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Indice
Direttore
Eugenio Balsamo
Direttore responsabile
Luciano Lucarini
COMITATO DI REDAZIONE:
Luciano Garibaldi, Raffaele Cazzola Hofmann,
Andrea Marcigliano, Alberico Travierso,
VIRUS Pietro Romano, Antonio Pannullo, Salvatore
Santangelo, Bruno Tiozzo, Giorgio Torchia
Indice
81 Quando il contagio
127 Sinofobia? Il Dragone (non)
è finanziario
fa paura
Francesco Crocenzi
Alberico Travierso
164 Geoscaffale
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Italo Inglese
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LA VECCHIA EUROPA, E IN
di classe è ora applicata al rap-
porto tra sessi, all’estensione del
PARTICOLARE IL SUO CETO matrimonio agli omosessuali, al
MEDIO, SIANO STATI GIÀ fenomeno dell’immigrazione. La
SACRIFICATI A VANTAGGIO rivendicazione dei “diritti” viene
in questi casi perseguita con le
DELL’ACCESSO AL MERCATO stesse modalità violente e cap-
DELLE IMMENSE SCHIERE ziose, con lo stesso astioso risen-
DI MIGRANTI E DI UNA timento che contrassegnavano il
conflitto sociale per l’emancipa-
REDISTRIBUZIONE DEL zione del proletariato. L’obiettivo
REDDITO A LORO FAVORE che tale azione intende surretti-
ziamente conseguire non è la pa-
rità giuridica – certamente condivisibile – ma l’acquisi-
zione di uno status speciale e privilegiato, la condizione
per la quale si ha diritto a essere considerati più eguali
degli altri.
Il pensiero che si dimostra intollerante verso chi, eserci-
tando legittimamente la libertà di opinione, pone in dis-
cussione la teoria del “genere”, la quale postula un’as-
surda neutralità sessuale originaria, è assai meno in-
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Eugenio Balsamo
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Non è quindi un azzardo affermare che gli Stati Uniti in Iraq come
in Siria si ritrovano a fare i conti le loro stesse scelte di politica
estera degli ultimi dieci anni nella Penisola araba, Iraq e Siria sen-
za considerare l’Afghanistan che si sta rivelando oggi per gli Sta-
tes come il Vietnam quarant’anni fa. Prima George W. Bush e poi
Barack Obama, il primo con l’Afghanistan e l’Iraq e l’altro con la
Siria e i paesi del Nord Africa delle “Primavere arabe”, hanno volu-
to combattere a tutti i costi qualcuno per poi volercisi alleare do-
po in un secondo momento uniti da un fine comune e per poi ri-
trovarsi a combatterlo nuovamente in un terzo momento. La linea
della politica estera statunitense degli ultimi anni, specie durante
la presidenza di Obama, si è rivelata schizofrenica e confusa nelle
zone del mondo molto tumultuose e, al contempo, blanda e paca-
ta nei confronti di altre grandi potenze, come Russia e Cina. E ora
il pantano della Siria, dell’Iraq e dell’Isis, il non saper spiegare co-
me mai un anno fa Obama sosteneva l’Isis e ora lo vuole combat-
tere, del resto, per l’inquilino della Casa Bianca si sono rivelati un
boomerang dolorosissimo, come dimostrato da elezioni politiche
che lo hanno privato di sostegno parlamentare. A completare il
quadro c’è anche una mezza confessione da parte di Hillary Clin-
ton, ex ministro degli Esteri di Obama e aspirante suo successore,
in cui ammette che alla base dell’ascesa dell’Isis in Iraq e Siria vi
sono degli errori di valutazione commessi dall’amministrazione
Obama in questi anni.
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Marco Cochi
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del virus. Per capire meglio la situazione, a metà dello scorso ot-
tobre, quando l’epidemia aveva già mietuto più di 4.400 vittime,
l’Oms rendeva noto che la Sierra Leone necessitava urgentemen-
te di 750 medici, 3mila infermieri e 1.500 esperti di igiene, nutri-
zionisti e consiglieri.
E Sierra Leone e Liberia avevano in tutto circa 924 posti letto
per curare i malati di ebola, mentre ne sarebbero serviti almeno
4.078. Dati che la dicono lunga sull’inadeguatezza dei mezzi di
contrasto per tentare di riportare la situazione sotto controllo
nelle due nazioni. Il problema principale è che quando la diffu-
sione del virus era già in uno stato molto avanzato, la comunità
internazionale non aveva ancora messo in campo un progetto
coordinato per contrastare la diffusione dell’epidemia nei tre
paesi più colpiti, privi delle risorse necessarie per affrontarla.
