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Foggi
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021
Se vedi un affamato
non dargli del riso,
insegnagli a coltivarlo
Confucio
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Carmine de Leo
Da Federico II di Svevia
alle nostre tavole
Il bianco mangiare
storia di un’antica ricetta
3
4
Introduzione
Carmine de Leo
Presidente Centro studi Mediterraneo
5
6
Tra leggende e storia vera
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8
Un’antica leggenda indonesiana narra che una dea dall’alto del
cielo osservava il mondo e vedendo che una povera famiglia di
contadini non aveva nulla da mangiare, scoppiò in un pianto
sincero ed una sua piccola lacrima cadde dal cielo proprio nella
pentola di questa povera famigliola e si trasformò in un chicco
di riso.
Ogni volta che veniva accesso i fuoco sotto la pentola, il chicco
si moltiplicava in un bel piatto colmo di questo cereale, che
bastava per tutta la famiglia, che presto pensò anche di coltivare
questo prezioso dono e, per la loro gioia, il chicco di riso si
moltiplicò subito anche nella nuda terra!
Questa è la leggenda che accompagna la nascita del riso, ma la
storia vera vede questo cereale già molto diffuso nell’antichità
sopratutto in Asia.
Infatti, in Cina, il riso è ancora oggi considerato uno degli
alimenti base della cucina locale ed esistono migliaia di varietà
di questo cereale attualmente coltivato in tutto mondo.
La sua coltivazione, dall’Indonesia e dalla Cina, si diffuse preso
in India.
Verso il IV secolo a.C. gli eserciti guidati da Alessandro Magno,
che si erano spinti ai confini dell’India, portarono questo
prezioso cereale anche in Grecia.
Da questo territorio, nei secoli successivi, pian piano il riso,
seguendo le rotte commerciali dei coloni greci ed anche delle
navi fenice, si diffuse ben presto un po’ in tutto il mar
Mediterraneo!
In Capitanata, residenza privilegiata dell’imperatore Federico II
di Svevia, che nella città di Foggia fece costruire un sontuoso
palazzo per la sua corte,1 il riso è già presente nel Trecento.
1
Cfr. C. de Leo, Il Palazzo i Federico II a Foggia…, Foggia , 1990 e dello
stesso il più recente: Nuovi documenti sul palazzo di Federico II, in
AA.VV. Foggia sotterranea. Sulle tracce del palazzo imperiale di
Federico II tra leggenda – fonti documentarie e ricerca archeologica,
9
Il desinare è stato sempre una componente privilegiata della vita
dei vari sovrani che hanno governato l’antica terra Dauna, poi
detta Capitanata, dai Catapani, ovvero i governatori bizantini
che per un certo tempo amministrarono questo territorio nel
nord della Puglia.
Imperatori, re e governatori che hanno risieduto o sono stati di
passaggio in Capitanata, non hanno mai disprezzato di
sottolineare nelle loro cronache di viaggio il proprio interesse
verso la cucina di questo territorio, cucina intesa nella sua più
vasta accezione, cucina in quanto bontà del cibo e cucina in
quanto capacità di elaborare ricette e pietanze di particolare
raffinatezza.
Principe dei vari sovrani che ebbero residenza in Capitanata,
emerge su tutti la figura straordinaria dell’imperatore Federico
II di Svevia, grande politico, grande legislatore e guerriero,2 che
non disdegnò certamente di apprezzare i gustosi prodotti delle
mense di Capitanata.3
Testimonianza e quasi reliquia di questo interesse del grande
Svevo, resta una decorosa lastra di marmo, ora utilizzata come
altare nella cattedrale di Lucera, ma un tempo tavola della
mensa di Federico II nel vecchio castello di Fiorentino, località
fra Lucera e Torremaggiore, ove l’imperatore passò a miglior
vita, forse perché avvelenato, oppure, tanto per restare in tema
di alimentazione, per aver ingerito dei cibi guasti.
Foggia, 2020.
2
Restano pietra miliare della sua legislazione Le Costitutiones, cfr. C. de
Leo, L'Amministrazione Giudiziaria nelle Costituzioni di Federico II di
Svevia, Foggia, 1995.
