. In base sia al dato statistico lessicale sia alla preistoria dei temi ciò sarebbe possi­
bile, cfr. sopra, pp. 2o6 s. n. S· Si può chiarire facilmente (in base a motivazioni reda­
zionali), come mai tale introduzione (presente in Q), non fu conservata da Mt. : in
Mt. il nuovo contesto comporta che non si tratti di pubblicani e peccatori, bensi dei
membri «erranti» della comunità.
13. Per una corretta riproduzione della situazione storica prendono posizione Linne­
mann, Gleichnisse, n ; Jeremias, Gleichnisse, 3 7 ; Dupont, lmplications, 34S ·
14. Inoltre il v. 6 rivela caratteristiche chiaramente secondarie rispetto al v. 9: l'èì..�wv
ti<; -tòv olxov che deriva ovviamente dalla trasposizione; l'articolo posto dinanzi a
ythovt:t; è stilisticamente più elegante; l' riù-toi; dopo il participio di ì..Éym è un
chiarimento; la pecora viene definita esplicitamente con «mia»; la costruzione alla fi.
ne col participio è più elegante della frase relativa.
1s. Cosi per es. Schulz, Q, 389 e Hoffmann, Studien, S· 42. Allo stesso modo si può
pensare che la parabola indipendentemente da Q fu trasmessa a entrambi gli evan­
gelisti dalla tradizione orale. Quello che è essenziale per noi è che le due versioni ri­
salgono ad un'unica parabola originaria.
16. Dimostrato in Schweizer, Ml, 239; Schulz, Q, 387 con n. 6s.
17. Cosi Schulz, Q, 387.
18. cLe norme formulate al condizionale (Mt. v. 12 e v. 13) vanno attribuite alla re­
dazione matteana» (Schulz, Q, 387). Cfr. 18,3.s.1s. 16.17.18. 19.3s.
19. Lo si trova in Mt. 22,29 par. Mc. 12,24 (mentre Mt. lo cancella in Mc. 12,27 ! ) ;
24>4 par. Mc. 1 3 ,s; 24,s par. Mc. 13,6; 24, n ; 24,24 (in contrasto con Mc. che h a iir.o­
r.Àt:twiv). Degno di nota in Matteo il significato di «condurre nell'errore» come una
funzione degli pseudomessia e pseudoprofeti (cfr. innanzi tutto Mt. 24,24 con 24,s
s.). Sul problema dei «falsi profeti» nella comunità matteana, cfr. Schweizer, Ge-

208
il cambiamento di soggetto in Mt. è determinato dall'applica­
zione: la pecora che si sbanda rappresenta il cristiano devian­
te. '0 Il verbo «abbandonare» in Mt. è un rafforzativo rispetto
al «lasciare» attestato da Le. , e va considerato secondario." Il
passaggio da «nel deserto» a «Sui monti» (Mt. ) è più facile da
immaginare di quanto non lo sia il contrario; il primo dunque
dovrebbe essere originario." Anche l'espressione usata da Le. :
«va dietro a quella perduta finché non la ritrova» è più origi­
naria di quella di Mt. , perché Mt. (in vista dell'applicazione)
vuole porre in risalto il cercare, mentre la parabola originaria
era imperniata sul perdere/ritrovare.'3 Il collegamento xixl eù­
pwv in Le. 15,5 risulta poco felice dal punto di vista gramma­
ticale, e la breve frase ha l'aria di un abbellimento, il che fa
supporre che si tratti di un'aggiunta posteriore (anche se pre­
lucana) .'4 Lo stesso può dirsi anche per il v. 6.'' L'applicazione
lucana riprende alcuni elementi che appaiono come pointe
della parabola anche in Mt. : Mt. 18,13 pertanto va attribuito a
Q.'6 L'applicazione in Mt. (18,14) è senz'altro secondaria, so-
meinde, 122. Anche Dupont, Imp/ications, 336 considera redazionale it),avav, diver­
samente invece Schulz, Q, 387 con le nn. 72 s. (il termine però non è «puramente tra­
dizionale», come mostrano per lo meno Mt. 24,u.24).
20. Questa interpretazione scaturisce dal significato di it),avav in Mt. 24.
21. Sottolinea la ricerca incondizionata dell'oggetto smarrito, che sta particolarmente
a cuore a Matteo, mentre Le. è più realistico; diversamente Schulz, Q, 387 s.: ma i
paralleli ivi indicati nella n. 74 secondo me non sono sufficienti per dimostrare che il
termine sia «perfettamente lucano».
22. Schweizer, Mt, 239; indeciso Schulz, Q, 388; Jeremias, Gleichnisse, 133 riconduce
la divergenza a due traduzioni diverse dello stesso termine aramaico; ipotesi condivi·
sa da Linnemann, Gleichnirse, 71.
23. Il r.ope:ue:i;..9a1 èr.i sembra corrispondere meglio all'immagine. Mt. invece accentua
fortemente la «ricerca di quella rimasta fuori» (Schweizer, Mt, 240). Diversa opinio­
ne in Schulz, Q, 388. Inoltre la saldatura poco felice del v. 5 (secondario) si spiega
meglio ascrivendo alla tradizione la conclusione del v. 4.
24. Contro Jeremias, G/eichnirse, 134, con Linnemann, Gleichnirse, 73 e Dupont,
lmp/ications, 335. Interessante Ir. 40,u, dove di Dio si dice che «porta gli agnelli sul
suo petto». Il simbolismo del pastore è molto diffuso nel Nuovo Testamento (cfr. in
particolare Io. ro e Hebr. 13,20). Per l'intera questione v. Jeremias, ThWNT VI, 486,
r-22; 491,23-496,14.
25. Il versetto certamente è stato collocato qui da Le. , cfr. sopra, p. 208 n. 14.
26. Dal punto di vista della storia della tradizione la sottolineatura della pointe me-

209
prattutto perché reinterpreta la «gioia» con la «volontà» di
Dio.27
Ne consegue questa ipotesi sulla storia della tradizione: la
parabola originaria comprendeva Le. 15,4 e Mt. 18,15 (con le
limitazioni già indicate) . Tramandata in Q, continuò il suo
cammino da un lato nella comunità matteana, dove fu inserita
da Mt. nella «regola della comunità» e fu provvista di una ap­
plicazione, in funzione della quale Mt. ha apportato nella pa­
rabola anche alcune modifiche (la domanda introduttiva, le
espressioni al condizionale al v. 12 e al v. 15, il cambiamento
di soggetto, lo «sbandarsi» e il «cercare») . D'altro lato, da Q
la parabola giunse nella comunità lucana dove fu collegata ad
una situazione narrativa (v. 2, a meno che non appartenesse
già a Q) e le furono aggiunti un abbellimento (v. 5) e un'ap­
plicazione (v. 7). Luca a sua volta unl la parabola a quella del­
la dracma perduta e a quella del figliol prodigo e costrul
un'inquadratura generale ( vv. r . 3 : i pubblicani ed i peccatori
vengono tutti da Gesù per ascoltarlo} . Inoltre Le. , sotto l'in­
flusso del v. 9, inserl il v. 6 tra la parabola e l'applicazione. Da
qui la parabola giunse al Vangelo di Tommaso'8 dove essa vie­
ne trasformata in parabola narrativa'9 del regno di Dio. L'Ev.
Th. chiarifica parlando del «pastore», qualifica la pecora co­
me «la più grossa», non menziona la gioia, fa rivolgere il pa­
store direttamente alla pecora: «lo ti amo più delle altre no­
vantanove»;10 elimina Le. 15,5 s. ed anche l'applicazione. Da
cima a fondo, la versione dell'Ev. Th. risulta secondaria ri­
spetto a quella sinottica.
diante un (à11-�v) liyw v11iv è più antica dell'aggiunta, sempre mediante la suddetta
formula, di un'applicai.ione (Bultmann, Synoptische Tradition, i97) . Sul v. 13 in Ml.
cfr. anche Schulz, Q, 388. A Ml. risale solo il itÀ�vàv (in analogia col v. 12).
27. La stessa valutazione in Schweizer, Mt, 239; Jeremias, Gleichnisse, 37; Schulz, Q,
388; Bultmann, Synoptische Tradilion, 184.
28. Per l'affinità delle versioni di Le. e Ev. Th. dr. Schrage, 1'homasevangelium, 194.
29. Si lascia cadere la costruzione interrogativa, viene introdotto un riferimento alla
basileia (Schrage, Thomasevangelium, 195 ) .
30. Questi tratti sono tutti secondari, contrariamente a quanto pensa Montefiore,
NTS 7, 227, che considera la menzione del pastore, e la sua descrizione della faticosa
ricerca, più originari rispetto alla versione sinottica.

210
Interpretazione
La forma originaria, che con ogni verosimiglianza risale a
Gesù stesso/' era all'incirca la seguente:
Quale persona ( chi) tra cli voi che ha cento pecore e ne perde una,
=

non lascia le novantanove nd deserto e segue quell a perduta, sino a che


non la ritrova? E quando la ritrova, in verità vi dico, egli se ne rallegra
cli più che per le novantanove (pecore) non perdute.

La chiave per comprendere la parabola nello stadio di Gesù è


la carica metaforica evocata dall'immagine della pecora. Nel­
l'A.T., nei LXX ed anche nel primo giudaismo la pecora (ed
il gregge) indica il «popolo». '2 Quindi se qui si parla di una
pecora che si sbanda dal gregge, l'uditore ha pensato senz'al­
tro ad una persona che si è allontanata dal popolo di Dio, che
si è sottratta alle cure del pastore. 13 Tali appunto erano ali' e­
poca di Gesù i pubblicani34 ed i peccatori,3' in contrapposizio­
ne ai giusti. 36 Importante, nella nostra parabola, il fatto che al
3 1 . Non sussistono motivi per considerare la parabola come un prodotto della co·
munità. Anzi, proprio la reinterpretazione della comunità conferma che siamo di
fronte a materiale storico autentico (criterio della discontinuità, cfr. Jeremias, Gleich·
nisse, 13'; Dupont, lmplications, 34,. 3,0, la cui ricostruzione, p. 336, si differen·
zia dalla nostra solo su alcuni punti di minore importanza) . Per i paralleli nel giudai·
smo cfr. Str.-Bill. 1, 784 s. Particolarmente istruttivo il parallelo Ber. 37b, ivi citato a
p. 78' : la preferenza per i convertiti rispetto ai giusti è motivata dalla loro disponibi­
lità al pentimento, non come qui dall'essere cercati dal pastore (Dio). L'accettazione
incondizionata dei pubblicani e dei peccatori (che questa parabola esprime con la sua
rigorosa concentrazione sul personaggio del pastore) si confà ottimamente al conte­
sto del Gesù storico (criterio della coerenza, cfr., ad es. , Mc. 2,14-17; Mt. u,9 par. ) .
32. Paralleli i n Preisker-Schulz, ThWNT V I , 689,28 s. 690,1,.
33. Prospettiva simile anche in Jeremias, Gleichnisse, 13'; Schulz, Q, 389 con n. 94.
34. A tal proposito cfr. Michel, ThWNT vm, 101,7-20. 103,21-23.
3,. Il concetto qui è usato «ingenuamente» [cioè non in senso teologico] come defi­
nizione di un «particolare settore individuale all'interno del popolo», con cui sta
continuamente a contatto Gesù (Rengstorf, ThWNT 1, 321,4-8). Indica l'uomo che
vive la sua vita al di fuori dell'ambito dell'elezione divina (di qui la possibilità che di­
venti addirittura sinonimo di «pagani», op. cit. , 328,28-32).
36. «Giusto» è colui che si trova all'interno della sfera della regalità di Dio, perché è
in grado di far fronte al giudizio di Dio (grazie alla sua ubbidienza nei confronti del­
la legge) (Schrenk, ThWNT II, 187,20-188,20). Anche questo concetto non viene
usato con preoccupazioni di esattezza teologica.

2II
campo metaforico della pecora appartiene anche il pastore
che nella maggior parte dei casi simboleggia'7 Dio stesso (ma
anche Mosè, il re, un capo del popolo) . Anche se qui il pasto­
re non viene esplicitamente menzionato, tutto questo campo
metaforico viene evocato nell'uditore. Un'altra caratteristica
strutturale della parabola è il rapporto numerico 99 : 1, che
serve a mettere in risalto la totale irrilevanza di una sola peco­
ra; la ricerca della pecora non è determinata affatto dal suo
valore, bensl solo dal fatto che essa esi'ste e si è persa dal greg­
ge. Un'ulteriore caratteristica che colpisce l'attenzione è che
«il pastore» resta sempre il soggetto; in tal modo si mette in
luce che tutta l'attenzione è sul suo comportamento; non ven­
gono toccate le questioni inerenti al «perdersi» e al «conver­
tirsi». 18 La formulazione della parabola sotto forma di doman­
da (retorica) suggerisce all'uditore quanto sia ovvio per il pa­
store seguire la pecora perduta. L'uditore viene spinto dalla
domanda, che per lui in realtà non è tale, ad un consenso con
lopzione difesa dalla parabola nei confronti delle pecore per­
dute di Israele. Questo tratto viene sottolineato dalla descri­
zione della gioia che colma il pastore al momento del ritrova­
mento: in quel momento egli si rallegra per quella pecora più
che per le novantanove che non si sono perdute. Il confronto
con le novantanove mira esclusivamente ad illustrare la gioia
di quel momento e non implica in alcun modo una valutazio­
ne delle novantanove.'9 Nel contesto della vita di Gesù questa
37. Al riguardo Preisker-Schulz, ThWNT VI, 689,31-39 e Jeremias, op. cii. , 486,1-22.
38. Le interpretazioni che chiamano in causa il pentimento del peccatore (per es. Je­
remias, Gleichnisse, 13': « N el giudizio finale Dio si rallegrerà; se accanto a molti
giusti potrà assolvere anche l'ultimo dei peccato ri pentilo [ corsivo mio], se ne ralle­
grerà molto di più») inseriscono nella parabola originaria di Gesù una concezione
del giudaismo o del cristianesimo primitivo (cfr. Le. , v. 7), sminuendone fa radicalità.
Per Gesù l'amore che assolve, che cerca chi si è smarrito, la gioia del ritrovamento,
sono un presupposto della metanoia, e non, viceversa, il pentimento il presupposto
del perdono. Dio si rallegra proprio per qualcosa che è apparentemente irrilevante,
senza valore, non per qualcosa che in qualche modo (sia pure mediante il pentimen­
to) si è rivelato degno di lui. Questa realtà viene completamente misconosciuta quan­
do I'Eu. Th. parla della «pecora più grande» (dr. sotto) .

39. La «gioia di Dio» nell immagine ha la funzione pragmatica di far condividere


'

212
parabola deve riferirsi al suo comportamento nei confronti dei
pubblicani e dei peccatori. Se Gesù se la faceva «a tu per tu
coi pubblicani e coi peccatori» (Mt. I I , 19), è proprio perché
il pastore corre dietro alla pecora perduta e si rallegra, se la
trova. Se si tiene conto della valenza metaforica di «pecora» e
di «pastore», diventa chiaro che Gesù legittima il suo com­
portamento con il comportamento di Dio stesso nei confronti
dei peccatori; anzi: vede se stesso in una funzione che spetta a
Dio.40 Ciò che Dio era sempre stato per Israele, adesso lo è
Gesù nella sua opera e nella sua parola. La vicinanza di Dio
nei confronti dei perduti si realizza nella vicinanza di Gesù
nei confronti dei pubblicani e dei peccatori. In tal senso, que­
sta parabola va considerata senz'altro un'autotestimonianza
di Gesù.4'
La comunità cristiana, in particolare quella prelucana, ha
percepito la rivendicazione cristologica implicita nella para­
bola e le ha risposto interpretando in senso cristologico il
personaggio del pastore.42 Con l'abbellimento del v. 5, che ri­
chiama Is. 40, I I ; 49,22, essa sottolinea che in Gesù si compie
l'evento escatologico della ricerca dei perduti da parte di Dio
(cfr. particolarmente Is. 49,22 ! ) ; inoltre viene esplicitato che

all'uditore l'accettazione dell'ingiusto (anche se egli stesso è tale), non di portarlo al­
i'autocritica (qualora si tratti di un giusto).
40. Pascolare le pecore di Israele è attributo essenzialmente di Dio. Illuminanti le os­
seivazioni di Dupont (lmp/ical1'ons, 349): «Le comportement de Jésus piace Ies hom­
mes en face du comportement par lequel Dieu lui-meme inaugure l'avènement de
son Règne,.. E «la conduite de Jésus est la forme concrète que prend l'intetvention
salvatrice de Dieu ...
41 . Cosi Fuchs, Jesus, 94; cfr., dello stesso autore, Hermeneutik, 223 (riguardo alla
nostra parabola) . L'interpretazione di Jiilicher, Gleichnisreden 11, 332 s. non tiene
conto di questo aspetto. Né poteva essere diversamente, partendo dai suoi presup­
posti metodologici; la sua interpretazione non poteva non essere di tipo moralistico
(cfr. Dupont, Imp/icalions, 347).
42. Dobbiamo presupporre un'interpretazione cristologica perché solo cosi ha un
senso l'abbellimento al v. 5 . È sorprendente che il pastore non sia menzionato espli­
citamente. Forse perché il pastore è il narratore stesso? In ogni caso, la relazione
metaforica pastore-Gesù è confermata da un gran numero di testi neotestamentari
(cfr. sopra, p. 209 n. 24).

213
la motivazione del comportamento di Gesù è teologica. 4� In
questo modo la comunità è riuscita a conservare dopo la pa­
squa la parabola come parola del Gesù terreno, ed ha potuto
farlo a pieno diritto solo interpretandola in senso cristologico.
Resta il problema se la comunità, mediante la contrapposizio­
ne tra «i peccatori che si convertono» e «i giusti che non han­
no bisogno di conversione», non abbia reintrodotto un aspet­
to legalistico estraneo alla parabola ed all'azione di Gesù: ori­
ginariamente il motivo della gioia non era la conversione del
peccatore, ma il suo ritrovamento.
Matteo presenta la parabola in funzione dell'ammonimento
alla comunità;+! egli con questo però non rinuncia affatto al ri­
ferimento al comportamento di Gesù. La parabola anche qui
è in sintonia con il comportamento di Gesù e spinge l'uditore
a manifestarlo di nuovo nel proprio comportamento nei con­
fronti dei membri smarriti della comunità. Fin quando questa
relazione viene mantenuta, la parabola resta libera da frain­
tendimenti legalistici; altrimenti, il comportamento di Gesù
rischia di ridursi a un semplice modello etico,4' e cosl ricon­
durre l'uomo sotto una nuova legge. Il cambiamento di sog­
getto al versetto 12 e la sostituzione della «volontà» del Padre
alla «gioia» al versetto 14, mostra comunque che questo ri­
schio di legalismo non è stato sufficientemente notato e com­
battuto.
Appunto questo pericolo, tutt'altro che ipotetico anche
nella comunità prelucana, è stato fronteggiato da Le. col por­
re un accento particolare, con l'inserzione del v. 6, sulla gioia
di Dio per la pecora ritrovata. 46

43. La motivazione teologica e merge nell'applicazione prelucana particolarmente nel·


la formula iv -;cjJ oùpixvcjJ che è una perifras i per non nominare Dio (v. Jeremias,
Gleichnisse, 134 s.).
44. Schweizer, Mt, 241 .
4,. Proprio la collocazione nel cap. 18 potrebbe aver favorito questa interpretazione.
46. Le. , accentuando in modo particolare la gioia, valorizza un aspetto insito nella
parabola originaria, ribadendo che l'unico protagonista è Dio. Egli evita cosi il peri·
colo di far dipendere l'accoglienza dalla conversione del peccatore.

214
Il Vangelo di Tommaso si contraddistingue innanzitutto
perché cancella gli elementi cristologici e pertanto non inten­
de più applicare la parabola direttamente a Gesù Cristo. Il
«pastore» assume un doppio significato: può simbolizzare sia
il redentore (che va in cerca dello gnostico) sia lo gnostico
stesso (che va in cerca dell'elemento divino che porta in sé) .47
La modifica più importante è senza dubbio la connotazione
della pecora (la «più grossa») . Poiché la ricerca del pastore è
motivata dalla qualità della pecora, l'Ev. Th. proclama la ri­
cerca di ciò che è prezioso,48 in radicale contrasto con la para­
bola di Gesù. Di qui anche il fatto che non si tratta più della
gioia che esplode al momento del ritrovamento, bensl dell'a­
more motivato dalla preziosità della pecora, che al momento
del ritrovamento viene solo espresso. 49 Sia che la pecora venga
intesa come metafora dello gnostico, sia che venga intesa co­
me metafora dell'io divino, l'applicazione rivela in entrambi i
casi lo stesso elemento fondamentale: si tratta della ricerca di
ciò che è prezioso, dell'amore nei confronti di ciò che merita
amore. Nel primo caso si proclama lo gnostico come un cri­
stiano di particolare valore, nel secondo caso la scintilla divi­
na come la parte dell'uomo che ha particolare valore/0 a con­
fronto del quale gli altri credenti, ovvero le altre componenti,
non sono degni di particolare attenzione.

47. Per la prima possibilità Montefìore, NTS 7, 234; Haenchen, Bolscha/t, 47; en­
trambe sono prese in considerazione da Schragc, Thomasevangelium, 196.
48. Cfr. Haenchen, Botscha/t, 47; Gartner, Theology, 235 ; Schragc, Thomasevange­
lium, 195·
49. L'amore per l'oggetto di valore determina, ancor prima del momento del ritrova­
mento, già la ricerca stessa, cd implica una gerarchia di valori tra quell'unica pecora
e le altre novantanove. Questa concezione dell'amore è agli antipodi di quella del
Nuovo Testamento, in cui l'amore non è mai motivato dalle qualità dell'oggetto, ma
è libera donazione di sé da parte del soggetto nei confronti dell'oggetto.
50. La prima ipotesi in Montefìorc, NTS 7, 234; entrambe in Schrage, Thomasevan·
gelium, 196.

215
2.3.2. La parabola del grande banchetto
(Mt. 22, I-IO; Le. I4, 15-24; Ev. Th. 64)
Ricostruzione
Le versioni di Mt. e di Le. di questa parabola sono cosl di­
verse che per molti esegeti l'esistenza di una soggiacente ver­
sione Q appare dubbia.'' D'altra parte le corrispondenze lessi­
cali e di contenuto non possono essere ignorate.'' Se ne può
concludere che ci sia stata senz' altron una parabola originaria
Q, anche se è quasi impossibile ricostruirne il testo Q. Il con­
testo della parabola risulta redazionale in entrambi i vangeli.
Mt. seguendo il filo conduttore dello schema di Mc. la inse­
risce dopo la parabola dei vignaioli; essa gli serve a narrare,
dopo il «verdetto» nei confronti d'Israele (21,43 ) , l' «esecuzio­
ne della sentenza».'4 Mt. 22,1 è pertanto un collegamento re­
dazionale."
In 14,1-24 Luca raggruppa vari episodi collegati dal tema

,1. Weiser, Knechtsgleichnisse, '9 parla solamente di una «fonte,. comune. Funk,
Language, 163, ritiene che la stessa parabola sia stata narrata da Gesù in diverse oc­
casioni ed applicata a diverse situazioni. Indeciso Bultmann, Synoplische Tradition,
189. Per la questione cfr. anche V0gtle, Einladung, 171 s.
,2. I contatti verbali si concentrano in Mt. 22,2 s. par. Le. 14,16 s. (av-l>pwr.0<;, r.o1e:iv,
>e11Ì. i7'Cta"Ce:1À1:11, oi òwlo1 aìrtw, >e11Àei11, oi xe:xÀljfLÉ1101, tP'X,e:a-80t1, é-:o&fLOt inserito da
Mt. al v. 4) e in Mt. 22,8-10 par. Le. 14,21 (òpyt�e:.,.Sa1 preferito da Mt. al v. 7, oi
&ulo1 aìrtO',j, i�Épx.e7'80t1 a1N[o d.,J&.yt111). Inoltre in entrambe le versioni appare
l'iy p0c; in connessione col rifiuto dell'invito (Mt. 22,5 par. Le. 14,18).
I contatti nel rontenulo sono: un uomo organizza un banchetto per far festa, invia
qualcuno per chiamare gli invitati alla cena, questi si rifiutano, perché hanno altro da
fare. L'ospite si adira, invia qualcuno con l'incarico di invitarne altri (presi per la
strada). Costoro accettano l'invito, e la casa si riempie.
,3. Cosl Schulz, Q, 398; Hoffmann, Studien, 5. 41; Liihrmann, Redaktion, 87. 10'
(con richiamo a Trillin g) ; Hasler, ThZ 18, 26; Eichholz, Gleichnisse, 128; Pedersen,
StTh 19, 169; presupposto anche in Klostermann, Lk, 151; Trilling, BZ 4, 263. L'idea
di una originaria parabola Q resta comunque un'ipotesi.
54. Si è già accennato alla correlazione redazionale delle quattro unità in Mt. 21,23-
22,14 (cfr. sopra, p. 197 con n. 66).
,,. A tal proposito Schulz, Q, 392 che valuta allo stesso modo il versetto, nonostante
«gli indizi linguistici non siano dd tutto chiari,. (per l'aspetto linguistico ibid., n.
u5). Stesso presupposto in Hahn, Festmahl, 53; Vogtle, Einladung, 1 74.

216
del «banchetto»;'6 la parabola gli serve da risposta alla do­
manda di un commensale, provocata dai vv. 12-14. '1 Dopo un
brusco cambiamento di scena, Le. riferisce parole sulla seque­
la ( 14,25-33).
Di fronte alla difficoltà della ricostruzione letteraria, in
questa sede, anziché risalire al testo della parabola in Q,
preferiamo piuttosto tratteggiare il contenuto presumibile.
La formula introduttiva non può più essere ricostruita: tut­
tavia il riferimento della parabola alla basileia è da ritenersi
originario.'8 La narrazione preliminare parlava di un uomo
che imbandl un grande banchetto.'9 È difficile stabilire se

56. Klostermann, Lk, 148 s.; forse presupposto in Rengstorf, Lk, 180; cfr. Schulz, Q,
391 . Diversamente Hahn, Festmahl, 74, che considera verosimile una tradizione pre­
lucana in Le. 14,1-6.7-1 1 . 12-24.
57. Non si può rispondere con certezza alla questione se 14,15 sia una creazione re­
dazionale. Il v. 15a si ricollega alla scena del banchetto dei vv. 1 ss., ed è certamente
redazionale, qualora sia lucana la composizione dei vv. 1-24; rivela inoltre particola­
rità linguistiche lucane, però non di evidenza indiscutibile (Schulz, Q, 391 s. con la
n. 107). Jeremias, Gleichnisse, 61, intende Le. 14,15-24 come racconto-esempio in ri­
ferimento ai vv. 12-14. Qualora avesse ragione Linnemann, ZNW 51, 255 nell'indivi­
duare la pointe (a tal proposito v. sotto, p. 2 1 9 n. 66 e p. 222 n. 78), allora almeno il v.
15b (che non può essere stato creato da Le. , ma può essere stato da lui inserito qui;
cfr. Schulz, Q, 392 con le nn. 108-1 10) sarebbe l'inquadratura narrativa della para­
bola originaria.
58. Ciò risulta dalla menzione della basileia in Mt. v. 2a ed in Le. v. l5b (una coinci­
denza certo non casuale, v. Julicher, Gleichnisreden II, 418) anche se Mt. v. 2a è una
formula introduttiva caratteristica delle tradizioni particolari di Mt. (cfr. sopra, p.
151 n. n8) o anche prettamente redazionale (così Schulz, Q, 392 con n. 1 16), e an­
che se Le. v. 1 5b è stato collocato qui solo dall 'evangelista.
59. L'«uomo» divenne in Mt. V. 2b un aV.Spwr.o� t1aa1ì.e:u�. Questo abbinamento è
caratteristico delle parabole della tradizione particolare prematteana: 13,52: av-&.pw­
r.o; obtooe:ar.o-tlJ�; 1 8,23: av�pwr.o� �r:t�nì.e:u; ( ! ) ; 20, 1 : :iv-&.pwr.o� olxoòe:ar.&:r.; . A
questi casi elencati da Schulz, Q, 392 n. 1 17, va aggiunto senz'altro Mt. 13,45 (av-&.pw­
r.o; tl'r.opo� var. feci. ; sempre materiale particolare di Mt. ). Costruzioni analoghe:
Mt. 11,19 (par. Le. 7,34 av-&.pwr.o� 9�10; XGtt olvor.��. Ql ; Mt. 13,24 (av-&.pw;i;o; ar.d­
p!i<:, materiale particolare! ) , 25,14 (:iv8pwr.o; (Ìr.oolj!J-ÙIV, in una parabola originaria
di Q, cfr. 2.3.3). L'abbinamento non va considerato redazionale (come pensa Schulz,
Q, 392): lo mostra proprio il testo di Mt. 21,33 che Schulz indica come sicuramente
redazionale, dove in realtà si legge civ-&.pwr.o� f, v olxoòe:=�� - Anche Hahn, Festmahl,
78 (cfr. Schweizer, Mt, 197) considera prema/teano l'abbinamento. Certamente è più
facile ammettere il passaggio dal «grande banchetto» a un «banchetto nuziale per
suo figlio», che non l'inverso. Si tratta di ritocchi dettati dal significato metaforico

21]
l'invito di molte persone (Le. 14,16c) sia originario;6o comun­
que non è rilevante per il senso della parabola. La narra­
zione proseguiva con l'invio del servo6' (all'ora della cena),62
che doveva pregare gli invitati di presentarsi, secondo l'uso
dell'epoca.65 È la redazione di Matteo a raddoppiare questo
elemento, facendo inviare agli invitati ancora altri servi al v.
4,64 questa volta con un'insistente esortazione a presentar­
si.6' Nella parabola originaria, all'invio dd servo seguiva la
attribuito a questi elementi (con Vogtle, Einladung, 175). È interessante Apoc. 19,9:
1.14Klip101 oi dt; -:ò òeilt'lov -:ou ya!LO'J -rou ci:pviou xexÀlj1'-Évo1: un testo da includere
senz'altro nello sfondo tematico soggiacente alla versione di Mt. A favore della non
originarietà di questi elementi dell'antefatto: Linnemann, ZNW 51, 254; Hahn, Fesi·
mah/, 78; Hasler, ThZ 18, 29; Weiser, Knechtsgleichnisse, 59 s.; Jeremias, Gleich­
nisse, 65 ; Pedersen, StTh 19, 177; Schulz, Q, 393; Funlc, Language, 165; Schweizer,
Mt, 272 ; già }iilicher, Gleichnisreden II, 418 s.
6o. Schulz, Q, 393, lo attribuisce alla redazione lucana con richiamo a Haenchen
(ibid. n. 1 25 ) . Secondo Jiilicher, G/eichnisreden 11, 419, Mt. l'ha cancellato per mag·
gior brevità. Ma un previo invito è presupposto in entrambe le versioni, come rivela
il xcxÀTi1'-Évo1 in Mt. (cfr. sotto, n. 65 ) .
6 1 . Che i n Mt. vengano inviati più servi , ben difficilmente s i spiega supponendo che
il protagonista sia diventato un f»a1ì.e�t; (come congettura Weiser, Knechtsgleich­
nisse, 6o), ma è invece da considerarsi, come rivela il parallelismo con la formulazio­
ne in 2 1,34.35.36, un'intenzionale correzione redazionale, connessa al secondo invito
(pure redazionale: v. sotto, n. 65) e alla distruzione della città (v. sotto, pp. 220 s. n.
71) (contro Jiilicher, Gleichnisreden II, 419. 416; con molti autori, per es. Hasler, ThZ
18, 31; Schulz, Q, 394; Jeremias, Gleichnisse, 65; e particolarmente Schweizer, Mt,
272). Diversamente Hahn, Festmahl, 78 (secondario, ma anteriore a Mt. ) .
62. Può essere un'esplicitazione lucana, oppure u n elemento originario (in tal senso
Schulz, Q, 394).
63. Jeremias, Gleichnisse, 176 con n. 4; Str.-Bill. I , 880 per Mt. 22,4. L'tpXE7-.9E, & n
'Ì\Òl) C'tfJtl'-a fo· nv dovrebbe essere originario; in primo luogo perché EPXE�lll t e
t'tQl!.14 nonostante la diversità della versione di Ml. si trovano anche in lui; in secon­
do luogo perché il discorso diretto è uno dei mezzi preferiti per dare vivacità alla
narrazione, e perciò si confà bene alla forma del racconto parabolico. Così pure l'e­
spressione t'tQI� Èr. 1v . . . , «è pronto,., della lingua parlata (Jiilicher, Gleichnisreden
I I , 410).

64. L'accenno alle «grandi macellazioni,. serve a rendere l'invito particolarmente in­
teressante ed insistente (con Schulz, Q, 394; Schweizer, Ml, 272, vi vede «fortemente
sottolineata ... la pazienza del re .. ) .
65. I l v. J va inteso a mio awiso come parallelo d i Le. v . 1 7 (con Schweizer, Mt, 272;
Hahn, Festmahl, 54), ossia come esortazione agli invitati (così la forma greca xexÌ.lJ-
1'-ÉVQI) a venire adesso e non come il primo vero e proprio invito accennato in Le. so­
lo con è>Uiì.EaEv mì.ì.Wt; (così Jeremias, Gleichnisse, 65; Schulz, Q, 394; preso in

218
reazione negativa degli invitati, che adducono giustifica­
zioni di ogni tipo per non essersi (subito?)66 presentati.67 Se-

considerazione in Schweizer, Mt, 272). Quest'ultima interpretazione va incontro alla


difficoltà di dover intendere il perfetto xe:x:>.:r,�01 come gerundio (cosl Jeremias,
Gleichnisse, 6' n. 2; contrario invece a ragione Hahn, Festmahl, '3 n. n). Inoltre il
rifiuto degli invitati a recarsi alla festa (Mt. 22,3b), in questo caso dovrebbe essere ri·
ferito all'invito iniziale, rendendo illogico il racconto. Che il v. 4 sia una creazione
redazionale, risulta dai contatti verbali tra il v. 41 e Mt. 2 1,36. Vero è che al v. 4 ri·
corrono termini rari, ma questo può essere ri_chiesto dal cont enuto , e non depone
contro la redazionalità (cosl Schulz, Q, 394) . Se si ammette che il v. 4 è una creazio·
ne redazionale, allora di conseguenza anche il v. Jb deve essere attribuito a Mt. In
ogni caso, i vv. 3b-4 spezzano la concatenazione, perché il v. ' non ne tiene conto.
In tal senso anche Weiser, Knechtsgleichnisse, 61; Pedersen, StTh 19, 177; Schulz, Q,
394; diversamente invece Eichholz, Gleichnisse, 129; Funk, Language, 1 84 s. (per
motivi strutturali! ).
66. Linnemann, ZNW ,1, 2,0, ritiene che nelle giustificazioni s i tratti di lavori, che
normalmente vengono svolti poco prima del tramonto; e poiché un banchetto invece
iniziava solo dopo il tramonto, il rifiuto non ha per oggetto il banchetto come tale ma
solo quel determinato orario. Questa interpretazione comporterebbe tuttavia l'elimi­
nazione di Le. v. 20 dalla parabola originaria e l'attribuzione ad essa di Le. vv. 21-24
presi come un tutt'uno (a tal proposito cfr. sotto, pp. 222 s. n. 78). Bisogna concede·
re alla Linnemann che la terza giustificazione come forma è divers a dalle due prece·
denti; tuttavia lo si potrebbe spiegare ammettendo un crescendo dal v. 18 sino al v.
20 (Hahn, Festmahl, ,, ) . Il fatto poi, su cui pure fa leva la Linnemann, che Le. v. 20
non ha paralleli nell 'Ev. Th. , è un argomento tutt'altro che convincente, dal momen·
to che è l'Ev. Th. a dipendere dalla tradizione sinottica (sotto, pp. 223 s. nn. 80 s.). È
del tutto impossibile dedurre una «tendenza» all'aumento delle giust ificazioni, par·
tendo dall'(unica ! ) versione posteriore dell'Ev. Th. I nfine il motivo delle aggiunte
resta del tutto oscuro.
67. Le giustificazioni, nella forma di Luca, sono originarie, perché già da un punto
di vista puramente formale corrispondono meglio allo stile narrativo della parabo·
la. Soprattutto poi perché la formulazione in Mt. v. ' ha tutta l'aria di un riassunto
di Le. vv. 18 s. (chi al proprio campo è devo andare a vederlo; chi ai propri affari
è ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli) ; cosl Hahn, Festmahl, " ;
Vogtle, Einladung, l8o s.; preso in considerazione anche da Schulz, Q, 39'; diver­
samente Hasler, ThZ 18, 27. Mentre la versione di Le. mette in risalto la ragionevo·
lena e la comprensibilità delle giustificazioni addotte, quella di Mt. ne mette in risal­
to la incomprensibilità: in campagna o a sbrigare i propri affari, ci si potrebbe andare
benissimo un altro giorno. Questo si confà bene con la versione di Mt. che pone
l'accento sull 'ira del re e wole motivarla con l'atteggiamento scorretto e addirittura
arrogante di coloro che hanno respinto l'invito. L'analisi lessicale non porta a risul·
tati certi (contro Schulz, Q, 39' nn. 1 39. 1 42) Neanche gli argomenti strutturali pos·
.

sono valere come criterio di autenticità (contro Funk, Language, 1 86, che vorrebbe
dimostrare in tal modo l'originarietà delle tre giustificazioni) , dal momento che non
sempre ciò che è più lineare strutturalmente è anche necessariamente più autentico .

219
guiva poi68 la collera del padrone,69 il quale, dopo avere avuto
notizia del rifiuto,7° inviava di nuovo il suo servo: questa volta
per le vie e le piazze della città, a invitare chiunque avesse in­
contrato. 7' La na"azione si concludeva con l'esecuzione del-
68. Il tratto di Mt. v. 6, che rasenta l'assurdo, si trova probabilmente al posto della
terza giustificazione in Le. Esso risale, come mostra l'affinità con la formulazione di
Mt. 2 1 ,3,, alla redazione di Mt. (identica valutazione per es. in Hasler, ThZ 18, 33;
Linnemann, ZNW ,1, 2'3; Schulz, Q, 39' ; Jeremias, Gleichnisse, 6' s.; Schweizer,
Mt, 273; Weiser, Knechtsgleichnisse, 6 1 ; Jiilicher, Gleichnisreden n, 421 ; Hahn, Fesi·
mah/, ,6. n; Vogtle, Einladung, 182) .
69. Ne parlano entrambe le versioni, anche se l'ira in Mt. (diversamente da Le. ) è
motivata dall'arroganza di coloro che respingono l'invito. L'ira del re assume in Mt.
maggiore importanza, perché permette ai w. 6.7b «l'inserimento di elementi del tut­
to estranei alla parabola» (Vogde, Einladung, 182 ) .
70. È vero che Le. 14,21 d a u n punto di vista linguistico h a u n colore lucano (innanzi
tutto 'll:a. pa.yln�a.1 e à,71:a.yyé).ì.e1v sono vocaboli tipicamente lucani, cfr. Schulz, Q,
39' n. 139), tuttavia si inserisce bene nella narrazione e per questo può essere anche
originario. In entrambe le versioni si presuppone che l'ospite venga informato del ri·
fiuto. È degna di nota in Le. v. 2xa la designazione xup1oç anziché l'originario «v-8pw­
lt01; o l'oìxoòe=O't"fìi; del v. 21b. Vero è che xup1oi; potrebbe essere stato determinato
dalla contrapposizione a &oùì.oi;; se tuttavia si tiene conto della presenza di xup1oi; nei
versetti lucani 22 s. (cfr. sotto, pp. 222 s. n. 78) si può suppo"e che sia stato Luca a in­
serirlo anche qui.
71. La pluralità dei servi ed il «re» risalgono, come in Mt. v. 2, alla redazione di Mat­
teo oppure alla tradizione anteriore a Mt. La punizione degli assassini e la distruzio­
ne della loro città sono allusioni alla sorte di Gerusalemme e risalgono a Mt. (con
Schulz, Q, 39' ; Schweizer, Mt, 273 ; Jeremias, Gleichnisse, 66; Linnemann, ZNW ,1,
2,3; Hahn, Festmahl, 80; contro Pedersen, StTh 19, 169; Rengstorf, Stadi, 12' s., che
vorrebbe ricollegare Mt. 22,6 s. ad un topos proveniente dall'Oriente antico e che ar­
riva fino al giudaismo postbiblico e palestinese, mirante ad esprimere la sovranità
di Dio). 81ee0&ui; -:wv oowv è secondario (contro Michaelis, ThWNT v, 112,20-28.
68,32-69,21 ; con Vogtle, Einladung, 187) rispetto all 'originario Moui; (Mt. v. 10! ) .
Designa «quei punti nei quali l e vie della città terminano trasformandosi in strade di
campagna» (Michaelis, ThWNT v, 1 12,10-14) , e perciò probabilmente è un'allusio­
ne alla missione tra i pagani e s'inquadra bene nella rielaborazione matteana della
parabola (particolarmente col v. 4! ) ; con Schulz, Q, 397. La definizione degli invitati
in Le. v. 21 coincide letteralmente, tranne che nell'ordine, con Le. 14,13; risale per­
tanto alla redazione lucana (ipotesi considerata possibile anche da Vogtle, Einla­
dung, 186 s.). Perciò, nonostante la riformulazione matteana, �:; ÈÒtv cupljn va ri­
tenuto più vicino alla forma originaria che non la versione di Le. (con Schulz, Q, 397
e n. 1'7; Hahn, Festmahl, ,s). Mt. v. 8c (oi 8ì xexì.1Ji.dvo1 oùx Yi �a.v ìie101) introdu­
ce un' idea estranea alla parabola originaria, che non mirava affatto a contrapporre i
degni che rifiutando si rivelano indegni, e gli indegni che accettando si rivelano i ve­
ri degni. Originariamente il nuovo invito veniva fatto unicamente perché gli invitati
non volevano venire. Il ritocco è indubbiamente matteano (con Schulz, Q, 396 n.

220
l'incarico e la casa ricolma di gente.72 C'è da chiedersi se la
formulazione della pointe con ÀÉyw BÈ: Ù!J.iv sia appartenuta
già alla parabola originaria.7' È abbastanza sicuro che i due
evangelisti hanno apportato notevoli modifiche alla conclu­
sione della parabola: Mt. dopo il suo v. 10 aggiunge una nuo­
va parabola, quella del vestito nuziale (vv. n-13),74 che non è

147; e&. Hahn, Festmahl, 57; Weiser, Knechtsgleichnisse, 62; Vogtle, Einladung, 182 s.) .
72. Ciò risulta dalla concordanza tra l6,22ab (certamente lucano) e Mt. 22,10, che
presuppongono entrambi un espletamento dell'incarico. Secondo Hahn, Festmah/,
65 la conclusione della parabola era la seguente: «E quel servo andò fuori per strada
e raccolse tutti quelli che trovò e la casa si riempi di invitati»; similmente Vogtle,
Ein/adung, 184 s. Nella versione di Mt. sono secondari anche la pluralità dei servi, il
ll!JIL9W" (coerente col ritocco «re» - «banchetto nuziale», con Schulz, Q, 397), non­
ché la definizione degli ospiti che vengono alla cena con r.ov"lj poi n xttÌ à:ytt1'oi, che
però risale difficilmente a Mt. stesso, che avrebbe preferito l'antitesi r.ov"ljpo1; Bixtt1-
-

01; (cfr. 13,49 e sopra, pp. 176 s. con n. 231), mentre quella «buoni/cattivi» risulta tra­
dizionale (cfr. Mt. 7,18; 1 2,35 par. Le. 6,45).
73. Tutto ciò è perfettamente possibile, come mostra Mt. 18,13 (cfr. sopra, pp. 209 s.
n. 26). Fondamentalmente sussistono tre possibilità: 1 . il v. 24 era detto originaria­
mente dall'«uomo», il protagonista della parabola, al suo servo; allora il plurale vµ.iv
sarebbe secondario. 2. Il v. 24 era la formulazione della poinle della parabola da parte
del narratore originario di fronte ai suoi uditori; allora sarebbe secondario il (J'JV -rou
Btir.vou, in quanto il narratore avrebbe dovuto dire: «Il suo banchetto»; la frase sa­
rebbe stata originariamente al passato ( . . . nessuno gustò del suo banchetto). 3. Il v.
24 è un'applicazione secondaria della parabola, posta sulla bocca di Gesù; allora uµ.iv
si riferirebbe alla comunità, e !J.W -rou òdr.vou al banchetto, che il kyrios Gesù terrà
alla fine dei rempi; cosl si spiegherebbe anche il futuro. Da un punto di vista di sto­
ria della tradizione le ipotesi l e 2 comporterebbero una maggiore antichità rispetto
all'ipotesi 3. L'ipotesi 1 risulta inverosimile, perché l'annuncio che nessuno ha gusta­
to il banchetto se indirizzato al servo sarebbe ridondante (diversamente Jeremias,
Gleichnisse, 177). Le ipotesi 2 e 3 possono essere fondate col passaggio da Gesù (che
avrebbe pronunciato la frase come suona al n. 2) alla comunità (la quale intende «il
mio banchetto» come il banchetto futuro del kyrios, che adesso ormai è identico con
il narratore). Per la questione cfr. Schulz, Q, 397 s. con le nn. 162-166; Hahn, Fest­
mahl, 59 s. ; Vogtle, Ein/adung, 189 s.; Bultmann, Synoptische Tradition, 189, consi­
dera il v. 24 secondario. Se il v. 24 nella forma abbozzata all'ipotesi 1 risale al narrato­
re originario, potrebbe essere inteso come un suo commento alla parabola (come Le.
l6,8a; cfr. 2.5.3).
74. � difficile stabilire se questa era un'altra parabola (di Gesù) a sé stante (coslJere­
mias, G/eichnisse, 186-189; modificato in Via, G/eichnisse, 124-127, che individua la
parabola di Gesù in Ml. 22,n-13a, op. cii. , 125), oppure fu coniata da Mt. stesso
ispirandosi molto liberamente a materiali tradizionali (cosl Schulz, Q, 398 sulla scia
di Jiilicher e Bultmann; Trilling, BZ 4, 256 s.); l'essenziale comunque è che la fusione
con la parabola del convito è opera dell'evangelista. Lo ribadisce l'analisi lessicale:

221
consona a quella precedente,n e poi una sentenza generale (v.
14) che non è consona né all'una né all'altra.76 Le. invece inter­
rompe il corso della narrazione ancor prima della fine, inse­
rendo con il v. 22c un ulteriore invio del servo, questa volta
«per le strade e lungo le siepi»,77 e solo allora arriva alla con­
clusione {«la casa piena» ) .78 Limitatamente alla parabola del
EÌaÉ(lXE�«t risulta distribuito uniformemente tra i sinottici, tuttavia l'uso participia­
le di daEÀ-Bw'll è tipico di Ml. (gen. abs. : 8,, [redazionale] ; 2I,Io [in contrasto con
Mc. ! ] ; altrove: 9,18 [nel caso in cui il testo sia giusto, redazionale] ; 9,2, [redaziona­
le] ; 2,,,s [in contrasto con Mc. ! ] ; tradizionale solo in l2,•0 [Q] e forse in 17,2,) . Per
-Bcii�«t cfr. Schulz, Q, 398 n. 171; �cca1Àeui; è frequente in Ml., ma ricorre anche
nella tradizione (Ml. : 22; Mc. : 12; Le. : 10); anche Èxd è più frequente in Mt. (Ml. :
29; Mc. : u; Le. : 16). Ciò rivela che per lo meno il congiungimento tra le due parabole
va attribuito alla redazione di Mt. Su questa linea Schulz, Q, 398; Linnemann, ZNW
, 1 , 2,2; Hasler, ThZ I8, 29; Vi>gtle, Einladung, 174; Via, Gleichnisse, 12,. A favore
di una connessione originaria invece Eichholz, Gleichnisse, 144. Una aggiunta pre­
matteana è ipotizzata da Hahn, Festmahl, 78; Schweizer, Mt, 271 s. e (incerto) Wei­
ser, Knechlsgleichnisse, 63; Vogtle, Einladung, 174.

7,. In particolare, ben difficilmente degli ospiti invitati all'ultimo momento e inaspet·
latamente potrebbero avere la possibilità di lavare il loro abito, prima di recarsi alla
festa (è questo che s'intende con t'118u11-« ylifJ-Ou, cfr. Jeremias, Gleichnisse, 186). La
connessione si spiega, invece, se al responsabile di essa interessa solo l'eliminazione
della mescolanza di ito'lllj p oi 'l:E ic«Ì tiycc-8oi: preoccupazione, anch'essa, tipica di Mt. ,
(cfr. Mt. 13,24-30.36-43; Ml. 13,47-'o e particolarmente sopra, p. 1,9 con n. 14' e
p. 18o con nn. 247-249, il che rende molto probabile che anche qui si tratti di un'ag­
giunta redazionale.
76. In Mt. 22,2-10 non si tratta della contrapposizione «chiamati/eletti», ma solo di
«invitati» (xEXÀl)IJ-Évo1, che nella prospettiva di Mt. equivale pienamente a XÀlj-:oi).
Parimenti, in Ml. 22,1I-I3 non si parla dei pochi eletti (l'uomo senza l'abito nuziale
è uno solo ! ) . L'aggiunta si spiega con l'intento parenetico, già soggiacente all'aggiun­
ta dei vv. u-13, che sottolineano separazione, e ulteriormente sottolineata col v. 14.
77. Bisogna pensare, con intenzionale contrasto col v. 2I, alle strade di campagna al
di fuori della città ijc:remias, Gleichnisse, 61; Michaelis, ThWNT v, u2,17; Vogtle,
Einladung, 18, ) .
78. L a maggior parte degli interpreti vede nei vv . 22c.23 un'aggiunta redazionale di
Le. (per es. Jeremias, Gleichnisse, 62 s. 67; Bultmann, Synoptische Tradition, 189; an­
che Klostermann, Lk, 1,2 s.; Hasler, ThZ 18, 27; Eichholz, Gleichnisse, 137; Weiser,
Knechlsgleichnisse, 64; Schulz, Q, 396 s.; Funk, Language, 175; Hahn, Festmahl, ,9.
71 ; Vogtle, Einladung, 183 s.); mentre la Linnemann sostiene la tesi che i vv. 21-24
siano originari. Va notato invece: I. il riempirsi della casa non va spiegato come ri­
tocco allegorico, perché era altrettanto necessario anche nella parabola originaria. 2.
Con l'inserzione Le. non mira affatto a fondare la missione ai pagani, ma solo a far
entrare nel racconto questa esperienza della chiesa dei suoi tempi. Il riferimento alla
missione ai pagani si rivela plausibile, se tutto l'invito della gente di strada è visto alla

222
grande banchetto si può dunque prospettare la seguente ipo­
tesi sulla storia della tradizione. La parabola, originariamente
presente in Q, fu rielaborata in tre fasi successive. La comuni­
tà prematteana trasformò il protagonista in un re e il banchet­
to in un banchetto nuziale per il figlio del re, e rielaborò l'in­
tera parabola da questo punto di vista (particolarmente nei
w. 2.3 .7a.8a.9fin. 10fin.) ;79 compendiò le giustificazioni elimi­
nando il discorso diretto (v. 5 ) ; inserì infine l'espressione
«buoni e cattivi» (v. mb) . Matteo a sua volta corregge «il ser­
vo» originario in «i servi» ( w. 2 . 3 . 8 . 10), inserisce un secondo
invito (w. 3b.4) , la reazione esagerata degli invitati (v. 6), la
loro dura punizione (v. 7), la qualificazione dei primi invitati
come «indegni» (v. 8c), e la Ò�É�oòoç al v. 9a; collega la para­
bola mediante il v. 1 a quella dei vignaioli e la sviluppa con la
parabola dell'abito nuziale (w. 11-13) e con la sentenza sui
chiamati e gli eletti (v. 14) . Luca interviene in misura minore
nella parabola tramandatagli da Q: introduce forse in guisa di
chiarimento il v. 16c, al v. 21 preferisce la designazione «pa­
drone» al posto di <<Uomo», descrive il secondo gruppo di in­
vitati come «poveri, storpi, ciechi e zoppi», ai w. 22c.23 am­
plia la narrazione con un ulteriore invito, dove per lui è im­
portante la distinzione «città - fuori città» (w. 21.23 ) ; infine,
mediante il v. 15 stabilisce un esplicito riferimento al ban­
chetto escatologico e al v. 24 trasforma l'originaria pointe in
una applicazione.
Il Vangelo di Tommaso si basa su entrambe le versioni si­
nottiche, 8o anche se si è servito maggiormente di quella luca-
luce dell'attività missionaria postpasquale; ed è reso sufficientemente chiaro dalla di­
stinzione «piazze e vie della città - lungo le siepi e le strade». 3. L'affermazione che
c'è ancora spazio (v. 21c) non ha un significato «allegorico» ma è solo un espediente
narrativo per consentire il secondo invito; sarà quest'ultimo poi ad avere un signifi­
cato metaforico.
79. Nel caso in cui la pluralità dei servi fosse determinata dalla trasformazione del
protagonista in un re, essa risalirebbe alla comunità (cfr. Hahn, Feslmah/, 78), senza
però il significato metaforico di «missionari» evidente nel contesto matteano. V. an·
che sopra, p. 218 n. 61.
Bo. Con Schrage, Thomasevange/ium, 135; Hahn, Feslmah/, 5 1 ; in contrasto con Je­
remias, Gleichnisse, 176; Perrin, ]esus, 2 14; Funk, Language, 167; Vogtle, Ein/adung,

22 3
na, 81 aggiungendo però modifiche tutt'altro che irrilevanti: gli
inviti vengono narrati col discorso diretto, le giustificazioni
vengono aumentate a quattro, delle quali la terza rivela un
certo riferimento a Le. 14, 20 (le nozze) mentre gli altri inviti
sono senza paralleli sinottici ed hanno come sfondo un am­
biente urbano.8• L'introduzione «un uomo aveva degli ospiti»
contrasta col successivo invito; 83 l'applicazione presenta il se­
guente testo: «compratori e venditori non entreranno nei luo­
ghi del Padre mio».

Interpretazione
Per facilitare l'interpretazione della parabola originaria di
Gesù,84 ne riportiamo l'ipotetico testo:
Awiene col regno dei cieli come in questa storia: un uomo una volta
diede un grande banchetto•• ed all'ora del pranzo mandò il suo servo a
dire agli invitati: «Venite, (perché) è già tutto pronto ! ». E tutti insie­
me cominciarono ad addurre delle giustificazioni. ..

175 s. che considerano Ev. Th. 64 una versione primitiva indipendente dalla tradizio­
ne sinottica.
81. Derivano da Le. : la mancanza di una formula. introduttiva (:;I: Mt. ) ; «uomo» (:;I:
Mt. ) ; cena ( :;I: Mt. ); un servo (:;I: Mt. ) ; la mancanza di Mt. vv. 4.6 s.1 l-I4; «far entra­
re» (:;I: Mt. , che scrive «chiamare»). Con Mt. ha in comune l'espressione «che trovi»
(:;I: Le. ) e l'unico invito «per le strade» (circa quest'ultimo elemento l'Ev Th. si dìffe ­
.

renzia sia da Mt. sia da Le. ). Cfr. Schrage, Thomasevangelium, 133 s. ; Montefiore,
NTS 7, 235; Giirtner, Theology, 47.
82. Montefiore, NTS 7, 232.
83. Schrage, Thomasevangelium, 136 ne deduce che gli ospiti vengono invitati solo
ora, da parte del servo. Ma l'introduzione potrebbe riflettere quell'invito iniziale pre­
supposto nella tradizione sinottica.
84. Niente ci impedisce di attribuire la parabola al Gesù storico. Al contrario, pro­
prio i notevoli ritocchi introdotti, come abbiamo visto, nel corso della narrazione,
fanno vedere che la comunità rielaborò un materiale preesistente risalente a Gesù
(criterio della discontinuità). Per il criterio della coerenza cfr. sotto, p. 227 con n. 99.
85. La traduzione di Le. 14,16b concorda con quella di Wilckens, NT, ad locum.
86. L'òmò 11-1�� in Le. 14, 18a è senz'altro un'espressione che va intesa partendo dall'u­
so linguistico semitico (cfr. Bauer, Wb, s. v. ii1to VI con richiamo a Wellhausen; Jere­
mias, Gleichnisse, 176, pensa persino ad una traduzione dell'aramaico min �ada',
cfr. Idem, ZNW 38, n8). Resta inesplicato però il/emmim1e, a meno che non si sot­
tintenda con Hahn, Festmahl, 54 n. 16, uno yvÙif.L'f,�.

224
Il primo gli disse (se. al seivo) : «Ho comprato un campo e devo an­
dare a vederlo ad o�ni costo. Ti prego, considerami scusato».
Il secondo disse: 7 «Ho comprato cinque paia di buoi da tiro e vado
proprio ora a provarli.•• Ti prego, considerami scusato».
Ed il terzo disse: «Ho appena preso moglie e perciò non posso ve­
nire».
Ed il seivo tornò indietro e riferl a quell'uomo. Allora il padrone di
casa si adirò e disse al suo seivo: «Va' subito per la strada e chiunque
incontri portalo dentro ! ». Il setvo fece come gli era stato comandato, e
la casa si riempl. E Gesù disse: «Vi dico che nessuno di quegli invitati
ha partecipato al suo banchetto» ...

Se si analizza innanzitutto la na"azione in sé, gli elementi


essenziali risaltano immediatamente. Il banchetto è pronto;
ora il padrone invia il suo servo che deve pregare gli invitati
di venire adesso. Gli invitati non vengono caratterizzati; e
neppure del padrone di casa viene detto che tipo di uomo
sia: a differenza della narrazione rabbinica del pubblicano
Bar Ma 'jan, nella nostra parabola non è importante chi siano
l'ospitante e chi gli ospiti.90 Il servo deve dire agli invitati che
tutto è pronto, che il banchetto non può essere rimandato:9'
87. t't"tpoç andrà qui inteso nel senso di un'enumerazione (Bauer, Wb, s.v. 1bò).
88. Questa traduzione di Le. 14,19bc è quella di Wilckens, NT, ad locum.
89. Per la traduzione di ycuc�0t1 cfr. Bauer, Wb, s. v. 1.
90. Il racconto di Bar Ma'jan si trova in Str.-Bill . I I , 231 s. (su Le. 16,24c), cfr. Str.­
Bill. 1, 880. Con la nostra parabola ha in comune solo il fatto che un invito viene re­
spinto. Assai vistose invece le differenze: l'invito viene respinto poiché il padrone se­
condo l'opinione degli ospiti non è all'altezza del loro rango sociale. Inoltre si tratta
di una colazione e non di un òci'llVov . Il nuovo invito viene fatto per beneficenza nei
confronti dei poveri, non per rabbia in seguito al rifiuto. Quando Jeremias, Gleich­
nisse, 178, sulla scia di Salm vuole considerare come sfondo della nostra parabola il
racconto rabbinico, finisce per sminuirne la portata: il «comportamento incompren­
sibile degli ospiti» in Le. vv. 18-20 non può essere banalizzato spiegandolo come ri­
fiuto dell'ospite perché venuto su dal niente (cosl a ragione Hahn, Festmahl, 67) : in
tal caso il motivo del rifiuto andrebbe individuato nell'ospite, mentre i vv. 18-20 fan­
no vedere che è dovuto agli invitati stessi, e non è motivato affatto in maniera poco
plausibile (in contrasto con Jeremias, Gleichnisse, 178; Schulz, Q, 399), ma risulta
pienamente ragionevole (in contrasto con Hahn, Festmah/, 67, che ne sottolinea in­
vece l'irrazionalità); cfr. sotto, p. 228 nn. 102 s.
9 1 . l\òlj va reso con «adesso» (Jeremias, Gleichnirse, 176) o con «ora» (Hahn, Fest­
mah/, '4 n. 14), non con «già da tempo». Questo tratto viene abbellito in Mt. v. 4
(redazionale), cfr. Str.-Bill . 1, 881 per Mt. 22,4.