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te. Una soluzione che gli epidemiologi hanno fin da subito rite-
nuto di dubbia efficacia, perché una persona può avere la febbre
per altre ragioni e inoltre il virus potrebbe entrare attraverso
passeggeri già infetti, ma che ancora non mostrano i sintomi di
una febbre emorragica. In definitiva, i paesi ad alto indice di svi-
luppo non hanno dimostrato di reagire nel modo appropriato,
perché è in Africa, luogo d’origine della malattia, che l’ebola do-
veva essere combattuta. Lo dimostra il fatto che Nigeria e Sene-
gal sono stati in grado di contenere il propagarsi del virus e de-
bellare l’epidemia. Nel frattempo che Stati Uniti, Spagna, Francia,
Gran Bretagna e altri paesi comunitari sigillavano le frontiere,
Thomas Frieden, direttore dei Centers for Disease Control and
Prevention di Atlanta, che si occupa da anni di controllo e pre-
venzione delle malattie infettive, dichiarava che per proteggersi
dall’ebola non è sufficiente chiudere le dogane, ma è necessario
inviare operatori sanitari specializzati e mettere in atto protocolli
di assistenza nei luoghi dove il virus sta decimando la popola-
zione. È tuttavia importante rilevare che un altro fattore che ha
inciso in maniera particolare nel contrasto alla diffusione dell’e-
pidemia è costituito dalla scarsa fiducia della popolazione nei
confronti della medicina curativa, soprattutto se gestita da per-
sonale espatriato occidentale, talora visto come “portatore di
malattia” (in pratica l’apologo dell’untore al contrario). Secondo
Francesco Castelli, ordinario di Malattie infettive presso l’Univer-
sità degli Studi di Brescia e titolare della Cattedra Unesco 2014-
2018, per aiutare lo sviluppo dell’assistenza sanitaria nei paesi a
risorse limitate, “l’epidemia potrà spegnersi solo se verranno ri-
spettate le consegne di sanità pubblica (isolamento dei malati,
controllo alle frontiere, astensione dei riti tradizionali del lavag-
gio del corpo del defunto) e soprattutto se si creerà una sinergia
tra popolazione e sistema sanitario, oggi visto da gran parte del-
la popolazione come luogo dove si va a infettarsi e morire con la
paradossale conseguenza che molti malati sono nascosti nelle
famiglie perpetuando il ciclo del contagio”.
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Marco Cochi
Giornalista esperto di cooperazione internazionale
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Internet, untore
o manipolatore?
L’illusione della democrazia digitale, il controllo dell’informazione,
l’orientamento dell’utenza (e dei consumatori), la censura e i ricavi dei motori
di ricerca: la Rete non è solo un mezzo di diffusione di idee, ma anche un
quesito fondamentale sulla libertà dei cittadini di un “mondo connesso”
IL WEB FA DEMOCRAZIA?
L’utilizzo delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione
rappresenta uno dei traguardi fondamentali delle politiche di inclu-
sione sociale e culturale dell’Unione europea. In Italia il 54,8 per
cento della popolazione di 6 anni e più utilizza Internet, ma solo il
33,5 per cento lo fa quotidianamente. Le nuove generazioni utiliz-
zano maggiormente Internet: quasi 9 giovani su 10 tra i 15 e i 24
anni si connettono e più della metà lo fa tutti i giorni. Dal 2001 al
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zionano più o meno come scatole nere che nessuno può aprire e
scrutare. La gente ha l’illusione di partecipare al processo politico
senza avere mai la piena certezza che le proprie azioni contino.
Non è esattamente un buon modello per la ridefinizione della poli-
tica». Questa è un punto di vista perentorio, elaborato da Evgeny
Morozov. Giovanissimo – almeno se paragonato alle menti solite di
queste latitudini – sociologo e giornalista bielorusso, classe 1984,
per un fatto anagrafico dovrebbe abbracciare la tendenza virtuale
rispetto alla “normalità”, ma ribalta i più assodati luoghi comuni
del cyber-ottimismo, minando il mito che Internet sia di per sé una
forza per il cambiamento sociale, che elevi l’istruzione, salvi l’eco-
nomia o rovesci un dittatore.
Con il suo L’ingenuità della Rete (Codice Edizioni) Morozov smonta
l’idea che una rivoluzione sia stata fatta o possa essere fatta, per
esempio, su Twitter, visto che, tra l’altro, governi per nulla demo-
cratici hanno usato piattaforme digitali piegandole ai loro fini. Nel
suo lavoro più recente (Internet non salverà il mondo per Monda-
dori) Morozov attacca la follia del «soluzionismo tecnologico», l’i-
deologia che nella Silicon Valley ha il suo motore più propulsivo e
che ritiene che ogni situazione sociale complessa possa essere ri-
solta con il giusto algoritmo. Il suo è un punto di vista interessan-
te, per nulla ideologico rispetto all’ortodossia digitale: Internet co-
me entità unica a sé stante non esiste, Internet è cosa umana, av-
verte Morozov, invitando a esercitare una vivace critica nei con-
fronti di quello che definisce Internet-centrismo, un atteggiamento
generalizzato a interpretare ogni aspetto della vita sociale e politi-
ca, ancor più i cambiamenti, sotto la lente distorta di della Rete.
Ciò che viene sottolineato è questo: non è che la tecnologia non
funzioni, anzi funziona bene però non dipende dall’inevitabile ben-
sì dalle scelte di individui precisi, università, governi e aziende.
Non a caso nel mirino di Morozov, in contrasto con mezzo mondo,
era finito il fondatore della Apple, Steve Jobs, genio del marketing,
capace di trasformare una normale azienda produttrice di compu-
ter nell’oggetto di una vera e propria venerazione. Per analizzare i
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dei “rubinetti” della Rete. In casi come questi, la mano del censo-
re può arrivare a impedire l’accesso ai canali informativi o la libera
discussione tra i cittadini. La censura del web può essere anche
preventiva: alcuni paesi, in occasione di elezioni, manifestazioni di
massa e possibili moti di protesta, possono arrivare a precludere
l’accesso ai servizi web anche con giorni di anticipo.