3
Cfr. C. de Leo, Svevi e altri dominatori dal raffinato palato e monaci
buongustai, in Storia gastronomica della Capitanata, Foggia, 1991, pp.
17-24 e Antichi sapori federiciani, in Natale ... Tradizione gastronomia,
Foggia, 1994, pp. 41-58.
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Ma torniamo al grande Svevo ed alla sua passione, in vita, per il
buon mangiare; nel Trecento, in alcuni documenti della sua
corte imperale appare citato proprio il riso come principale
ingrediente di una squisita ricetta, il bianco mangiare, di cui lo
stesso imperatore era molto ghiotto.
Quest’antica ricetta era costituita pressappoco da riso, latte e
mandorle, oppure da solo riso e latte, con una spruzzatina di
zucchero.
In particolare, in un manoscritto trecentesco conservato oggi
presso la Biblioteca Nazionale di Napoli,4 in cui si parla
dell’occorrente per la tavola della corte federiciana, fra cera per
le candele, scodelle ed una miriade di spezie come: cannella,
noce moscata, pepe, garofani e zafferano, ecco citato anche il
brodo di mandorle e il bianco mangiare, con la quantità di riso e
mandorle occorrenti per circa venti commensali, che era il
numero dei cortigiani che di solito accompagnavano a tavola
l’imperatore Federico II di Svevia.
La storia di questa particolare ricetta costituita da riso cotto con
il latte, mandorle tritate e un po’ di spezie dolci, continua nei
scoli con varie citazioni, che si infittiscono a partire dal
Cinquecento.
Proprio in quest’epoca, in un antico testo manoscritto del ‘400-
‘500 attribuito ad un anonimo veneziano e conservato oggi
presso la Biblioteca Casanatense di Rona,5 appaiono citate due
ricette collegate al bianco mangiare: una chiamata bramagere e
l’altra chiamata rixo in bona manera.
Nella prima, il bramagere, ecco le mandorle, il riso, brodo,
grasso, zucchero, chiodi garofano e, naturalmente, il latte in cui
va bollito il tutto; il testo è il seguente:
4
Cfr. G.M. Monti, Lo Stato Normanno-Svevo. Lineamenti e ricerche,
riedizione, Cassano Murge, 1985, pp.328-329.
5
Biblioteca Casanatense, Roma, sezione manoscritti, n.225.
11
Se tu voy fare bramagere per XII persone, toy …libre de
mandole, e una libra de rixo,…dui libre d’onto fresco, e una
libra e meza i zuccaro, e mezo quarto de garofalli, e toy le
mandorle, e mondale, e servane quantità de entriegi, e le altre
fa maxenare, e maxena e destempera cum acqua chiara poca,
colalebene per stamegna, toy lo rixo ben mondo e ben lavato ad
acqua chalda e ben raschado, zoè suto con toaglia, e falo persre
lo spiciale, over setazare e staciare, e toy li petti de le galine e
fali lesare poch, e filali sottile e frigell in lo onto con pocho
focho in una pignata persi, e meti a fogo lo lacte de le mandole,
e servane doe scudelle. Quando lo lacte, bolle destempera la
farina de lo rixo con quello lare crudo, e metile a bolire, e trailo
in dreto suso la braxa, e meti incontinente le polpe e sfilato e
l’onte de struto dentro questa vivanda, e mescola spesso, e
metigli del zucaro. Quando è coto e tu menestra, mitige de
l’acqua rosata per sopra le scutella, e poy zucharo, e poy
mandole sofrite ianche, e poy garofali, Questa ivanda vole
essere bianca come neve, e stetta, e potente de specie.
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Foggia, arco del Palazzo di Federico II di Svevia, disegno di
V.Baltard pubblicato nel 1844.
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Il bianco mangiare dalla ritualità religiosa
alla letteratura contemporanea
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Per l‘assenza di carne fra i suoi ingredienti, il bianco mangiare
ebbe anche fortuna nelle ritualità delle feste religiose, come fra
gli Ebrei che gustano il mondel reis, com’è chiamato nella loro
lingua.
Pietanza che viene consumata durante la festa del giorno di
Adar, che ricorda quando gli Ebrei furono salvati dalla strage
grazie alla moglie del re di Persia, anch’essa ebrea, che riuscì a
sventare un complotto per sterminarli.
