piselli...oppure bianco, rosso e giallo: il risotto fa sempre allegria! Eppure la coltivazione dei suoi chicchi ha una storia complicata. Nelle nostre campagne, gli antichi per esempio non lo coltivavano. E ben si guardavano dal mangiarlo. Al massimo lo tritavano per farci dei decotti curativi, delle specie di “pozione magiche”. Erano convinti infatti che il riso curasse benissimo il mal di pancia, e che la farina ottenuta dai suoi chicchi favorisse la digestione quando si era mangiato qualcosa di pesante. I Romani si spinsero oltre, usando il riso anche per preparare creme di bellezza per le donne della città. Nel Medioevo le cose non cambiarono: si acquistavano sacchi di riso dalle navi arabe, genovesi o veneziane, e li si consegnavano agli speziali (i farmacisti del tempo) perché preparassero le medicine da vendere nelle loro botteghe. Per vedere la prima risaia dobbiamo aspettare l’anno 1468 e andare dalle parti di Milano. Galeazzo Maria Sforza, il duca che regnava su quelle terre, era così orgoglioso della sua coltivazione di riso che sette anni dopo scrisse una lettera al duca de Ferrara, suo amico: “Ti invio in dono ben dodici sacchi pieni di chicchi” gli disse. E non glieli inviò per destinarli a creme di bellezza per la duchessa di Ferrara! Il fatto è che in quegli anni il riso stava uscendo dalle botteghe degli speziali per entrare nelle cucine di tutti. Ci si era accorti infatti che oltre a curare alcune malattie poteva essere cotto e mangiato. In fondo lo facevano già i vicini Arabi, che ancora regnavano in Spagna: bastava copiarli! Coltivarlo permetteva poi di trasformare le zone incolte vicine ai grandi fiumi (come il Po e il Ticino) in terreni fruttuosi. In anni di carestie, in cui tutti tiravano la cinghia, era un'occasione da non lasciarsi sfuggire. Così qualcuno arrivò a definire il riso “tesoro delle paludi”. In pochi anni i campi tra Milano, Vercelli e Pavia si riempirono di risale. Da vedere erano bellissime: sembravano laghetti di pianura. Anzi, come disse qualcuno sembravano un “mare a quadretti”. L’entusiasmo però durò poco. Ci si accorse che vicino alle risaie si difundeva una brutta malattia che faceva venire la febbre alta e provocava la morte: la malaria (da mal’aria, aria cattiva). Da cosa fosse determinata, non si capiva, ma i morti di malaria nelle zone delle risaie erano tanti. E questo bastò per giungere alla conclusione che il riso è buonissimo, ma la sua coltivazione fa male. Furono subito emanate leggi antiriso che proibivano la coltivazione vicino ai centri delle città, ma questo non bastò a tranquilizzare i cittadini. Nel 1816, dalle parti di Bologna, all’ennesimo caso di malaria scoppiò una vera e propria rivolta. Al primo din don dan delle campane, centinaia di contadini scesero in strada con i forconi e distrussero tutte le risaie, al grido di: “Ci fanno ammalare!” e “Ci rovinano l’aria!” La notizia finì addirittura sui giornali inglesi, tutti ne parlarono. Ma nessuno imaginava che, nel giro di qualche decenio, gli scienziati avvrebero fatto una scoperta rivoluzionaria: si risero conto che la malaria non era causata dal riso, ma da una parassita dal nome impronunciabile: plasmodium falciparum. A trasportarlo era la zanzara. Bastava tenere l’acqua in movimento e il numero di zanzare si sarebbe ridotto. E con esse, i casi di malattia. Da quella scoperta in poi, per il riso la strada fu tutta in discesa. Mentre gli scienziati trovavano anche il modo per curare la malaria grazie al chinino, l’Italia era diventata unita e il riso ci guadagnò: quello prodotto a Verona entrava in concorrenza con quello lombardo e piemontese. Era come gioco: il migliore vinceva! Il più buono veniva comprato dai Paese stranieri come Francia, Germania e Inghilterra e tutti si diedero da fare per produrre il riso più appetitoso. Per coltivarlo si chiese l’aiuto delle donne, anzi delle mondine, chiamate così perché lo “mondavano” (pulivano). Avevano fra i sedici e i quarant’anni, spesso erano molto povere e, per guadagnarsi il pane, da fine aprile a inizio di giugno lasciavano le loro famiglie e andavano a lavorare nelle risaie. Qui dovevano stare tutto il giorno con la schiena piegata e i piedi nell’acqua, a togliere le erbe infestanti. Mentre lavoravano, spesso cantavano canzoni ad alta voce per farsi compagnia. E c’era da capirle: stare sotto il sole per ore a strappare le erbacce che intralciavano la crescita del riso non era una passeggiata: cantare era un modo per distrarsi dalla fatica. Mentre loro si spaccavano la schiena, i cuochi in città si davano da fare a inventare le ricette migliori: nasceva il risotto alla milanese – giallo, con lo zafferano e l’ossobuco – ma anche il risotto alla parmigiana, cotto con il brodo e il burro. E se qualcuno metteva il riso nel minestrone, in altre città si inventarono la panissa, un risotto cucinato con i fagioli, il lardo, la pasta di salame e, a volte, verze e carote. La ricetta più allegra però è arrivata nel Novecento: l’insalata di riso. Si è diffusa dopo il 1945, quando il nostro Paese aveva appena finito di combattere una guerra terribile. Aveva voglia di sorridere e tornare a sperare: preparare un piatto fresco da portarsi nelle gite domenicali fuori città sembrava la risposta migliore. Ed effetivamente lo fu: con sottaceti, würstel, prosciuto e formaggio, mangiarlo è sempre un divertimento. Una caccia al tesoro alla ricerca della pepita più buona.