22.5
devono presentarsi adesso. Gli ospiti si scusano all'unanimi­
tà;9' ed è importante notare che i motivi della giustificazione ri­
sultano del tutto comprensibili e non danno un'impressione di
forzatura o di implausibilità.9} Qui ci troviamo senz'altro di­
nanzi al fenomeno dell' «incrociarsi»,94 in quanto in un primo
tempo la narrazione spinge l'uditore a condividere le giustifi­
cazioni addotte, per poi mostrargli quali conseguenze abbia
questo comportamento che sembra così comprensibile. Se g li
invitati avessero intenzione di venire più tardi, 9' risulta una
questione superflua, visto che per la nostra parabola è impor­
tante soltanto che essi non vengono adesso.96 Un elemento es­
senziale della parabola è infine l'ira del padrone di casa. Nell'i­
ra, egli ordina al suo servo di andare per le strade e portare in
casa chiunque incontrerà.97 Il banchetto è già pronto, la casa
deve essere piena, affinché possa svolgersi la festa. E il ban­
chetto avrà luogo senza coloro che erano stati invitati per pri­
mi.
Che gli invitati tutti insieme si scusino è indubbiamente un
elemento iperbolico, che rompe il quadro di quanto comune­
mente avviene. Lo stesso dicasi della conclusione della narra­
zione: la casa si riempie di gente raccolta a caso, nessuno di
quelli che erano stati invitati per primi viene a godere del
banchetto. Questi due elementi iperbolici indicano la pointe
92. à.1tQ µ.1iiç mette in risalto non tanto la contemporaneità quanto la unanimità nello
scusarsi da parte degli invitati (con Hahn, Feslmahl, 54 n. 16) .
93. Cfr. sopra, p. 225 n. 90.
94. Per questo termine v. Linnemann, Gleichnisse, 35 s.
95. Cfr. sopra, p. 219 nn. 66 s. e Hahn, Festmahl, 55.
96. A ragione Eichholz, Gleichnisse, 130. ll forte accenno «adesso è pronto» avvalora
questa interpretazione. Quegli invitati hanno da fare, adesso, qualcosa di più impor­
tante che andare alla festa.
97. Questo non implica che la gente trovata per la strada sia a priori di basso rango
sociale, come può suggerire la descrizione lucana al v. 21. L'ospite si adira non per­
ché coloro che sono stati invitati per primi non lo accettano socialmente, bensì per­
ché se gli ospiti non vengono la /es/a non può aver luogo. Per questo manda il servo
per strada. Anche volendo sottintendere che Il non si incontrano le persone di rango
più elevato, nella parabola originaria questo particolare non assume significato auto·
nomo.

226
della narrazione: la storia illustra plasticamente che cosa suc­
cede a coloro i quali - anche se con motivazioni plausibili -
hanno respinto l'invito che era valido in quel momento: essi
rimangono con un palmo di naso, la festa ha luogo anche sen­
za di loro. L'uditore prova su se stesso quella sensazione che
devono aver provato gli invitati quando la festa è iniziata sen­
za di loro. È la sensazione di essere spinti fuori, la sensazione
che lasciano dietro di sé le occasioni perdute. Soprattutto
quelle perdute per propria colpa.
Per cogliere il senso della parabola nel contesto della vita di
Gesù, da una parte si deve partire dal presupposto che «il
grande banchetto», sia per il narratore sia per gli uditori, era
una metafora della gioia escatologica,98 dall'altra, bisogna con­
siderare quale ruolo abbia il pasto nella vita di Gesù: la sua
comunanza di mensa con le persone più svariate, coi farisei,
coi pubblicani, coi peccatori, è il segno dell'amore che acco­
glie, di quell'amore del quale è pervaso il tempo nuovo del
regno di Dio; diventa addirittura un'anticipazione della basi­
leia.!19 In questo contesto assume pieno significato la procla­
mazione «adesso è pronto tutto ! », che risuona nella nostra
parabola. Adesso, nell'esistenza di Gesù, è arrivato il tempo in
cui si viene chiamati al banchetto di gioia del regno di Dio.
Adesso va accolto l'invito. '00 Si manifesta qui, come in altre
parabole, l'autocoscienza escatologica di Gesù: Gesù inter­
preta se stesso e la sua opera come l'irruzione della basileia.
Il regno di Dio è vicino nella sua opera e nella sua parola. In
lui è arrivato il tempo nuovo; comincia il grande banchetto di
gioia; chiunque sa cogliere il significato di questo tempo nuo-

98. V. Str.-Bill. 11, 207 (per Le. 14,1,.16); I, 47' s. (per Mt. 8,n) con rinvii; Behm,
ThWNT 11, 3, , 1 3-30; Hahn, Festmahl, 68; Schulz, Q, 399 con n. 179 ·

99. Così Hahn, Festmah/, 69 con riferimento a Mc. 2,17a; Le. 7, 34 par. Per un con­
fronto critico v. Vogtle, Ein/adung, l9I-I94· � essenziale che tutti gli uomini venga­
no invitati a questo banchetto, non solo l"am-ha'arer
100. Diversi interpreti accentuano questo elemento; per es. Jeremias, G/eichnirse,
179; Hahn, Festmah/, ,4; Linnemann, G/eichnisse, 96-98; Schweizer, Mt, 2n ; simile
anche Schul:r., Q, 401 (peraltro per Q, non per Gesù).

227
vo, accoglie l'invito. '0' E, invece, gli invitati accampano delle
scuse. Non perché a loro non piaccia l'ospite,'0' o perché siano
contrari alle feste, ma perché non comprendono il tempo. Gesù
qui viene incontro all'uditore, dandogli uno spazio all'interno
della parabola stessa; le scuse accampate sono senz'altro ra­
gionevoli, ma il corso della narrazione rivela che lo sono sol­
tanto per chi sbaglia nella valutazione del tempo. '0J L'ora della
festa è arrivata, per questo vengono invitati altri affinché la
casa si riempia. Se la parabola descrive l'esclusione dei primi
invitati, è solo perché gli uditori prendono sul serio quell'in­
vito che risuona attraverso Gesù. Gesù raggiunge gli uditori
nella loro (inadeguata) interpretazione del tempo, per portar­
li a comprendere di che cosa è tempo, adesso: tempo di pren­
der parte al grande banchetto di Dio. L'antitesi (quasi di tipo
sociologico) messa in risalto da molti esegeti tra i primi invi­
tati e gli ultimi (per esempio: illustri notabili i primi - gente
di strada gli ultimi)'04 non è messa in rilievo nella parabola. In
ogni caso non può essere trasposta metaforicamente alla si­
tuazione storica, prima di essere valutata all'interno della nar­
razione parabolica nella sua totalità. L'antitesi pertanto non è

101. Qui di nuovo è chiaro come le parabole di Gesù sono annuncio del tempo, v. so·
pra, p. 46 con le nn. 210-2 12. Solo la conclusione della parabola fa capire quale era il
momento dell'invito. Un'attesa escatologica polarizzata sull'aldilà viene sostituita da
uno stretto collegamento tra il futuro escatologico e il presente.
102. Appunto questo è il fraintendimento che nasce dal preteso parallelismo con il
racconto giudaico già citato (sopra, n. 90). Esso toglie alla parabola di Gesù la sua
vera poinle, perché il rifiuto dei primi invitati viene fatto ricadere sull'ospite e non
sulla loro errata valutazione della situazione.
103. Per chi attendeva il banchetto di gioia escatologico alla fine dei giorni non era
cosl facile riconoscere che l'eschaton irrompeva già ora attraverso Gesù. Per lui le
scusanti accampate erano assolutamente ragionevoli.
104. Su questo pongono l'accento soprattutto Jeremias, Gleichnisse, 178 s. (cosl pure
Schultz, Q, 400; Linnemann, ZNW 51, 251 ; Glombitza, NT 5, 12 s.; Eichholz, Gleich­
nisse, 135 s.; Funk, Language, 190) . Ma se si tiene conto che la descrizione del v. 21 è
redazione lucana e che i primi invitati non sono caratterizzati in alcun modo come
gente di rango altolocato, c'è da chiedersi se la contrapposizione tra i primi invitati e
gli ultimi non sia un'idea introdottasi nella parabola dall'esterno, sotto l'influsso
dell applicazione (cfr. la nota seguente). In ogni caso la contrapposizione non è tra
'

due gruppi sociali.

228
tra due gruppi sociali, bensl fra due aspetti all'interno del me­
desimo uditore: il suo vecchio atteggiamento di rimandare
ali' aldilà il banchetto di gioia e la nuova visione di ciò che sta
accadendo adesso. Non si tratta dunque di una difesa del
comportamento di Gesù nei confronti dei pubblicani e dei
peccatori, o di una contrapposizione fra i farisei e il «popolo
della terra», 'am-ha'are(0' Tutti gli uditori si trovano, in un
primo momento, nella stessa condizione dei primi invitati, se
non comprendono che il regno di Dio è iniziato in Gesù. E la
parabola vuole che tutti gli uditori si scoprano simili a quella
gente di strada affinché possano, come quelli, accogliere vo­
ro6
lentieri l'invito alla festa.
La rielaborazione della parabola di Gesù attuata dalla co­
munità anteriore a Matteo dimostra che essa aveva ben com­
preso la relazione tra la venuta di Gesù ed il banchetto di gioia

10,. Anche questa volta la tesi, tipica dell'approccio di Jeremias, circa il conflitto co·
me luogo storico delle parabole di Gesù, determina un restringimento nell'interpre­
tazione. Ed è poi vero, storicamente, che l"am-ha'arc! come totalità accettò l'invito
di Gesù mentre tutti i farisei lo respinsero? E come conciliare con la predicazione di
Gesù l'idea che i pubblicani ed i peccatori sarebbero stati invitati solo perché l'invito
era stato rifiutato dai rappresentanti del vero popolo di Dio? Sull'applicazione della
parabola orientata in questo senso, vedi Jeremias, Gleichnissc, 179; Schulz, Q, 401 ;
Llnnemann, Gleichnisse, 97.
1o6. Di conseguenza essa non intende in alcun modo proclamare il giudizio per colo­
ro che rifiutano, per esempio i farisei (contro Funk, Language, 190; Jeremias, Gleich­
nisse, 179) . Si ha questa impressione solo se si separa il contenuto dalla forma e ci
si trasferisce prematuramente dal racconto alla realtà. L'interpretazione che parte da
una valenza metaforica attribuita ai primi invitati (è farisei, cfr. Jeremias, ibid. , o è
Israele come popolo, cfr. Vogtle, Einladung, 194-196) e ai successivi (è pubblicani
e peccatori; oppure: i pagani) traspone prematuramente singoli elementi della para­
bola alle situazioni storiche dell'epoca di Gesù. Se invece si tiene conto che l'esclu­
sione di coloro che rifiutano l'invito viene narrata in forma di parabola, si comprende
che la parabola si rivolge a coloro che rifiutano (e tale è potenzialmente ogni uomo)
perché la parabola dapprima sembra condividere la loro valutazione del tempo, poi
ne mette in luce le conseguenze ne/l'immagine in modo tale che coloro che respingo­
no l'invito nella realtà (ossia l'invito di Gesù) riconosCflno l'inadeguatezza del loro ri­
fiuto. La parabola non si limita a imporre all'uditore di decidere a quale gruppo egli
vuole appartenere (come vorrebbe Funk, Language, 191) ma si sforza di chiarirgli la
situazione in modo tale che egli si renda conto di quanto sia owio che la decisione
giusta è quella di accettare l'invito di Gesù. La parabola dunque intende argomenta­
re. Chi vorrebbe perdere una festa alla quale è stato invitato?

22 9
escatologico. L'inserzione della metafora re attesta che essa
considera Dio colui che imbandisce quel banchetto, che è ini­
ziato con Gesù. Facendo preparare al re un banchetto nuziale
per suo figlio (cfr. Apoc. 19,9) la comunità esprime il rapporto
tra Dio e Gesù, che era già un elemento essenziale della para­
bola originaria. '07 Identificando l'invito della parabola con l'in­
vito di Gesù, nella sua situazione postpasquale essa considera
inammissibile qualsiasi scusa accampata nei confronti di que­
sto invito; è per questo che si limita a riassumerlo concisa­
mente (Mt. v. 5). In questo modo, però, la parabola perde
l'effetto dell' «incrociarsi» dei punti di vista, poiché le scuse
accampate vengono ad apparire poco plausibili. Da parte sua
la comunità si considera già anticipatamente identica alla
schiera dei partecipanti al banchetto escatologico, la cui uni­
ca «prestazione» è essenzialmente l'avere accettato l'invito; è
per questo che nella sala della festa si trovano «buoni e catti­
vi». In tal modo la parabola diviene l'espressione dell'auto­
comprensione ecclesiologica di questa comunità quale corpus
mixtum. "'' La comunità ha trasmesso correttamente nel pe­
riodo postpasquale la parabola· di Gesù interpretandola in
senso cristologico ed ecclesiologico.
Matteo a sua volta si ricollega da un lato all'interpretazione
ricevuta, caratterizzando in un modo ancora più chiaro l'invi­
to della parabola come invito insistente portato dagli inviati
postpasquali di Gesù Cristo; '09 in tal senso è un'interpretazione
107. Pertanto il yii!JI)� indica, come in Apoc. I5>.SI. la piene?.za escatologica. Tuttavia,
mentre nello stadio di Gesù si intende il banchetto escatologico di Dio, qui viene in­
trodotto, sotto l'influsso della cristologia postpasquale, il personaggio del figlio. Con
la scelta di quest'immagine il rapporto tra Dio e Gesù è passato dall'implicito
all'esplicito. Nella stessa tematica rientrano anche testi come Mc. 2,19 par. e Mt. 2,,1-
1 3 in particolare il v. 10. Per l'intera questione cfr. Stauffer, ThWNT 1, 6,2,24-6,3,,
(il quale però fa risalire l'idea al Gesù storico).
108. La stessa autocomprensione diviene evidente anche nella versione prematteana
dalla parabola, Mt. 13,24-30, cfr. sopra, p. 1'9 con le nn. 143 s.
109. Il v. 4 (e i servi ivi menzionati) va inteso in questo senso. L'insieme dei vv. 4-7
presuppone una situazione postpasquale (cfr. Hahn, Festmahl, 80). I servi al v. J non
rappresentano i profeti dell'Antico Testamento (come vorrebbe Weiser, Knechts­
gleichnisse, 69) , perché essi sono già latori dell'esortazione a presentarsi alla festa e
di tipo storico(-salvifico) , che si rivela innanzi tutto nel fatto
che le esperienze negative dei missionari cristiani lasciano la
loro traccia nella parabola (v. 6) . Egli accentua ulteriormente
l'idea del rifiuto ingiustificato trasformandolo in vera e pro­
pria insolenza dei primi invitati, tale da provocare l'ira di Dio
e da subire la giusta punizione con l'uccisione degli assassini e
la distruzione della loro città. Mt. 22,7 riflette in maniera ine­
quivocabile gli eventi della guerra giudaica; "" per Mt. dunque
sono i giudei quei primi invitati rivelatisi indegni dell'invito,
mentre coloro che sono stati invitati dopo sono i pagani."' La
parabola così si è trasformata in un abbozzo storico del pas­
saggio dalla missione ai giudei a quella ai pagani. La missione
ai pagani viene giustificata dall'indegnità di coloro che erano
stati invitati per primi, poiché all'insistente invito essi hanno
risposto con insolenza fuor di ogni misura. Il pericolo, insito
in questa concezione, di una ricaduta nell'arroganza e nella
securitas da parte del nuovo popolo di Dio, viene prevenuto
da Mt. mostrando con l'inserzione dei vv. n - 1 3 che anche
sull a comunità incombe ancora il giudizio di Dio. "' Questo
aspetto parenetico viene sottolineato dall'evangelista anche
mediante la sentenza conclusiva 22,14 e la collocazione della
parabola nel contesto attuale. " 3
non solo dell'invito preliminare; perciò indicano gli inviati prepasquali d i Gesù (cfr.
Mt. 10) (così pure Hahn, Festmahl, 79).
no. Cfr. sopra, pp. 220 s. n. 7I e la bibliografia ivi indicata.
I I I . A mio avviso tutto ciò risulta con certezza dal Ò1t�Oòou�, in evidente difformità
da quanto narrato poi al v. IO (ooo��). Pertanto l'interpretazione di Mt. si avvicina a
quella di 2I ,43 (ugualmente redazionale), dove si intendono anche i pagani. Identica
opinione in Hahn, Festmahl, 8I; diversa invece in Vogtle, Einladung, 206, che attri­
buisce a Mt. solo un'intensificazione dell'invito a Israele.
n2. L'interesse per il tema della separazione escatologica risulta tipico di Mt. già in
base a Mt. I3,24-30.36-43 e Mt. 1 3 ,47-50 (cfr. sopra, p. I59 con le nn. I45 s. e p. 180
con le nn. 247 s.). Fu questo il motivo decisivo dell'aggiunta del materiale, forse tra­
dizionale, ai vv. 1 1 -I 3 . In tal modo però anche la punizione di Israele viene messa a
servizio di un'intenzione parenetica. Per l'intera questione cfr. Hahn, Festmah/, 82;
Kretzer, He"schaft, 172; Bornkamm, Enderwartung, I8; Schweizer, Mt, 2n s.; Tril­
ling, BZ 4, 255-257.
u3. Con questa quarta unità (cfr. sopra, p. 197 n. 66) non viene descritta solo l'esecu­
zione del giudizio nei confronti di Israele, ma raggiunge il culmine anche il monito
Con i suoi ritocchi interpretativi anche Luca fa capire di
intendere la parabola di Gesù nel senso della cristologia post­
pasquale; è per questo che il protagonista originario, «un uo­
mo», diviene il «signore» (v. 21a ) e l'originaria pointe diventa
un'applicazione (v. 24) .114 Nel ripetuto invito al banchetto egli
vede l'attività missionaria della comunità: l'appello di Gesù
viene portato avanti dall'appello dei missionari cristiani."' Me­
diante la combinazione della parabola col v. 15, Le. chiarisce
che egli concepisce la raccolta della comunità come anticipa­
zione del banchetto di gioia escatologico. In tal modo la para­
bola si arricchisce di allusioni alle esperienze storiche della
comunità: la descrizione di coloro che sono stati invitati la se­
conda volta (v. 21) riflette il passaggio dalla missione ai giudei
alla missione ai pagani.116 La parabola di Gesù è divenuta cosl
una chiave per comprendere la situazione attuale della comu­
nità. Se si prende sul serio l'intima connessione, insita già in
partenza nella parabola originaria, tra lappello di Gesù ed il
banchettb di Dio, ben si comprende che, quando dopo la pa­
squa i discepoli portarono l'appello del kyrios in tutto il mon­
do, la parabola doveva ricevere questa nuova interpretazione.
La versione del Vangelo di Tommaso interpreta la parabo­
la senza alcun riferimento cristologico o di storia della salvez­
za. Essa si dilunga a descrivere gli inviti e le scuse accampate,

alla comunità, v. anche Trilling, BZ 4, 185 s. Il fatto poi che Mt. in 22,14 (per la pro­
blematica di questo versetto dr. Kretzer, Herrscha/t, 182-186) capovolge il rapporto
presupposto ai w. 1 1 - 1 3 tra coloro che vengono accettati e coloro che vengono ri­
fiutati, rivela ancora una volta chiaramente che egli ha intravisto e ha voluto fronteg­
giare il pericolo della securilas.
1 14. Qui il kyrios della parabola è identico al kyrios Gesù (cfr. sopra, p. 221 n. 73).
Ciò significa che già nella parabola il kyrios indica senz'altro Gesù (con Hahn, Fest­
mahl, 72 in contrasto con Glombitza, NT 5, 1 3).
115. Hahn, Festmahl, 73, spiega questo aspetto come tema principale e vorrebbe te­
ner fuori dall'interpretazione lucana i tratti storico-salvifici. Dormeyer, Bile 15, 2 19,
vede nella parabola un monito ( rivolto alla comunità) ad evitare la mentalità settaria
dei farisei.
1 16. Non si può stabilire se Luca intenda un «progresso» storico-salvifico. In ogni
caso i w. 22 s. rivelano chiaramente che nell'interpretazione lucana sono presenti ri­
ferimenti storici.

232
perché vede nella parabola l'illustrazione di una verità gene­
rale, ossia che «compratori e venditori» non possono entrare
nei «luoghi del Padre mio». Questa interpretazione «morale»
si serve della parabola allo scopo di distaccare gli uomini dal
denaro e dal possesso.117 Il denaro ed il possesso impediscono
allo gnostico di dare addio al mondo e lo escludono in tal
modo dalla vera gnosi: 1 18 viene cosi eliminato Io stretto rap­
porto tra l'appello di Gesù e l'eschaton, e la parabola viene
interpretata nel senso di una verità generale.

2.3.3. La parabola dei talenti


(Mt. 25, 14-3 0; Le. I9, 1 I-27; Ev. Naz. /r. I8)
Ricostruzione
Nonostante le notevoli differenze tra le due versioni di Mt.
e di Le. , la parabola dovrebbe derivare da Q, perché altret­
tanto notevoli risultano le coincidenze nella formulazione,
particolarmente in Mt. vv. 24.26-29 par. "9 Inoltre tutte le di­
vergenze rispetto ad un ipotetico archetipo in Q possono es­
sere spiegate come modifiche interpretative di Matteo (o del­
la comunità prematteana) o di Luca, come verrà mostrato più
avanti.
Il contesto della parabola è redazionale in ambedue le ver­
sioni: Mt. riporta ai capp. 24-25 una serie di parabole della

u7. Cfr. Haenchen, Botscha/t, 56; Schrage, Thomasevangelium, 136; Montefìore,


NTS 7, 229.
u8. Il "Coito� è il luogo della vita (Ev. Th. 4), della pace (Ev. Th. 60), che lo gnostico
deve ricercare necessariamente (Ev. Th. 24; Schrage, Thomasevangelium, 136). Il
«luogo del Padre» è identico alla vera gnosi.
119. Condividono questa valutazione Schulz, Q, 293; KuD 1 4, 3 1 ; Dupont, RThPh
19, 377; Liihrmann, Logienquelle, 71; Hoffmann, Studien, 48 s.; Schweizer, Mt, 309.
I motivi addotti da Weiser, Knechtsgleichnisse, 244-256 contro l'esistenza della para­
bola in Q, non risultano convincenti. I contatti verbali, soprattutto in Mt. vv. 24.26-
29 par., sono tali da non poter essere spiegati senza l'ipotesi di una versione Q. Va
respinto, già sull'esempio della parabola del banchetto nuziale, il presupposto che
Mt. e Le. non si differenzierebbero mai notevolmente quando utilizzano una parabo­
la Q. Sostenere poi che le parabole Q sono brevi e non sono veri racconti parabolici,
è solo una petitio principii.

2 33
parusia, nella prospettiva della «dottrina sul giusto comporta­
2
mento di fronte al giudizio futuro». 1 0 Al v. 14, collegando me­
diante un yap, Mt. fa capire che intende questa parabola co­
me interpretazione del precedente invito alla vigilanza (v. 1 3 ) .
Nella stessa direzione s i muovono anche il v . 30, redaziona­
121
le, nonché la successiva «parabola» del giudizio finale (vv. 3 1 -
46) . Le. inserisce la parabola dopo l'episodio d i Zaccheo, am­
bientato a Gerico, e prima della narrazione dell'ingresso di
Gesù a Gerusalemme; con un'introduzione (v. 1 1 ) che pre­
senta la parabola come risposta all'opinione della gente, se­
condo la quale il regno di Dio era ormai imminente, in coin­
cidenza con l'arrivo tli Gesù nella città. ... E in effetti a questa
problematica si attaglia molto bene123 la rielaborazione della
parabola, che fa del protagonista «un uomo di nobile stirpe»
aspirante al trono, e mira a giustificare il prolungarsi dell' as­
senza. 1 14 Questa connessione cosi coerente fa supporre che gli

120. Cosl a ragione Kamlah, KuD 14, 28; cfr. Schweizer, Mt, 303 . 310, anche 293; Je·
remias, Gleichnisse, 57; McGaughy, JBL 94, 237; Dupont, RThPh 19, 379-382.
121. Tra gli interpreti sussiste un ampio accordo sul carattere redazionale di questo
versetto, v. ad es. Kamlah, KuD 14, 29; Weiser, Knechtsgleichnisse, 254; Fiedler, Bi
Le n , 263 ; Jeremias, Gleichnisse, 57; Schweizer, Mt, 308; Via, Gleichnisse, 1 1 3 ;
Schulz, Q , 292; Dupont, RThPh 1 9 , 379 s.
122. Cosi Schneider, Parusiegleichnisse, 41. 42 ; Dupont, RThPh 19, 382 s.; Jeremias,
Gleichnisse, 56 (che indica anche le particolarità linguistiche lucane più frequenti).
123. Zerwick, Bib. 40, 658 si spinge così oltre da sostenere che il v. n armonizzereb·
be solo con la parabola del pretendente al trono (a tal proposito cfr. la nota seguen­
te). La relazione in ogni caso è molto stretta.
1 24. Spesso si è sostenuto che gli elementi riguardanti il pretendente al trono si po­
trebbero mettere a parte e costituirebbero una parabola a sé stante (cosi per es. Zer­
wick, Bib. 40, 655 ; Jeremias, Gleichnisse, 56; Weiser, Knechtsgleichnisse, 269 pensa
ad una «unità narrativa del pretendente al trono»), risalente a Gesù (cosl Zerwick,
op. cii. , 666. 668. 674; anche Jeremias, Gleichnisse, 56 che peraltro si limita a osser­
vare: «sembra che Gesù abbia utilizzato» questo materiale). Si è supposto che si
tratti di una parabola autonoma che si rifà agli eventi storici di cui fu protagonista
Archelao (cfr. Jeremias, Gleichnisse, 56; Kamlah, KuD 14, 30; Schweizer, Mt, 308;
Schncider, Parusiegleichnisse, 40 con n. n; per argomenti più dettagliati a favore
dell'allusione ad Archelao, cfr. Zerwick, Bib. 40, 661-665); questa supposizione però
nasce dall 'idea dominante da Jiilicher in poi secondo cui una parabola è tanto più
riuscita e tanto più autentica quanto più narra «realisticamente». Inoltre non si rie­
sce a individuare, in questa ipotetica parabola, una poinle soddisfacente (contro Je-

2 34
elementi sul pretendente al trono (vv. 12b.14.15a.17fin. 19fin.
27) furono aggiunti da Le. u,
Le due versioni presentano tali diversità da non permettere
un'esatta ricostruzione del tenore originario della parabola in
Q; ci consentono tuttavia di risalire al suo contenuto. Sebbene
la parabola in entrambe le versioni inizi senza un'esplicita
formula introduttiva, deve essere stata in origine una parabola
del regno di Dio."6 L'antefatto originario narrava di un uomo"7
che si assentò (per un lungo lasso di tempo), "R e prima della
partenza convocò i suoi servi'29 e consegnò a ciascuno una

remias, Gleichnisse, 56). Meglio considerarla (con Zerwick, Bib. 40, 671. 672. 674)
come pura allegoria che si riferisce all'«allontanamento del Messia, il suo ripudio da
parte del popolo, il ritorno e il giudizio» (p. 674), attribuibile (in base al criterio
della coerenza) a Le. , non a Gesù (con Kamlah, KuD 14, 30; Schneider, Parusiegleich­
nt'sse, 41 con richiamo a Lohse, n. 16). È preferibile perciò non parlare di «parabo­
la» ma soltanto del «tema del pretendente al trono» (Schulz, Q, 288) o di elemen­
ti riguardanti il pretendente al trono, che sono stati aggiunti all'originaria parabola
delle mine.
12.:;. Cosi anche Kamlah, KuD 14, 30. Liihrmann conclude: «La versione lucana ri­
sulta chiaramente riformulata sotto l'influsso del ricordo della spedizione di Arche­
lao a Roma, senza che per questo si debba postulare un'altra parabola originaria a sé
stante del pretendente al trono» (Logienquelle, 70 s. ) . Contro questo postulato si
pronunzia decisamente già Jiilicher, Gleichnisreden 11, 485 .
126. Entrambi gli evangelisti lo riferiscono, indipendentemente l'uno dall'altro, al re­
gno di Dio: molto chiaramente Le. al v. I I , anche se qui si tratta solo del momento
dell'avvento della basileia. Mt. presenta in 25,1 un'esplicita formula di comparazione
che direttamente introduce la parabola delle dieci vergini; questa però attraverso la
conclusione (v. 13) e la successiva introduzione (v. 14) risulta strettamente collegata
alla nostra parabola, facendo comprendere che le due parabole devono essere consi­
derate parallele; pertanto secondo Mt. anche 25,14-30 dev'essere intesa come para­
bola del regno di Dio.
1 27. L'anacoluto nell'introduzione in Mt. (cfr. Schwcizer, Mt, 307) è determinato dal
collegamento della parabola col v. 13. Nel caso in cui si possa supporre un certo in­
flusso di Mc. 13,34 in Mt. 2.:;,14 s. (a tal proposito v. sotto, p. 236 n. 1 3 1 ) , l'wç di Mc.
può fornire un'ulteriore spiegazione di questo modo di iniziare di Mt. L'inizio in Le.
(Giv-9rwr.oç 't tç) invece può essere originario (con Schulz, Q, 288). Dal tema redazio­
nale del pretendente al trono si spiega che l'uomo in Le. è un ti}ye:v·�ç e si reca t!ç
xropa.v !Jl'Xpav allo SCOpO di Àa.�tiV Éa.\l't'cj> ��IÀt ta.V xa.Ì iJr.o�pÉ\jia.1 (V. Il).
128. La narrazione presuppone un lungo periodo di tempo. Esso si rispecchia anche
nell'àr.OÒlJ!MÌJV, certamente originario e spiegato redazionalmente da Le. con l'attività
del pretendente al trono in un paese lontano.
129. Il numero dei servi non si può più ricostruire, perché i tre servi che compaiono

235
mina.'"' La disuguale ripartizione delle somme consegnate
(Mt. v. 15a) non faceva parte della parabola originaria;'3' anche
il successivo comando, nella versione di Le. , di investire il de­
naro (v. 13b) è da considerarsi non originario.'3• In Le. vv. 14.
15a segue un intermezzo legato al tema del pretendente al
trono; ' " in Mt. all'antefatto segue immediatamente la descri­
zione dell'esecuzione (vv. 16-18) : i servi hanno iniziato «su­
bito» a lavorare. ' H
nel rendiconto hanno solo funzione esemplificativa (Jeremias, Gleichnisse, 58 n . 2).
Si deve riconoscere che anche il numero dieci in Le. è secondario (con Schulz, Q,
289). Il numero dei servi non ha alcun ruolo per il corso della narrazione. Allo stesso
modo è irrilevante se originariamente ricorreva ìòfo•..1c; (Mt ) o ÉatU'tW (Le., che usa
.

spesso questo termine, cfr. Schulz, Q, 289 n. 186).


1 30. Il fatto che l'uomo affidò «il suo patrimonio» (cfr. Bauer, Wb, s.v. U1tapxt1v 1)
contrasta con l'òilyat (Mt. vv. 21 .23) e con l'nax1nov (Le. v. 17), ma si confà assai
bene al «talento» di Mt (una somma molto cospicua, cfr. Jeremias, Gleichnisse, 23.
.

208 n. 4) che risulta secondario rispetto alle mine di Le. (Schulz, Q, 289, e come lui
la maggioranza degli esegeti) .
131. La parabola non vuol sottolineare la diversa capacità dei servi e spiegare con es­
sa le differenti somme affidate, ma piuttosto che tutti i servi hanno la stessa situazio­
ne di partenza. Se le somme fossero differenziate già all'inizio, ne verrebbe sminuita
la discrepanza tra il terzo servo e gli altri due. Inoltre l'origine di Mt. v. 15 è dovuta
probabilmente all'Éxanlfl -tò cpyov atù-r® (Mc. 13,34) , come mostra l'éxan<tl lCllt-tÒt
TÌ)v ìòlatv ò1'v0t11-1v di Mt. Racchiude già un'allusione, suggerita dall'applicazione della
parabola, all'esperienza della comunità, in cui c'erano diverse persone con carismi
differenti. In contrasto con Schulz, Q. 289; Jiilicher, Gleichnisreden 1 1 , 472; Derrett,
ZNW 56, 190 (nelle parabole non è primario il realismo! ) ; con Kamlah, KuD 14, 29;
Weiser, Knechtsgleichnisse, 232 s.
132. Può essere considerata un chiarimento. Anche intesa in tal modo, sta un po' in
tensione con la fine della parabola, dove non viene biasimata la disobbedienza del
terzo servo, bensl la sua incapacità a percepire l'esigenza insita nel capitale conse­
gnatogli. Il comando al v. 13b mette in risalto invece il tema dell'obbedienza e fa
gravare cosi sul terzo servo una ulteriore colpevolezza (cosi Kamlah, KuD 14, 3 1 ) .
Identica valutazione in Dupont, RThPh 1 9 , 3 8 3 (il v. 1 3 b sottolinea la certezza del ri­
torno); Schulz, Q, 289 s. (con rinvio al carattere lucano di XlltÌ tl-1ctv r.pòc; atihwc;,
op. cit. , 290 n. 195).
133. Redazionale (cfr. sopra, pp. 234 s. n. 12.4) e qui con la funzione di riempire l'in­
tervallo dell'assenza del signore.
1 34. Anche questa parte è secondaria, già per il solo fatto di contrastare con la legge
stilistica della concisione narrativa. Essa inoltre anticipa la scena finale e pone I' ac­
cento sull'intervallo tra la partenza ed il ritorno; con il suo inserimento la narrazione
perde tensione. Non è facile stabilire con certezza se l'inserimento risale alla tradi­
zione prematteana (cosl Weiser, Knechtsgleichnisse, 237: «fonte particolare») o a Mt.
La parabola originaria invece descriveva (subito dopo l'an­
tefatto) il ritorno del padrone e la resa dei conti coi servi.'3' An­
che la scena del dialogo (Mt. vv. 20-29 par. Le. vv. 16-26) ri­
vela ampliamenti nella prima parte sia in Le. sia in Mt. Chia­
ramente secondaria, in Le. , la ricompensa ai servi buoni con
l'assegnazione al governo di dieci città l'uno e di cinque l'al­
tro. 1 36 La designazione dei servi con b 'tà 7tÉvn (ovvero: òuo}
'taÀav'ta Àa�wv (vv. 20.22) risale invece a Mt. ;'37 da essa dipen­
de anche la sua formulazione della risposta dei servi: «mi hai
consegnato cinque talenti (ovvero: due) , ecco, ne ho guada­
gnati altri cinque (ovvero: due)».138 Colpisce inoltre, in Mt. ,
laggiunta di una seconda ricompensa che esula chiaramente
dall'ambito del racconto (vv. 21fìn.23fìn.) . ' 19 Se ne può con-

stesso (cosi Schulz, Q, 290; Kamlah, KuD 14, 29), perché la terminologia deriva es­
senzialmente dalla successiva scena del dialogo. Le eccezioni sono: r.oi)tu-Sek il ver­
bo è frequente in Mt. , raro in Mc. , molto frequente invece in Le. ; per i;pyi:b-a.To ì:v
a.ù-.-oiç cfr. l'ì:pyatea-Ba.1 in 7,23 (redazionale) ; 21,28(?); 26,10 (da Mc. ) ; il verbo ri­
corre 1 X in Mc., 1 x in Le. ; l'waau-;w.; si trova in Mt. 20,5 (tradizionale) ; 2 1,30( ?).36
(redazionale). òpua'7ttv ricorre solo in Ml. 21,33 (da Mc. 12,1), altrove mai nel N.T.
Questo dato depone più a favore della redazione di Mt. che di una fonte particolare.
135. Entrambe le versioni descrivono il ritorno del padrone. In Mc. c'è esplicitamen­
te !J-t'tà ÒÈ r.o),Ùv x@Ovov . Vero è che la narrazione stessa presuppone una lunga as­
senza (cosi Schweizer, Ml, 308; Schneider, Parusiegleichnisse, 40), che peraltro non è
un elemento decisivo; tuttavia questo accenno esplicito è legato alla interpretazione
matteana della parabola (v. 1 3 ! ) e si riferisce dunque all'attesa della parusia (cosl pu­
re McGaughy, JBL 94, 237; Kamlah, KuD 14, 30; contro Weiser, Knechlsgleichnisse,
238; Schulz, Q, 290 cfr. n. 201 ; quest'ultimo però parte dal presupposto che la para­
bola fu composta nella comunità Q e già in partenza racchiudeva elementi «allegori­
ci»). Il rendiconto è descritto in Mt. in maniera concisa e certo più originaria che in
Le. , il quale, invece, qui si dilunga di più nella descrizione. Lo confermano pure le
particolarità linguistiche lucane al v. 15b (cfr. Schulz, Q, 290 con nn. 198-200).
1 36. Anche questo elemento rientra nel tema del pretendente al trono e risale per­
tanto alla redazione lucana (cfr. sopra, pp. 234 s. n. 124).
137. Ciò risulta dalla relazione con i versetti 15 e 16-18 parimenti di Mt. (cfr. sopra,
p. 236 nn. 1 3 1 . 1 34).
1 38. Contro Schulz, Q, 290 s. (che peraltro considera originaria in Ml. v. 15 la ripar­
tizione delle somme). È degno di nota che qui il soggetto sia il servo (a differenza
della formulazione di Le. più originaria, dove è il denaro a produrre il profitto).
1 39. «Prendere parte alla gioia del padrone» è l'esatto opposto di Mt. v. 30, dove il
terzo subisce la punizione di essere gettato fuori nelle tenebre (cfr. sotto, p. 241 n.
160) . xa.pa va inteso qui, come mostra il verbo clatP1.ta-8a1 (un termine tecnico che

23 7
eludere dunque che i resoconti dei servi risultano più origi­
nari in Le. , '"" mentre Mt. ha conservato meglio le risposte del
padrone: «bene, servo bravo;'"' sei stato fedele nel poco, •+z ti
darò autorità su molto».'43
Il rendiconto del terzo servo, come contenuto, è identico in
Mt. e Le. , anche se in Luca segue un ordine esattamente op­
posto a quello di Mt. ; 144 l'unica differenza degna di nota, come

indica l'accesso al regno di Dio, cfr. Schneider, ThWNT 11, 674,40·6n,23, in parti­
colare 67,,22 s.), nel senso di festa (cosi Jeremias, Gleichnisse, '7 n. 3), banchetto di
gioia messianico (cosl McGaughy, JBL 94, 237; Kamlah, KuD 1 4 29). Questo rad­
,

doppiamento della ricompensa viene attribuito dalla maggior parte degli interpre­
ti alla redazione di Mt. Per l'intera questione cfr. Str.-Bill. 1, 972 s. su Mt. 21 , 2 1b;
Fiedle1, BiLe II, 262; Weiser, Knechtsgleichnisse, 242. 269.
140. Anche la semplice indicazione dei servi con r.p<inoi;, &tunpoi; ed énpot; fa parte
della composizione originaria (già per il solo fatto di contrastare in un certo senso col
numero dieci della redazione, cfr. Le. v. 1 3a). Essa salvaguSida la tensione di questo
dialogo dd rendiconto, mentre Mt. (come già ai w. 16-18) con il suo modo di indi­
care i vari servi riduce notevolmente la tensione. I rendimenti menzionati in Le. (la
somma decuplicata o quintuplicata) sono cospicui, ma non inverosimili, cfr. Derrett,
ZNW ,6, 190. Potrebbero essere originari, poiché suppongono una distribuzione
uguale dei talenti ai servi, anch'essa originaria (cfr. sopra, p. 236 n. 131). Se poi si
omette il r.otpcyivc-to lucano (v. 16a, cfr. �ì..'8 tv ai w. 18 e 20! ; cfr. Schulz, Q, 290
con n. 203) , il rendiconto dei servi doveva suonSie cosl: «E venne il primo (il r.poa­
cì..'8wv in Mt. è secondario, con Schulz, Q, 290 con n. 202) e disse: 'Signore, la tua
mina ne ha fruttate (r.poatpyri"ccr8ot1, hapax nd N.T.) dieci! ',.,
141. Il r.1inÉ aggiunto in Mt. (w. 2 1.23) è secondario, già pe1 il solo fatto che anticipa
il successivo r.1a-t6t; . Inoltre accentua ulteriormente le ottime qualità dd servo; que­
sto si confà da una parte al cambiamento di soggetto in Mt., dal «denaro» al «ser­
vo», e dall'altra al raddoppiamento della ricompensa. Analoga conclusione per es. in
Weiser, Knechtsgleichnisse, 242; Dupont, RThPh 19, 381 s. ; diversamente Schulz, Q,
291 (con richiamo a Jiilicher, cfr. n. 207).
142. L'è>.rix17'tov lucano (v. 17) è un'enfatizzazione secondaria rispetto all'òì.iyot
(Mt. w. 21.23) ed inoltre è senz'altro una reminiscenza di Le. 16 ,1 0 (con Schulz, Q,
291 ), quindi redazionale.
143. Sulla formulazione lucana della ricompensa, cfr. sopra, p. 237 n. 136. Quella di
Mt. rimane nell'ambito della narrazione: al servo vengono affidate grosse somme in
base alla sua fedeltà nel poco (in contrasto con Fiedler, Bile n, 26 2 il quale pensa
,

che il servo abbia ricevuto una carica più alta ) .


144. I n Mt. gli dementi sono i seguenti: 1 . descrizione dell'uomo, concretizzata nel
a) mietere, dove non ha seminato e b) raccogliere, dove non ha sparso; 2. terrore del
servo; 3. sepoltura dd denaro; 4. ecco qui il tuo. In Le. la sequenza è esattamente ca­
povolta: 4. ecco la tua mina, 3. che ho tenuto riposta in un fazzoletto; 2. avevo pau­
ra di te, 1. che sei un uomo severo: b) prendi quello che non hai messo in deposito,
contenuto, è che in Le. il servo conserva la mina nel fazzolet­
to,'4' mentre in Mt. la nasconde sotto terra;'o46 il primo è proba­
bilmente redazionale; 147 nell'espressione tecnica bancaria ar­
pe:'ç o oùx e-8l)xaç148 potrebbe essere stato invece Luca e non
Matteo a conservare meglio la forma originaria.
La risposta del padrone rivela innanzitutto differenze analo­
ghe a quelle già notate nel rendiconto dei servi. '49 Senz'altro
lucano è il v. 22a.1'° La seconda parte della risposta (Mt. v. 27
par. Le. v. 23) è uguale nelle due versioni per quel che riguar­
da il contenuto;''' lo stesso dicasi anche per la terza parte (Mt.
v. 28 par. Le. v. 24) . ''' L'osservazione dei presenti che il servo

a) e mieti quello che non hai seminato. Per l'intera questione cfr. McGaughy, JBL
94, 235, che individua qui una formula che rifletterebbe la concezione giudaica di
Dio (op. cii., 244 s.). Non si può più stabilire quale sia la sequenza originaria; a favo­
re di quella lucana depone il parallelismo con il rendiconto degli altri due servi.
145. Ciò suppone una palese negligenza del terzo servo (Str. -Bill . 1, 971 s. e Jere­
mias, Gleichnisse, 59 n. 1), e lo rende ancor più colpevole.
146. Era considerato in generale il miglior modo di nascondere gli oggetti (Str. ·Bill.
I, 971 s.).

147. La colpevolizzazione del terzo servo è caratteristica di Le. (c&. sopra, p. 236 n.
132). Inoltre il nascondere sotto terra risponde molto meglio alla motivazione con­
fessata dal servo stesso (anche in Le. ) per il suo componamento (la paura). La stessa
posizione in Schulz, Q, 292; McGaughy, JBL 94, 239; Kamlah, KuD 14, 3 1 ; indeciso
Jeremias, Gleichnisse, 58 s.
148. A tal proposito Jeremias, Gleichnisse, 57 n. l, con l'indicazione che l'espressione
era proverbiale per indicare una persona avida di denaro (con richiamo a Bright­
man). Non è sicuro però che la versione matteana sia secondaria: mentre infatti auv­
ci.y e:1v è un vocabolo preferito da Mt. (Mt. : 23 X ; Mc. : 5 X ; Le. : 6 X ), ò1otaxo?r.i�e1v in­
vece ricorre soltanto qui ed un'altra volta in una citazione (Mt. 26,31 par. Mc. 14,27);
cfr. Schulz, Q, 291 .
149· In Mt. inoltre manca la ripetizione della descrizione del padrone, in bocca a lui
stesso. Mt. d'altro canto amplia (redazionalmente, dr. Fiedler, BiLe u, 273 con la
traduzione «per motivi e paure di ogni tipo, non trovando la forza per agire,.; diver­
samente Schulz, Q, 292) la requisitoria rivolta al servo, con ÒicVljpé, in analogia al
raddoppiamento ai w. 21.23.
150. Con ciò egli colpevolizza ancora il terzo servo (come già col particolare del de­
naro riposto nel fazzoletto). Inoltre, r.Op.a è lucano (con Schulz, Q, 292 n. 219) .
151. La forma interrogativa e la terminologia utilizzata risultano senz'altro lucane
(cosi Schulz, Q, 292 nn. 220-224). Sorprende in Mt. l'uso del plurale, in contrasto
con l'«pyi.ip1ov redazionale (v. 18). Questo è un ulteriore argomento a favore dell'o­
riginarietà della versione di Mt.
152. Il v. 24a di Le. è un chiarimento redazionale (vedi in particolare il r.otp1r.ci.vot1

2 39
ha già dieci mine (Le. v. 25) prepara indubbiamente il v. 26 ed
è pertanto secondaria. •n Si può constatare una concordanza
pressoché letterale in Mt. v. 2 par. Le. v. 26; ',.. questo versetto
per lo più viene considerato un'applicazione secondaria, alla
luce della presenza di un'altra tradizione uguale in Mc. 4,25 ;'"
tale ipotesi è però inverosimile già per il solo fatto che non si
riesce a formulare per un siffatto logion una collocazione sto­
rica che abbia un minimo di plausibilità;1'6 a ciò si aggiunga
che il logion, come contenuto, si attaglia perfettamente alla
parabola originaria. ''7 A nostro avviso dunque non si può non

chiaramente lucano, con Schulz, Q, 292 n. ;2,). t interessante il fatto che qui il nu·
mero coincide in entrambe le versioni. Esso risale alla parabola originaria e potrebbe
aver portato da un lato al numero di dieci servi (Le.) e dall' altro alle cifre dei talenti
in Mt. (vv. l,.16-18.20-23).
1'3· Con Schulz, Q, 292.
1'4· Le. ha apportato dei miglioramenti sintattici nel v. 26b ed ha introdotto con un
ì.éyw Up.iv O--t 1 la legge fondamentale del capitale. Mt. aggiunge nella prima pane il
XGtÌ 11:Ep1�1:�T,au1u (come già in Mt. 13,12 parallelo a Mc. 4,2, ! ) . Il y!ip argomenta­
tivo non è secondario, poiché il v. 29 effettivamente motiva la decisione del v. 28 (in
contrasto con Schulz, Q, 292), senza richiedere la creazione di una connessione arti·
ficiosa a mo' di motivazione.
1,,. Per es. Weiser, Knechtsgleichnisse, 244 s.; Fiedler, BiLe n, 272; Schulz, Q, 292;
McGaughy JBL 94, 239 s.; Kamlah, KuD 14, 33; Dupont, RThPh 19, 384 s.; }ere·
mias, Gleichnisse, '9 e n. 10; Linnemann, Gleichnisse, ,2; Schweizer, Mt, 309; già
Bultmann, Synoptische Tradition, 190; Jiilicher, Gleichnisreden Il, 478.
1s6. Jeremias, Gleichnisse, S9 n. 10, suppone come sfondo un proverbio («cosi è la
vita, cosi ingiusta»). Haenchen, Weg, 170 riferisce lo stesso detto di Mc. 4,2, alla ri­
compensa dei cristiani secondo il loro comportamento (ma allora perché anche il se·
condo «ha» ?). Secondo Schweizer, Mk, ,o, potrebbe essere stato «Un proverbio di
rassegnazione - il ricco diviene sempre più ricco, il povero va di male in peggio -,
che sarebbe stato ripreso da Gesù o dalla comunità in un senso nuovo» (ma anche
questa spiegazione non risolve la difficoltà che colui che è veramente povero non
«ha»). Correggendo con òoia:i nel suo parallelo a Mc. (Le. 8,18), ma non qui, Le. fa
vedere chiaramente di essersi reso conto della difficoltà che si crea se il logion viene
citato fuori del suo contesto originario.
1s7. Se si tratta dell'affidamento di denaro, colui che può dimostrare di essere riusci·
to ad ottenere guadagni cospicui riceverà di nuovo somme sempre più cospicue,
mentre colui che non riesce a far fruttare il denaro dovrà restituire anche il capitale
iniziale. t questo il concetto perfettamente descritto nella nostra parabola. t signifi­
cativo che anche la motivazione rabbinica della sentenza «Egli dà saggezza e cono­
scenza a coloro che comprendono» in Midr. Qoh. 1,7 viene fornita attraverso una
parabola, nella quale si tratta della ripartizione del denaro (Str.-Bill. 1, 661 per Mt.
concludere che il logion avesse qui la sua collocazione origi­
naria, e soltanto successivamente divenne un detto del Signo­
re, trasmesso autonomamente (Mc. 4, 25) ; ' '1 con questo non si
nega che Le. (come mostra il Àéyro uµ.iv &t L) l'abbia inteso co­
me applicaz.ione.''9 A questo punto terminava la parabola origi­
naria.
In Mt. segue un raddoppiamento della punizione (v. 30),'6o
in Le. un ulteriore elemento legato alla vicenda del preten­
dente al trono (v. 27) che descrive anch'esso la punizione (pe­
rò non del servo, bensl della gente che vuole che il basileus
ritornato governi) . '61
Partendo da questi elementi si può elaborare la seguente
ipotesi di storia della tradizione. L'originaria parabola delle
mine presente in Q fu fortemente rielaborata da entrambi gli
evangelisti. Dopo lantefatto Matteo inserl una descrizione
dell'attività dei servi durante l'assenza del padrone (w. 16-
18, compresa la parte finale del v. 15) ; introdusse il particolare
della diversa ripartizione delle somme «a seconda delle capa­
cità» dei servi; nel dialogo del rendiconto inserl gli accenni
alla «gioia del tuo padrone» (w.21fin.23fin.) e all'esser gettati
fuori nelle tenebre (v. 30) ; sottolineò che il padrone ritorna
13 ,12a); anche quest'esempio conferma che il nostro detto aveva il suo Siti. im Leben
negli affari finanziari. Per l'intera questione cfr. Derrett, ZNW ,6, 194: «lf a mer­
chant possessing capitai shows a profit, people eagerly offer him further capitai, the
trader who reports no profit loses the capitai entrusted to him».
1,8. Già l'interpretazione postpasquale della parabola delle mine vide in Mt. v. 29
un'affermazione sul giudizio di Dio. Per questo motivo il breve detto poté essere tra­
mandato anche indipendentemente dalla parabola, come detto che si riferisce al giu­
dizio escatologico. Già Marco (4,2,) non comprese più questa sfumatura e lo tra­
sformò in un ammonimento all'autentico ascolto.
159· La possibilità di intendere questo detto come applicazione si ebbe nel momento
in cui il rendiconto del padrone fu inteso come metafora del giudizio di Dio. Per
questo Le. poté qualificarlo espressamente come applicazione con un ì.�yw u11-iv &ti
(qui redazionale).
160. Il carattere redazionale di questo versetto è palese (cfr. Mt. 8,12; 1 3,50; 24,5 1 ) ;
Weiser, Knechtsgleichnirse, 2,4; Fiedler, BiLe n, 272; Kamlah, KuD 14, 2 9 ; Dupont,
RThPh 19, 379 s. ; diversamente invece McGaughy, JBL 94, 240.
161. Il versetto è redazionale con Kamlah, KuD 14, 30 (cfr. sopra, pp. 234 s. n. 124);
diversa opinione in Weiscr, Knechtsgleichnisse, 2,3 s.
«dopo lungo tempo» (v. 19) ; designò i servi a seconda di quel­
lo che ognuno di loro aveva ricevuto (vv. 2oa.22a.24a), e in
ognuno dei rendiconti riformulò la costruzione con il servo
come soggetto del guadagno; rinforzò l'apostrofe ai servi ag­
giungendo «fedele» (vv. 2r .23) o «infingardo» (v. 26) ed ag­
giunse nella conclusione (v. 29) il xal 7te:ptaae:u-8fiae:'t'at.
Le. trasformò il protagonista della parabola originaria da
«un uomo» in un «pretendente al trono» (vv. r2.13b. 14.
15a.27) , modificando di conseguenza la ricompensa dei servi
(vv. 17b . 1 9b) ; inserì l'esplicito comando di impiegare il dena­
ro (v. 13b) ; portò a dieci il numero dei servi (v. 13a) ; riformu­
lò l'invito al rendiconto (v. r5b) e sostituì «poco» con «mini­
mo» (v. qb) ; nella risposta al terzo servo mise in risalto che il
padrone lo giudica secondo le sue stesse affermazioni (v. 22a;
cui si connette anche il particolare del denaro avvolto nel faz­
zoletto) e ripeté la definizione del padrone come «Un uomo
severo» (v. 22b ) ; al versetto 24 introdusse i «presenti» che o­
biettano che il primo servo ha già dieci mine; col «vi dico che»
(v. 26a) caratterizzò la frase seguente come applicazione del­
la parabola.
In Ev. Naz. fr. 18162 è attestata una tradizione più tarda161 che
mette in scena un totale di tre servi: uno che conseguì un no­
tevole profitto, l'altro che nascose il talento ed infine uno
«che sperperò il patrimonio del padrone con prostitute e suo­
natrici di flauto»; il primo verrà «accolto (con gioia)», il se­
condo solamente rimproverato, il terzo invece cacciato in pri­
gione.

162. Vedi Hennecke '1, 97. Lo stesso passo viene citato come Ev. Hehr. fr. 15 (cfr.
Schulz, Q, 293 n. 233).
163. Questa versione è dipendente dalla tradizione sinottica (soprattutto da Mt. , cfr.
il talento ! ) e completamente secondaria; con Jeremias, Gleichnisse, 55 s.; cfr. Viel­
hauer, Nazaraerevangelium, 94: «Nr. 18, messo a confronto con Mt. 25, 14 ss., non
può avanzare alcuna pretesa di originarietà».
Interpretazione
Il testo della parabola originaria, risalente senz'altro al Ge­
sù storico, '64 doveva essere all'incirca il seguente:
Avviene col re�no dei cieli come con un uomo che doveva andare in un
paese lontano' ' e che chiamò a sé i suoi servi e consegnò ad ognuno di
loro una mina. Ed il padrone di quei servi (dopo un certo tempo) ritor­
nò e fece i conti con loro.
E venne il primo e disse: «Padrone, la tua mina ha fruttato dieci mi­
ne».
Ed egli a lui: «Bene, (tu sei un) bravo servo, sei stato fedele nel poco
(perciò) voglio porti al comando di molto».
E venne il secondo e disse: «Padrone, la tua mina ne ha fruttate cin­
que».
E il padrone gli disse: «Bene, (tu sei un) bravo servo, sei stato fedele
nel poco, (perciò) ti voglio porre al comando di molto».
Ed il terzo venne e disse: «Padrone, ecco qui (rieccoti) la tua mina,
che ho nascosto (sotto terra) . Avevo paura di te, perché sei un uomo
severo, che raccoglie dove non ha seminato e riscuote quello che non
ha messo in deposito ! ».'66
Ed il padrone gli disse: « (Tu sei un) cattivo servo; sapevi che raccol­
go dove non ho seminato e che riscuoto ciò che non ho messo in depo­
sito? Allora, avresti dovuto depositare il mio denaro dai banchieri,'"7 co­
si al mio ritorno lo avrei riavuto con gli interessi. Perciò toglietegli la
mina e datda a quello che ne ha dieci! Perché a chi ha sarà dato, a co­
lui che non ha sarà tolto anche ciò che ha».

La parabola, cosi ricostruita sulla base degli argomenti sto­


rico-critici, si presenta coerente ed efficace anche sotto il
164. La motivazione addotta da Fiedler, Bile u, 271 per la non autenticità della pa­
rabola, ossia che non si «può trovare nessun convincente Sitz im Leben nel ministero
di Gesù (sic!) », non convince per niente, poiché Fiedler si limita a prendere in con·
siderazione, come ipotesi circa la situazione originaria della parabola, solo quelle
proposte degli esegeti. Dalle divergenze tra questi ultimi non si possono trarre con·
elusioni sulla autenticità o meno! A ragione sostengono l'autenticità McGaughy,JBL
94, 24.:; ; Dupont, RThPh 19, 389-391 ; Weiser, Knechtsgleichnisse, 2.:;9-266; Jeremias,
Gleichnisse, .:;9.
16.:;. La traduzione del participio àr.oG"fl!J-Wv è quella di Wilckens, N. T. , ad locum.
166. La resa delle espressioni tecniche bancarie in Le. 19,2 1 s. è quella di Wilckens,
N. T. , ad locum.
167. Per il -.pixr.t"'i":ljt; cfr. Bauer, Wb, s.v. («banchiere, cambiavalute») . La traduzio­
ne è quella di Schweizer, Mt, 307.
profilo formale. Un'importante caratteristica strutturale della
na"azione è la mancanza della parte centrale: il periodo tra la
partenza e il ritorno del padrone viene completamente igno­
rato dalla narrazione. La parabola chiaramente mira innanzi­
tutto a contrappo"e a una situazione iniziale (messa in scena
con estrema concisione) una conclusione (dénouement) narra­
ta con ricchezza di dettagli. Questa caratteristica strutturale
porta alla conclusione che nella narrazione è il momento del
ritorno a qualificare quello della partenza (e della consegna) .
Nella conclusione viene interamente alla luce ciò che era già
sottinteso nella situazione iniziale: il padrone consegna (senza
alcun commento ! ) delle mine ai suoi servi. Le mine consegna­
te implicano in maniera così palese un compito da adempie­
re, che ogni commento in merito diviene superfluo. Due dei
servi hanno capito il da farsi, il terzo evidentemente non si è
reso conto di ciò che la situazione imponeva: invece di far
fruttare il denaro e ottenere un profitto, è andato a nascon­
derlo sotto terra. '68 Per questo viene punito dal padrone, non
ottenendo più nessun capitale da amministrare.
Perché questo servo nasconde la mina sotto terra e in tal
modo si comporta in maniera diametralmente opposta alla
natura del denaro consegnato? Paura del rischio?'69 Poco ve­
rosimile, perché il padrone ammette esplicitamente che egli
avrebbe potuto trovare il modo per accrescere il patrimonio
senza alcun rischio: ricorrendo ai banchieri. Preoccupazione
di preservare la sua integrità?110 Ma impiegando il denaro non
168. Con Weiser, Knechtsgleichnisse, che parla della dinamica dd dono affidato (p.
263) e dell'amministrazione sotto propria responsabilità in conformità con le esigen­
ze insite nel dono stesso (p. 264). L'esigenza insita nel denaro è quella del suo au­
mento (op. cii. , 264). Solo in ciò sta il contrasto tra i primi due servi ed il terzo. Que­
sto elemento però non può essere trasposto affrettatamente alla «metà reale», contro
McGaughy, JBL 94, 245 , secondo cui Gesù attaccherebbe l'idea che «lsrael's mission
is to guard the tradition of the fathers during Yahweh's absencc». Identica trasposi­
zione anche in Jeremias, Gleichnisse, 59, dove il denaro affidato viene riferito «alle­
goricamente» alla parola di Dio, e quindi il terzo servo ai farisei. Un'interpretazione
simile anche in Kamlah, KuD 14, 34-36.
169. Così Schulz, Q, 295 s.
170. Cosi Kamlah, KuD 14, 35 s.

