Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
LA RIVOLUZIONE
INVERSIONI DI TENDENZA
Fino a prima del 1800 i cereali rimangono al centro del sistema alimentare europeo,
rappresentano il 90% della spesa alimentare per una famiglia (¾ dell’apporto calorico
totale). Il pane dei poveri restava scuro (segale, orzo, grano saraceno).
Dopo il 1850 si ebbe un cambio di tendenza dove il consumo di pane bianco conquistò più
fasce di consumatori, grazie anche all’invenzione del mulino con i cilindri in ferro che
permettevano di avere farina più bianca e asciutta. Il bianco significava qualità quindi anche
il riso e lo zucchero si cercava di ottenerli il più chiari possibile.
In generale la media dei consumi urbani era in aumento sia in quantità che in qualità. Ci
troviamo in un periodo di grande industrializzazione, per funzionare l’industria ha bisogno di
consumatori. La classe operaia ora aveva accesso a tè, zucchero, cacao a prezzi via vai
sempre più accessibili.
Vi furono poi progressi in ambito zootecnico tramite la selezione di razze per ottenere una
specializzazione del bestiame (da latte o carne) e il miglioramento nella conservazione della
carne. Il treno permise scambi veloci di carichi pesanti via terra, consentendo di trasportare
carcasse ben conservate. Ora tutti in europa possono consumare un po’ di tutto, la
distinzione sta nella qualità del consumo (prima, seconda e terza scelta).
La carne dopo il 1950 sazierà il desiderio atavico del popolo, diventando sempre più
presente sulle tavole dei più. Il desiderio del mangiar molto è sempre stato accompagnato
dal desiderio di mangiar carne.
Occorre infine considerare lo slittamento di significato della parola dieta: inventata dai greci
per designare il regime quotidiano di alimentazione che ogni individuo deve costruire sulle
proprie personali esigenze e caratteristiche, passata a designare la limitazione e la
sottrazione di cibo; una nozione negativa anziché positiva, una scelta che la società dei
consumi sembra proporre non più per adesione ai valori morali e penitenziali di cui la cultura
religiosa ha storicamente caricato simili comportamenti, ma per motivazioni prevalentemente
estetiche, igieniche o utilitaristiche. Un eccesso è stato combattuto con un altro eccesso.
STORIA DELLE NOSTRE PAURE ALIMENTARI
Il caffè era una bevanda molto popolare nel Medio Oriente e nel Nord Africa, questo arrivò in
Europa passando per l’isola di Malta dove gli schiavi turchi al servizio dei Cavalieri
Ospitalieri misero in contatto il caffè con la società europea. Arrivò in Europa tramite i
mercanti veneziani, Venezia in effetti fu una delle prime città europee a diffondere la
bevanda e a far uso del caffè. Nel resto d’Italia la diffusione fu più lenta. Nel 1650 il caffè
venne importato nel Regno Unito, dove si aprirono i primi caffè intesi come bar. Più o meno
nello stesso periodo il caffè raggiunse le colonie inglesi in Nord America.
Il secolo del caffè fù il 1700, il suo consumo era diventato un tratto caratteristico della vita
borghese e cittadina. I nobili ben presto si dotarono di appositi edifici destinati al solo
consumo di caffè e cioccolata in tazza. La coltivazione del caffè si diffuse rapidamente in
tutta l'America Centrale e nelle isole caraibiche. L’industria nelle colonie sudamericane
dipendeva unicamente dalla schiavitù. La presenza di una forte domanda e di un basso
costo di produzione (schiavitù), diede profitti enormi.
Per tutto il 1500 prevalse una visione negativa sulla bevanda. Il giudizio sul caffè
rispecchiava il giudizio che gli europei avevano sui consumatori di suddetta bevanda, ovvero
gli orientali.
Il primo cambiamento si ebbe con Buntekuh che fece un trattato sul caffè collegandolo alla
pressione sanguinea. Parlava di come questo fosse in grado di accelerare la circolazione,
rendere più attivo il corpo e contrastare la stanchezza.