Rispetto alla censura tradizionale quella digitale può travalicare fa-
cilmente i confini nazionali impedendo ai cittadini, per esempio, di
accedere non solo ai canali informativi locali ma anche ai canali
informativi internazionali. A meno che l’ente governativo non abbia
il controllo totale sull’intera infrastruttura di Rete e su tutti i com-
puter dotati di un accesso a Internet – cosa che accade, ad esem-
pio, in Nord Corea e Cuba – è molto difficile riuscire a mettere in
atto un’azione che censuri tutti i contenuti presenti nella Rete. La
natura distribuita delle risorse web, infatti, rende (più o meno) fa-
cilmente aggirabile ogni blocco, permettendo agli utenti di bypas-
sare eventuali blocchi. Nella pratica, il censore digitale ha a dispo-
sizione diversi mezzi per riuscire a portare a compimento i propri
scopi. Dai filtri che impediscono la navigazione verso determinati
portali o verso alcuni indirizzi ip a blocchi più generalizzati, il pa-
norama della censura online è piuttosto ampio.
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lanciato una violenta campagna contro gli Usa sui social media.
Utilizzando gli hashtag #CalamityWillBefallUS e #AMessageFromISI-
StoUS si è chiesto ai seguaci della jihad di twittare in inglese per
rendere i messaggi di terrore comprensibili agli occidentali.
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Alberico Travierso
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degli aspetti su citati, che è pure quello che più rileva in questa
sede, e consiste nel fatto che, fra i carnefici, sono stati identificati
ben cinque europei: due inglesi, due francesi e un tedesco.
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coprirsi il volto durante i suoi macabri video è ormai uno dei sim-
boli della lotta jihadista, e ha già minacciato i paesi occidentali di
voler iniziare «a massacrare la vostra gente sulle vostre strade».
Parlare di psicosi allo stato attuale è certamente esagerato, ma è
un dato di fatto che la tensione in Gran Bretagna è salita a livelli
altissimi, con episodi di pura isteria, ancor più significativi perché
riguardanti un paese abituato a non lasciarsi intimidire, fin dai
tempi dell’Ira. Non è un caso, però, se per i servizi segreti britanni-
ci la minaccia dell’Isis è la più seria dai tempi dell’11 settembre, e
il livello di allerta è stato innalzato a “grave”, un gradino sotto
quello massimo. Gli arresti di presunti terroristi si susseguono, e
basta poco per far scattare l’allarme: lunedì 17 novembre sono
stati evacuati gli uffici del complesso del Parlamento a causa di un
pacco sospetto, che si è poi scoperto essere l’iPad di un neostagi-
sta. Il premier Cameron, dal canto suo, ha annunciato misure strin-
genti, come il ritiro del passaporto ai foreign fighter, e il possibile
divieto di rientro in patria a quegli inglesi, pure minorenni, anche
solo sospettati di essere combattenti jihadisti. Il tipico identikit
del “boia della porta accanto”, infatti, comprende soprattutto quei
britannici «radicalizzati», andati a combattere in Medio Oriente e
ora magari pronti a tornare per colpire la patria che li ha cresciuti.
In Inghilterra, come in tanti altri paesi occidentali, ciò che addolo-
ra profondamente è il sapere che centinaia di concittadini sono
partiti per andare a combattere fra le brigate dell’Isis in Siria e
Iraq, e ancor più che molti di loro sarebbero pronti a tornare, e a
diffondere il loro delirante messaggio di sangue.
Risale a pochi giorni dopo l’omicidio Kassig, infatti, la diffusione
di un appello in cui tre combattenti francesi emigrati in Siria si so-
no rivolti a tutti i musulmani rimasti in Francia, invitandoli ad unir-
si all’Isis e a organizzare attacchi, magari avvelenando cibo e ac-
qua, o anche semplicemente investendo le vittime. Anche qui, con
l’evidente scopo di essere riconosciuti come occidentali e aumen-
tare l’effetto propaganda del messaggio, le minacce sono state
lanciate a volto scoperto, permettendo così di identificare il leader
del gruppetto. Il suo nome è Michael Dos Santos, 22enne nato al-
le porte di Parigi, i cui genitori ignoravano totalmente la scelta di
abbracciare la causa jihadista, tanto più che il ragazzo proviene da
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diretta di al-Qaeda.
Un simile scenario di geopolitica terroristica, per quanto interes-
sante, esula da questa trattazione, che riguarda invece un fenome-
no che rischia di insinuarsi nelle società europee e occidentali co-
me un virus, tanto invisibile quanto pericoloso, e reso ancor più
“antipatico” dal fatto che i portatori sono (o per meglio dire, era-
no) parte di quella stessa comunità che invece ora mirano a colpi-
re. Torna in rilievo, sotto questo aspetto, l’analisi del già citato
Mohsin Hamid, che pur essendo inevitabilmente fin troppo “ro-
manzata” coglie nondimeno svariate sfaccettature di una realtà so-
ciologicamente molto complessa.