244
l'avrebbe compromessa affatto. È stata dunque la paura del
padrone che lo ha portato a tralasciare ciò che era ragionevo­
le. La paura del rendiconto futuro lo ha paralizzato a tal pun­
to da impedirgli di comprendere le esigenze che il dono rice­
vuto gli imponeva nel presente.
I primi due servi viceversa rivelano un atteggiamento ap­
propriato nei confronti del denaro. Ma il narratore non li uti­
lizza solo come sfondo'7' su cui far risaltare per contrasto il
comportamento negativo del terzo - a tal scopo ne sarebbe
stato più che sufficiente uno solo - anche se il suo interesse
principale non è rivolto a loro. Le figure dei due servi appaio­
no in scena solo per illustrare plasticamente l'esigenza insita
nelle mine consegnate; come protagonisti non assumono un
ruolo autonomo; non è il loro comportamento la pointe della
parabola. Lo si vede anche dal fatto che l'ammontare del pro­
fitto conseguito non ha alcun peso nella valutazione dei servi:
nella parabola originaria entrambi ricevono la medesima lode.
Il rendiconto non si svolge in base alla misura del loro succes­
so. La misura consiste unicamente nell'a ver percepito l'esigen­
za insita nel denaro.
Un padrone di questo mondo non si sarebbe comportato
cosl con i suoi servi: avrebbe invece ricompensato meglio il
servo più abile. Lo stesso può dirsi anche riguardo alla distri­
buzione del denaro: che ogni servo riceva la medesima som­
ma è un elemento dettato dalla espressa intenzione del narra­
tore. Un padrone di questo mondo distinguerebbe già in par­
tenza tra servi più o meno abili e distribuirebbe il denaro in
171. Contro Dupont, RThPh 19, 389, che pone al centro dell'attenzione il terzo servo
come persona, i cui argomenti contro il padrone sono validi (op. cii. , 388; il servo
non prende più di ciò che gli tocca; per questo egli entra in contrasto con il padro·
ne, la cui ingiustizia consiste nel mietere dove non ha seminato). Dupont traspone
poi questo tema della giustizia del servo ai farisei che - sulla base del loro sforzo di
giustizia - non sono come i servi che soddisfano le esigenze del loro padrone. Anche
Via, Gleichnisse, I I 3 s., mette in risalto unilateralmente il terzo servo, per dedurne la
cecità dci contemporanei di Gesù. L'approccio di Via porta all'interpretazione ge­
neralizzante che la ricerca di sicurezza sia mancanza di fede e che il tempo presente
sia il tempo dell'impegno rischioso. Ma per dire questo non ci sarebbe stato alcun
bisogno di una parabola come questa.

245
proporzione all'abilità dei servi. Il narratore invece vuol met­
tere in risalto che ciascuno riceve lo stesso dono (e in pari tem­
po anche lo stesso compito) . Se il narratore avesse fatto di­
stribuire somme differenti, la condanna del terzo servo avreb­
be perso di evidenza: effettivamente egli avrebbe potuto an­
che nascondere sotto terra il suo denaro, dal momento che
aveva a disposizione meno capitale iniziale degli altri; senz'al­
tro avrebbe potuto ben giustificare il suo comportamento con
la mancanza di fiducia in lui da parte del suo padrone testi­
moniata appunto da tale ripartizione. '12 I due elementi suddet­
ti fanno dunque capire che il racconto non verte sulla produt­
tività dei servi, ma esclusivamente sulla loro reazione nei con­
fronti delle mine. L'intera parabola mira a mettere in evidenza
che in quelle mine è racchiusa un'esigenza da adempiere in­
condizionatamente. Nei primi due servi viene messo in luce in
positivo, nel terzo invece in negativo. Chi non fa fronte a
quest'esigenza, si priva dei mezzi di sussistenza, poiché nessu­
no più gli affiderà del capitale da amministrare.
Questa logica economica descritta nella parabola, il narra­
tore l'applica al regno di Dio. Anche col regno di Dio avviene
come con quel capitale da amministrare che fu consegnato ai
servi. In questo modo la parabola mette in luce l'esigenza in­
sita nel fatto stesso di aver ricevuto in dono il regno di Dio:
come il denaro non deve rimanere inutilizzato sotto terra, co­
si il regno di Dio per sua natura è tale che l'uomo debba met­
terlo in movimento. '7l Anche nei confronti del regno, come
nei confronti di questi soldi, il problema non è quello del ren­
dimento conseguito dall'uomo: l'uomo non deve tradurre il

172. Derrett, ZNW ,6, 192, interpreta erroneamente la motivazione del terzo servo
cosl: tu mi hai dato troppo poco, perciò io non ho lavorato col mio denaro per pu­
nirti della tua mancanza di fiducia. Ciò determina in Derrett una corrispondente ap­
plicazione: cThose who complain that God has dealt hardly with them, that they are
poor, stupid, oppressed, etc., may abandon piety as impractical» (op. dt. , 194). In tal
modo la parabola diviene un ammonimento ai poco dotati, a fare qualcosa per Dio
anche con quel poco che posseggono.
173. Cfr. Weiscr, Knechtsgleichnisse, 263: al dono nella figura corrisponde la basileia
nella realtà.
regno nella prassi (magari attraverso le sue opere) ; quello che
deve fare è solo investirlo;173' e sarà il regno stesso poi a pro­
durre il profitto. '74 Che significa «investire» il regno di Dio se
questo va inteso come il tempo dell'amore? Poiché il regno di
Dio, definito come il tempo dell'amore, è innanzi tutto il tem­
po dell'amore di Dio per l'uomo, «investire» il regno equivale a
dire che l'uomo faccia spazio a quell'amore nei propri con­
fronti; che veda se stesso come oggetto dell'amore di Dio e
diventi cosl una nuova creatura. Questo è l'effetto, che è cosl
certo nell'investire la basileia, cosl come lo è il profitto dei
denari investiti. Nel momento in cui una persona crea spazio
in se stessa al tempo dell'amore, per lei è arrivato anche il
tempo per l'amore nei confronti del fratello. Se poi è vero che
il regno di Dio come tempo dell'amore viene elargito all'uomo
essenzialmente attraverso la parola, investire la basileia signi­
ficherà anche diffondere quella parola. Questa diffusione è un
imperativo dell'amore e fa fronte all'esigenza insita nel regno
di Dio. La diffusione è necessaria affinché la parola che an­
nunzia il Dio vicino possa produrre sempre di nuovo l'effetto
che le appartiene con certezza.
La parabola interpretata nel contesto della vita di Gesù
- -

acquista un profilo ancora più netto. È Gesù di Nazaret che


rende vicina la basileia. Adesso, nella sua parola e nella sua
opera, è arrivato il tempo in cui il regno viene consegnato;
adesso viene donato all'uomo l'amore di Dio. Attraverso que­
sta parabola, Gesù, mettendo in rapporto la basileia con le
regole economiche dell'investimento e del profitto, offre
all'uditore la connessione che fa comprendere il rapporto tra
il dono della basileia e l'investimento che egli deve farne. L'u­
ditore apprende che l'essenza della basileia a lui donata ne
esige l'investimento. Poiché la scena del rendiconto nella pa-

r73a. [Gioco di parole, intraducibile, sull'assonanza tra umsetzen (tradurre, traspor­


re,trasponarc) e einsetzen (inserire, impiegare, mettere in gioco . )].
..

174. Ciò risulta dalla non casuale formulazione del rendiconto dei servi: «Signore, la
tua mina ne ha fruttato dieci (cinque) . Si noti la differenza della versione di Mt. , che
indica i servi stessi come soggetto del guadagno (al riguardo cfr. sotto, p. 250 n. 183).

247
rabola serve solo a far comprendere all'uditore l'esigenza insi­
ta nella somma ricevuta, con questa parabola Gesù non an­
nuncia il giudizio,'7' bensì mostra all'uditore che nella conse­
gna della basileia è insita una richiesta, che val la pena di sod­
disfare ad ogni costo. In questo modo Gesù crea nell'uditore
l'atteggiamento rispondente alla basileia. La parabola conse­
gna all'uditore il regno di Dio in modo tale che egli possa
percepire l'esigenza insita nel dono; lo distoglie dall'atteggia­
mento impersonato nel terzo servo. Questa dissuasione avvie­
ne per la sua salvezza, non per il suo giudizio.
L'interpretazione della comunità di Q valorizza il fatto che
il donatore della basileia era Gesù, interpretando176 la parabola
in senso cristologico e trasponendola nel contesto storico fino
ad abbracciare tutto l'arco di tempo che va dall'epoca di Gesù
al giudizio escatologico. 177 Il padrone che ritorna diventa ora la
metafora del Figlio dell'uomo, giudice universale alla fine dei
tempi, che giudicherà la comunità a seconda che essa abbia
percepito o meno lesigenza insita nella basileia che le è stata
178
consegnata. In tal modo per la comunità la parabola diviene
un incoraggiamento a colmare il periodo dell'assenza di Gesù
(ossia il periodo tra la pasqua e la parusia), mettendo in mo-

in. Chi intende questa parabola come parabola del giudizio (rivolta ai farisei, Jere­
mias, Gleichnisse, 59; o ai giudei, venuti meno al loro compito di buoni amministra­
tori di Dio, Via, Gleichnisse, n3), misconosce il carattere parabolico del rendiconto.
Anche se si intende il rendiconto come metafora del giudizio, quest'ultimo viene
evocato solo all'interno della parabola; questo però proprio perché, nella realtà, il
giudizio venga allontanalo. In linea di principio, è qualsiasi uditore di Gesù a correre
il rischio di non corrispondere alle esigenze della basileia che gli è stata donata.
176. «Il proprietario di schiavi che va in un paese lontano è Cristo» (Schulz, Q, 294).
177. Peraltro ben difficilmente si può sostenere che la parabola sia divenuta adesso
una parabola del giudizio (in contrasto con McGaughy, JBL 94, 240). Anche qui, se
si parla del giudizio escatologico, chiaramente è allo scopo di qualificare la situazio­
ne della comunità creatasi con la venuta di Gesù.
178. Ciò non significa un giudizio secondo le opere (in contrasto con Dupont, RTh
Ph 19, 385), perché anche qui il problema è solo se il servo adempie o meno agli ob­
blighi di ciò che gli è stato affidato. Non è ancora determinante quanto egli abbia
guadagnato. Questa idea del giudizio è più vicina dunque ad un giudizio secondo la
giustizia della fede che ad un giudizio secondo le opere.
vimento la basileia. 1 79 È possibile che proprio in questo stadio
Mt. 25,29 par., che rappresentava in origine la conclusione
della narrazione, sia diventato (per fraintendimento) una pro­
posizione sulla norma escatologica del giudizio.
Matteo si ricollega principalmente all'interpretazione stori­
ca della comunità di Q e conferisce al dialogo del rendiconto
un carattere ancor più marcato di giudizio escatologico (cfr.
la ricompensa e la punizione dei servi: vv. 21 .23.30). ' ao Con l'i­
nasprimento della pena aggiunto al v. 30, il racconto assume
l'aspetto di una parabola di giudizio: con l'allusione al giudi­
zio finale, da non intendere più in senso metaforico, Matteo
motiva la sua ammonizione per il periodo tra la pasqua e la
parusia. In questo periodo è in vigore l'impegno di vigilare
(v. 13 ! ) e utilizzare bene i doni ricevuti in consegna. '81 Anche
qui non è il ritardo della parusia il vero problema, viene men-

179. � in gioco la fedeltà nel periodo intermedio (con Hoffmann, Studien, 49 ) A mio
.

avviso non si può sostenere che la parabola sia stata creata in riferimento alla parusia
che ritarda (cos} Schulz, Q, 293 con n. 239), perché non rivela alcun interesse diretto
al ritardo della parusia. Per la questione cfr. Hoffmann, Studien, 48 s. (ivi anche la
critica alla tesi di Grasser). Diversamente avviene con la «parabola» del servo fedele
e di quello infedele, difficile da giudicare da un punto di vista della storia delle for­
me (Mt. 24,45-51 par., Q). Come parenesi ordinata sin dall'inizio a situazioni della
comunità primitiva, essa presuppone il ritardo della parusia (cfr. Mt. v. 48b ! , con
Schulz, Q, 274, cfr. la bibliografia citata alle nn. '4 s. ) . Questa parabola, nonostante
la sua parentela con quella delle mine, è talmente diversa da far supporre una diversa
origine. In Mt. 24,45-51 il tema è la fedeltà del servo, che va mantenuta, anche se l'as·
senza del padrone si protrae a lungo; il ritardo del padrone è pertanto un elemento
essenziale della parabola. Nella nostra parabola invece (anche in Ql il tema è la fe.
deità nei confronti del dono affidato alla comunità, ed ivi il ritardo della parusia non
è affatto indicato come una tentazione alla infedeltà.
180. Sta qui la differenza più palese con la rielaborazione lucana, in cui questo ele­
mento non è messo in risalto (Kretzer, llemcha/t, 207, ritiene addirittura che in Le.
esso manchi del tutto. Ma che significa allora il v. 27?) . Il tema dell'cessere preparati
per la fine» traspare attraverso tutta la narrazione» (ihid. ). Sul rafforzamento dell'a­
spetto del giudizio cfr. Schweizer, Mt, 309; Kamlah, KuD 14, 29; Dupont, RThPh
19, 379 s.; McGaughy, JBL 94, 237; Fiedler, Bile n, 263; Weiser, Knechtsgleich­
nisse, 268 s.
181. L'appello alla vigilanza (v. 13) viene commentato anche dalla nostra parabola
(cfr. il yii;: al v. 14). Il ritardo della parusia non viene motivato, ma solo constatato
(con Kamlah, KuD 14, 29). Mt. intende la parabola come «insegnamento sul giusto
comportamento di fronte al giudizio futuro» (op. cii. , 28).

249
zionato solo per inciso con l'inserimento redazionale «dopo
molto tempo» (v. 19) . Sotto l'influsso della situazione postpa­
squale i denari consegnati diventano somme favolose. 1 8' Nella
interpretazione matteana della parabola il periodo intermedio
assume un significato autonomo: esso viene descritto esplicita­
mente come il periodo del lavoro con i denari affidati (vv. 16-
18) . '8 1 Inoltre Mt. sposta l'accento dall'originaria attività del
denaro stesso a quella dei servi: sono i servi a conseguire il
profitto. Di conseguenza, il padrone distribuisce le somme
secondo le capacità dei singoli servi.' 84 Per Mt. laccento cade
molto più sul comportamento dei cristiani nel mondo che
sulla scoperta dell'esigenza insita nel dono. Per lui si tratta più
di trasporre la basileia che di investirla. 11411
Luca si ricollega innanzi tutto alla interpretazione cristologi­
ca della parabola di Q e la rende più chiara con la vicenda del
pretendente al trono, da intendere in senso cristologico.18'
L'inserimento di questa vicenda consente a Le. , al tempo stes­
so, di utilizzare la parabola anche come motivazione del ritar-
182. Cfr. Kretzer, Hemcha/t, 208. Di qui anche l'enfasi sulla grande ricompensa ai
due servi fedeli (xotÌ r.tp1'l'at1r.9ljn't'ot1 v. 29). Si tratta ormai della potente parola della
basileia, che bisogna tradurre in azione (cfr. Kretzer, op. cit. , 2o6) . Perciò il padrone
(è Cristo) distribuisce il suo intero patrimonio (è la predicazione di Gesù) .
1 8 3 . I servi «subito,. s i mettono all'opera e fanno tutto i l possibile, per dare a l loro
padrone il massimo profitto. Questo significato autonomo del tempo intermedio era
estraneo alla parabola originaria, ma ne fu una conseguenza allorché la parabola fu
applicata alla ritua1.ione storica.
184. Lo spostamento di accento sul comportamento dei servi si rispecchia anche nel
raddoppiamento della lode in Mt. («buono,. e «fedele.. oppure «credente,., cfr.
Schweizer, Mt, 309 ) . Inoltre i servi vengono definiti di volta in volta con quello che
essi hanno ricevuto (e meritato) . Ciò fa capire che Mt. comprese la parabola come un
ammonimento a portar frutto, all'amore operoso, ad ascoltare la parola e metterla in
pratica. Cfr. Kret7.er, Hemcha/t , 2o6 s. 210 che rimanda all ' èpri�tTSot1 (25,16) ed al
suo riferimento a 2 1 ,28 e (in negativo) a 7,23. Analogamente Kamlah, KuD 14, 29;
Dupont, RThPh 1 9, 381 s.; Schweizer, Mt, 309 s.
1848. [Cfr. sopra, p. 247 n. 173a] .
185. Anche Weiser, Knechtsgleichnirre, intende la vicenda del pretendente al trono
come allegoria cristologica (p. 269) , che però egli vuole attribuire alla fonte partico·
lare di Le. (p. 270). Sullo sfondo di questa vicenda stanno l'ascensione di Cristo, la
sua intronizzazione a Signore, il rifiuto da parte di Israele e la punizione (finale?) di
quest'ultimo, cfr. Kamlah, KuD 14, 30.

25 0
do della parusia ( cfr. v. I I ! ) .'86 Inoltre Le. pone laccento non
più, come in Gesù e in Q, sull'esigenza insita nel dono ricevu­
to, bensl sull'ubbidienza dei servi nei confronti del padrone (v.
13b). Di conseguenza condanna più duramente il terzo servo,
facendolo agire in modo negligente e facendo pronunciare a
187
lui stesso la propria condanna. Anche se il giorno del Signo­
re è ancora molto lontano, 1 88 la parabola ammonisce ad evitare
ogni disobbedienza nei confronti del Signore Gesù, che alla
fine verrà a giudicare.
Nel secondo secolo l'interesse per il comportamento'119 mo­
rale dei servi passò ancor più fortemente al centro dell'atten­
zione. Nell'Ev. Naz. 18 viene meno completamente l'idea del­
la risposta richiesta dalla basileia, e resta solo quella del modo
di trattare i doni di Dio; tanto che non si comprende più co­
me mai il terzo servo (originario) fosse condannato, dal mo­
mento che non aveva fatto niente di male; per questo viene
introdotta una nuova figura del terzo servo, che sperpera i
doni di Dio con le prostitute e le suonatrici di flauto, ossia si
comporta in maniera oltremodo immorale. È lui che viene
punito dal padrone con la prigione, mentre l'altro (quello che
in origine era il terzo} viene soltanto rimproverato.

186. Jeremias, Gleichnisre, 56; Weiser, Knechtsgleichnisse, 272; Schweizer, Mt, 309;
Kamlah, KuD 14, 28; McGaughy, JBL 94, 237; Dupont, RThPh 19, 382 s. Il viaggio
in «Un paese lontano» serve a mettere in risalto che dovrà trascorrere un lungo pe­
riodo di tempo sino a quando il padrone ritornerà.
187. La condanna del terzo servo (cfr. Weiscr, Knechtsgleichnisse, 270 per la fonte
particolare; Kamlah, KuD 14, 31 per lo sccsso Le. ) rinvia alla concezione lucana del
tempo intermedio come periodo di prova.
188. «Per quanto lungo possa essere il tempo che dovrà passare sino al ritorno dcl
Signore, per i discepoli quello che è importante è lavorare fedelmente con i beni che
sono stati loro affidati» (Weiser, Knechtsgleichnisse, 272).
189. Cfr. Jeremias, Gleichnisse, 55 («grossolanità moralizzante») ; Schwcizer, Mt, 308
cfr. 301 .
2.4. Le rimanenti parabole
del materiale particolare di Matteo

2.4. 1 . La parabola del debitore spietato


(Mt. I B,23 -35)
Ricostruzione
Matteo colloca la parabola nel contesto della «regola della
comunità» del cap. 18. Egli la presenta come illustrazione
della parola di Gesù sul perdono (v. 22), tramandata anche in
Le. ' La domanda espressa da Pietro (v. 21), quante volte si
debba perdonare a un fratello peccatore, interessa Mt. in mo­
do particolare;' anche il versetto conclusivo della parabola (v.
35) farà riferimento ancora una volta a questo tema. 3 I rima­
nenti versetti 23-34 dal punto di vista morfo-storico vanno
definiti come racconto parabolico:' La formula introduttiva al
v. 23 è un chiaro indizio del fatto che Mt. trovò la parabola
nel suo materiale particolare.' Colpisce il fatto che nella se­
conda metà (vv. 3 1-34) il perdono del servo viene revocato,

I. Mt. 18,22 è una variante di Le. 17,4. A differenza di Le. , Mt. non parla di conver­
sione. A entrambe le versioni soggiace un preesistente detto (di Gesù). La sua con­
nessione con la parabola va attribuita verosimilmente alla redazione di Mt. (cfr. il ò1iX
o;rif':o al v. 23; Weiser, Knechtsgleichnisse, 99 s. ), dal momento che il detto e la para­
bola non risultano pienamente coerenti (nella parabola non si parla più di un ripetu­
to perdono; vedi Schweizer, Mt, 234; cfr. però p. 245 : «L'introduzione [ . . ] così co­
.

me la parabola gli [re. a Mt. ] sono già preesistenti. ..). Per l'intera questione vedi an­
che Via, Gleichnisse, 133, che riconduce a Mt. il legame con i vv. 21 s.
2. È tipico di Mt. far comparire Pietro se si tratta di questioni dominali che riguar­
dano la comunità (Schweizer, Mt, 245).
3. Il v. 35 è tipico di Mt. per terminologia e per contenuto; Via, Gleichnisse, 133;
Weiser, Knechtsgleichnisse, 99 s.; Kretzer, Hemcha/t, 256; Schweizer, Mt, 247.
4. Bultmann, Synoptische Tradition, 191.
5 . Cfr. sopra, p. 15 1 n. 1 1 8 e pp. 217 s. n. 59 (qui anche un'analisi più particolareggia­
ta di altre connessioni analoghe nel vangelo di Mt. ) .
cosa che non si addice ad un sovrano, sulla cui parola si do­
vrebbe poter fare affidamento. Inoltre il v. 31 rivela in manie­
ra molto evidente una terminologia tipica di Mt. 6 I vv. 32-34,
che dovrebbero allo stesso modo essere stati rielaborati da
Mt. ,7 presentano, com'è logico aspettarsi, numerosi punti di
contatto con i vv. 23-30, ma d'altra parte rivelano anche con­
siderevoli differenze rispetto alla prima parte. 8 Il che fa pre­
supporre che i vv. 32-34 siano stati aggiunti alla parabola ori­
ginaria solo secondariamente, però senz'altro già prima di
Mt.9 La parabola originaria (vv. 23-30) costituisce una forma
6. <7UvòovÀoi; compare 4 X nella nostra parabola (vv. 28.29.31.33) cosi come 1 X in
24,49 (senz'altro tradizionale, cfr. Schulz, Q, 272). ),u7teiv già da un punto di vista
puramente quantitativo risulta molto più frequente in Mt. che negli altri sinottici
(Mt. : 6; Mc. : 2; Le. : o), il collegamento con a96ò@ 1t , matteano anch'esso (Mt. : 7; Mc. :
1 ; Le. : 1 ; nel rimanente N.T. : 2) è chiaramente redazionale ( 17,23; 26,22 cfr. Mc.
14,19). iì..Swv, usato come qui, è molto più frequente in Mt. che in Mc. (31 x rispetto a
12 X ) e ricorre spesso nella redazione. Ò1ot'7ot9eiv nel N.T. si trova solo qui e in Mt.
13,36 ( ? tradizionale, cfr. sopra, p. 153 n. 12; ) . -=� y1(e)v611-evot s'incontra in Mt. 27,
;4 in contrasto con Mc. , in 28,n (redazionale) collegato con &7totv-=1t. Anche Wei­
ser, Knechtsgleichnisse, 85 s. sottolinea la chiara indicazione fornita dalla terminolo­
gia di Mt. 18,31, e ne conclude che si tratta di una formulazione matteana finalizzata
ad una applicazione concreta ecclesiologica.
7. È tipico di Mt. il -=on al v. 32 che stabilisce la relazione col v. 3 1 . ò9uì.+, s'incontra
solo qui e in Rom. 13,7; 1 Cor. 7,3. Èxtivoi; ricorre spesso in Mt. (Mt. : 54 X ; Mc. : 19
[ + 3] X ; Le. : 32 X ) ; à 9 1 Évot 1 si trova in Mt. 6,r; (par. Mc. n,25 ) ; 6,14 (redazionale) ;
6,12 in relazione a ò1;mÀ+.!1-!1-=ot. ÈÀeeiv risulta u n po' più frequente in Mt. che negli
altri sinottici (Mt. : 7 X ; Mc. : 3 X ; Le. : 4 X ) ; si noti soprattutto Mt. 5,7 redazionale
(cfr. Schweizer, Mt, 53). iwi; oò in Mt. è per lo più redazionale: 1,2; ( ? ) ; 5,25 (0-=ou,
redazionale) ; 1 3,33 (Q) ; 14,22 (in contrasto con Mc. ) ; 17,9 (in contrasto con Mc. ) ;
26,36 (in contrasto con Mc. ). Sono certo presenti anche vocaboli tradizionali come
T.fl0'7X!1Àtiv, r.otpotxixì.eiv , �dì.e1v , òpyi�t'7'!Ì ix1, r.otpixò1ò6vix1. Ne consegue che Mt.
qui rielaborò una fonte. Identica conclusione in Weiser, Knechtsgleichnisse, 86-88.
8. Secondo il v. 25b non ci si aspetterebbe come punizione la consegna agli aguzzini
(come narra invece il v. 34), bensl l'esecuzione del comando ivi impartito. Nella de­
scrizione del v. 33, che ricapitola il comportamento del servo, non vengono menzio­
nati come al v. 26a l'inginocchiarsi e la supplica del servo, bensì il r.oti)IXXIXÌ.eiv del
compagno (come al v. 29). Mentre il signore al v. 27 ha compassione (=ì.ixn.v t'7.Sdi;) ,
al v . 33 si attribuisce l a pietà (·�ÀÉlj'71X). Al v. 27b il signore condona -= Ò òavuov, a l v .
32b invece itii'71tv -r�v ò9e1ì.-fjv . Al v . 3ob s i legge é'.wi; à7toÒ<j> -: ò ò9etÀ011-Evov, mentre
il v. 34b scrive twi; o� àitoò<j> itiiv -=ò òqi e: tÀO!l-EV OV . In generale, la punizione del primo
servo corrisponde al trattamento che egli aveva fallo al suo compagno. Il comporta­
mento del sovrano si basa su quello del servo nei confronti dcl compagno.
9. L'aggiunta si mantiene anche senza il v. 3r, che descrive l'indignazione degli altri
più antica della tradizione e dovrebbe avere la sua origine nel
mondo palestinese. '0
Ne consegue la seguente ipotesi sulla storia della tradizione:
nella comunità prematteana la parabola originaria (vv. 23-30)
fu provvista della formula introduttiva caratteristica di questa
tradizione, e fu completata dai vv. 32-34. Matteo collocò la
parabola nel contesto della domanda di Pietro riguardo al
perdono, interpretandola come illustrazione della risposta di
Gesù (v. 22) ; inseri oltre a ritocchi minori il v. 31 da intendere
in senso ecclesiologico; e concluse la parabola (e l'intera «re­
gola della comunità») col v. 35.

Interpretazione
Nello stadio di Gesù" la parabola era all'incirca la seguente:
Avviene col regno dei cieli come con un uomo" che voleva fare i conti

servi, dal momento che il resoconto al sovrano non aveva bisogno di essere narrato
esplicitamente. Jeremias, Gleichnisse, 207-211 ; Bultmann, Synoptische Tradition,
191; Linnemann, G/eichnisse, 116 considerano unitaria la parabola. Weiser, Knechts­
g/eichnisse, 92, cfr. 76-88 prende invece in considerazione la rielaborazione mattea­
na di una parabola tradizionale, che raggiungeva la sua pointe ai w. 33 s. (v. 31 tutto
di Mt. ; parti dei w. 32-34; ritocchi ai w. 2 3 - 3 0 ) .
10. Sono già sufficienti a dimostrarlo i numerosi semitismi (cfr. Jeremias, G/eichnis­
se, 208 s.; Weiser, Knechtsg/eichnisse, 77. 81. 82). Tuttavia le situazioni giuridiche
presupposte dalla parabola non coincidono esattamente con quelle del giudaismo (la
vendita di un israelita avveniva solo in caso di /urto, Str.-Bill. 1, 797 s. per Mt.
18,2,a; la vendita della donna era sconosciuta all'halaka, Str.-Bill . 1, 798 per Mt.
18,26b; cfr. Jeremias, G/eichnisse, 20 8) . Esse tuttavia dovrebbero essere state note
anche agli uditori originari, in modo tale che la parabola pur non essendo realistica
(e non aveva bisogno di esserlo) era ugualmente comprensibile. Per la punizione della
tortura cfr. Jeremias, G/eichnisse, 210.
n. Non c'è alcun motivo di contestare l'attribuzione della parabola a Gesù; con Je­
remias, G/eichnisse, 210 s.; Weiser, Knechtsg/eichnisse, 92; Dietzfelbinger, EvTh 32,
4,0 s.; Fuchs, ]esus, 3 1 s.
12. La narrazione sembra presupporre che l'uomo sia un re (cosi Jeremias, G/eich­
nisse, 208 cfr. 24 n. 1), nonostante essa parli di un signore. L'esorbitante somma do­
vuta ( 10.000 talenti) non deve farla ambientare in un mondo di governatori e di sa­
trapi. Essa è, piuttosto, in funzione dell'applicazione, ed è chiaramente un tratto ar­
tificioso (anche un satrapo difficilmente potrebbe avere avuto tanti debiti; cfr.
Schweizer, Mt , 246 ! ) . In6ne, se si tiene conto che l'espressione �v..9pwr.o; �7tÀe:u; è

254
coi suoi servi. E quando iniziò a fare i conti, ne fu portato'' innanzi a lui
uno che gli doveva'4 diecimila talenti.'' E poiché costui non era in grado
di ripagare (il debito), il padrone comandò di vendere lui, sua moglie, i
suoi figli e tutta la sua proprietà'6 e saldare cosl il debito. '7 Allora il servo
si gettò a terra, si inginocchiò dinanzi a lui e disse: «Abbi pazienza'" con
me e ti ripagherò tutto». Il padrone ebbe pietà di quel servo,'' lo lasciò
andare e gli condonò il debito.'° Ma quel servo andò via ed incontrò" un
altro servo come lui che gli doveva cento denari e lo afferrò per il collo
e gli disse: «Ripagami ciò11 che mi devi». Allora il servo si gettò in terra
e lo pregava dicendo: «Abbi pazienza con me e te {lo) ripagherò». Ma
egli non volle esaudirlo e lo fece gettare in prigione, fino a che egli non
ebbe saldato il debito.

Il punto di partenza per l'interpretazione del racconto è la


metafora fondamentale che le colpe dell'uomo nei confronti
di Dio sono paragonabili ai debiti pecuniari di questo mon-
tipica del materiale panicolare di Mt. (cfr. sopra, pp. 2r7 s. n. 59), se ne può conclu­
dere che questa connotazione dell'uomo risale alla metafora re è Dio (che peraltro
sarebbe possibile per lo stadio di Gesù).
13. Schweizer, Mt, 246 (cfr. Jeremias, Gleichnisse, 208) vi ravvisa un'allusione al fatto
che il debitore era già in prigione, e si sarebbe trattato perciò di un truffatore (vedi
al contrario Linncmann, G/eichnisse, 1n n. u). La parabola in se stessa non dà alcun
peso a questo elemento; esso tutt'al più renderebbe un po' più comprensibile il co­
mando del sovrano (v. 25) .
14. Questa traduzione d i ò11e 1ì.k1Jc; è sulla linea d i Schweizer, Mt, 245.
15. Questa somma è pressoché inimmaginabile (confronti si trovano in Schweizer,
Mt, 246; Jeremias, Gleichnisse, 208; Linnemann, Gleichnisse, rr4). Equivale pratica­
mente a «somma astronomica», se si pensa che ro.ooo era il numero più alto cui si
arrivava contando, cd il talento la massima unità monetaria in circolazione (cfr. Jere­
mias, Gleichnisse, 208 n. 7).
16. L'espressione verbale 7tav-rot ihot ixe 1 è resa meglio con il sostantivo; così anche
Schweitzer, Mt, 245 «patrimonio».
17. Traduzione con Schweizer, Mt, 245 .
18. Per il significato di (lotxpo-8u1.1-elv cfr. Bauer, Wb, s.v. 1 .
19. Per i problemi grammaticali dell'uso di =ì.otrlvt�t'l'-8ott con il genitivo (qualora
«di quel servo» non sia da riferire al «signore») cfr. Bauer, Wb, s.v. e Bl. -Debr. u5
(§ 176,r prima appendice).
20. Per il significato di òave1ov (letteralmente: «prestito») vedi Jeremias, Gleichnis­
se, 209, che ipotizza un errore di traduzione dall'aramaico.

2 1 . Cfr. Bauer, Wb, s.v. 1b («trovare per caso, imbattersi, scontrarsi»).


22. Il greco dice «se tu devi qualcosa», il che non si adatta al nostro contesto (dopo
il v. 28b ! ) . Jeremias, Gleichnisse, 208, è contrario a questa traduzione (sulla base del
substrato linguistico aramaico della parabola).

255
do.'3 A questa metafora fondamentale si ricollega anche la di­
versa entità delle due somme di denaro: il contrasto tra il de­
bito col padrone, quasi incommensurabile, e quello irrisorio
con l'altro servo rimanda alla differenza tra il rapporto Dio­
uomo'4 e il rapporto uomo-uomo. «Padrone» e «servo» sono
pertanto metafore di «Dio» e «uomo».'' Se si considera innan­
zitutto il comportamento del servo nei confronti dell'altro
servo, prescindendo dall'antefatto, il suo modo di agire risulta
assolutamente «normale». È ovvio che il denaro prestato ven­
ga richiesto indietro: chiunque farebbe lo stesso. L' «incro­
ciarsi» dei due punti di vista opposti, in questa parabola, fa
leva proprio su questa ovvietà: essa viene incontro all'uditore
ricollegandosi al suo <<normale» modo di vedere. Essa conce­
de un certo spazio, all'interno del racconto, al mondo ed alle
regole in vigore nel mondo. Tuttavia questo comportamento
«comprensibile» del servo la parabola lo colloca in un conte­
sto ben determinato, facendolo precedere da un antefatto in­
solito: prima di narrare il comportamento «normale» del ser-

23. [ Non può essere reso in italiano l'uso del medesimo termine. In tedesco Schuld,
«colpa .. , ha assunto anche il senso di cdebito» nel senso letterale del termine, mentre
in italiano «debito» può equivalere a «colpa» (metaforicamente) ma non viceversa] .
Chiaro, per esempio, il passo Ex. R. 3 1 (91b) (citato i n Str. -Bill. 1, 8oo s. per Mt.
18,33), in cui il debito di un uomo nei confronti del suo creditore viene messo in pa­
rallelo col debito contratto dall'uomo innanzi a Dio col peccato. cPer il tardo giu­
daismo, il quale concepisce il rapporto con Dio come un rapporto giuridico e con­
trattuale, è naturale applicare l'immagine del debito pecuniario al rapporto etico-re­
ligioso fra l'uomo e Dio. L'uomo che resta in arretrato colle sue opere pie viene a
trovarsi debitore verso Dio». (Hauck, ThWNT v, '61,18-22 cfr. i testi ivi citati, al­
le note 1,-18). Per la visione di Gesù vedi Hauck, op. cit. , ,62,7-,63,16; Weiser,
Knechtsgleichnisse, 77.
24. Con Jeremias, Gleichnisse, 208; Weiser, Knechtsgleichnisse, 77; Fuchs, Zeitver­
standnis, in GA 1 1 , 361; Idem, Unmerciful Servant, 493 ; diversamente Linnemann,
Gleichnisse, n4 con n. 12 (p. 175) , che non vuole attribuire la somma esorbitante
ad un influsso della «parte reale». Che siano questi i rapporti in gioco nella parabola
lo mostra anche il fatto che il servo csi inginocchia» davanti al padrone, mentre il
compagno, del quale per il resto si narra esattamente negli stessi termini (v. 29) non
si inginocchia, poiché questo atto è dovuto solo dinanzi a Dio.
2,. Queste metafore risultano molto diffuse nel giudaismo e sono di immediata com­
prensione; c&. Jeremias, Gleichnisse, 2o8; Weiser, Knechtsgleichnisse, 7' s. (la meta­
fora re è Dio e servo è uomo va presupposta già per l'età di Gesù).
vo, viene narrato il comportamento, estremamente sorpren­
dente, del padrone.26 Ma una volta collocato in questo contesto
il comportamento del servo si rivela insensato, inconcepibile.
«Come può fare una cosa simile?». È questa la reazione che la
parabola vuol provocare negli uditori. Con quell'antefatto,
cambia tutto: quello che prima era la cosa più normale di
questo mondo, adesso si rivela addirittura assurdo.
Che la parabola qualifichi il comportamento del servo me­
diante un antefatto, non è affatto casuale. Esso mira a porre
esplicitamente in risalto un'anteriorità. Essa illustra quindi la
misericordia preveniente di Dio, il suo amore preveniente, che
qui rimane incomprensibilmente senza effetto. L'amore di Dio
è preveniente non solo in senso temporale: il condono del pa­
drone supera anche ciò che il servo aveva osato invocare (solo
un rinvio ! ) ; l'amore di Dio previene anche le aspettative e le
speranze dell'uomo. Come mai poi l'uomo, nonostante prece­
dentemente abbia sperimentato questa misericordia illimita­
ta, possa mostrarsi lui senza alcuna misericordia, rimane com­
pletamente incomprensibile: è questo il giudizio che la para­
bola vuole provocare nell'uditore;'7 per questo la domanda (v.
33) non aveva bisogno di essere formulata. Col v. 30 l'uditore
ha già trovato la risposta. '8
26. Fuchs, Unmerciful Servanl, 493 : non è un fatto insolito che un uomo sia coperto
di debiti, ma che questi gli vengano condonati è solo un gesto regale. Vedi anche
Linnemann, Gleichnisse, II.5. 117; Dietzfelbinger, EvTh 32, 44r.
27. L'interpretazione di Dietzfelbinger, EvTh 32, 437-4.5 1 , è valida nella misura in
cui il condono del debito fatto all'uomo può essere inteso anche come un donargli
tempo. Dietzfelbinger ravvisa nella preghiera del servo la preghiera che gli venine
dato tempo (op. cit. , 441) e di conseguenza individua la poinle della parabola nell'an­
nuncio del dono del tempo (op. cii. , 4.5I) per una responsabile gestione della vita
(op. cii. , 443). Propone perciò un nuovo titolo alla parabola: cLa parabola del tempo
donato» (op. cii. , 442). Da un punto di vista storico sicuramente il tema era il perdo­
no, ma da un punto di vista teologico è legittimo applicarla al problema del tempo.
Chi ha un debito, ha bisogno del suo tempo, per poterlo saldare; chi invece riceve il
condono, di tempo da donare ne ha a iosa.
28. Si deve riconoscere che una conclusione cosl brusca non ha paralleli tra le para­
bole della tradizione sinottica; tuttavia ci si può chiedere se parabole come Le. l.5,II­
� 2 ; Ml. 20,1-1.5 non finiscano allo stesso modo immediatamente e possano offrire
un'analogia al caso nostro. La brusca conclusione esprime a mio avviso l'apertura

257
Al contrario, per il giudizio pronunziato sul servo secondo
il v. 34 non poteva esserci posto nella parabola originaria, per­
ché esso relativizza la misericordia preveniente di Dio, facen­
dola dipendere dalla nostra capacità o meno di rispondere ad
essa. Il comportamento del servo in tal caso non viene più de­
finito dall'antefatto, bensì dall'epilogo. •9 Nella parabola origi­
naria trovava espressione la realtà del regno di Dio proprio in
quanto essa rendeva talmente vicino all'uomo il perdono pre­
veniente di Dio, che il perdono fra uomo e uomo ne diventa
una conseguenza che va da sé. La parabola dona all'uomo la
comprensione del Dio che perdona, ed in tal modo gli rende
comprensibile la vicinanza della basileia. La comprensibilità
della basileia è quell'evento nel quale il comportamento uma­
no «normale» viene collocato nel contesto di qualcosa che lo
previene, e posto in tal modo in una nuova luce.
Sempre in riferimento al significato della parabola nel con­
testo della vita di Gesù, assume gran peso un'ulteriore osser­
vazione. La parabola non parla della misericordia del padrone
in generale, bensì del realizzarsi di questa misericordia in un
determinato evento.30 Quest'evento dell'amore preveniente di
Dio viene a coincidere con Gesù stesso. L'amore che si rivela
nel comportamento di Gesù nei confronti dei «debitori di
Dio» e nella sua parola (comprese le parabole stesse) , ha il
suo fondamento nella «anteriorità» dell'amore di Dio. La
nuova situazione, il nuovo contesto in cui collocare i rapporti
umani è Gesù stesso, nel quale si dona agli uomini lamore

della parabola nei confronti dell'uditore. Ma la domanda del v. 33 può anche essere
considerata originaria, senza intaccare l'interpretazione che proponiamo.
29. A mio avviso è molto problematico sostenere che la parabola in questo punto non
ricalchi landamento di questo mondo, perché in essa il servo spietato non consegue
alcun successo (cosi Fuchs, ]esus, 39, che rimanda all'esperienza secondo la quale
nel mondo gli empi e gli iniqui hanno successo). Per quanto essa possa non ricalcare
il mondo empirico, la conclusione col giudizio sul servo spietato è conforme al nostro
mondo ideale, perché il fatto che l'ingiustizia non deve rimanere impunita corrispon­
de al nostro modo di vedere umano.
30. A questo proposito Fuchs, ]esus, 3 1 : «La spietatezza del servo cattivo è in con­
trasto con levento della misericordia del padrone».
preveniente di Dio.'' Se guardiamo a Gesù come uomo, la sua
accettazione incondizionata dell'altro è il riflesso del perdono
preveniente di Dio; se guardiamo a lui come Dio, è proprio
nella sua esistenza che si realizza quella liberazione dalla col­
pa. Ma in Gesù di N azaret i due aspetti non possono essere
scissi, poiché è appunto come uomo che egli agisce al posto di
Dio. ,. In lui si rende visibile, come nella nostra parabola, la
radicale anteriorità dell'amore di Dio, che già in partenza, da
sempre, va al di là del nostro comportamento e delle nostre
aspettative, ne costituisce sempre lantefatto.
Con l'aggiunta dei vv. 32-34 la comunità anteriore a Matteo
introduce nella narrazione il giudi'zio, che la parabola origina­
ria lasciava all 'uditore. Con questa aggiunta essa sottolinea
che quel comportamento del servo non rimarrà senza conse­
guenze nel giorno del giudizio.n Nel padrone della narrazione

3 1 . Diversi interpreti ammettono questo riferimento a Gesù, per esempio Fuchs, ]e­
sus, 32. 36; Idem, Unmeraful Servant, 494; Weiser, Knechtsgleichnisse, 97 s.; Dietz­
felbinger, EvTh 32, 450.
32. Di qui l'infondatezza di alcune interpretazioni correnti: quando Jeremias vede
qui una «parabola del giudizio finale» «che è ammonimento e messa in guardia allo
stesso tempo» (Gleichnisse, 210), misconosce la priorità dell'amore di Dio, così evi­
dente nella nostra parabola, e al tempo stesso opera un'indebita allegorizzazione del­
la resa dei conti del padrone (per lo meno nella seconda parte) riferendola al giudizio
finale. In realtà, il comportamento sbagliato del servo viene narrato in modo tale che
l'uditore della parabola lo trovi del tutto incomprensibile; in tal modo la parabola lo
spinge a cogliere la possibilità di una vita fondata sul perdono gratuito, come quella
più a portata di mano. La nostra parabola dunque non è annuncio del giudizio, ben­
sì dono del vangelo. Jeremias fonda troppo unilateralmente la sua interpretazione
sulla conclusione (di cui noi invece ipoteticamente prospettiamo la non-originarie­
tà). Ma anche Weiser, Knechtsgleichnisse, 93, mette troppo in risalto l'esigenza, che
scaturisce dal perdono di Dio, in contrasto con la parabola stessa, che mediante la
narrazione mira invece a far prendere coscienza del perdono di Dio, ed a tal punto
che il rifiuto del perdono da parte dell'uomo diventi inconcepibile. In tal modo la
parabola dischiude la possibilità di un nuovo modo di pensare a partire dall'evento
<lei perdono, e in tal modo è essa stessa una componente di quell'evento. Tutto ciò è
preso troppo poco in considerazione da Via, Gleichnisse, 135-137, in modo tale che
l'esigenza di dare una risposta adeguata alla grazia corre il rischio di banalizzarsi ri­
ducendosi a un luogo comune.
3 3 . Con ciò la parabola perde un elemento decisivo della sua forza analogica. La
consegna agli «aguzzini» deve essere vista come una punizione che non avrà fine,
perché il debito non può essere ripagato in questo modo. Essa serve dunque a de·

259
essa vede chiaramente Dio, che giudicherà l'uomo in base alla
sua disponibilità a perdonare. Si richiede la compassione4 nei
confronti degli altri uomini, dal momento che Dio ha manife­
stato un'illimitata compassione nei confronti dell'uomo. Con­
cepita in questo modo, la parabola non ha più nulla che tra­
scenda il nostro modo di pensare: a colui che agisce male vie­
ne inflitta la punizione. Dio allora ha revocato la sua miseri­
cordia? La colpa susseguente dell'uomo è più grande, allora,
dell'iniziativa preveniente di Dio?
Matteo applica la parabola direttamente alla sua comunità,
come risulta chiaro già dal fatto che egli descrive espressa­
mente (v. 3 r ) lo sdegno degli altri servi (che corrispondono ai
membri della comunità) e la loro denuncia al padrone. L'ap­
plicazione della parabola alla comunità, partendo dalla para­
bola originaria, è pienamente legittima, e tutt'al più la que­
stione sarebbe se il perdono sia d'obbligo soltanto nei con­
fronti degli altri servi. 3' Di portata ben più rilevante è invece
la sentenza finale al versetto 35 : «Così farà anche il mio Padre
celeste a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vo­
stro fratello». In tal modo l'orientamento argomentativo della
parabola viene capovolto nel suo opposto. Il movente del per­
dono umano non è più il perdono già ricevuto da Dio, ma la
sua condanna conseguente alla colpa dell'uomo. Non è più il
comportamento di Dio a determinare il comportamento del­
l'uomo, bensì il comportamento dell'uomo a determinare
quello di Dio, dal momento che il giudizio di Dio si basa sulla
condotta umana. Il tono della parabola, a questo punto, si è

scrivere la dannazione eterna (cfr. Weiser, Knechtsgleichnisse, 88, benché limitata·


mente a Mt. ) .
34. t:: sorprendente che qui venga usata l a terminologia iì.coc;, ÈÌ..ttiv, che nella vi·
sione teologica del cristianesimo primitivo, riferita a Dio, indicava l'intervento stori­
co-salvifico escatologico di Dio in Cristo (cfr. Tit. 3,,; Rom. 9,23; 1,,8 s.; r Petr. 2,
10; Bultmann, ThWNT n , 480,8-481,2). Trasferita all'uomo, indica un comporta­
mento richiesto da Dio all'uomo nei confronti dell'altro uomo (op. cit. , 479,8 s . ) .
35. Il problema non s i pone per Matteo, a l quale sta a cuore anzitutto ammonire
la comunità, senza che già entri nella sua prospettiva un Éì,a:oc; nei confronti degli
estranei.
fatto innegabilmente minaccioso e indubbiamente anche le­
galistico. 36

2.4.2. La parabola degli operai nella vigna


(Mt. 20, 1-16)
Ricostruzione
Il contesto immediato di questa parabola37 è la sentenza,
tratta da Mc. , sui primi e gli ultimi (Mc. 10,31 par. Mt. 19,30).
La parabola è strettamente collegata a questo logion, 38 come è
evidente da un lato per il yci.p di saldatura in Mt. 20,1, dall'al­
tro per la ripetizione del logion (in forma modificata) 19 in Mt.
36. È una tendenza generale di Mt. , ben nota, rendere più forte «la motivazione del
comportamento etico con la prospettiva del giudizio secondo le opere» (Barth, Ge­
setzesverstiindnis, 79 n. l). Ciò vale nondimeno anche per l'interpretazione della
nostra parabola (contro lo stesso Barth, ibid. ) con Schweizer, Mt, 247. Cfr. Kretzer,
Hemcha/t, 256: «Il richiamo al giudizio è per gli evangelisti il monito più insistente
alla fraternità, l'opposto dell'<ivo[J.iot».
37. Mt. 20,1-15 dal punto di vista della storia delle forme va definito come «racconto
parabolico», in quanto descrive, calcando le tinte, «un caso singolo che riveste un
particolare interesse» (cfr. Bultmann, Synoptische Tradition , 188. 191) .
38. Mc. 10,31 par. era in origine indubbiamente un logion autonomo, forse molto an­
tico (cosl Jeremias, Gleichnisse, 33 con nn. 3. 4; cfr. Dupont, NRTh 89, 789-791;
Schweizer, Mt, 255. 257 s.). Ricorre anche in Le. 13,30 in un altro contesto e del tutto
indipendentemente da Mt. È un po' sorprendente la sequenza che coincide in Le. e
Mt. (20,16! ) «ultimi... primi», rispetto alla sequenza in Mc. 10,31 par. Mt. 19,30 «pri­
mi.. . ultimi». Se si tiene conto della differenza tra Le. 13,30 e Mt 20,16 va tuttavia
.

escluso che Mt 20,16 derivi da Q ed eventualmente sia stato collegato alla parabola
.

già prima della redazione di Mt. (confutazione in Schweizer, Mt, 255; de Ru, NT 8,
204; Mitton, ET 77, 308; Jeremias, Gleichnisse, 3 0 s. e molti altri). Inoltre la sequen­
za in Mt 20,16 è chiarita in modo soddisfacente con il riferimento del logion alla pa­
.

rabola (20,8 ! ) ; si rende superfluo, pertanto, il ricorso a ipotesi letterarie per chiarire
la concordanza con Le.
39. Mt. 19,30 coincide esattamente con Mc. 10, 3 1 , a parte la mancanza dell'{li, te­
stualmente incerto anche in Mc. (N, A, D, W ecc. non lo riportano, e questo rappre­
senta probabilmente la lezione più originaria, perché l'inserimento di oi può essere
spiegato col parallelo Mt. 20 16, oppure la sua mancanza col parallelo Mt. 19ao; i
,

copisti non avevano innanzi a sé una sinossi ed il logion rimane più impresso nella
forma di Mt. 20,16). Mt. 20, 16 presenta invece modifiche decisive: gli ultimi ed i pri­
mi vengono indicati con l'articolo determinativo; viene omesso il ridimensionante
r.o1ì.oi; viene inserito un {llltwc; di saldatura. Il capovolgimento dell'ordine normale,
per di più ridimensionato dal r.{l),Àot, è diventato in Mt. un principio assoluto (cfr.
Dupont, NRTh 89, 792).
20,16a.40 Il detto aggiunto in una buona parte dei manoscritti:
«perché molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti» (cfr. Mt.
22,14) è da considerarsi secondario per motivi di critica te­
stuale.41
Il contesto più ampio è determinato dal filo conduttore di
Mc. , che Mt. riprende con qualche modifica tipicamente mat­
teana; esso è dato dalla domanda di Pietro riguardo alla ri­
compensa della sequela (Mt. 19,27-29 cfr. Mc. 10,28-30) e
dal terzo annunzio della passione (Mt. 20,17-19 par. Mc. rn,32-
34) .4' La parabola trovata da Mt. nella tradizione comprende­
va pertanto i vv. I - 15 ; "3 la formula introduttiva rivela che essa
appartiene al materiale particolare di Mt. 44 Al suo interno, la
parabola non rivela né tensioni né cesure: nessun elemento ri­
sulta eliminabile senza far violenza al testo: va considerata
dunque libera da ritocchi redazionali."' Il processo della tradi-

40. Penanto Mt. intende la parabola come illustra1.ione del logion ripreso da Mc.
Cosl pensano pure, ad es., Dupont, NRTh 89, 789; de Ru, NT 8, 204; Mitton, ET
77, 308; Jeremias, Gleichnisse, 30 s.; Eichholz, Gleichnisse, 101 ; Jiingel, Paulus und
Jesus, 164; Bultmann, Synoplische Tradition, 191. Il logion peraltro non armonizza
con la parabola, perché si riferisce solo al v. 8. Presupponendo la teoria delle due
fonti, va considerato un'aggiunta redazionale matteana.
41. L'attestazione è debole con C, �\ , D ecc. in contrasto con B, N, L ecc. L'aggiunta
si spiega come ripresa di Ml. 22,14 e riflette la concezione di ceni ambienti ecclesia·
stici del secondo secolo (cfr. Dupont, NRTh 89, 788 s. ) .
42. L a promessa ai discepoli che essi siederanno su dodici troni (in larga misura una
creazione di Matteo, cfr. Schweizer, Ml, 2,1 s.) è particolarmente importante; essa è
di grande ponata per la concezione matteana di «Israele» (vedi Schweizer, Gemein·
de, 33. 36 s.). Riguardo all'inserimento della nostra parabola è significativo l'orienta·
mento escatologico (riguardo alla ricompensa dei discepoli), che Ml. ottiene canccl·
lando la ricompensa «già nel presente» menzionata in Mc. (Ml. l9,29b cfr. Mc.
10,30; v. anche Kretzer, Herrscha/t, 277) !
43 . In ciò concorda la maggior parte degli esegeti: cfr. Jeremias, Gleichnisse, 33; Jiili·
cher, Gleichnisreden 11, 469; Bultmann, Synoplische Tradilion, 191 ; de Ru, NT 8, 204
s. ; Dupont, NRTh 89, 793-797; Jiingel, Paulus und Jesus, 164; Fuchs, Zeitverstiind­
nis, in GA 11, 362; Derrett, JJS 2,, 64; Schweizer, Mt, 2"; Dodd, Parables, 122.
44. La formula introduttiva si distingue, all'inizio, da quella tipica del materiale par­
ticolare di Ml. (Qimia. yci.p ian11 invece di W(J.01w..9"/l, cfr. Schweizer, Gemeinde, 99 s.),
ma la differenza va attribuita senz'altro alla redazione di Mt. Per l'espressione ò.11-
-8pwtt(fl oixo&e:rnG-rn tipica del materiale particolare cfr. sopra, pp. 217 s. n. ,9.
4,. Opinione quasi generale. Tuttavia si è spesso tentato di individuare nei w. lb-1,
zione, a mio avviso, può essere ricostruito con sicurezza: l'at­
tuale formula introduttiva si spiega con la storia della tradi­
zione (Mt. 20,ia), l'inserimento nel contesto attuale e l'ag­
giunta del v. 16a si spiegano con la storia della redazione, ed
infine l'aggiunta del v. 16b ( Mt. 22,14) si spiega con la sto­
=

ria del testo.