Nelle religioni cristiane, invece, il bianco mangiare, tramandato
dalle cucine dei monasteri, viene consumato soprattutto durante
i periodi di quaresima, ma anche nel corso delle festività
natalizie.
Riso, latte, mandorle e zucchero erano infatti una delle pietanze
più prelibate consumate nei conventi, specie quelli di clausura
femminili; soprattutto la sera della vigilia per bilanciare, per
così dire, la pesantezza delle altre pietanze che si consumavano
in quella occasione!
Proprio in Capitanata abbiano vari documenti settecenteschi
relativi al regime alimentare in cui viene regolarmente citata la
ricetta del bianco mangiare, pietanza ritenuta insostituibile per la
dieta degli infermi, come presso il convento della SS. Trinità in
San Severo dei padri Celestini, ricchi proprietari delle cave di
pietra nel nord ella Capitanata, monastero la cui mensa era
caratterizzata da altri e più sostanziosi cibi.
Anche il famoso dottor Umberto Veronesi, del resto, ha
riconosciuto l’importanza terapeutica del riso e del bianco
mangiare in vari suoi scritti.
Ancora in Capitanata, presso il convento di clausura delle
monache di Santa Chiara di Manfredonia, ecco le suore che la
sera del giovedì santo consumavano il bianco mangiare
insaporito anche da spezie come la cannella.
Piatto che le monache, come altre loro consorelle in Capitanata,
prigioniere della loro clausura e con la sola possibilità di
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commettere peccati di gola, gustavano con cadenza settimanale.
Il sabato, infatti, le monache di Santa Chiara gustavano il bianco
mangiare con piatti di pesce e frutta di stagione.
La bontà del bianco mangiare è anche attestata da un famoso
scrittore e viaggiatore del Trecento, il frate francescano
Salimbene de Adam da Parma, che riporta nella cronaca di un
suo viaggio dall’Europa a Gerusalemme, scritta in parte in latino
ed in parte in volgare, che anche il re di Francia Luigi IX, poi
fatto Santo, nel suo errare fra i conventi francescani, amava
gustare il bianco mangiare!
La fortuna di questo piato che ha deliziato imperatori come
Federico II i Svevia e, come abbiamo visto, frati e suore ed
anche re, non si fermò al Settecento, ma continuò fino ai giorni
nostri.
Del bianco mangiare si parla anche in importanti testi della
letteratura dell’Ottocento e del Novecento, come nel famoso
romanzo Piccole donne della scrittrice americana Louisa May
Alcott, pubblicato la prima volta nel 1868 in due volumi e poi
unito in un unico testo in svariate successive edizioni.
Il passo che interessa il biancomangiare è quello di quando JO,
nel corso di una visita a Laurie ancora convalescente, le riferisce
che la madre l’aveva incaricata di portarle, oltre ai suoi saluti e
gli auguri di una rapida guarigione, anche un assaggio del
gustoso bianco mangiare.
Era questa, infatti, la sua ricetta preferita e rappresentava la sua
specialità in fatto di pietanze dolci.
Laurie, felicissima per il gustoso dono, risponde:
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Federico II di Svevia, bassorilievo nella chiesa della Porta Santa
di Andria, disegno di V.Baltard pubblicato nel 1844.
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La ricetta
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Infine, come abbiamo visto, è acclamata l’importanza del bianco
mangiare dalla storia, da tanti autori antichi e più recenti e,
soprattutto dalla sua squisitezza, che ne ha fatto un dolce
sopravvissuto tra mille gusti.
Ciò, anche grazie alla sua bontà ed alla semplicità dei suoi
ingredienti, eccolo direttamente dalla sontuosa mensa
dell’imperatore Federico II di Svevia alle nostre tavole.
Non ci resta quindi che pubblicare una ricetta standard di questa
prelibata pietanza.
Ingredienti
Cottura
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Indice
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Introduzione.....................................................................pag.5
La ricetta............................................................ ...........pag.27
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Note sull’autore
Carmine de Leo
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Postfazione
Laurie Colwin
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Ringraziamenti
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44
Editore Associazione culturale Mitico Channel
miticochannel@gmail.com
per conto del
Centro studi Mediterraneo
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