PRIMO CASO DOCUMENTATO DI UNA COMPAGNIA COMMERCIALE (Compagnia
Olandese delle Indie Orientali) CHE PAGAVA UN MEDICO PER SOSTENERE IL
CONSUMO DI UN PRODOTTO
Un medico scozzese diede il suo punto di vista che più che scientifico pare morale, in
quanto il giudizio negativo è rivolto all’atteggiamento vizioso e indolente che consegue dal
consumo di: tè, caffè e cioccolata.
Di fronte all’esperienza quotidiana che dimostrava come il caffè fosse una bevanda innocua
il dibattito esplose, alcuni medici iniziarono a dire che il caffè avesse corrotto l’intera Europa.
Ci vollero 160 anni ma alla fine vinse il buon senso.
Il demonio, avendo vietato il vino agli infedeli li aveva indotti al consumo della nera bevanda
per corromperne le anime. Da ciò si deduce come il buon cristiano dovesse astenersi dal
consumo di caffè.
Si chiese al papa Clemente VIII di bandire la bevanda, lui volle prima assaggiarla e contro
ogni aspettativa gli piacque. Da questo momento il caffè non conobbe più ostacoli, almeno
teologicamente, nella sua espansione commerciale.
I veneziani ne parlano per primi (Marco Polo), ma furono i portoghesi a portarne resoconti
più dettagliati, scrivendo spesso a favore del tè ma non iniziando mai un vero commercio. Vi
era una forte diffidenza nei confronti del tè a causa della sua presunta tossicità. I portoghesi
informarono del tè gli olandesi, il cui commercio navale si stava espandendo. Gli olandesi
non volevano fare concorrenza ai portoghesi, così si lanciarono nel commercio di questo
nuovo alimento. Fu proprio grazie agli olandesi che il tè si diffuse in Europa, e in seguito a
loro vi furono gli inglesi. Mentre il mercato delle spezie moriva stava nascendo quello del tè.
IL CACAO E I PIRATI
Le prime notizie sul cioccolato, e sulla bevanda che se ne ricava, lo descrivono in grado di
alleviare la fatica. In tutta l’America pre-colombiana era un articolo di lusso, utilizzato come
moneta di scambio (amigdala pecuniaria) e unità di misura.
Le osterie erano luoghi tenuti a stretta sorveglianza, in quanto qui era noto svolgersi l’attività
criminale. Il problema, che le autorità cittadine riscontravano, riguardo a questi esercizi, non
era di carattere igienico bensì il controllo dei canali di approvvigionamento e dei sistemi di
preparazione. Per le osterie l’accusa più diffamante era quella di non rispettare le norme per
l'approvvigionamento di materie prime e preparazione dei piatti. Il controllo di filiera e la
standardizzazione della ricetta erano l’unico modo per i cittadini (ovvero i clienti) per
verificare la non pericolosità del piatto.
LO STREET FOOD
Le paure maggiori da parte della popolazione si rivolgevano verso quello che oggi noi
chiamiamo street food. Questo genere di alimenti si rivolgeva alla fascia più povera della
popolazione, in quanto i piatti erano poveri sia nella preparazione che negli ingredienti
(pizza-maccheroni). L’impossibile sorveglianza di questa pratica ambulante ne aumentava la
diffidenza da parte dei consumatori. In generale si parla di un modello alimentare che non
prevede né cotture da parte del consumatore, né l’utilizzo di posate.
In macelleria non si vendevano carni già cotte, questo era concesso solo a coloro che
vendevano frattaglie, in quanto facilmente deperibili. Trippai, lampredottai e venditori di milza
divennero i protagonisti di questo street food pre-industriale. In generale pasta, pizza e
frattaglie erano cibi da disperati.
Grazie all’’Artusi, che nel suo libro riporterà diverse ricette di pasta, possiamo notare come
sia cambiato l'atteggiamento riguardo questo alimento entrato nel modello alimentare
borghese. Le frattaglie verranno citate, ma viene sottolineato come queste siano non
salutari. Infine della pizza non vi è alcun segno nel libro.