Interpretazione
Il testo originario della parabola di Gesù.ii; era il seguente:
Avviene col regno dei cieli come con un padrone di casa47 che usci la
mattina molto presto,"" per prendere a giornata•• operai per la sua vi-

aggiunte redazionali. Tra gli studi recenti va menzionato in modo particolare quello
di Kretzer, che ritiene di dover costatare una forte rielaborazione redazionale (He"·
scha/t, 28o-284); in particolare, Kretzer vuole ricondurre a Mt. gli «elementi. . . chia­
ramente non realistiei» (op. cit. , 281) , come il pagamento del salario a cominciare
dagli ultimi (20,8). Il presupposto, però, che Gesù abbia narrato solo parabole reali­
stiche prese dalla vita, risulta ormai insostenibile. Quanto alle «tecniche di rielabora­
zione» (op. cit. , 282), non hanno nulla di tipicamente matteano. Il fatto che la tecnica
narrativa della nostra parabola sia di alto livello (pp. 282 s.), non è una prova di re­
dazionalità, come Kretzer stesso ammette (He"schaft, 283): «Vero è che le leggi nar­
rative appena accennate possono essere valide per le parabole in generale, esse però
sembrano utilizzate con particolare predilezione in Ml. nelle sue parabole della basi­
leia». Le «particolarità terminologiche e stilistiche» (op. cii. , 283 s.) elencate da Kret­
zer, nella maggior parte dei casi non sono del tutto chiare, e dove lo sono rivelano
tutt'al più che nell'elaborazione linguistica c'è anche la mano dell'evangelista, il che
va presupposto in ogni caso, ma non dimostra la redazionalità. Il fatto stesso della
discrepanza tra il v. 16a, redazionale, e la parabola stessa, fa supporre che non si devo­
no ipotizzare rilevanti interventi di Mt. nel corpo della parabola.
46. Non c'è quasi nessun'altra parabola neotestamentaria che secondo i criteri della
discontinuità (cfr. sotto, pp. 267 s. 270 con nn. 7'J s. 86) e della coerenza (per l'inqua­
dramento storico nella vita di Gesù cfr. sotto, pp. 272 s. con nn. 91 -94) risalga tanto
sicuramente al Gesù storico: la sua autenticità è fuori discussione nell'esegesi recen­
te (Jeremias, Gleichnisse, 1 37-1 39; Jiingel, Paulus und ]esus, 16,; Schweizer, Mt, 2,8;
de Ru, NT 8, 208; Dupont, NRTh 89, 793 s. ; Mitton, ET 77, 309; Eichholz, Gleich­
nisse, 96 s.; Fuchs, Bemerkungen, in GA 1, 140; Id., Zeitverstlindnis, in GA 11, 363 ; Id.,
Jesus, 38; Derrett, JJS 2,, 88-9 1 ) , anche se le interpretazioni divergono fortemente.
47. Poiché l'espressione av-l>pwn:oi; oixo6trn6-nJi; tradisce la terminologia della comu­
nità anteriore a Mt. , si può pensare che in origine ci sia stato solo oixo6trn6't11i;, e&.
il v. u. A tal proposito Derrett, JJS 2,, 67. 72.
48. Cfr. Jercmias, Gleichnisse, 136: «al levar del sole». L'alba era il momento iniziale
del conto delle ore.
49. Per il significato di inii-:11i; cfr. Bauer, Wb, s. v. Ia. Qui si tratta (come fa capire
gna.'0 Egli si accordò con gli operai per un denaro'' al giorno'' e li mandò
nella sua vigna. Quando alle nove" uscl di nuovo e ne vide altri che sta­
vano sulla piazza"' senza lavoro," disse loro: «Andate anche voi nella vi­
gna e vi darò ciò che è giusto»."' Allora essi andarono. Uscl di nuovo al­
le dodici e alle quindici'1 e fece lo stesso. Ma quando uscl alle diciassette
ne trovò altri che stavano n attorno e disse loro: «Cosa state a fare qui
tutto il giorno senza lavoro ?». Essi gli dicono: «Nessuno ci ha ingaggia­
ti». Egli dice loro: «Andate anche voi nella vigna ! » .

il contesto) di braccianti che venivano assunti solo a giornata (per la posizione sociale
di questi lavoratori nel giudaismo, cfr. Derrett, JSS 25, 67 s. 73 s.).
5 0 . L'assunzione (v. Wiirthwein, ThWNT l V , 700,27-36 per l'ellenismo; 701,27-31
per i LXX) era compito dell'amministratore. Essere assunti direttamente dal proprie­
tario offriva però una garanzia in più, perché così si prècludeva la possibilità di truffe
(riguardo al salario pattuito) (Derrett, JJS 25, 72) .
5 1 . Un denaro era il salario co"ente per un lavoratore di questa categoria, come ri­
sulta chiaramente dai testi addotti in Str. -Bill . l, 831. Non si può parlare dunque di
chardly a good wage» (come vorrebbe Derrett, JJS 25, 68).
52. Cosl è da tradurre il -:�v f.!J-Épotv (accusativo di estensione, v. Bl.-Debr. § 161,2).
'3· Questo orario deriva dal calcolo ebraico delle ore (cfr. Jeremias, Gleichnisse, 1 36
con n. 6). � la struttura drammatica della na"azione a richiedere che il padrone esca
più volte nello stesso giorno, per l'uditore comunque la cosa risulta plausibile perché
si può facilmente immaginare una situazione in cui era urgente il lavoro per il raccol­
to (Jeremias, Gleichnisse, 1 36, pensa all'inizio del periodo delle piogge; Derrett, JJS
25, 72 ipotizza un raccolto da concludere prima dell'inizio del sabato, quindi vener­
dl) . Anche se l'uscita del padrone alle diciassette risulta alquanto iperbolica, non è
questo un motivo per intenderla come allegorizzazione, ma può essere spiegata par­
tendo dalla pointe della parabola. � importante non il realismo, ma la plausibilità
della narrazione.
'4· L'aggettivo àpyo<; qui equivale semplicemente a «disoccupato» (v. Bauer, Wb,
s. v. 1) e non dev'essere caricato del risvolto dispregiativo di «fannullone» o cbuono a
nulla». Rende appieno il termine aramaico biifel ( «empty, unemployed»; Derrett,
=

JJS 25, 73). Inesatta dunque la loro caratterizzazione come bighelloni in Jeremias,
Gleichnisse, 136.
55. Contro Jeremias, Gleichnisse, 136, che traduce cstarsene in giro», É�W-.ot<; impli­
ca creadyness for activity» (cosl Derrett, JJS 25, 69 n. 14) ed armonizza molto bene
con il senso non dispregiativo di ànO<;. Sempre in dissenso con Jeremias, ibid. , la ri­
sposta dei disoccupati al v. 7 non va presa come «pigre scuse» ma esprime la situa­
zione reale di coloro che stavano ancora aspettando di essere ingaggiati.
56. Questo accordo è molto ben riuscito dal punto di vista della drammaturgia nar­
rativa: fa supporre, pur senza dirlo, che i primi ingaggiati naturalmente riceveranno
un salario maggiore di coloro che sono stati assunti più tardi (cfr. al riguardo Joms,
Gleichnisverkundigung, 16 3) Lascia molto perplessi l'osservazione che verso sera il
.

costo del lavoro anziché scendere salirebbe (cosl Derrett, JJS 25, 69) ; la questione co­
munque non tocca la nostra parabola, che dà per scontato il contrario.
57. Per la suddivisione delle ore e la parafrasi qui scelta cfr. sopra, n. ' 3 ·
Quando fu sera il padrone della vigna dice all'amministratore:'"
«Chiama gli operai e paga il compenso iniziando dagli ultimi sino al
primo ! »." Allora vennero quelli che erano stati assunti alle diciassette e
ciascuno ricevette un denaro.6o E vennero i primi e supponevano che
avrebbero ricevuto di più;0' ma anch'essi ricevettero un denaro.6' E nel
ricever(lo), mormoravano•• contro il padrone dicendo: «Questi ultimi
(qui) hanno lavorato solo un'ora64 e li hai fatti uguali a noi, che abbiamo
sopportato0' il peso della (intera) giornata e la calura». Ma egli rispose:
«Amico,66 non ti faccio alcun torto. Non hai concordato con me per un
denaro? Prendi quello che è tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a
quest'ultimo quanto a te. Non posso forse con ciò che è mio fare quello
che voglio?67 O forse il tuo occhio è cattivo.. perché io sono buono?».°'

58. Il pagamento dei braccianti alla sera era un'usanza comune (cfr. Str.-Bill. 1, 832
per Mt. 20,8), rientrava tra i principali compiti dell'amministratore.
59. La traduzione di lip�iiµ.tvoc; !Ì:ito = «compresi», sostenuta da Jeremias (G/eich­
nisse, 32 con n. 2), non corrisponde al testo, che menziona inequivocabilmente an­
che i primi (ewc; -r<i>v itpw-:wv). Risponde inoltre a una necessità na"ativa, che i primi
vengano pagati alla fine, perché altrimenti la loro reazione diventerebbe incompren­
sibile. L'affermazione di Derrett, che gli ultimi dovevano essere pagati per primi per
potersene andare a casa e fare gli acquisti necessari UJS 25, 73) - a prescindere dal
fatto che essa non ha nessun appiglio nel testo - non serve ad altro che ad offuscare
l'idea cosl chiara nel racconto (con Schweizer, Mt, 256).
6o. Cfr. Bauer, Wb, s. v. 3.
61. La lezione r.Àdovct testimoniata da N, .\1 , L, � e molti altri, non si distingue, per
il contenuto, da r.ì.eiov (B, ecc.) , vedi Bauer, Wb, s.v. itoì.vc; 11 2 b.c . La prima si rife­
risce più chiaramente a µ.1'J'86c;, potrebbe essere quindi una correzione secondaria.
62. Per la traduzione di -:ò iv'1 òr;viip1ov si vedano Bauer, Wb, s. v. livti. 3 e Bl.-Debr.
s 266,2.
63. Cfr. Wilckens, NT, ad locum.
64. L'uso del numerale (µ.ictv) con «Ora» sottolinea fortemente che gli ultimi hanno
lavorato un'ora sola. La traduzione concorda con quella di Schweizer, Mt, 255.
65. �r.ii"çe1v qui è in senso traslato ed intende la paziente accettazione di spiacevo­
li condizioni di lavoro (v. Bauer, Wb, s. v. 26�).
66. L'appellativo i:'tcti�e (cfr. Mt. 22,12; 26,50) implica probabilmente un atteggia­
mento bonario ma allo stesso tempo di rimprovero da parte del padrone. Lo si usa, a
colpo sicuro, con qualcuno cedi cui non si conosce il nome» (Jeremias, Gleichnisse,
137 con le nn. 5 s.).
67. Nonostante le obiezioni di Jeremias, Gleichnisse, 137, l'iv va tradotto in senso
strumentale, come fa capire il contesto. Per la questione cfr. Bl.-Debr. S 219.
68. L' ccocchio cattivo» sta qui come espressione del cccuore cattivo», visto che i moti
del cuore si manifestano negli occhi (Dupont, NRTh 89, 796; Schweizer, Mt, 103 per
Mt. 6,23). Il termine ccinvidia» tuttavia non esprime esattamente l'atteggiamento in­
teso dalla parabola, perché designa un sentimento immotivato dell'uomo, moral-
Per il senso originario della nostra parabola è fondamentale
il campo semantico metaforico costituito dall'accostamento
tra datore di lavoro, operai, pagamento del salario. Questa
costellazione narrativa presente nella nostra parabola evoca
nell'uditore quel tipo di problemi e di categorie che riguarda­
no la retribuzione da parte di Dio in relazione alla prestazione
religiosa da parte dell'uomo.70 Assai importante, per capire la
mentalità degli uditori, è che il pagamento della ricompensa
da parte di Dio nel giudaismo contemporaneo era un'attesa
rigorosamente riservata alla fine dei tempi.7'

mente condannabile, mentre nella nostra parabola si tratta di un malumore oggetti­


vamente fondato, che si basa su una riflessione razionale di coloro che erano stati in­
gaggiati per primi.
69. Questo «esser buono» del padrone può essere inteso come «bontà», ma a patto
di non tirare in ballo come motivo della sua azione la compassione (come pensa de
Ru, NT 8, 208, che pone al centro la compassione del padrone, contro il tenore della
parabola che non indica nessun altro motivo della sua azione se non il suo volere) .
70. Nella letteratura giudaica spesso ci si rifà al lavoro (nel senso concreto del termi­
ne) e al suo compenso, per trarne conclusioni in ordine alla relazione tra osservanza
dei comandamenti e ricompensa divina; cfr. per es. Abo1 2,15 s. (Str.-Bill . 1v/r, 488) ;
Ex. R. 30 (9Qd) (op. dt. , 492); Lev. R. 2 4 ( 123a) (op. di. , 492); pBer. 2,5c,15 (op. cit. ,
492 s.); Si/ré Lev. 26,9 (45oa) (op. di. , 493 ) ; Tani;. K:u"I •:i l9b (op. di. , 493 s.); Abot
1,3 (op. di. , 496) cfr. Preisker, ThWNT IV, 701,12-26. L'ampia diffusione di questa
metafora autorizza a presupporla anche per gli uditori della parabola.
7r. La «regola principale rimane: il pagamento del salario avverrà nel mondo futuro»
(Str.-Bill . 1v/r, 491 cfr. i numerosi testi citati a pp. 494 s.). Questa polarizzazione sul
futuro escatologico è la conseguenza, da una pane, della dissociazione, acquisita sin
dal periodo dell'esilio, tra azione e ricompensa (cfr. Wiinhwein, ThWNT IV, 710,21-
45) e, dall'altra, dell'individualizzazione dell'idea di ricompensa (op. di. , 714,26-
715,4) . Il carattere essenzialmente ultraterreno della ricompensa resta fuori discus­
sione anche quando la polarizzazione sull'eschaton si attenua, come avviene nella
concezione degli interessi pagati subito (Abot 3,17, cfr. Preisker, ThWNT IV, 719,2-4
e le molte testimonianze in Str.-Bill . 1v/r, 495 sotto i, così come, ad es. , anche Tob. 4,
9 s.). Per l'idea di retribuzione e la polarizzazione sull'aldilà, cfr. Hengel, Judentum,
236 ( il detto di Antigono di Soko divenne sospetto in epoca successiva) . 313 (che il
rispetto della torà e l'assiduo impegno in essa «meritasse il premio più alto nell'al­
tro mondo era un'ovvietà»). 361 (idea della retribuzione nell'aldilà). 258-26o (Ben­
Sira). 456 s. (�assidim). 369 (individualizzazione dell'idea di retribuzione nell'apoca­
littica) . Parallelamente ceno continuava ad esistere e a rafforzarsi (in raffronto alle
concezioni anteriori), l'idea di una connessione tra azione e sanzione, sulla linea della
tradizione sapienziale, nella quale emerge un aspetto te"eno della dottrina della re­
tribuzione (Sir. 3,31; 12,2[?] ; 16,14[?]; n,26; 35,n [32,13]; F. Gloor oralmente).

266
La parabola illustra in modo accurato l'ingaggio degli ope­
rai nelle diverse ore del giorno, scendendo persino a dettagli
di tipo giuridico-economico. La pointe del racconto si ha con
il comportamento sorprendente7' del padrone, che paga agli
ultimi venuti la stessa ricompensa dei primi: dal punto di vista
della ricompensa tutti gli operai vengono resi «primi».73 L'ac­
cento principale non cade sull'idea che siano tutti eguali,74
bensl sul fatto che in questa vigna ci sono solo «primi». Que­
sto comportamento, che si rivela abnorme secondo la conce­
zione umana della giustizia, è una provocazione per i primi
venuti: essi mormorano contro il padrone, additandogli la sua
palese ingiustizia. Ogni uditore avrà considerato questa pro­
testa del tutto fondata. La protesta dei primi è il punto in cui
la parabola viene a toccare la situazione dell'uditore, in quan­
to questo spontaneamente è portato ad applicare il principio
del rendimento, valido giustamente nel mondo, anche alla ri­
compensa della fine dei giorni.7' Dando spazio all'uditore, la
72. Il comportamento sorprendente del proprietario viene messo in rilievo da molti
interpreti, cfr. ad es. Via, Gleichnisse, 145 ; Dupont, NRTh 89, 793; Eichholz, G/eich­
nisse, 95; Jorns, G/eichnisverkiindigung, 163. Il tentativo intrapreso da Derrett, JJS
25, 77-80 di caratterizzare il comportamento del padrone come «tutt'altro che don­
chisciottesco» (noi quixolic) e «though generous, only marginally so» (p. 80) è smen­
tito dalla protesta degli operai della prima ora, a prescindere dal fatto che rimane
puramente congetturale l'ipotesi del po'el bà!el citato a p. 77 («a national minimum
wage, balancing the sodai and mora! rights of the employer and eployee», p. 76) sti­
mato in 0,7 denari. Derrett fa violenza all'evidenza della parabola. Come si potrebbe
prendere sul serio la protesta dei primi, se il proprietario si fosse comportato sola­
mente «marginally generous»?
73. In tal senso è giusto che al v. 8 quello che interessa è solo la relazione «primi-ul­
timi», proprio perché nella contrapposizione di questi due gruppi si comprende cosa
significhi che tutti vengono resi primi.
74. Con de Ru, NT 8, 2o6, il quale tuttavia come alternativa allo stesso salario per
tutti prospetta l'idea di «un salario maggiore per gli ultimi». De Ru definisce il moti­
vo dell'azione del padrone come compassione per gli ultimi (perché essi non avevano
potuto guadagnarsi i mezzi di sostentamento per un giorno), ma anche quest'inter­
pretazione non coglie il senso della parabola. È decisivo che il comportamento del
padrone non viene motivato da nient'altro se non dal suo sovrano «io voglio» (v. 14) .
Esso quindi non può essere ricondotto ad un concetto, sia pure quello della compas­
sione anziché quello della iustitia distributiva.
75. Questa applicazione si rivela nella parabola su rabbi Bun, richiamata da molti
autori (Jiingel, Paulus und Jesus, 166; cfr. Str.-Bill. 1v/x, 492 s.; peraltro risalente al
parabola proprio qui rivela chiaramente di prendere di mira
la concezione largamente diffus a nel giudaismo, secondo la
quale rendimento e ricompensa sono proporzionali."'
La parabola raggiunge ancora una volta un momento cul­
minante quando il padrone reagisce alla protesta degli operai
(vv. 13-15). Dopo aver respinto il rimprovero di ingiustizia ri­
ferendosi a ciò che si era concordato, ed aver ingiunto agli
operai di andarsene, comincia ad esprimere il motivo vero e
proprio del suo comportamento: io voglio. Nessuno può con­
testargli il diritto di fare ciò che vuole con la sua proprietà.
Questa volontà del padrone viene definita alla fine come bon­
tà,77 alla cui luce il comportamento degli operai si rivela per
quello che è in realtà: invidia, gelosia. Non può sfuggire il pe­
so considerevole, già semplicemente dal punto di vista quan­
titativo, attribuito dal narratore agli argomenti del padrone.
Unitamente alla varietà delle argomentazioni, è un chiaro in­
dizio che proprio questo è il problema su cui la parabola si
sforza di avvicinare all'uditore il punto di vista del padrone78 in
300 d.C. circa! ) dove il lavoro di due ore, stimato secondo il rendimento, viene valu­
talo maggiore di quello di un'intera giornata degli altri lavoratori.
-,6. A parer mio di fronte all'abbondanza del materiale (Str.-Bill . 1vh, 492-494) è
incontestabile che l'idea che ccii salario è proporzionale al guadagno» (op. di. , 490)
aveva - come minimo - una rilevanza notevole nel giudaismo (checché ne pensi
Dcrrett, JJS 25, 81 s.). Anche se si deve riconoscere che in alcuni testi della letteratu­
ra rabbinica antica fa capolino l'idea del salario elargito per grazia (Str.-Bill . IVh, 488
s.), proprio la nostra parabola stessa conferma che negli uditori viene presupposto lo
schema prestazione/retribuzione. Dcrrett, JJS 25, 88, trascura del tutto questo fatto
quando cosi commenta la parabola di Gesù: ccGod will indeed 'reward every man
according to his works' ( . . . ) but he will ( . . . ) calculate (as it were) the rcward accord­
ing to the socia! as well as economie value of the work ! i.. Se nelle fonti rabbiniche
si dice talvolta che la torà deve essere osseivata per amore della lorà stessa (Abol
1,1 3; 4,5; cfr. Str.-Bill. 1vh, 496) o che è importante l'intenzione da cui sono animate
le opere (Ber. 17a; Str.-Bill. 1vh, 497), ciò non equivale affatto a un superamento
dell'idea di retribuzione, ma unicamente ad un suo trasferimento su un altro piano.
77. Ciò non significa che il suo comportamento debba essere ricondotto ad un con·
cetto (cfr. sopra, n. 74) . L'iiy11�6c; non può essere assolutamente scisso dal �ÉÀw &i
(v. 14), che mette in risalto l'assoluta indipendenza e sovranità nel comportamento
del padrone.
78. La parabola wole che si impari a conoscere il Signore nella sua superiorità e «a
vedere ... tutto con gli occhi di Dio» (Fuchs, Zeitverstiindnis, in GA 11, 363).

268
modo accurato e complesso. Essa vuole ottenere un consenso,
che faccia passare l'uditore dalla sua parte.
La parabola è una parabola del regno di Dio. Con la basi­
leia le cose vanno in questo modo: in essa ci sono solo «pri­
mi». Nella basileia i rapporti sono determinati dalla bontà di
Dio.79 Ma se le cose stanno così, c'è uno scontro frontale tra la
basileia e i nostri rapporti, nei quali le categorie umane di
«giustizia, ricompensa e rendimento»8o hanno l'ultima paro­
la. 8 1 La basileia si fa tanto vicina, che ci brucerebbe se non si
avvicinasse attraverso la parabola. 8• «La vicinanza del regno di
Dio è tale da richiedere la forma linguistica della parabola per
potersi esprimere in modo tale che l'uomo abbia la possibilità
di prendere posizione di fronte ad esso». 8 1 Avvicinandosi a
noi sotto forma di parabola, fa spazio al nostro modo di pen­
sare e di agire, per portarci ad una visione nuova. La nostra
parabola libera l'uditore dal suo schema rendimento/ricom­
pensa,8• rendendogli plausibile attraverso degli argomenti il
79. La basileia «si esprime in quanto essa esprime l'evento di una bontà che giudica
le opere, ma non secondo le opere» Uiingel, Paulus und Jesus, 164; cfr. Jeremias ,
Gleichnisse, 33 s.).
80. Bornkamm, Lohngedanke, 88 (in corsivo), c&. p. 82.
81. Fuchs, Jesus, 24, parla di una «connessione delle opere», dalla quale è contrasse­
gnata l'esperienza umana, e che non deve essere svilita considerandola un perverti­
mento delle cose di questo mondo. I concetti di giustizia, ricompensa e rendimento
sono validi proprio laddove il mondo riesce più fedele a se stesso, laddove esso rea ­
lizza la parte migliore di sé (spesso purtroppo prevalgono situazioni che non sono
contrassegnate dalla giustizia). Il richiamarsi da parte degli operai della prima ora a
questa «connessione delle opere», non dev essere qualificato negativamente come
'

arroganza od orgoglio; si tratta piuttosto di autentica consapevoleua che l'uomo ha di


se stesso (Fuchs, Jesus, 24).
82. La parabola presuppone la vicinanza di Dio, a tal punto che l'uomo può com­
prenderla solo nella parabola (Fuchs, /esus, 22).
83. Jiingel, Paulus und Jesus, 168 s. Pertanto la forma linguistica della parabola si ri­
vela ancora una volta come il modo di farsi linguaggio della basileia rispondente alla
sua vicinanza. Contenuto e forma qui sono un tutt uno . Ne consegue che la parabola
'

come forma non va motivata né didatticamente né con la sua situazione storica d'o·
rigine, ossia con il con&onto di Gesù con i suoi avversari.
84. È decisivo il fatto che il rapporto p restazione/retribuzione, valido per i rapporti
umani, fornisca il presupposto per la comprensione della bontà di Dio che infrange
proprio quel rapporto. In tal senso, la parabola conduce l'uomo a prendere coscienza
punto di vista del padrone. Il tal modo la parabola stessa di­
viene evento della bontà di Dio.8' Sotto un certo aspetto, po­
tremmo dire che essa elargisce sin da adesso la ricompensa
escatologica, in quanto porta l'uditore sin da adesso a mettersi
in sintonia con i rapporti in vigore nella basileia, dove è de­
terminante soltanto la bontà di Dio. 86
Chi è quest'uditore? Certo si potrà pensare ai farisei, ai
quali Gesù rivolse la nostra parabola.87 Tra i farisei indubbia-

di se stesso, se vuole capire Dio (cfr. sopra, n. 81). La parabola tuttavia non elimina
l'idea di retribuzione, se con essa si intende che Dio prende sul serio le opere del­
l'uomo. «Non viene accantonata l'idea di retribuzione, e non perché Gesù, cono­
scendo l'uomo, voglia fare una concessione alla sua naturale debolezza, ma proprio
al contrario: perché non perde mai di vista Dio, perché lascia l'ultima parola alla de­
cisione di Dio, per questo egli [cioè: Gesù] conserva l'idea di retribuzione• (Bom­
kamm, Lohngedanlee, 89). Sull'idea di retribuzione in Gesù cfr. op. cit., 74. 77-81 ;
Schweizer, ]esus, 38-43. Ma la parabola insegna a capire «che la retribuzione non
rende l'opera più valida di quanto essa non sia, di modo che di essa non si parla più
come oggetto di una pretesa umana, ma la si colloca accanto all'opera come dimo­
strazione della bontà di Dio.. (Jiingel, Paulus und ]esus, 167; a mio avviso è indispen­
sabile questa puntualizzazione nei riguardi di Bornkamm). De Ru, NT 8, 222, coglie
questo aspetto solo in termini imprecisi quando afferma: «So the point in the teach­
ing of Jesus is: service not 'for reward' but yet, to our surprise, 'rewarded' by thc
Lord in His goodness . .....
85. Il vero problema della parabola non è la bontà di Dio (in generale), bensl il mira­
colo della bontà (che si realizza nell'evento linguistico della parabola); Fuchs, Jesus,
23; dello stesso autore cfr. Zeitverstiindnis, in GA 11, 363. Il miracolo della bontà è
allo stesso tempo l'evento del rendersi comprensibile di Dio. «Gesù non si preoccu­
pa di nient'altro che di questo evento del rendersi comprensibile di Dio• (Fuchs,
ibid. ). Sta qui la specificità sia della predicazione di Gesù sulla bontà di Dio, sia della
forma da lui usata del linguaggio parabolico. «Mentre nelle parabole di Gesù la ba­
sileia si fa linguaggio in modo tale da farsi evento nella parabola in quanto parabola,
in quelle dei rabbi prevale l'aspetto didattico, a servizio dell'interpretazione scrittu­
ristica• (Jiingel, Paulus und ]esus, 166). Anche qui è vero: la parola dell'amore deve
essere parlata [cfr. I . I . 3].
86. In tal modo la parabola di Gesù va al di là di tutte le più audaci attese di una ri­
compensa escatologica elargita da Dio per grazia. E la parabola stessa è l'evento del­
la venuta della giustizia salvifica di Dio, e pertanto parallela al messaggio paolino
della giustificazione sola gralia. t valida dunque un'interpretazione paolino-luterana
della parabola (diversamente da quanto pensa Vincent, TU 73, 94). Per la valutazio­
ne critica dei vari approcci esegetici cfr. Linnemann, Gleichnisse, 158-16o (n. 15).
87. Supposizione condivisa da moltissimi interpreti, per es. Jeremias, Gleichnisse, 34;
Dupont, NRTh 89, 794; Idem, AScign 56, 26; Eichholz, Gleichnisse, 98; Mitton, ET
77, 309; de Ru, NT 8, 208. Diversamente invece, a ragione, Schweizer, Mt, 257.

270
mente molti avranno ragionato come gli operai della prima
ora. Tuttavia ci si deve chiedere se sia corretto risalire imme­
diatamente dalle proteste degli operai agli interlocutori della
parabola. E ci si dovrà chiedere, per prima cosa, se lo schema
rendimento/ricompensa soggiacente a quella protesta fosse
condiviso solo dai «forti», ossia dai farisei o dai discepoli.u
Non sono forse anche i «deboli», i pubblicani e i peccatori,
schiavi anche loro di quello schema, per cosi dire, in senso
negativo, in quanto accettano la gerarchia in vigore tra «forti»
e «deboli» e in quella luce valutano se stessi? Coloro che ven­
gono ammirati non potrebbero esistere senza gli ammiratori.
Al «meccanismo» smascherato dalla parabola è assoggettato
fondamentalmente ogni uomo. 119 Ne consegue che Gesù non
indirizzò la parabola solo ad una determinata cerchia di udi­
tori; ma che essa provoca senz'altro effetti differenti nei di­
versi uditori: ai «forti» vuol far capire che devono smettere di
valutare se stessi innanzi a Dio in base alla loro forza; ai «de­
boli» proclama che anche essi sono stati resi «primi» dalla
bontà di Dio. Essa libera i «forti» dalla loro costrizione alla
forza ed i «deboli» dal peso della loro debolezza. Ad entram­
bi Gesù fa dono della basileia in modo tale che essa determi­
ni interamente il loro presente. Con la parabola Gesù li aiuta

88. Per l'individuazione dell'uditorio nei discepoli o nei farisei cfr. Jiingel, Pau/us
und Jesus, 168 n. 2 (che si confronta con le varie posizioni e definisce «oziosa» la
questione) . t tutt'altro che certo che la parabola voglia effettivamente biasimare
chicchessia. t molto più probabile che Gesù voglia lasciare i suoi uditori di fronte
alla domanda «se sono disposti a imparare da lui a vedere con gli occhi di Dio e non
più con il proprio 'occhio cattivo'» (Schweizer, Mt, 2,7). Trasferire agli uditori di
Gesù la protesta degli operai della prima ora, risulta molto problematico già per il
solo fatto che la «connessione delle opere» può essere messa in luce solo così da es­
sere realmente e positivamente rivendicata o messa in azione attraverso qualcuno dei
personaggi della parabola.
89. Perciò si pone la questione se la parabola intendeva effettivamente biasimare
chicchessia (cfr. l'ultima nota sopra, con Jiingel, Pau/us und ]esus, 168 n. 2). A mio
avviso essa invece mira a portare l'uditore a convincersi di come vanno le cose nel
regno di Dio, e cosi liberarlo dallo schema prestazione/retribuzione in cui è irretito;
per ottenere questo, deve prima portar alla luce questa mentalità, il che è possibile
solo facendone constatare l'inadeguatezza attraverso un caso ben preciso (vale a dire
appunto la ribellione dei primi).
a comprendere Dio, a tal punto da comprendere meglio an­
che se stessi. 90
Cosi interpretata, la parabola si inserisce molto bene nel
contesto della vita di Gesù. Il commento della nostra parabola
è il suo comportamento nei confronti dei farisei e degli scribi,
che egli prende molto sul serio nella loro forza, ma anche il
suo comportamento nei confronti dei pubblicani e dei pecca­
tori, che egli accetta altrettanto incondizionatamente.9' Tanto
con la parabola, quanto con il comportamento nei confronti
dei forti e dei deboli, l'amore di Dio si fa evento, attraverso
Gesù.9'
Come il comportamento di Gesù è il commento della no­
stra parabola, cosl la parabola a sua volta è la spiegazione del
suo comportamento.9J Con la parabola, che rende presente la
90. Il rapporto tra conoscenza di Dio e conoscenza di sé nella nostra parabola viene
valorizzato in maniera particolarmente felice. «Gesù in questa parabola ha espresso
il regno di Dio in modo tale da renderci comprensibile in essa non solo Dio nell' e­
vento della sua bontà, ma allo stesso tempo anche noi stessi» ijilngel, Paulus und ]e·
sus, 168 con richiamo a Fuchs, cfr. n. l). Nella parabola Dio si fa cosl vicino a noi
che anche noi ci ritroviamo più vicini a noi stessi; cfr. Dupont, ASeign ,6, 26.
91. Sebbene il padrone della parabola rimandi a Dio, in realtà dietro di lui c'è Gesù.
cNel rapporto di Gesù con il 'am ha'are! si manifesta la bontà di Gesù» (Fuchs, Je­
sus, 38). Si potrà aggiungere che Gesù poteva accettare incondizionatamente come
primi anche i farisei: Le. 7,36; u,37; 14,1 (comunanza di mensa con i farisei, cfr.
Weiss, ThWNT IX, 37,14-17). Non si può sostenere che negli operai dell'ultima ora
Gesù alludesse a se stesso, perché la parabola non va intesa nel senso della storia
della salvezza (come vorrebbe Vincent, TU 73, 9,) .
92. Questa relazione viene sottolineata da molti autori; per es. Dupont, NRTh 89,
79, ; Mitton, ET 77, 309; Jiingel, Paulus und Jesus, 168: «Anche qui la poinle della
parabola coincide con la poinle dell'esistenza di Gesù». Ogni tentativo di tener fuori
dalla pointe della parabola l'esistenza di Gesù porta dritto a interpretarla in termini
generici, che la si intenda come dottrina sulla ricompensa (de Ru, NT 8, 222 ma cfr.
208), o sulla misericordia di Dio, o sul «senso ultimo della vita» (Via, Gleichnisse,
146). In Gesù dottrina e vita non possono essere scisse. La comunità con la cristolo­
gizzazione della parabola non ha fatto altro che rispettare questa relazione.
93. Il termine «giustificazione» (cosl per es. Jeremias, Gleichnisse, 34 s. 136. 1 39) op­
pure difesa (per es. de Ru, NT 8, 208; Dupont, NRTh 89, 794) non rende bene que­
sto aspetto perché suggerisce che la parabola sia uno strumento di lotta contro colo­
ro che criticano Gesù. Inoltre, questa parabola non costituisce una giustificazione
del gioioso messaggio (Jeremias, op. cii. , 34) bensl è essa stessa il gioioso messaggio e
mira a spiegare (non difendere) il comporlamenlo (non il vangelo) di Gesù. Vero è
comunque che l'uomo deve essere convinto anche contro se stesso.
bontà di Dio, Gesù spiega e legittima la sua parola e la sua
azione, nella quale l'amore per gli interlocutori si fa evento.
L' autocomprensione di Gesù è teologica, nel vero senso del
termine. La cristologia postpasquale ha salvaguardato corretta­
mente questa autocomprensione, col proclamare Gesù come
Figlio di Dio. «E perché mai il Gesù storico non poteva esse­
re proprio lui il Messia nascosto?»."'
In Matteo la parabola è rivolta ai discepoli e quindi alla
chiesa (Mt. 19,25) .9' Essa da un lato mette in questione ogni si­
curezza della comunità ricordandole che la ricompensa dei
discepoli (adesso concentrata di nuovo sulla fine dei tempi)96 è
affare di Dio solo e si sottrae pertanto ad ogni calcolo.97 Dal­
l'altro rassicura i pagani, arrivati per ultimi, che essi sono a
pieno titolo i beneficiari della basileia.911 Tuttavia in Mt. sussi­
ste il pericolo che il commento (Mt. 20,16a cfr. 19,30) finisca
per soverchiare del tutto il messaggio della parabola e che
quindi levento della bontà di Dio che trasforma gli ultimi in
primi diventi un capovolgimento dei valori accessibile ancora
una volta al calcolo umano, che non lascia più spazio alla so­
vranità di Dio.99
94. Fuchs, Bemerkungen, in GA II, 141.
9,. Cosl Matteo applica eia tradizione criticamente, criticamente nei confronti della
sua chiesa» (Eichholz, Gleichnisse, 103; cfr. Schweizer, Mt, 2,8; Jeremias, Gleichnis­
se, 3,).
!)6. Ciò risulta dal cambiamento del contesto della nostra parabola: Mt. lascia cadere
la promessa della ricompensa terrena (in Mc. 10,30) e si limita alla ricompensa nella
vita eterna (con Schweizer, Mt, 2,4) .
97. � inconfondibile il tono ammonitore del contesto di Mt. (v. 16a) : ormai la para­
bola si è ridotta ad un ammonimento ca non metterla (se. la bontà di Dio) a rischio»
(Schweizer, Mt, 2,8; cfr. Eichholz, Gleichnisse, 104; Kretzer, Hemcha/t, 286).
98. C'è da chiedersi però se all'epoca di Mt. l'ingresso dei pagani rappresentasse an­
cora un problema o se con gli ultimi non vengano indicati piuttosto i «piccoli»; in
tal caso la parabola andrebbe intesa come ammonimento a un corretto atteggiamento
verso di loro (cosl Schweizer, Mt, 2'8). Certo anche in Mt. non si lascia affatto ca­
dere l'aspetto storico-salvifico, come mostra chiaramente Mt. 22,1-14 (cfr. Kretzcr,
Hemcha/t, 288; Dupont, NRTh 89, 790) .
99. La modifica del logion in 20,16a rispetto a 19,30 (cfr. sopra, p. 261 n. 38) fa capi­
re che questo pericolo è tutt'altro che immaginario e che pertanto il logion può esse­
re inteso come regola generale (Dupont, NRTh 89, 792 cfr. Mitton, ET 77, 308).

27 3
L'aggiunta post-matteana nel v. 16b mostra anche come la
parabola, unitamente al commento del v. 16a, si prestava sen­
z'altro ad essere (fra)intesa come minaccia. '00 Lo spazio illimi­
tato dell'amore di Dio è divenuto una angosciosa ristrettezza,
che riesce a considerare «molti» i chiamati, ma solo «pochi»
gli eletti. Ma con ciò vengono date risposte che meglio sareb­
be stato lasciare a Dio stesso, anzi alla sua bontà.

2.4. 3. La parabola dei due figli dissimili


(Mt. 2 I1 28-32)
Ricostruzione
Questa parabola'0' fu inserita da Mt. nel contesto di Mc. ,'0•
come dimostra l'introduzione matteana (-tt òè: uµ.'tv òoxe:t) ,'03
che anticipa la domanda (v. 3ia) contenuta già nella parabo­
la.'Cl.f Difficile stabilire se Mt. sia intervenuto anche alla fine: da
una parte, ammettendo che la pericope preesistente già com­
prendeva fino al v. 32 (che Mt. comunque avrebbe ritocca­
to), '0' si spiegherebbe bene la sua inserzione qui, motivata dal-

100. Col v. 16b «sarebbe espresso solo l' ammonimento, e la conclusione della para­
bola da questione aperta si trasformerebbe già in una specie di verdetto sui molti•
(Schweizer, Ml, 258, cfr. Dupont, NRTh 89, 788).
101 . Sia lo stile narrativo (forme al passato! ) sia il materiale figurativo caratterizzano
la nostra parabola dal punto di vista della storia delle forme come «racconto parabo­
lico• (cfr. Bultmann, Synoptische Tradition, 192).
102. Ml. segue nel contesto lo schema di Mc. : Ml. 21,23-27 par. Mc. n,27-33; Ml.
21,33-46 par. Mc. 21,1-12. Inoltre le quattro pericopi Ml. 21,23-27.28-32.33-46; 22,1-
14 costituiscono un'importante unità compositiva di Ml. , c&. sopra, p. 197 e n. 66.
103. Per il -ti ÒÈ: u11-iv 8oia:i e&. Ml. 18,12 (senza òé, se è esatta la lezione adottata) e
sopra, p. 2o8 con n. 16. Bultmann, Synoplische Tradition, 192, assume una posizione
diversa (ma come mai non include il òé nella formula introduttiva?).
104. Il òé rimanda alla pericope precedente. Anche l'uditorio qui presupposto è il
medesimo. Entrambe le cose - oltre a ciò che si è detto nella penultima nota - con­
fermano chiaramente la redazione matteana. La domanda al v. 31a risulterebbe inol­
tre ridondante, se l'intera parabola fosse stata retta originariamente dal cche ve ne
pare?•. Per un inserimento redazionale della parabola prendono posizione Schwei­
zer, Gemeinde, 1 17, cfr. Mt, 267; Kretzer, He"schafl, 153; Merkel, NTS 20, 254-261
spec. 254 (il quale però ravvisa nella parabola una creazione di Mt. , op. cii. , 258).
105. È tipico di Ml. il ytip di saldatura (Kretzer, Hemcha/I, 156 con n. 33) ; è impor-

2 74
la menzione del Battista (v. 32, cfr. v. 26) ; 'o6 d'altra parte, sa­
rebbe altrettanto plausibile che sia di Matteo stesso l'appli­
cazione storico-salvifica della parabola a Giovanni. '07 In ogni
caso per Matteo è importante il «non gli avete creduto» (v. 32,
cfr. v. 2;) , con il quale stabilisce una stretta connessione con
ro8
la pericope precedente. Qualsiasi ipotesi si preferisca per il
versetto 32, risulta comunque chiaro che esso non appartene­
va alla parabola originaria. '09 Ancora più difficile è stabilire se
sia appartenuto alla parabola originaria il logion (di Gesù) sui
pubblicani e le prostitute, i quali «vi passano avanti110 nel re-

tante in Mt. anche ìaG-r.c� (Kretzcr, ibid. ) ; Ò1>CC1t 1oWnj in Mt. è frequente (Mt. : 7 X ;
Mc. : o X ; Le. : I X ); matteana risulta anche l'espressione mcpov 'tOÙ 1:1a'tCUaCll oiÙ't<j)
(cfr. Merkel, NTS 20, 2,56). C'è pure il singolare abbinamento «pubblicani e prosti­
tute», che però può derivare dal v. 31.
1o6. Cosl Jeremias, Gleichnisse, 78 s. ( m a i l suo argomento principale, che s i tratti di
un parallelo di Le. 7,29 s., non è molto convincente, perché il parallelismo tra i due
logia è piuttosto vago, e soprattutto perché in Le. 7,29 s. vengono nominati solo i "tc­
Àwvoi1). Se, come Jeremias afferma, il logion autonomo sarebbe stato aggiunto a Mt.
21,31 già prima di Mt. , a causa dell'espressione o! nÀWvoi1 >CC1tÌ oii r.Opv�u, anche nel
logion originario si dovrebbero postulare entrllmbi i termini; in tal caso però biso­
gnerebbe spiegare perché Le. in 7,29 s. cancella il r.6pvoi1.
107. Lo confermerebbero da una parte la terminologia matteana del v. 32 e dall'altra
gli argomenti di contenuto citati da Kretzcr, Herrschaft, 1,,-1,7 (con richiamo a
Strecker, op. cii. , 1,, nn. 22 s. 27). Per questa soluzione prendono posizione anche
Schweizer, Mt, 267; Bultmann, Synoptische Trtldition, 192. Però con questa soluzio­
ne si deve supporre per Mt. 21,31 s. uno stlldio più llvanzato rispetto a Mt 3,2; 4,12-
.

17 per quanto riguarda la valutazione dcl Battista, poiché ora la proclamazione della
basileia da parte di Giovanni e di Gesù viene considerata «addirittura equivalente»
(Kretzer, Hemcha/t, 157). Se si considera questa soluzione come la più probabile,
l'originario appello ai gerarchi (che vale anche per la pericope precedente) e la pre­
senza del termine «vigneto» (che certo ha un grosso ruolo in 21,33) devono aver
spinto Mt. a inserire qui la parabola.
108. Cosl Schweizer, Gemeinde, n8; la proposizione oùx bt1a"tcuaoi"tc oiÙ't<j) viene ri­
petuta qui letteralmente dal v. 2,5 (op. cit. , n7).
109. In ciò concordano la maggior parte degli esegeti: Jeremias, Gleichnisse, 78 s.
I2,5; Bultmann, Synoptische Tradition, 192; Schweizer, Gemeinde, n7 s. cfr. Mt, 267
s.; Kretzer, Hemcha/t, 1,,; già Jiilicher, Gleichnisreden n, 382; presupposto anche in
Dodd, Parllbles, 23.
1 10. Per il senso di r.p�yo1.mv (presente ! ) cfr. Bauer, Wb, s.v. 2b. Il senso futuro
postulato da Jeremias, Gleichnisse, 12' (con n. ') non è dimostrato in maniera con­
vincente, poiché Jeremias argomenta solamente con un altrettanto ipotetico partici­
pio aramaico, che sarebbe atemporale; e poiché, inoltre, nel testo c'è incquivocabil-
gno di Dio»; 1 11 si tratta comunque di un logion sicuramente
antico.112 Dalla soluzione di questa questione dipende anche
quella dell'uditorio originario: se il logion apparteneva già in
partenza alla parabola, l'uditorio presupposto da Mt. (ossia i
sommi sacerdoti e gli anziani del popolo: cfr. v. 23) doveva es­
sere il destinatario della parabola;"J se invece non le apparte­
neva, l'uditorio non è più identificabile. La ricostruzione che
proporremo qui presuppone come più verosimile lultima ipo­
tesi, che fa terminare la parabola originaria col v. 3ia.11� Il lo­
gion pertanto va considerato un'applicazione della parabola"'

mente il presente. Bisogna invece dar ragione a Jeremias sul fatto che il 7:p'>- intro·
duce una sfumatura di esclusione (Gleichnisse, 126 n. 2).
n r . L'antichità e l'autenticità di questo logion non vengono contestati. Già Ji.ilicher,
Gleichnisreden 11, 382 lo definisce come una parola «che nella sua tagliente vivacità
non può essere contestata a Gesù». Giudizio simile in Jeremias, Gleichnisse, 125 s.;
Bultmann, Syn. Trad. , 192; Schweizer, Mt, 267 (con l'accenno al singolare abbina·
mento tra pubblicani e prostitute ed alla formula non matteana �11a1ì,ti11 't'>� -�E'>�).
n2. Jeremias, G/eichnisse, 125 s., considera il logion un elemento originario. Il suo
rinvio (op. cit. , 79 n. 1 ) a espressioni simili che concludono le parabole (Mt. 5,26; Le.
14,24; 15,7. 10; 18,14) non risulta però convincente. Le. 14,24 nella/orma attuale è dif­
ficilmente originario (cfr. sopra, p. 221 n. 73). Lo stesso vale per Le. 15,7 (cfr. sopra,
pp. 209 s. con n. 26). 10 (cfr. sotto, p. 295 n. 3); 18, 14. In secondo luogo nelle para­
bole le proposizioni conclusive introdotte con tÌtJ.'Ì;v ÀÉyw uii-iv sono originarie solo
quando rimangono nell'ambito dell'immagine, ossia indicano la pointe (ma non l'ap­
plicazione! ) (cfr. Le. 14,24 nella forma originaria; 18,14a; Mt. 18,13); il che non vale
per Mt. 28,31b. In terzo luogo, di fronte a quelli citati da Jeremias, ci sono logia chia·
ramente secondari che vengono introdotti dalla stessa espressione (Mt. 24,47 par. cfr.
sopra, p. 249 n. 179 con Schulz, Q, 398) . Più cauti Bultmann, Synoptische Tradition,
192; Schweizer, Mt, 267 (che lascia aperta la questione). Michaels, HThR 61, 18 vede
una relazione tra i vv. 31b.32 e i vv. 23-27, con i quali la parabola stessa non si adat­
ta bene.
n3. Il «voi» contrapposto ai pubblicani ed alle prostitute intendeva in origine i
«giusti d'Israele», l'élite religiosa del popolo. È proprio questa in effetti a scandaliz.
zarsi del comportamento di Gesù nei confronti dei pubblicani e delle prostirute (cfr.
Mc. 2,14-17; Mt. n , 19 par. Le. 7,34 cfr. v. 30; Michel, ThWNT VII, 103,12-106,3).
n4. Già Ji.ilicher considerava la possibilità che il logion v. 31b non appartenesse ori­
ginariamente al nostro contesto (G/eichnisreden II, 382), ma presupponeva per lo
meno uno sviluppo del logion prima di Mt.
115. La formula introduttiva ÀÉyc1 11ù-:ol<; b llJa'>�<; è di Mt. Uguale o in forma simi­
le essa ricorre come redazionale in Ml. 4,10 (4' Le. ); 8,4.22; 13,52 (si vera lectio) ;
14,31 ; 15,34 (in contrasto con Mc. ); 18,22; 19,21 (nel caso in cui sia giusta la lezione
di B e altri codici); 21,16 (cfr. Schweizer, Mt, 324); 26,64 (in contrasto con Mc.);
116
aggiunta dalla comunità anteriore a Mt. (o da Mt. stesso) . La
parabola originaria constava quindi dei vv. 28 (senza il «che
ve ne pare») -3 1a.
Anche la trasmissione del testo presenta alcune difficoltà: la
parabola è attestata in tre varianti: 1. dapprima compare il fi­
glio che dice di sì ma non va, dopo quello che dice di no ma
va: la risposta alla domanda al v. 3ra è: «l'ultimo»."7 2. Prima
compare il figlio che dice di no ma va, poi quello che dice di
sì ma non va; la risposta al v. 3ra è: «il primo».11 8 3. Prima
compare il figlio che dice di no ma va, poi quello che dice di
sì ma non va; la risposta al v. 3ra è: «l'ultirno».119 Questa terza
possibilità va considerata in ogni caso secondaria, poiché ol­
tretutto attestata solo da pochi manoscritti.110 Le prime due
possibilità potrebbero entrambe aspirare all'originarietà: se si
presuppone che Mt. (o già la sua comunità) aveva interpretato
la parabola in senso storico-salvifico e pertanto vedeva rap­
presentati nel primo figlio i farisei, nel secondo invece i pub­
blicani, in tal caso il testo originale di Mt. era senz'altro quello
della variante r . "' L'origine della variante 2 potrebbe spiegarsi
28,10 (cfr. Schweizer, Mt, 342). Viceversa la formula è tradizionale una sola volta
(Mt. 26,31 par. Mc. ) ; ed una volta incerta (8,20 forse da Q). Per la formula cfr. anche
Merkel, NTS 20, 256. Questi dati confermerebbero che fu Mt. ad aggiungere l'appli­
cazione.
n6. Anche Bultmann, Synoptische Tradition, 192 la considera un'applicazione, ben­
ché «la sua autenticità probabilmente non vada messa in dubbio» (cfr. anche sopra,
p. 276 n. I I 2).
1 17. Cosi il testo di Bpc, uguale nella struttura di base, tuttavia anche con delle mo­
difiche (0), «I>, pc, sa•'.
u8. Cosi la tradizione di �. C, ,\ I , L, W, ecc.
n9. Cosi legge D, it, sy'.
120. Questa strana variante viene considerata originaria da Michaels, HThR 61, 26 e
passim; Schulz, Mitte, 169. La si potrebbe ritenere originaria solo interpretandola
nel senso che i farisei nel loro indurimento avrebbero dato intenzionalmente una ri­
sposta falsa, per smussare il taglio della parabola (Schulz, op. ai. , 169 s.). Ma tutto
ciò è inverosimile: in primo luogo, in tal caso Gesù avrebbe dovuto rimproverarglielo
(Schwcizer, Mt, 268); in secondo luogo i farisei proprio per la concezione che aveva­
no di se stessi non avrebbero dato una risposta simile, e sarebbe molto difficile che
una tale risposta sia stata loro attribuita.
t21. L'accurata analisi di Schmid, Problem, 68-84 conclude a favore di questa va­
riante; allo stesso modo Derrett, StTh 25, no s.; cfr. Kretzer, Herrschaft, 154.

277
con l'ipotesi che col passar del tempo i pubblicani e le prosti­
tute, che dissero di no e tuttavia andarono, vennero contrap­
posti non più ai farisei ma ai cattivi cristiani che verbalmente
confessavano Cristo, ma non facevano la volontà del Padre:
di qui l'inversione tra i due figli .... In ogni caso la variante 3 è
11
dipendente dalla variante 2 . 3 Il problema testuale non può
essere risolto con certezza;"4 nella ricostruzione che qui pro­
porremo, presupponiamo come più verosimile l'ipotesi ora
abbozzata, e quindi come originaria la variante 1 .
N e risulta l a seguente ipotesi di ricostruzione della tradizio­
ne e della redazione: la parabola originaria"' fu prowista dalla
comunità anteriore a Matteo dell'applicazione al v. 3 1b. Allo
stesso modo da essa, o da Matteo stesso, deriva il riferimento
a Giovanni Battista al v. 3 2 . La parabola cosl intesa fu collo­
cata da Mt. nel contesto della questione sull'autorità di Gesù
e della parabola dei vignaioli malvagi.

122. Poco convicente la motivazione del ritocco proposta da Derrett, StTh 25, 112,
mentre Kretzer, Herrschaft, 154 non ne adduce nessuna.
123. A parer mio questa è la collocazione più illuminante della variante nella storia
del testo. Non è verosimile che la variante 3 abbia determinato la nascita della va­
riante 1 (ipotesi presa in considerazione da Schweizer, Ml, 268), perché la variante 2
(a differenza della 3) ricorre in manoscritti molto antichi.
124. Jeremias, Gleichnisse, 125 n. 2 (cfr. anche Schweizer, Mt, 268) prende posizione
per l'autenticità della variante 2. In realtà la nascita della variante 1 può essere ben
spiegata con l'interpretazione (re-interpretazione?) storico-salvifica della parabola.
Ma l'argomento di Jeremias, che il rifiuto del primo figlio spinge il padre a rivolgersi
al secondo, è insufficiente, perché la parabola nasce proprio dalla richiesta del padre
a entrambi i figli, di modo che il padre non ha bisogno di un motivo speciale per
pregare il secondo figlio. Jeremias assume come punto di partenza un realismo che è
fuori luogo. Né il testo offre qualche appiglio per pensare (come in Derrett, StTh
25, 111) che i due figli siano un maggiore e un minore, e che sia stato il minore (ov­
viamente interpellato dopo l'altro), per motivi di tipo psicologico, a rifiutarsi.
125. Infondata l'ipotesi di Merkel (NTS 20, 254-261 in particolare 258) che la para­
bola sia tutta una creazione di Mt. stesso, dal momento che le particolarità linguisti­
che di Mt. da lui dimostrate (op. cii. , 255 s.) possono anche dimostrare soltanto una
rielaborazione matteana del materiale tradizionale (per l'aspetto linguistico cfr. Kret­
zer, Herrscha/t, 155 s.) ; l'armonia poi tra la parabola e la concezione di Mt. non ne
contraddice l'autenticità. Per la tradizione prendono posizione Bultmann, Synopti­
sche Tradition, 192; Jeremias, Gleichnisse, 78 s.; Schweizer, Mt, 267; Kretzer, Herr­
schaft, 155; Derrett, StTh 25, 113.
Interpretazione

Come p unto di partenza dobbiamo supporre una parabola


di Gesù11 formulata pressappoco così:
Un uomo aveva due figli."7 E si rivolse al primo e disse: «Figlio (mio)"8
va' oggi e lavora nel (mio) vigneto». Allora quello rispose e disse: «Sis­
signore»"9 ma (poi) non ci andò. Venne dal secondo e disse la stessa co­
sa. Ma quello rispose e disse: «Non voglio». Dopo però ci ripensò e ci
andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre? Essi risposero:
«L'ultimo».

Soffermandoci innanzitutto sulla narrazione in se stessa, è


evidente che essa mira a contrapporre due comportamenti
(anche logicamente) opposti. Mentre il primo figlio dice di sì,
ma poi non va, il secondo dice di no, ma nonostante tutto va.
Un sì iniziale si trasforma poi in un no, mentre un no iniziale si
trasforma poi in un sì. A mio avviso è importante rilevare che
la perfetta simmetria formale che regge le due frasi sui due fi­
gli viene spezzata in un punto : tra la risposta verbale del se­
condo figlio ed il suo comportamento concreto viene inserito
un [J.&'t'CX[J.&À"fl.Sttç. Di lui dunque si dice esplicitamente che ci
ripensò, cosa che invece manca per il primo figlio. ''0 Se ne può
126. Non ci sono motivi per non attribuire questa parabola al Gesù storico, cfr. )illi­
cher, Gleichnisreden II, 385; Jeremias, Gleichnisse, 78 s.; Schweizer, Mt, 267; Kret­
zer, He"scha/t, 1'5.
127. Il sesso dei figli può essere dedotto dal contesto, con Bauer, Wb, s. v. 1a�.
128. Nell'appellativo 'tÉKVov traspare la benevola tenerezza del padre (Bauer, Wb,
s. v. 1 a�) Il suo appello equivale quindi a una preghiera.
.

129. Nella critica in genere viene sostenuta l'opinione che l'Èyw x>.Jp1t rappresenti
qui un'espressione abbreviata nel senso di una risposta enfaticamente affermativa, e
vada integrato con un umiyw (cfr. Bl.-Debr. § 441.2 prima appendice; vedi anche
l'integrazione in D; Jiilicher, Gleichnisreden II, 369). L'altra possibilità di traduzio­
ne, ossia «lo, signore?» aprirebbe suggestive possibilità d'interpretazione.
1 30. Ciò non può essere sminuito dal fatto che il primo figlio non può aver provato
alcun rimorso, in quanto è passato da un sì a un no. Piuttosto, il !J.t'tot!J.ÉÌ.t!7'9ot1 va di­
stinto dal !J.t'tGtvoeiv poiché «non è necessariamente nemmeno un sentimento gradito
a Dio», ma può anche «indicare un semplice cambiamento d'umore (Ex. 1 3,17; 1
Mach. 1 1 , 10 )» (Michel, ThWNT IV, 631,36-38; cfr. Michaels, HThR 61, 20: «Futile
rcgrct is a long way from saving repentance») . In tal senso anche il primo figlio
avrebbe potuto «pentirsi» del suo sl.

2 79
dedurre che l'interesse principale della narrazione della para­
bola è rivolto al comportamento del secondo figlio: egli ci ri­
pensa; egli dunque non resta vincolato al suo no iniziale. La
domanda e la risposta (ovvia) al v. 31a vengono formulate per
assicurare che il secondo figlio (nonostante avesse detto di no)
aveva fatto la volontà del padre. Se poi si tiene nel debito
conto che la costellazione narrativa «padre - figlio - lavoro
nel vigneto» rimanda metaforicamente alla relazione di Dio
con l'uomo,'3' s'impone la conclusione che la nostra parabola
riguarda la richiesta di Dio e la risposta dell'uomo. La para­
bola, dunque, mira a distogliere l'uomo dal suo no nei con­
fronti di Dio, facendogli capire che il suo no iniziale non do­
vrà essere necessariamente la sua risposta definitiva nei con­
fronti di Dio e che sussiste la possibilità di ripensarci. Con­
trapponendo in questa maniera un protagonista che ha detto
di si e un protagonista che ha detto di no, la parabola fa ve­
dere che questi ha la possibilità di trasformare il suo no inizia­
le in un sì di obbedienza, e che questo solo è ciò che conta ve­
ramente. Chi ha compreso la parabola, è liberato dal suo irri­
gidimento nel rifiuto. L'invito fatto da Dio all'obbedienza,
che la parabola propone, si esprime attraverso la parabola in
modo tale che la parabola stessa scioglie l'uditore dalla sua
disobbedienza ed in tal modo gli rende possibile accettare
l'invito. La parabola è al tempo stesso l'uno e l'altro : invito
all'obbedienza e dono di poter accogliere quell'invito.
La parabola deve essere interpretata nel contesto della vita
di Gesù. In questo contesto il sì o il no iniziale dei due figli
nei confronti del padre corrispondono ad un atteggiamento
fondamentale dell'uomo nei confronti di Dio, quale si riscon­
tra ad esempio da una parte nei farisei e nei giusti e dall'altra
nei pubblicani e nei peccatori; il che non significa però che la

131. L'equivalenza metaforica «padre � Dio» è attestata già nell'Antico Testamen­


to (Quell, ThWNT v, 969,14-970,32), si prolunga poi nel giudaismo ed in Gesù
(Schrenk, ThWNT v, 977,27-981,38). Ne deriva necessariamente l'equivalenza me­
taforica «figlio � uomo». Per il significato metaforico del «lavoro nella vigna» cfr.
sopra, p. 266 con n. 70.

280
parabola miri alla contrapposizione di questi due gruppi so­
ciali.132 Il suo tema è il cambiamento della decisione iniziale, in
particolare il cambiamento del no iniziale in un sì. Nel rifiuta­
re Gesù il sì iniziale si rivela come un no a Dio, mentre nel
mettersi alla sequela di Gesù il no iniziale si rivela come un sì
a Dio. Nell'opzione nei confronti di Gesù si manifesta la vera
opzione dell'uomo nei confronti di Dio; è questa la dimensio­
ne cristologica implicita nella nostra parabola.'H Con questo
non si nega che si possa pensare anche al sì dei giusti, che nel
no a Gesù si rivela come un no a Dio, ed al no dei peccatori,
che nel sì a Gesù si rivela come un sì a Dio. Non sta qui tutta­
via l'interesse principale della parabola; il suo scopo è piutto­
sto quello di distogliere i peccatori dal loro no iniziale e ri­
condurli sulla via dell'obbedienza: spingerli alla sequela di
Gesù. In tal modo la parabola riproduce ciò che si compie
nella chiamata alla sequela: il dono di staccarsi dal no a Dio,
ripensarci, dire di sì a Dio dicendo di sì a Gesù. Sia nella pa­
rabola sia nella chiamata alla sequela, la divinità di Dio viene
salvaguardata: è Dio che esprime l'invito a venire, ed è Dio
che concede all'uomo la possibilità di adempierlo.
La comunità anteriore a Mt. con la sua applicazione (v.
3 1b) riferì i due figli della parabola a due gruppi sociali ben

1 32. La maggior parte delle interpretazioni della parabola parte però da tale presup­
posto. Secondo Jeremias la parabola proclama che i pubblicani e le prostitute sono
vicini a Dio più dei devoti (G/eichnisse, 1 2 5 s.). Secondo Schweizer la parabola si ri­
feriva «a quelli che si consideravano fedeli e obbedienti alla volontà di Dio, ma non
lo erano, mentre quelli che si sentivano esclusi da Israele obbedivano realmente al­
la volontà di Dio; quindi da una parte a quei devoti che respingevano Gesù, e dall'al­
tra ai pubblicani e alle prostitute» (Mt, 268). Similmente Derrett pensa ali'élite che
«neglected the cali» (StTh 2'.), 115) che solo «pretend to serve» (op. cit. , 1 16), men­
tre «those constantly hostile in their reactions, will ultimately turn out to show the
fullest obedience» (1bid. ). Tutte queste interpretazioni si basano a parer mio su
una affrettata trasposizione di singoli elementi dalla narrazione alla realtà. Inoltre
sottovalutano il fatto che l'accento principale della parabola cade sul secondo fi­
glio, che si distacca dal suo no e diviene ubbidiente.
133. Contro Vincent, TU 73, che, secondo me a torto, interpreta cristologicamente il
figlio che dice di no: «We seem to have in this picture of dutiful obedience to the fa.
ther the kind of attitude which our Lord had to God, often holding back from His
will ( .. ), but finally giving in to it» (p. 88).
.