Un piatto tipico italiano molto famoso è il risotto.
Questo nome deriva dalla parola riso. Ci sono diverse ricette gustose su come preparare il risotto. Ma, secondo il libro Che Bontà, scritto da Giuliana Rotondi, esiste una curiosa storia sulla coltivazione del riso e sul suo utilizzo come alimento. In tempi antichi in Italia, il riso non veniva utilizzato come alimento, ma veniva usato come ingrediente per preparare delle paste medicamentose, decotti curativi, per chi soffriva di mal di pancia, e la farina di riso era utilizzata per favorire la digestione quando si mangiava qualcosa pesante. I Romani usavano il riso anche per farsi miscele per il trucco, prodotti per la bellezza femminile. Nel Medioevo, i farmacisti dell'epoca, i cosiddetti speziali, lo acquistavano in grandi quantità per preparare medicine da vendere nelle loro boteghe. Nel XV secolo, il riso cominciò ad essere utilizzato come alimento e gli abitanti cominciarono a piantarlo per preparare il cibo. Con l'incremento delle piantagioni di riso, cominciarono a verificarsi casi di una malattia con sintomi di respiro corto e febbre, che talvolta portavano alla morte. A causa della mancanza di respiro che provocava, la malattia veniva chiamata malaria (che viene da “mal d'aria”, ovvero “aria cattiva”). Furono subito emanate leggi antiriso che proibivano la coltivazione vicino ai centri delle città. Poi, nel 1816, con l'aumento dei casi di malaria, dalle parti di Bologna, i residenti vicine alle piantagioni hanno iniziato a protestare e chiedere la chiusura delle piantagioni, comprese marce per ne distruggere alcune. Successivamente, gli scienziati scoprirono che la malaria non era causata dalle piantagioni di riso, ma da una zanzara che si riproduceva nell’acqua stagnante delle piantagioni e infettava le persone con una parassita chiamata plasmodium falciparum. Di conseguenza, il metodo di coltivazione è stato cambiato, utilizzando l’acqua corrente per ridurre la riproduzione delle zanzare, e i casi della malattia sono diminuiti. Poi si cominciò a usare il chinino per la cura della malaria. Con questo, e con la coltivazione del riso in altri paesi, anche i contadini italiani ricominciarono a piantarlo in grandi quantità, e molte ricette di risotti divennero conosciute e apprezzate, e l'Italia divenne famosa come un paese che ha come piatto tipico il risotto. Dopo la guerra nel 1945, si è difusa la ricetta dell’insalata di riso. La gente aveva voglia di sorridere e tornare a sperare dopo la tristezza della guerra, e si preparavano dei cibi per portarsi nelle gite domenicale fuori città, e non mancava il risotto.
VERSÃO FINAL
Il risotto è un piatto tipico italiano molto famoso.
Questo nome deriva dalla parola riso. Ci sono diverse ricette gustose su come preparare il risotto. Ma, secondo il libro Che Bontà, scritto da Giuliana Rotondi, esiste una curiosa storia sulla coltivazione del riso e sul suo utilizzo come alimento. In tempi antichi in Italia, il riso non veniva utilizzato come alimento, ma veniva usato come ingrediente per preparare delle paste medicamentose, dei decotti curativi, per chi soffriva di mal di pancia, e la farina di riso era utilizzata per favorire la digestione quando si era mangiato qualcosa di pesante. I Romani usavano il riso anche per farsi miscele per il trucco, prodotti per la bellezza femminile. Nel Medioevo, i farmacisti dell'epoca, i cosiddetti speziali, lo acquistavano in grandi quantità per preparare medicine da vendere nelle loro botteghe. Nel XV secolo, il riso ha cominciato ad essere utilizzato come alimento e gli abitanti hanno iniziato a piantarlo per preparare il cibo. Con l'incremento delle piantagioni di riso, hanno cominciato a verificarsi casi di una malattia con sintomi di stanchezza e febbre, che talvolta portavano alla morte. A causa di si credere che veniva dell’aria delle risaie, la malattia veniva chiamata malaria (che viene da “mal d'aria”, ovvero “aria cattiva”). Sono state subito emanate leggi antiriso che proibivano la coltivazione vicino ai centri delle città. Poi, nel 1816, con l'aumento dei casi di malaria, dalle parti di Bologna, i residenti vicine alle risaie hanno iniziato a protestare e chiedere la chiusura delle piantagioni, comprese delle marce per ne distruggere alcune. Alcuni anni dopo, gli scienziati hanno scoperto che la malaria non era causata dal riso, ma da una zanzara che si riproduceva nell’acqua stagnante delle piantagioni e infettava le persone con un parassita chiamato plasmodium falciparum. Di conseguenza, il metodo di coltivazione è stato cambiato, utilizzando l’acqua corrente per ridurre la riproduzione delle zanzare, e i casi della malattia sono diminuiti. Poi, si ha cominciato a usare il chinino per la cura della malaria. Con questo, e con la coltivazione del riso in altri paesi, anche i contadini italiani hanno ricominciato a piantarlo in grandi quantità, e molte ricette di risotti sono diventate conosciute e apprezzate, e l'Italia è divenuta famosa come un Paese che ha come piatto tipico il risotto. Dopo la guerra nel 1945, si è difusa la ricetta dell’insalata di riso. La gente aveva voglia di sorridere e tornare a sperare dopo la tristezza della guerra, e si preparavano dei cibi per portarsi nelle gite domenicale fuori città, e non mancava il risotto.