Con il boom economico degli anni 50 gli italiani si lasciano alle spalle le frattaglie, che
vengono riscoperte solo negli ultimi 15 anni. Quando si è ricchi fa chic far finta di essere
poveri.
LO STRANIERO PER STRADA
Uno dei simboli di New York è l’hot-dog, un piatto che ha origine in Germania derivato
dall’immigrazione tedesca negli USA del 1800. Il wurstel sottile era chiamato frankfurter.
Il successo del panino viennese fu pressoché immediato, in più la spinta industriale della
nascita del ketchup lo aiutò a diffondersi( Heinz sviluppò la ricetta della salsa nel 1869
zucchero, cipolla e un mix di spezie).Il ketchup e la senape divennero il condimento base del
hot-dog.
Inizialmente si consumava in casa o al bar, poi nacquero sul finire del 1800 le prime
bancarelle ambulanti in prossimità dei luoghi più frequentati dai giovani. Il carretto subì
evoluzioni nel corso del tempo, nel 1925 vi attaccarono una bicicletta e in seguito lo
munirono di piastre da cottura.
Nei primi anni del 1900 vi fu una campagna mediatica contro i venditori ambulanti di hot-dog,
le accuse non erano suffragate da alcun dato scientifico, ma solo dalla credenza che questo
diffondesse malattie. La forza del mercato lavò via le paure e nel corso degli anni 20 le
polemiche andarono a spegnersi.
Questo è riscontrabile sin dai tempi dell’impero romano, dove già esistevano locali adibiti
alla vendita di cibo pronto e bevande. Ne abbiamo una testimonianza ben conservata a
Pompei. Solitamente erano posti vicino alle porte urbane in modo da attrarre clienti sia da
fuori, che da dentro la città.
Nel Medioevo le taverne erano il luogo che rispondeva sia alle esigenze di coloro che si
mettevano in viaggio, sia a quelle di chi viveva nella città. A partire dall’anno 1000 gli statuti
cittadini cominciarono ad occuparsi della regolamentazione delle taverne, stabilendo cosa vi
si potesse vendere. Il tema principale era la determinazione dei prezzi della vendita degli
alimenti, ma nel caso si stesse parlando di cibi già cotti era necessario regolamentare le
tecniche di preparazione. La ricetta era di fatto la garanzia economica e politica per i
regolatori pubblici, e per i consumatori rappresentava invece la garanzia igienica e sanitaria.
Stufato e pasticcio erano i piatti più da temere, ad essi si attribuiva la causa del contagio
durante le epidemie.
Esattamente come la cucina italiana in America, il kebab suscita il timore in molti europei.
Negli anni 90 vi furono molte campagne anti-kebab, ma comunque il pubblico giovanile lo
trovava gustoso ed economico. L’accusa generica era quella di scarsa igiene e dell’utilizzo di
carne di topo. In questo caso, come nell’hot-dog, le campagne denigratorie non furono in
grado di bloccare l’espansione del kebab.
L’opposizione agli interventi a livello genetico nasce da un idealizzazione della Natura, tipico
processo della società industriale; perché nel mondo pre-industriale la natura era tutto
tranne che buona e bella.
L’avversità nei confronti degli OGM deriva anche dall’estrema e immotivata tutela dei
prodotti locali; non si capisce che chiudendo le porte all'ingegneria genetica il tanto amato
Made in Italy si andrà a perdere.
Un altro motivo è perchè gli OGM sono in mano alle multinazionali, ma anche tutti gli altri
settori lo sono.
Basta sostenere che gli OGM non rientrano nelle linee di sviluppo agricolo del paese e il
gioco è fatto, gli agricoltori di quel paese non possono più nemmeno pensare di coltivarli. Più
arbitrio per gli stati, quindi, meno libertà per i loro cittadini.
