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IL Formaggio CON LE PERE

Storia dell'alimentazione (Università di Bologna)

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IL FORMAGGIO CON LE PERE


1) IL PROVERBIO DA DECIFRARE
2) UN PATRIMONIO ANNUNCIATO
L’accoppiamento si delinea (ormai come ovvio alimentare) come un vero e proprio luogo comune, meatale e
linguistico prima che alimentare. A quanto risale l’abitudine di abbinare il formaggio con le pere?

Negli usi alimentari romani i frutti erano da consumarsi dopo i pasti. Solo alla fine del medioevo si
cominciava a vederli associati ai formaggi.

Per ovvi motivi furono collocati alla fine di un pasto, sia per motivi di gusto ma anche per la scienza dietetica
basandosi sui principi della medicina galenica. I quali regolavano le tecniche di cottura, criteri di
abbinamento e anche l’ordine delle vivande. Un esempio di validità generale era iniziare il pasto con cibi
(simile a un aperitivo) con cibi che aiutassero ad aprire lo stomaco per poter facilitare la disposizione degli
alimenti. Successivamente al termine del pasto, si consigliava di farlo con cibi sigillatori, capaci di chiudere lo
stomaco per favorire il processo digestivo.

 << dio non ha mai fatto un matrimonio così riuscito come quello tra una pera e il formaggio>>
testimonianza più antica che risale dalla Francia del Duecento che la troviamo in un’espressione
proverbiale.
 Bartolomeo Sacchi, il Platina. VX secolo  mangiare il formaggio (in particolare quello stagionato)
alla fine del pasto, toglie la nausea dei cibi grassi e sigilla la bocca dello stomaco.

Non si riteneva concluso un pasto se la bocca non sapeva di formaggio.

Anche la pera veniva collocata alla fase finale di un pasto:

 Aldobrandino da Siena, uno dei più celebri medici del Duecento << tutte le pere restringono il
ventre se digerite prima di aver mangiato, ma lo sciolgono se mangiate dopo il pasto, perché sono
pesanti e quindi fanno scende il cibo in fondo allo stomaco>>

I due prodotti si trovano assieme a sciogliere il cibo e sigillare lo stomaco.

Gli usi conviviali che nei secoli in questione, prevedevano il servizio contemporaneo di vari cibi a ciascuna
portata. Ogni commensale poi spettava la decisione di cosa mangiare. All’ultimo servizio, pere e formaggi
stagionati arrivavano assieme.

In spagna, del Seicento si sosteneva che il formaggio si poteva mangiare a cena come dessert al posto della
frutta

Il Francia: oltre al precedente proverbio, a differenza del primo continua ad essere usato nel linguaggio
comune << tra il formaggio e la pera, ciascuno dice la sua canzone da bere>> proverbio che dichiara la fine
del pasto, quando tutti cominciano ad essere allegri.

La pera e il formaggio in questo caso sono solo degli indicatori nello spazio conviviale, durante il quale sono
serviti e consumati.

In Italia: anche qui viene l’abitudine di servire il formaggio con le pere accompagnato con tanta convivialità:

 Michelangelo Buonarroti, il quale evoca nei suoi versi il momento conviviale delle pere, formaggi,
finocchi e qualche sfogliata.

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In Italia sia nelle fonti letterarie che quelle documentarie delle prime testimonianze dell’abbinamento
formaggio-pere risalgono nel XIV secolo. Forse l’attestazione più antica è quella di Francesco Petrarca:
<<Addio: l’è sera. / Or su vengan le pera, / Il cascio e ‘l vin di Creti>>.

I luoghi chiave sembravano essere la Francia inizialmente e l’Italia successivamente.