Il tipico John della Jihad è un soggetto giovane, e dunque, estre-
mamente sensibile al richiamo delle ideologie, anche violente. Fi-
glio di un’integrazione non sempre equilibrata e tanto meno accet-
tata, è portatore di istanze e rabbia che ne fanno, spesso, un
escluso della società, o perlomeno un “non perfettamente integra-
to”. Tali griglie di comprensione, però, sono state rimesse in dis-
cussione, anche se non totalmente, proprio da questi “nuovi” jiha-
disti, tra i quali non mancano brillanti studenti universitari, come
Nasser Muthana, o normanni “purosangue”, e di famiglia medio
borghese, come Hauchard. I vecchi parametri insomma (fragilità
psicologica, condizioni sociali disagiate, rabbia latente) non spie-
gano più, o perlomeno non lo fanno del tutto, la dinamica di un
fenomeno che ha portato il ministero dell’interno francese a com-
piere un’efficace ricerca sociologica, dai risultati a volte sorpren-
denti. Oltre 160 famiglie francesi si sono ritrovate un aspirante ji-
hadista in casa, praticamente da un giorno all’altro. Ragazzi che a
volte salutavano dicendo di andare a una festa, e la sera stessa
apparivano su Youtube a lanciare anatemi di morte. I dati lasciano
sovente di stucco, se si pensa che solo il 16 per cento proviene
dai ceti sociali più bassi, mentre il 67 è della middle class. A fron-
te, poi, di un’età media prevedibilmente molto bassa (due su tre
hanno fra i 15 e i 21 anni) e di una presenza femminile assoluta-
mente non trascurabile (il 44 per cento sono donne), cade anche
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LA LUNGA GUERRA
Lo scorso giugno, quando Abu Bakr al-Baghdadi annunciò la costi-
tuzione del Califfato sui territori controllati dalla sua organizzazio-
ne, il mondo intero dovette assistere con sgomento all’inizio di
una folgorante avanzata militare in Iraq, che portò le truppe jihadi-
ste fin quasi alle porte della capitale Baghdad, in agosto. Da quel
momento, la reazione della coalizione internazionale (che a oggi
consta di ben sessanta paesi) è stata veemente, e a forza di ripe-
tuti successi parziali, ottenuti sul campo soprattutto dalle forze
curde e irachene, si è ottenuto quello che era l’obiettivo minimo,
ma anche fondamentale: arrestare l’avanzata dell’Is nello Stato
mesopotamico. Il discorso però cambia radicalmente, se si consi-
dera che alcuni fra i più ottimisti speravano di poter assestare da
subito un duro colpo all’organizzazione jihadista, ponendo magari
le basi per una sua definitiva distruzione. Sotto quest’ultimo
aspetto, anche se diversi analisti vedono lo Stato islamico in un
momento di difficoltà, e forse già incanalato verso la propria para-
bola discendente, la strada appare ancora lunga, anche (ma non
solo) per una mera questione di cifre.
In pochi mesi, Daesh (acronimo in arabo del Califfato) ha massa-
crato quasi duemila persone. Ancora oggi, nonostante gli arretra-
menti delle ultime settimane, nelle piane aride fra la Siria orientale
e l’Iraq nordoccidentale controlla un territorio esteso quanto il Re-
gno Unito: un vero e proprio “Stato del terrore” in cui dispone di
decine di pozzi di petrolio e raffinerie, vitali per finanziarsi. Di-
struggere una simile entità, verosimilmente, richiederà ingenti sfor-
zi bellici, coesione e, soprattutto, tempo; tutte cose non così facili
da reperire in una coalizione composta da decine di paesi, che
inevitabilmente hanno ruoli e interessi diversi. È già paradossale,
a ben vedere, che non faccia ufficialmente parte dello schieramen-
to quello Stato che gioca un ruolo decisivo nella partita: l’Iran. Al-
leato del regime di Damasco, ma anche di Baghdad, Teheran ha
inviato in Iraq addestratori militari, rinforzando le file delle milizie
sciite, con uomini, armi e capitali. Un aspetto quest’ultimo fonda-
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Giornalista
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Quando il contagio
è finanziario
Se nei nostri giorni l’attenzione è puntata sull’ebola e sul modo
di isolarlo, nessuno sembra più curarsi di virus forse più pericolosi
in quanto non esistono barriere o reparti di isolamento per fermarli.
E producono anch’essi molti decessi, per suicidio…
Francesco Crocenzi
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principio che non è tutto oro quello che luccica, nel senso che
quasi sempre i guadagni elevati dati o promessi da un investi-
mento vanno di pari passo con rischi almeno altrettanto impor-
tanti. Per parlare dell’effetto contagio di operazioni finanziarie ri-
schiose, simile a quello di un virus, basta pensare che la crisi fi-
nanziaria che attanaglia da almeno sei anni molti paesi europei
proviene in larga parte dall’altra parte dell’Oceano, facendo in
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Avvocato specializzato in mercati finanziari e impresa
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Massimo Ciullo
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smo nel Regno Unito, convincono Le Pen che anche per la Francia
sia necessario adottare una politica estrema di privatizzazioni. Lo
scenario, però, muta radicalmente agli inizi degli anni Duemila,
quando i costi sociali del liberal-liberismo vengono messi in dis-
cussioni: l’aumento della disoccupazione e la fine del mito del
mercato panacea di tutti i mali, costringono ad un ripensamento
delle linee-guida del Fn, soprattutto in campo economico. A ciò si
aggiunge il fenomeno nuovo della globalizzazione che produce
una tale erosione della sovranità statale, che fa virare il Front ver-
so una difesa intransigente dell’interesse nazionale francese. Le
Pen capisce che la contrapposizione tra capitale e lavoro non può
essere appannaggio esclusivo dei socialisti, sempre più imborghe-
siti, o dell’estrema sinistra che, dal dopoguerra in poi, ha subito
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condotto sulla rete all’inizio del 2014 ha svelato che il 29 per cen-
to degli operai ha votato per Marine Le Pen; soglie che non sono
state nemmeno sfiorate sia dal tradizionale partito di governo di
sinistra, il Ps, sia dalle forze anti-sistema d’ispirazione post-comu-
nista (marxista-leninista o trozkista) come il Front de la gauche di
Jean Luc Melenchon.