OLIO DI PALMA
La paura dell’olio di palma deriva da una campagna mediatica mondiale priva di qualsiasi
fondamento scientifico. La questione è nata negli anni 80 negli USA, scatenata dalla lobby
dei produttori di olio di soia, poi abbracciata in Francia dai produttori di olio di colza. Una
crociata salutista senza alcun fondamento scientifico.
Inizialmente le contestazioni erano di tipo sanitario, pericoloso per la salute a causa dei
numerosi grassi saturi. In realtà non è affatto pericoloso se assunto in una dieta bilanciata.
La seconda accusa era che per la produzione di olio di palma si disboscasse l’Amazzonia.
La coltivazione di palma da olio in realtà ha una resa produttiva maggiore (11 volte in più
rispetto all'ulivo).
E’ stato il suo successo la causa dei suoi problemi in quanto i produttori di altri oli vedevano
ridursi le loro quote di mercato di anno in anno.
LA CARNE SINTETICA
Ci troviamo di fronte a un caso di paura preventiva, la paura senza il corpo del reato. La
carne sintetica è originata dalla riproduzione di cellule staminali animali. Non essendoci
grassi questa carne risulta succosa e meno gustosa.
PREMESSA
In Mesopotamia sin dall’età del bronzo si trasportava la neve dalla montagna alla pianura.
Perché una simile impresa avvenisse era necessario ci fosse già domanda di questo bene,
potenziali acquirenti disposti a spendere qualsiasi somma pur di avere neve.
LE PRIME TESTIMONIANZE
La prima testimonianza scritta risale al 1780 a.c. in Siria, in queste tavolette viene riportata
la parola “shuripum” ovvero neve o acqua congelata. La neve veniva trasportata per viaggi
di anche 100-200 km, e questi avvenivano di notte per rallentare lo scioglimento del
prodotto. I coppieri erano coloro che si occupavano della pressatura e pulizia della neva.
Questa accortezza di carattere igienico sottolinea il suo utilizzo alimentare, ed il fatto che
venisse trattata dai coppieri evidenzia il fatto che venisse impiegata per il raffreddamento del
vino. La pulizia della neve era necessaria per evitarne un precoce scioglimento, infatti se
fossero stata presenti foglie o insetti si sarebbe più facilmente liquefatta.
Il ”kalakkum” era una sorta di cisterna utilizzata per la conservazione della neve, in seguito
nacquero le ghiacciaie in muratura “bit shuripum”.
Non vi sono documenti che attestano l’utilizzo della neve come conservante; il sale,
l'essiccazione e l’affumicatura sono metodi più efficaci ed assai più economici. Si trattava di
un prodotto di lusso escluso dai normali canali commerciali, chi se lo poteva permettere se
la procurava autonomamente. Il dono (strumento già utilizzato in ambito diplomatico) di
ghiaccio o neve aveva un profondo significato in ambito diplomatico, visto il pregio del
prodotto offerto.
Anche in Egitto si utilizzava la neve, Erodoto racconta come venisse usato per raffreddare il
vino d’orzo (birra). In Corea la neve aveva carattere sacrificale e religioso (offerta agli dei e
utilizzata per cerimonie).
Nel 400 a.c. nasce un primo commercio embrionale della neve in Grecia, ne abbiamo
testimonianza grazie ad alcune opere teatrali. La presenza delle montagne in praticamente
tutta la regione permetteva una relativa vicinanza tra la neve e la città. La Grecia classica
era quindi in grado di organizzare un sistema logistico di raccolta e commercio di neve,
anche se l’uso domestico era possibile solo dove il tenore di vita aveva raggiunto un certo
livello.
L'espansione coloniale portò i “psykter” nell’Italia Meridionale, e grazie alla loro grande
diffusione, già in epoca romana, quest’area divenne la più importante per la raccolta, il
commercio e la conservazione della neve.
La neve anche nel periodo romano veniva utilizzata per allungare il vino. Un colino e un
sacco di lino venivano riempiti di neve e attraverso di essi il vino veniva fatto filtrare. La neve
permetteva di trattenere le impurità, rinfrescarlo e allungarlo allo stesso tempo. Più il vino
era freddo, più l’ospite era importante.