3) UN CIBO DA CONTADINI
Il formaggio è il cibo di Polifemo (uomo-bestia), odisseo e i suoi compagni penetrano nel suo antro e
decisero di aspettarlo, lo videro tornare e si mise a mungere le sue pecore, disegnandolo con aria molto
primitiva. Perché i consumatori abituali di latticini sono barbari, persone non civilizzate, umanità ancora
incapace di prendere in mano il loro destino e produrre il proprio cibo e la sua bevanda (pane e vino). Plinio
il Vecchio, infatti trova sorprendente come un barbaro riesce a trasformare il proprio latte in formaggio, ma
ciò non toglie che l’immagine del prodotto sia assimilata all’origine del latte, simbolo per eccellenza
dell’infanzia. I pregiudizi in ordine culturale associavano il formaggio a un mondo di pastori e contadini, per
una gastronomia povera. Ma non sempre questa era un’immagine negativa, perché si associava alla vita di
un contadino, felicità e incontaminazione, la campagna era idilliaca, ma dato che era un mondo povero si
dovevano accontentare del formaggio e alimenti rustici. Columella scrive che << il formaggio non serve solo
a nutrire i contadini ma anche a ornare le mense eleganti>>.

Ma questa immagine antica torna nel medioevo, il formaggio è per gli avventori di osteria. Nel XIII secolo
tutti i contadini dipendenti di un monastero bresciano, quando consegnano i canoni di affitto hanno diritto a
una merenda di pane e formaggio, ma i contadini che si occupavano del lavoro di vendemmia per conto
della proprietà potevano ricevere pane e carne.

La scienza medica in questo campo è sempre stata fortemente perplessa sulla sua fermentazione e
coagulazione, diffidando dalla cattiva sostanza definendola indigesta.

4) QUANDO IL CIBO è RUSTICO DIVENTA DI MODA


Durante il medioevo, il formaggio cominciò a nobilitatasi modificando l’immagine sociale e culturale. Il ruolo
che assunse nella comunità monastica fu importante, rappresentato come “povertà spirituale”. Elemento
essenziale per la sostituzione della carne assieme alle uova e il pesce (modelli popolari in ambienti elitari).
Questo contribuì a una attenzione nuova al formaggio, consentendone successivamente il consumo nei
giorni di magro a partire dal XIV-XV secolo. Ma contemporaneamente la dieta dei potenti ne faceva
volentieri a meno, poteva essere utilizzato come ingrediente di ricette ma non come prodotto a sé. In Italia
però l’impiego del formaggio comincia ad apparire nel gusto dell’élite nel libro trecentesco libro della cucina
(formaggio arrostito allo spiedo su una fetta di pane). Ma il vero successo lo acquisisce con l’abbinamento
della pasta. Il sogno di un paese di Bengodi con al centro, una montagna di formaggio, in cima alla quale
non si faceva altro che cuocere maccheroni, sogno tipicamente contadino.

Nel Trecento Francesco Petrarca, riconosce i piaceri alimentari semplici, poveri improntati al gusto rustico,
importando valore al contadino dando un modello di semplicità ed essenzialità valorizzando i cibi poveri
come verdure e formaggio.

In questo clima Antonio Beccadelli scrive <<Elogi del formaggio>> dove il formaggio stesso parla
raccontando come il pastore lo ha creato per poi portarlo a vendere in città.

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Il primo trattato europeo dedicato ai latticini fu opera di un medico italiano, Pantaleone da confidenza, 1477
pubblica summa lacticiniorum, enciclopedia dedicata agli aspetti ambientali, igienici, dietetici, gastronomici
del latte burro e formaggio. Propone per la prima volta un’immagine positiva del formaggio ma senza
andare in polemica contro il pensiero di Galeno e Ippocrate. Definendo che il formaggio è sempre difficile
da digerire quindi è da escluderlo per tutti i giorni, ma c’è un formaggio per ogni persona (vecchi e giovani)
e per ogni temperamento (estate e inverno). Ma il formaggio è un prodotto che a tutti piace; quindi, va
bene sia per i nobili che per i plebei. I ricchi possono permettersi di osservare le regole della scienza medica
ma i plebei non hanno altra alternativa.

Questo è il secolo legato all’apparire, quindi si guardava molto la qualità, tecnica di produzione e la
provenienza dei prodotti, e si cura a descrivere i vari tipo di formaggio con la loro città annessa (il
<<piacentino>> parmigiano, il <<marzolino>> il pecorino di Firenze... ecc.) Grazie alla summa, il formaggio
incontrerà grande successo per i cittadini italiani.