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Massimo Ciullo
Docente di Scienza politica e Politica internazionale
presso l’Università del Salento
Bibliografia
Canovan, M. (1981), Populism, New York: Harcourt Brace Jovanovich
Canovan, M. (1999), Trust the People! Populism and the Two Faces of Democracy,
in “Political Studies”
Mayer, N. (2013), From Jean-Marie to Marine Le Pen: Electoral Change on the Far
Right, in “Parliamentary Affairs”
Shields, J. (2013), Marine Le Pen and the ‘New’ FN: A Change of Style or Substance,
in “Parliamentary Affairs” 66/1, pp. 179-196
Broadbent, M. (2014), Marine Le Pen and the populist radical right, http://www.e-
ir.info/author/matthew-broadbent/
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Oligarchie, il virus
che minaccia il mondo
Una vera e propria nuova pestilenza si aggira per il mondo e nessun
popolo, nessun paese ne resta, ormai, immune. Un virus silente di cui,
in generale, non si parla o, quando se ne parla, si finge che infetti
solo terre remote, lontane culturalmente e politicamente dall’Occidente
Andrea Marcigliano
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economica alla Lehman, fallita nel volgere di soli tre mesi –ma che
a partire dagli anni Novanta cominciarono ad emettere verdetti
sulla solidità o meno delle finanze degli stessi Stati sovrani. Che,
così, di punto in bianco, si ritrovarono a perdere progressivamente
la loro sovranità, delegata a poteri finanziari in grado di distrugge-
re, letteralmente, il loro credito sui Mercati internazionali. E que-
sto, in breve, si è tradotto in una serie di diktat politici che hanno
condizionato e continuano ogni giorno di più a condizionare pe-
santemente le decisioni dei governi democraticamente eletti, di
fatto svuotando la stessa democrazia di ogni realtà e riducendola
a mero simulacro.
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UN’EBOLA GEOPOLITICA
Naturalmente le nuove Oligarchie non hanno un, preciso e deter-
minato, colore politico. Allignano ad Ovest – dove detengono i
centri del potere finanziario – come ad Est e Sud, dove svelano il
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Oligarchi e destabilizzazione
degli equilibri mondiali. Il caso Ablyazov
Oligarchi: antico termine greco che definisce un gruppo di
potere autoreferenziale; individui collegati strettamente fra
loro – spesso con legami familiari – che governano esclusiva-
mente per fare i propri interessi a scapito della comunità. Ter-
mine tornato prepotentemente di attualità ai nostri giorni,
dopo l’implosione dell’Urss che ha visto la sistematica spolia-
zione delle ricchezze delle repubbliche ex sovietiche da parte
di individui e gruppi chiusi, un vero e proprio “sacco” portato
avanti con tutti i mezzi possibili, e che ha comportato, spes-
so, gravi squilibri interni a quei paesi, e addirittura situazioni
di conflitto e rivolgimenti. Perché gli oligarchi prosperano
proprio nelle situazioni di anarchia e fomentano pseudo rivo-
luzioni per sfruttarle cinicamente ai loro fini.
Esemplare il caso di Mukhtar Ablyazov, il bancarottiere e oli-
garca kazako balzato lo scorso anno agli onori delle cronache
italiane a causa dell’estradizione dall’Italia di sua moglie Al-
ma Shalabayeva; estradizione poi revocata dopo una prepo-
tente, rumorosa ed influente campagna di stampa orchestrata
da potenti agenzie internazionali che l’Ablyazov – fuggito dal
Kazakistan con oltre 14 miliardi di dollari, frutto del fallimen-
to della banca Bta da lui presieduta – ha sontuosamente fi-
nanziato. Ablyazov, oggi, si trova in carcere in Francia, inse-
guito da mandati di cattura internazionali emessi non solo da
Astana, ma anche da Russia ed Ucraina, visto che la Bta ope-
rava in tutta quest’area. Peraltro, sul capo di questo signore
grava anche la condanna di una corte britannica, visto che
danneggiati dalle sue operazioni finanziarie sono stati anche
istituti di credito inglesi ed europei in genere. Per inciso an-
che alcune banche italiane, fra cui Unicredit e Monte dei Pa-
schi di Siena ci hanno rimesso qualche centinaia di milioni. Il
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Andrea Marcigliano
Saggista, senior fellow de “Il Nodo di Gordio”
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Sinofobia?