Nell’Apicio si parla di “nives citrata”, neve mescolata a succo di limone, l’antenato della
granita. Non si usava la neve come conservante.
Dopo la caduta dell’impero Romano la neve non si riesce a mantenere il sistema logistico
del commercio, e così in Europa scompare con l’arrivo dei barbari. In Oriente resta invece.
PREMESSA
Il declino dell’Impero Romano d’Occidente, le invasioni invasioni barbariche e la difficile
convivenza tra le culture e i sistemi politici, provocarono nel mondo latino profondi
mutamenti negli usi e nei costumi.
Con le prime Crociate, gli europei che torneranno dall’Oriente si stupiranno dell’uso della
neve cosa di cui avevano perso la memoria. Le cose cambieranno in Occidente solo negli
ultimi due secoli del basso medioevo.
I barbari non conoscevano l’utilizzo della neve, furono gli arabi a tenere in vita le tradizioni
legate all’uso della neve. La penisola iberica e la Sicilia furono le uniche aree in Europa dove
la tradizione della neve si mantenne, anche nel corso dei primi secoli del medioevo, grazie
alla presenza araba.
IL SILENZIO DELLE FONTI
Nel giro di un secolo, la rete di scambi e infrastrutture che caratterizzava l’Impero Romano
svanì e venne sostituito dal sistema delle Curtis. Neppure la riunificazione attuata da Carlo
Magno con il Sacro Romano Impero riuscì a ristabilire un commercio organizzato ed
efficiente.
Le Crociate misero a contatto culture e modelli diversi, creando le condizioni per una ripresa
di consumi di neve. In Europa il consumo di neve conosce un costante incremento da 1300,
il fenomeno sarà inizialmente più evidente nell’Italia centro-meridionale, in seguito si
espanse in tutta la penisola.
PREMESSA
Nel 1500 la neve raggiunge un’importanza rilevante dal punto di vista economico e viene
sottolineato come l’aspetto logistico fosse quello più delicato dell’intera filiera. Gli operatori
del settore si resero conto che la domanda potenziale era molto alta così iniziarono ad
elaborare strategie per abbassare i costi e rendere accessibile il prodotto a una più ampia
gamma di consumatori.
L’incremento demografico del 1500 portò a una grande inflazione che a discapito dei più
poveri concentrò la ricchezza in pochi eletti. Si assiste a un impennata nei consumi dei beni
di lusso da parte della borghesia.
LA MODA PRENDE PIEDE IN ITALIA E NON SOLO: DALLA NEVE NEL VINO AL
GELATO
Durante il periodo del Rinascimento vi fu un cambiamento degli usi e dei costumi. Le entità
amministrative divennero più solide e permisero di ottenere una stabilità politica, che
consentì un aumento dei commerci. Nel corso dell’età moderna si diffuse la neve come
ingrediente per la preparazione di granite, gelati e sorbetti.
La storia del gelato affonda le sue origini nel sud Italia ma è di probabile derivazione araba.
La parola sorbetto deriva da “sharbit” che significa succo, gli arabi portarono in Italia
l’usanza di mescolare succhi di frutta e neve.
In Italia e Francia bere freddo e mangiare sorbetti erano pratiche sconsigliate dai medici. Nel
corso del 1500 iniziano a comparire in Francia e Italia le ghiacciaie. Queste strutture
permettevano di ridurre la frequenza dei trasporti dalle zone di montagna durante l’estate. Si
notò che la perdita di prodotto era percentualmente inferiore all'aumentare della quantità, ma
per poterlo fare bisognava che vi fossero adeguate strutture per conservarlo.