Gli ultimi secoli del medioevo (XV- 1400 d.c.) il formaggio era oggetto di dono fra i signori, dando un
ennesimo segno di nobilitazione di non ritorno, così definendolo non più come ingrediente, ma come un
prodotto in sé. Ma questo successo ha reso in questo periodo particolari differenze, polemiche e sospetti sul
bianco prodotto, aprendo una forte discussione.

5) UNA NOBILITAZIONE DIFFICILE


Ercole Ben ti voglio pubblica nel 1557 un componimento poetico in lode del formaggio, irrinunciabile
complemento di ogni vivanda che si rispetti, irrinunciabile integratore di energie fisiche e di potenza
sessuale, solo gli stolti possono definirlo cibo volgare e contadino.

Giulio Landi in onore al cacio piacentino, pubblica la prima edizione (anonima) della Formaggiata nel 1542,
dedicata a Ippolito Medici, nipote di Clemente VII. Il trattato si avvia con le illustrazioni delle parti materiali
(eccellenza e virtù dei pascoli, erbe, acqua, aria, bestie grasse e sane). Landi riconosce che bisogna esibire
un’abilità, un sapere contadino che in qualche modo bisognerebbe rispettare, ma figlio di una cultura
anticontadina, non interessa, inventandosi un’operetta di corte. Landi spiega che il piacentino non è fatto da
contadini maschi rozzi ma da pastorelle gentili e piacevoli. Fare il formaggio in questo modo è propriamente
da signore, re e imperatore. Ma i medici continuano a non volerne sapere e non approvano la Formaggiata
di Landi, la polemica continua ben oltre il Cinquecento,

6) IDEOLOGIA DELLA DIFFIDENZA E STRATEGIA DI APPROPIAZIONE


Il formaggio quindi, negli ultimi secoli del medioevo lo hanno ammesso in società. La società però non crede
ancora che gli uomini siano tutti uguali fino alla Rivoluzione francese e alla dichiarazione dei diritti
dell’uomo. Confondere il cibo di un contadino e quello di un gentiluomo sarebbe pericoloso, sia per la salute
degli individui che per l’ordine sociale.

Le sottilissime astuzie di Bertoldo di Giulio Cesare Croce, introduce a corte un’opera pubblicata il 1606 un
villano ovvero Bertoldo, che abituato a cibi grossi e pesanti, andando a corte cominciò a gustar le vivande
gentili, ma si ammalò. I medici cercarono di curarlo ma Bertoldo sapeva che solo i fagioli, la cipolla e le rape
potevano salvarlo, e morì. Il cibo, quindi, deve sostenere e nutrire l’identità di chi lo consuma.

Le ricette codificate tra tardo medioevo e prima età moderna, sorprende le aspettative con ricette
contadine arricchite per gentiluomini. Il prezioso brie per arricchire la zuppa di piselli, il parmigiano gentile
va a scegliere la mensa dei signori, una semplice polentina di legumi o cereali poveri arricchita con spezie.

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L’importanza cruciale sono gli accostamenti per nobilitare le pietanze, allora il formaggio con le pere non
potrebbe essere un ulteriore pratica di nobilitazione?

7) UN FRUTTO DI ALTO LINGUAGGIO


Nella cultura medioevale i frutti sono percepiti come di élite (golosità signorile). In particolare, i frutti
delicati e deperibili, in fatti le pere che si mantengono a lungo non è la pera signorile, ma quella molto
matura con la buccia sottile si definisce signorile (simile al corpo di una gentildonna), infatti lo scambio di
frutti è segno elegante e prestigioso omaggio, fino all’alto medioevo.

La coltivazione degli alberi da frutto resta per tutti il medioevo una realtà economica di prestigio
scarsamente praticata nei poderi contadini. Solo nel tre-quattrocento si assiste a uno sviluppo di
frutticultura, consolidandosi il prestigio dei frutti grazie al pensiero filosofico-scientifico del parallelismo fra
società degli uomini e dei vegetali, esseri viventi paragonati ad anelli di una catena dell’essere, di cui la
posizione dava valore di nobiltà. I frutti degli alberi, prodotto più prestigioso del mondo vegetale andava
bene se mangiato dai nobili.