Il Dragone (non) fa paura
Un potere crescente, talmente temuto da rendere quasi realtà trattati
commerciali senza precedenti nella storia. Eppure, anche il gigante giallo
ha i suoi problemi, pare aver perso buona parte del suo slancio ed è
pienamente coinvolto nelle difficoltà di una modernizzazione difficile
Alberico Travierso
128 Virus
finiti i tempi in cui si temeva che un tasso sotto una soglia del 7-8
per cento avrebbe avuto conseguenze funeste sul piano lavorati-
vo, anche perché la disoccupazione è ferma ormai da anni a un 4
per cento assolutamente fisiologico.
In ogni modo, se è perlomeno prematuro parlare già di un “pro-
blema crescita”, pur sottolineandone l’evidente (ma per alcuni
aspetti non negativo) rallentamento, ciò che ha veramente assunto
proporzioni preoccupanti è il debito pubblico in relazione al Pil,
che ha ormai superato il 250 per cento e in breve raggiungerà
quello degli Usa, che è fermo al 261. Fra le maggiori economie
mondiali, solo il recidivo Giappone è messo peggio, al 416 per
cento; va anche detto però, relativamente ai due giganti asiatici
(ma non agli Usa), che oltre il 70 per cento del debito è detenuto
da investitori nazionali, il che ovviamente riduce, e di parecchio,
un eventuale rischio-paese. Certo, la minore crescita pone alcune
problematiche in relazione alla sostenibilità del debito, se non al-
tro per l’ovvia realtà per cui ci vuole sempre maggior credito per
continuare a sostenere un prodotto interno in fisiologico rallenta-
mento. Il problema fondamentalmente è che, e non solo Pechino,
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Paese dalla ricchezza pro capite bassa), in Cina è ben presto sco-
raggiata dal depositarli in banca, a causa di interessi troppo bassi,
spesso al di sotto del tasso di inflazione. Ogni occasione specula-
tiva, quindi, diventa buona, e il mattone è di gran lunga la princi-
pale: tuttavia, giusto per dare un’idea delle dimensioni del feno-
meno, si noti che esistono ormai bolle del vino, dei cartoni anima-
ti, dell’arte, e così via. Oramai, gran parte di privati, imprenditori e
perfino alcune banche investono in prodotti finanziari, più o meno
affidabili, paralleli al credito ufficiale (il c.d. credito ombra), che
però prima o poi, in un’economia così arcaica, indirizzano inevita-
bilmente il denaro verso l’immobiliare. Un flusso peraltro che ha
una redditività estremamente bassa, dato che il mattone cinese
non può certo essere un settore ad alto valore aggiunto, e non so-
lo per la congestione del sistema: i soldi, insomma, non tornano
indietro, e concorrono così a gonfiare quel mostruoso blob la cui
ipotetica esplosione pesa come un’enorme spada di Damocle sulla
testa della più grande economia del globo. Anche qui, poi, vi sono
inevitabili quanto spiacevoli conseguenze sul piano ambientale e
sociale, con la devastazione del territorio, la corruzione dei funzio-
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138 Virus
quale proviene.
Alcune condizioni, subite per decenni, oggi non sembrano più tol-
lerabili. Fra queste, spicca sicuramente il famoso signoraggio inter-
no, per il quale gli imprenditori cinesi che esportano, devono poi
cambiare i dollari ed euro ricavati in yuan, per pagare operai e for-
nitori. Al cambio, però, subiscono un prelievo del 15 per cento per
diritti, appunto, di signoraggio, che decurta sensibilmente i loro
(comunque significativi, per la verità) profitti. Un taglio da sempre
accettato obtorto collo, tanto che negli anni si è andato formando
un mercato nero dei cambi dietro cui è pesante l’ingerenza della
malavita organizzata. Oltre a ciò, questa nuova classe sociale mo-
stra una crescente, inevitabile insofferenza verso la macrostruttura
economica e finanziaria della vecchia Cina: in estrema sintesi, si
chiede una trasformazione radicale del capitalismo di Stato (o me-
glio, collettivismo burocratico) in un sistema pienamente capitali-
stico, con annessa sostituzione al potere della classica burocrazia
di partito. Tutto questo non può che generare una spaccatura pro-
fonda e feroce nel gruppo dirigente, che va al di là delle consuete
lotte di corrente, e configura un vero e proprio conflitto di classe,
trasversale perfino alle componenti tradizionali del partito. Fra gli
inquisiti di alto rango, infatti, vi sono uomini appartenenti sia al
clan di Shanghai, il gruppo che aveva il suo riferimento nell’ex lea-
der del Pcc, accusato di filocapitalismo, Jiang Zemin, che a quello
dei tuanpai (la corrente del premier, Li Keqiang) e pure dei «princi-
pi rossi», l’ala da cui proviene lo stesso Xi Jinping. Non di rado,
poi, le vittime ricche della longa manus pechinese reagiscono con
una sorta di «sciopero dei capitali», cercando rifugio per i loro
fondi presso banche occidentali: un (ancora potenziale) colpo du-
rissimo per l’intera economia cinese. A tutto questo è riconducibile
una delle ultime campagne lanciate dal Pcc, quella contro i «fun-
zionari nudi», vale a dire coloro che mandano moglie, figli e capi-
tali all’estero, sperando di non essere scoperti. Nella malaugurata
ipotesi che ciò dovesse avvenire, molti preferiscono il suicidio,