Dalle prime del 1600 descrizioni i sorbetti sembrerebbero delle bevande liquide. Solo alla
fine del 1700 si vede una ricetta che non prevede l’utilizzo della neve come ingrediente,
questa è stata scritta dal cuoco napoletano Vincenzo Corrado. Si ha a che fare dunque con
un composto morbido e mantecato. Si utilizzano contenitori di terracotta, inseriti in vecchie
botti piene di neve e sale. Il composto refrigerante rendeva l’acqua zuccherata e
aromatizzata nel contenitore di terracotta via via sempre più solida, quest’ultima veniva
mescolata fino a raggiungere lo stato cremoso.
Poi si iniziò a mescolare la neve con il sale per ottenere temperature più basse. I contenitori
di terracotta vennero sostituiti da quelli in stagno, rame e ferro; prendendo il nome
effettivamente di sorbettiere. La prima sorbettiera venne inventata da Nancy Johnson nel
1843. Era formata da un tino di legno a doppia parete ricoperto di materiale isolante con un
tappo di scarico per acqua derivata dallo scioglimento della neve. All’interno vi era una
sorbettiera in rame dalla struttura a forma di pera che veniva fatta ruotare da una manovella.
La sorbettiera e l’aggiunta della panna al composto permisero di passare alla creazione del
gelato vero e proprio. L’invenzione dell’energia elettrica permise poi di avviare impianti
industriali di gelati confezionati.
Già dal 1600 l’offerta di neve e ghiaccio non soddisfava la domanda, nacque così la raccolta
e la conservazione del ghiaccio organizzata ed istituzionalizzata. Il ghiaccio era più
facilmente conservabile della neve, permetteva più efficiente stoccaggio, riduceva le perdite,
diminuiva la frequenza delle spedizioni e abbatteva così i costi di trasporto.
I più grandi consumatori di ghiaccio (ospedali, mattatoi..) si dotarono di proprie ghiacciaie, lo
stesso fecero le famiglie nobili e borghesi. La costruzione e la manutenzione di ghiacciaie, in
montagna e pianura, per raccolta e vendita estiva, divenne sempre più costosa.
La raccolta del ghiaccio era lasciata ai contadini delle aree montane, ma la proprietà delle
ghiacciaie era di pochi imprenditori di cui i contadini divennero salariati saltuari. La neve
invece era commerciata per lo più da coloro che la raccoglievano, essa quindi era un ricavo
extra per le famiglie contadine di montagna.
Solo nel 1574 Nicolò Monardes scrisse un trattato in cui si affermava che bere bevande
fredde era innocuo (se non favorevole) nei confronti della digestione. D’opposta opinione è
Salini che nel 1609 ipotizza che bere acqua o vini freddi possa provocare la perdita di senno
e che nelle donne incinte provochi la naturale nascita di una femmina. Nel 1700 grazie alla
spinta del pensiero liberale si concluse che ognuno poteva bere quel che voleva alla
temperatura che voleva.
DI CHI E’ LA NEVE?
Lo stato visto il crescente commercio della neve iniziò ad avanzare qualche pretesa fiscale
sull’uso della neve. I ricchi però erano gli unici a consumare ghiaccio e neve, sarebbe stato
buffo vedere un nobile tassare sé stesso per un piacere che riteneva irrinunciabile. Per
molto tempo quindi il commercio della neve restò un attività libera.
Per garantire l'approvvigionamento di neve alle città si istituirono le privatie, ovvero una sorta
di appalto per il rifornimento di neve. Vi erano due grandi problemi:
- la disponibilità del bene dipendeva dall’andamento del tempo;
- la domanda dipendeva dall’andamento del tempo.
Per il primo problema l’unica soluzione era includere nella privatia qualche clausola che
tutelasse l’appaltatore. Per il secondo niente da fare, la neve è di tutti. O no?
CAZZATA, fu quello che rispose Camillo Borghese (avvocato e futuro Papa, che prenderà il
nome di Papa Paolo V): la neve cade dal cielo e quindi è dono di dio, il Papa
rappresentando Dio in terra ha tutto il diritto di esigere una tassa sulla neve. Così nel 1608
nasceva a Roma la “privatia della raccolta e vendita della neve e del ghiaccio del circondario
delle 60 miglia”.