281
determinati: da una parte, coloro che con il loro no a Gesù
rivelano il vero volto che si celava dietro il loro iniziale si a
Dio, che si rivela puramente verbale: i farisei, i potenti, i giu­
sti di Israele. Dall'altra parte, coloro che con il loro sl a Ge­
sù manifestano un ripensamento e si staccano dal loro iniziale
no a Dio: «pubblicani e prostitute». Questa applicazione, per
quanto non esente da rischi, preserva per lo meno la dimen­
sione cristologica della parabola; anzi: può essere ben definita
un'interpretazione cristologica, anche se può essere dettata in
parte dall'esperienza della comunità, in quanto riflette il no
di Israele ed il sl dei reietti e dei pagani'1" nei confronti della
predicazione cristiana.
Matteo a sua volta sembra interpretare la parabola in senso
storico-salvifico,'1' vedendo rappresentato nel primo figlio il
comportamento di Israele, nel secondo invece quello della
comunità cristiana.'16 Stabilendo un riferimento a Giovanni (v.
32), egli salvaguarda il senso cristologico della parabola riba­
dendo che con Giovanni è arrivato quel tempo in cui deve
manifestarsi chi realmente compie la volontà del Padre. Col
Battista inizia il tempo del Messia; Israele si è mostrato incre­
dulo già nei confronti di Giovanni (v. 32, cfr. v. 25), e in que­
sto modo il suo sì a Dio si è rivelato un no. Al posto di Israele
è subentrato un altro popolo che percorre la «via della giusti­
zia», compiendo la volontà del Padre e dando frutti ( cfr. Mt.
21,43 ! ) .137 Anche questa interpretazione della parabola può ri-
1 34. « È verosimile che dopo la pasqua si sia pensato ai giudei che rifiutavano Gesù
ed ai pagani che lo accettavano, dei quali i pubblicani offrivano una sorta di prefigu­
razione (Schweizer, Mt, 268). Ciò vale a parer mio proprio per la comunità anteriore
a Mt. , che forse proprio per questo motivo ha aggiunto il logion.
135. L'interpretazione storico-salvifica è avvalorata anche dalla pericope dell'albero
di fico e soprattutto da tutta la struttura dei capp. 21-25. Israele serve a Mt. come
esempio ammonitore (Kretzer, Herrscha/t, 156 s.).
136. In questo, Mt. potrebbe essersi ricollegato all'interpretazione della sua comunità
(Schweizer, Mt, 268 e sopra, la penultima nota).
1 37. Per Mt. il riferimento a Giovanni è importante, perché secondo lui la decisione
è presa già di fronte al Battista (una analogia con i vv. 25 s. ) ; cfr. Schweizer, Mt, 268.
La «via della giustiziai. (Kretzer, Hemchaft, 157 s. ) è una via nella quale si mette in
pratica ciò che si predica. A Mt. sta a cuore «sottolineare l'importanza del /arei.; chi
tenersi valida, a patto però di non perdere assolutamente di
vista che il nuovo popolo non è esente nemmeno lui dal ri­
schio di capovolgere il suo iniziale si in un concreto no. E che
anche adesso coloro che hanno detto di no attendono di esse­
re liberati dal loro no.

2.4.4. La parabola delle dieci vergini (Mt. 25, 1-13)


Ricostruzione
La parabola'J1 fu collocata da Matteo nel contesto di due pa­
rabole della parusia (Mt. 24,45-5 1 ; Mt. 25,14-30) .')9 Anche il
v. 13 va ricondotto probabilmente a Mt. , perché quanto detto
in esso non è confacente alla parabola, '40 ed inoltre serve a
creare un collegamento con la parabola successiva. 141 La for­
mula introduttiva (v. 1a) risale a una speciale tradizione pre­
matteana che aveva già raggruppato quattro parabole. '... La
tralascia il fare, resta improduttivo (op. cit. , 1,9). Cosl la parabola diventa «parola di
giudizio su coloro che nel pensiero e nella parola dicono di sì, ma senza mettere in
pratica effettivamente la volontà di Dio; ed allo stesso tempo essa è un invito pres·
sante a questo mettere in pratica» (Schweizer, Ml, 269). In molti testi la minaccia
del giudizio ha cuno scopo parenetico: essa deve spingere a mettere in pratica la vo·
lontà di Dio. Il giudizio incombe proprio sui discepoli stessi» (Barth, Geselzesver­
sliindnis, ,6. 71).
1 38. Per la classificazione di Mt. 2,11 -13 dal punto di vista della storia della forme,
cfr. Bultmann, Synoptische Tradilion, 190 s. Bultmann lo annovera fra i racconti pa·
rabolici, ma poi lo definisce un'callegoria costruita partendo dall'applicazione» (op.
cii. , 191). È incontestabile, nella forma attuale del testo, la presenza di tratti metafo­
rici; questo però non autorizza a definirla un'allegoria, nel senso stretto del termine
(come sostengono Donfried, JBL 93, 427; Strobel, NT 2, 201 s.), poiché dall'inizio
alla fine ci troviamo dinanzi a una narrazione in sé coerente, i singoli elementi della
quale sono per la maggior parte subordinati alla struttura narrativa (con Via, Gleich­
nisse, 1 19; cfr. anche Linnemann, Gleichnisse, 133).
139. La collocazione è redazionale (Schweizer, Ml, 3 14), lo rivela anche il �on, che
indica la connessione col discorso escatologico (v. 1 ; Maisch, BiLe u, 248).
140. Il «vegliare» non svolge alcun ruolo nella parabola, perché nella parabola tutte
le vergini si addormentano (cfr. , tra gli altri, Schweizer, Mt, 3o6; Bornkamm, VenO­
gerung, ,o; Strobel, NT 2, 222; Bultmann, Synoptische Tradition, 191;Jeremias, Gleich­
nisse, 48 s.). Il v. 13 rimanda a Mt. 24,42 (par. Mc. ) ; gli adattamenti alla parabola
(wpa in sovrappiù rispetto a Ml. 24,42) ne dimostrano la redazionalità.
141. Cfr. il yap in Mt. 2,,14 che rimanda all'indietro (vedi sopra, p. 234).
142. Contro Bultmann, Synoptische Tradition, 190 s., e, invece, con E. Schweizer,
maggior parte degli elementi narrativi di questa parabola si
presenta facilmente comprensibile per l'uditore; la storia nar­
rata, anche se non capita tutti i giorni, risulta pienamente
plausibile. 143 Se ci si interroga sulla intrinseca comprensibilità e
normalità della vicenda narrata, risultano sorprendenti alcuni
elemei;iti: la designazione delle vergini come «stolte» e «sag­
ge» (v. 2) anticipa prematuramente la conclusione compro­
mettendo almeno in parte la tensione narrativa. Sorprende
anche che le due designazioni non compaiono più alla fine,
dove le vergini verranno definite solo con t"t'Ot(J.Ot e Àoma.t (w.
IO s.) . Ciò fa supporre che si tratti di una caratterizzazione in­
serita solo secondariamente, quando l'esito della parabola era
già noto.'44 Un altro elemento sorprendente è il duplice «Si­
gnore ! Signore ! » (v. 1 1 ) che ricorda il brano analogo Mt. 7,22
s. (Q) : '4' una tradizione chiaramente affine che però dovrebbe
essere secondaria rispetto alla nostra parabola, e quindi più
verosimilmente influenzata da essa, anziché viceversa.'46 Tut­
tavia la duplice invocazione risulta eccessiva rispetto alla si-

Mt, 304. 197; cfr. Idem, Gemeinde, 101. Per il futuro O!J-Otw-S�.,.t-rcu cfr. op. cit. , roo.
143. Se si considera il carattere fittizio proprio della parabola, la questione tanto
spesso affrontata se la parabola sia in accordo o meno con le usanze nuziali dell'epo­
ca non ha più l'importanza che le attribuiscono i rappresentanti delle diverse posi­
zioni (a questo proposito vedi la controversia di Jeremias, Gleichnisse, q1-174 con
Bornkamm, Verzogerung, 49·55 ; Donfried, JBL 93, 417; Strobel, NT 2, passim). Che
essa sia «quite a realistic story» (Dodd, Parables, 173), non ha molto peso nell'inter­
pretazione della parabola, perché non è il realismo il fattore determinante.
144. Anche perché l'uso di aggettivi per caratterizzare i personaggi non è conforme
al consueto stile narrativo delle parabole (Bultmann, Synoptische Tradition, 204 s.).
Se poi si tiene conto del fatto che la contrapposizione f1.Wp6c;-9p6v1µ.oç ricorre unica­
mente nella parabola della costruzione della casa (anch'essa una tradizione particola­
re di Mt. , cfr. Schweizer, Gemeinde, 101), si è autorizzati a ipotizzare che si tratti di
un ritocco interpretativo della comunità anteriore a Mt. (che ha lasciato le sue tracce
nel materiale parabolico particolare di Ml. ). Come connotazione negativa fl.Wpoc; ri­
corre solo in Ml. (7 X ) e forse 1 X in Mc. (7,13) . Coincide con questo dato anche quello
di !pp6vt(.IJ.I<;, che ricorre 7 volte in Ml. (sempre tradizionale), 2 volte in Le. (di cui una
volta in Q, e una volta in una parabola prelucana), 5 volte anche in Paolo.
145. Il duplice appellativo kyrie qui potrebbe essere anteriore a Ml. (Schulz, Q, 425
con n. 163), cfr. la formulazione per il resto senz'altro originaria in Le. 13,25-28. Il
duplice kyrie si rivolge al Cristo giudice escatologico (Schulz, Q, 426).
146. Cfr. Schweizer, Ml, 304.
tuazione narrativa: anch'essa certamente venne inserita dalla
comunità anteriore a Mt. , ricalcando la terminologia usata
per il Cristo glorioso del giudizio finale. Lo stesso dicasi infi­
ne di «In verità vi dico» (v. 12) '47 che è fuori luogo in bocca
a uno sposo di questo mondo; originario invece può essere
considerato il «Non vi conosco».148 Altrettanto originario il ri­
tardo (un po' insolito) dello sposo (v. 5), indispensabile alla
struttura narrativa della parabola.
Da ciò che si è detto si può ipotizzare la seguente ricostru­
zione della storia della tradizione e della redazione: la parabola
originaria comprendeva i vv. i . 3 -12, tuttavia senza «stolte» e
«sagge», «Signore ! Signore! » e «In verità vi dico»: elementi
che, insieme al v. 2 e alla struttura formale della formula in­
troduttiva, risalgono alla comunità prematteana. Per parte
sua, Matteo premette «allora» (v. l) ed aggiunge il v. 13 per
inserire la parabola nel contesto del discorso sulla parusia.

Interpretazione
Partiamo dalla parabola originaria, che suonava probabil­
mente come segue:
Avviene col regno dei cieli come con dieci vergini che presero le loro
lampadc149 cd uscirono per andare incontro allo sposo.''" Cinque di loro

147. Cfr. Strobel, NT 2, 202; per la formula ).Éyw U!J-iv vedi ad es. Schulz, Q, 390.
148. A questo proposito Jeremias, G/eichnisse, 175 con rinvio ai paralleli giudaici in
Str.-Bill. I, 469; IV, 293.
149. Nonostante il termine nella maggior parte dei casi significhi «fiaccola» (cfr. Jere­
mias, Gleichnisse, 174 con n. 4), nella nostra parabola si deve rendere con «lampada»
(argomenti in Schweizer, Mt, 304 s.). Il termine non consente di dedurre che servis­
sero solo per uso domestico (come vorrebbe Strobel, NT 2, 2n). Questo postulato
di Strobel deriva dalla sua ipotesi di far derivare la parabola dalla tematica teologica
della veglia pasquale (il battesimo celebrato con lampade nella notte di pasqua).
1 50. L'aggiunta xott -rijç vul'-�ii� (D, 0, al, latt, sy' "), a prescindere dalla scarsa attesta­
zione, si spiega col fatto che la mancata menzione della sposa in questa parabola fu
percepita come un errore già dai copisti. Lectio difficilior è pertanto quella che men­
ziona solo «lo sposo» (cfr. Jeremias, ThWNT IV, 1093 n. n). Circa l'accoglienza del­
lo sposo, vedi Jeremias, G/eichnisse, 172 s. La terminologia qui utilizzata ricorda 1
Thess. 4,17 (EÌç IÌn:av'r"l)atv 'rOÙ xupiou). Il significato metaforico dell'espressione va
ammesso per la /orma definitiva della parabola.
presero con sé le lampade ma non l'olio. Le altre cinque invece presero
con sé l'olio in vasetti''' assieme alle loro lampade.'''
Ma poiché lo sposo tardava,'" si assopirono tutte e si addormenta­
rono.
Nel cuore della notte',. si levò un grido: «Ecco lo sposo! andategli in­
contro! ».
Allora tutte le vergini si svegliarono'" e prepararono le loro lampa­
de. ' '6 Ma le prime cinque dissero alle altre: «Dateci del vostro olio, per­
ché le nostre lampade si spengono! ». ·

Ma queste risposero: «No, altrimenti non basterà né per noi né per


voi. Andate piuttosto dai venditori e comprate(ne)».''1
Mentre esse erano andate via a comprarlo, giunse lo sposo e quelle
che erano pronte andarono con lui alle nozze''8 e la porta fu chiusa.
Più tardi arrivarono le altre vergini e dissero: «Signore, aprici! ».
Quello però rispose: «Non vi conosco! ».'"

1, 1 . Cfr. Jeremias, Gleichnisse, 174·


1,2. La traduzione è quella di Schweizer, Mt, 303 . Il contesto (w. 7 s.) fa supporre
che c'era ancora dell'olio in tutte le lampade, di modo che quello portato nei vasetti
è di riserva per alimentare le lampade.
1'3. Per la traduzione di 1,P011 i1;e: 111 cfr. Bauer, Wb, s.v. l. Il verbo compare princi·
palmente in contesti che parlano della parusia (Mt. 24,48 par.; Hebr. 10,37; fa ecce­
zione solo Le. l,21). Il ritardo della venuta dello sposo può avere delle spiegazioni
plausibili all'interno della narrazione Ueremias, Gleichnisse, 173; si osservi però che
le usanze palestinesi citate sono quelle moderne).
1,4. L'espressione idlTIJ; vux-roi; (senza articolo! ) può indicare la «mezzanotte», ma
non c'è bisogno di premerla troppo nel senso di una esatta indicazione cronologica
(come in Strobel, NT 2, 203 s.). I paralleli indicati da Strobel (Ex. 12,29; Sap. 18,14;
op. cit. , 204) non coincidono esattamente col caso nostro.
1,,. Il verbo può indicare anche in Mt. il normale risveglio dal sonno (contro Dorn­
fricd, JBL 93, 424 s.; cfr. per es. Mt. 1,24), ciò non esclude peraltro che Mt. qui pos·
sa vedere, dietro ali' caddormentarsi» ed al «risvegliarsi», la morte e la resurrezione
di Cristo, rinvio metaforico da escludere invece per la parabola originaria.
1,6. Per il significato dell'espressione cfr. Schweizer, Mt, 10,.
1,7. Alla questione tanto spesso trattata se i negozi a quell'ora erano aperti, si ri·
sponde che si deve supporre che in occasione di un banchetto nuziale praticamente
tutto il villaggio era sveglio (Schweizer, Mt, 30,), di modo che in una maniera o nel­
l'altra un po' d'olio si poteva procurare. cNé il rifiuto delle sagge di dare il loro olio,
né la possibilità di trovarlo in un negozio va interpretata allegoricamente» (ibid. ) ;
questo conferma ancora una volta che l a nostra parabola non è un'allegoria nel senso
vero e proprio del termine.
1,8. Non c'è motivo di rendere EÌ<; -rOÙ<; y<i.l""J<; con calla casa nuziale» (così Jere·
mias, Gleichnisse, 174; vedi Bauer, Wb, s.v. 1b).
1'9· Cfr. Str.-Bill. I, 469 (su Mt. 7,23); si noti però che i paralleli per questa cformu·
la di espulsione» sono tardi.

286
È estremamente difficile rispondere alla questione se que­
sta parabola risalga al Gesù storico o alla comunità cristiana.
In ogni caso la risposta non può dipendere né dalla presenza
di elementi allegorici nella parabola né dalla sua corrispon­
denza alle usanze matrimoniali della Palestina, ma piuttosto
dal fatto che il predicato metaforico proposto con l'intera
narrazione esprima il regno di Dio, cosl come esso si esprime
in altre parabole di Gesù, oppure già in partenza si riferisca
alla parusia di Cristo (e quindi non alla basileia) .'6o Ne conse­
gue che si potrà rispondere alla domanda solo se la na"azione
è interpretata come unità.
La narrazione si articola in tre momenti scenici: la prima
scena illustra i preparativi per il ricevimento dello sposo ed il
suo ritardo. Nella seconda scena Io sposo arriva e le vergini
completano gli ultimi preparativi per accoglierlo; a questo
punto però si constata che metà delle donne non è preparata
all'arrivo dello sposo. La terza scena illustra gli eventi dopo il

16o. � metodologicamente scorretto dedurre dal significato metaforico di alcuni sin·


go/i elementi una creazione postpasquale. Se, per es., elementi come «venuta dello
sposo» (Donfried, JBL 93, 421. 424), «ritardo» (op. cit. , 421), «porta chiusa» (op. cit. ,
423), «olio» (op. cit. , 422. 425 s.) o «luce» possiedono in Mt. un significato metafori­
co (cristologico) , questo non ci dice nulla sull'origine della parabola, ma solo sulla
interpretazione da parte di Mt. (contro l'ipotesi di Donfried, op. cit. , 427, che consi­
dera la parabola una creazione di Mt. ) . Identico errore metodologico in Strobel, NT
2, 199-227, quando stabilisce la non autenticità della parabola in base alla implausi­
bilità di alcuni dettagli (op. cit. , 201-203). Se qualche affinità si può notare con la
teologia della pasqua come attesa del Figlio dell'uomo nei gruppi giudeo-cristiani
quartodecimani (op. cit. , 205), essa non autorizza a concludere che « . . . l'ipotesi spes­
so formulata di una creazione postpasquale . . . s'impone inevitabilmente» (op. cit. ,
2z2). Da un'affinità dedurre un influsso metodologicamente è senz'altro contestabi­
le. E che l'influsso sia da parte di quella teologia pasquale sulla nostra parabola, e
non viceversa, è solo una supposizione indimostrabile. Di maggior peso è l'obiezione
di Bornkamm che «il presupposto della narrazione della nostra parabola» sia «che lo
sposo sin dall'inizio è assente» ( Verzogerung, 49) e perciò il presupposto della nostra
parabola sia il ritardo della parusia (op. cit. , 50). Che il ritardo dello sposo sia essen­
ziale alla nostra parabola è incontestabile; la questione è però se sia lecito, ancor pri­
ma Ji avere interpretato quest'elemento all'interno dell'intera parabola, riferirlo cosi
direttamente al ritardo della parusia (op. cit. , 52-54) . Soprattutto il rinvio all'attesa
della fine del mondo durante la notte (op. cit. , 52, con l'elenco di molti testi neote­
stamentari) non dimostra null a, perché - presupposta l'autenticità della parabola -
i testi suddetti potrebbero essere stati influenzati anche da essa.
suo arrivo: le une vanno con lui alle nozze, le altre arrivano
più tardi e non vengono più fatte entrare. Protagoniste della
narrazione sono le dieci vergini suddivise sin dall'inizio in due
gruppi. L'azione trova l'unità nella persona dello sposo che è
determinante in tutte e tre le scene: la prima lo definisce co­
me colui che viene atteso, la seconda come colui che sta a"i­
vando, la terza come colui che è arrivato. La metà delle vergi­
ni nella prima scena commette un errore, che si rivela tale so­
lo nella seconda scena e le cui conseguenze vengono descritte
nella terza scena come esclusione delle vergini dal banchetto
nuziale. In che cosa consiste questo errore? Ad un primo
sguardo superficiale esso consiste nel fatto che una parte delle
donne non prende con sé dell'olio di riserva per le lampade.
Quest'omissione certamente non è dovuta a trascuratezza,
bensì al fatto che esse si aspettano che l'arrivo dello sposo
coincida con il momento in cui esse stesse sono arrivate al luo­
go d'incontro all'uscita del villaggio o della città. Nella narra­
zione esse incarnano dunque il falso presupposto che siano
esse, con il loro incamminarsi, a determinare l'azione. È lo
sposo invece a determinare il corso dell'azione, poiché il pro­
tagonista della festa nuziale è lui. Il momento della sua venuta
dipende unicamente da lui e non da quelli che vanno a rice­
verlo. Non tutte le vergini ne hanno tenuto conto. Il loro er­
rore consiste, in ultima analisi, nel non avere (sul serio) aspet­
tato lo sposo come colui che verrà, credendo di poter essere
loro a disporre della sua venuta. Esse danno l'impressione di
sapere quando egli verrà: erano pronte per il momento in cui
secondo loro sarebbe dovuto arrivare, ma non lo erano quan­
do egli arrivò dawero. Essere pronto ad accogliere qualcuno
come colui che deve venire, consiste per sua stessa essenza
appunto nel rinunciare a disporre della sua venuta. Ciò divie­
ne palese nella seconda scena, quando l'errore delle vergini,
causato dal loro «voler-disporre», viene alla luce come il loro
non-essere-pronte (versetti 8 s . ) . Le conseguenze di questo
comportamento divengono evidenti nella terza scena: poiché
non aspettavano, sul serio, lo sposo come colui che arriva, le
288
vergini si fecero sfuggire il suo arrivo e la festa assieme all' ar­
rivato non venne loro concessa.
Una volta compreso il racconto come tale, si può tentare di
interpretarlo come predicato metaforico del regno di Dio. La
direzione da seguire è indicata dal valore metaforico della fi­
gura dello sposo, il protagonista principale dell'azione. Lo
sposo, sia nell'Antico Testamento161 sia nel primo giudaismo,162
è una metafora di Dio, il cui uso cresce sempre più nel perio­
do successivo all'esilio. 16� Nel primo giudaismo la festa nuziale
con questo sposo - in origine un'immagine del patto di al­
leanza tra Jahvé ed Israele114 - diviene un'immagine della pie­
nezza escatologica.16' Interpretata in questo contesto la para­
bola esprime Dio come colui che viene, colui che nella sua ve­
nuta rimane il vero soggetto che determina 1' azione degli uo­
mini. La parabola ha di mira l'essere-pronti, ossia quell'at­
teggiamento col quale l'uomo risponde al Dio che viene, col
rinunciare a disporre della sua venuta.166 L'atteggiamento sba­
gliato, che nella narrazione è rappresentato dal comporta­
mento delle vergini senza olio, consiste nel fatto che Dio non
viene inteso, sul serio, come colui che viene, bensì come colui
che viene in un determinato momento (che l'uomo crede di
conoscere) . Così intesa la parabola si rivolge contro l'atteg-
161. Cfr. Jeremias, ThWNT IV, 1094,29-37. Il luogo più chiaro è Is. 62,5 («con la
gioia dello sposo per la sposa Dio si rallegra in te»), cfr. op. cii. , 1095,35 s.
162. Cfr. Jeremias, ThWNT IV, 1094,29-1095,4 e per es. il luogo citato in Str. -Bill. 1,
501, Ex. R. 46 ( 101a), doveJahvé compare come sposo, gli Israeliti come sposa e Mo­
sé come paraninfo (cfr. anche Str.-Bill. I, 970 per Mt. 25,6).
163. In età postesilica viene collegata al banchetto nuziale con lo sposo. Una meta­
fora sposo � Messia, a quanto pare, non esisteva (Jeremias, ThWNT IV, 1095,7-36).
164. Così Stauffer, ThWNT I , 651,39-44 (con i testi addotti come prova).
165. Cfr. sopra, p. 227 con n. 98 e Jeremias, ThWNT 1v, 1095,5-7 con n. 32.
166. Per la concretizzazione dello stare pronti è essenziale che per l'arrivo dello spo­
so 11011 ci sia un momento stabilito. Alcune parabole rabbiniche, che rivelano una
certa affinità con la nostra, lo confermano chiaramente: il punto chiave sta nel fatto
che viene fissata una festa, senza fissarne il momento (Str. -Bill. I, 878 s. ) ; mirano ad
ammonire alla conversione quotidiana, affinché l'uomo sia sempre pronto alla mor­
te. Questo elemento dell'incertezza del momento viene espresso narrativamente nella
nostra parabola attraverso il ritardo dello sposo. Pertanto non appare del tutto giu­
stificato ricondurre subito questo elemento al ritardo della parusia.
giamento di chi presume di poter calcolare l'arrivo di Dio, eli­
minando completamente dall'approssimarsi di Dio ogni de­
terminazione cronologica. Ogni determinazione cronologica
dell'approssimarsi di Dio limita ad un determinato lasso di
tempo la disponibilità ad accoglierlo, il che equivale (come ri­
vela la parabola) a una non-disponibilità e porta a lasciarsi
sfuggire la venuta di Dio.' 67 In una parola: la parabola esprime
Dio come colui che viene incondizionatamente.
Se questa interpretazione della parabola è giusta, essa si ri­
vela perfettamente coerente con la predicazione di Gesù sulla
basileia; ed a ragione è stata tramandata come parabola del
regno di Dio (Mt. 25, 1 ) . Gesù esprime il regno di Dio come
una realtà che per sua stessa essenza è vicina: ma una vicinan­
za non esprimibile in termini cronologici, bensl come vicinan­
za che è relazione diretta col presente. 168 Per questo motivo
Gesù contesta ogni possibilità di calcolare la venuta del regno
di Dio. Il problema, allora, è come esprimere questa vicinanza
della basileia intesa come relazione diretta col presente, senza
che la basileia stessa si dissolva nel presente (il che equivar­
rebbe ad eliminare la differenza tra Dio ed il mondo) e senza
che la sua vicinanza venga relativizzata nel senso di una di­
stanza temporale. Il dilemma si risolve, come avviene nella
nostra parabola, quando si riesce ad esprimere la basi/eia come
realtà che viene. '69 In questa prospettiva è più convincente in­
terpretare la parabola come parabola di Gesù sul regno di
Dio,'10 mentre resta solo un'ipotesi - possibile ma non neces­
saria - che si tratti di una creazione postpasquale legata al ri­
171
tardo della parusia.
167. È assai degno di nota che in questo contesto la «porta chiusa» fosse addirittura
proverbiale per indicare un occasione perduta (Str.-Bill. 1 , 970 per Mt. 25, 12).
'

168. Cfr. sopra, p. 118 n. 124.


169. Il linguaggio della testimonianza neotestamentaria eleva a verità in noi « . . non
.

qualcosa che è già realtà ( . . . ) ma qualcosa che verrà, e che solo come tale è già pre­
sente» (Fuchs, Hermeneutik, 218; corsivo mio).
170. Su questa linea, anche se con diverse interpretazioni, ad es. Jeremias, Gleichnis­
se, 50; Via, Gleichnisse, 1 19 s. ; Maisch, BiLe 1 1 , 254; Ford, NT 9, 121 s.
171. Propendono per questa supposizione ad es. Bornkamm, Parusieverzogerung, 54
Se la parabola è una parabola di Gesù sul regno di Dio, es­
sa deve venire interpretata nel contesto della vita di Gesù. Dio
come colui che viene, o la (vicina) basileia sono presenti nella
persona di Gesù. La vicinanza della basileia viene qui espres­
sa attraverso la categoria della venuta di Dio (che elimina
ogni determinazione in termini di spazio-tempo) . La predica­
zione di Gesù riguarda il Dio che viene ed il comportamento
di Gesù rispecchia la vicinanza del regno di Dio. Per questo
il tempo dell'attesa di Dio è adesso (cfr. scena 1 ) . Per questo
adesso non si può più digiunare. '7' Adesso è decisivo prendere
posizione nei confronti di Dio come colui che viene. Questo
esser pronti comincia sin dall'inizio anche nella parabola,
perché da esso dipende il lasciarsi sfuggire o meno larrivo di
Dio.'7j Adesso è arrivato il tempo di stare pronti� di vivere l'atte­
sa del Dio che viene, l'attesa che si sottrae ad ogni calcolo. Ed è
proprio questo l'atteggiamento che la parabola fa nascere,

s.; Donfried, JBL 93, 427 (creazione di Mt. ); Strobel, NT 2, 225 (il quale, in maniera
un po' perentoria, considera superflua ogni ulteriore ricerca su un ipotetico nucleo
originario); Linnemann, Gleichnirse, 132. 187-192 (alle nn. 7 s. un esauriente con­
fronto con le posizioni rappresentate nella ricerca).
172. Partendo dalla parabola così intesa appare in una luce interessante la sentenza
di Gesù in Mc. 2,19a (cfr. Schweizer, Mk, 32). Anche Il Gesù spiega il suo comporta­
mento con un'immagine che descrive metaforicamente la presenza di Dio (non c'è
bisogno di intenderla in senso messianico, come vorrebbe Pesch, Mk, 175). Anche Il
è la comunità a reinterpretare identificando lo sposo con Gesù (v. 20, cfr. Schweizer,
Mk, 33 s.; Pesch, Mk, 175). È verosimile che la metafora «sposo ,Q, Dio» sia qui sia Il
risalga al Gesù storico. Mentre in Mc. 2,19a il presente di Gesù viene qualificato me­
taforicamente con il presente di Dio, la nostra parabola definisce il presente di Gesù
come presenza del Dio che viene (ossia come tempo della prossimità della basileia).
Se si tiene conto della radicale differenza tra Dio ed il mondo, la presenza di Dio de­
ve essere pensata come una venuta. In questo contesto la metafora «sposo-Cristo»
andrebbe spiegata come una reinterpretazione della comunità divenuta necessaria
con la pasqua, ma comprensibile solo partendo dalla predicazione di Gesù.
173· Proprio il comportamento ragionevole delle vergini nella scena centrale fa sl che
l'errore commesso all'inizio equivalga a lasciarsi sfuggire lo sposo. Solo partendo dal­
la conclusione la precauzione presa dalle altre cinque si rivela come saggezza. L'erro­
re delle altre non consiste semplicemente nel fatto di affidarsi avventatamente all'e­
ventualità che qualcun altro si prenda cura di loro (così Via, Gleichnisse, 122); anzi
questa eventualità si rivelerà reale. L'errore consiste piuttosto nel fatto che esse non
attendono sul serio lo sposo come colui che viene.
mostrando sull'esempio delle vergini stolte come l'attesa cal­
colatrice faccia perdere all'uomo la partecipazione alla festa.
La parabola rende sin d'ora l'uditore partecipe della salvezza
finale, in quanto gli consente l'atteggiamento giusto per non
farsi sfuggire la volontà di Dio. In questo modo essa impedi­
sce il giudizio, in cui incorrerebbe l'attesa calcolatrice, ed aiu­
ta l'uomo a conseguire la salvezza.'74 Donando all'uomo un
nuovo atteggiamento nei confronti di Dio, la parabola gli do­
na anche un corretto rapporto col mondo; mettendo la venu­
ta di Dio in rapporto diretto col presente, lo libera dal peri­
colo di evadere dal mondo, come nel fanatismo apocalittico.
Insegnandogli a saper vivere l'attesa di Dio rinunziando a
qualsiasi calcolo, gli insegna un tipo di attesa da vivere anche
nei confronti degli uomini. Egli imparerà a vedere anche ogni
uomo come qualcuno che viene a lui e non si lascerà più sfug­
gire le occasioni per un'opera d'amore. L'annuncio di Gesù
che il tempo dell'amore è arrivato, 175 va di pari passo col dono
di poterlo mettere a frutto momento per momento. Ovvia­
mente, questa relazione tra la comprensione di Dio e l'auto­
comprensione dell'uomo non è espressa esplicitamente nella
parabola; essa però è una necessaria conseguenza della teoria
generale dell'interpretazione delle parabole (cfr. sopra, i .2.8).
La comunità anteriore a Matteo esprime la sua interpreta­
zione della parabola innanzitutto denominando esplicitamen­
te le vergini sagge e stolte; in tal modo essa anticipa già all'ini­
zio ciò che risulterà alla fine della parabola: è saggio chi è
pronto; che invece non è pronto è stolto e si lascerà sfuggire
l'arrivo del Signore. Con i ritocchi interpretativi ai vv. I I s. la
comunità mostra chiaramente che lo sposo che essa attende è
Cristo. 176 Con questa interpretazione cristologica la comunità

174. Perciò a mio avviso è infondato annoverarla tra le parabole della crisi (come
vorrebbe Jeremias, Gleichnisse, 49 s. ; condiviso da Maisch, BiLe u, 2'4) .
175. Cfr. Fuch s , Zeitverstiindnis, in GA Il, 375 .
176. Il «Signore, Signore» si riferisce al Cristo giudice escatologico (v. sopra, p. 2 84
n. 145) e l'«amen, amen, vi dico» è la formula che spesso introduce un detto di Gesù
(cfr. sopra, p. 2 85 n. 147) .
tiene conto del fatto che in Gesù Dio si è manifestato come
colui che viene, a tal punto che ormai la venuta di Dio non
può più essere pensata a prescindere da Gesù, bensl deve es­
sere intesa come venuta del Cristo alla fine dei tempi. Con ciò
essa ripete a suo modo l'evento della pasqua, nella quale si ri­
velò l'autoidentificazione di Dio nel Crocifisso. D'ora in poi
poteva valere per Cristo ciò che finora veniva attribuito a
Dio. Interpretata cosi, la parabola da proclamazione della ve­
nuta di Dio, che tocca già il presente, si tramuta in visione
storico-salvifica con l'annuncio della parusia futura del Figlio
dell'uomo. Interpretata in chiave storica (ed una tale inter­
pretazione è una conseguenza dell'interpretazione cristologi­
ca) , la parabola diviene espressione della visione storica di
questa comunità. Essa interpreta il presente come un tempo di
attesa a cui porrà fine la parusia del Figlio dell'uomo; però la
parabola stessa impedisce che al futuro venga attribuita una
funzione autonoma, salvaguardando il suo riferimento al pre­
sente, poiché la prontezza ad accogliere il Cristo della parusia
qualifica il presente. Da parte sua, la svolta storica avvenuta
con la pasqua conferisce a vari elementi del racconto un nuo­
vo significato metaforico. '77 In particolare il ritardo della paru­
sia viene tematizzato in modo tale da porre l'accento sulla di­
sponibilità necessaria adesso. In ciò si rivela efficace un ele­
mento originario della parabola, che faceva riflettere sulla
imprevedibilità della venuta di Dio.
Matteo riprende l'interpretazione della sua comunità, in­
tendendo la parabola come un appello alla vigilanza, che egli
177. Bornkamm, Verzogerung, invita tuttavia alla cautela riguardo ad un'«allegoresi»
generalizzata (p. n>. In ogni caso però vanno annoverati in essa: l'accoglienza dello
sposo (cfr. sopra, n. 1,0), il suo arrivo nel cuore della notte (cfr. sopra, n. 16o) e l'e­
sclusione dal banchetto nuziale ( come condanna nel giudizio). In questo sta dio è
possibile anche che l'addormentarsi e il risvegliarsi delle vergini (vv. 5 s.) raffigurino
la resurrezione dei morti in vista del giud izio Avremmo qui, in tal caso, un ulteriore
.

testo che presuppone la resurrezione universale in vista del giudizio. Parimenti è


possibile che le vergini a questo punto rappresentino la comunità cristiana (cfr. 2
Cor. u,2; Donfried, JBL 93, 426). In quest'ipotesi, ancora una volta - secondo una
tendenza caratteristica della comunità anteriore a Mt. (cfr. sop ra p. 284 n. 144) la
, -

chiesa sarebbe descritta come corpus mixtum. Resta però soltanto una congettura.

2 93
motiva esplicitamente con l'impossibilità di calcolare il mo­
mento della parusia (v. 13 ) . '18 Sotto questo aspetto, la nostra
parabola si armonizza bene con quella precedente (Mt. 24,45-
51) nonostante sussista con quella un certo contrasto: in Mt.
24,45-51 è malvagio quel servo che conta sul ritardo dell'arri­
vo, mentre in Mt. 25,1-13 ciò viene considerato saggio.'79 Nel
contesto del vangelo di Matteo entrambe le parabole devono
essere intese come espressione della imprevedibilità della fi­
ne. È difficile stabilire come Matteo abbia inteso concreta­
mente questo tenersi pronti. È possibile che lo facesse consi­
stere nel compiere la volontà di Dio. • Ho Ad ogni modo, dal mo­
mento che l'evangelista riprende in maniera esplicita il riferi­
181
mento della parabola alla parusia, è chiaro che anche per lui
il presente è determinato dalla parusia di Cristo.

178. Il vegliare viene «usato già in senso traslato per designare questo stare pronti
che non evade dal tempo ma che già nd presente vive rivolto al futuro» (Schweizer,
Mt, 3o6).
179. Cfr. Bornkamm, Veniigerung, ,o. A mio avviso la questione è se entrambe le
parabole vengano interpretate correttamente quando li: si intende solo a partire dal
loro riferimento alla parusia.
180. Cosi Donfried, JBL 93, 423, che dal simbolismo ddla luce deduce che si tratti
delle «buone azioni» (cfr. Mt. ,, 14-16). Il contesto (parabola dei talenti) mostra che
una tale interpretazione è possibile (cfr. Bornkamm, Enderwartung, 20) .
181. Ciò risulta dal -;on e dal futuro 01J.01�ljn-:a1; vedi anche Schweizer, Mt, 305.
2.5. Le parabole
del materiale particolare di Luca

2 .5 . 1 . La parabola della dracma perduta (Le. 15,8-rn)


Ricostruzione
La parabola originaria è in forma interrogativa' e compren­
de i vv. 8 s. Al v. 10 segue un'applicazione che deve essere
stata aggiunta alla parabola già prima di Le. ,• ma che difficil­
mente può risalire al Gesù storico. 3 La parabola, con I' appli­
cazione, fu situata da Le. nel contesto attuale con un semplice
«Oppure . . . » (v. 8) .4 Particolarmente importante per Le. è il v.
9, come mostra l'inserzione di questo versetto anche nella pa­
rabola precedente (v. 6).' La parabola in se stessa è unitaria e
risale nella forma attuale al Gesù storico.6

Interpretazione
O quale donna se ha dieci dracme,7 (e ne) ha perduta una dracma,8 non

1. Jeremias, Gleichnisse, 1 34.


2. Cfr. sopra, p. 207 n. u .
3 . L'aggiunta di una applicazione, come s i può vedere da Mt. 18,14 e Le. 1,,7, nella
maggior parte dei casi è opera della comunità (cfr. sopra, pp. 209 s. nn. 26 s.). Che
l'applicazione vada tradotta al futuro ijeremias, G/eichnisse, 1 3' n. ') è soltanto una
supposizione.
4. Cfr. sopra, p. 207 con n. 10.
, . Cfr. sopra, p. 2o8 con n. 14.
6. Bultmann, Synoptische Tradition, 18, . 2u prende in considerazione la possibilità
che Le. 1,,8-10 sia un'aggiunta più tarda alla parabola della pecora perduta. Ma i
criteri della coerenza e della discontinuità depongono a favore dell'autenticità; cosl
ancheJeremias, G/eichnisse, 13,.
7. Potrebbe trattarsi di un ornamento del capo che faceva parte del corredo nuzi11lc
(cfr. Jeremias, G/eichnisse, 1 34) .
8. L'aoristo viene reso cosl in base al contesto.

.un
accende la lucerna• e spazza la casa'0 e cerca attentamente finché non la
ritrova? e dopo averla trovata chiama le amiche e le vicine dicendo:
«Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dracma che avevo perdu­
ta ! ».

La parabola è suddivisa in due parti: la prima parte - dopo


l'antefatto che illustra come situazione iniziale la perdita di
una delle dieci dracme - tematizza l'intensa ricerca della don­
na, mentre la seconda parte esprime la sua gioia incontenibile
per il ritrovamento della dracma perduta. 11 Entrambe le parti
sono importanti: all'intensa ricerca corrisponde la grande gio­
ia. A differenza della parabola della pecora perduta, dove
l'abbandono delle novantanove pecore rappresenta un ele­
mento leggermente iperbolico, 12 nella nostra parabola la ricer­
ca della dracma perduta risulta qualcosa di assolutamente ov­
vio .13 È importante che la donna figuri dall'inizio alla fine co­
me soggetto attivo, '4 mentre l'oggetto smarrito figura come
elemento passivo: esso determina l'azione della donna solo
nella misura in cui è l'oggetto della sua ricerca e - non appe­
na ritrovato - il motivo della sua gioia. La parabola mette in
grado l'uditore di capire l'intensa ricerca della donna e di im­
medesimarsi nella sua gioia per il ritrovamento.
In questa parabola Dio si rivela come colui che cerca l'uo­
mo e gioisce incontenibilmente se lo trova.'' Da questo punto
9. Ciò è necessario, dato che le case non avevano aperture sufficienti a far entrare la
luce (cfr. Jeremias, Gleichnisse, I 34).
IO. Traduzione di Jeremias, ibid.
1 r . Questa articolazione in due parti impedisce di fissare la parabola su un singolo
punto (la gioia per il ritrovamento dell'oggetto smarrito, come vorrebbero Jeremias,
Gleichnisse, 1 35 ; Linnemann, G/eichnisse, 72; similmente Jiilicher, Gleichnisreden II,
324 s . ) ; il che viene dedotto facendo eccessiva leva sull'applicazione.
1 2 . Che però viene praticamente neutrali7.zato per il fatto che la parabola della peco­
ra smarrita ha la forma di una domanda retorica (cfr. sopra, p. 2I2).
13. Chi non si mette alla ricerca, se ha perso una moneta? Solo l'intensità della ricer­
ca è leggermente iperbolica; cfr. Dupont, ASeign 55, 72.
14. In ciò la nostra parabola è compleramente uguale alla versione originaria di Le.
15,4-7 par. (cfr. sopra, p. 212). Nell'applicazione invece la concentrazione sul prota­
gonista è leggermente smorzata dall'inserimento di !oLE't'otvooùv· n.
I5. Nell'interpretazione (comunque secondaria) del v. IO viene salvaguardato il fatto
di vista la parabola può essere intesa come parabola del regno
di Dio, poiché la vicinanza della basileia trova la sua espres­
sione nella ricerca e nella gioia. Nella parabola la basileia si
avvicina talmente all'uomo che questi prende coscienza della
sua condizione di perduto ed allo stesso tempo viene liberato
dal peso di dover superare con le sue proprie forze il suo smarri­
mento. Egli deve piuttosto lasciarsi cercare ed immedesimarsi
con la gioia di Dio nel ritrovarlo. Colui che attraverso la para­
bola prende coscienza della sua condizione di perduto, pro­
prio in questo modo prende coscienza della sua appartenenza
a Dio.
La ricerca da parte di Dio di chi era perduto è divenuta
evento nella vita di Gesù. La vicinanza della basileia si realizza
nella vicinanza di Gesù agli uomini.16 Nella parabola Gesù in­
terpreta la ricerca dell'uomo da parte sua come ricerca da
parte di Dio. Ed egli insegna all'uomo a considerare la lonta­
nanza di Dio come smarrimento, che solo Dio stesso può su­
perare; anzi - se la parabola raggiunge lobiettivo - ha già
superato. Questo è il vangelo. ' 1
La comunità prelucana interpreta il ritrovamento come me­
tanoia del peccatore; ponendo però cosi fortemente l'accento
sulla gioia di Dio da evitare il pericolo di fare della conversio­
ne la premessa per la salvezza. Forse già per la comunità, ma
senz'altro per Luca la metanoia è indissolubilmente legata alla
persona di Gesù (vv. 1-3). In tal modo la rivendicazione teo­
logica insita nella parabola di Gesù si rivela esplicitamente
cristologica.

che la parabola parla di Dio, awalorato anche dall'analogia con le parabole della pe­
cora perduta e dcl figliol prodigo.
16. Proprio la vicinanza creata attraverso la commensalità di Gesù con le persone più
diverse non è soltanto «l'espressione di un atteggiamento umano» (Bornkamm, ]e­
sus, 73), bensl l'evento del regno di Dio vicino (op. cii. , 74) .
17. Per questo la parabola non è ccl' apologia dcl vangelo da pane di Gesù» (come
pensa Jeremias, Gleichnisse, 1 3 5 la cui individuazione dcl quadro storico della nostra
parabola nel conflitto con i farisei e i devoti porta a questa inversione).

297
parabola delfigliol prodigo
2 . 5 . 2 . La
(Le. 15, 1 1-3 2)
Ricostruzione
Questa parabola'8 fu collocata da Luca nel contesto attua­
le.'9 Riguardo alla coerenza interna della parabola si è tentato
recentemente innanzi tutto di distinguere tra una fonte ed
una sua rielaborazione lucana'° o tra una prima parte origina­
ria (w. 1 1-24) ed una seconda parte secondaria (w. 25-32)."
Per quel che riguarda la questione della rielaborazione reda­
zionale, solo la tesi di un intervento stilistico da parte di Luca
regge ad un esame più attento." Per quel che riguarda il con­
tenuto la parabola è unitaria; nessun singolo elemento può
essere eliminato senza pregiudicare l'intera struttura narrativa
della parabola. 21 Anche la tesi del carattere secondario della
seconda parte non convince, poiché né il riscontro di partico-

18. Per la classificazione secondo la storia delle forme, cfr. Bultmann, Synoptische
Tradition, 190; Fuchs, Zeitverstiindnis, in GA n, 369; Pesch, Exegese, 141 ; Schott­
roff, ZThK 68, 39.
19. Cfr. sopra, p. 207 n. 10; Bovon, En/ant, 37; Giblin, CBQ 24, 15. 22 s.
20. Qui va citata in modo particolare la tesi di Schweizer, ThZ 4, 469-471, che am­
mette una fonte (semitizzante) nella prima pane della parabola ed intraprende una
ricostruzione della formulazione originaria (op. cit. , 470). A tal proposito cfr. il reso­
conto di Pesch sulla discussione tra Schweizer e Jeremias (Exegese, 142 s., cfr. 149).
Ad ogni modo, l'ipotesi di Schweizer è stata accantonata da lui stesso (ThLZ 99, 724
s.), in quanto anch'egli ha riconosciuto l'unitarietà della parabola. Bovon, En/ant,
48. 51 considera redazionali i w. 24.32.
21. L'interrogativo affiora già in Bultmann, Synoptische Tradition, 190, ma riceve ri­
sposta negativa (op. cit. , 212). Di recente Sanders, NTS 15, 433-438 ha rilanciato il
tentativo di attribuire Le. 15,25-32 all'evangelista.
22. Lo mettono in luce, a mio avviso, le analisi statistiche lessicali di Jeremias, ZNW
62, 174- 181 ed in particolare l'analisi di Carlston, JBL 94, 369-383. Entrambi gli au·
tori giungono al risultato che l'intervento di Luca sulla parabola si limita alla rielabo­
razione stilistica (Jeremias, op. cit. , 181 ; Carlston, op. cii. , 383; ripreso da Pesch, Exe­
gese, 150; Broer, NTS 20, 461). La decisione sui w. 24.32 rimane incerta: possono
essere sia redazionali sia tradizionali.
23. L'unità viene esplicitamente sostenuta da Schottroff, ZThK 68, 37; Eichholz,
G/eichnisse, 216; Jiingel, Pau/us und Jesus, 160; Pesch, Exegese, 145 ; e risulta giustifi­
cata dall'analisi della narrazione.
larità linguistiche, 24 né il rinvio a contraddizioni tra i rapporti
giuridici presupposti nelle due parti,'' né considerazioni di ti­
po storico-morfologico26 possono avvalorare questa tesi.21 Re­
sta verosimile unicamente la supposizione che Le. 15 , 1 1 - 3 2 sia
essenzialmente una parabola unitaria, elaborata stilisticamen­
te da Le. 28 Con ciò anche la tesi che la parabola sia opera di
Lc.'9 va respinta come infondata. L'argomento principale di
questa tesi è che la parabola concorderebbe con la soteriolo-
24. Carlston, JBL 94, 390 cfr. 38 3 giunge alla conclusione che in ogni caso le partico­
larità linguistiche di Le. ai w. 2,-32 non sono più frequenti che ai w. 1 1-24; cfr. la
controprova di Jercmias, ZNW 62, 178 s., che trova anche ai w. 25-32 un consisten­
te materiale tradizionale; per un confronto con la tesi di Sanders vedi O'Rourke,
NTS 18, 431-433 la cui analisi dimostra «that the arguments adduced from rhetoric
and vocabulary do not prove much, if anything, concerning the originai unity of the
parablc» (op. cii. , 433 ) .
2 5 . Questo già per il solo fatto che il narratore non ha alcun interesse alla conformità
con le norme giuridiche (Schouroff, ZThK 68, 41) . La narrazione spezza senz'altro la
normalità dci rapporti di questo mondo (Fuchs, Zeitverstiindnis, in GA Il, 370).
Inoltre, già all'interno della prima parte ci sono delle incongruenze di tipo legale, in
quanto per esempio il padre al ritorno del minore sembra disporre lui anche dell'e­
redità del maggiore (w. 22 s.; cfr. Pesch, Exegese, 1 ...,.. con richiamo a Daube; sul
problema vedi anche Derrett, NTS 14, 62 s.).
26. Contro Sanders, che argomenta con l'inesistenza di parabole «a due vertici»
(NTS 1,, 433 s.) va tenuto fermo che la contrapposizione di due tipi non autorizza,
per se stessa, a ipotizzare un'amplificazione secondaria (cfr. Mt. 20,1-1,; 21,28-32).
In tal senso anche Jiingel, Paulus und Jesus, 16o ; Fuchs, Zeitverstiindnis, in GA I l ,
369; Jeremias, Gleichnisse, 131; Schottroff, ZThK 68, 43; Bovon, Parabole, 295; Gib­
lin, CBQ 24, 20; Broer, NTS 20, -46o; già Bultmann, Synoptische Tradition, 212. An­
che la presenza di elementi «allegorici» nella seconda parte (cosl Sanders, op. cit. ,
436) non dimostra alcunché, dal momento che, in primo luogo, essa non è un argo­
mento contro l'autenticità, e, in secondo luogo, elementi allegorici (o meglio: meta·
forici! ) si trovano anche nella prima parte (con Pesch, Exegese, 1...,.., il quale riman­
da ai w. 14 s.24) .
27. Si può rilevare al contrario che la parabola sin dall'inizio presuppone entrambi i
figli (w. 11 .12.13) e quindi crea nell'uditore l'aspettativa di sapere qualcosa anche
del figlio maggiore. «La parabola, per non lasciare insoddisfatti gli uditori, non può
finire col v. 24» (Pesch, Exegese, 1...,.. s.).
28. Tra i sostenitori più rappresentativi si possono ricordare: Jeremias, ZNW 62, 181
e Carlston, JBL 94, 383: «On the contrary, linguistic criteria seem strongly to indica­
te that the entirc parable carne to Luke via the tradition and that the has treated it
with about the same degree of freedom that be shows in his treatment of tbc Marcan
and Q materials».
29. Ipotesi sostenuta dalla Schottroff, ZThK 68, 27-,2, in particolare 49. 'I s.

299
gia lucana e per questo motivo sarebbe da considerare reda­
zionale. J<> In realtà, a prescindere dal fatto che non si può di­
mostrare tale conformità, 3' largomentazione è dubbia già per
motivi metodologici, basandosi sull'assioma che un theologu­
menon di un evangelista non possa corrispondere con la pre­
dicazione di Gesù. Escluso dunque Luca come autore, si può
supporre che la nostra parabola risalga al Gesù storico; e
questa supposizione può essere dimostrata anche positiva­
mente - sempre <<nella misura di ciò che è possibile in senso
storico-critico»3' - come verosimile. n La nostra ipotesi dun­
que circa la storia della tradizione e della redazione di questa
parabola è che essa sia una parabola di Gesù, che da Luca ven­
ne rielaborata stilisticamente e collocata nel nostro contesto. 34

Interpretazione
La parabola di Gesù suonava così:
Un uomo aveva due figli." Ed il più giovane dei due disse al padre:

30. Schottroff, op. cit. , 5 1 .


31. Si può anzi riflettere che la soteriologia lucana, nella quale il pentimento sembra
essere il presupposto della salvezza (Schottroff, op. cit. , 32 s. con riferimento a Le.
5,32; 17,3 s. ; 15,7), non coincide con quella della parabola. In questa il perdono del
padre previene il pentimento dcl figlio (cfr. Carlston, JBL 94, 384 s. 386 s.; Broer,
NTS 20, 459; Pesch, Exegese, 145 . 162). Inoltre 15,7 non è redazionale, quindi non
può essere preso in considerazione per la soteriologia lucana (contro Schottroff,
op. cii. , 33; cfr. sopra, p. 207 n. n).
32. Pesch, Exegese, 145·
33. Confermano l'autenticità della parabola: l. Da un punto di vista sia linguistico sia
tematico va presupposto uno sfondo palestinese (Broer, NTS 20, 46 1 ; Jeremias, ZNW
62, 174-181; Carlston, JBL 94, 378-383 ; Schweizer, ThZ 4, 469; Dcrrett, NTS 14, 56-
74; Pesch, Exegese, 147). 2. La parabola è coerente con la predicazione di Gesù, cfr.
per es. Mt. 20,1-15 (Carlston, op. cit. , 388 s.; Broer, op. cii. , �2; Pesch, op. cii. , 1 48 ).
3. Il messaggio della parabola contraddice le concezioni sia dcl giudaismo sia della
comunità cristiana (la parabola non fa del pentimento un presupposto della salvezza).
34. Cosi la maggior parte degli interpreti (eccettuati quelli indicati sopra, p. 298 nn.
20 s. 299 n. 29).
35. L'espressione a.v-Spwr.Oç •m; fa parte del materiale particolare di Le. , mentre Le.
stesso userebbe piuttosto àvf.p -t i.; (Bovon, En/anl, 42). Anche aU9 uiour; (invece di
uioù.; &uo) può appartenere alla fonte di Le. (Carlston, JBL 94, 381) .

3 00
«Padre, dammi la parre• del patrimonio che (mi) spetta» ." Ed egli divi­
se tra di loro i suoi beni.1" Dopo non molti giorni il figlio più giovane
trasformò tutto in denaro liquido'• ed andò in un paese lontano"" e là
sperperò•' il suo patrimonio conducendo una vita dissoluta.42 Quando
ebbe speso tutto, in quel paese venne una forte carestia•' e cominciò a
trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise al servizio di un abitante di
quella regione44 che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci.4'
Ed egli avrebbe voluto riempirsi la pancia•• con le carrube•1 che man­
giavano i porci, ma nessuno gli(ene) dava:'" Allora rientrò in se stes-

36. Secondo Deul. 2 1 , 17 la parte a lui spettante sarebbe i/3 del patrimonio (cosl Je­
remias, Gleichnisse, 1 28) ; forse anche 2/9 (supposizione di Derrett, NTS 14, 62). La
situazione giuridica è oscura: il figlio maggiore al v. 3 1 viene indicato come l'unico
proprietario futuro. Egli dunque dispone del possesso, ma non dell'usufrutto. Si
tratta quindi di una «donazione tra vivi» (Jeremias, op. cii. , 128 s.). Ma evidentemen­
te il figlio minore pretende un accomodamento. Per la questione cfr. Derrett, op. cii. ,
59-63 ; Pesch, Exegese, 157.
37. Cfr. Jiilicher, Gleichnisreden l i , 337 s.; Bauer, Wb, s. v. ; Bovon, En/ant, 43.
38. La distinzione tra i due vocaboli che indicano il possesso non è casuale, poiché
r:h:rlri indica l'autonomia del figlio, �i'J� invece il suo rapporto col padre (con Pesch,
Exegese, 158). Per rendere questo aspetto qui si distingue tra «patrimonio» e «beni».
39. Traduzione con Bauer, Wb, s. v. �ayc1v 1 .
40. S i suppone senz'altro che s i trasferl (Jeremias, Gleichnisse, 1 29) per dimostrare la
sua autonomia ed indipendenza dal padre.
41. Nel òvxax'1pr.i"ttv è presente l'aspetto dello «sperperare», del maneggiare il de­
naro senza uno scopo (cfr. Baucr, Wb, s.v. ).
42. Lo "wv à:,,-w't"w� indica una vita «sans espoir dc salut» ed implica indubbiamente
un comportamento immorale (Bovon, En/ant, 44).
43 . i;yÉvt't"'J ),1!Jh� è un'espressione biblica (cfr. Gen. 47,1 3 LXX) ; Bovon, op. cii. , 44.
44. Nell'improvviso cambiamento di soggetto Jeremias vede un semitismo (G/eich­
nisse, 129) .
45. La situazione costringe il figlio minore a mettersi a servizio di un datore di lavoro
pagano. Pascere i porci per un ebreo è una cosa impura (a tal proposito Str.-Bill. 11,
2 1 3; Schweizcr, ThZ 4, 469; Jeremias, Gleichnisse, 129; Derrett, NTS 14, 66) ed
equivaleva a una degradazione morale e religiosa (Carlston, JBL 94, 379).
46. Cosi si deve rendere l'espressione grossolana (con Jeremias, Gleichnisse, 129).
«La grossolanità dell'espressione vuol mostrare come il protagonista nel cibarsi si è
ridotto ad avere solo i bisogni di un maiale, avendo rinunciato ormai da tempo ad
ogni gusto» (Jiilicher, Gleichnisreden li, 344) . «La schiavitù di un'esistenza ridotta
a bisogni elementari non poteva essere rappresentata in maniera più cruda» (Pcsch,
Exegese, 160).
47. Per l'espressione cfr. Jiilichcr, Gleichnisrede11 li, 344. È importante che si tratti
del nutrimento dci maiali (vedi Str.-Bill. li, 213-215).
48. La traduzione si rifà a quella di Jeremias, Gleichnisse, 129. Il figlio ha già dimen·

301
so49 e disse: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza,
mentre io qui muoio di fame! Voglio alzarmi e andare da mio padre e
dirgli: 'Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te.'0 Non sono più
degno di essere chiamato figlio tuo, trattami come uno dei tuoi salaria­
ti! '».'' E si alzò ed andò da suo padre. Ma quando egli era ancora lon­
tano il padre lo vide e si impietosl e (gli) corse (incontro)" e gli si gettò
al collo e lo baciò." Il figlio gli disse: «Padre, ho peccato contro il cielo
e contro di te, non sono più degno di essere chiamato figlio tuo». Ma
il padre disse ai suoi servi: «Presto, portate il vestito più bello,. e rive­
stitelo! E mettetegli un anello al dito" ed i calzari ai piedi.'6 Portate il
ticato da tempo le sue remore religiose, qui di tratta solo del rifiuto del cibo da parte
degli uomini.
49. L'e:ìc; fo:u'tÒv òì: ÈÀ-Bwv non deve essere equiparato a priori al pentimento (così
anche Str.-Bill. II, 215 che, pur riportando dei paralleli col significato di «pentimen­
to», tuttavia nota che l'espressione potrebbe ricorrere anche «nel senso più generale
di ripensarci, ricredersi» e cosi via). Qui sta a significare il ritorno del figlio alla ra­
gione, che consiste nel riflettere sulla situazione e fare la scelta migliore (cfr. Bauer,
Wb, s. v. ·1. 2c). Il ritorno in ogni caso non deve essere inteso come una prestai.ione
meritoria da parie del figlio. Lo mostra anche la natura delle sue motivazioni, in cui
egli paragona la sua situazione a quella dei servi del padre.
50. La variazione nell'espressione (tic; ovvero Èvc�mov) è determinata da motivi pu­
ramente stilistici (Lohfink, ThQ 15�;, 52); entrambi vanno resi con «contro». Un'ana­
lisi dell'uso linguistico dei LXX rivela che è sbagliato tradurre: «i miei peccati sono
arrivati a raggiungere l'altezza del cielo» (ibid. ) . «Nel paese straniero il figlio minore
della parabola aveva distrutto ad uno ad uno ogni legame con la famiglia; aveva di­
strutto anche il rapporto con Dio, quando in mezzo ai pagani aveva perduto la fede
- perciò potrà dire di aver peccato contro il cielo e contro suo padre» (ibid. ; cfr.
Str.-Bill. II, 217, che mette in risalto il parallelismo; Pesch, Exegese, 161) . Diversa­
mente invece Bovon, En/ant, 46 ; Schweizer, ThZ 4, 470.
5 1 . Il (.Lfo·-81oc; aveva una posizione di assoluta subordinazione (Bovon, En/anl, 46; Je­
remias, Gleichnisse, 130). Il figlio non ha più nessuna speranza di ridiventare figlio
del padre. Non si può quindi dire che si appelli «al padre in quanto padre» e sia di­
sposto a ricevere «la misericordia del padre» (come vorrebbe Pesch, Exegese, 166 s.) .
5 2 . Una tale fretta per u n padre ebreo è «del tutto insolita e contraria alla sua digni­
tà» Ueremias, Gleichnisse, 130 con richiamo a Weatherhead, n. 2).
H· Il bacio è segno del perdono Ueremias, op. cii. , 130).
54. Non si tratta di un abito da cerimonia, bensì dell'abito che il figlio - quando era
ancora a casa - era solito indossare (cfr. Bovon, En/anl, 47). Che ne venga rivestito
sta a significare che è stato reinvestito del suo rango di figlio (Pesch, Exegese, 163).
55. L'anello significa l'investitura ad essere partecipe dell'autorità domestica (cfr. Je­
remias, Gleichnisse, 130; Pesch, Exegese, 163; Derrett, NTS 14, 66).
56. I calzari non servono solo a distinguere l'uomo libero dallo schiavo scalzo, sim­
boleggiano anche... che il figlio condivide di nuovo l'autorità domestica» (Pesch,
Exegese, 163; Jeremias, Gleichnisse, 130).