perché la legge cinese proibisce ogni forma di processo nei con-
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Alberico Travierso
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Antonio Saccà
Anonimo contemporaneo
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IMMIGRAZIONE ED ECONOMIA
(Discorso di uno straniero immigrato clandestino a me italiano)
“Siete pazzi, voi italiani, il popolo pazzo, in tutto il mondo non
esiste un popolo pazzo come voi e quanto voi. E sapete perché
siete pazzi? Perché vi credete buoni o scaltri. E siete pazzi come
buoni e come scaltri. Vuole sapere perché? Mi ascolti qualche mi-
nuto. E non mi interrompa. Alla fine dirà quello che le pare. Dun-
que. Noi veniamo a fiumi, da ogni vostro lato. Siete una pentola
bucata. Non c’è paese dove entriamo tanto facilmente come l’Ita-
lia. Da ultimo avete inventato di prenderci, addirittura. Non solo
veniamo, ma ci venite a prendere, ci venite a “salvare”. Bravi, bra-
vissimi, buoni, buonissimi; ma dovete decidervi: come fate a dare
una regola ai nostri sbarchi se appena a conoscenza dei nostri
barconi correte ad accoglierci tutti? Non vi capisco. Lo fate perché
siete buoni, per i diritti umani (sorriso amaro e disgustato dello
straniero, nota mia)? Tra poco ne parlerò, di questa leggenda. Lo
fate. Senza limiti. Un colabrodo contento di essere un colabrodo. E
noi veniamo, corriamo, ammassati a centinaia di migliaia, da quasi
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il vostro? Noi, mai. Voi, neanche, dico quelli che ci divorano. Bello,
vero? Magnifico. Non paghiamo tasse noi e neppure quelli che ci
rodono. Magnifico. Ecco come un paese si rovina. Perché le tasse
le pagate voi (mi indica con il dito, nota mia), la gente con un im-
piego, una o due casette, una pensione. Voi (mi indica ancora, no-
ta mia) non potete sfuggire, invece noi siamo invisibili, noi e i no-
stri padroni, li chiamo così perché lo sono veramente. Sia coloro
che ci amministrano sia coloro che ci danno lavoro. E dico poco.
La maggior parte del denaro lo inviamo ai nostri disgraziatissimi
parenti che crepano nei luoghi che abbiamo lasciato, madre, fratel-
li, anziani, e tutti quelli che consideriamo di famiglia (ha un mo-
mento di commozione, nota mia). Questo un primo risultato della
vostra bontà o della vostra astuzia, o di entrambe: arricchiamo
mascalzoni che non pagano tasse, noi non paghiamo tasse, voi
pagate più tasse per rimediare la voragine di chi non le paga”.
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più forti agiremo da più forti. Solo dementi possono credere alla
bontà del povero che riesce a dominare. Non vi domineremo? Illu-
si! Continuate a prenderci e a non fare figli, e ve ne accorgerete!”.
Tacque. Non so se riteneva io volessi parlare. Non parlai. Mi inte-
ressava molto ascoltare. E continuò. “Non meno pazzi sono i catti-
vi, quelli che credono di succhiarci il sangue. Noi fatichiamo, ci
spezziamo le ossa, dobbiamo ripagare i traghettatori, stiamo in
dieci in una stanza, intanto sopravviviamo, facciamo figli, chiamia-
mo i parenti, gli amici, qualcuno studia o fa studiare i figli, qualcu-
no mette bottega, con amici e parenti paga quasi niente salari, gli
orari non esistono, capite o no che vi diamo guerra in casa vostra
e voi ce la consentite! E questo, perché? Perché credete che vi fac-
ciamo risparmiare nelle nostre botteghe o che trovate lavoratori a
minor costo. Questo il grande scopo della vostra bontà e della vo-
stra astuzia. Vi mangeremo crudi. Se credete di salvare la vostra
economia sfruttando noi siete incoscienti, se credete di salvare la
vostra economia trattando con parità noi siete incoscienti lo stes-
so. Nessun paese è salvato da stranieri che generano di più. Fate
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IL FALSO BERSAGLIO
Quando taluni partiti, italiani ed europei, cercando una loro indivi-
duazione su problemi effettivi, ritengono che la immigrazione clan-
destina sia il male da combattere e salvati da essa risaneremmo le
nostre società, commettono uno sbaglio dimostrativo di una politi-
ca che vive di momentaneità e inidonea a una visione prospettica.
Scrivevo nel mio libro Europa o morte (Dino Editore, 2002), che ci
debiliterà l’immigrazione regolare, per una ragione semplicissima,
è di gran lunga la più numerosa e prolifica di conseguenza. Saran-
no la demografia, la natalità, a condizionarci. Invece di creare agi-
tazioni certo suscitatrici di consenso facilitato ma irrisorio sarebbe
opportuna l’indicazione di una politica per le nostre famiglie, per
la casa, per gli asili; ma ciò susciterebbe meno rumore e sugge-
stione elettorale. Se noi non facciamo figli l’immigrazione sarà irri-
mediabile, e che sia regolare o meno, cambierà la nostra composi-
zione. Almeno esserne coscienti. Bisogna spingersi ad una inten-
sissima politica della natalità nazionale, case, sussidi, asili nido,
costo degli alimenti e degli indumenti. Una scarpetta per un bam-
bino la si paga quanto una scarpa di media qualità per adulto. In-
somma, una politica totale per le nascite. Di tutti, intendiamoci.