Proprio tra XIV e XV secolo. Si diffonderla moda della poesia della frutta e la consuetudine di regalare frutti
fa accrescere la sua carica simbolica. L’immagine più socialmente elevata della pera, sono i connotati erotici,
quando lo scambio di doni avviene non fra signori, ma fra amanti. Questo ci fa pensare che un impensato
legame con il formaggio, da un carattere di sensualità non più signorile, ma con un prurito animalesco, più
contadino.

Nel corso del XVI secolo, la pera e la sua agricoltura diviene oggetto di trattazione nelle scientifiche:

- Giovanni Vettorio Soderini, trattato degli arbori. Il pero ha in ogni paese le sue varietà, ma tutte si possono
trasportare e acclimatare, moltiplicando e diversificando le specie. Dettagliate istruzioni spiegano come,
dove, quando piantare le singole specie.

- Agostino Gallo, trattato dell’agricoltura 1569, perché si piantano più peri che meli? Il motivo è che i peri
fruttificano per un periodo più lungo tutti gli anni, da maggio a novembre.

Le pere si possono seccare e conservare ma automaticamente non è più un prodotto di prestigio sociale, ma
di quello contadino. Durante la carestia che colpì l’Italia nel 1338 Costanzo Felici e Vincenzo Tanara scrisse
che le pere venivano conservate secche (al sole o al forno) il quale ne facevano pane perché ridotte in farina
(gesto estremo indotto all’emergenza). D’altronde nel paese della cuccagna nell’immaginario contadino le
pesche erano sempre fresche.

- Bernardino Carroli nel 1581, “educazione rurale” <<il frutto del pero, è signorile di molte sorti e sapori,
questi frutti si mantengono poco, quindi è meglio coltivare pochi peri, per riservarne l’uso ai peri.>>

Quindi questo immaginario si portò all’estremo per secoli. Lo statuto sociale della pesa, decisamente
religioso opposto a quello del formaggio. L’accostamento l’uno all’altro poteva avere un significato di
nobilitazione, ma il problema rimaneva nel rapporto fra scienza medica e mode alimentari che davano forti
perplessità nei confronti dei frutti in genere.

8) QUANDO IL DESIDERIO CONFLIGGE CON LA SALUTE


Nell’Europa di fine Seicento la passione dei frutti non solo rispondeva alle esigenze del “buon gusto” ma era
anche una infatuazione collettiva d’élite.

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La novità era che i frutti potevano giustificare in termini scientifici, il beneficio per la salute individuale. La
motivazione era il progresso della frutticoltura e del miglioramento della qualità dei frutti.

La scienza medica si era da sempre basata sui principi delle scienze alimentari correlati anche agli usi di
cucina. I principi basati sulla fisica di Aristotele e formulati da Ippocrate nel V-IV a.C. tutto fu ricondotto a

4 elementi costitutivi dell’universo acqua, aria, terra e fuoco


4 qualità primarie Caldo, freddo, umido e secco
Combinando questi sopra si determina la natura di ogni Piante, animali e uomini
essere vivente
Nel corpo umano i 4 elementi e le 4 qualità primarie Sanguigno: caldo e umido
manifestano i flussi vitali (gli umori) Collerico: caldo e secco
Malinconico: freddo e secco
Flemmatico: freddo e umico
Altre variabili sono determinate: - Età (caldo il giovane freddo il vecchio)
- Genere (umide e fredde le donne rispetto
agli uomini)
- Clima
- Stagioni
Ogni individuo doveva trovare la sua natura e smussare l’eccesso trovando il proprio punto di equilibrio
della propria salute.