PREMESSA
Tra il 1700 e il 1800 si creeranno veri e propri distretti del freddo e una rete fortemente
globalizzata; con uno straordinario miglioramento dei sistemi di stoccaggio e conservazione.
L’INARRESTABILE CRESCITA DEI CONSUMI
Nel 1770 Brydone, giovane nobile inglese, fece tappa in Sicilia durante il suo Grand Tour, e
totalmente ignaro dell’esistenza di sorbetti e gelati prese una grande indigestione. Solo
qualche decennio dopo, a Londra scoppiò una vera e propria mania per il ghiaccio.
Dopo la seconda metà del 1700 la disponibilità di ghiaccio crebbe, e di conseguenza così
ospedali, pescherie, macelli ne divennero i grandi consumatori istituzionali. Ciò spinse i
produttori ad incrementare e razionalizzare l’offerta, innescando un circolo virtuoso che
spostava sempre più avanti i limiti della produzione. Il problema era il vincolo del meteo. La
realizzazione del ghiaccio artificiale aveva lo scopo di stabilizzare l’offerta (ma dovremo
aspettare un po’ prima che venga scoperto il suo processo di produzione).
Si formarono così veri e propri distretti del freddo. Uno di questi era Charleston (a Boston)
gestito da Frederic Tudor, chiamato “The Ice King” che dal 1806 iniziò ad esportare ghiaccio.
Il principale mercato dal 1840 divenne quello inglese. Nel 1856 la Tudor Ice Company istituì
un servizio regolare verso Hong Kong e Giacarta.
La trasparenza certificava la purezza del ghiaccio, più era bianco, più ricordava la neve
pressata e quindi un prodotto scadente. L’opacità del ghiaccio deriva da una presenza di
bolle d’aria nel blocco che effettivamente ne velocizzano lo scioglimento.
La concorrenza dei Norvegesi sul mercato Inglese si fece sempre più agguerrita, le loro navi
distavano solo 3 giorni da Londra contro i 15 giorni di navigazione necessari da Boston. Gli
Americani non si scoraggiarono e la Wenham Lake Ice Company rispose alla sfida
norvegese migliorando i sistemi di stoccaggio, raccolta e coibentazione. Il ghiaccio
americano riusciva quindi ad assorbire i costi di trasporto e restare competitivo.
Nel 1825 Wyeth (il più grande collaboratore di Tudor) inventò l’ice plough, ovvero l’aratro da
ghiaccio, che sfruttava i cavalli per incidere blocchi uniformi e più facilmente trasportabili e
stoccabili nelle ghiacciaie. Questo insieme ad altri 52 brevetti (seghe, pinze, slitte apposite)
ridussero di un terzo i costi di produzione, rendendo la Tudor Ice Company la società più
efficiente del settore.
Il problema principale dovuto al commercio globale era lo stoccaggio. Già nel 1816 Tudor
aveva costruito all’Avana una ghiacciaia sperimentale che conteneva fino a 150 tonnellate di
ghiaccio. Qui condusse uno studio sui diversi materiali isolanti, partì con pannelli di
compensato riempiti di truciolato a doppio strato per poi passare a quelli a triplo ( si
riuscirono ad abbattere i costi di un 80%).
Nel 1850 diventarono diffuse le ice box, rudimentali frigoriferi. Fu proprio questo consumo
domestico (insieme alla costante necessità degli ospedali di essere riforniti) a spingere per
la produzione di ghiaccio artificiale.
L’area di produzione più importante era la Sicilia; qui la raccolta e il commercio di neve
aveva una tradizione millenaria. Tutta Italia era organizzata in privatie ma qui le cose
funzionavano diversamente. Molte istituzioni pubbliche avevano investito nell’acquisto o
costruzione di ghiacciaie. Coloro a capo di questo commercio venivano chiamati “signori
della neve”. Queste figure erano in grado di anticipare l’acquisto di tutta la raccolta della
neve ancor prima che iniziasse l'inverno. Le rotte commerciali esterne, come Malta e Nord
Africa, erano più redditizie della vendita nelle città siciliane; così i principali esportatori
lasciarono i principali centri urbani sprovvisti di neve.