3 02
vitello da ingrasso," scannate(lo) e poi facciamo festa con un banchet­
to. Poiché questo mio figlio era morto ed è ritornato in vita,'" era per­
duto ed è stato ritrovato». Ed iniziarono a far festa. Ma il figlio maggio­
re si trovava nei campi;" e quando ritornando si avvicinò a casa, udl
musica e danza6o e chiamò uno dei servi0' e chiese•• cosa fosse tutto ciò.
Allora quello gli disse: «Tuo fratello è venuto e tuo padre ha fatto scan­
nare il vitello da ingrasso, poiché lo ha riavuto sano e salvo». Allora egli
si adirò e non voleva entrare. Allora suo padre andò da lui e gli parlò
in modo benevolo.°' Ma quello rispose al padre: «Ecco, ti ho servito per
(tutti) questi anni e non ho mai trasgredito un tuo comando e non mi
hai dato (neanche) un capretto64 per far festa con i miei amici. Ma quan­
do tuo figlio - quello là, che ha sperperato i tuoi beni con le prostitute
- è arrivato, tu hai fatto scannare il vitello da ingrasso». Ma egli �li dis­
se: «Figlio,"' tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio, è tuo: ma si
doveva far festa e rallegrarsi0' che questo tuo fratello che era morto è ri­
tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

Un primo momento dell'interpretazione deve consistere


nell'esaminare la narrazione in se stessa. Dopo un breve ante­
fatto (vv. n s.) che illustra la situazione di partenza e mette in
movimento l'azione con la divisione dei beni paterni, segue la

57. Il vitello da ingrasso viene riservato per ricorrenze particolari; altrimenti si man­
gia carne solo raramente (Jeremias, ibid. ) .
58. Con questa immagine viene rappresentata metaforicamente l a svolta nella sorte
del figlio (Jeremias, ibid. ; cfr. Pesch, Exegese, 163). La seconda parte di questo ver·
secco («perduto. . . ritrovato»), qualora non venga considerata un tutt'uno con la pri·
ma parte in virtù del para//elismus membrorum, potrebbe essere stata inserita da Le.
stesso a motivo del contesto (vv. 4-7.8-10) (similmente Bovon, En/ant, 48, che con­
sidera redazionale l'intero versecco) .
59. Cfr. Bauer, Wb, s.v. 1 .
60. Per l a traduzione cfr. Jeremias, Gleichnisse, 1 30.
61. I r.al&e� qui sono identici ai oouì,ot del V. 22 (Bovon, Enfant, 49).
62. Cfr. Bauer, Wb, s.v. 1.
63. Va notato l'imperfetto (in contrapposizione ai precedenti aoristi; Jeremias,
G/eichnisse, 1 30). Per la traduzione cfr. Bauer, Wb, s. v. 5.
64. Cfr. Bauer, Wb, s. v.
65 . L'appellativo è affettuoso (Jeremias, G/eichnisse, 1 30) e ben si accorda con il
r.apaxaÀetv del v. 28.
66. Evidentemente i beni del padre erano stati garantiti al figlio maggiore.
67. Il padre con molto tacco usa la costruzione impersonale: «Si doveva far festa e
rallegrarsi», per non ferire il figlio maggiore (Bovon, Enfant, 5 1 ) .

30 3
prima parte (vv. 13-24) , che narra la sorte del figlio minore.
La sua degradazione (vv. 13-16) inizia con la sua emigrazione
in un paese lontano, dove egli perde il patrimonio; la degra­
dazione prosegue: il figlio si trova nel bisogno; inoltre perde
la sua purezza religiosa ebraica, quando è costretto a pascola­
re i porci di un pagano. La degradazione raggiunge il culmi­
ne, quando il figlio - che ormai lotta per la pura e semplice
sopravvivenza - non riesce a saziare la sua fame neanche col
cibo dei maiali. 68 A questo punto la narrazione arriva alla peri­
pezia68• (vv. 17-19) nella quale il figlio riflette razionalmente
sulla sua situazione mettendola a confronto con quella dei sa­
lariati di suo padre. Il confronto gli rivela che la cosa più ov­
via è tornare a casa69 e chiedere al padre di essere assunto co­
me salariato.70 Il figlio riconosce che non ha più alcun diritto
di essere chiamato figlio, perché ha peccato contro il cielo e
contro il padre. Gli eventi al suo ritorno si svolgono in manie­
ra inaspettata (vv. 20-24) : il padre previene la sua confessione
di colpevolezza, abbracciando e baciando il figlio; in questo
modo il padre annulla il passato del figlio, gli ridà la condi­
zione di figlio e fa preparare una festa. Il figlio non riesce
neppure a formulare la richiesta di essere assunto come sala-

68. «Il narratore è palesemente interessato ad accentuare lo stato di necessità dcl fi­
glio, a sottolineare la degradazione profonda del ricco erede, per condurre così l'u­
ditore alla soglia della scena decisiva» (Pesch, Exegese, 155). A questo punto i pro­
blemi religiosi od etici non hanno più alcuna importanza, è in gioco la pura soprav­
vivenza, a qualsiasi prezzo. Lo smarrimento del figlio non consiste nella sua colpa re­
ligiosa o morale, bensl nell'essere arrivato a breve distanza dall'annientamento.
68a. [Nel senso della drammaturgia antica: la svolta che cambia il corso dell'azione].
69. La struttura narrativa rende evidente che il ritorno è determinato dalla situazione
del figlio; non lo si può considerare un'opera meritoria (Eichholz, Gleichnisse, 207 : il
figlio pone termine alla sua vita precedente, o Pesch, Exegese, 155: egli progetta una
«nuova vita»). Il figlio non è più capace né di progetti né di prestazioni meritorie;
imbocca l'unica via d'uscita. Il rendersi conto di aver peccato non è (in questa situa­
zione ! ) una prestazione meritoria.
70. Questa richiesta, secondo il senso di giustizia del figlio, è il massimo che egli può
offrire. Essa, secondo lui, può essere tollerata solo se accompagna/a dal riconoscimen­
to della propria colpa. Il figlio non osa più rivolgersi al padre come padre (con Jiin­
gel, Paulus und Jesus, 161, a differenza di quanto dice Pesch, Exegese, 166 s.).

30 4
riato/' poiché è già divenuto di nuovo il figlio del padrone e la
festa non consente rinvii.72
Nella seconda parte (w. 25-32) è in primo piano il figlio
maggiore: ritornando dai campi gli arriva l'eco della musica e
delle danze; irritato si informa sull ' accaduto; il resoconto del
servo è formulato in modo tale da suggerire l'ovvietà del
comportamento paterno.71 Il figlio maggiore non riesce però a
vedere la questione con gli occhi del padre; adirato rimane
fuori. Il padre viene a pregarlo. Ma il figlio resta aggrappato
alla sua giustizia;74 non può accettare il minore come fratello
(perciò dice: «questo tuo figlio», v. 30) . Il padre ascolta i suoi
argomenti7' e li confuta; ancora una volta prega il figlio di par­
tecipare alla festa, affinché nella festa comune ridiventi figlio
e fratello.
La figura centrale della narrazione (anche se non è sempre
lui il protagonista) è il padre.76 È lui che conferisce unità alla

71. Il v. 19b, significativamente, qui non è ripetuto (adottando la lezione di Nestle) !


72. «La potenza dell'amore preveniente non sopporta ritardi. Spinge alla festa»
(Jiingel, Paulus und Jesus, 162).
73. «Quanto appare ovvio, nel resoconto del servo, che venga macellato il vitello
grasso ... » (Pesch, Exegese, 156). Se il narratore vuole suggerire questa ovvietà, è pro·
prio perché il comportamento del padre supera di gran lunga ciò che ci si potrebbe
aspettare da un qualsiasi da padre.
74. L'atteggiamento del figlio maggiore non va affrettatamente condannato da un
punto di vista morale (in contrasto con Pesch, Exegese, 164 s., che gli attribuisce
«una posizione 'legalistica'». Oggetto della descrizione non è la sua fiducia nella
propria giustizia o la sua mancanza di amore (in contrasto con Jeremias, Gleichnisse,
1 3 1 ) né il fatto che questo figlio trasgredisce a sua volta il quinto comandamento (in
contrasto con Derrett, NTS 14, 68). Piuttosto il figlio maggiore rispecchia, alla sua
maniera, quel medesimo senso di giustizia che si esprime anche nella richiesta del fi.
glio minore di essere assunto come bracciante: è la giustizia «normale», ragionevole
di questo mondo che non mette in conto l'amore; cfr. Dupont, ASeign 55, 73: «Cha­
cun des deux fils se fait une idée fausse à cet égard (cioè in riferimento al padre)».
75· Il padre non contesta le prestazioni dcl figlio, bensl ne tiene conto rispondendo­
gli che tutto il patrimonio appartiene a lui (così pure Broer, NTS 20, 46o) . Il padre
si colloca a un livello più profondo; in questo momento, questo senso di giustizia del
maggiore è fuori luogo; ora non è il momento di ragionare a filo di giustizia; è il mo­
mento della gioia e dell'amore; per questo adesso si deve far festa.
76. Notato da molti esegeti (per es. Fuchs, Zeitverstiindnis, in GA II, 3 69 ; Eichholz,
Gleichnisse, 213. 219; Rovon, Parabole, 295 ; Pesch, Exegese, 168).

305
vicenda dell'uno e dell'altro figlio; il suo amore77 incontenibile
lo spinge a correre incontro al figlio minore e ad invitare il
maggiore a lasciar da parte la sua giustizia ed a far festa assie­
me. 78 L'obiettivo fondamentale di quest'amore è la ricomposi­
zione della totalità.79
Il padre di questa parabola rimanda a Dio.Bo Più precisa­
mente: l'amore che si fa evento in questa parabola è l'amore
di Dio,8' ed in tal senso in essa «il regno di Dio» si fa linguag­
gio «in quanto amore che si realizza».8' Dal punto di vista di
quest'amore è ovvio che il padre ricolmi di segni di affetto il
figlio ritrovato. L'amore di Dio come perdono trionfa sul pas­
sato dell'uomo,8J e come invito alla festa comune trionfa anche
sulla giustizia dell'uomo. s.i La parabola, insegnando a colui che
era perduto a fare la cosa più ovvia, ritornare dal padre, di­
venta essa stessa, se raggiunge l'obiettivo, un evento dell' a­
more divino.8' E se riesce a distogliere l'adirato dalla sua giu-

77. L'amore di questo padre è fuor dell'ordinario. Chi potrebbe accogliere così colui
che si è perduto e pregare cosl il figlio che è rimasto a casa? «L'amore del padre è il
tema che ricongiunge i due figli perduti» (Jiingel, Paulus und ]esu:r, 162).
78. Non viene narrato l'adempimento od il rifiuto della preghiera. In questo modo la
parabola crea un'apertura nei confronti dell'uditore (cfr. per es. Pesch, Exegese,
1'6). Se l'uditore attraverso la narrazione ha imparato a vedere le cose con gli occhi
del padre, la risposta affermativa la darà lui stesso. Poiché la conclusione rimane
aperta, «le texte de l'Evangile s'adresse à nous, jeune camme au premier jour, 'in­
vieilli'» (Antoine, Mi:réricorde, 1 3 2 . 13,, qui la citazione).
79. Il vuoto creato dall'emigrazione del minore viene colmato dall'amore del padre
che perdona (Beirnaert, Parabole, 138 s.), mentre il vuoto creato dal rifiuto del mag­
giore viene colmato dall'amore del padre che prega.
80. Cosljeremias, Gleichnis:re, 12 8 ; Via, Gleichni:rse, 16o s.
81. Certo non si dovrà semplicemente identificare il padre con Dio (cosi a ragione
Jiingel, Paulus und ]esus, 162); l'amore del padre raffigura tuttavia l'amore di Dio.
82. Jiingel, op. cit. , 162 s.
83. Questo awiene in entrambi i figli: il padre annulla il passato del minore col rico­
noscerlo di nuovo come figlio; il passato del maggiore, che s'interpone tra lui e il pa­
dre attraverso il rifiuto, con l'indicargli ciò che ora è necessario e col pregarlo.
84. Anche il figlio minore parte da una sua idea della giustizia; tuttavia, nella sua si­
tuazione, non deve essere pregato a lungo.
8,. «Se in Gesù il regno di Dio si fa linguaggio come l'evento che riconcilia coloro
che si sono perduti, allora nella parola di Gesù ( ... ) si tratta dell'essere di Dio come
st1z1a, anche per lui diventa vangelo.86 L'amore di Dio vuol
riunire entrambi i «perduti» nella festa dell'amore. In questa
parabola dunque il regno di Dio si fa cosi vicino all'uomo da
rendere l'uomo, per un verso, più vicino a se stesso (risco­
prendosi figlio) e per un altro verso, al tempo stesso, più vici­
no all'altro uomo (riscoprendolo fratello) . L'evento di un tale
amore irrita il mondo87 perché il mondo non prevede il perdo­
no. 88 Ma proprio come amore irritante esso rinnova il mondo.
Se quindi la parabola esprime la vicinanza del regno di Dio
come evento d'amore, essa deve essere interpretata nel conte­
sto della vita di Gesù. Il padre della parabola, nel richiamare
Dio, rinvia a Gesù stesso.119 La parabola non illustra l'amore di
Dio in generale - a tal scopo non ci sarebbe stato bisogno di
nessuna parabola - ma lo rende evento. La storia di Gesù
realizza questo evento, poiché la sua chiamata alla sequela,
che trionfa sul passato, e la sua comunione di mensa offerta a
tanti, sono espressione di quell'amore di Dio. In questi suoi
pasti « . . . Gesù anticipa la festa che si realizzerà in futuro co-
evento d'amore, e del nuovo essere di coloro che l'amore di Dio ha ritrovato» (]iin­
gel, Paulus und Jesus, r63). L'amore di Dio rende tutto nuovo a tal punto che la vi·
renda dell'amato deve essere descritta adeguatamente come un passaggio dalla mor­
te alla vita (vv. 24.32). Appartiene all'essenza dell'amore il pregare; di qui l'impotenza
di Dio che solo nel suo amore si rivela «onnipotente» (Schweizer, ThLZ 99, 724 s.).
86. Di ciò non tengono conto le interpretazioni che partono dall 'identificazione del
figlio maggiore con i farisei ed i devoti; esse interpretano unilateralmente la parabola
come apologia del gioioso messaggio (ad iniziare da Jeremias, Gleichnisse, 1 3 1 ; ripre­
so in Derrett, NTS 14, 72; Sanders, NTS r,, 438; in forma modificata anche in Eich­
holz, Gleichnisse, 2 17, cfr. 220). In senso contrario invece, a ragione, Jiingel, Paulus
und ]csus, 163; Broer, NTS 20, 462.
87. Il mondo in realtà non si irrita per il male, ma per il bene: «Non il male, ma il
bene, attraverso l'amore, introduce nel mondo qualcosa che sfugge a tutti i suoi cal­
coli» (Fuchs, Zeitverstiindnis, in GA 11, 371 ) . L'esempio più chiaro di questa irrita·
zione provocata dall 'amore, è la crocifissione di Gesù.
88. Entrambi i figli lo mettono in luce in maniera differente: l'uno non riesce più a
vedersi come figlio, l'altro non sa che cosa sia il perdono nei confronti del fratello
(cfr. anche Eichholz, Gleichnisse, 212; peraltro solo riguardo al figlio maggiore) .
89. Cfr. Via, Glcichnisse, 16o s . Questa doppia funzione referenziale d el padre non è
affatto casuale. Essa si basa sul fatto che nell'essere di Dio come evento dell'amore
«è in gioco anche l'essere di Gesù stesso, nella cui storia si fa incontro ai perduti, pre­
veniente, l'essere di Dio che si realizza come amore» (]iingel, Paulus und ]esus, 163).
me regno di Dio».90 Gesù fonda pertanto il suo comportamen­
to in quello di Dio stesso, che egli nella parabola fa diventare
evento. Il comportamento di Gesù e la parabola sono stretta­
mente legati l'uno all'altra: «Dapprima è la parabola a riceve­
re dal banchetto di Gesù la sua comprensibilità; ma poi è il
banchetto a ricevere dalla parabola la sua verità».91
Luca ha salvaguardato questo rapporto tra la parabola e il
comportamento di Gesù, se non altro col collocarla nel con­
testo attuale ( vv. r-3 ) . Accostandola alle altre due parabole
dei perduti (vv. 4-7.8-ro), nelle quali sottolinea in modo par­
ticolare la gioia del ritrovamento (v. 6 ! ), Luca forse mostra di
mirare in modo particolare ad invitare i suoi lettori a condi­
videre la gioia di Dio (e di Gesù) per la conversione di un pec­
catore.9' Fino a che punto Luca qui intenda il pentimento co­
me condizione per la salvezza, non è possibile stabilirlo. 9J La
parabola in ogni caso insegna il contrario: è la salvezza a pre­
cedere il pentimento. 94

2 .5 . 3 . La parabola dell'amministratore infedele (Le. I6, 1-13)


Ricostruzione
Al v. xa la parabola9' è rivolta ai discepoli.96 La narrazione
90. Fuchs, Fesi der Verforenen, in GA III, 4o6.
91. Fuchs, op. cii. , 409. Non si può rinunciare alla linea interpretativa qui delineata, a
favore di un'interpretazione puramente letteraria ed esistenziale; pericolo forse non
del tutto evitato in Pesch, quando per prima cosa ricava dalla parabola la visione
dell'esistenza implicita in essa, e solo in un secondo momento passa all'interpretazio·
ne teologica, la quale non farebbe altro che riflettere « . . . nell'orizzonte della dimen·
sione religiosa. . . questa visione dell'esistenza» (Exegese, 170).
92. � questa, per Giblin, CBQ 24, 19. 22 s., l'intenzione principale dell'evangelista.
93. Su questo punto l'interpretazione suggerita dalla Schottroff fa violenza al testo: la
parabola non è un invito al pentimento (ZThK 68, 49), bensl offerta dell'amore pre·
veniente di Dio (cfr. la confutazione delle posizioni della Schottroff da parte di
Broer, NTS 20, 4'8-462).
94. In tal senso, con buoni argomenti, Carlston, JBL 94, 386 s.
9,. Bultmann, Synoplische Tradilion, 190. La parabola è fittizia. Non c'è nessun biso­
gno di supporre un aggancio del narratore ad un fatto di cronaca (come vorrebbe
Jeremias, Gfeichnisse, 181).
96. L'indicazione dei destinatari è in ogni caso secondaria _(cfr. Dodd, Parables, 30

308
vera e propria comprende certamente i vv. rb-7; l'inizio della
parabola (v. rb) è tipico delle parabole del materiale partico­
lare di Lc.97 Il versetto 8 è discusso: o il soggetto è il padrone
della parabola, e in tal caso egli loda (inspiegabilmente) il suo
amministratore disonesto,98 o il soggetto è Gesù, e in tal caso
il v. 8 riferisce il commento originario di Gesù alla parabola.99
Qualsiasi posizione si assuma, resta fermo che il comporta­
mento disonesto dell'amministratore viene lodato. Il versetto
8b presenta una generalizzazione della lode del versetto 8a,
con la contrapposizione tra «i figli di questo mondo» e «i figli
della luce».""'
Il v. 9 riprende, volgendo lo sguardo dall'amministratore
«d'iniquità» ("t'·�ç llòtxta.ç) al mammona «d'iniquità» ("t'iJç &òt­
xla.ç) col cui aiuto l'uomo deve crearsi degli amici, per essere
accolto da loro nelle «dimore eterne».'01 I vv. 1 0- 1 2 si ricolle­
gano al «mammona iniquo» (aòtxoc;) ed applicano la parabola

s.; Jeremias, Gleichnisse, 44). Non è certo se risalga a Luca oppure alla comunità;
quest'ultima ipotesi, a mio avviso, è la più probabile.
97. C fr . sopra, p. 300 n. 3:;.
98. Prospettato da Dodd, Parables, 3 1 ; sostenuto da Derrett, NTS 7, 217 (con la mo­
tivazione che la rinuncia dell'amministratore a tassi da strozzino era nell'interesse an­
che del padrone); Via, Gleichnisse, 147 (per motivi connessi al genere letterario) ;
Schwarz, BZ 1 8 , 94 s. (che peraltro considera u n errore d i traduzione «lodare», cfr.
sotto, n. 112); Topel, CBQ 37, 218 (ivi, 216 n. 1 ulteriore bibliografia sulla parabola).
99. Bultmann, Synoplische Tradition, 190; Jeremias, G/eichnisse, 42; Jiingel, Paulus
und Jesus, 1:;7; Descamps, NT 1, 47 (kyrios qui è usato, a differenza della parabola, in
maniera assoluta) ; Dupont, ASeign :;6, 70. Questa posizione è più verosimile di
quella indicata nell'ultima nota.
100. Proprio in questa generalizzazione la lode del v. Sa viene relativizzata (con Jiin­
gel, Paulus und Jesus, 1:;7) . La contrapposizione - cosi poco lucana - risale alla tra­
dizione anteriore a Le. (cfr. Topel, CBQ 37, 219; Bultmann, Synoptische Tradition,
c90 con n. 1 ) . Simili contrapposizioni si trovano negli scritti di Qumran (per es. «figli
della luce» e «figli delle tenebre»; Lohse, ThWNT VIII, 3:;9,38 s. e 39 s.). La termi­
nologia non è «sincretistica» (come vorrebbe Bultmann, op. cii. , 190 n. l). Sembra
che negli scritti rabbinici l'espressione «figli di questo mondo» non ricorra (Schwei­
zer, ThWNT VIII, 366 n. 220 con riferimento a Lohse, op. cit. , 3:;9,26; c&. anche
Str.-Bill. 11, 219).
lOI. Secondo Williams, JBL 83, 29.:;, gli «amici» sarebbero la personificazione delle
«elemosine» (a tal proposito c&. anche Jeremias, Gleichnisse, 43 n. 3), sarebbero esse
a consentire all'uomo l'accesso alle dimore eterne. Una tale interpretazione può es-
e contrario. '0' Col v. 13 Luca aggiunge un detto ripreso da Q,
che esprime la contraddizione irriducibile tra il servizio a Dio
e quello a mammona.101 La diversità di queste applicazioni ai
vv. 9-13 attesta le difficoltà che la parabola originaria creava
alla comunità cristiana.
Il nostro itinerario interpretativo si basa su un'ipotesi di ri­
costruzione della storia della tradizione e della redazione, se­
condo cui la parabola originaria comprendeva i vv. l -7 e fu
tramandata sin dall'inizio col commento di Gesù (v. 8a) . Nel­
lo stadio della comunità furono inseriti i discepoli come desti­
natari della parabola (v. ia) e la parabola venne interpretata
con i vv. (8b).9. Luca a sua volta inserì la parabola nel conte­
sto attuale (v. ra) ed aggiunse le due ulteriori applicazioni
collegate dal termine «mammona».

Interpretazione
10�
Partiamo dalla parabola di Gesù ricostruita come segue:

sere anche possibile, sebbene sussista una notevole differenza tra l'amico e l'inter·
cessare. Il versetto, tuttavia, può essere perfettamente inteso nel senso di Jeremias,
Gleichnisse, 43 . Il ÒÉ�wvtat va inteso allora come una perifrasi per non nominare
Dio (Str.-Bill. n, 221 ) . Colella, ZNW 64, 1 24-266 (in base ad una ritraduzione in
aramaico ! ) vorrebbe cambiare I'Èx 'tOÙ in potius quam («e non») : «fatevi degli amici e
non mammona» (op. cii. , 126). Questa correzione, oltre a rimanere ipotetica, sulla
base del contenuto non è affatto necessaria. L'aggiunta del v. 9, anche solo per il suo
sfondo teologico, potrebbe essere avvenuta in uno stadio relativamente precoce (in
contrasto con Descamps, NT 1, 49 s. ) . Esso comunque non apparteneva alla parabo­
la originaria (contro Jalland, TU 73, ,04 s.; Williams, JBL 83, 29' s.; entrambi ravvi­
sano nell'elemosina la pointe della parabola originaria).
102. Quest'applicazione può essere attribuita a Luca, che qui aggiunge del materiale
(probabilmente antico) legato dal filo conduttore [J.a(MllVà 'tij; àònda; e così rende
meno sconcertante la parabola (cfr. Jeremias, Gleichnisse, 43 s.; Descamps, NT 1, ,1
s . , secondo i l quale i vv. 10-12 sono fortemente rielaborati d a Luca) .
103. Questa sentenza deriva da Q (Schulz, Q, 4,9-461) e può essere un detto di Ge­
sù, che fu collocato qui da Luca (Descampes, NT 1, p).
104. La parabola si confà alla predicazione di Gesù e potrebbe risalire ad essa, argo­
mento non ultimo anche il suo carattere provocatorio. I cristiani che hanno traman­
dato la parabola hanno avuto però sin dall'inizio - come mostrano i vv. 9-13 delle
-

difficoltà con la parabola (la stessa posizione in Kamlah, Ungerechter Verwalter, 293

3 10
C'era una volta un uomo ricco, che aveva un amministratore, e questi
fu accusato'"' dinanzi a lui di sperperare'"' il suo patrimonio. Allora egli
lo chiamò innanzi a sé e gli disse: «Che è tutto quello che sento dire di
te? rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere
amministratore».'07 Allora l'amministratore disse tra sé e sé: «Cosa farò,
se il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Non sono (abbastanza)
forte per zappare, mi vergogno a mendicare. So cosa farò affinché
qualcuno
.
mi accolga in casa sua, quando sarò allontanato dall'ammini-
straztone». . ..
Ed egli chiamò a sé uno ad uno i debitori del suo padrone e disse al
primo: «Quanto devi al mio padrone?». Quello rispose: «Cento barili
di olio».'"' Allora egli gli disse: «Ecco qui la tua ricevuta,"" siediti e scrivi
presto 'cinquanta' ! ». Poi disse al secondo:"' «E tu quanto devi?». Quel­
lo rispose: «Cento misure di grano». Allora egli gli disse: «Ecco qui la
tua ricevuta, scrivi 'ottanta'».
Ed il Signore lodò l'amministratore infedele perché aveva agito con
scaltrezza."'
Il racconto concentra tutta lattenzione sulla persona del-

s.; Descamps, NT 1, 48 s. ; Jeremias, Gleichnisse, 181; Jiingel, Paulus und Jesus, 1.57;
Dupont, ASeign .56, 70 s. ) .
I0.5. I l Ò1tz�Ì.Àciv qui non può significare «calunniare», in quanto sia il padrone sia
l'amministratore prendono sul serio l'accusa (Drexler, ZNW ,s, 288).
106. Cfr. Bauer, Wb, s.v. ; traduzione con Wilckens, NT, ad locum.
107. Il proprietario ha annunziato il licenziamento, che avrà luogo al momento del
rendiconto (Drexler, ZNW ,s, 288).
1o8. La traduzione si rifà a Drexler, ibid. , che vede in iu-:tza-rtz..9«ii un futuro I I .
109. L'ammontare del dowto sembra consistente Ueremias, Gleichnisse, 18o s.) .
1 10. Traduzione con Jeremias, Gleichnisse, 181.
111. Cfr. Bauer, Wb, s. v. i:-tepoi:; 1.b.ò
112. La scandalosità di questo inciso non può essere eliminata. La congettura di
Schwarz, BZ 18, 94 s., di supporre un doppio errore di traduzione dall'aramaico e di
correggere èr.f.vc-zcv in cmaledl» ed tppovi(J.Wi:; in «perfidamente» non ha alcun ap­
piglio nel testo. Vero è che '!J".):jl (l'equivalente di Èr.tztveiv) e Cl�.,ll (l'equivalente di
�pov i(J.Wi:;) possono essere stati usati in senso sia buono sia cattivo; qui però non vi è
alcuna necessità di supporre un errore di traduzione. Anche Derrett, NTS 7, 209-
219, tenta di rimuovere per via di esegesi la scandalosità del v. Sa: l'amministratore
avrebbe cancellato solo gli interessi da strozzino contraffalli nelle ricevute sotto for­
ma di debito originario; in questa maniera di fronte al licenziamento avrebbe prefe­
rito la legge di Dio alla prassi commerciale; ciò facendo avrebbe contribuito anche
al buon nome del padrone; perciò la sua lode sarebbe anche giustificata. A confutare
questa interpretazione basta già il solo fatto che l'amministratore viene esplicitamen­
te definito «ingiusto».

31 I
l'ammini'stratore;"1 è in primo piano unicamente il suo com­
portamento. Il proprietario (padrone) che appare nell'antefat­
to è invece la figura che fondamentalmente determina il com­
portamento dell'amministratore. L'azione prende avvio con la
notizia che l'amministratore perderà il suo posto. L'ammini­
stratore da parte sua è costretto a far fronte al licenziamento
ormai deciso. Con tutti i mezzi a sua disposizione egli fa fron­
te al suo futuro ormai inevitabile. Egli ha compreso che il suo
futuro si decide adesso. È degno di nota che il racconto non
fa parola della sorte futura dell'amministratore; esso ha di mi­
ra, chiaramente, solo come il protagonista (là per là) fa fronte
alla situazione. Far fronte a questo futuro, dal punto di vista
dell'amministratore, appare un imperativo dettato dalla ra­
gione. "4 Alla certezza di quel futuro corrisponde la radicalità
delle sue reazioni, che non indietreggiano neppure dinanzi a
decisioni disoneste."' Il futuro cattivo è presentato, nella nar­
razione, come un futuro che può essere evitato in base a come
si agisce nel presente.
Intesa così la narrazione, la parabola si rivela come annun­
cio del regno (imminente) di Dio. Questa imminenza è formu­
lata in modo tale da essere posta in rapporto diretto col pre­
sente dell'uditore. «Poiché la vicinanza del regno di Dio ha
legato il futuro al presente in modo tale che il presente viene
116
definito come una possibilità escatologica». Adesso vanno
prese le decisioni necessarie di fronte al futuro inevitabile. La
vicinanza del regno di Dio, stabilita attraverso la parabola

1 1 3. Cfr. Kamlah, Ungerechter Verwalter, 280. L'amministratore non va interpretato


in senso metaforico (né in riferimento ai capi della comunità né a quelli di Israele;
contro op. cii. , 289. 292), visto che del suo comportamento interessa esclusivamente
l'atteggiamento rispetto al futuro; cfr. Drexler, ZNW ,8, 288.
1 14. È sbagliato qualificarlo «intrepido» (così Via, Gleichnisse, 1,1 ) dal momento che
può solo guadagnarci.
11,. «La scandalosità morale nel comportamento dell'amministratore è voluta solo
come 'effetto di straniamento' ; essa sottolinea la pointe della parabola» (J ungei, Pau­
lus und ]esus, 1'8 s.). I tentat ivi elencati sopra, alla nota 1 1 2 , offuscano il senso della
parabola.
1 16. Jiingel, op. cit. , 159.

312
stessa, consente all'uditore di comprendere il presente come
momento decisivo (qualificato in senso escatologico) e gli
permette allo stesso tempo di intendere il suo cattivo futuro
come qualcosa che può essere evitato agendo adesso. Così il
narratore esprime il regno di Dio come venturo, e - si noti
bene - venturo per la salvezza (non per il giudizio) dell'uo-
mo. "7
Chi comprende il regno di Dio - e la parabola dona pro­
prio questa comprensione - impara a comprendere meglio
il proprio tempo. "8
L' «adesso» della parabola si riferisce al tempo di Gesù. Con
lui il regno di Dio è così vicino che i suoi uditori possono
prendere posizione nei confronti di esso. E questa presa di
posizione è creata da Gesù stesso attraverso la parabola; essa
si concretizza, per l'uditore, come presa di posi'zione nei con­
fronti di Gesù, perché l'accesso a quello «spazio dell'amore»,
che Gesù dischiude con la sua parola e la sua opera, è la presa
di posizione adeguata nei confronti del futuro di Dio.119 Anche
Gesù stesso compie questa presa di posizione, con l'intero suo
essere, di fronte al futuro immancabile di Dio. In questo con-

1 1 7 . Jeremias , Gleichnisse, 181, calca troppo la mano sull'aspetto minaccioso di que­


sta parabola (cosl pure Dupont, ASeign 56, 77). In quanto in essa del giudizio si par­
la all'interno della parabola, e per di più se ne parla come evitabile, la parabola riesce
addirittura a trasformarlo in salvezza. Perciò non c'è ragione di supporre che la pa­
rabola debba essere rivolta contro i fa risei: cfr. Kamlah, Ungerechter Verwalter, 294:
«essa (ossia la parabola) si rivela come un attacco al la pretesa rabbinica di esercitare
un ruolo dominante nella sinagoga. La parabola invece contrappone l'immagine dcl­
l"amministratore' giusto che solidarizza con i debitori cd alleggerisce il loro carico».
In questa maniera alcuni tratti isolati vengono interpretati in senso metaforico, mi­
sconoscendone il riferimento primario al racconto nella sua totalità.
1 18. Fuori luogo dunque un'interpretazione morale della parabola, quale quella di
Williams, JBL 83, 294 o di Jalland, TU 73, 505, che rawisano entrambi nell'elemosi­
na la pointe della parabola. O come quella di Derrett, NTS 7 che, sviato dalla sua in­
terpretazione dell'amministratore (cfr. sopra, p. 311 n. I12), arriva alla conclusione
che «WC may leam a lesson from their (se. wordly people, come l'amministratore)
reactions both as to the validity of God's standars, . . . and as to the applicability of
those standards to every department of life and every sphere of activity» (op. cit. ,
219). L'interpretazione dovrà essere innanzitutto teologica.
I I 9. Sullo «spazio dell'amore» cfr. ) u ngei , Paulus und Jesus, 159 s.
testo, i suoi gesti d'amore vanno intesi come il segno della
nuova qualificazione assunta dal presente. "0
La comunità postpasquale rese esplicita la rivendicazione
cristologica implicita nella parabola, col far dipendere il giu­
dizio finale di Dio dall'adempimento di una richiesta di Gesù
(fatevi amici col mammona di iniquità) (v. 9)."'
Luca con le sue due aggiunte (vv. 10-12.13) fa vedere come
possa realizzarsi concretamente la presa di posizione richie­
sta. L'amministratore diventa cosl la figura negativa, da cui è
leggibile, e contrario, che nell'ambito dell'iniquo mammona
bisogna praticare la fedeltà. E Le. fa vedere che si tratta di un
aut aut, di una contrapposizione irriducibile ....

2.5 + La parabola del giudice e della vedova


(Le. 1 8, 1-8)
Ricostruzione
La parabola"' è stata collocata da Luca nel contesto dei vv.
17,20 ss. (versetti che parlano della venuta improvvisa ed im-
120. Questa parabola dunque conferma ancora una volta che il componamento di
Gesù trova la sua interpretazione teologica nella sua predicazione in parabole.
121. Ciò comporta il pericolo di un restringimento dell'interpretazione della parabo­
la in senso puramente etico. Con questo non si nega che la presa di posizione, resa
possibile dalla parabola, nei confronti di Dio come colui che viene, avrà delle conse­
guenze anche in ordine all'uso di mammona. Secondo Topel, CBQ 37, 220 s., il v. 9
sarebbe un'interpretazione lucana nel senso dell'elemosina. Top el rimanda a Le.
16,19-31 ; 12,33 e in generale al tema delle ricchezze in Lc./Act. E possibile che Le.
abbia inteso questo versetto in tal senso, tuttavia a parer mio non lo si può dimostra­
re dai testi citati.
122. Topel, op. cii., 221-226 vede una relazione tra la nostra parabola e Le. 15,1-32,
dove il tema principale è il perdono. Egli arriva alla conclusione che l'ingiustizia del­
l'amministratore è la sua «forgiveness» (op. cii. , 225) e che essa è tale solo agli occhi
degli uomini (ibid. , cfr. 227). Ma questa interpretazione contraddice il fatto che pro­
prio Luca ai vv. 10-12 intende l'amministratore come esempio negativo e quindi non
sottopone affatto ad una critica radicale quel concetto di giustizia. Le aggiunte luca­
ne rivelano tuttavia che la presa di posizione richiesta da Gesù include anche gli at­
teggiamenti del «poter dare», della «fedeltà» e del «rifiuto di mammona» (Jeremias,
Gleichnisse, 44 s. ).
123. Per la classificazione dal punto di vista della storia delle forme, cfr. Bultmann,
Synoptische Tradition, 189; Linnemann, Gleichnisse, 125.

3 14
prevedibile della basileia, o del Figlio dell'uomo) ed è stata
introdotta con 18,1.'24 La narrazione segue nei vv. 2-5 e si pre­
senta in sé completa."' Riguardo ai vv. 6-8 sussistono diverse
ipotesi. Da un lato viene rilevato il carattere secondario di
questi versetti, con la precisazione che il v. 8b sarebbe ulte­
riormente secondario rispetto ai vv. 6-8a.126 D'altro canto vie­
ne constatata la coesione originaria dei vv. 2-8, e la pericope
nel suo insieme viene ricondotta o al Gesù storico127 o alla pri­
ma comunità postpasquale.128 A parer mio un'alternativa di
questo tipo non è appropriata; semmai i vv. 6-7 vanno con­
siderati il commento del narratore originario della parabo­
la, 129 mentre al versetto 8 con l'«io vi dico» viene introdot­
to un nuovo elemento che riprende il termine ixatxljatc; ma
spostando lo sguardo dal soggetto dell'ixalx·r,atc; al suo ogget­
to (v. Sa) . Qui non è più in questione se venga il giorno nel
quale sarà fatta giustizia;'10 la questione è piuttosto che esso

124. Cfr. Jeremias, Gleichnisse, 156 con richiamo a op. dt. , 92 n. 3 (dove la connessio­
ne tra Le. 18,1-8 e 9-14 viene ricondotta alla tradizione prelucana) . Il v. 1 in ogni ca­
so è in larga misura lucano (Harnisch, EvTh 32, 431 ; Spicq, RB 68, 68; Deschryver,
RHPhR 48, 357; George, ASeign 60, 69; incerto Delling, ZNW 53, 1 .
125 . Cfr. Delling, Z NW 53, 6-13.
126. Così Jiilicher, Gleichnisreden I I , 284; condiviso da Bultmann, Synoptische Tradi­
tion, 189.
127. Così per esempio Delling, ZNW 53, 13. 19 s: (che considera il v. 8b un'appendi­
ce secondaria ricavata dal materiale particolare di Luca, op. cii. , 20 s.); Jeremias,
Gleichnisse, 155 s. (incluso il v. Sb ! ); Deschryver, RHPhR 48, 356. 365 s.; Stiihlin,
JAC 17, 18.
128. Cfr. in particolare Linnemann, Gleichnisse, 127 (cfr. p. 185, con Fuchs: Le. 18,1-
8a omogeneo e interamente secondario).
129. Nello stadio di Gesù la necessità del commento deriva dalla scelta dell'immagi­
ne (il giudice ingiusto), il cui riferimento metaforico a Dio contraddice i concetti fa.
miliari all'uditore. L'analogia tra il v. 6 e Le. 16,8a è vistosa (b XU@ IO� assoluto; carat­
terizzazione dei protagonisti con "rij; �a1xiot� ). Anche Le. 16,8a è il commento dd
narratore originario (cfr. sopra, p. 309 n. 99) . Per la questione cfr. Delling, ZNW
53, 13-16; Deschryver, RHPhR 48, 362. A ciò si aggiunga che la conclusione del v. 7
risulta sorprendente, anche solamente dal punto di vista grammaticale (cfr. sotto, p.
316 n. 132), e che il v. 8 presenta chiaramente un nuovo inizio, che sminuisce la forza
analogica della parabola (con Harnisch, EvTh 32, 435).
1 30. Con ixaixr,a1� dovrebbe essere inteso non un qualsiasi ricevere soddisfazione
bensì il giorno dcl giudizio escatologico di Dio (in contrasto con Schrenk, ThWNT

3 15
verrà «presto». 'J' Con ciò concorda pienamente la domanda
autonoma aggiunta a quella del v. 7: « . . . e li farà a lungo aspet­
tare?».'J' La questione decisiva al momento della sua venuta
sarà se il Figlio dell'uomo troverà la fede. •u Se in questa pro­
spettiva si considerano i w. 2-7 come unità, la questione del­
l'autenticità dev'essere impostata in altro modo; vi si potrà ri­
spondere solo in base all'interpretazione. In ogni caso si deve
prendere in considerazione l'aggiunta secondaria (ma prelu­
cana) dell'ultima parte del v. 7 e del v. 8,'w cosicché la redazio­
ne lucana avrebbe munito i w. 2-8 di un'introduzione (v. 1 )
per utilizzarli i n funzione della tematica che le stava a cuore.

Interpretazione
La parabola originaria era dunque la seguente:
In una città e' era un giudice che non temeva Dio e non aveva riguardo

II, 444,6-15, che non vuole presupporre in Le. 18,1-8 l'uso di questo gruppo lessicale
nel senso dei LXX) . Anche in Le. 21,22 Yi11-Ép r11 i:xa1xlj aewc; rimanda al giudizio fina­
le. Infine anche il v. 8b conferma che il termine è usato qui in senso escatologico,
oppure fu inteso dalla comunità in un contesto escatologico.
1 3 1 . Non c'è nessun motivo di tradurre i:v 'tii.xe:1 con «improvvisamente» o «imme­
diatamente» (come vorrebbero Jeremias, G/e;chnisse, 154 s.; Spicq, RB 68, 81. 85 ) .
Con Delling, ZNW 53 1 9 ; Linnemann, Glekhn;sse, 128. 186; Klostermann, Lk , 179;
,

Bauer, Wh, s.v.


132. Il v. 7 è una crux ;nterpretum. Jeremias, G/e;chnisse, 154, affronta la difficoltà
congetturando una «costruzione di tipo aramaico». La traduzione in Deschryver,
RHPhR 48, 364 «quoique en réalité il 'temporise' à leur égard») presuppone che il
xa.i vada inteso come xr1i-:01 o come EÌ xr1i . La diversità delle forme verbali (1mf."ll
- !J.Gll� U11-Ei) conferma che nella seconda parte si Lratta di un nuovo inizio (cfr. in
particolare Horst, ThWNT IV, 384,56). Questo nuovo inizio va inteso come doman­
da (contro Horst, ihid. ; con Linnemann, Gleichnisse, 184 s. n. 13), alla quale poi ri­
sponde il v. 8. L'insieme diviene ancor più comprensibile, se nel v. 8 si rawisa un'in­
terpretazione della comunità, che ha determinato l'introduzione dd xotÌ µ.r1xp�up.Ei
i:r. r1Ù'toic;. In tal caso il 11-r1xpt,.., u11-Eiv, in base al rapporto con i:v 'tii.xc1, va tradotto

con «protrarsi a lungo» (con Bauer, Wh, s.v. 3; George, ASeign 6o, 70 s.; diversa-
'
mente Ddling, ZNW 53, 17 s.).
1 3 3 · A tal proposito v. Delling, op. cii. , 22 s.
1 34. Dimostrato in maniera convincente da Jeremias, G/e;chnisse, 155 n. 2. Owia­
mente con ciò non viene dimostrata una connessione originaria con la parabola (Lin­
nemann, Glekhnisse, 186 n. 17). Si tratta di un ritocco interpretativo ddla comunità.

3 16
per nessuno. Ed in quella città c'era una vedova che andava (sempre)'u
da lui e diceva: «Fammi giustizia''6 contro il mio avversario ! ». E per un
certo periodo di tempo egli non volle.''7 Poi egli disse tra sé: «Anche se
non ho timor di Dio e non ho riguardo per nessuno - poiché questa ve­
dova mi è cosi molesta le farò giustizia; affinché alla fine''" ella non ven­
ga da me a rompermi la testa».'" Ma il Signore disse: «Udite quello che
dice il giudice iniquo ! E Dio non dovrebbe far giustizia ai suoi eletti'"°
che gridano a lui giorno e notte?».
Nell'interpretazione di questa parabola bisogna prestare
particolare attenzione a non interpretarla partendo da Le. 1 1,5-
8. Ma anche a volerlo fare - benché i testi in se stessi non
diano spunto in tal senso - le differenze restano molto piu
grandi. L'accostamento a Le. 1 1 ,5-8 porta l'interprete a sotto­
lineare anzitutto la perseveranza e il Jattore temporale'4' impli­
cito nel rifiuto del giudice; in questo modo però si opera un
restringimento, legando l'interpretazione al problema «paru­
sia - preghiera perseverante per la parusia - ritardo della pa­
rusia».
13'· Così va reso l'imperfetto (Deschryver, RHPhR 48, 36o; Delling, ZNW 5 3 . 8).
136. Al rivale non deve essere consentita l'ingiustizia (cfr. Delling, op. cit. , 8-n;
Schrenk, ThWNT n , 442,,.10) .
137. Questo elemento non è stato inserito panendo dall'interpretazione (sotto l'in­
flusso del ritardo della parusia), ma esprime la dipendenza della vedova dal giudice:
egli non vuole soddisfare la preghiera, perché non è abituato a tener conto delle pre­
ghiere.
138. El:; 'tÉÌ.Q<; non è da tradursi con «dcl tutto» (come vorrebbe Jeremias, Gleich·
nisse, 1'3; cfr. invece Delling, ZNW ,3, 12).
1 39. La proposizione con iva descrive il sarcasmo del giudice, e dal punto di vista
del narratore costituisce un elemento ironico (Harnisch, EvTh 32, 433). Perciò ww­
r.1ii"uv va inteso lelleralmenle (con Delling, ZNW '3. 12).
140. Il senso di ixì,a:x-:oi in questo contesto è problematico. Sulla bocca di Gesù, ci
si sarebbe aspettato qualcos'altro (per es. un u(J-Ci:;) . Attribuendolo alla comunità, in·
dicherebbe gli eletti in senso escatologico, quindi la comunità stessa (il termine va di
pari passo con «Figlio dell'uomo» al v. 8; cfr. Schrenk, ThWNT IV, 192,27-194,9 con
riferimento a Mc. 13,19-27).
141. Entrambi gli aspetti in Spicq, RB 68, 86-90 (in base al confronto con Le. n,5-
8). Anche Linnemann, Gleichnisse, 126-128 calca troppo la mano sui due elementi.
In realtà, per un giudice come quello descritto dalla parabola, è chiaro già a priori
che la preghiera dovrà essere ponata avanti con una cena perseveranza, proprio per­
ché è soltanto una preghiera (non accompagnata per esempio da regalie tese a cor­
romperlo). Questo panicolare dunque non va collegato col ritardo della parusia; è
funzionale al tema «preghiera».
Se invece si considera la parabola come brano narrativo
autonomo, colpisce subito il fatto che la na"azione mira alla
contrapposizione di due figure. Da una parte il giudice'4' «sans
foi ni loi»143 è un uomo che conosce un metro solo di compor­
tamento, ossia se stesso. '44 Il narratore, rasentando l'inaccetta­
bile, utilizza questo autoritarismo del giudice come metafora
della sovrana libertà di Dio.'4' Dall'altra parte c'è una vedo­
va,'411 cioè una povera donna allo scalino più basso della gerar­
chia sociale. Ella non dispone né di potere né di strumenti di
pressione; non può neanche sperare che quel giudice l'aiuti
per timore di Dio147 o per paura di perdere la sua buona fama.
Le rimane solo una possibilità: ricorrere alla preghiera. Non
può fare nient'altro che ripetere continuamente: «Fammi giu­
stizia . . . ». Con questo comportamento essa reagisce perfetta­
mente all'autoritarismo del giudice. Ed il seguito della narra­
zione rivela che l'unico motivo che spinge il giudice autorita­
rio a soddisfare la richiesta è proprio questa ripetuta preghie­
ra. Il timore del giudice che alla fine ella potrebbe rompergli
la testa serve ad esprimere il sarcasmo di quest'uomo. Il moti­
vo della sua azione, in realtà, è che la vedova lo infastidisce
con le sue ripetute richieste.
Il narratore stesso indica la pointe: se persino un giudice
come questo148 cede alle richieste di una debole vedova, perché
142. Il «giudice» racchiude un'equivalenza metaforica con «Dio», in quanto Dio alla
fine dei giorni terrà il suo giudizio sul mondo, secondo la concezione comune a tutto
il giudaismo (cfr. per es. Biichsel, ThWNT lii, 93,,1-936,3).
143 · Spicq, RB 68, 73.
144. Cfr. Delling, ZNW H. 7. 14'· Cfr. Stiihlin, JAC 17, 19.
146. La vedova è il tipo della donna del tutto impotente, in balia dei potenti senza
alcuna difesa; cfr. Stiihlin, ThWNT IX, 43 3,32-434,33. Ulteriori valenze metaforiche
(nel senso di «Gerusalemme», «nuovo popolo di Dio» ; Stahlin, JAC 17, 12. 19) qui
sono completamente infondate.
147· Gli ammonimenti a beneficare le vedove sono rivolti nell'Antico Testamento a
tutti i devoti (Stahlin, ThWNT IX, 43,,1-4) . Se il giudice fosse stato timorato di Dio,
la vedova avrebbe potuto appellarsi proprio alla sua condizione di vedova e senz'al­
tro aspettarsi che le avrebbe reso giustizia.
148. Il "":"ij<; àòndot<; riprende la caratterizzazione del giudice della parabola. La sua
ingiustizia consiste nel fatto che egli non ha timore né di Dio né degli uomini.

318
Dio non dovrebbe prestare ascolto ai suoi eletti che invocano
la venuta del giorno in cui sarà fatta giustizia? In tal modo la
parabola dona all'uditore la certezza della correlazione tra la
sua preghiera per la venuta della fine149 ed il suo esaudimento
da parte di Dio. E con ciò essa gli assicura anche la libertà di
abbandonarsi, per ciò che riguarda la fine, solo alla sua pre­
ghiera. Lo libera dalle proprie opere, nelle quali egli potrebbe
essere tentato di vedere un mezzo per affrettare la fine. Gli
restituisce la libertà di presentare le sue preghiere, e precisa­
mente delle preghiere che non hanno altro da offrire che se
stesse.
Colui che è in grado di rivelare tali correlazioni, deve essere
ricolmo di certezza sulla prossimità della fine. Deve essere
convinto che l'esaudimento di quella preghiera da parte di
Dio è già in atto. E non è appunto questa la certezza di Gesù,
che nella sua parola e nella sua opera il regno di Dio, il giorno
della giustizia, si è fatto vicino? Non è Gesù colui che chiama
i suoi seguaci a pregare per la venuta della basileia (Mt. 6,10
par.) ? Se a queste domande la risposta è - e non può essere ­
affermativa, allora la parabola deve risalire a Gesù. '"' Ma allora
essa tratta del regno di Dio: l'esaudimento della preghiera per
la sua venuta è certo, perché la basileia si è già resa vicina. E
allora è la parabola stessa levento del farsi vicino del regno di
Dio, in quanto all'uditore viene assicurata la certezza che la
sua preghiera per la venuta del regno dei cieli verrà esaudita.
Ed allo stesso tempo viene salvaguardato che il regno è di
Dio, dal momento che il rapporto dell'uomo col regno di
Dio, la preghiera, è tale da lasciare intatta la libertà di Dio. La
parabola riesce cosi ad esprimere l'amore di Dio (che esaudi­
sce le preghiere umane) senza deformare la libertà di Dio in

149. Cfr. sopra, pp. 31 .5 s. n. 1 30.


1,50. È quanto fanno (peraltro ciascuno con diverse interpretazioni) Jeremias, Gleich·
nisse, 1,56; Delling, ZNW ,53, 13. 1 9 s.; Deschryver, RHPhR 48, 36,5 s.; Stiihlin, JAC
17, 18. Proprio questo prendere come metafora di Dio qualcosa che risulta tanto
sconcertante, un giudice ingiusto, è un tratto caratteristico del Gesù storico (cfr. per
es. Mt. 1 3, 3 3 par. ) .

31 9
un rapporto di dipendenza. Questa parola rispettosa della li­
bertà di Dio crea spazio anche per la libertà dell'uomo, libe­
randolo dal peso di dover mirare alla venuta del regno di Dio
attraverso le proprie opere e donandogli così il tempo per l'a­
more nei confronti dell'altro.
La comunità intese la vicinanza del regno di Dio nella cate­
goria di un intervallo temporale. Dio tarderà? No, egli farà
venire presto il giorno della giustizia. Non è facile stabilire se
queste affermazioni vanno intese come espressione dell'attesa
a breve scadenza o già come conseguenza del ritardo della
parusia.''' Esse si riferiscono, in ogni caso, all'azione finale di
Dio nei confronti degli eletti. ''' La comunità identifica la ve­
nuta escatologica di Dio con la venuta del Figlio dell'uomo al­
la fine dei giorni: identificazione fondata su quella tra Dio ed
il Crocifisso realizzatasi con la resurrezione. Ravvisando la ve­
nuta di Dio nella venuta del Figlio dell'uomo, la comunità
tiene conto del fatto che la certezza della sua preghiera per la
venuta del regno non può essere espressa indipendentemente
dalla vicinanza della basileia nell'esistenza di Gesù. Espri­
mendo ora come esplicita cristologia il fondamento teologico
dell'esistenza di Gesù, essa salvaguarda il ruolo di Gesù come
autore della parabola. L'interrogativo che preoccupa la co­
munità, riguardo alla fine, è se il Figlio dell'uomo troverà la
fede sulla terra. Troverà gli uomini intenti alla preghiera per la
venuta del regno - nella quale si concretizza la loro fede nel
regno di Dio oppure gli uomini, affannati nella pretesa di
-

essere loro a costruire il regno di Dio,''3 si lasceranno sfuggire


la sua venuta?
Luca ammonisce i suoi lettori a non stancarsi di pregare (v.
1 5 r . In dissenso con Linnemann, Gleichnisse, 123, che individua il Sitz im Leben di
questa parabola nell'«attesa. . . , che ormai tra poco diventerà visibile l'adempimento
di tutte le promesse» (corsivo mio). t inequivocabile l'idea che la fine arriverà im­
provvisamente (contro Spicq, RB 68, 81-84).
152. Cfr. sopra, p. 317 n. 140.
153. Ciò non significa peraltro che la parabola fosse rivolta contro gli zeloti (come
vorrebbe Derrett, NTS 18, 191 ). Nella forma attuale del testo la pregh iera per la ve­
nuta di Dio trova il suo adempimento nel la venuta del Figlio dell uomo
' .

3 20
1 ) . 'H Nella parabola egli pone in particolare risalto la perseve­
ranza della vedova, che diviene l'esempio delle preghiere per­
severanti dei cristiani. Il contesto (17,20-37) fa capire che an­
che Luca pensava alla preghiera per la venuta del regno.'" In
tal modo Luca non fa altro che rendere esplicito un elemento
della parabola, in quanto la certezza dell'esaudimento è anche
la condizione per potere perseverare nella preghiera. E il fatto
che Luca esorti alla perseveranza nella preghiera conferma
che anche lui concepisce il regno di Dio come regno di Dio
nel senso più stretto del termine, rispetto al quale è la pre­
ghiera l'atteggiamento adeguato da parte dell'uomo.

1 54. Cfr. Spicq, RB 68, 69 s.


155. Cfr. Spicq, op. cii. , 68. 70 ss. ; a differenza da Delling, ZNW ,:;3, 4-6; Deschry­
ver, R HPhR 48, 357.
3. Sguardo d'insieme
e ulteriori applicazioni
3.1. L'approccio storico-tradizionale
alle parabole di Gesù

La ricerca condotta nel cap. 2 ha dato come risultato più im­


portante che le parabole, nonostante tutti gli elementi che le
differenziano l'una dall'altra, rivelano una sorprendente quan­
tità di elementi comuni, non solo per quanto riguarda le ca­
ratteristiche delle parabole originarie di Gesù, ma anche per
quanto riguarda la storia della loro interpretazione, e ricezio­
ne [Wirkungsgeschichte, «storia degli effetti»] , fino al Vangelo
di Tommaso compreso. Riassumeremo ora le linee principali
caratteristiche del processo di tradizione delle parabole.