Il pensiero medico oscillò a lungo fra:

- l’idea che bisognasse adattare la dieta a ciascuna natura degli individui (individuo di natura calda e secca,
mangia cibi caldi e secchi) idea che prevalse fino al tardo medioevo

- l’idea che al contrario bisognava contrastare la dieta a ciascuna natura degli individui (individuo di natura
calda, mangia cibi freddi e umidi) idea che prevalse dopo il tardo medioevo.

Molti frutti erano valutati come estremamente freddi (data la loro acidità) ciò impediva il loro particolare
prestigio sociale

 GALENO: descrive la pera <<miscuglio terrestre e di acqueo>>


 ARISTOTELE: natura fredda e secca
 AVICENNA: quattro gradi di intensità per ciascuna delle quattro qualità
 AVERROÈ: fredde e secche sono le pere acerbe, temperate invece le mature
 KITAB AL AGDIYA: la natura della pera dolce è calda e umida, quella della pera acida è fredda e
umida, quella stiptica è fredda e secca. In generale la pera però ha la propensione ad essere fredda.
 ZUCCHERO BENCIVENNI, inizi del 300’: è meglio evitare le pere come alimento e utilizzarle solo
come scopo terapeutico

Le ragioni del gusto e della moda confliggevano con quelle della salute: mangiar pere comportava dei rischi.
Per scongiurarli si elaborarono opportune strategie, sue soprattutto.

LA PRIMA, accompagnare le pere al vino. Le pere sono pesanti e di natura fredda, quindi difficili da digerire,
per questo se accompagnate con il vino (caldo e umido) si riesce a temperare la loro freddezza. <<senza
vino le pere sono veleno>>.

La cattiva reputazione della pera faceva si non si utilizzerò più nella scienza medica, ma era molto presente
nei proverbi.

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LA SECONDA, per combattere il pericolo si poteva provvedere a una cottura, temperandola. << se le cuoci, le
pere si trasformano in antidoto del loro veleno>> ma anche se cotta la pera va sempre consumata a fine
pasto.

L’aggiunta di spezie durante la cottura per chi se lo poteva permettere, era un ulteriore riscaldamento, per
renderle più digeribili.

Ma quindi la combinazione di pere e formaggio e stata data dai temperamenti e combinazioni degli umori?
Sebbene logico da pensare non ci sono consigli medici scritti, ma possiamo dire che la pera a un certo punto
della storia interviene a correggere la natura del formaggio.

Il primo a parlarne Castor Durante da Gualdo (1565) << la nocività del formaggio si può ridurre mangiandoci
delle pere>> indizi che però anche la dietetica da indizi che l’accoppiamento gioca dalla sua parte.

Il cerchio si chiude: la correttezza sociale della pratica gastronomica è stata confrontata dal riconoscimento
della sua convenienza dietetica. L’accoppiata formaggio + pera non ha più controindicazioni per essere
assunta come simbolo delle classi alte.

9) VILLANI E CAVALIERI
Formaio, pero, pan, pasto da villan.
Formaio, pan e pero, pasto da cavaliero.

Anche se sembra, l’idea che contadini e cavalieri mangiano le stesse cose è impensabile.
La coppia formaggio + pane è sicuramente uno dei principali simboli alimentari dell’identità contadina,
l’aggiunta della pera è un segno di nobilitazione, per questo è un segno di nobilitazione; invece, la coppia
formaggio + pera invece è un segno di differenza sociale (più signorile), ma di qui si aggiunge il pane, in che
significa che il soggetto non si accontenta del pane come da accompagnamento (companatico) ma come
elemento essenziale di sazietà, per la fame o paura di essa. Di qui si definisce da villano.
Ma il cacio, pane e pere si può riconoscere che sono dei cibi non lussuosi, ma di cui si cibavano i cavalieri
una volta. Si, abbiamo detto che la pera è sempre stata si stirpe élittiana anche se non ben vista dai medici,
ma è anche vero che le pere non sono inaccessibili, non sono come le spezie o prodotti costosi, ma sono
coltivate dai contadini ed hanno una quotidianità nel mondo contadino, di cui l’immagine non ne rende più
cosi esclusiva.