Anche in Puglia la tradizione della neve era ben presente, anche se la sua utilità era riferita
alle scorte idriche per il periodo estivo. Il clima decisamente sfavorevole impose un
miglioramento nelle tecniche costruttive. Le ghiacciaie erano in gran parte ipogee e
potevano contenere anche diverse centinaia di quintali di neve.
Un altro distretto del freddo era l’alta valle del Reno che riforniva Firenze e Bologna, la
raccolta del ghiaccio permise di rallentare lo spopolamento di quelle montagne. Questo
distretto continuò a rifornire Emilia Romagna e Toscana fino alla Prima Guerra Mondiale,
arrivando fino a Roma dopo l’unificazione del paese grazie allo sviluppo delle ferrovie.
Il distretto era quello della Lessinia dove vi era un immensa quantità di ghiacciaie a
conduzione familiare, che copriva gran parte di Pianura Padana e Dalmazia.
L’Altopiano di Asiago che aveva ottimi rapporti con il governo di Vienna, in quanto il suo
ghiaccio veniva portato a Trieste (un tempo sotto l’impero asburgico), e da qui andava in
tutto il Mediterraneo Orientale. La neve ghiacciata era sistemata in barili ricoperti di sale, un
sistema più costoso di quello americano ma più efficiente.
Questa attività preindustriale era talmente capillare che l'Italia fu l’ultimo paese ad
abbandonarla definitivamente. Le ghiacciaie rimasero attive fino al 1940.
Leonardo Santoro nella seconda metà del 1700 usava il freddo per curare gli aneurismi e
tutti i tipi di traumi, in particolare le commozioni cerebrali. Nello stesso periodo gli ospedali si
dotarono di ghiacciaie interne per avere una propria scorta di freddo nei diversi reparti. I
contratti con i fornitori di neve erano di carattere pluriennale e prevedevano pesanti penali
per ritardi. Un ospedale senza neve o ghiaccio non poteva funzionare.
Gli ospedali per assicurarsi il ghiaccio iniziarono ad acquistare ghiacciaie ma vi era ancora la
grande variabile rappresentata dal meteo. I medici furono i primi a cimentarsi nella
produzione di ghiaccio artificiale proprio per ridurre questa incertezza legata al clima.
Le fabbriche del ghiaccio prima erano tenute a rifornire gli ospedali e poi tutti gli altri.
I primi esperimenti li fece Michael Faraday nel 1823 quando tramite la liquefazione del cloro.
Aveva fatto scaldare un tubo di vetro chiuso ermeticamente contenente del cloro facendo
tornare l’elemento allo stato gassoso. Questa reazione chimica porto al raggiungimento di
-34°. Scaldando un elemento si potevano raggiungere temperature estremamente basse.
Bisognava solo trovare l’elemento che potesse essere scaldato velocemente (diventare
gas), che potesse essere raffreddato velocemente (tornare liquido), poco costoso, poco
pericoloso.
Nel 1858 i fratelli Carrè in Francia brevettarono il primo frigorifero ad assorbimento di gas
che utilizzava l’ammoniaca come refrigerante, la sostanza più utilizzata d’ora in avanti fino
alla fine del secolo.
Fu per via della Guerra di Secessione Americana che nacquero i primi impianti industriali di
produzione di ghiaccio. Il blocco commerciale tra Nord e Sud degli USA durante la guerra
impose la ricerca del ghiaccio tramite altre vie. Venne così importata un frigorifero dalla
Francia. In Texas ne vennero studiate le tecnologie e nel 1868 nacque la prima fabbrica di
ghiaccio artificiale che vendeva il ghiaccio alla metà del prezzo.
L’invenzione del ghiaccio artificiale fu una rivoluzione per il trasporto di beni deperibili,
rendendo possibile il trasporto di carne macellata.
CAP 5 IL NOVECENTO