3.1.1. Spiegazione teologica - cristologica esplicita


Le parabole di Gesù sono legate alla sua attività in maniera
del tutto diversa dal consueto rapporto tra insegnamento ed
insegnante. La differenza è duplice. Innanzi tutto il comporta­
mento di Gesù e la sua predicazione in parabole sono stretta­
mente intrecciati: il comportamento di Gesù commenta le pa­
rabole ed offre il presupposto per la loro comprensione, le pa­
rabole spiegano il comportamento di Gesù e ne assicurano
l'univocità. Attraverso le parabole il comportamento di Gesù
diventa univoco in quanto viene interpretato teologicamente;
le parabole a loro volta diventano comprensibili perché la vi­
cinanza della basileia al mondo, da esse stabilita, attraverso il
comportamento di Gesù diventa oggetto di esperienza con­
creta.
Quando Gesù interpreta la sua opera teologicamente, egli
compie un'anticipazione, va al di là della realtà già data, fa­
cendo appello alle risorse del possibile. E poiché il linguaggio
metaforico per sua stessa essenza va al di là della realtà già
data, l'interpretazione teologica dell'opera di Gesù trova e­
spressione soprattutto attraverso le parabole.
In secondo luogo, Gesù come autore delle parabole è legato
indissolubilmente alla verità espressa in esse: le parabole non
stabiliscono delle verità generali su Dio nel mondo; in esse,
piuttosto, la vicinanza di Dio al mondo si fa evento. E poiché
il linguaggio metaforico per sua stessa essenza esprime la ve­
rità come evento, Gesù comunica all'uditore la verità di Dio
soprattutto in parabole. E dal momento che Gesù rende even­
to la vicinanza di Dio al mondo, egli stesso in qualità di autore
delle parabole appartiene intrinsecamente alla verità che esse
comunicano.
Entrambi questi aspetti della relazione tra l'attività di Gesù
e le sue parabole fanno vedere che· egli interpreta se stesso
teologicamente. In ciò consiste il suo andare al di là della
realtà già data facendo appello alle risorse del possibile. La
svolta storica decisiva compiutasi nella pasqua mostrò che
quella pretesa era giustificata, in quanto Dio si identificò col
Crocifisso a tal punto che d'ora in poi l'esistenza di Gesù non
poteva essere più interpretata se non in senso teologico. Inter­
pretando le parabole di Gesù in senso cristologico la comuni­
tà cristiana non fece altro che prendere atto di quella svolta
storica. La cristologia esplicita della comunità postpasquale è il
corrispettivo dell'interpretazione teologica dell'esistenza di Ge­
sù, che trovava espressione nelle parabole come anticipazione
operata da Gesù, che nella pasqua fu inverata da Dio stesso.
Nell'esistenza di Gesù Dio si era reso presente a tal punto da
non poter più essere compreso a prescindere da Gesù Cristo.
Le parabole di Gesù dovevano essere interpretate in senso
cristologico: solo cosl, dopo la pasqua, potevano essere anco­
ra tramandate come parabole di Gesù.
E in effetti (procedendo ora sinteticamente), le parabole fin
qui studiate confermano che le parabole di Gesù furono in­
terpretate, praticamente senza eccezione, in senso cristologi­
co. Questo avvenne in due modi. A volte la comunità riuscl a
ritrovare il Cristo postpasquale nella parabola stessa; a tal ri-
3 26
guardo va notato che spesso meta/ore che originariamente si
riferivano a Dio divengono adesso metafore di Cristo: in ciò si
rispecchia il fatto, già ricordato, che dopo la pasqua Dio non
poteva essere più compreso a prescindere da Gesù Cristo.
Ora Cristo subentra addirittura al posto di Dio, come dimo­
strano gli esempi seguenti.
Gesù aveva messo in relazione la sua ricerca dei perduti
con la ricerca da parte di Dio stesso delle pecore perdute di
Israele ·(Le. 15"4·7 par.) ; la comunità interpreta il pastore del­
la parabola come metafora di Cristo (Le. 15,5 ! ) . Lo sposo in
Mt. 25,1-13 rimanda metaforicamente alla venuta di Dio; la
comunità vede in lui il Cristo venturo della parusia. Per Gesù
in Le. 18,1-8 il giudice iniquo era l'immagine di Dio che esau­
disce immancabilmente la preghiera per la venuta del regno;
la comunità identifica la venuta escatologica di Dio con la pa­
rusia del Figlio dell'uomo (v. 8). Ma la comunità ebbe anche
altre possibilità per far entrare in scena nelle parabole il loro
narratore (per es. il seminatore in Mt. 13,24-30. 36-43 ; il figlio
del re in Mt. 22,1-14) . In diverse maniere essa fece vedere che
Gesù come autore della parabola ne fa parte necessariamente
egli stesso.
Altre volte la comunità riusci a interpretare le parabole cri­
stologicamente non intendendole più come parabole sul regno
di Dio, bensì su Gesù Cri'sto. Per Gesù in Mc. 4,3-9 il seme
raffigurava la parola del regno di Dio che sicuramente darà
frutto abbondante; per la comunità postpasquale la Parola si
identifica con Gesù Cristo stesso. Per Gesù il granello di se­
napa ed il lievito raffigurano il rapporto dinamico tra i mode­
sti inizi della basileia ed il suo compimento glorioso; la comu­
nità può vedere nel granello di senapa e nel lievito Gesù stes­
so; lo stesso dicasi per le parabole del tesoro nascosto nel
campo e della perla. Per Gesù Le. 19, 1 1 -27 esprimeva le esi­
genze insite nel dono della basileia; la comunità vi vede un
incoraggiamento ad impiegare fedelmente i «talenti» conse­
gnati per rendere conto al Signore Gesù Cristo (particolar­
mente chiaro in Le. ) .
In breve: la cristologia esplicita della comunità non fa altro
che accettare ' " l'interpretazione teologica data da Gesù stesso.

3 . 1 .2. Connessioni svelate -


lo spazio linguistico dell'autocomprensione storica
Molte parabole rivelano all'uditore il rapporto che collega
la vicinanza della basileia messa già in atto nell'esistenza di
Gesù, ed il suo futuro compimento da parte di Dio. Nelle pa­
rabole originarie questo rapporto viene espresso in linguaggio
rigorosamente metaforico, ossia in esse il futuro di Dio viene
messo direttamente in rapporto col presente di Gesù e dei
suoi uditori; l'intervallo cronologico tra il dono della basileia
da parte di Gesù ed il suo compimento da parte di Dio, non
assume in alcun modo un significato autonomo, ma il futuro
glorioso di Dio qualifica la presenza della basileia in Gesù,
mentre da parte sua la vicinanza messa già in atto da Gesù
appare come l'inizio necessario che porta con sé il futuro di
Dio. Tutto ciò risulta particolarmente chiaro nelle parabole
della crescita: come il raccolto segue immancabilmente alla
semina, cosi la vicinanza della basileia in Gesù porta con sé
inarrestabilmente il compimento da parte di Dio (Mc. 4,26-
29) . La certezza della separazione futura qualifica il presente
di Gesù come un periodo di raccolta indiscriminata (Mt.
13,24-30; 1 3 ,47 s.) . Il modesto inizio di Gesù, alla luce del fu­
turo glorioso di Dio, appare come ciò che veramente è (Mc.
4,30-32; Le. 13 ,20 s . ) . Connessioni simili vengono svelate an­
che da altre parabole; il Dio che viene è già presente nell'esi­
stenza di Gesù, di modo che il tempo di essere pronti è adesso
(Mt. 25,1-13). Il regno di Dio è cosi vicino che adesso all'udi­
tore può essere garantita la certezza che la sua preghiera per la
venuta del regno sarà esaudita (Le. 18, 1 -8) . La consegna della
basileia è già avvenuta con Gesù, perciò è importante adesso

1a. [L'originale tedesco gioca sul senso etimologico di wahr. . . nehmen = prendere
per vero].
percepire l'esigenza insita in essa, di essere messo in movimen­
to (Le. 19,1 1-27). Con Gesù il festoso banchetto escatologico è
già imbandito, perciò chi comprende il tempo, deve accogliere
adesso l'invito (Le. 14, 15-24) . In Gesù Dio rivolge il suo ultimo
invito alla conversione, perciò tutto si gioca nella posizione
presa nei confronti del Figlio (Mc. 12,1-12).
Queste connessioni svelate nelle parabole ora ricordate,
che andavano considerate rigorosamente metaforiche, dopo la
pasqua non furono più intese in senso puramente metaforico.
Potremmo dire che le metafore in questione furono prese alla
lettera, in quanto la comunità intese le parabole di Gesù come
«abbozzi» di tutta la storia da Gesù sino alla fine dei tempi, o
anche dall'Antico Testamento sino al presente della comunità
cristiana (Mc. 12,1-12) .
La spinta in direzione di questa interpretazione storica na­
sce dal fatto stesso dell'interpretazione cristologica delle para­
bole di Gesù. Se infatti metafore come la semina o l'invito al
banchetto venivano riconosciute come metafore atte a descri­
vere il tempo di Gesù, e di conseguenza la mietitura o il ren­
diconto venivano identificati col momento della parusia, di­
veniva ovvio applicare anche altri dettagli delle parabole all'e­
sperienze o alla storia. In tal modo le parabole di Gesù pote­
rono diventare uno spazio linguistico entro il quale dare espres­
sione all'autocomprensione storica della comunità cristiana. Es­
se consentirono alla comunità di formulare la sua collocazione
all'interno della storia di Dio col mondo. Intese in tal modo le
parabole divennero una possibilità linguistica per definire il
presente della comunità. Poiché quest'ultima doveva distin­
guere la propria epoca da quella di Gesù, l'intervallo tra l'ini­
zio della basileia in Gesù ed il suo compimento futuro da
parte di Dio assunse un suo significato autonomo: era il tem­
po della crescita misteriosa, della mescolanza tra zizzania e
grano, tra buoni e cattivi. Era il tempo in cui risuonava con
urgenza escatologica l'invito del kyrios, sotto la forma della
predicazione missionaria cristiana; era il tempo dell'attesa del
Dio che viene, della perseverante preghiera per la venuta del
suo regno. Di qui il rapporto, in entrambe le direzioni, tra
l'esperienza storica e la parabola: da un lato le parabole parla­
vano un linguaggio tale da consentire nuove esperienze, dal-
1' altro le esperienze portavano ad una nuova comprensione
delle parabole. La proprietà inerente al linguaggio metafori­
co, di aprire all'esperienza e di rifletterla in sé, trova piena
applicazione nel processo di tradizione delle parabole di Gesù
all'interno del cristianesimo primitivo.
Quanto siano legate l'applicazione storica (o storico-salvi­
fica) delle parabole di Gesù e la loro interpretazione cristolo­
gica, lo conferma in maniera singolare e sorprendente il Van­
gelo di Tommaso. In tutte le parabole ivi raccolte furono can­
cellati, attraverso una sistematica riscrittura, tutti i riferimenti
cristologici. Attraverso questo processo di decristologizzazio­
ne venne ad essere eliminata in pari tempo la dimensione del-
1' applicazione storica. Le parabole della tradizione sinottica
vengono interpretate nel Vangelo di Tommaso senza eccezio­
ne in senso individualistico e puramente antropologico. Esse
non sono più un abbozzo della storia di Dio col mondo, e
perciò tutti i riferimenti storici vengono eliminati. Vengono
ridotte a strumenti che dovrebbero convincere l'uomo della
verità dell'antropologia gnostica, portarlo alla scoperta del
suo vero io e al passaggio dall'esistenza inautentica a quella
autentica, quella dello gnostico (con particolare chiarezza lo
si può vedere nella versione gnostica della parabola del gra­
nello di senapa ed in quella del lievito, Ev. Th. 20 ; 96) . Ridot­
te a mezzo di espressione e al tempo stesso di diffusione del­
l'antropologia gnostica, non vengono più interpretate in senso
cristologico e - come conseguenza della decristologizzazione
- neppure in senso storico. Questa discrepanza nell'interpre­
tazione delle parabole, che sussiste tra la tradizione sinottica
ed il Vangelo di Tommaso, potrebbe offrire un modello stori­
co di comprensione, in base al quale affrontare la problemati­
ca di un'ermeneutica radicalmente antropologico-esistenziale
in riferimento alle parabole di Gesù; ma lo sviluppo di questa
problematica particolare esula dall'ambito del nostro lavoro.
330
3 . 1 . 3 . Comprensibilità di Dio - prassi etica dell'uomo

Le parabole di Gesù rendono Dio comprensibile in una


maniera tale che l'uomo impara a comprendere in modo nuo­
vo anche se stesso. L'evento della conoscenza di Dio provo­
cato dalle parabole è allo stesso tempo un evento dell'autoco­
noscenza dell'uomo. Ciò avviene non solo perché le parabole
si servono dell'uomo e del suo comportamento come metafo­
re di Dio ed in questo modo lo interpellano in quanto imma­
gine e somiglianza di Dio (come per es. il «padrone» in Mt.
20,1-15 o il padre in Le. 15, 1 1 -32), bensl anche perché la
comprensibilità di Dio pur indipendentemente da una tale
predicazione metaforica conduce ad una nuova autocom­
prensione dell'uomo. Poiché chi comprende il Dio di Gesù
Cristo comprende se stesso in modo nuovo.
Dal momento poi che il rinnovamento dell'autocompren­
sione umana implica anche un rinnovamento della prassi
umana, le parabole di Gesù vengono ad avere anche un aspet­
to etico. La comunità cristiana Io ha recepito, interpretando le
parabole in senso parenetico. Tuttavia per le parabole di Gesù
è fondamentale il concentrarsi fortemente sull'evento della
comprensibilità di Dio, che precede ogni prassi etica dell'uo­
mo. Questo evento fa sempre da antefatto all'azione umana.
Possiamo dire: Gesù rende Dio tanto comprensibile che la
prassi etica dell'uomo ne diventa una conseguenza ovvia. Le
parabole non si rivolgono alla volontà dell'uomo; esse invece
donano all'uomo un atteggiamento nuovo, tale che la nuova
prassi ne scaturisce da sé. Esse sono un discorso su Dio, ca­
pace di interpellare l'ascoltatore; come tali fanno arrivare
all'uomo l'appello di Dio così da consentirgli di percepirlo non
come decisione altrui bensì come appello evangelico, nel cui
adempimento l'uomo, lungi dal perdere l'identità con se stesso,
riesce addirittura a realizzarla. Le parabole di Gesù pongono la
volontà di Dio nel cuore dell'uomo. In ciò esse sono, a loro
modo, l'adempimento della promessa escatologica (cfr. Ier.
31,31 ss. ; Ez. 36,26 s. ; 1 1,19 s. ) .
331
Laddove l'interpretazione parenetica della comunità ha sal­
vaguardato la correlazione tra azione umana ed evento della
comprensibilità di Dio, che la precede, essa ha interpretato
correttamente le parabole di Gesù. Dove invece l'azione di
Dio non è più l'antefatto, bensì la conseguenza della prassi
umana, l'interpretazione parenetica diviene interpretazione le­
galistica, che in nome del vangelo deve essere sottoposta ad
una valutazione critica del suo contenuto [Sachkritik] . L'in­
terpretazione legalistica priva la prassi umana del contesto
appropriato e ne fa una realtà a sé stante. Essa attribuisce alle
opere dell'uomo più di quanto esse siano in verità: conse­
guenze, e null'altro, della comprensibilità di Dio. Una tale pa­
renesi non porta l'uomo a recuperare la sua identità con se
stesso, bensì ad alienarsene, ricadendo sotto la legge del pec­
cato e della morte. Se le parabole di Gesù vengono interpre­
tate così, in esse non è più Dio che si fa evento, ma solo
luomo, o con la sua incapacità di perdonare (minaccia del
giudizio) , o con la sua presunta capacità di conseguire la sal­
vezza attraverso le sue opere (la prassi come tema autono­
mo) . Solo un'interpretazione parenetica delle parabole, ri­
spettosa dell'anteriorità dell'azione di Dio rispetto alla prassi
umana, può diventare - da un punto di vista sistematico - il
paradigma per una corretta fondazione dell'etica cristiana.
Uno sguardo alla storia dell'interpretazione delle parabole
all'interno della tradizione sinottica constata la presenza sia
della forma legalistica sia di quella evangelica dell'interpreta­
zione parenetica. Se l'uditore scopre la parola della basileia
come una parola sicuramente efficace, sarà spontaneo per lui
ascoltarla, affinché essa possa avere il suo effetto anche su di
lui (cfr. Mc. 4, 13-20) . Non si tratta di aggiungere alla parola
qualcosa per metterla in opera: è la parola stessa che, se viene
ascoltata, farà i suoi frutti. La certezza della separazione futu­
ra consente a Gesù una raccolta indiscriminata (cfr. la forma
originaria di Mt. 13,24-30; 13.47 s.) ; se questa raccolta viene
seriamente intesa come presupposto della comunità cristiana,
questa è resa libera per una fiduciosa convivenza (secondo
33 2
stadio della comunità) , e la minaccia del giudizio (Mt. 13,40-
43 .49 s . ) è fuori posto. Cosl se Dio nella parabola di Gesù si
rivela come colui che cerca chi è perduto, non perché questi
lo meriti, ma solo perché è perduto (Le. 15,4-7 par.) , tutto ciò
non può non avere conseguenze anche per l'atteggiamento
dell'uomo nei confronti del fratello che si smarrisce (dr. l'ap­
plicazione di Mt. ) . Se l'uomo scopre la sua condizione di per­
duto, e proprio perciò appartenente a Dio (Le. 15,8-10), la
sua conversione va da sé. Se arriva all'uomo l'esigenza insita
nella consegna della basileia, che la basileia venga «investita»
(versione originaria di Le. 19,11 -27 par.), non dovrà essere lui
a tradurla [nella prassi] ' b (cfr. la versione di Mt. ) . Se l'evento
del perdono di Dio raggiunge l'uomo in modo tale da rappre­
sentare l'antefatto della propria storia (Mt. 18,23-30), allora
ne scaturirà spontaneamente il perdono· dell'uomo nei con­
fronti del fratello; la minaccia del successivo giudizio di Dio
(Mt. 18,31-35) capovolge invece questo rapporto. Se Dio si
awicina all'uomo in modo tale da trionfare, col perdono, del
passato dell'uomo, e, con l'invito, della giustizia dell'uomo, al­
lora né il passato né la giustizia potranno separare il fratello
dal fratello (Le. 15,1 1-32) . Se l'uomo impara a comprendere
che di fronte alla venuta del regno di Dio la preghiera rappre­
senta l'unico atteggiamento adeguato, allora non dovrà più
mirare alla venuta del regno di Dio attraverso le sue opere
(Le. 18,1-7) ; gli viene resa possibile così la giusta distinzione
tra Dio e il mondo, e la libertà per agire nel mondo monda­
namente.

3 . 1 .4. Vicinanza della basi/eia - fine dei tempi


Le parabole di Gesù awicinano la basileia al mondo e ren­
dono Dio presente come colui che viene. Il presente assume
cosl una connotazione escatologica, poiché nelle parabole il

1b. [È il già notato gioco di parole, intraducibile, fra einsetzen ( investire, mettere in
gioco) , e umsetzen (tradurre, trasportare ) . Cfr. sopra, p. 247 n. 173a e p. 250) .

333
mondo viene a trovarsi a contatto diretto col futuro di Dio.
Questo significa che lattesa della rivelazione escatologica di
Dio, propria del giudaismo apocalittico, viene superata in
maniera peculiare. La predicazione di Gesù instaura un rap­
porto dialettico tra il futuro di Dio ed il presente di Gesù,
poiché nelle parabole le realtà del regno di Dio escatologico
vengono comunicate all'uditore in modo tale che egli le faccia
essere determinanti anche per il suo presente. All'uditore di
Gesù viene donato sin d'ora ciò che si rivelerà alla fine dei
tempi, poiché da un lato il futuro di Dio interpreta il presente
di Gesù e dall'altro il presente di Gesù segna l'irruzione del
futuro di Dio. Per l'uditore, dunque, le parabole offrono
un'anticipazione della fine dei tempi. Esse realizzano sin d'o­
ra in lui l'azione escatologica di Dio: le parabole/anno passare
sin d'ora dalla morte alla vita, poiché in esse quel Dio che
rende la vita ai morti si avvicina all'uomo a tal punto da tra­
sformarlo in nuova creatura. Questo però non significa che
nelle parabole venga eliminata la dimensione del futuro; essa
invece viene salvaguardata, perché il dono già in atto rinvia al
futuro di Dio e solo alla luce di esso può avere il suo vero si­
gnificato. Instaurando questo rapporto dialettico tra futuro e
presente, le parabole realizzano nell'uditore ciò che Paolo poi
formulerà teologicamente nella dialettica di giustificazione e
salvezza (per es. Rom. ; ,8 s . ) .
Che il Dio reso vicino dalle parabole d i Gesù sia colui che
fa passare l'uomo dalla morte alla vita, si è manifestato vero
nella resurrezione di Gesù dai morti (cfr. Rom. 4,17) . È dun­
que la resurrezione di Gesù levento della vicinanza di Dio al
mondo, che dà univocità alla predicazione parabolica di Ge­
sù, perché il Dio che riporta in vita il Crocifisso non può es­
sere altri che il Dio comunicato all'uomo attraverso le para­
bole del Crocifisso. In tal senso, le parabole di Gesù compio­
no nell'uditore, proletticamente, ciò che Dio compirà prima
in Gesù e poi in tutto il mondo: il risveglio dalla morte alla
vita. In altre parole: le parabole di Gesù attuano lessenza di
Dio.
334
Tutto ciò va messo in luce con alcuni esempi particolar­
mente chiari. Se l'uditore riconosce la connessione dinamica
tra i modesti inizi in Gesù ed il compimento glorioso della
basileia (Mc. 4,30-32; Le. 13,21 s.), egli avrà fiducia in questo
inizio impercettibile e in tal modo sarà partecipe sin d'ora
della salvezza futura. Se l'uditore comprende che il festoso
banchetto messianico inizia già con Gesù (Le. 14,5-24 par.) ,
la parabola fa sl che egli accolga l'invito sin d a adesso; i n tal
modo la fine dei tempi determina già il suo presente. Se la
parabola in Mt. 20,15 rende evento la bontà di Dio in modo
tale che la basileia, nella quale ci saranno solo primi, diventi
subito il metro di giudizio per il presente dell'uditore, in
quello stesso istante, attraverso di essa, la ricompensa finale
gli è stata già data. Se Mt. 25,1 - 1 3 rivela Dio come colui che
viene, in modo tale che l'uditore assuma l'atteggiamento di
chi si tiene pronto, egli certamente non si lascerà sfuggire la
venuta di Dio alla fine dei tempi. Se, infine, Le. 15,11-32 co­
munica all'uditore l'amore di Dio in modo tale che esso come
perdono trionfa del suo passato e come preghiera trionfa del­
la sua giustizia, egli è passato sin d'ora dalla morte alla vita
(cfr. vv. 24. 32 ! ) .
3.2. Osservazioni sul problema
del Gesù storico

La ricerca fin qui svolta sulle parabole, nella loro storia che va
da Gesù, loro narratore originario, alla loro molteplice rice­
zione nella comunità, si presta come modello interpretativo
per chiarire la questione del ruolo teologico del Gesù storico
(cfr. sopra, r .2.10). A questo scopo verranno fatti adesso alcu­
ni accenni.

3 . 2 . r . Lo stato del problema


Per non esporsi all'accusa di sommarietà, le seguenti osser­
vazioni abbozzate in forma di tesi, riguardo allo stato del pro­
blema che viene posto alla fede cristiana con la questione del
Gesù storico, richiederebbero un'analisi storica articolata, che
purtroppo non può essere offerta in questa sede.

3.2. r . r . La ricerca sulla vita di Gesù nel XIX secolo,


ovvero la «vecchia» questione del Gesù storico
L'obiettivo principale della ricerca sulla vita di Gesù era
antidogmatico; essa mirava innanzitutto a liberare il Gesù sto­
rico' dalle catene del dogma, in cui la chiesa lo aveva avvilup­
pato.' Si trattava di contrapporre la verità dell'esistenza stori-
1. Il «Gesù storico» fu identificato con Gesù, «come era stato veramente». Per la
questione cfr. Ebeling, Froge, 302-308; Robinson, New Quest, 26.
2. «La moderna ricerca su Gesù in larga pa.rte fu portata avanti addirittura con l'in­
tenzione di liquidare in questo modo la cristologia» (Ebeling, Froge, 3or n. 4). «L'in­
dagine storica sulla vita di Gesù non è partita dal puro interesse storico, ma ha cer­
cato il Gesù della storia come colui che poteva aiutarla nella lotta di liberazione dal
dogma» (Schweitzer, Geschichte, 4). Vedi anche le posizioni in Anderson, ]esus, 18;
Downing, Church, 18.
ca di Gesù alla copertura dogmatica, che aveva avuto inizio
già con la cristologia dei vangeli. Per questa via, si sperava di
assicurare alla fede cristiana una solida fondazione storica.1 Un
importante aspetto ermeneutico della ricerca sulla vita di Gesù
va visto a parer mio nel fatto che, concentrando lattenzione
sulla «personalità» di Gesù e sulla impressione che essa suscita
nell'uomo d'oggi, veniva creato un modello ermeneutico di
base, grazie al quale superare il fossato tra il passato di Gesù
ed il presente del credente.4 Questo presupposto ermeneutico
comporta che la fede in Gesù venga sostituita dalla fede di
Gesù. Nello sviluppo di questo nuovo orientamento Gesù di­
venne il rivelatore della vera religione. La sua persona non
rientrava più tra i contenuti della fede, la sua dottrina veniva
scissa dal maestro. A quest'ultimo rimaneva una relazione pu­
ramente accidentale con la vera religione, in quanto egli re­
stava oggetto di interesse solo come portatore della rivelazio­
ne, predicatore di una verità che poteva rimanere tale anche
prescindendo da lui.
L'approccio storico a Gesù, quale lo perseguiva in vario
modo la ricerca sulla vita di Gesù, è appesantito da implica­
zioni gravide di conseguenze. A prima vista può sembrare un
vantaggio che la fondazione storica della fede cristiana sosti­
tuisse quella speculativa (o dogmatica) ; ma il prezzo da pa­
gare fu alto: ossia alla ricerca storico-critica come tale fu con­
ferito il rango di una disciplina teologica. Tale conferimento
presupponeva però l'opzione che la differenza tra Gesù di
Nazaret e l'uomo non poteva più essere espressa come diffe­
renza qualitativa ma solo come una differenza di grado. Come
personalità storica, a Gesù poteva essere riconosciuto un va-
3. Cfr. Schweitzer, Geschichte, 631 s. ; Richardson, History, 121 s., cita come esempio
particolarmente caratteristico la scuola di Ritschl. Per la questione vedi anche Keck,
Future, 19; Dodd, Hirtory, 1 1 .
4. L a correlazione della fede al Cristo è «un rapporto all'interno dell'immanenza del­
la storia» (Barth, Geschichte, 505). Proprio perché Gesù è «una personalità umana
accessibile in linea di principio alla conoscenza storica né più né meno di Tiberio»
(ibid. , corsivo nel testo) , il problema ermeneutico di come mettere in rapporto Gesù
col presente può essere risolto.

337
lore supremo: I' «unicità» della sua persona poteva essere
espressa nella categoria del superlativo; ma I' «una volta per
tutte», salvaguardato dal Nuovo Testamento con la sua cri­
stologia e dalla chiesa antica con la dottrina delle due nature,
rompeva la misura del possibile in sede storico-critica e do­
veva essere abbandonato. Era il tributo da pagare allo spirito
del tempo. Al valore escatologico della persona di Gesù si so­
stituiva il valore eterno delle verità da lui insegnate. Quando
la persona e lopera di Gesù conservano ancora un posto
all'interno della teologia cristiana, è solo come modello, esem­
pio di autentica umanità. In ciò lapproccio puramente storico
a Gesù rivela un aspetto radicalmente legalistico: i modelli,
appena li si è accettati come buoni modelli, impongono l'imi­
tazione; sottomettono l'uomo al giogo della legge; non hanno
potuto mai redimere nessuno. Ridotto Gesù nella categoria
dell'esemplarità, la dimensione soteriologica della sua esisten­
za non poteva più avere il posto che le compete.'
Ad Albert Schweitzer viene spesso attribuito nella letteratu­
ra teologica il merito di aver «tenuto il discorso funebre» alla
ricerca sulla vita di Gesù. 6 Questa valutazione ha bisogno a
parer mio di una correzione. È vero che Schweitzer ha ricono­
sciuto e rilevato con acume inesorabile il fallimento della ri­
cerca sulla vita di Gesù;7 secondo Schweitzer però quello che
è fallito è il tentativo di portare vita e movimento nella figura
storica di Gesù in maniera tale da poter reinserire nella nostra
epoca questa figura, cosi rivitalizzata, «come Maestro e Salva­
tore».8 Quello che Schweitzer sottopose a una critica radicale
sono i tentativi di modernizzazione intrapresi nell'ambito della

5. A mio avviso è degno di nota come proprio in questo periodo fosse cosl diffusa
l'idea di un continuo progresso del regno di Dio all'interno della storia. Bisognereb­
be verificare se non sia stata proprio l'incapacità a parlare di Gesù in modo adeguato
in termini soteriologici, a portare a un tale esito.
6. Bornkamm, ]esus, u .
7 . I l «bilancio della ricerca sulla vita d i Gesù» è «negativo» (Schweitzer, Geschichte,
631).
8. Schweitzer, op. cit. , 631, cfr. p. 632: «Egli tuttavia non si fermò, passò davanti al
nostro tempo e ritornò nel suo».
«vecchia» ricerca su Gesù. In questo, egli portava a termine
una parte del compito di quella critica della religione che
Karl Marx aveva lasciato in eredità all'epoca moderna: non
soltanto nei cieli l'uomo aveva finito per ritrovare solo un ri­
flesso, anche nella ricostruzione storica di Gesù i teologi ave­
vano finito per ritrovare solo il riflesso delle loro idee. Questo
è il rimprovero di Schweitzer al xix secolo. All'intera ricerca
sulla vita di Gesù, egli contrappone l'estraneità di Gesù, alla
quale approda una ricerca storica veramente onesta. La critica
di Schweitzer rimase interamente nell'ambito della «vecchia»
ricerca sia perché ne condivise senz'ombra di dubbio la fidu­
cia nella sostanziale possibilità di conoscere Gesù di N azaret
per via storiografica, sia perché anche lui ai risultati della ri­
cerca storica continuava ad attribuire una rilevanza, in quanto
essa rispettava sufficientemente l'estraneità di Gesù (legata
essenzialmente alla sua escatologia) . Schweitzer rimane legato
al xix secolo anche per l'importanza fondamentale che annet­
te alla personalità di Gesù.9 Inoltre egli condivide l'opzione
della «vecchia» ricerca di scindere la dottrina di Gesù dalla
sua persona e di attribuirle fondamentale importanza per la
religione attuale. '0 Il continuum ermeneutico tra l'estraneità
del Gesù del passato ed il presente della religione cristiana va
ravvisato nell' «intimo accordo della volontà, della speranza e
del desiderio»." Il significato della persona e della dottrina di
Gesù non consiste però nel fatto che egli ci riveli «l'idea della
perfezione etica universale» - in quanto questa «è presente in
noi ed è data con la volontà etica» - ma esclusivamente nel

9. «Abbiamo l'immediata sensazione che la sua personalità ... arricchirà la nostra reli­
gione in tutti i tempi» (Schweitzer, op. cii. , 633 s.).
10. «L'azione di Gesù consiste in questo, che la sua etica naturale e profonda si im­
possessa dell'escatologia tardogiudaica ed esprime cosl nel materiale ideale di quel­
l'epoca la speranza e la volontà di un compimento etico del mondo» (Schweitzer,
op. cii. , 63, ).
n . Schweit1.er, op. cii. , 637, cfr. p. 638: «In una religione la comprensione del Gesù
storico è direttamente proporzionale alla forza appassionata della fede nel regno di
Dio».

33 9
fatto che egli ci aiuta «a far sì che essa domini anche in noi»,
affinché <<noi diventiamo forze etiche per il nostro tempo» . ..
La critica di Schweitzer alla ricerca sulla vita di Gesù rima­
ne completamente all'interno del sistema. Perciò non può es­
sere essa il vero motivo della fine di quell'impresa, anche se
può avere aperto gli occhi a più d'uno sulle radicali aporie in­
site nella «vecchia» ricerca su Gesù. A seppellire quest'ultima
fu un'impresa teologica molto più radicale, quella della teolo­
gia kerygmatica.

3.2.1.2. La teologia kerygmatica


Sotto la dizione di teologia kerygmatica vengono qui rias­
sunte le obiezioni di tre teologi che altrimenti sotto molti
punti di vista andrebbero ben distinti l'uno dall'altro. La di­
zione a parer mio è giustificata, in quanto indica lo sposta­
mento d'interesse dalla parola di Gesù alla parola su Gesù, il
kerygma. Questo spostamento d'interesse è tipico di tutti e
tre i teologi che ora ricorderemo.
Il monito di Martin Kiihler è questo: «Il Gesù storico degli
autori moderni ci nasconde il Gesù vivente».11 Infatti da un la­
to l'immagine storica di Gesù delle «vite di Gesù», al pari di
quella dogmatica, non è che un parto della «inventività uma­
na».'4 Dall'altro, il Gesù storico, ricostruito coi mezzi dell'in­
dagine storiografica, non può essere, per definiti'onem, il Cri­
sto vivente, deve rimanere un personaggio del passato. Come
tale il Gesù storico è già in partenza una figura che non può
distinguersi da noi se non per una «differenza di grado».'' Il
Cristo reale è invece il Cristo vivente, predicato e creduto,

12. Schweitzer, op. cii. , 640. Sullo sfondo c'è la visione della storia propria dell'Illu­
minismo. [Più che «perfezione» l'idea è «perfezionamento», con sfumatura più di­
namica: il progresso morale dell'umanità] .
1 3 . Kahler, Christus, 44.
14. lbid.
1 5 . Kiihler, op. cii. , 53, cfr. p. 5 9.

340
del Nuovo Testamento, il Cristo storico della Bibbia,'6 che non
si distingue da noi solo per grado, ma essenzialmente. «Se 'ri­
velazione' è solo una designazione impropria della coscienza
religiosa nel suo sviluppo storicamente condizionato; se Gesù
è solo un'anima religiosa genuina, che si è elevato al di sopra
di noi solo gradualmente . . . allora la confessione di fede neo­
testamentaria è solo un'alterazione della realtà».'7 Proprio in
nome di questa professione di fede Kahler rivolge il suo mo­
nito ai contemporanei affinché Cristo rimanga l'oggetto della
fede. Ma tutto ciò non significa per Kahler che si debba
«promuovere nei confronti della Bibbia una fede fondata solo
sul principio di autorità». 1 8 La categoria dell' «immagine» con­
sente a Kahler di superare l'antinomia tra la critica storica e la
fede cieca nell'autorità: l'immagine neotestamentaria di Cristo
è il punto di partenza della nostra fede, poiché a dar vita a
quell'immagine è stato Cristo stesso.'9 Kahler non nega che la
tradizione biblica qua e là sia caduta in «disattenzioni» e
«fraintendimenti» del materiale risalente a Gesù. Ma «quanto
più oscuro rimane lo svolgimento dei fatti che devono aver
preceduto la fissazione scritta, tanto più sicura si sente, al di
là della trascuratezza della comunità primitiva, una mano invi­
sibile che tutto controlla».2° A questo punto, anche se la pre­
servazione dell'immagine di Cristo non viene legittimata col
«dettato dello Spirito Santo», Kahler non può non suscitare
interrogativi per questa maniera di legittimare dogmaticamen­
te un processo storico di tradizione.
Karl Barth considera inammissibile sia dal punto di vista
storico sia dal punto di vista teologico ogni tentativo di risali-

16. Kahler op. cii. , 65.


,

17. Kahler, op. cit. , 68.


18. Kiihlcr, op. cii. , 72 (corsivo nel testo) .
19. Kahler, op. cit. , 87: «Così noi ci rendiamo conto alla fine che il motivo più pro­
fondo per cui crediamo in lui non è un'autorità qualsiasi, ma che è egli stesso a con­
quistare la nostra fede. Il che è implicito già in quello che si è detto: egli stesso è il
creatore di quella immagine» (corsivo nel testo).
2 0 . Kahler, op. cii. , 89 (corsivo nel testo).

3 41
re al di là degli scritti neotestamentari. Dal punto di vista sto­
rico, perché è completamente estraneo al Nuovo Testamento
qualsiasi tentativo di descrivere Gesù a prescindere dalla sua
resurrezione." Dal punto di vista teologico, perché l'umanità
di Gesù Cristo, rivestita di regalità, sta di fronte ai membri
del popolo di Dio nel mondo «non in una specie di oggettivi­
tà, non come un 'Gesù storico', non . . . come una possibilità
offerta loro in modo tale che siano loro a dover conferire o
meno alla sua esistenza una portata decisiva per se stessi»,
bensl come il Signore di tutti gli uomini risorto dai morti e di
conseguenza anche come il loro Signore." Va da sé che Gesù è
anche una «figura della storia universale» e come tale oggetto
delle scienze storiche. Gli storici in quanto storici «conoscono,
lui e la sua esistenza, ma non riconoscono, anzi disconoscono
l'uno e l'altra».'1 Ciò deriva dal fatto che Gesù di Nazaret - se
deve essere riconosciuto - può essere riconosciuto solo come
Figlio di Dio.l.\ Come Figlio di Dio egli è la rivelazione di Dio,
e la rivelazione di Dio non può essere in alcun modo oggetto
della ricerca storica, perché «dove avviene la rivelazione, essa
avviene in ogni caso non per mezzo della nostra intelligenza o
abilità, bensl nella libertà propria di Dio di rendersi libero
per noi. . . ».'' Di qui le necessità, ma al tempo stesso i limiti,
della ricerca storica nell'ambito della teologia.
Rudolf Bultmann segna il culmine della critica più radicale
alla ricerca sulla vita di Gesù. Bultmann parte dal presuppo­
sto che l'oggetto della fede è il Cristo del kerygma e non il

2 1 . Banh, KD 1v/2, 174: «La sua testimonianza neotestamentaria diverrebbe inutiliz­


zabile, la sua storia, egli stesso come uomo regale diverrebbe invisibile, nella misura
in cui si volesse spegnere artificialmente la luce di questa sua autoproclamazione e
distinguere un 'prima' prepasquale astratto da un 'dopo' postpasquale».
22. Banh, KD 1v/2, 589 ss.
23. Banh, KD 1v'2, lOO (corsivo mio) .
24. Ibid. Cfr. p. 112: «Si tratta quindi di riconoscere Dio nella sua umanità ... » (corsi­
vo nel testo); p. n 3 : «L'umanità di Gesù in sé e come tale sarebbe... un predicato
senza soggetto».
25. Barth, KD 1v'2, 72.

342
Gesù storico.'6 Poiché il kerygma è ormai subentrato al posto
del Gesù storico e ne fa le veci, il Gesù storico appartiene solo
ai presupposti della teologia neotestamentaria. '1 Egli rimane in­
teramente nell'ambito del giudaismo.'8 Quanto poi all'interro­
gativo sul rapporto tra il messaggio su Cristo della comunità
primitiva ed il Gesù storico, è necessario distinguere rigoro­
samente tra la questione della continuità storica e quella della
relazione intrinseca. •9 Per quel che riguarda la continuità stori­
ca questa si limita al puro fatto, il «che» [dass] della storia di
Gesù; solo in questo senso formale il kerygma presuppone il
Gesù storico.30 La continuità formale non implica però in al­
cun modo una relazione intrinseca da formulare positivamen­
te. «Tutti gli sforzi per mostrare che il Gesù storico ha già vi­
sto nella sua opera l'irrompere del tempo della salvezza non
possono far perdere di vista la differenza fondamentale tra la
sua predicazione ed il kerygma cristiano». i ' Questa differenza
fondamentale Bultmann può esemplificarla nelle categorie:
«promessa-adempimento» o <<Una volta - una volta per tut­
te», ovvero «passato-presente».i•
La differenza fondamentale resta valida anche se il fenome­
no «Gesù storico» non viene più inteso nel senso di una sto­
riografia oggettivizzante, ma nelle categorie di un «incontro
storico [geschichtlich] ossia esistentivo», quale viene reso pos­
sibile da un approccio storico di tipo esistenziale. 11 Rispetto
alla vecchia, la nuova concezione storica ha indubbiamente il
vantaggio di non distanziare più la storia, considerata come

26. Bultmann, Verhiiltnis, 26 (la fede in Cristo è insieme fede nella chiesa come por­
tatrice del kerygma, ossia, «detto in termini dogmatici: nello Spirito Santo»).
27. Bultmann, Theologie, 1 s.
28. Bultmann, Verhiiltnis, 8.
29. Bultmann, op. cii. , 6.
30. Bultmann, op. cit. , 8 s.
3r. Bultmann, op cii. , 26.
.

32. Bultmann, op. cii. , 25.


33. Bultmann, op. cii. , 18. Bultmann lo concretizza nella valutazione dci tentativi di
J. Robinson, G. Ebeling, E. Fuchs ed altri (op. cii. , 1 8-23).

343
passato oggettivo, ma di coinvolgere nell'incontro con la sto­
ria la persona stessa di chi studia la storia. 14 Non per ciò, tut­
tavia, i risultati di questo approccio storico di nuovo tipo as­
sumono una rilevanza teologica ! Il Gesù storico cosl raggiun­
to e collocato nell'orizzonte contemporaneo mette l'uomo di
fronte «alla decisione a favore (o contro) una . possibilità del­
. .

l'autocomprensione umana», mentre «il kerygma di Cristo lo


mette di fronte alla richiesta della fede in Gesù che attraverso
di esso si rende presente». n Perciò ogni tentativo di stabilire
una «oggettiva coincidenza» tra Gesù e il kerygma sfocia «nel
tentativo inutile di dimostrare la legittimità del kerygma».36
Ma un tentativo siffatto può essere considerato unicamente
un'espressione di incredulità.

3 . 2 . 1 . 3 . La «nuova» questione del Gesù storico


Non è un caso che la «nuova» questione del Gesù storico
abbia preso avvio all'interno della scuola bultmanniana. In ef­
fetti, la radicalità con la quale Bultmann aveva difeso la con­
centrazione sul kerygma cristiano, era tale da provocare una·
reazione.11 A ciò si aggiunge che l'essenza della «nuova» que­
stione è costituita essenzialmente dall'opposizione di Bult­
mann alla ricerca sulla vita di Gesù. Il nostro abbozzo della
«nuova» questione si limiterà ad un breve cenno alle proposte
di E. Kasemann, G. Ebeling e E. Fuchs.
Fu Ernst Kiisemann a dare il via alla nuova questione del
Gesù storico con la sua celebre conferenza agli ex-alunni di
Marburgo. Secondo Kasemann il valore della «storicità» [das
Historische] nei vangeli (e di conseguenza anche nella fede
cristiana e nella teologia cristiana) consiste in primo luogo nel
fatto che «nel suo legame con una storia concreta» si manife-

34. Bultmann sviluppa questa nuova concezione della storia nel suo libro su Gesù
(cfr. Jesus, 7- 15).
35. Bultmann, Verhiillnis, 25 (corsivo mio).
36. Bultmann, op. cii. , 14.
37. Cfr. Kasemann, Problem, 1 89.

344
sta la «contingenza della rivelazione», che «(rispecchia) la li­
bertà del Dio che in essa agisce, e . . . (fonda) la possibilità della
nostra decisione». 3� In secondo luogo, nel fatto che il carattere
di passato che segna la storia di Gesù nei vangeli mette in ri­
salto l' «extra nos della salvezza, la sua anteriorità rispetto alla
fede». 39 In terzo luogo, il valore della «storicità» sta nel fatto
che la fede pasquale rinviando alla vicenda di Gesù tiene fer­
ma l'identità del Signore con il Gesù terreno e testimonia in
tal modo che il kerygma cristiano non trae il suo contenuto
«solo ed esclusivamente» dalla fede pasquale.40 Da queste tre
affermazioni ne consegue che la questione della storia di Gesù
non può essere posta a prescindere dal kerygma cristiano, ma
che nell'ambito del kerygma deve essere posta. «La questione
del Gesù storico è, legittimamente, la questione della continuità
del vangelo nella discontinuità dei tempi e nella variazione del
kerygma».41 Questa impostazione del problema si distingue da
quella della ricerca sulla vita di Gesù non solo perché rinun­
cia ad una biografia di Gesù e non solo perché introduce il
kerygma nel lavoro storico, ma ancora più fondamentalmente
perché torna ad assumere la storicità come problema. «La
'nuova questione' merita di essere denominata 'nuova' solo
perché la rilevanza teologica della storicità è divenuta, in mi­
sura finora inedita, un problema acuto e decisivo, e sostan­
zialmente irrisolto».4, La domanda da porre a Kasemann è di
come andrebbe concretizzata metodologicamente la questione
della «continuità nella discontinuità».
Gerhard Ebeling parte dal principio che «il criterio della
cristologia è Gesù».43 Già da questo risulta chiaro l'amalgama
tra la questione storica su Gesù e quella dogmatica: non è
possibile interrogarsi sulla cristologia, senza tirare in ballo il

38. Kiisemann, op. cit. , 201 (corsivo mio).


39. Kiisemann, op. cit. , 202 (corsivo mio) .
40. Kiisemann, op. cit. , 203.
4r. Kiisemann, op. cit. , 213 (corsivo mio).
42 . Kiisemann, Sackgassen, 3 r .
4 3 . Ebeling, Frage, 301 . Per ciò che segue cfr. op. cit. , 300-302.

3 45
Gesù storico, cosl come, viceversa, non ci si può interrogare
sul Gesù storico senza coinvolgere la questione cristologica.
Se per «Gesù storico» si intende «Gesù quale può essere co­
nosciuto attraverso una metodologia rigorosamente stori­
ca»,44 allora esso diventa - sulla base del concetto di storia
dominante nell'epoca moderna, incentrata sulla categoria dei
«dati di fatto»"' qualcosa di relativo. 46 Di qui l'aporia consisten­
te nell'attribuire ad una persona storica rilevanza dogmatica:
aporia non superabile né limitandosi all'aspetto storico né ri­
tornando alla cristologia, ma solo attraverso un «ripensamen­
to» del Gesù storico:"7 «Solo un concetto di storia incentrato
sull ' evento della parola e quindi sulla linguisticità della realtà
può portarci fuori dal vicolo cieco della storia» . ..s Nel quadro
di questa concezione storica generale49 il teologo si chiede che
cosa è divenuto linguaggio in Gesù.'0 La risposta è che in Gesù
è divenuta linguaggio la fede. '' Per quel che riguarda la que­
stione della «continuità tra Gesù e la fede cristiana», essa de­
ve coinvolgere anche «il punto di vista della brusca disconti­
nuità» che è data dal fatto che «la via da Gesù alla fede cri­
stiana passa attraverso la morte e la resurrezione, quindi at­
traverso un puro e semplice miracolo, che infrange ogni con­
tinuità».'' Tenendo conto di questa riformulazione si può di-

44. Ebeling, op. cit. , 303.


4.:;. Ebeling, op. cii. , 307 (corsivo mio).
46. Ebeling, op. cii. , 30.:;. La relatività consiste da un lato nel fatto che Gesù diviene
«qualcosa di puramente storico» (ihid. ) e dall'altro nel fatto che eia stessa compren­
sione storica» include un elemento di relatività (op. cii. , 3o6).
47. Ebeling, op. cii., 3o6.
48. Ebeling, op. cii. , 307.
49. Ebeling ci tiene a rilevare che nella nuova concezione della storia si tratta «di un
nuovo rapporto nei confronti della storia in generale» (op. cii. , 307).
,o. L'interrogativo caratteristico della vecchia concezione della storia era invece:
«Cosa è accaduto?». Cfr. Ebeling, op. cii. , 307 s.
, 1 . Ciò non vale solo nel senso di un aspetto dell'essere del Gesù storico, bensl deve
valere come ricapitolazione e caratteritta1.ione del suo essere (op. cii. , 308). Ciò rende
Gesù una persona storica ringoiare (op. cii. , 310 s.) .
.:;2. Ebeling, op. cit. , 3 1 2 (corsivo mio).
re: «A fondamento della continuità tra il Gesù storico ed il
cosiddetto Cristo della fede sta la connessione fra Gesù e la
fede»." Se il Gesù storico era «il testimone della fede»,'4 alla
tradizione pasquale sta a cuore «che Gesù come testimone
della fede sia diventato il fondamento della fede, cosicché i
credenti siano testimoni della fede in quanto testimoni di Ge­
sù»." La domanda da porre senz'altro, a questo punto, è se il
passaggio da «testimone della fede» a «fondamento della fe­
de» può esprimere sufficientemente quell'aspetto di «brusca
discontinuità» tra il Gesù storico ed il Cristo postpasquale.
Ernst Fuchs indica la questione del Gesù storico come la
forma sotto cui si impone a noi [moderni] il problema cristo­
logico. '6 La questione non è posta in maniera adeguata finché
non prende di mira il rapporto tra vere deus e vere homo. Il
punto di partenza è per Fuchs in ogni caso il vere deus; in
concreto la fede in Gesù (come viene espressa per esempio in
Paolo).'7 La questione della continuità tra il Gesù storico e il
Cristo (o forse: la fede in lui?) po�tpasquale, Fuchs la imposta
mettendo a confronto il kerygma cristiano (ricavato da Paolo)
col Gesù storico dei sinottici.'8 Egli si domanda in che misura
il Gesù storico sia inquadrabile nell'orizzonte paolino. Le
analogie riscontrabili tra la predicazione di Gesù e la teologia

53. Ebeling, op. cii. , 317.


54. Ebeling, op. cii. , 315. L'espressione non intende che Gesù parli della propria fe­
de, bensì «che egli comunica la fede» (op. cii. , 309 s.). Per l'intera questione cfr.
Ebeling, Jesus und Glaube, 203-254.
55. Ebeling, Frage, 314 (corsivo mio). Secondo Ebeling l'espressione emotivo di fe­
de» va rigorosamente distinta da «oggetto di fede» (op. cii. , 317). «Credere in Gesù
significa . : . . . in quanto testimone della fede renderlo motivo difede e perciò legarsi a
..

lui e al suo cammino, condividerlo e cosi condividere ciò che è promesso alla fede,
ossia l'onnipolen1.a di Dio» (op. cii. , 315; corsivo mio).
56. Fuchs, Einleilung, 1. È dagli anni Cinquanta che Fuchs si occupa intensamente
del problema del Gesù storico; quindi bisognerebbe allargare lo sguardo a tutte le
sue opere pubblicate sinora.
57. Fuchs, Frage, 211 inizia con «I. La fede in Gesù» e passa a «Il. Il Gesù storico»
(op. cii. , 218).
58. Fuchs, Frage, 218.

347
di Paolo'9 giustificano una risposta positiva alla questione della
continuità. Poiché Gesù si comporta come se facesse le veci
di Dio, 6o il suo comportamento, che fa da sfondo alla sua pre­
dicazione, equivale in qualche modo a quella dimensione cri­
stologica che diventerà esplicita nell'interpretazione kerygma­
tica del Gesù terreno da parte della comunità postpasquale.61
Sta qui la continuità tra il Gesù terreno ed il Cristo (o la fede
in lui} postpasquale. Tuttavia Fuchs non sottovaluta l'elemen­
to di discontinuità: per la comunità prepasquale «non si può
parlare ancora di una fede in Gesù», perché prima della pa­
squa la fede in Gesù non era possibile. 6' Sebbene «credere in
Gesù» significhi ri/are6 3 la decisione compiuta da Gesù stesso,
questo «rifare» postpasquale non è una pura e semplice ripe­
tizione, dal momento che racchiude necessariamente in sé co­
me elemento nuovo una determinata presa di posizione nei
confronti di Gesù.� Inoltre, «la predicazione cristiana primiti­
va si distingue da quella di Gesù per il fatto che essa è consa­
pevole del già (se. della regalità di Cristo) in Gesù e si sforza
di inquadrare la sua esperienza di fede all'interno di questa
sua conoscenza di Gesù».6' La domanda da porre, questa voi-

59. Fuchs menziona come analogie esemplificative: come per Paolo la fede nella si­
gnoria di Cristo significa la salvezza, in quanto libera dalla paura dell'ira di Dio, così
Gesù assicura la grazia di Dio nei confronti del peccatore che si converte (Frage,
216. 219). Come Paolo in nome di Gesù Cristo predica che è arrivato il tempo della
fede nella sua signoria (op. cit. , 217), così Gesù mette al centro della sua predicazione
l'annuncio del tempo della basileia (op. cii. , 222). Infine la fede in Gesù è la ripetizio­
ne della decisione di Gesù che il tempo dell'amore è arrivato (op. cit. , 227).
6o. Fuchs, op. cit. , 219.
61. Fuchs, op. cii. , 220. In un saggio successivo Fuchs modificò la sua concezione:
«La mia affermazione che il comportamento di Gesù è 'la cornice' della sua predica­
zione ( ... ) è un'affermazione ermeneutica. Ciò che Gesù disre è addirittura il 'nucleo'
del suo comportamento» (Einleitung, 19). Jiingel, Paulus und Jesus, 139, definisce
teologica l'affermazione citata (respingendone un fraintendimento sociologico o sto­
ricizzante).
62. Fuchs, Frage, 223.
63. Fuchs, Frage, 227.
64. Ibid.
65. Fuchs, op. cii. , 228 (corsivo mio).
ta, dovrebbe essere innanzitutto quella sulla precisa distinzio­
ne tra la decisione di Gesù e quella dei suoi discepoli o della
sua comunità postpasquale.

3 . 2 . 1 + In che cosa consiste la novità


della «nuova questione»?
La «nuova questione» è nuova qualitativamente, essenzial­
mente, perché essa pone la questione del Gesù storico come
questione della continuità e della discontinuità tra il Gesù sto­
rico ed il Cristo del kerygma, il che equivale a un rifiuto della
ricerca sulla vita di Gesù che, nella sua tendenza dominante,
voleva prescindere totalmente dal Cristo del kerygma; ed allo
stesso tempo offre una positiva integrazione alle prospettive
fondamentali della teologia kerygmatica (cfr. sopra, 3 . 2 . r .2),
che a ragione contestava che la storia come tale potesse assu­
mere diretta rilevanza teologica. Se è vero che lo sviluppo sto­
rico-teologico che va dalla ricerca sulla vita di Gesù alla teo­
logia kerygmatica era storicamente e teologicamente necessa­
rio, ogni tentativo di riaprire la questione del Gesù storico
non potrà eludere la domanda se realmente la verità emersa in
quello sviluppo sia condivisa come suo presupposto. Non po­
trà non chiedersi in che misura veda nella storicità un proble­
ma teologico, da tenere aperto come problema, senza presu­
mere di risolverlo attraverso frettolose identificazioni fra stori­
co e teologico. La «nuova questione», dunque, è legittima se
pone il problema del Gesù storico nell'orizzonte del Cristo
kerygmatico, senza limitarsi all'uno o all'altro. Solo in tal mo­
do lo storico rimane un problema teologico e il teologico un
problema storico.