Ma per scongiurare i rischi che il modello alimentare dei villani e dei cavalieri erano simili, si introdusse
l’idea della conoscenza esclusiva a pochi privilegiati di distinguere il formaggio dal formaggio, le pere dalle
pere. Questo avvenne in concomitanza a un mutamento fondamentale nel mondo di concepire la nozione di
gusto.

10) SAPORE E SAPERI


Il gusto è una attitudine naturale o culturale? Nel Medioevo l’idea di pensalo come una capacità naturale,
che consente la qualità dei cibi, funzionalità di chi deve assumerli, manifestata semplicemente dalla
maggiore o minore piacevolezza, una volta messo in bocca e degustato.

- Avicenna, “se il corpo dell’uomo è sano, tutte le cose che gli danno miglior sapore alla bocca sono
quelle che lo nutrono meglio”.

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Il meccanismo è semplice:

 da un lato il bisogno fisiologico di mangiare genera desiderio (la voglia quindi di mettere qualcosa
sotto i denti)
 dall’altro la natura stessa di un cibo genera il suo sapore senza che in questo caso l’individuo
possa modificarne l’accezione primaria.

Se il desiderio e il sapore si incontrano positivamente nell’atto gustativo, quindi se il cibo piace


all’individuo vuol dire che si addice al bisogno fisiologico di chi lo sta mangiando.

Ma la questione del gusto non poteva riconoscere chi unque, un sapere istintivo, ma chi insegna a fare
questo agli animali? Essi hanno la capacità di conoscere in modo non consapevole; quindi, a volte gli animali
ne sanno in più degli uomini, ma i contadini sono degli animali…

Queste bestie umane, di cui hanno l’aspetto di un animale possedendone tutta la loro cultura, hanno un
sapere primordiale, che si confronta incessantemente alle richieste delle classi dominanti.

La cultura medioevale aveva creduto di risolvere il problema, grazie alla scienza medica, ovvero, uomini
diversi, naturalmente gli piacciono cibi diversi. Continuando lungamente nell’idea che al contadino non
piacerebbero i cibi raffinati, li rifiuterebbe o lo farebbe triste.

Le cose si complicano quando è sopravanzata un’idea diversa: quella del buongusto, sapere coltivato,
filtrato dall’intelletto. Con il tempo fra XVI e XVII si afferma che la capacità di imparare a valutare non
implica solo alla scelta dei cibi, ma tutto ciò che lo rende bello, appagandolo con la vista, udito, tatto,
odorato, che solo con in impegnativo addestramento intellettuale consente di apprezzare.

Secondo Luca Vercelloni, il termine gusto non riguarda più l’area alimentare ma ha un senso estetico, gusto
 senso del palato. Il buon gusto, quindi, finisce per imporsi come un’idea di un sapere mediato.

In età rinascimentale, il meccanismo di Flandrin, ha chiamato la distinzione attraverso il gusto, ci si


ripropose di creare <<una cultura programmaticamente riservata a una élite e di cui la maggioranza dovesse
essere esclusa>>. Il gusto assume un carattere più aristocratico ed elitario, ma il gusto diventa una
questione di intenditori, per che ha la capacità e l’abilità di imparare. Quindi l’ipotesi che il contadino possa
piacere il cibo del signore non è più attendibile, negando così il sapere a chi non ne è socialmente degno.

Nel XVI secolo il dibattito sull’istruzione contadina è all’ordine del giorno. Camillo Tarello nel 1567 e Gian
francesco nel 1772, difendono il contadino perché il diritto di conoscere, ma il sistema di ignoranza di cui i
contadini sono tenuti è pensato dalla maggior parte dei proprietari terrieri in funzione del proprio interesse.
<<al contadino non far sapere>> quindi non c’è dubbio che il proverbio è costruito da una classe dominante.

11) COME NASCE UN PRVERBIO


Non ti faccia, villano, Iddio sapere,
ciò è che tu non possa mai gustare
cardi, carciofi, pesche, anguille e pere.

Francesco Serdonati, prima raccolta alla fine del Cinquecento:


Nono possa tu mai villan sapere
Cio ch’è mangiar pane, cacio e pere.