Ma soprattutto ed anche le nostre.
Ma restiamo ancora alla superficie del fenomeno “immigrazione”.
La “grande povertà” si è mossa e sta inondando il pianeta del be-
nessere. Invece di restare a morire di fame, guerre e malattie il
pianeta dei poveri si inoltra, invade, fugge, perisce, tenta, osa,
noi, callidissimi, riteniamo di avvantaggiarci di queste esplosioni, e
sotto ammanto di accoglienza, diritti umani, fraternità, uguaglianza
cerchiamo di restaurare la schiavitù a casa nostra. Venite, venite,
vi daremo un lavoro fuorilegge, diverrete manovalanza del crimine,
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LA SOCIETÀ MORTALE
Al dunque, se i cosiddetti poveri non sono capaci di organizzare la
forza produttiva resteranno sempre soggiogati, non basta essere
poveri per avere il diritto a vincere, nella società vince chi realizza
una proposta efficiente, oltre la proclamazione della giustizia e del
bene. All’interno della società la lotta può avvenire pacificamente
o meno tuttavia c’è sempre lotta. Al punto in cui siamo, lo accen-
navo, dobbiamo riconsiderare lo “stare in società”. Imposte, immi-
grazione, economia criminale, il timore di una crisi radicale, predo-
ni, speculatori stanno mettendo a prova la stessa idea dello stare
in società, insisto. Ecco perché dobbiamo, punto per punto, riesa-
minare la sudditanza e il dominio, vagliare l’attualità del cosiddet-
to contratto sociale, stabilire una sociologia della società, insom-
ma, della ragione di stare nella società. E se non sia il caso di for-
giare una società nella società, autoprotettiva nelle imprese che
sormontino il profitto antisociale, e nei servizi, che scemeranno
sempre più. Imprese che facciano ogni sforzo da parte dei lavora-
tori imprenditori per autoccuparsi, per darsi occupazione, e così
nei servizi. Una società nella società contro la società mortale. E
bisogna affrettarsi.
Antonio Saccà
Sociologo
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Il diritto di critica nei luoghi di lavoro
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Antonio Saccà
Il corpo della vita. Pensieri allo specchio
Artescrittura
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166 Geoscaffale
Geoscaffale 167
168 Geoscaffale
V. Feltri, G. Sangiuliano
Il Quarto Reich
Come la Germania ha sottomesso l’Europa
Mondadori
pp. 144, euro 17
Geoscaffale 169
Steven Drobny
Fondi speculativi. Strategie operative
per i mercati globali
Hoepli
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170 Geoscaffale
Loretta Napoleoni
Isis. Lo Stato del terrore
Chi sono e cosa vogliono le milizie
islamiche che minacciano il mondo
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Giuseppe Berta
Oligarchie. Il mondo nelle mani di pochi
Il Mulino
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172 Geoscaffale
Stefano Laffi
La congiura contro i giovani
Crisi degli adulti e riscatto
delle nuove generazioni
Feltrinelli
pp. 176, euro 14
Geoscaffale 173
Valeria Ferraris
Immigrazione e criminalità
Carocci
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Alessio Mannino
Mare monstrum. Immigrazione. Bugie e tabù
Arianna Editrice
pp. 128, euro 9,80
174 Geoscaffale
Federico Rampini
Rete padrona
Amazon, Apple, Google & co.
Il volto oscuro della rivoluzione digitale
Feltrinelli
pp. 288, euro 18
Geoscaffale 175
più esposta allo sguardo virtuale di amici e non solo. Intanto i co-
siddetti “nativi digitali” vivono in un mondo dominato da “app”
che sembrano poter colonizzare ogni aspetto della loro vita. I gi-
ganti del web sembrano non porsi limiti nella loro corsa alla su-
premazia: vogliono mappare tutte le informazioni del mondo, con-
nettere tutte le persone del mondo, essere il negozio unico per
tutto il mondo, occupare il tempo libero di tutti. Ma possiamo per-
mettere che tutto sia nelle mani di pochissimi? Che le nostre vite
intime, professionali, politiche siano affidate alle grandi aziende
digitali? E che succederebbe se dovessimo scoprire che alcune di
loro sono diventate davvero cattive?
Gerenza Imperi 2 01 2014 11:20 Pagina 1
IMPERI
RIVISTA QUADRIMESTRALE
anno 11 - n° 32 (2014)
COMITATO DI REDAZIONE:
Luciano Garibaldi, Raffaele Cazzola Hofmann, Andrea Marcigliano,
Pietro Romano, Antonio Pannullo, Salvatore Santangelo, Bruno Tiozzo, Giorgio Torchia
COMITATO SCIENTIFICO:
Franco Cardini, Salvatore Prisco, Francesco Crocenzi, Massimo De Leonardis,
Gianfranco De Turris, Federico Eichberg, Domenico Fisichella, Gennaro Malgieri,
Adolfo Morganti, Enrico Nistri, Gaetano Rasi, Raoul Romoli Venturi, Antonio Saccà,
Daniela Santus, Fabio Torriero
REALIZZAZIONE GRAFICA:
Francesco Callengher
Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Roma con il nr. 358/2009 del 2 novembre 2009
Avvertenza: salvo precedenti accordi scritti: a) articoli Micro Floppy Disk, fotografie, diapositive, non si restitui-
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