3 . 3 .2. I risultati dello studio delle parabole


in riferimento alla questione del Gesù storico
In merito al problema del Gesù storico, i risultati che si ri­
cavano dalle ricerche di storia della tradizione sulle parabole,
3 49
svolte nella seconda parte, si possono compendiare in alcuni
punti fondamentali:
1 . Limitarsi solo alla ricerca del Gesù storico non è ammis­
sibile, né dal punto di vista storico né dal punto di vista teo­
logico.
a) Dal punto di vista storico, perché in tutte le fonti cristia­
ne a noi note il Gesù storico è considerato unicamente nell' o­
rizzonte del suo significato kerygmatico in quanto Cristo ri­
sorto. Fare astrazione da quest'ultimo significherebbe far vio­
lenza alle fonti leggendole in maniera contraria alla loro stessa
autocomprensione. Per quanto riguarda la predicazione para­
bolica di Gesù, tale autocomprensione si manifesta nella rilet­
tura cristologica delle parabole.
b) Dal punto di vista teologico, perché una persona storica
come tale non può avere una rilevanza dogmatica. Per quanto
riguarda la predicazione in parabole, questo risulta chiaro dal
fatto che la comunità dovette reinterpretare (a partire dalla
pasqua) le parabole originarie in senso cristologico, se voleva
tramandarle come parabole di Gesù. In quanto anticipazioni
che vanno al di là della realtà già data, esse sono talmente le­
gate all'evento della vicinanza di Dio al mondo, che la loro
nuova comprensione a partire dalla pasqua rappresenta una
vera e propria necessità teologica. La cristologia esplicita del­
l'interpretazione postpasquale appartiene necessariamente al­
la teologia implicita delle parabole di Gesù.
2 . Ma anche rinunciare alla questione del Gesù storico è
inammissibile sia da un punto di vista storico sia da un punto
di vista teologico.
a) Dal punto di vista storico, perché la questione del Gesù
storico da un punto di vista storico risulta possibile e fonda­
ta. Possibile, perché la comunità nella sua interpretazione ke­
rygmatica di Gesù preservò una notevole quantità di materiale
storico. I criteri di autenticità messi a punto dalla ricerca neo­
testamentaria {in particolare quelli della discontinuità e della
coerenza) consentono di raggiungere quel grado di verosimi­
glianza che è sufficiente nell'ambito delle possibilità storico-
350
critiche. Nella maggior parte dei casi è possibile ricostruire le
parabole originarie di Gesù in misura soddisfacente. Fondata,
perché la comunità cristiana nelle sue affermazioni cristologi­
che rinviava consapevolmente al Gesù terreno. Certamente
dopo la pasqua essa modificò le parabole di Gesù, ma resta
significativo che volle trasmettere appunto quel materiale. In
tal modo le parabole di Gesù si qualificano come il punto di
partenza storico dell'interpretazione kerygmatica. A parer mio
bisognerebbe chiedersi se a questo elemento di «storicità»
nella tradizione sinottica, non corrisponda in Paolo la croce,
che come evento storico rappresenta la sintesi ed il culmine
dell'esistenza del Gesù terreno.
b) Dal punto di vista teologico, perché il legarsi della rivela­
zione di Dio alla storia è un elemento fondamentale ed irri­
nunciabile della teologia cristiana. Con esso non è in gioco
solo la corporeità e la rivelazione, o se vogliamo l'extra nos
della salvezza, ma anche il vere homo come elemento costitu­
tivo della cristologia. Per quel che riguarda la predicazione in
parabole, la comunità cristiana mantenne saldo l'accostamen­
to di vere deus e vere homo, col reinterpretare alla luce della
pasqua in modo nuovo le parabole di Gesù. In tal modo essa
prese sul serio il fatto che Dio ormai non poteva più essere
espresso a prescindere da Gesù Cristo. Con la formulazione:
«Gesù Cristo» è già posta la legittimità della questione del
Gesù storico.
3 . Se la maggiore validità teologica della «nuova» questione
rispetto alla «vecchia» ricerca sulla vita di Gesù sta nel porre
l'interrogativo della continuità e della discontinuità tra il Gesù
storico ed il Cristo kerygmatico, allora possiamo dire:
a) Il rapporto tra il Gesù storico ed il Cristo kerygmatico
non può essere definito in termini di identificazione.
Tale identificazione si verificherebbe, per esempio, se per
quanto riguarda la predicazione in parabole la parabola pro­
nunciata dal Gesù storico, prescindendo dalla sua dimensione
cristologica, venisse considerata l'unico contenuto della pre­
dicazione cristiana e venisse presentata come la parola di Dio
35 1
in tutta la sua pienezza. Questa identificazione trascurerebbe
il fatto che le parabole di Gesù sono pervenute alla loro verità
solo con l'evento della pasqua, in cui Dio si è fatto vicino al
mondo.
Un'altra maniera di identificare i due elementi si avrebbe
se, viceversa, l'unico punto di partenza della predicazione cri­
stiana venisse individuato nelle parabole di Gesù reinterpre­
tate in senso kerygmatico, rigettando come inutile ed illegit­
tima la ricostruzione. È quanto avviene particolarmente in
un'interpretazione strutturale (attualmente praticata con un
certo estremismo) che si limita in modo unilaterale all'analisi
sincronica e non dà alcun peso all'elemento diacronico (al
quale pur si ricollega in fondo anche l'intenzionalità di signi­
ficato dei testi) .
Un'altra forma ancora di questa identificazione si ha quan­
do il rapporto Gesù/Cristo viene impostato in analogia a
quello che è il rapporto fatto/interpretazione in generale. Se
il Gesù storico viene considerato semplicemente un fatto che
esige solo di essere interpretato per acquisire validità teologi­
ca, si rimane fondamentalmente all'interno della storia, poi­
ché essa già comporta (anche nell'ambito secolare! ) il rappor­
to fatto/interpretazione. In tal caso, la resurrezione di Gesù
viene ridotta solo a una conferma di quell'interpretazione, che
anche lo storico in quanto storico sarebbe in grado di offrire.
b) Si deve tener fermo, al contrario, che è la resurrezione di
Gesù dai morti a porre il fenomeno del Gesù storico in un
nuovo orizzonte interpretativo, escatologico. L'interpretazione
kerygmatica della storia e della predicazione di Gesù, determi­
nata dalla pasqua, va radicalmente al di là del rapporto fat­
to/interpretazione, quale può essere valido nella storia umana
in generale. Per quel che riguarda la predicazione parabolica,
lo si può mettere in luce ad esempio coll'interpretazione post­
pasquale della parabola dei vignaioli (Mc. 12,1-12) : mentre
nella parabola originaria l'esistenza di Gesù veniva interpreta­
ta teologicamente come il tentativo escatologico di Dio per
spingere Israele a dirgli di sì, l'interpretazione postpasquale
3 52
(vv. 10 s.) proclama che Dio con la pasqua ha superato anche
il no dell'uomo nei suoi confronti, trasformando la pietra scar­
tata dai costruttori in testata d'angolo. Una tale interpretazio­
ne resterebbe inaccessibile a chi si limitasse ad interpretare la
parabola originaria. In tal senso la pasqua fonda una disconti­
nuità radicale tra Gesù e Cristo, poiché con essa si dischiude
un orizzonte interpretativo che va tanto al di là di qualsiasi in­
terpretazione intrastorica quanto lessere del Risorto con la sua
novità escatologica va al di là all'essere di Gesù.
Ma d'altro canto la pasqua fonda anche la continuità tra
Gesù e Cristo perché è la resurrezione del Crocifisso, e quindi
impedisce alla comunità di dissociare il Cristo kerygmatico
dal Gesù storico. Fu proprio la pasqua, anzi, a imporre il
mantenimento dell'identità tra il Risorto ed il Crocifisso. Ciò
determinò, tra laltro, quella forma linguistica cosl singolare
anche dal punto di vista della storia letteraria, il vangelo come
genere narrativo, in cui la storia è narrata in prospettiva ke­
rygmatica. E la pasqua determinò anche la necessità di inter­
pretare le parabole di Gesù in senso cristologico, per po­
terle conservare come parabole di Gesù. L'unificazione Ge­
sù/Cristo, fondata sulla pasqua, divenne da allora in poi la
forma fondamentale del kerygma cristiano.
c) Da quanto detto consegue che la questione del Gesù
storico è legittima se viene impostata come la questione, me­
todologicamente necessaria, dell'elemento storico del keryg­
ma cristiano. Essa ha il suo posto all'interno del compito asse­
gnato alla comunità cristiana di interpretare kerygmaticamen­
te la storia di Gesù alla luce della novità pasquale. La questio­
ne di Gesù è a servizio di quello sforzo di comprensione che
tenta di ripetere l'unificazione Gesù/Cristo. Come tale essa
non ha niente a che fare con la pretesa di fornire una verifica
storica alla fede; ha a che fare invece, realmente, con il carat­
tere argomentativo del kerygma, nel senso che la questione di
Gesù, se viene posta nel giusto contesto ora indicato, impedi­
sce al kerygma di porsi come l'imposizione totalitaria di una
decisione, a cui si può rispondere solo con un sl o con un no.
353
È appunto l'elemento storico del kerygma l'aspetto che inter­
pella l'uomo in forma argomentativa e gli assicura tempo per
riflettere e ragioni a favore della confessione di fede. Ma sarà
poi solo la con/essione di /ede stessa, da parte di ognuno, a
dare una «verifica» al discorso su Dio.
All 'interno di questo compito di unificare Gesù/Cristo, ha
un suo posto legittimo la critica interna [Sachkritik] in quanto
esamina se in un determinato testo kerygmatico questa unifi­
cazione sia stata effettivamente raggiunta. La circolarità del
procedimento è innegabile, obbedisce a una necessità teologi­
ca inerente alla natura stessa del kerygma cristiano. In tal mo­
do, per lo meno, si sarà tuttavia più al riparo dal pericolo di
assumere ancora, come criteri di valutazione del Nuovo Te­
stamento, autorità imposte ad esso dall'esterno.
d) La questione del Gesù storico, nel senso ora precisato,
offre anche un orizzonte ermeneutico tale da impedire che il
kerygma subentri al posto del Gesù storico e si trasformi co­
si in un'autorità indiscutibile. Il kerygma su Gesù Cristo va
considerato piuttosto come una ripercussione mondana del-
1'azione di Dio che ha resuscitato Gesù. Il kecygma partecipa
della verità di Dio nella misura in cui riesce effettivamente a
riprodurre quella vicinanza di Dio al mondo realizzatasi con la
·
pasqua. Dal momento poi che il kerygma deve la sua esistenza
a quell'evento della vicinanza di Dio al mondo, la sua /orma
linguistica di base sarà la metafora. Se la metafora teologica
fondamentale è la formula «Gesù è il Cristo», allora anche il
rapporto tra storia e kerygma andrebbe inteso in analogia col
fenomeno della proposizione metaforica (cfr. 1.2).
4. Se la questione del Gesù storico viene considerata come
una questione legittima e metodologicamente necessaria al­
l'interno del compito dell'unificazione Gesù/Cristo, il rappor­
to tra storia e kerygma andrà definito in riferimento al contri­
buto che di volta in volta le parti offrono al tutto che è la pre­
dicazione cristiana. Ci limitiamo ad abbozzarlo soltanto, qui
alla fine, per accenni, nella speranza che la loro frammenta­
rietà i:ion disturbi troppo il lettore.
3 54
a) Il contributo dell'aspetto storico sta innanzi tutto nel dare
al kerygma cristiano la sua concretezza. Se il kerygma predica
Gesù Cristo come figlio di Dio, come autorivelazione di Dio,
è nel Gesù terreno che si può vedere qual è questo Dio che si
rivela al mondo: è il Dio che cerca chi è perduto, che ama
l'uomo incondizionatamente, Io libera dal passato e lo tra­
sforma in nuova creatura.
Come il comportamento di Gesù è il commento concreto
della sua predicazione parabolica, così l'esistenza storica di
Gesù è il commento del Cristo kerygmatico, che gli conferisce
concretezza, come mostrano tanto la teologia paolina della
croce quanto la narrazione storica in prospettiva kerygmatica
dei vangeli sinottici.
In secondo luogo, la predicazione parabolica di Gesù è
un'anticipazione che va al di là della realtà già data e fa ap­
pello alle risorse del possibile. Come anticipazione della pa­
squa essa dischiude all'uditore l'evento della vicinanza di Dio
al mondo. Lo mostra, per esempio, l'utilizzazione delle para­
bole di Gesù, da parte della comunità, come veicolo linguisti­
co della sua predicazione cristologica. O anche il ricorso ad
esse - interpretate in senso cristologico ed applicate al decor­
so storico - come spazio linguistico entro il quale formulare
l'autocomprensione escatologica della comunità. Ciò che vale
in particolare per la predicazione parabolica di Gesù, vale an­
che più in generale per tutta l'esistenza storica di Gesù: dal
momento che essa trova la sua decifrazione nella rivelazione
pasquale del Cristo, essa è il presupposto necessario (in sen­
so materiale) della cristologia, dal momento che a pasqua e­
rompe sì una nuova luce, ma questa nuova luce è pur sempre
proiettata su Gesù.
In terzo luogo, il contributo dell'elemento storico consiste
inoltre nel fornire il presupposto per la comprensione del ke­
rygma. Come il comportamento di Gesù è il presupposto per
la comprensione del regno di Dio, resosi vicino al mondo at­
traverso le parabole, così l'esistenza storica di Gesù è il pre­
supposto per la comprensione dell'evento pasquale della vi-
3 55
cinanza di Dio al mondo. Nella misura in cui comprendiamo
Gesù di Nazaret, anche Dio ci diviene comprensibile. Con la
pasqua, certo, si realizza un trascendimento rispetto all'esi­
stenza storica di Gesù, ma appunto in tal modo essa rimane
indispensabile al discorso cristiano su Dio.
Infine il contributo dell'elemento storico sta nel salvaguar­
dare il carattere di evento della verità espressa nel kerygma.
Come le parabole di Gesù rimandano alla sua esistenza come
al luogo in cui si fa evento la vicinanza della basileia, cosl il
kerygma rimanda a Gesù e in tal modo tien fermo che la veri­
tà di Dio si è fatta evento nell'esistenza di Gesù.
b) Il contributo dell'elemento kerygmatico sta innanzi tutto
nel fatto che il kerygma è una ripercussione mondana della
pasqua: con essa l'esistenza storica di Gesù, aperta a molte­
plici interpretazioni, ha trovato la sua univocità, in quanto si è
rivelata legata al discorso su Dio. Una conseguenza di quella
univocità fu che la memoria di Gesù di N azaret divenne dopo
la pasqua «memoria» di Dio, poiché la tradizione di Gesù
venne interpretata in senso kerygmatico e fu cosl inserita nel­
l'orizzonte del discorso su Dio. Si può constatare questo pro­
cesso tanto nelle parabole di Gesù quanto nella maggior parte
degli altri testi della tradizione sinottica. Esso rispecchia il
fatto che dopo la pasqua non era più possibile parlare di Dio
senza nominare Gesù e parlare di Gesù, a sua volta, senza no­
minare Dio.
In secondo luogo, il contributo dell'elemento kerygmatico
consiste nel fatto che l'anticipazione con la quale Gesù anda­
va al di là della realtà già esistente, non rimane più solo
un'anticipazione che fa appello alle risorse del possibile, ma
viene riconosciuta nel kerygma come un'anticipazione fonda­
ta sulla verità. In questo il kerygma riflette il processo della
pasqua, dove l'esistenza storica di Gesù raggiunse la sua veri­
tà e fu dimostrata decisiva per la verità di Dio.
Infine nel kerygma si testimonia che l'esistenza storica di
Gesù può essere predicata, a partire dalla pasqua, come la
salvezza del mondo. Se infatti Dio nella pasqua è stato colui il
356
quale risveglia dalla morte alla vita, allora in questa luce an­
che la parola di Gesù si rivela come una parola che conduce
dalla morte alla vita. Se levento della vicinanza di Dio ha
portato Gesù dal non essere all'essere, a ragione allora anche
le parabole di Gesù, in cui già si realizzava, per anticipazione,
la vicinanza di Dio al mondo, vengono riconosciute come
vangelo che dona la vita. E persino la morte di Gesù, di fronte
alla quale gli apostoli dovettero ammutolire, con la pasqua di­
venne predicabile come evento di salvezza : come l'evento nel
quale Dio si rivelò più forte del no che aveva portato alla
morte l'uomo senza Dio, e lo restitul alla libertà di un'esisten­
za giustificata.
Bibliografia

Le abbreviazioni usate sono quelle del repertorio di S. Schwertner, In­


ternati'onales Abkurzungsverzei'chni's /ur Theologie und Grenzgebiete
(IATG) Berlin - New York 1974. Per il resto in quest'opera si è fatto
ricorso alle abbreviazioni del Grande Lessico del Nuovo Testamento
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359
2. Bibliografia ulteriore

Viene qui elencata solo la bibliografia che è citata in quest'opera. I ti­


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Vittorio Fusco
Parabole e resurrezione
L'intervento di H. Weder nella discussione sulle parabole

Nell'offrire al pubblico italiano quest'opera rivelatasi importante


ma anche controversa, come mostrano sia le quattro edizioni sia le
diverse reazioni, è parsa utile una parola di introduzione che aiuti
ad inquadrarla nell'odierna discussione sulle parabole, assai vivace e
complessa, che ha visto inserirsi nel tradizionale dilemma parabo-
·

la/allegoria un terzo protagonista, la metafora.'


L'interpretazione moderna delle parabole prese avvio da Adolf
Jiilicher ( 18.57-1938)' e passando attraverso Charles Harold Dodd
( 1894- 1973 ) 1 trovò la sua espressione più efficace in Joachim Jere­
mias ( 1900- 1979) .4 Contrapponendosi ad un'interpretazione ormai
secolare che ha un qualche punto di avvio già nei testi evangelici
stessi (Mc. 4,1-34 par. ) , ' Jiilicher rimosse l'identificazione della pa­
rabola con l'allegoria. In quest'ultima il lettore già in partenza deve
avere davanti contemporaneamente, insieme alla storia narrata, an­
che un'altra storia da leggere in sovrapposizione, momento per mo­
mento (cosl per esempio in Ez . 16 la storia d'amore di due sposi,
con alterne vicende tristi e liete, dev'essere letta come allegoria dei
rapporti tra Dio ed Israele), cosicché la storia narrata fornisce es-

l. Per un panorama più ampio rinvio ai miei lavori: Oltre la parabola. Introduzione
alle parabole di Gesù, Roma 1983; Tendances récenles da11s l'inlerprélalion dcs para­
boles, in J. Delorme (ed.), I.es paraboles éva11géliques. Perspeclives nouvelles, Paris
1989, l9-6o; più sinteticamente, Parabola/parabole, in P. Rossano G. Ravasi A.
· -

Girlanda (edd.), Nuovo Dizionario di teologia biblica, Torino 1988, 1081-1097.


2. A. Jiilicher, Die Gleichnisrede11 Jesu, I. Die Gleichnisreden ]esu im allgemeinen,
Tiibingen '1910 ( ' 1886); I l . Auslegung der Gleichnisreden der drei erslen Evangelien,
Tiibingen '1910 (' 1899); ristampa in unico volume, Darmstadt 1969.
3. C.H. Dodd , Le parabole del Regno, Brescia 1970, '1976 (or. ingl. 193,).
4. ] . Jeremias, Le parabole di Gesù, Brescia 1967, '1973 (or. ted 1 947) .
.

5 . V . Fusco, Parola e Regno. La sezione delle parabole (Mc 4, 1 -34) nella prospelliva
marciana, Brescia 1980; breve sintesi in Idem, La seclion des paraboles (Mc 4, 1-34), in
Delormc, op. cii. , 219-234.

3 73
senzialmente una serie di immagini (il fidanzamento è l'Alleanza,
l'infedeltà è l'idolatria ecc.) sprowiste, al limite, di una concatena­
zione interna, dal momento che la trama che tiene in piedi tutto è
offerta dall'altra storia, quella vera. L'antichità cristiana ha letto co­
si le parabole di Gesù: ha letto per esempio la storia del Samaritano
(Le. 10,25-37) come la storia dell'umanità ferita dal peccato e salva­
ta da Cristo, o quella del figliol prodigo (Le. 15,n-32) come la sto­
ria del cristiano peccatore e penitente, o del rapporto fra i due po­
poli, giudei e pagani, o altro ancora.6 In questa maniera riusciva con
grande facilità a ritrovare in esse tutto ciò di cui aveva bisogno in
tutti i campi, dottrina, morale, pastorale, spiritualità.
Non ci volle molto per riscoprire che non era questo il funziona­
mento originario delle parabole di Gesù. In esse la narrazione esige
un primo momento di essere considerata unicamente in se stessa,
nella sua dinamica interna, che porta ad una certa valutazione (cfr.
Le. 7,36-50: «Chi dunque di quei due lo amerà di più? Quello a cui
è stato condonato di più ! ») , la quale poi una volta ottenuta si rivela
applicabile ad un'altra situazione («Vedi questa donna . . . ») . È un
funzionamento che possiamo definire «dialogico-argomentativo»; a
patto di non legare al termine «argomentativo» reminiscenze di una
certa apologetica a oltranza mirante a schiacciare l'awersario; esso
però ci aiuta, in mancanza di meglio, a impedire che «dialogico»
faccia pensare a una specie di «tavola rotonda» in cui viene data la
parola alle varie posizioni mettendole tutte sullo stesso piano: la pa­
rabola vuole aiutare l'interlocutore a liberarsi di un suo vecchio
punto di vista per aderire a quello di Gesù :7 cosl quella del figliol
prodigo è costruita in modo tale da aiutare l'interlocutore a liberar-

6. Cfr. E. Cattaneo, L'interpretazione di Le 15, 1 1-3 2 nei Padri della Chiesa, in G.


Galli (ed. ), Interpretazione e invenzione. La parabola del Figliol Prodigo tra interpre­
tazioni scientifiche e invenzioni artistiche, Genova 1987, 69-96.
7. Queste puntualizzazioni sono frutto anche di uno scambio di idee con }. Dupont,
che qui ringrazio. Anche J.P. Manigne, Il padrone dei segni, Roma 1990, 133- t65
(«La parabola, ossia la strategia della salvezza») accetta un'argomentatività intesa
non in senso intellettualistico o pedagogico, ma come «strategia», «mascheramen­
to», gioco di astuzia e di sorpresa, dettato dall'amore e volto al superamento di una
resistenza: intesa in tal senso non è affatto in contrasto con la poetica del linguaggio
parabolico.

374
si del punto di vista del fratello maggiore, ispirato al criterio presta·
zione/retribuzione, e aderire al punto di vista rappresentato dal
personaggio del padre."
Già per Jiilicher dunque - contrariamente ad un equivoco ripe·
tuto troppe volte e al quale anche Weder non si è sottratto - le pa·
rabole hanno un'applicazione estremamente concreta, legata alle si­
tuazioni del ministero di Gesù;9 fu poi purtroppo la prospettiva ge·
nerale ispirata alla teologia liberale a vanificare la scoperta linguisti­
ca: le parabole rinviano al ministero di Gesù, questo però a sua vol­
ta, tutto intero, viene ricondotto alla situazione generica e pura­
mente didattica di un qualsiasi maestro religioso.'"
Ed in effetti fu proprio questa, fra le tesi di Jiilicher, non solo a
non essere coinvolta nella crisi della teologia liberale ma ad essere
valorizzata, contro tutte le intenzioni di Jiilicher, per riscoprire nelle
parabole la dimensione escatologica e, almeno implicitamente, an­
che cristologica. Dodd e Jeremias non ebbero bisogno di modificare
questa tesi linguistica sul meccanismo parabolico: fu sufficiente loro
recuperare la prospettiva più generale che Jiilicher aveva miscono­
sciuto, il carattere escatologico e implicitamente cristologico del mi­
nistero di Gesù, al quale rinviano le parabole.
Nella forma ricevuta soprattutto in Jeremias, questo approccio fu
largamente accolto, messo a frutto e ulteriormente approfondito da
molti altri studiosi.'' Critiche non mancarono, soprattutto all'unila-

8. Cfr. V. Fusco, Narrazione e dialogo nella parabola detta del Figliol Prodigo (Le
15, 1 1 -3 2), in Galli, op. cit. , 17-66.
9. «Generale» o «astratta» non è l'applicazione bensl, necessariamente, il tertium
comparationis ossia quella valutazione che viene formulata in base alla vicenda fittizia
per essere poi trasferita a quella reale (per esempio, nd caso già ricordato: cHa mag­
gior motivo di riconoscenza colui al quale si è condonato di più»).
10. A noi pare che qualcosa di simile si sia verificato in Dodd (le parabole rinviano
alle situazioni concrete vissute da Gesù, queste però a loro volta vengono tutte unifi­
cate nell'unica invariabile situazione dcll'ceterno» che si manifesta nel tempo); e a
volte anche in Fuchs e Jiingel, i quali, pur legando le parabole alla prassi di Gesù,
tendono poi a interpretare questa prassi in termini atemporali (comunicare agli uo­
mini Dio, la salvezza . . . ), tanto da considerare le parabole «prive di inquadratura»
(rahmenlos) (sopra, p. 43), o da dichiarare «oziosa» la ricostruzione dell'uditorio
originario (sopra, pp. 271 n. 88) .
n. Tra le opere accessibili in italiano ricordiamo: L. Algisi, Gesù e le sue parabole,
Torino 1!)64; F. Mussner, Il messaggio delle parabole di Gesù, Brescia 1972 ; E. Lin-

37 5
terale concentrazione di Jeremias sugli ipsissima verba lesu e alla sua
svalutazione di tutte le interpretazioni postpasquali ridotte a null'al­
tro che «velo» da lacerare per far riemergere il volto del Figlio del­
l'uomo;" al suo disinteresse per la problematica ermeneutica del si­
gnificato delle parabole per noi. Ma queste critiche, almeno per la
maggioranza degli studiosi, non potevano tradursi in alcun modo in
un ritorno all'antica identificazione con l'allegoria.
In altri autori però - fra quelli ai quali Weder fa più direttamen­
te riferimento ricordiamo E. Fuchs, E. Jiingel e P. Ricoeur' 1 - si è
manifestata un'insoddisfazione più profonda e l'esigenza di un
completo ripensamento. All'approccio affermatosi attraverso Jiili­
cher, Dodd e Jeremias essi rimproverano di non essere abbastanza
teologico, perché fa delle parabole una forma linguistica generica,
separabile dal «contenuto» cioè il regno, utilizzabile da chiunque e
non specifica di Gesù.
Per superare questa posizione moderna senza però ricadere in
quella antica dell'identificazione con l'allegoria, questi autori hanno
ritenuto di trovare una via proprio nella metafora, grazie alle sue
speciali prerogative messe in luce dalla linguistica moderna. Oggi
infatti essa non viene considerata più, come a volte nell'antichità, un
fenomeno di mera sostituzione, a fini puramente ornamentali, di un
termine «improprio» al posto di quello «proprio» («leone» al posto
di «Achille») , cui poi corrisponde semplicemente l'operazione in­
versa, la restituzione del termine proprio al posto di quello impro­
prio. I moderni preferiscono considerarla un fenomeno di tensione,
provocata dall'accostamento di due termini appartenenti a campi
semantici diversi e normalmente separati, tale da sprigionare una

nemann, Le parabole di Gesù, Brescia 1982; J. Lambrecht, Le parabole di Gesù, Bolo­


gna 1982. - Vedi anche sotto, note 17 e 18.
12. Jeremias, op. dt. , 1 35 .
1 3 . Dei quali ricordiamo in italiano: E. Fuchs, Ermeneutica, Milano 1974 (cfr. ).B.
Brantschen, Fuchs, Ernst, nel Lessico dei teologi del secolo XX [Mysterium Salutis,
12: supp lemento ] a cura di P. Vanzan e H.J. Schultz, Brescia 1978, 521-529); E.
,

Jiingel, Paolo e Gesù. Alle origini della crirtologia, Brescia 1978; Dio mistero del mon­
do, Brescia 1982; P. Ricoeur, Ermeneutica biblica. Linguaggio e simbolo nelle parabole
di Gesù, Brescia, 1978, '1983 ; E. Jiingel - P. Ricoeur, Dire Dio. Per un 'ermeneutica
del linguaggio religioso, Brescia 1978.
nuova carica di significati, tanto più forte e creativa quanto più sor­
prendente è l'accostamento, e che potrà poi conservarsi o attenuar­
si o rivivere in misura maggiore o minore, quando si riutilizza una
metafora già nota (la raffica degli scioperi o delle tasse, l'esodo delle
vacanze, divorare i chilometri. . . ) o addirittura svanire del tutto nella
metafora «morta», ridotta a un modo di dire corrente, non più per­
cepito come novità semantica (il letto del fiume . . . ) . ' •
È appunto questo sovraccarico semantico insito nel linguaggio
metaforico, che lo rende intraducibile in termini puramente concet­
tuali, polivalente e in qualche modo «inesauribile»,', ad aver richia­
mato su di esso lattenzione per la problematica del linguaggio del
regno e in particolare per le parabole. Ed è proprio spingendo all'e­
stremo queste caratteristiche che si sono avuti soprattutto in Ameri­
ca sviluppi ancor più radicali, dei quali Weder qui registra solo la
prima fase: la polisemia è stata sottolineata a tal punto da compro­
mettere proprio quel riferimento al regno di Dio che si voleva me­
glio assicurare; mentre Weder ed altri, pur continuando a puntare
sulla metafora, si sforzano in vario modo di salvaguardarlo.
Mentre però i predecessori già ricordati - teologi, filosofi, lingui­
sti, più che esegeti di mestiere - si sono limitati per lo più ad ab­
bozzare nuove idee sulle parabole in termini generali, senza una
concreta verifica esegetica sui testi evangelici, o limitandola ad un
campione ristretto, il Nostro invece dopo aver delineato nella prima
parte del libro tutta una «teoria dell'interpretazione delle parabo­
le», nella seconda parte la applica poi puntualmente all'intero cor­
pus delle parabole dei sinottici; ed è questa la ragione principale per
cui la sua opera, benché non isolata, presenta motivi di particolare
interesse. A ciò si aggiunga, e non è cosa da poco, lo sforzo di ri­
condurre ad una forma più chiara e coerente la frammentarietà ge­
niale e a volte oscura di Fuchs, che dissemina le sue osservazioni
sulle parabole qua e là attraverso tutte le sue opere, il periodare ser­
rato e denso di Jiingel, le rapide incursioni in campo biblico di Ri-

14. Per un panorama sintetico delle diverse teorie antiche e moderne, cfr. B. Mortara
Garavelli, Manuale di retorica, Milano 1989, 160-167.
1,. Polisemia da non estendere però oltre il lecito! Cfr. U. Eco, I limiti del/'interpre­
trnione, Milano 1990, 142-161 («Sull'interpretazione delle metafore») .

377
coeur. Ed è anche questa forse, insieme alla posizione più moderata
e più in linea con la grande tradizione teologica ed omiletica, una
delle ragioni del successo meritatamente arriso all'opera. Per trova­
re un'impresa analoga bisogna risalire addirittura a Jiilicher stesso,
che articolò la sua opera in due volumi, l'uno introduttivo e l'altro
esegetico; in seguito invece per lo più ci si accontentò di una breve
introduzione che richiamava rapidamente le premesse linguistiche
comunemente condivise; più ampia l'introduzione di Jeremias ma
quasi esclusivamente di carattere storico. Eccezioni importanti sono
Eta Linnemann,'6 che dà all'introduzione uno sviluppo più ampio e
personale, e dom Jacques Dupont che ha preferito procedere indut­
tivamente dedicandosi dapprima allo studio concreto delle singole
parabole'7 e solo più tardi raccogliendo in sintesi le linee maestre del
18
suo approccio.

Non siamo di fronte dunque né ad un ennesimo commento alle


parabole privo di riflessione generale, né ad una riflessione generale
povera di riscontri concreti. L'obiettivo è ambizioso: esegesi accu­
rata di tutti i testi, inserita però in un orizzonte ermeneutico e teo­
logico di più ampio respiro; impostazione che caratterizza anche al­
tri interventi del Nostro;• e nella quale possiamo riconoscere anche
l'influsso del suo maestro e predecessore sulla cattedra neotesta­
mentaria a Zurigo, Eduard Schweizer, che, inserendosi autorevol­
mente tra i protagonisti della discussione sul «Gesù storico», si è
sforzato di coniugare in maniera originale la lezione di Barth con
quella di Bultmann, suscitando interesse anche nel nostro paese.2°

16. Linnemann, op. cii.


17· Cfr. J. Dupont, Études sur /es Évangi/es synoptiques 1-11, Leuven 198' ; in italiano
parecchi studi nella serie «La Parola per l'assemblea festiva», Brescia 1969-1976.
18. J. Dupont, Il metodo parabolico di Gesù, Brescia 1978, '1990. Cfr. ora l'ampia tesi
di E. Pérez-Cotapos Larrain, E/ metodo parabolico de ]esus segun Dom ]acques Du­
pont, difesa il 7.6.1990 alla Gregoriana sotto la direzione di E. Rasco.
19. Cfr. H. Weder, Zum Problem einer «christlichen» Exegese: NTS 27 (1980-81) 64-
82; Exegese und Dogmatik: ZThK 84 (1987) 1 37-161 ; Neutestamentliche Hermeneu­
tik, Zurich 1986, '1989.
20. E. Schweizer, Cristologia neotestamentaria: il mistero pasquale, Bologna 1969; La
comunità e t1 suo ordinamento nel Nuovo Testamento, Torino 1971; Il Vangelo secon­
do Marco, Brescia 1971; Matteo e la sua comunità, Brescia 1987; E. Schweizer A. -
Proprio la coerenza tra le due parti dell'opera è stata oggetto però
di valutazioni contrastanti, ricordate anche dall'autore stesso nella
premessa alla terza edizione. Apprezzamento più unanime ha rice­
vuto la parte esegetica per la trattazione metodica e approfondita,
ma al tempo stesso pregevolmente chiara e sintetica, di tutte "le pa­
rabole dei sinottici, con pagine ricche anche di afflato spirituale e a
volte anche letterariamente, per quanto è dato a noi giudicare, di
notevole efficacia. Sotto il profilo storico-esegetico ha suscitato cri­
tiche la tendenza, per un verso a ricondurre quanto più possibile i
testi a Gesù, per cui si è parlato di «conservatorismo»," per un altro
verso invece a rimuovere da Gesù certi aspetti che fanno più diffi­
coltà, quali l'attesa escatologica a breve scadenza, per cui si è parla­
to di un Gesù «destoricizzato» e «dogmatizzato»." Entrambe le ten­
denze si ricollegano, come vedremo, all'impostazione ermeneutico­
teologica generale.
Più divergenti invece le valutazioni per la parte «teoretica», nella
quale alcuni hanno individuato il pregio maggiore dell'opera,23 men­
tre altri l'hanno respinta quasi in blocco, staccandola dalla parte
esegetica e considerando utilizzabile solo quest'ultima.24
Si nota in effetti una qualche incoerenza fra le due parti, che però
diventa unafelix culpa per chi, come noi, non condivide le premesse
teoriche poste nella prima parte, e trova più valida l'esegesi delle
singole parabole proprio quando non si attiene ad esse. Sarebbe
troppo semplicistica però una netta scissione tra le due parti e la ri­
duzione del libro a uno dei tanti manuali esegetici sulle parabole.

Diez Macho, La chiesa primitiva. Ambiente, organizzazione e culto, Brescia 1980. -

Bibliografia completa in U. Luz H. Weder (edd.), Die Mitte des Neuen Testaments.
-

Einheit und Vielfalt neutestamentlicher Theologie. Festschrift filr Eduard Schweizer


zum 70. Geburtstag, Gottingen 198 3, 427-437.
21. Praticamente tutte le parabole almeno come nucleo di partenza, anche quando in
base ai criteri storici potrebbe risultare più plausibile una creazione postpasquale.
Cfr. C.E. Carlston, Parable and Allegory revisited: An lnterpretive Review: CBQ 43
(1981) 228-242.
22. G. Strecker U. Schnelle, Ein/Uhrung indie neutestamentliche Exegese, Gottin­
-

gen '1985, 81 s.; analoghe riserve in W.G. Kiimmel, Jesus/orschung seit z965 ... Nach­
triige z975-z980: ThR N.F. 47 (1982) 348-383 (cfr. 358-360).
23. G. Segalla, StPat 27 (198o) 159-162.
24. Cosl Kiimmel, /oc. dt.; A. Fuchs, StNTU 4 (1979) 167 s.

379
La chiave di lettura per cogliere l'unità dell'opera è offerta, a nostro
avviso, dalla terza ed ultima parte, materialmente più breve, in cui
l'autore collega le parabole al problema del Gesù storico.
L'obiettivo primario dell'opera, e a nostro avviso l'aspetto che la
rende più preziosa, è lo sforzo di superare I' «infausta alternativa»
tra il Gesù della storia e il Cristo della fede, in nome non soltanto
dell'esigenza ermeneutica generale di leggere ogni testo alla luce
della sua ricezione, la sua Wirkungsgeschichte, ma soprattutto di
un'istanza ermeneutica più specificamente cristiana, legata al ruolo
decisivo della resurrezione (cfr. soprattutto i §§ 1 . 2 . 1 ; 3 . 1 . 1 ) . In essa
Dio stesso ha preso posizione a favore di Gesù, confermando l'in­
terpretazione «teologica» che Gesù aveva dato della sua attività e
della sua persona ; la fede pasquale dunque non rappresenta un'al­
terazione, bensl la chiave di comprensione indispensabile: evento
pasquale e ministero prepasquale rinviano necessariamente l'uno al­
l'altro. Ma allora anche le molteplici riletture-riscritture delle para­
bole nella chiesa primitiva - in funzione non soltanto di una cristo­
logia «esplicita», ma anche di una parenesi morale, di un'ecclesiolo­
gia, di una visione più completa della storia della salvezza - non so­
no più, come in Jeremias, soltanto un «velo» da far cadere; assumo­
no un valore altamente positivo: esse sano la trascrizione, necessaria
ed inevitabile dopo la svolta pasquale, della verità già insita in esse,
e quindi l'unico modo concreto di salvaguardarla; anche se non
possono essere messe semplicemente al posto delle parabole origi­
narie. La ricostruzione di queste resta legittima e doverosa; però
non è più, come in J eremias, un obiettivo a sé stante, tanto meno
quello primario o addirittura esclusivo, ma solo un momento indi­
spensabile per poter valorizzare l'intera storia della tradizione , Su .•

questo rapporto tra insegnamento prepasquale e resurrezione We­


der ha delle pagine che si leggono con grande frutto.
Resta però un problema di fondo che non riceve una risposta del
tutto chiara. Pur prendendo le distanze da Fuchs che sembra fare
della pasqua solo una riformulazione dell'esperienza salvifica pre-

2,. Sulla stessa linea il nostro Oltre la parabola, cit., 168-189; ora anche D. Margue­
rat, Les paraboles, de Jésus aux évangiles: une hirtoire de réception, in Delorme, op.
cii. , 61-88.
pasquale, anche Weder sembra considerarla solo una conferma an­
ziché un evento che ha un suo contenuto nuovo, imprevedibile e
decisivo anche rispetto al ministero prepasquale, per quanto inscin­
dibile da esso. Sottolinea a tal punto la presenza della salvezza già
nell'incontro prepasquale con Gesù da concludere che la venuta di
Dio altro non è che l'essere stesso di Dio, la sua presenza (pp . 44
n. 196. 291 n. 172); >6 fa risalire a Gesù solo l'annunzio della salvez­
za già presente e non quello del giudizio imminente (cfr. per es.
§§ 1 .2.10; 2 . 4. 1 ; 2.,.4; 3 . 1 . 4) ; 17 ammette per il kerygma pasquale stes­
so l'esigenza di una critica teologica (Sachkritik) che dovrebbe va­
gliarne la validità assumendo come misura l'insegnamento prepa­
squale. Vien fatto allora di chiedersi - con von Balthasar e con lo
stesso Karl Barth cui Weder pure si ricollega - se per esaltare la
grazia in questo modo non si rischi di sminuirla; se non prendendo
abbastanza sul serio la legge e il peccato, il giudizio e la morte, non
si tolga alla grazia il suo collegamento con la croce e non si finisca
per svuotarla della sua grandezza. In tal senso anziché attenuare la
tensione legge/vangelo, giudizio/grazia, dovremmo piuttosto sotto­
linearla, renderla estrema, fino a una sorta di aporeticità, tale da non
poter trovare soluzione neppure nell'insegnamento di Gesù, ma solo
nella sua morte e resurrezione.
Questa problematica soteriologica, di solito trascurata rispetto a
quella cristologica e che Weder invece ha il merito di affrontare ri­
petutamente, tocca assai da vicino anche le parabole. Si pensi per
esempio a quella del servo spietato.18 Nella prima scena trionfa in­
condizionatamente la gratuità: il debito enorme che nessuno po­
trebbe pagare viene semplicemente annullato. Il racconto però pro­
segue con una seconda scena, in cui si rivela altrettanto incondizio­
nata lesigenza di una certa risposta, pena il ripristino del debito,

26. Questa riserva è condivisa anche da un recensore favorevole come M. Petzoldt,


ThLZ 106 ( 1981 ) 6'8-66o.
27. Benché altre volte si sforzi di salvaguardare la tensione tra vangelo e legge, tra la
gratuità del dono e la responsabilità creata dal dono stesso: Dio prende sul scrio le
opere dell'uomo (pp. 269 s. n. 84) ; amandolo lo rende capace di amare (p. 1 1 1 ) ; 111 sun
misericordia trionfa ancor più profondamente trasformando l'uomo a sua voh11 in
soggetto e non mero oggetto es 2.3. 1).
28. V . Fusco, Sei/anta volte selle (Mt 18,23 -,35): Jesus caritas 8 (1986) n" 2 1 , , . , IJ .
owero l'annullamento dell'annullamento già ottenuto. Come poi
possa coesistere questa duplice incondizionatezza, questa onerosità
della salvezza e questa sua gratuità, la parabola non lo dice in alcun
modo. Soprattutto in ambiente cattolico la tensione per lo più non
viene neppure percepita, la parabola viene letta moralisticamente,
facendo cadere l'accento sulla seconda parte, lasciando cioè all'uo­
mo l'ultima parola, e riducendo la grazia ad un preliminare ineffica­
ce, condizionato. Il problema però non viene risolto, ma solo elimi­
nato in altro modo, con la congettura di Weder che la seconda par­
te non sia originaria (§ 2.4.1).
I n questo caso come i n altri s i h a l'impressione che sia proprio la
priorità teologica assegnata al Gesù prepasquale a determinare
quelle forzature già notate in sede storico-esegetica miranti sia a ri­
condurre il più possibile i testi a Gesù, sia ad eliminare aspetti che
creano difficoltà, come il giudizio imminente. Un'impostazione in­
vece sulla linea di Balthasar ora ricordata potrebbe far meglio ac­
cettare anche teologicamente una certa discontinuità, rendere su­
perflui questi sforzi di voler ritrovare già nel ministero prepasquale
quella pienezza salvifica che la fede cristiana vede scaturire solo dal­
!'evento della morte e resurrezione; assicurare cioè ancor più salda­
mente quel recupero del valore decisivo della resurrezione verso
cui da parte sua Weder si è già mosso decisamente.
Per collegare però a questo discorso più generale proprio le para­
bole, diventa necessario affiancare alla riflessione teologica anche
una riflessione linguistica; ed è qui che le nostre riserve si fanno più
sostanziali. Anche quando ricostruisce la problematica dell'inter­
pretazione moderna delle parabole, Weder sembra fare attenzione
prevalentemente alle premesse teologiche dei singoli autori (il mora­
lismo liberale di Ji.ilicher, l'escatologia «realizzata» di Dodd, l'osses­
sione degli ipsissima verba in Jeremias. . . ), come se le tesi più pro­
priamente linguistiche fossero soltanto una deduzione dai presup­
posti teologici e non possedessero anche una certa autonomia, come
conferma pure la loro continuità in autori dagli orizzonti teologici
cosi diversi. Gli sfugge cosi come in Jiilicher'• dal punto di vista lin-

29. Rinvio a Oltre la parabola, cit., 71-76.


guistico coesistessero due diversi approcci alla natura della parabola:
quello già ricordato, ben più valido, di tipo induttivo (oggi si direb­
be «pragmatico»), che gli fece riscoprire nelle parabole evangeliche
la funzione di'alogico-argomentativa;'0 ed un altro, assai discutibile,
che invece procede per via deduttiva o «genetica» facendo derivare
la parabola e lallegoria dalle loro presunte «forme elementari, em­
brionali» (Vorstu/en), che a suo avviso sarebbero rispettivamente la
comparazione e la metafora.
Per Jiilicher indubbiamente entrambi gli approcci miravano a ri­
badire la differenza dall'allegoria: la derivazione della parabola dalla
comparazione ne sottolinea l'intento didattico, chiarificatore, in
contrapposizione all'oscurità attribuita all'allegoria e già al suo nu­
cleo germinale, la metafora; la funzione argomentativa poi compor­
ta l'unità del racconto e non ne consente il frazionamento in una se­
rie di riferimenti extranarrativi autonomi come nell'allegoria. Con
leliminazione dell'allegoria, a sua volta, Jiilicher da buon liberale
era convinto di scalzare dalle basi qualsiasi cristologia; in questo
senso nella sua prospettiva le tesi linguistiche si connettevano, al­
meno di fatto, alle tesi teologiche. A ben vedere però solo uno dei
due approcci, la filiazione della parabola dalla comparazione, si ri­
vela perfettamente funzionale all'immagine liberale di un Gesù
maestro di grandi verità, che si sforza di renderle accessibili alle li­
mitate capacità del popolo. Non così invece la funzione argomenta­
tiva: se Gesù fosse stato solo un qualsiasi maestro che si limitava a
richiamare valori etico-religiosi di universale evidenza insiti nella
coscienza umana, non si comprende perché abbia avuto bisogno
continuamente di difendersi, di discutere, di argomentare ricorren­
do al percorso obliquo della parabola; lo si comprende invece assai
bene se si riconosce che con la sua parola e la sua azione metteva i
contemporanei di fronte a una decisione radicale, creando un kairòs
irripetibile, estremamente drammatico e conflittuale. È difficile ca-

30. Alla quale si ricollegano organicamente i concetti, spesso contestati perché mal­
compresi, della distinzione tra la vicenda fittizia e quella reale (Sachhiil/te/Bildhii/f
te); dd tertium comparationis, la struttura comune a entrambe che consente il trasfe­
rimento del giudizio dall'una all'altra; della unidtà di esso (non dei componenti la
struttura stessa che possono essere molteplici); e via dicendo.
pire, per esempio, perché Gesù avrebbe avuto bisogno cli ricorrere
alle parabole della misericordia se si fosse limitato semplicemente a
richiamare la verità generale e già nota della misericordia di Dio; ne
ha avuto bisogno perché aveva scandalizzato i contemporanei con la
pretesa inaudita di essere lui stesso, qui e adesso, la presenza di
questa misericordia in mezzo agli uomini. In tal senso possiamo dire
addirittura che la funzione argomentativa della parabola è una ri­
scoperta storico-linguistica avvenuta in Jiilicher nonostante i suoi
presupposti teologici liberali; questi certamente non gli permisero
di valorizzarla, come poté avvenire più tardi dopo la crisi della teo­
logia liberale.
Tra le tesi linguistiche di Jiilicher dunque Weder, come molti al­
tri autori recenti, rifiuta proprio quella ricavata induttivamente e, a
nostro avviso, rivelatasi più valida, mentre lo segue in pieno (pur in­
dicando come nucleo di partenza non più la comparazione ma la
metafora) per quella via genetico-deduttiva che oggi ci appare assai
discutibile, perché riduce a differenza quantitativa, di maggiore o
minore «lunghezza», quelle che invece sono differenze qualitative
tra fenomeni che si collocano a diversi livelli del discorso. ''
Egli tuttavia percorre questa via in una maniera sua particolare. A
suo avviso infatti nell'enunciato metaforico (§ r.2.1) la tensione -
che viene a racchiudersi precisamente nella copula «è» - è data
dallo sdoppiarsi in due enunciati, uno negativo («Achille non è un
leone», nel senso letterale del termine) e uno positivo: «Achille è
come un leone». Le due realtà, estranee e non identificabili nel sen­
so letterale dei termini, vengono comparate, messe a confronto
(verglichen ) : le accosto perché nell'una trovo qualche tratto che mi

3 1 . Nella concezione della parabola come forma dialogico-argomentativa ogni para­


bola presuppone, come elemento più generico, una comparazione («Il regno di Dio
è simile a . ») però non ogni comparazione è ipso facto parabola, né può diventare
. .

tale, per quanto la si voglia «prolungare» (Oltre la parabola, cit., 81 -85). Cfr. ora an­
che J. Delorme, Récit, parole et parabole, in Idem, op. cii. , 1 30- 1 3 1 : «Le débat entre
comparaison et métaphore se trouve aujourd'hui dépassé. Ce sont des phénomènes
analysables dans les limites d'une phrase et parler de comparaison ou de métaphore
'développée', c'est cacher par cet adjectif ci: qui fait problème: la parabole est un fait
de discours. Et c'est un récit, elle ne déploie pas, ne file pas une similitude, elle
raconte un processus, avec transformations d'états, voire conflit et suspense».
aiuta a comprendere e descrivere in maniera nuova l'altra. Ma non è
questa appunto la posizione di Jiilicher che fa derivare la parabola
dalla comparazione ( Vergleichung) ?
A quest'obiezione l'autore replica che la distinzione tra metafora
e comparazione è divenuta insostenibile nella linguistica moderna.
Ed in effetti, stando a quest'ultima, « . . . i rapporti tra metafora e pa­
ragone non sono affatto semplici, e meno che mai si lasciano ricon­
durre alle dimensioni degli enunciati o alla presenza/assenza del se­
gno esplicito del confronto, cioè la congiunzione come . . . ».'' Poco
importa cioè dire: «Achille è come un leone», o dire: «Achille è un
leone», o dire soltanto «leone», riferendolo però attraverso il conte­
sto ad Achille; l'effetto estetico certo non è il medesimo, ma in ogni
caso devo conoscere le due realtà ed accostarle, considerarle con­
temporaneamente.
Però se la distinzione tra comparazione e metafora sotto questo
aspetto formale può venir meno, essa può ristabilirsi attribuendo al­
la prima la «percezione statica delle affinità» e alla seconda «un
meccanismo di natura eminentemente dinamica, che produce una
qualche forma di fusione, o per meglio dire compresenza, tra i due
enti raffrontati»; " oppure, reintroducendo all'interno delle metafore
la distinzione tra quelle «vive» e quelle «morte». L'obiezione perciò
si ripropone: non è ben chiaro se per Weder la distinzione tra com­
parazione e metafora si elimini riconducendo la prima alla seconda
o la seconda alla prima; se si attribuisca a qualsiasi metafora quello
che altri attribuiscono solo alla metafora «viva» o se ci si limiti a
cambiare solo la terminologia chiamando «metafora» il medesimo
fenomeno che Jiilicher chiamava «comparazione», in sostanza il tra­
sferimento di alcuni tratti da una realtà più nota a un'altra meno
nota in forza di una somiglianza già esistente (§ 1.2.6 ) . Dov'è allora
la differenza rispetto alla tanto deprecata analogia ?
Ma il problema emerge ancor più chiaramente quando l'autore

32. Monara Garavelli, op. cii. , t6I.


33. Ivi, con citazione di P.M. Beninetto, Come vi pare. Le ambiguità di come e i rap­
porti tra paragone e meta/ora, in F. Albano Leoni - M.R. Pigliasco (edd.), Retorica e
scienze del linguaggio. Atti del x Congresso internazionale di studi della Società di
Linguistica Italiana (Pisa 1 976), Roma 1979, 131-170, a p. 16o.
affronta il passaggio dall'enunciato metaforico alla parabola consi­
derata come metafora ampliata, metafora in forma cli racconto. Il
soggetto S e il predicato P in questo caso sarebbero, rispettivamen­
te, il regno di Dio, ed un racconto ambientato in questo mondo; il
problema è allora: da questo accostamento cosa si ottiene? in che
senso esso provoca una comprensione nuova ? Se diciamo che il re­
gno è I' «incognita» da capire meglio, ed il racconto ambientato in
questo mondo la realtà già nota, più chiara, a cui si fa ricorso per
capirla, restiamo in pieno con Jiilicher nel funzionamento proprio
della comparazione; né si comprende in che senso tra S e P vi sia
tensione e non semplicemente analogia. Per non ricadere in questa
posizione, Weder ammette una duplice tensione: quella - richiesta
dalla sua definizione dell'enunciato metaforico tra il racconto
-

globalmente preso ed il regno, ed un'altra all'interno del racconto


stesso. Questo infatti sebbene cominci come una storia qualsiasi di
questo mondo, prende poi una piega imprevedibile: i debiti vengo­
no condonati, i figli scapestrati festeggiati, gli ultimi equiparati ai
primi, e via dicendo (§ 1.2.2).
A noi sembra però che questa tensione all'interno del racconto
annulli quella tra il racconto e il regno: tanto nel racconto come nel
regno trionfa la gratuità, viene superata la logica prestazione/retri­
buzione che domina il vecchio mondo. Ma allora la tensione è tra
racconto e mondo, non tra racconto e regno: il racconto rispecchia,
ricalca la realtà nuova del regno; lo si può comprendere solo alla lu­
ce di essa. Ma questa è precisamente la definizione dell'allegoria.
È comprensibile perciò la disapprovazione di altri studiosi che
condividono il medesimo punto di partenza, lo sforzo di costruire
una nuova concezione delle parabole mettendo a frutto le caratteri­
stiche innovative della metafora, come Wolfgang Harnisch, al quale
si deve a nostro avviso il tentativo più approfondito in questa dire­
zione, 14 i quali non senza fondamento dal loro punto di vista conte­
stano a Weder di non aver spinto questo tentativo con coerenza fino

34.W. Harnisch, Die Gleichniserziihlungen Jesu. Eine hermeneutische Ein/iìhrung,


Gottingen 1985 (cfr. 167-176); altri suoi studi precedenti sono citati nella bibliografia
di Weder. - Analogamente ]. Zumstein, Jésus et /es paraboles, in Delorme, op. dt. ,
89-108.
in fondo. Dal punto di vista invece di chi come noi non condivide
quelle premesse, rimane in Weder questa incoerenza teorica,n ma è
proprio essa ad avere risultati felici per l'interpretazione delle sin­
gole parabole.
L'equiparazione delle parabole ad allegorie infatti, anche se ri­
spetto all'originario funzionamento dialogico-argomentativo per un
verso toglie qualcosa e per un verso rischia di aggiungere, può però
avvicinarsi anche notevolmente, in misura maggiore o minore se­
condo i casi, al funzionamento che subentra nelle letture successi­
ve, a cominciare già da quello che si ha nel contesto evangelico.36
Oggi siamo diventati più sensibili a questa differenza tra la prima
lettura di un testo e le letture successive, notata assai bene da un al­
tro esegeta svizzero, François Bovon, in un intervento recente:
«Tout texte qui vous a marqué vous accompagne. Vous y revenez,
vous le méditez: frappés d'abord par son impact global, par sa co­
hérence, par la pointe, vous vous mettez à en percevoir les details,
les étapes, les évocations... ».37 È interessante in tal senso anche la
convergenza che Weder stesso nella prefazione alla terza edizione
segnala nei confronti dell'opera di Hans-Josef Klauck di cui non
aveva potuto tener conto perché uscita contemporaneamente alla
sua.38
Il risultato anzi diventa ancor più accettabile grazie ad un'altra
felix culpa: anche quella funzione argomentativa delle parabole, co­
si contestata nella parte generale, viene recuperata spesso, almeno
di fatto, nell'esegesi delle singole parabole. Cosl, più volte, Weder
nota che esse vogliono ottenere un'adesione, un consenso (Einver­
stlindnis: cfr. §§ 2.2.r; 2.4.2), puntano sulla «ovvietà» (Selbstver­
stlindlichkeit: cfr. §§ r.2.9; 2.3.1; 2.3.2 n. ro6; 2.4.r; 2.5.r; 2.5.2),
fanno leva sull'autorità di ciò che è universalmente riconosciuto
(§ 2.r.4), applicano al regno una logica già nota (§ 2.3.3), smasche-

35. Cfr. Fusco, Oltre la parabola, cit., 105-109; Tendances récentes, cit., 50-55.
36. Cfr. Fusco, Oltre la parabola, cit., 85-103. 187-189; Tendances récentes, cit., 22-24.
37. F. Bovon, Parabole d'Évangile, parabole du Royaume: RThPh 122 (1990) 33-41;
la citazione a p. 40.
38. H.-J. Klauck, Allegorie und Allegorese in synoptischen Gleichnistexten, Miinster
1978.
rano l'insostenibilità ( Unangemessenheit) della posizione contraria
(§ 2.4.2 n. 89) , rivelano un' «andatura argomentativa» (Argumenta­
tionsrichtung: § 2+1), offrono «argomenti» (§ 2.4.2), concedono
«Spazio» al punto di vista dell'interlocutore: a questo riguardo l'au­
tore valorizza spesso il fenomeno dell'«incrociamento» ( Verschran­
kung) dei punti di vista, messo in bel risalto da Eta Linnemann e da
dom Dupont, senza però notare che esso presuppone appunto la
funzione dialogica della parabola. C'è veramente differenza allo­
ra, a questo punto, nel dire che la parabola non intende difendere
ma spiegare ( § 2.4.2 n. 9 3 ) ? E non suonano troppo aspre le ripetute
critiche a Jeremias per aver parlato delle parabole come «armi»
(§ I.2.2 e passim), dal momento che Jeremias stesso precisava che
non mirano a distruggere l'awersario ma a ottenerne il consenso?
Indubbiamente c'è però un prezzo da pagare per queste oscilla­
zioni. Per l'esegesi delle singole parabole, l'impossibilità di valoriz­
zare fino in fondo questi concetti dopo averli misconosciuti in sede
teorica. Per il discorso generale, l'impossibilità di mettere bene in
rapporto le parabole con la svolta segnata dalla resurrezione: tor­
nando di fatto - con la tradizione cristiana antica - a identificare le
parabole con una sorta di allegorie, differenziandosi però da essa
per lo sforzo di attribuirne direttamente al Gesù storico solo un nu­
cleo incentrato sul regno, la differenza teologica e linguistica fra si­
tuazione prepasquale e situazione postpasquale viene vanificata e
come appiattita; l'impatto della svolta pasquale sulle parabole viene
ridotto in sostanza ad aver awiato un processo di ulteriore allego­
rizzazione: non più soltanto allegorie del regno ma allegorie della
chiesa, della vita cristiana, della storia della salvezza. Misconoscen­
do l'originario meccanismo linguistico dialogico-argomentativo
della parabola, ci si preclude la possibilità di individuare proprio in
esso gli elementi di continuità e di discontinuità che collegano, e al
tempo stesso distinguono, le parabole di Gesù e le loro riletture e
riscritture postpasquali.

Per quanto riguarda la traduzione, non è stato possibile se non in qual­


che caso tener presenti le traduzioni italiane già esistenti, che però sono
state segnalate nella bibliografia. Abbiamo conservato in francese, se­
guendo l'autore, pointe nel senso divenuto tecnico negli studi sulle pa-
rabole: «punta», aspetto che si vuol sottolineare, conclusione dove
vuol andare a parare il racconto. Sach-hiil/te e Bild-hiil/te, letteralmente
la «metà-cosa» e la «metà-immagine», sono stati resi in forma meno
materiale che «la parte reale», «la parte figurata», salvando comunque
l'idea che si tratta di due elementi che insieme costituiscono la parabola
e non possono essere considerati indipendentemente l'uno dall'altro.
Verschriinkung, letteralmente sostantivo, l'«incrociamento» (degli op­
posti punti di vista) , abbiamo preferito renderlo col verbo, l' «incrociar­
si». Fiktional nel senso di «inventato» ai fini della narrazione, è stato
reso con «fittizio», sebbene non renda perfettamente l'idea, mancando
in italiano il sostantivo corrispondente Fiktion («finzione» ha assunto
altro senso, troppo negativo) né quello astratto Fiktionalitiit. Abbiamo
lasciato in tedesco l'espressione ormai classica Sitz im Leben nel senso
di ambiente vitale, uso sociale cui si collega una determinata forma lin­
guistica; traducendo invece Jormgeschichtlich con «storico-morfologi­
co» o riportandolo al sostantivo «storia delle forme». Zur Sprache brin­
gen, che l'autore usa abbondantemente soprattutto nelle citazioni di
Fuchs e Jilngel, ci è sembrato eccessivo renderlo sempre nel senso for­
te («venire al linguaggio», «portare al linguaggio», «farsi linguaggio») :
a volte perciò s i è ripiegato s u «esprimere». Sachkritik, letteralmente
«critica dei contenuti», in concreto critica teologica dei testi biblici
stessi, è stato parafrasato in vario modo. Vorgriffim Rohmen des Mogli­
chen (§ 3 . 1 e altrove) è stato svolto come «anticipazione che va al di là
della realtà già data, facendo appello alle risorse del possibile». Friih ­
judentum, letteralmente «giudaismo primitivo, nascente», in base al
contesto è semplicemente il giudaismo contemporaneo di Gesù che al­
tri chiamano Spiitjudentum, «tardo giudaismo», in quanto lo confronta­
no con quello dei secoli precedenti anziché con quello dei secoli suc­
cessivi; per evitare confusioni, è stato reso semplicemente con «giudai­
smo» essendo chiaro dal contesto a quale epoca ci si riferisce. Alcun?
giochi di parole intraducibili sono stati segnalati in nota.
Quest'ultimo studio sulle parabole evangeliche
si è imposto come il più innovativo tra le opere maggiori
sull'argomento posteriori alle Parabole di Gesù
di J. Jeremias. Il saggio di H. Weder è nuovo
sia per la teoria che qui viene elaborata della parabola
come metafora, sia per l'esegesi approfondita di tutti i testi
parabolici secondo i principi ermeneutici esposti
nella parte teoretica. Nuovo, infine, è il tentativo di leggere
le parabole in un orizzonte ermeneutico e teologico
che tenti di risolvere l'alternativa tra il Gesù della storia
e il Cristo della fede. Sempre chiara e illuminante,
l'opera di H. Weder si fa leggere con passione,
tesa com'è a cogliere costantemente il significato vivo
delle parabole evangeliche sia sulla bocca di Gesù
sia nelle successive interpretazioni
delle prime comunità cristiane.

Hans Weder è ordinario di Nuovo Testamento


all'Università di Zurigo.

ISBN 88.394.0468.6 ���11 rn1 i�ì1 r


9 788839 404688

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