Il proverbio del formaggio e delle pere costituisce una variante gastronomica della “satira del villano”,
nell’Italia dei secoli XIV-XVI, strumento ideologico della lotta di classe. I signori contro i contadini, ma il vero
bersaglio polemico sono i contadini arricchiti, quelli che presumerebbero di imitare i costumi dei signori che

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effettivamente si formò nell’Italia del tardo medioevo, occupando spazi economici tipici delle borghesie
cittadine (attività commerciali, professionali).

Tra il XV e XVI secolo il mondo rurale ricominciò ad appiattirsi, le ambizioni dei contadini ricchissimi furono
troncate, sostenendo la chiusura degli spazi di privilegio.

Ma fin ora chi abbiamo definito come “signori”, “gentiluomini”, “cavalieri"? al cittadino la cortesia, al villano
la villania. In Italia la vera controparte del villano è un cittadino. Il signore che si contrappone al contadino
non è solo interessato al potere sugli uomini ma al profitto delle sue terre e ansioso di definire il proprio
stile di vita in termini di raffinatezza e cortesia. Il villano invece, non è più solo un rozzo ma ben sì anche
ladro.

Sabadino degli Arienti, scrittore bolognese XV Secolo. Vi si rappresenta uno scontro tra un signore (Lippo
Ghisilieri) e un contadino (Zucco Padella) una vera e propria guerra che si svolge attorno ad un albero di
peschi. Nel giardino del signore il contadino gli ruba i frutti, Lippo cerca di catturarlo la il cittadino scappa
burlandosi di lui. Il signore, quindi, fece far raccogliere tutti i frutti del suo frutteto tranne un Albero, il quale
fece scavare attorno una fossa, il contadino cercò di raccogliere i frutti dell’albero ma egli precipitò nella
fossa, lippo corse e gli fece gettare una caldaia di acqua bollente.

Il messaggio è chiaro, i frutti sono riservati ai signori e ai contadini non è lecito mangiarli, i cibi adatti ai
contadini crescono atterra se non sottoterra. Il furto non è descritto come una bravata, ma come una
provocazione consapevole fatta dal villano al Cavaliero.

Lo stereotipo del contadino- ladro, diffusissimo della cultura italiana del XV-XVI secolo, il furto costituisce
anche dal punto di vista contadino, la forma più semplice di lotta contro il privilegio sociale.

Il furto di alimenti può talvolta essere una semplice strategia di sopravvivenza, ma quando nel mirino ci
sono i frutti il furto diventa più simbologico, perché rubare nello <<spazio del buon gusto>> significa colpire
il signore in maniera simbolica particolarmente forte, simbolo del privilegio signorile.

12) <<NON DIVIDERE LE PERE COL TUO PADRONE>> IL PROVERBIO COME LUOGO
DI CONFLITTO DI CLASSE
Se i 2Cavalieri” costruiscono un proverbio che invita d’escludere il contadino dai piaceri della degustazione
attenta e intelligente, i villani a loro volta cercano di tenere a distanza i signori escludendoli dal loro universo
di sapori inconsapevoli.

Fin dal XIV secolo, <<non dividere le pere col tuo signore>>, un motto spagnolo cinquecentesco; <<chi
divide le pere col signore non ha le pere più belle>> proverbio francese trecentesco, e così via anche in
Italia. Il consiglio in sostanza è di evitare i rapporti il più possibile con i potenti perché comunque ci si
rimette. Scegliere le pere migliori in presenza del signore non sarebbe conveniente.

Divenuto popolare, il proverbio del formaggio e delle pere resta in attesa di un nuovo significato, coerente
con il nuovo testo a cui si accompagna, quello dell’ordinarietà contadina, nei discorsi che si pronunciano
tramandati a voce. Quando non si riduce a una cantilena il proverbio assume una tonalità ironica. I
contadini dopo essersi appropriati di un adagio inventato contro di loro hanno rivoltato la satira contro la
parte avversa. Addirittura, un proverbio nuovo dove del sapere è il contadino:

al padrone non far sapere


quanto è buono il formaggio con le pere.

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